#mondi oscuri
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"Il Passeggero" di Cormac McCarthy: Un Tuffo nelle Tenebre dell'Anima. Recensione di italianewsmedia.com
Un thriller filosofico che esplora i misteri dell’esistenza e le profondità dell’inconscio
Un thriller filosofico che esplora i misteri dell’esistenza e le profondità dell’inconscio. “Il Passeggero” è l’ultima opera del maestro americano Cormac McCarthy, autore di indimenticabili romanzi come “La strada” e “Non è un paese per vecchi”. Pubblicato da Einaudi il 2 maggio 2023, questo libro rappresenta un’ulteriore esplorazione dell’autore nelle profondità dell’animo umano, attraverso un…
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Appunti di genere I: Wraeththu
(Sì, il blog vive ancora. Il ritmo è calato molto per un mix di mancanza di cose da segnalare e vicende nella vita vera.)
Come ho già segnalato in altri post, sono una grande appassionata di New Weird. È stata in effetti questa passione piuttosto precoce che mi ha convinto a dare una chance alla lettura in inglese durante i primi anni delle superiori, visto che la probabilità di trovare qualche libro appartenente ad un sottogenere del fantasy diverso dagli high fantasy di stampo tolkeniano (stampo di qualità perlomeno altalenante, mi tocca aggiungere) in una qualunque libreria in Italia era molto bassa: il primo libro che lessi così fu The Year of Our War di Swainston, che cementò la sicurezza che questo genere fosse stato pensato proprio per chi come me era ossessionata dal leggere di cose che non avrebbe mai potuto immaginare da sola e vederle prendere vita con una minuzia e una precisione straordinarie. Poi Swainston scrisse, ahimè, anche altri libri, ma ormai lanciatissima iniziai a leggere quasi tutta la narrativa fantastica che mi interessava in inglese.
Vabbè, momento nostalgia a parte, anche se tra la Trilogia dell’Area X e qualche libro del Bas-Lag di Miéville qualcosa si è mosso, ci sono ancora tantissimi autori recenti che rimangono lontani dal fare il loro debutto sugli scaffali delle librerie nostrane, ma per il consiglio di oggi ci tenevo a segnalare la serie di un’autrice che è a tutti gli effetti una delle madrine (se non LA madrina) di questo sottogenere e che ha ancora meno chance di altri di arrivare anche qua in Italia: la trilogia Wraeththu di Storm Constantine, pubblicata tra il 1987 e il 1989 e tutt’ora inedita in Italia. Nonostante non mi informi spesso sul background di un autore prima di dargli una chance, qualche notizia su Storm Constantine mi ha convinto che si trattava di un tipo interessante: intanto perché quello è il suo vero nome, cambiato all’anagrafe dopo anni di pubblicazioni sotto pseudonimo, e poi perché da tutto quello che ha fatto in vita, dal sostegno alle fanfiction delle sue opere alla gestione di siti e wiki dedicati ai suoi mondi fantastici, traspare un genuino amore per i fan e un’idea della scrittura come atto comunitario che è relativamente peculiare tra gli autori che leggo. La stessa premessa della serie di cui volevo scrivere oggi – che una razza priva di genere, bellissima e letale, rimpiazzi a poco a poco gli umani – deriva dai look androgini delle band che frequentava in gioventù; senza ulteriori indugi, dunque, le mie impressioni su una serie che fa tante cose in modo mediocre o addirittura pessimo, ma che ne fa almeno altrettante in maniera interessante.
Come specificavo appena sopra, la trilogia di Wraeththu parte dall’idea che alle periferie di una civiltà umana ormai in lento declino si sviluppi una mutazione, inizialmente circoscritta a pochi individui, che ne modifichi il corpo e i sensi in maniera talmente radicale da creare una nuova specie: i Wraeththu, persone dotate di organi femminili e maschili, androgini d’aspetto e incredibilmente forti e resistenti, con abilità magiche e occulte che permettono loro di utilizzare telepatia, piromanzia e altri incantesimi molto più oscuri; l’intera trilogia è incentrata sul lento percorso che i Wraeththu compiono per ereditare la Terra – dai rapimenti di adolescenti dalle famiglie nelle periferie per trasformarli, alle guerre brutali condotte sotto il segno della conquista, fino ai tentativi di convivenza con quegli umani che si ostinano a non voler cedere il passo a questa razza che è chiaramente migliore di loro sotto tutti gli aspetti. Giusto?
La copertina della raccolta di tutti e tre i libri. L’influenza punk è piuttosto evidente.
È rimarchevole il fatto che tutti e tre i libri si svolgano in momenti dell’avanzata molto diversi tra loro, e che lascino impressioni assai differenti sui Wraeththu coinvolti nelle vicende raccontate: il primo libro, The Enchantments of Flesh and Spirit, segue i viaggi di Pellaz, ragazzo fuggito assieme al Wraeththu Cal e iniziato rapidamente in un mondo fatto di piccole tribù sparse, che sono tutte più o meno apertamente ostili agli uomini ma che raramente hanno la forza di opporsi alle città più grandi e ben organizzate; sopravvivono grazie a fragili reti commerciali, furti e saccheggi e l’occasionale zuffa con gli abitanti delle zone isolate in cui gli uomini stanno iniziando a temere questa massa di guerrieri che hanno al loro fianco sciamani con strani poteri e una resistenza sovrumana. L’ultimo libro, che ha per protagonista Cal e il suo compagno di viaggi Panthera, dettaglia invece grandi insediamenti con culti, tradizioni e strutture sociali proprie e una società largamente abituata a considerare normalità tutte quelle caratteristiche Wraeththu che erano aliene o disturbanti ai Wraeththu stessi durante i primi anni delle loro trasformazioni; il risultato è effettivamente una cronaca dell’ascesa al potere di una nuova specie, che si trova a confrontarsi con due quesiti fondamentali che ne segnano l’intero percorso: che cosa dobbiamo fare dei nostri corpi ora che non esiste più alcuna differenza tra uomini e donne? E se siamo davvero così superiori agli uomini, saremo in grado di costruire qualcosa di meglio di quello che hanno fatto loro?
La risposta – anzi, le risposte – alla prima domanda è sicuramente uno dei motivi per cui ho deciso di parlare sul blog di questa trilogia, nonostante i suoi numerosi difetti. I Wraeththu sono a tutti gli effetti descritti come una razza che nasce dall’unione di aspetti maschili e femminili: senza peli, privi di seno e con genitali sia maschili che femminili (espressione imprecisa ma comprensibile, data l’età del testo), sono il ritratto di una bellezza androgina, a tratti anche un po’ patinata e occasionalmente perfino un filo ridicola, considerando quanto tempo i personaggi indugiano ad ammirarsi allo specchio e reciprocamente. Ma se si scrosta un po’ la patina da belli maledetti che evoca il minaccioso spettro di Twilight è evidente che l’interesse di Constantine è ben distante da quello di creare una nuova specie di Gary Stu (si dice ancora Gary Stu? Mi sento anziana) su cui far beare inesistenti schiere di fangirl, ma è piuttosto un modo di esplorare la psiche di un mucchio di giovani adolescenti che si trovano di punto in bianco in un corpo che è molto lontano dalla mascolinità che avrebbero dovuto raggiungere con la fine della pubertà.
Sì, perché la particolarità della mutazione che tramuta gli umani in Wraeththu è che sembra essere una mutazione esclusivamente maschile: i tentativi di trasmutare le donne falliscono tutti, e non incontriamo un solo Wraeththu che dichiari di essere stata una ragazza; il risultato è che, sebbene i Wraeththu siano a tutti gli effetti “l’unione di principi maschili e femminili”, il risultato della trasformazione che inizia a infettare le periferie è quello di un branco di giovani confusi che ragionano esattamente come ragionavano da ragazzi e faticano a lasciar andare quelle dinamiche di genere che caratterizzavano tutti i loro rapporti, compresi quelli sessuali. L’esempio più evidente fin dal primo libro è quello di Cal: un ragazzo gay spaventato dalle donne che da Wraeththu non riesce a scrollarsi di dosso quei rigidi ruoli che avevano caratterizzato le sue relazioni fino al momento della trasformazione e che ripropone in tutte le sue relazioni le stesse dinamiche di sottomissione e dominazione che aveva vissuto durante la sua vita umana.
C’è anche un ttrpg! Non l’ho provato, anche perché credo sia quasi impossibile da reperire, ma giocare con quest’ambientazione dev’essere molto divertente.
Alcune delle pagine più belle sono dedicate ai rapporti tra i Wraeththu e le donne. Alcune di loro, affascinate dai Wraeththu e spesso un po’ invidiose di quella trasformazione che ha cambiato gli uomini da loro signori e padroni nella società maschilista in cui avevano vissuto fino a quel momento a entità a cui riconoscono una sorellanza precaria, vivono affiancando i Wraeththu aspettando che l’umanità sparisca lentamente dalla terra, convinte di rinascere nel principio femminile che costituisce la metà della nuova specie; altre però sperimentano subito la brutalità di alcune tribù Wraeththu, che non appare affatto diversa da quella umana: le donne nelle zone raggiunte dalla tribù dei Varr vengono uccise o schiavizzate, considerate poco più che animali incapaci di ascendere allo stadio successivo dell’evoluzione dell’umanità, e trattate con modalità per nulla diverse, se non peggiori, da quelle della società patriarcale in cui avevano vissuto fino a quel momento. È anche e soprattutto da questi scorci di inaspettata violenza e crudeltà che l’immagine perfetta dei Wraeththu inizia ad incrinarsi e qualche crepa inizia ad insinuare il sospetto che per essere una razza perfetta, al di sopra di ogni meschinità umana, molti Wraeththu si stiano comportando come tutti i conquistatori umani prima di loro.
L’incapacità Wraeththu di lasciar andare le emozioni, le passioni e i temperamenti umani ancora e ancora produce società, costumi e dinamiche identiche a quelle che avevano giurato di lasciarsi alle spalle: queste ipocrisie sono descritte molto bene da Constantine, ed è dunque sorprendente che non sia capace di risolverle in maniera soddisfacente. Il terzo libro della trilogia è sicuramente il più debole per tanti motivi (vedi i paragrafi successivi), ma uno di essi è la mancanza di una costruzione coerente che leghi assieme tutti questi momenti molto belli in cui il percorso dei Wraeththu per diventare qualcosa di più degli umani viene sfidato dalla loro incapacità di far funzionare in armonia quel loro nuovo corpo intriso di magia e nuove potenzialità e la loro mente ancora saldamente ancorata agli schemi del vecchio mondo. Forse uno degli esempi più lampanti in questo senso è l’utilizzo dei pronomi in questa serie: tutti i Wraeththu parlano di sé al maschile, ma pionieristicamente una donna di nome Kate suggerisce a Pellaz che non sembra il modo giusto di parlare di una creatura che non è né uomo né donna; questa idea viene ripresa ancora un paio di volte e avrebbe potuto avere conseguenze interessanti all’interno delle dinamiche di genere della storia, ma viene poi persa definitivamente con il passare delle pagine e nel terzo libro non viene mai più menzionata.
Insomma, la trilogia è al suo meglio quando i suoi personaggi si immergono a fondo nelle contraddizioni di una specie che dovrebbe esistere al di là di tutto ciò che è umano ma che continua a vivere come se fosse tale – anzi, a ben vedere, spesso e volentieri (ma non sempre) come se fosse ancora maschio. Non c’è dubbio, dunque, che i personaggi migliori siano quelli in cui tali contraddizioni brillano particolarmente: la maggior parte del secondo libro, cioè The Bewitchments of Love and Hate, è dedicata alla famiglia della nobiltà Varr da cui Pellaz e Cal avevano soggiornato brevemente durante il libro precedente; è composta da Terzian, il capo della tribù, il suo compagno Cobweb, salvato da Pellaz e Cal da una ferita mortale e riportato alla corte dei Varr, e il figlio Swift, uno dei primi Wraeththu di seconda generazione. Ma la relazione tra i primi due personaggi, che dovrebbe essere uno dei fulgidi esempi di perfezione Wraeththu, immune da gelosie, dinamiche di potere patriarcali o debolezze umane che privano i rapporti della loro bellezza e li trasformano in catene con cui legarsi a vicenda, sono invece l’esempio perfetto di come questi ex-uomini fatichino a lasciar andare la binarietà che ha caratterizzato tutta la loro vita precedente: Cobweb, dai capelli fluenti alla “maternità” imposta, è in una posizione sociale e politica che fatichiamo a distinguere da quella di tutte le donne del “vecchio mondo” e nel momento in cui cerca di ricavare a corte un potere e una posizione al di là del proprio ruolo i sussurri dei Varr lo bollano come un mistico – anzi, come una strega. In maniera del tutto speculare, Terzian è l’archetipo perfetto del barbaro conquistatore: virile al massimo grado, con capelli corti e fisico scolpito, incapace anche solo di considerare la gravidanza o anche solo il ruolo di soume (chi utilizza le parti “femminili” durante il sesso), si comporta esattamente come farebbe un qualsiasi signore di un feudo con sudditi da da sfamare, terre da conquistare e popoli da sottomettere. Il lento ma inesorabile disfacimento di queste dinamiche di potere, grazie alle scelte di Swift e agli influssi destabilizzanti di Cal, di cui Terzian si innamora perdutamente, costituisce forse le pagine più belle dell’intera trilogia e un altro motivo per cui, se non tutti e tre i libri, almeno i primi due meritano l’attenzione di chiunque sia interessato alle tematiche appena descritte.
Storm Constantine in the flesh. Specifico che questa è una delle sue foto più sobrie, ma purtroppo le altre avevano una pessima risoluzione.
Purtroppo, come ripetutamente accennato, la trilogia è ben lontana dall’essere perfetta. Non mi soffermerò troppo sullo stile di scrittura, che pur cadendo troppo spesso in un lirismo fine a sé stesso e a tratti anche un po’ patetico, mostra quello che deve mostrare e non ostacola attivamente la lettura – non un gran complimento, me ne rendo conto, ma non mi sento di dire nulla di più positivo; tuttavia, i veri problemi che squalificano questa trilogia dall’essere godibile per una fetta non indifferente degli appassionati di fantasy sono quelli di worldbuilding e di scelte narrative della seconda metà dell’ultimo libro, The Fulfilments of Fate and Desire. È evidente che Storm Constantine ha scritto delle vicende dei Wraeththu per parlare di sesso, di relazioni e d’amore, non certo per dettagliare con cura minuziosa una mappa di una civiltà perfettamente coerente, e sono dunque disposta a perdonare una certa quantità di vaghezza e di imprecisione relativamente alle modalità con cui avviene la conquista Wraeththu. Tuttavia, questa quantità viene ampiamente superata in molte parti della trilogia, in cui non è affatto chiaro a che livello di avanzamento tecnologico siano gli esseri umani per non resistere all’avanzata Wraeththu, quanto della tecnologia del vecchio mondo venga perso con la loro presa di potere (e soprattutto perché), o anche solo in che modo funzioni la magia Wraeththu in modalità più specifiche di “perché la trama vuole così”, che spesso conduce ad apparenti incoerenze circa quello che i personaggi sono in grado di fare in qualsiasi momento della storia. Oltretutto, quando Constantine entra più nello specifico circa i dettagli dell’ambientazione fornisce elementi spesso poco coerenti con quello che abbiamo visto fino a quel momento (vedi: le armi nucleari), problema che stride molto con la minuzia con cui è invece in grado di creare religioni, mitologie e usanze, nelle poche occasioni in cui sceglie di focalizzarsi su di esse.
A questi problemi si aggiunge un terzo libro – incentrato sul viaggio di Cal verso un destino mistico che sembra chiaramente fondamentale per l’ascesa dell’intera specie ad un livello superiore di esistenza – che si conclude con una risoluzione anticlimatica e colma di una spiritualità vuota di contenuto che viene invece spacciata come una trasformazione epocale, come se fosse cambiato tutto quando a conti fatti non è cambiato proprio un bel niente; nemmeno le interessanti (seppur limitate nello spazio che occupano) descrizioni delle tribù dello Jaddayoth formatesi a seguito della caduta dei vecchi insediamenti Wraeththu, che alludono a nuove modalità di comprendere l’unione Wraeththu dei principi maschili e femminili, o la ripresa di punti di vista femminili in una chiave assai promettente bastano a salvare quest’ultimo libro dalla mediocrità.
La conclusione inevitabile di questo mio consiglio è quella che ormai accompagna buona parte dei miei post: se il New Weird vi appassiona e volete scoprire uno tra i libri fondanti di questo genere, o se vi affascina l’idea di leggere una delle prime storie fantasy che racconta di genere e di sesso in maniera meno binaria rispetto alla norma del tempo (peggio di LeGuin, d’accordo, ma il confronto è crudele) buttatevi! Magari vi interesseranno solo i primi due libri, che sono comunque abbastanza completi da non lasciare l’amaro in bocca anche se deciderete di fermarvi lì: anche così, buona lettura.
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Può succedere che gli echi di certe cose dette, perfino le più banali, rimangano per molti anni come in letargo, a palpitare debolmente in un angolo della memoria, in attesa dell’opportunità di tornare al presente per puntualizzare e correggere ciò che a suo tempo non era del tutto chiaro, e spesso con un’eloquenza e una rilevanza notevoli, molto superiori a quelle che avevano in origine. [...] E capita, ogni singola volta, che le storie o le parole riemerse degli oscuri anfratti della memoria tornino con intenzioni bellicose, cariche di rimostranze, bramando rivendicazione e discordia. È come se durante il lungo esilio dell’oblio si fossero addentrate nei loro mondi immaginari, frugandone le viscere, come il dottor Moreau con le sue creature mostruose, fino a subire una totale, fantastica metamorfosi.
Luis Landero – Pioggia sottile
Ph Tamas Andok
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[…] Nel caso specifico il ricercatore stava iniziando a lavorare sul classicone Orgoglio e pregiudizio di Jane Austen quando ha deciso, per curiosità, di girare i suoi interrogativi a ChatGpt, scoprendo che la versione GPT-4 del chatbot era incredibilmente accurata sull'albero genealogico dei Bennet. Come se avesse studiato il romanzo in anticipo.
Il ricercatore ha deciso dunque di saperne di più usando il metodo che un professore di letteratura userebbe per capire se un suo studente ha letto davvero un libro o se bluffa con Wikipedia. Con il suo team ha cominciato a interrogare ChatGpt in modo massivo su una discreta quantità di testi, interrogandolo sulla conoscenza di vari libri e dando un punteggio per ognuno. Più alto era il punteggio, più era probabile che quel libro facesse parte del set di dati del software. Al termine delle sue interrogazioni Bamman ha stilato la lista dei romanzi che ChatGpt conosce meglio e che, molto probabilmente, sono stati dati in pasto al software per sviluppare conoscenze sulla sintassi e per avere informazioni sulla cultura generale e sulla letteratura.
I libri letti da Chat GPT
L'elenco dei 50 romanzi che il team di ricercatori ha scovato - pubblicato su Business Insider - ovviamente una piccola parte dell'immenso database del chatbot - comprende i libri cult della letteratura nerd: Douglas Adams con Guida Galattica per Autostoppisti, Frank Herbert e il suo Dune, George R.R. Martin e The Game of Thrones e Philip. K.. Dick con Ma gli androidi sognano pecore elettriche?. Non mancano anche cenni di letteratura americana come Furore di John Steinbeck o passaggi di letteratura inglese con Il Signore delle Mosche di William Golding.
Con sorpresa il team ha scoperto che i libri con la percentuale di conoscenza più alta da parte di Chat GPT sono libri di fantascienza e fantasy. In cima alla lista ci sono Harry Potter e la pietra filosofale, il primo della saga firmata da J.K. Rowling e 1984 di George Orwell. Al terzo posto c'è La compagnia dell’Anello, capostipite questa volta della saga di J.R.R. Tolkien. Ancora, Fahrenheit 451, Il mondo nuovo ma anche Neuromante di Gibson e Il cacciatore di androidi di Philip K. Dick, capolavori cyberpunk che, ironia della sorte, sono stati tra i primi a parlare dei pericoli intelligenza artificiale. Nella lista dei libri ci sono anche un paio di romanzi della saga di 007 di Ian Fleming, mentre tra i testi che ChatGpt conosce meno figurano Shining e I diari di Bridget Jones.
Nerd amante del fantasy e della fantascienza
“In pratica, scorrendo i titoli assimilati da ChatGpt, si scorge il profilo di un giovane adulto, mediamente colto e con una discreta passione per la narrativa fantasy e la nerd culture”, ci informano i ricercatori. Proprio il profilo degli ingegneri informatici che hanno effettivamente programmato il software.
Il team si è sicuramente divertito con un bel gioco letterario, che però nasconde quesiti dal significato sinistro, come osserva Bamman: “Le fonti su cui sono stati addestrati questi modelli di intelligenza artificiale influenzeranno il tipo di modelli stessi e i valori che presentano. Cosa succede quando un bot divora narrativa su tutti i tipi di mondi oscuri e distopici? In che modo questo genere può influenzare il comportamento di questi modelli in modi che non riguardano cose letterarie o narrative? Non abbiamo ancora la risposta a questa domanda”.
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Sono donna
donna nel mio amare
e ...donna da amare.
Voglio solo vivere
tra rose profumate
d' amore...
di rose profumate
... Non voglio volti oscuri
solo carezze...
Volo in alto
Sogno mondi puliti
e profumi di vita
©Laura
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Recensione "Gamidia" Il mondo dei mondi di Christopher Legrady
Kelly è una ragazza di Londra, vogliosa di battersi per gli altri, coraggiosa, testarda e con un talento innato per cacciarsi nei guai. Grazie a questa sua dote si ritrova catapultata su un altro pianeta chiamato Gamidia. Qui incontrerà una maga, un guerriero, un mezzo elfo e due fate davvero atipiche, Loria e Kidra, che l’aiuteranno nella sua avventura. Braccata da oscuri stregoni e orde di lupi…
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Ma forse le cose non stanno davvero così, aveva suggerito Nelly al suo pubblico: la natura potrebbe anche essere estremamente caotica, priva di leggi capaci di dar conto della sua evidente eterogeneità , di concetti in grado di dominare la sua complessità crescente. E se la natura non potesse essere colta nel suo insieme? La nostra civiltà doveva ancora fare i conti con questa eventualità terrificante e lei dubitava molto che ci sarebbe mai riuscita, perché per la scienza, la filosofia e la razionalità sarebbe stato un colpo letale. Invece, aveva detto Nelly, gli artisti avevano già accolto pienamente quell'ipotesi: lei riteneva che la riscoperta dell'irrazionale fosse la forza motrice dietro tutti i movimenti d'avanguardia, movimenti che, anche agli occhi dei profani, apparivano pervasi da un'inesauribile energia faustiana, un'urgenza, una tragica caduta libera in cui tutto era permesso. _______________
Perdere la fede è peggio che non averla mai avuta, perché ciò che resta è un'enorme voragine, un po' come il vuoto lasciato dallo Spirito quando ha abbandonato questo mondo maledetto. Ma per loro natura queste cavità a forma di dio chiedono di essere riempite da qualcosa di altrettanto prezioso di ciò che si è perso. Ed è la scelta di quel qualcosa - sempre che sia una scelta - a determinare il destino degli uomini. _______________
Johnny adorava l'America quasi quanto io la disprezzavo. Quel paese gli fece qualcosa. Tutto quell'esasperante, sconsiderato ottimismo, tutto quel gioviale candore sotto cui la gente nasconde la crudeltà tirarono fuori il peggio da lui. _______________
Ma non si fermò qui. Continuò a lavorarci su concependo quella che oggi chiamiamo «sonda di von Neumann»: una navicella spaziale in grado di costruirsi da sola, ripararsi da sola e migliorarsi da sola, che potremmo mandare a colonizzare i pianeti esterni del nostro sistema solare, e da lì verso i più oscuri recessi dello spazio. Queste sue macchine potrebbero raggiungere mondi remoti, avventurandosi molto più in là di dove qualunque essere umano - o, quanto a questo, qualunque entità biologica - potrebbe mai arrivare. Approderebbero in lande aliene, si procurerebbero i materiali necessari per assemblare copie di se stesse, e poi spedirebbero questa progenie perfezionata in un interminabile viaggio nel vuoto, spingendosi sempre più avanti, disseminando l'universo della loro discendenza, continuando a prosperare anche dopo l'estinzione del genere umano. Teoricamente un'unica sonda di von Neumann che viaggiasse al cinque per cento della velocità della luce potrebbe replicarsi in tutta la nostra galassia in quattro milioni di anni. Ma per quanto meraviglioso, questo suo esperimento mentale, al pari di tante altre cose nella scienza, potrebbe produrre scenari inquietanti. Che cosa accadrebbe se, come capita comunemente in tutti i processi di autoreplicazione, una delle sonde subisse una piccola mutazione? Questo minuscolo errore, questo scarto quasi impercettibile, potrebbe influire su uno dei suoi processi fondamentali, modificandone le caratteristiche e gli obiettivi, e poi diffondersi nei futuri discendenti, trasformando questi dispositivi tecnologici in modi impossibili da prevedere. [...] Quanto potrebbero allontanarsi da ciò per cui erano stati programmati? Smetterebbero di rispondere ai comandi, scegliendo di restare su un unico pianeta e svilupparsi lì in tutta tranquillità ? Diventerebbero famelici, un gigantesco sciame che consuma ogni cosa al suo passaggio perseguendo nuovi obiettivi, prefiggendosi scopi e intenti che andrebbero al di là della semplice scoperta ed esplorazione? E se decidessero di invertire la rotta e tornare indietro, di ripercorrere in senso contrario il loro itinerario di milioni di anni pretendendo da noi - i loro genitori smarriti da tempo - il perdono delle loro malefatte e una risposta alla più pressante delle domande, la stessa che assilla e tormenta anche la nostra specie: perché ? Perché li abbiamo creati e poi abbandonati? Perché li abbiamo sguinzagliati nelle tenebre? Per quanto fantasiose ed estremamente improbabili, queste prospettive future ci pongono di fronte a quesiti interessanti. Siamo responsabili delle cose che creiamo? Siamo vincolati a quelle cose dalla stessa catena che sembra legare fra loro tutte le azioni umane? [...] ...non possiamo negare che ci stiamo lentamente avvicinando a un momento nella storia in cui la nostra relazione con la tecnologia sarà fondamentalmente alterata, dato che le creature della nostra immaginazione cominciano a poco a poco a prendere forma reale, e noi dobbiamo assumerci la responsabilità non solo di crearle, ma anche di prendercene cura. [...] Nonostante il fallimento, una delle intuizioni decisive avute da Turing osservando i suoi «bambini» fu che per fare progressi in direzione della vera intelligenza le macchine avrebbero dovuto essere fallibili: era necessario che fossero capaci non solo di sbagliare e di non seguire alla lettera le istruzioni ricevute, ma anche di avere un comportamento casuale e addirittura insensato. Turing riteneva che la casualità avrebbe svolto un ruolo importante nelle macchine intelligenti, perché avrebbe permesso reazioni inedite e imprevedibili, creando un ampio spettro di possibilità fra le quali un programma di ricerca avrebbe potuto individuare l'azione più appropriata a ogni particolare circostanza. _______________
I cavernicoli hanno creato gli dèi» disse. «Non vedo perché noi non dovremmo fare lo stesso». _______________ ...«qualcosa doveva pur sopravvivere alle bombe», come amava dire quando qualcuno gli chiedeva a cosa sarebbero servite le sue macchine autoreplicanti _______________ «Gli dèi sono una necessità biologica,» mi disse in una sera particolarmente calda nella sua casa di Georgetown, durante quell'ultima estate in cui riusciva ancora ad andare in giro con le stampelle «intrinseca alla nostra specie come il linguaggio o i pollici opponibili». Secondo lui, la fede aveva garantito ai popoli primordiali una fonte di forza, potere e significato che all'uomo moderno mancava completamente; ed era a questa mancanza, a questa perdita profonda, che ora la scienza doveva dedicarsi. «Non abbiamo alcuna stella polare,» mi disse «nulla a cui guardare o aspirare, perciò stiamo regredendo, ricadendo nell'animalità , perdendo quella cosa che ci ha permesso di trascendere ciò a cui originariamente eravamo destinati». Jancsi pensava che, se intendeva sopravvivere al Novecento, la nostra specie avrebbe dovuto colmare il vuoto lasciato dalla scomparsa degli dèi, e la sola e unica candidata a riuscire in questa strana trasformazione esoterica era la tecnologia: la nostra conoscenza tecnica in continua espansione era l'unica cosa che ci distinguesse dai nostri progenitori, dato che in fatto di etica, filosofia e pensiero generale non eravamo meglio (anzi, eravamo molto, molto peggio) dei greci, delle popolazioni vediche o delle piccole tribù nomadi che ancora si aggrappavano alla natura quale unica dispensatrice di grazia e vera misura dell'esistenza. In ogni altro campo non avevamo fatto nessun passo avanti. Il nostro sviluppo si era arrestato in tutte le arti tranne una, la téchne, in cui il nostro sapere era diventato così profondo e pericoloso che avrebbe fatto tremare dalla paura i Titani che un tempo terrorizzavano la terra, e sembrare gli antichi signori delle foreste innocui come spiritelli e buffi come folletti. Il loro mondo era passato. Perciò adesso avrebbero dovuto essere la scienza e la tecnologia a fornirci una versione migliore di noi stessi, un'immagine di quel che potevamo diventare. [...] «Questi dèi sono morti viventi. Hanno perso la loro gloria. Non possono dare senso al mondo perché sono residuali, reliquie in frantumi che ancora ci portiamo dietro, anacronistici e inefficienti quanto i calessini trainati da cavalli che si vedono per le strade di New York. Il fatto che ci siano ancora non significa che siano di una qualche utilità. _______________
gli dicevo che dovevamo semplicemente accettare la nostra fragilità , imparare a convivere con l'incertezza e sopportare le conseguenze dei nostri tanti errori senza ricadere in modalità di pensiero superate e pericolose. Il connubio che lui proponeva fra la tecnologia più avanzata e i nostri più arcaici meccanismi di trascendenza poteva solo portare all'orrore e al caos, a un mondo che si sarebbe evoluto fino ad arrivare al punto in cui nessuno, per quanto ricco, intelligente o potente, sarebbe più riuscito a comprenderlo. _______________
Quando già sapevamo che la sua malattia sarebbe stata fatale, e che sarebbe peggiorata in fretta, gli chiesi a bruciapelo come poteva contemplare con assoluta compostezza l'eventualità che si uccidessero centinaia di milioni di persone in un attacco nucleare preventivo contro l'Unione Sovietica, e tuttavia non saper affrontare la propria mortalità con un minimo di calma e di decoro. «Sono due cose completamente diverse» mi rispose. _______________
mi chiese di scegliere due numeri a caso e poi domandargli di sommarli. Pensai che scherzasse. Gli era tutt'a un tratto tornato il senso dell'umorismo? Sorrisi, prima di rendermi conto che era mortalmente serio. Nel corso della mia visita precedente, appena un mese prima o giù di lì, la sua mente era ancora acuta come sempre. Ma ora il suo genio si era guastato al punto che non ricordava più neanche l'aritmetica di base. Le sue vastissime facoltà intellettuali erano scomparse. Non restava più niente del talento che era stato la sua caratteristica principale, e l'espressione di cieco panico che gli distorceva i lineamenti mentre quella consapevolezza lo sopraffaceva a poco a poco fu la cosa più straziante che mi sia mai capitata di vedere. Era uno spettacolo atroce, e non riuscii ad andare oltre un paio di numeri pronunciati con voce strozzata - Quanto fa due più nove? Quanto fa dieci più cinque? Quanto fa uno più uno? - prima di fuggire in lacrime da quella stanza. _______________
Riteneva anche che esistesse una soglia, un punto critico che una volta superato avrebbe dato il via nelle sue macchine a un processo evolutivo, portando ad automi la cui complessità sarebbe cresciuta esponenzialmente, allo stesso modo in cui gli organismi biologici prosperano e mutano attraverso la selezione naturale creando l'intricata bellezza che ci circonda. Questa progressione avrebbe permesso ai membri di ogni successiva generazione di produrre non solo copie identiche di se stessi, ma una progenie di una complessità sempre maggiore. «Ai livelli più bassi, probabilmente, la complessità è degenerativa,» scriveva «e quindi ogni automa ne potrà produrre solo altri meno complicati; ma esiste un livello oltre il quale il fenomeno potrebbe diventare esplosivo, con conseguenze inimmaginabili; [...] «Se avessero la possibilità di evolvere liberamente nella sconfinata matrice di un cosmo digitale in continua espansione,» scriveva «i miei automi potrebbero assumere forme inimmaginabili, ripercorrendo gli stadi dell'evoluzione biologica a un ritmo incomparabilmente più rapido di quello delle creature in carne e ossa. Tramite ibridazione e impollinazione, finirebbero per diventare più numerosi di noi, e forse, un giorno, arriverebbero al punto di rivaleggiare con la nostra intelligenza. All'inizio i loro progressi sarebbero lenti e impercettibili. Ma poi prolifererebbero e farebbero irruzione nelle nostre vite come uno sciame di voraci locuste, lottando per assicurarsi il loro legittimo posto nel mondo, aprendosi una strada verso il futuro _______________
Tuttavia il progresso tecnologico sempre più rapido sembra in procinto di avvicinarsi a una singolarità fondamentale, un punto di non ritorno nella storia della nostra specie oltre il quale l'esistenza umana come la conosciamo non potrà continuare. Il progresso diventerà incomprensibilmente veloce e complicato. Il potere della tecnologia in quanto tale è sempre ambivalente, e la scienza non può che essere neutrale, limitandosi a fornire mezzi di controllo applicabili a qualunque scopo, e indifferenti a tutto. Il pericolo non sta nella natura particolarmente distruttiva di una specifica invenzione. Il pericolo è intrinseco. Per il progresso non c'è cura». _______________
Prima che von Neumann diventasse indifferente a tutto e si rifiutasse di parlare anche con amici e parenti, gli chiesero cosa sarebbe stato necessario perché un calcolatore, o qualsiasi altra entità meccanica, cominciasse a pensare e comportarsi come un essere umano. Lui si prese moltissimo tempo prima di rispondere, con una voce non più forte di un sussurro. Disse che avrebbe dovuto crescere da solo, e non essere costruito. Disse che avrebbe dovuto comprendere il linguaggio, leggere, scrivere, parlare. E disse che avrebbe dovuto giocare, come un bambino. _______________
[Lee o I deliri dell'intelligenza artificiale] Tutti questi programmi giocano a scacchi in un modo molto diverso da noi. Non si affidano alla creatività o all'immaginazione, ma scelgono le mosse migliori tramite la pura potenza di calcolo; mentre il giocatore professionista medio è in grado di vedere dalle dieci alle quindici mosse avanti, questi algoritmi possono calcolare duecento milioni di posizioni al secondo, circa cinquanta miliardi di posizioni in poco più di quattro minuti. Questo approccio, in cui il computer passa in rassegna ogni singola possibilità derivante da ciascuna mossa, viene definito, giustamente, forza bruta. Mentre un giocatore umano, per compiere le proprie scelte sulla scacchiera, usa la memoria, l'esperienza, il ragionamento astratto di alto livello, il riconoscimento di schemi ricorrenti e l'intuizione, un motore scacchistico non comprende affatto il gioco, ma si limita a impiegare la sua potenza di calcolo e a prendere poi una decisione attenendosi a un complesso sistema di regole stabilite dai suoi programmatori. [...] Il gioco del go, però, è molto diverso. La sua estrema complessità rende impraticabile il metodo forza bruta. _______________
La mossa 37 non faceva parte della memoria di AlphaGo, e non era nemmeno l'esito di una regola preprogrammata o di una linea guida codificata manualmente nel suo cervello di silicio. Era stata creata dal programma stesso, senza alcun input umano, ma la cosa più impressionante era che AlphaGo sapeva - nella misura in cui un essere non senziente può «sapere» qualcosa - che si trattava di una mossa che un maestro di go non avrebbe mai preso in considerazione. [...] Il sistema, disse ai giornalisti, non era stato costruito manualmente, né aveva ricevuto una serie completa di regole da seguire, a differenza di quanto successo vent'anni prima con Deep Blue, il motore scacchistico dell'IBM. AlphaGo si basava sull'apprendimento per rinforzo attraverso partite contro se stesso, il che, in pratica, significava che si era insegnato a giocare da solo. _______________
La prima rete neurale di AlphaGo aveva analizzato quelle migliaia e migliaia di partite, imparando gradualmente a imitare, copiare e prevedere le mosse che un giocatore dilettante avrebbe effettuato in ogni particolare situazione. Questo primo insieme di dati fornito dagli esseri umani rappresentava il «buonsenso» di AlphaGo, ed equivaleva, molto approssimativamente, alle conoscenze che un principiante avrebbe potuto ricavare dai manuali o dalle lezioni ricevute da un maestro. DeepMind la definiva «rete di policy». Utilizzandola, AlphaGo era in grado di giocare partite discretamente buone, allo stesso livello di un dilettante umano, ma era ancora molto lontano dal poter competere con un vero professionista. Per arrivare a quel livello doveva sviluppare la capacità che hanno i grandi giocatori di vedere l'intera tavola e intuire come la partita evolverà da una determinata posizione, il talento tipicamente umano di «leggere la tavola» che i giovani giocatori impiegano anni a sviluppare, e che Lee Sedol aveva acquisito dopo innumerevoli ore trascorse a fissare la griglia vuota giocando nella mente ogni mossa e contromossa. AlphaGo aveva bisogno di un sistema che gli permettesse di valutare ogni posizione sulla tavola, così da poter raggiungere una più ampia comprensione del gioco, e di saper dire, momento per momento, se si stava avvicinando alla vittoria o rischiava la sconfitta. Ma per far questo doveva affrontare se stesso. Così AlphaGo aveva preso la rete di policy creata basandosi sulle partite amatoriali e aveva giocato contro se stesso, parecchi milioni di volte. [...] Nel corso di milioni di partite aveva apportato miliardi di microscopici aggiustamenti al suo modello matematico, perfezionandosi attraverso un meccanismo che nessun essere umano poteva capire fino in fondo, dato che il funzionamento interno di una rete neurale artificiale è per noi quasi del tutto incomprensibile, poiché non possiamo tracciare o registrare gli innumerevoli effetti che derivano dalle quasi infinite migliorie che l'algoritmo apporta ai suoi parametri interni a mano a mano che si avvicina all'esito desiderato. [...] Una volta completato questo secondo processo di apprendimento, la nuova, più solida versione di AlphaGo aveva giocato altri trenta milioni di partite contro il se stesso potenziato, creando un insieme di dati che gli aveva permesso di allenare una seconda rete neurale, che DeepMind definiva «rete di valore», e il cui scopo era analizzare ogni configurazione di pietre sulla tavola e prevedere l'esito della partita, valutando se il programma si trovasse in vantaggio oppure no, e di quanto. Ciò andava molto oltre le possibilità degli esseri umani, anche di quelli più intelligenti e allenati, dato che questa seconda rete neurale era in grado di assegnare un valore numerico a una cosa che noi possiamo solo cogliere attraverso sensazioni vaghe e intuizioni nebulose. Le due reti neurali permettevano ad AlphaGo di ridurre l'infinita complessità del gioco e raggiungere un livello fino allora inimmaginabile. Il programma non aveva bisogno di sprecare la sua grande potenza di calcolo per esplorare le innumerevoli possibilità che si diramavano da ogni singola pietra, dal momento che poteva usare il buonsenso della sua rete di policy per prendere in considerazione solo le mosse migliori fra tutte quelle possibili, tagliando i rami meno fruttuosi del suo albero di ricerca Monte Carlo; allo stesso tempo, grazie alla rete di valore, poteva decidere se una particolare mossa l'avrebbe avvicinato alla vittoria oppure alla sconfitta senza bisogno di giocare dentro di sé nella sua interezza ogni partita possibile. [...] E gli permetteva anche di stimare con precisione quanto ogni singola mossa sarebbe sembrata improbabile al suo avversario umano. _______________
Per AlphaGo non faceva nessuna differenza se vinceva anche di un solo punto. Questo spiegava le mosse «pigre» che faceva di tanto in tanto, mosse che a tutti sembravano sottotono e poco ispirate, finché un commentatore sudcoreano non fece notare che si basavano sul puro calcolo: ognuna di quelle pietre fiacche apportava un minuscolo, quasi impercettibile progresso verso l'obiettivo finale, e il loro vero valore lo si poteva comprendere appieno solo quando alla fine della partita si combinavano tutte insieme. ________________
Di tanto in tanto, nel caso di configurazioni sulla tavola molto particolari, AlphaGo impazziva, perdendo di colpo la capacità di cogliere il valore di una posizione, al punto che sembrava pensasse di essere vivo in aree in cui era palesemente morto, come se fosse diventato cieco, non più in grado di distinguere se stesso dall'altro, il nero dal bianco, l'amico dal nemico, la vita dalla morte. [...] Intanto, nella sala di controllo, David Silver, la principale controparte di Aja Huang in quanto capo programmatore di AlphaGo, vide che dopo la stupefacente mossa di Lee Sedol il computer si era spinto avanti con le sue previsioni di novantacinque mosse, sviluppando interminabili linee di probabilità che si diramavano da ogni possibile mossa successiva: «Mi sa che qualcosa è andato storto» disse a Hassabis, che continuava a camminare nervosamente avanti e indietro da un capo all'altro della stanza. «Non ha mai cercato così a lungo in tutta la partita. Credo abbia cercato talmente in profondità che ha finito per perdersi». _______________
Era quello il motivo per cui AlphaGo non era riuscito a fronteggiare la mossa a cuneo di Lee: era troppo lontana dall'esperienza umana, e di conseguenza fuori dalla portata di AlphaGo, per quanto illimitate potessero sembrare le sue capacità. Affrontandosi, Lee e il computer erano riusciti a spingersi oltre i limiti del go, creando una nuova e terribile bellezza, una logica più potente della ragione, le cui ripercussioni giungeranno molto lontano. _______________
AlphaGo continuò sino alla fine con quelle mosse bislacche, e alcuni esperti cominciarono a far presente che dietro le sue decisioni c'era un modo di pensare diverso. Di solito un giocatore umano valuta la propria forza in base alla quantità di territorio che controlla; secondo questa logica semplice e chiara, più territorio si possiede, maggiori sono le probabilità di vittoria. Ma AlphaGo poteva fare una cosa di cui nessun essere umano è capace: calcolare, con assoluta precisione, di cosa avesse bisogno per vincere, e limitarsi a quello. _______________
«Per me è un dio del go. Un dio in grado di annientare chiunque lo sfidi. Io non ho mai dubitato di me stesso. Ho sempre sentito di avere tutto sotto controllo. Pensavo di avere una grande consapevolezza della composizione, una conoscenza intima della tavola. Ma Master guarda tutto questo ed è come se dicesse: "Scemenze!". Lui riesce a vedere l'intero universo del go, io vedo solo la minuscola area intorno a me. Quindi, vi prego, lasciategli pure esplorare l'universo, e lasciate che io giochi in pace nel mio cortile. Pescherò nel mio piccolo stagno. Quanto ancora potrà migliorare attraverso l'autoapprendimento? I suoi limiti sono difficili da immaginare. Credo che il futuro appartenga all'IA». [...] Hassabis e la squadra di DeepMind fecero una scelta radicale: sottrassero a Master, il successore di AlphaGo, qualunque conoscenza di origine umana - i milioni e milioni di partite su cui aveva imparato a giocare e che formavano la pietra angolare del suo buonsenso, della sua eccezionale capacità di giudicare il valore di ogni singola posizione, di stimare le probabilità di vittoria, e di vedere la tavola come l'avrebbe vista un essere umano - e lo ridussero all'osso. Il loro obiettivo era creare un'intelligenza artificiale più potente e molto più generale, che non si limitasse al go nelle sue capacità di apprendimento, e che non si aggrappasse alla comprensione e alla conoscenza umane per muovere i primi passi. Presero il loro algoritmo e lo ripulirono, non lasciandogli alcun dato umano da cui imparare, privandolo della sua unica connessione diretta con l'umanità . Il risultato fu terrificante. [...] Per tutti questi giochi, l'algoritmo non aveva preso in alcuna considerazione l'esperienza umana: gli erano solo state fornite le regole, e aveva giocato contro se stesso. All'inizio faceva mosse completamente casuali, ma in pochissimo tempo si trasformava in una forza imbattibile. È diventata l'entità più forte che il mondo abbia mai conosciuto a go, scacchi e shogi. Il suo nome è AlphaZero.
Benjamin Labatut, MANIAC
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Alle porte dell'Infinito, romanzo di Miriam Marino- Planet Book
Dopo aver esplorato con i suoi scritti per anni i mali della terra, partendo dalla Palestina, le donne, il mondo, Miriam Marino si avventura ora nel mondo dell’aldilà,
Consapevole del dolore e delle difficoltà che le persone affrontano nella loro vita, e della puara che la morte suggerisce in quasi tutti, Miram ci porta ad esplorare le nuove possibilità di esistenza che vi sono quando si è attraversato il velo. Se ne Il Treno l’accento era sullo smarrimento, sul non comprendere la propria situazione, e sulla necessità di collocarsi, di recuperare la propria storia per riuscire a svolgere il cammino che porta oltre la morte , Alle porte dell’infinito va oltre, osa pensare lo sconosciuto, l’impensabile, per accompagnarci in una epopea dove le vite individuali acquistano senso e leggerezza. Parla di felicità, promette che il cammino può essere verso nuove scoperte, nuove realtà che da questo piano dell’esistenza possiamo solo intravedere, ci fa dare uno sguardo su un futuro che è felice, costruttivo e pieno di amore, senza tralasciare i mondi oscuri in cui può ritrovarsi chi chiude ad ogni comprensione e non si sveste dei suoi difetti . Ci rivela anche che sono i pensieri malvagi degli esseri umani che nei millenni hanno creato il mondo ostile che le religioni hanno identificato con il diavolo.
La costruzione di questo futuro di luce e di spernza oltre la morte avviene con cura con una architettura ordinata in livelli, in cui la volontà e il desiderio possono originare la realtà
ed aprie la via a collegamenti, contatti, meditazioni, progetti e speranze. ‘
Il racconto si snoda come una panoramica di vite e personaggi che ci fanno conoscere il loro incontro con l’infinito, con lo scorrere delle vite precedenti, con la progressiva comprensione a tratti di questo immenso universo che se è uno dei tanti è comunque immenso e va scoperto un poco per volta .‘Tu sai già tutto, però te lo racconto’, perché la parola è ancora lo strumento principe per rendere vera ciò che si racconta, e appropriarsene.
La scrittura di Miriam è pacata, la narrazione ci accompagna ad incontrare universi solo immaginati e ci lascia con l’impressione che aver guardato alle vite dei vari personaggi, alle loro progressive scoperte , è qualcosa che ci riguarda tutte e tutti, e il nostro presente, che in qualche modo costruisce il futuro. Lo sguardo che si allarga a tempi e mondi altri permette di rivalutare anche le nostre piccole vite, i nostri limiti, le sofferenze e la idea di vita che abbiamo avuto. Miriam regala alla donna che ha vissuto una vita squallida e senza speranza un panorama di vite ricche di forza e di energia, e da un nuovo senso a questa, come un’altra tappa di un apprendimento mai finito, la conquista di un pezzo di sé che era rimasto silente nelle vite passate. Allo steso modo ridimensiona l’importanza della cultura e della sensibilità umana della anziana studiosa che si ritrova a riflettere che la sua vita è stata limitata dal rifiuto di tutto ciò che va oltre, e dell’agnosticismo, che l’ha guidata con la forza di una fede. In tutti c’è il ritrovarsi a guardare con lucidità e nuova comprensione la propria esistenza, e il bilanciamento dei valori, o disvalori in cui sono vissuti. Il riconoscimento delle ferite, e delle scelte fatte facendosi guidare dal dolore, dalla delusione, dalla volontà di riscatto e di recupero del proprio valore. Lo sguardo che Miriam ci offre è quello compasisonevole ed amoroso degli spiriti guida, che sostengono la comprensione ed aiutano a trovare la strada. Ma è anche rigoroso, e senza sconti verso chi non riesce ad uscire dal suo nucleo di superiorità saccente e non sa relazionarsi con la realtà, sino a precipitare nel dolore da cui si esce solo chiedendo aiuto, non più superiori, ma spaventati e doloranti esseri che hanno bisogno di essere curati e di apprendere ad entrare in contatto: al più antipatico professore e grande artista finito nel baratro e faticosamente all’inizio della risalita, fa dire una frase rivelatrice “ne usciremo insieme” .Quello che non aveva bisogno di nessuno, che poteva giudicare e condannare tronfio della propria superiorità, riesce così a dare un senso anche alle difficoltà e al dolore attraversati, “ne usciremo insieme”.
Le figure di Arturo, lo spirito che si è avvicinato per aiutare, e di Adnan, il saggio ucciso dal fanatico razzista mentre stava andando a tenere la sua lezione all’università sembrauno una mediazione tra questo e l’altro mondo, uno fa parte di coloro che hanno smarrito la strada, ma sa curare le sue paure occupandosi anche di quelle degli altri, l’altro è già oltre, sa e può accompagnare le scoperte e aiutare a trovare il cammino, senza sostituirsi al lavoro che ognuno deve fare da solo.
Nicoletta Crocella
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E mentre si assottiglia sempre più il velo tra i mondi, La nostra Dark Zone ci invita a entrare nei luoghi oscuri..Per tutti voi eccovi "Il rito di villa triste" di Alessandro Pedretta e Stefano Spataro
Koch si passa la lingua sulle labbra, la saliva gli inumidisce i bordi della bocca, il mento è lucido di sudore. Socchiude gli occhi e assapora tutto il calore obnubilante della droga. Quando li riapre, la testa gli ciondola di lato. Si sente il capo pesante, ma i nervi sono alla mercé di un languore rasserenante, si sente contemporaneamente sballato e di una lucidità di intenti…
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"L’universo al confine della paura: la vita e le opere di H.P. Lovecraft (una piccola guida)" di Stefano Donno
L’universo al confine della paura: la vita e le opere di H.P. Lovecraft (una piccola guida) di Stefano Donno. “Non vi è un solo narratore di horror, fantascienza, weird, soprannaturale, grottesco – sia contemporaneo che successivo a H.P. Lovecraft – che non si sia ad egli ispirato: nomi tra i quali si annoverano Stephen King, George R.R. Martin, Robert McCammon e Joyce Carol Oates devono, alla loro letteratura, la forte ispirazione ricevuta da Howard Philipp Lovecraft, maestro comune che oggi è e resta immortale, tra i più amati e letti di tutti i tempi. (dalla prefazione di Antonia Depalma) (…) Basti pensare che il già citato Necronomicon, pur essendo dichia- ratamente il frutto dell'ingegno del suo autore, si è trasformato in un vero e proprio grimorio contenente oscuri segreti e indecifrabili misteri per moltissimi studiosi, tanto che in diverse occasioni sono nate leggende direttamente collegate ad esso. (dalla post fazione di Mario Contino)" Dichiara l’autore Stefano Donno: “Ho l’esigenza (mi rivolgo ai potenziali lettori di questo scritto, questa piccola guida) di condividere con voi un pensiero inquietante che mi ha travolto mentre scrivevo questa monografia su H.P. Lovecraft. Mentre mi immergevo nelle profonde e oscure pieghe della mente di questo genio del terrore, mi sono reso conto che la mia interpretazione potrebbe essere solo una delle tante varianti di infinite versioni provenienti da multiversi che pullulano di abominii e orrori dominanti. Lovecraft è noto per i suoi racconti di antichi dei primordiali, dimensioni oscure e creature sovraumane che superano di gran lunga la comprensione umana. Eppure, dopo mesi di studio, ho sempre più presente in me stesso la convinzione che ogni cosa qui riportata, potrebbe essere solo un tenue barbaglio nella vastità delle possibilità narrative lovecraftiane. Il mio cuore trema all'idea che esistano mondi in cui la depravazione e l'orrore regnano sovrani, in cui ciò che noi consideriamo normale è devastato e sovvertito, e dove la paura diventa la sola costante di ogni cosa che esiste. Potrebbe esserci un universo in cui le storie di Lovecraft sono state superate, in cui gli orrori descritti nei suoi racconti sembrano tenere narrazioni rispetto agli orrori che altre realtà offrono nell’oscurità. Questa piccola monografia che ho scritto si basa sulla lettura di racconti e analisi delle tematiche ricorrenti nella narrativa lovecraftiana. Ma che cosa potrebbe significare tutto ciò se ogni ricerca, ogni spiegazione e ogni interpretazione fosse solo un ulteriore apertura verso nuovi abissi di paura? Mentre concedete dunque la vostra attenzione alle parole che ho scritto, tenete a mente che queste parole potrebbero essere solo irrisorie rispetto alla vastità di un orrore cosmico e abominevole. Ciò che troverete in queste pagine potrebbe sembrare terribilmente familiare, oppure potrebbe essere solo l'inizio di un viaggio sinistro nelle varianti più estreme della follia. E con questa consapevolezza, vi invito a guardare ben oltre le pagine dei miei scritti, e fare in modo che ogni traccia di normalità svanisca nel buio. Solo allora, potrete sperare di catturare un fugace sguardo di ciò che si cela al di là dei confini del nostro universo. A volte mi assale il dubbio che quanto da me scritto sia in realtà la voce di qualcos’altro”. Howard Phillips Lovecraft, meglio conosciuto come H.P. Lovecraft, è uno degli scrittori più influenti e controversi del ventesimo secolo. Nato nel 1890 a Providence, Rhode Island, Lovecraft ha creato un'impressionante e unica mitologia letteraria che ha continuato ad affascinare e spaventare i lettori di tutto il mondo. Uomo dalla vita sociale limitata, ha preferito l'isolamento e la lettura, che alimentarono ulteriormente la sua immaginazione oscura. La sua scrittura era caratterizzata da un linguaggio ricercato, una prosa elaborata e un utilizzo di descrizioni dettagliate, rimanendo fedele allo stile gotico vittoriano. Le sue storie si concentravano sul tema dell'orrore cosmico, in cui i protagonisti si scontrano con forze soverchianti di creature ancestrali e degli dèi antichi che minacciano l'esistenza umana. L'opera più celebre di Lovecraft è probabilmente il "Mito di Cthulhu". Questo ciclo di racconti si basa su una mitologia inventata da Lovecraft, in cui antichi dei primordiali, come Cthulhu, dormono nelle profondità abissali del mare e nei recessi dello spazio, pronti a risvegliarsi per reclamare il dominio sulla Terra. Lovecraft è stato trascurato dalla critica mentre era in vita, ma dopo la sua morte nel 1937, il suo lavoro ha conosciuto un revival significativo. Scrittori come Stephen King, Neil Gaiman e Guillermo del Toro hanno dichiarato pubblicamente l'influenza di Lovecraft nelle loro opere. Il suo stile unico e la sua capacità di far emergere paure innominate lo rendono un maestro dell'horror. Il Nostro ha inoltre ispirato numerose opere in altri media, come film, videogiochi e musica. Gli adattamenti cinematografici dei suoi racconti, come "Re-Animator" e "Dagon", hanno continuato a creare nuovi fan dell'orrore lovecraftiano. Nonostante la sua vita oscura e la morte prematura, H.P. Lovecraft ha lasciato un'impronta indelebile nel panorama letterario dell'horror.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Sabbie Rosse" di Andrea Canto: Potere, Finanza e Hacking nel Primo Volume di una Serie Avvincente. Recensione di Alessandria today
"Sabbie Rosse" è il primo volume della serie "Gli abissi del potere" di Andrea Canto, un thriller che si inoltra nei mondi oscuri e spesso sconosciuti della finanza internazionale e del Deep Web.
“Sabbie Rosse” è il primo volume della serie “Gli abissi del potere” di Andrea Canto, un thriller che si inoltra nei mondi oscuri e spesso sconosciuti della finanza internazionale e del Deep Web. In questo romanzo, Canto porta il lettore in un viaggio tra due realtà: quella delle banche e quella dell’hacking, due mondi distanti e complessi che, tuttavia, influenzano profondamente le nostre vite…
#Alessandria today#Alessandro Verona#Andrea Canto#avidità#Azione#Banca#banchiere#colpo di scena#Complotto#Deep Web#Economia#Finanza#finanza globale#finanziario#gioco di potere#Giulia Antinori#Google News#hacking#Intrighi#italianewsmedia.com#Kindle#lettura avvincente#Libro#manipolazione#mondo occulto#Narrativa#narrativa contemporanea#narrativa italiana#Paura#Pier Carlo Lava
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Se io volessi approfondire (leggi: cominciare da 0 perché non c'ho mai capito nulla) un po' la questione stagione delle stragi, falcone e borsellino ecc., da dove dovrei cominciare?
intanto io ti consiglio di partire dal presupposto che non capirai mai tutto bene perché è letteralmente impossibile. detto questo direi che se sei proprio digiun* cominciare leggendo le pagine wikipedia non può far male, se non altro per familiarizzare con nomi, date ecc. poi alcuni spunti possono essere:
10 libri da leggere su Falcone e Borsellino (aggiornato al 2020)
Libri sulla mafia: i 10 titoli che tutti dovrebbero leggere
su youtube trovi diverso materiale, ad esempio: Atlantide - Dopo Capaci - Chi sono le ‘menti raffinatissime’ di cui parlò Giovanni Falcone?; Mafia : il Maxiprocesso di Palermo a Cosa Nostra; Maxiprocesso cosa nostra Buscetta vs Pippo Calò; Documentario su Tommaso Buscetta, il boss dei due mondi che svelò i segreti della mafia; Italian Leaks: I segreti più oscuri dell’Italia (parecchi episodi trattano di queste vicende)
per ragioni più sentimentali che altro ti consiglio anche questo di Pif: Bunker Falcone e Borsellino - Caro Marziano
su raiplay trovi molte cose interessanti cercando semplicemente Falcone/Borsellino
di film ti dico la verità io non ne ho visti tanti ma ti consiglio tantissimo Il traditore (2019, M. Bellocchio) e anche Il Divo (2008, P. Sorrentino) visto che se si parla di mafia Andreotti è impossibile non tirarlo in ballo ;) . so che hanno fatto anche diverse serie (es.: Il capo dei capi su Riina) però non avendole viste non so consigliarti
edit: aggiungo anche quello consigliato dagli altri anon:
“La mafia uccide solo d'estate di Pif, perché pur non essendo per niente pesante è un'ottima introduzione a quanto successo e come era la situazione a Palermo”
“Suggerisco anche episodi di La Storia Siamo noi su Falcone, Borsellino e il maxiprocesso. Alcuni sono disponibili sul sito di ufficiale, altri si trovano su youtube!”
“Consiglio anche di guardare le puntate dedicate alla mafia di Blu notte - Misteri italiani, in particolare quelle dedicate al pentitismo mafioso e agli uomini di stato morti per mano di mafia”
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"Dai diari di un capitano dell'aria-Il tesoro di Smiley"
ROMANZO DISPONIBILE SU AMAZON
«Quello che state per leggere è il mio diario, il diario del buon vecchio, ma non così vecchio, Capitano Polluce: vaporsaro, viaggiatore, filosofo e combattente.»
«Non scordare modesto.»
«Zitto, giornalista! Dicevo: il libro che state per leggere racconta le avventure mie e della mia ciurma sgangherata, gli inseguimenti, gli amori interspecie. Braccati dalla Confederazione delle Cinque Città, solchiamo le correnti del cielo in questo mondo desertico pieno di mostri.»
«I barzubi sono carini, però, con le guanciotte rosa!»
«Contessa, la prego, sto cercando di fare un discorso serio.»
«Ah-uhm, eh già, per lui non è facile fare un discorso»
«Comunque, vi starete chiedendo chi sia Smiley e in cosa consista il tesoro. Be', non voglio rovinarvi la sorpresa, ma se quello che cercate è un romanzo d'avventura dai ritmi serrati, dell'umorismo un po' Guruvengo e, soprattutto, se siete dei ragazzi che ancora non hanno smesso di sognare, allora questo libro fa per voi.»
«Quindi potete comprarci e basta, anziché leggere il riassunto.»
«Amy, non essere scortese coi lettori! Aspetta almeno che ci abbiano pagato. E voi, che aspettate ad arruolarvi? Che qui si accettano persino i bradipi!»
Autore: Federico Grasso 🦊
Nato dall'ansia, lo scrittore Federico Grasso convive da anni (trenta, ma non ricordateglielo o si deprimerà) con l'insoddisfazione per tutto ciò che intraprende. Medico psichiatra, agopuntore, scrittore, appassionato di modellismo, neanche lui sa più che fare per darsi pace. Se interrogato si agiterà per non avere studiato, ma poi vi risponderà di scrivere con lo scopo di dare vita a mondi e personaggi. A volte. Altre, dirà che quello che più gli piace è uccidere i protagonisti, solo per poi soffrire con loro. Confuso, lo sarà a tal punto da colpirsi da solo. Ciò che resta costante è il motivo di fondo che lo spinge a tracciare trame: emozionare e rendere felice il lettore.
Illustratore: Marco Calvi 🐰
Si racconta che, dopo essere emerso dagli oscuri recessi dell'Accademia di Brera, Marco Calvi abbia scoperto l'esistenza del sole, un astro in grado di rovinargli il porcellanaceo aspetto vittoriano. Fu così che la creatura mitologica si sarebbe ritirata in un angolo buio della Scuola d'Arte del Castello Sforzesco a disegnare. La leggenda vuole che egli si nutra solo di latte e caffè (ma a volte anche pizza e sushi, dipende dalle finanze) e che, ancora oggi, riempia di segni a matita, mai soddisfatto, le pagine di fogli A4. Se doveste avvistarlo non fate movimenti bruschi, ma anzi porgete una tazza di caffè e attendete. Quando l'avrà finita, vi chiederà che disegno vorrete.
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Fanatismo individuale
Le favole gesta in lotte sanguinose, scagliano il vile Guerriero in mondi oscuri e tenebrosi, al cospetto di selvatiche anime ribelli.
M. Z
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Che poi, la differenza fondamentale è fra chi sta bene al mondo e chi no. Non si tratta di semplice malessere, è sentimento di estraneità, inappartenenza. Come i figli delle fate lasciati nelle culle degli umani: due mondi, io vengo dall’altro. E Pasolini scopre che non c’è differenza fra conservatorismo e progressismo, che entrambi sono religioni del mondo-per-com’è, solo celebrano le loro liturgie in giorni diversi del calendario. Invece, la Destra è sempre una questione mitologica: in nome degli uomini semplici che la povertà ha mantenuto puri, in nome della grazia dei secoli oscuri, in nome della scandalosa forza rivoluzionaria del passato. Perché il passato rimane il luogo dell’irrecuperabile: l’Angelo della Storia prova disperatamente a ricomporre i frantumi, risorgere i morti, e non può riuscirsi.
Chi non può stare al mondo ha scelto il passato perché il passato garantiva la sconfitta, e la potenza profetica della sconfitta. Come gli spettri delle vittime di Riccardo III, il passato pesa sul presente - che è tutta la storia, di qualsiasi tempo, la storia realizzata del mondo - e lo condanna. Così l’altro-dal-mondo diviene una categoria esistenziale, una vocazione, un linguaggio segreto, un sigillo, l’eterno sentimento della differenza: re Anfortas e don Chisciotte, rua dos Douradores e la stanza 346 dell’Hotel Roma, l’insetto mostruoso e le belve della malinconia. Tutto, dall’inizio alla fine, sta nel sentire la differenza.
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