#migliori letture del 2019
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pangeanews · 4 years ago
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“Nulla dovrebbe essere – nulla è – intraducibile”. Come si traduce la poesia russa? Intervista a tre voci: Maurizia Calusio, Alessandro Niero, Serena Vitale
“Tanto grande e popolare la diffusione delle opere dei grandi prosatori dell’Ottocento, quanto scarsa e manchevole la conoscenza, anche nell’ambiente letterario, dei poeti lirici russi”.  Con queste parole, nel 1949 Franco Fortini (recensendo l’antologia Il fiore del verso russo di Renato Poggioli) constatava la scarsa diffusione della poesia russa in Italia. Anche oggi, certamente, quando si parla della grande letteratura russa si fanno prima di tutto i nomi di Tolstoj e Dostoevskij, eppure molto è cambiato da quel 1949: Puškin, Mandel’štam, Cvetaeva, Pasternak, Brodskij e molti altri hanno infittito gli scaffali di poesia nelle nostre librerie, grazie agli sforzi di numerosi traduttori che si sono adoperati per dar loro una voce italiana. Tre di questi traduttori (Maurizia Calusio, Alessandro Niero e Serena Vitale) hanno accettato di rispondere a quattro domande sulla poesia russa e su che cosa significhi tradurla.
Quali sono le qualità e gli strumenti necessari a un traduttore di poesia? E cosa di specifico richiede e offre la poesia russa?
Maurizia Calusio Un traduttore di poesia deve essere un lettore di poesia, ossia deve essersi formato dentro la propria tradizione poetica, avere familiarità, nel nostro caso, con la poesia italiana. Deve avere orecchio, perché altrimenti non potrà cogliere e restituire il ritmo della poesia, e per farsi l’orecchio può essere di grande aiuto imparare a memoria molte poesie italiane, e poi cercare di tradurre poeti russi che in qualche modo non siano lontani dai poeti lontani amati. Puoi essere ferratissimo nella metricologia, ma se non hai orecchio, se per te la tradizione poetica italiana non è qualcosa di vivo e costantemente frequentato, è difficile che si avverta la poesia dell’originale nelle tue traduzioni. Se non è un poeta, un traduttore di poesia deve essere un filologo dotato di orecchio. Nel mio caso, non essendo poeta, utilizzo gli strumenti del filologo. E il filologo deve studiare l’opera del poeta che si appresta a tradurre, e sulla base di questa conoscenza scegliere le edizioni migliori da cui trarre i testi (la scelta dell’edizione dice già molto della qualità di una traduzione). Occorre poi usare i (numerosi) vocabolari giusti: penso a Dal’, Ušakov, Ožegov, a seconda dell’autore che si ha davanti. È importante anche conoscere bene tutte le migliori traduzioni già esistenti dell’autore, in italiano, come anche nelle altre lingue più o meno note. Accostarsi alla traduzione con una voce originale, portando con sé ciò che ci ha spinti a tradurre un poeta, non significa farlo “ingenuamente”, ignorando per esempio quanto prima di noi è stato fatto. Il traduttore di poesia si inserisce infatti in una doppia tradizione: quella della poesia italiana (sulla quale il poeta che traduce è destinato a influire – perlomeno, se ha scelto di tradurre un grande poeta) e quella della traduzione poetica italiana, e in particolare dal russo.
Alessandro Niero Credo che un traduttore di poesia debba essere, come minimo, un suo frequentatore assiduo, nelle varie forme in cui ciò può avvenire; ossia deve essere, imprescindibilmente, un lettore (appassionato ma non superficiale) e un grande utente della lingua, cioè avere la consapevolezza tecnica di cosa significhi comporre versi. Se, poi, a questi due aspetti (già, a loro modo, operativi e pratici), si affianca anche una qualche forma di “produzione propria”, meglio ancora, anche se ciò – vorrei precisare – non credo che sia da considerarsi né un obbligo né una norma. La poesia russa, oltre ad aver sempre intrattenuto un rapporto vero con la dimensione popolare (anche folclorica) della poesia е con i suoi strati non culti, ha di specifico un non tramontato e naturale attaccamento ai presìdi formali (metro, rima, strofa), sebbene sempre meno. Ciò pone al traduttore il dilemma se sforzarsi o meno di riproporre analoghi presìdi anche nella lingua di arrivo.
Serena Vitale Qualità? Pazienza e testardaggine. È necessario un buon orecchio (musicale). Più di tutto, forse, è necessaria una buona (preferibilmente ottima) conoscenza della lingua come pure della letteratura – in particolare la poesia – italiana. La conoscenza della lingua e della cultura russa mi sembra l’ovvio punto di partenza. “Strumenti” per tradurre? I dizionari – non ne vedo altri, ma a chi traduce poesia serviranno ben poco. Molto più utile, credo, è cercare nel Korpus della lingua russa le occorrenze del vocabolo che si vuole tradurre, ricostruirne la “storia”, i contesti in cui è già apparso. Sono convinta che volgere versi russi in italiano non presenti al traduttore difficoltà e/o problemi diversi da quelli che pone ogni traduzione poetica, salvo forse la maggiore libertà della poesia italiana, dal ’900 in poi, nei confronti della metrica e delle rime.
«Se il traduttore è una persona coscienziosa, cercherà di imitare la forma». Così categoricamente si esprimeva Iosif Brodskij nel 1979, in un’intervista con Eva Burch e David Chin. Siete d’accordo con quello che dice Brodskij? La riproduzione della forma è un elemento imprescindibile della traduzione poetica?
Maurizia Calusio Per me tradurre significa cercare di portare quanto più possibile del testo originale russo nella lingua italiana. Non si può portare tutto, le perdite sono irrimediabili, e implicite nell’atto stesso del tradurre. Nelle mie traduzioni, il metro e la rima dell’originale vanno perduti, mentre cerco di conservare quanto più possibile sintassi, immagini, lessico. In ogni caso, il rimando alla tradizione russa contenuto nella scelta di un metro come di un singolo vocabolo va pressoché sempre irrimediabilmente perduto. Il ritmo che mi sforzo di conservare è quello della sintassi (cercando di preservare la posizione delle parole a fine verso, ad esempio) e per fare questo cerco di procurarmi (quando ci sono) letture del testo russo, se possibile d’autore, altrimenti di un madrelingua (meglio se poeta in proprio). In questo senso anche il ritmo della lettura può essere una guida per restituire la sintassi.
Alessandro Niero Credo che le opinioni di Brodskij vadano viste alla luce della sua vicenda privata e delle sue predilezioni personali. Essendo egli stesso un acceso cultore della forma (anche se, con il tempo, divenne più allentata, sempre meno pressante), non poteva che richiamare il traduttore al rispetto della stessa; tanto più che si trovò nella singolare situazione di chi decise, a un certo punto, di autotradursi e, quindi, di sperimentare, con tutte le difficoltà del caso, ma anche con autorevolezza e autorialità, cosa voglia dire traghettare se stesso su altre sponde linguistiche cercando di trasmettere “tutto”. Quanto alle predilezioni personali, ricorderei che Brodskij (e non solo lui, ovviamente) stimava grandemente figure di calibro mondiale come Anna Achmatova, Osip Mandel’štam, Marina Cvetaeva, Boris Pasternak; i quali sono tutti autori primonovecenteschi che, nella loro scrittura, si sintonizzavano “fisiologicamente” sulle esigenze dettate da un certo tradizionalismo formale. Brodskij, da madrelingua qual era, ma anche da figura in grado di inserirsi potentemente nel contesto anglo-americano che lo adottò nel 1972 dopo l’emigrazione forzata dall’URSS, non poteva che leggere come inadeguati gli sforzi di chi impiegava uno strumento apparentemente lassista come il verso libero per spostare da una cultura all’altra testi di straordinario valore contenutistico e formale. Se poi questa sia una posizione da condividere pienamente, è un altro discorso. Traducendo poesia si cade inevitabilmente nel contesto di arrivo, dove vigono regole, spesso tacite, che reindirizzano quella stessa poesia, la adattano a ciò che quel contesto ritiene lecito, praticabile, rientrante nel gusto. È tra due confini – la spinta a rispettare gli istituti formali dell’originale e la cultura di accoglienza – che il traduttore deve ricavarsi uno spazio praticabile, una specie di “zona franca”. In questo non ci sono regole e non vi è nulla di scontato. Se posso, rimanderei, per complicare ulteriormente la cosa (e farmi un po’ di goffa pubblicità), a un mio volume che affronta queste tematiche: Tradurre poesia russa. Analisi e autoanalisi (Quodlibet, 2019).
Serena Vitale Chissà se ha detto proprio “imitare”… E chissà se il termine “riproduzione” si può applicare all’arte del tradurre. Per la poesia russa la “forma” è un elemento imprescindibile, una necessità quasi ontologica. Nel 2000 sempre Brodskij ha detto: “…Il poeta dovrebbe ripercorrere le strade della letteratura che lo ha preceduto, cioè passare attraverso una scuola formale. Altrimenti il peso specifico della parola nel verso si azzera”. La “forma” per Brodskij, è strettamente legata al Tempo, e il metro gli offre la possibilità (o soltanto l’illusione) di riorganizzare un tempo quasi mai amico. Del resto Brodskij ricorre al metro con una grande libertà e, seppure raramente, si cimenta anche nel vers libre, capace di rendere il “miracolo della lingua quotidiana”.
Esistono poeti russi intraducibili? Se sì, quali e perché?
Maurizia Calusio Puškin, naturalmente. In Puškin c’è una perfezione originaria che è al contempo il massimo della semplicità e il massimo della raffinatezza. L’italiano, con i suoi meravigliosi e ingombranti ottocento anni di tradizione poetica, è del tutto impotente a restituirla. Bisognerebbe tornare alla purezza della lingua primigenia di Dante, e coniugarla con la felicità di tutta la poesia successiva… bisognerebbe mettere dentro tutto, e questo non si può fare. Un altro poeta che si avvicina per difficoltà a Puškin è l’ultimo Boratynskij, quello della raccolta Sumerki (Crepuscolo), un poeta che io amo molto. Si può tradurne bene la sintassi, ma il suo lessico – al contempo lessico filosofico e lessico dell’elegia russa – è molto difficile da rendere. Continuo a provarci.
Alessandro Niero Se volessi essere sbrigativo e categorico le direi che in varia misura lo sono tutti. Ma sarebbe una posizione inutile, non produttiva e, soprattutto, irrispettosa di quanto è stato ottimamente fatto da molti traduttori italiani. Un nome, però, mi sento di farlo, ed è, paradossalmente, quello del poeta più grande di tutti, ossia Aleksandr Puškin (1799-1837), soprattutto per quanto riguarda la sua lirica (il suo miracoloso romanzo in versi Evgenij Onegin è un capitolo a parte). Con tutto il rispetto per i miei colleghi traduttori, devo dire che in pochi, pochissimi casi mi è capitato di sentire una voce italiana che abbia saputo contemplare, nel volgere di un testo, il romanticismo ammantato di eleganza classica, la capacità di essere tragico ma con straordinaria levità, la scarsa inclinazione alla pirotecnia formale esibita e perfino all’uso dei tropi e l’invidiabile tecnica di versificazione che costituiscono, ancorché sommariamente, la mia idea di Puškin.
Serena Vitale Nulla dovrebbe essere – nulla è – intraducibile. Sono stati tradotti poeti, ad esempio, come Chlebnikov e Cvetaeva, che pure in alcune loro opere sembrano rifiutarsi a ogni tentativo di resa in un’altra lingua.
Quali sono i poeti russi che non hanno ancora voce in Italia, o che aspettano una ritraduzione?
Maurizia Calusio Tra i poeti novecenteschi che non hanno voce in Italia c’è sicuramente Boris Poplavskij (1903-1935), grande talento della giovane generazione dell’emigrazione russa. Poplavskij è un autore su cui sto lavorando e che spero di poter pubblicare in un futuro non troppo lontano. Poi ci sono casi come quello di Nikolaj Zabolockij, poeta dell’età sovietica che, come non pochi altri russi, è noto solo per qualche scelta antologica.
In generale sarebbe importante anche dare versioni aggiornate di antologie che – come quelle di Ripellino e Poggioli – hanno consentito la ricezione dei poeti russi nel ’900 italiano. Oggi sarebbe il caso di riunire gli sforzi di più traduttori, che potrebbero lavorare ciascuno sui poeti e i testi più amati e meglio studiati. Un progetto che poi si potrebbe ampliare, grazie alle possibilità che oggi offre il digitale, per riprodurre la trama delle relazioni strettissime tra poeti russi e italiani. E sul fatto che per i poeti italiani i poeti russi siano importantissimi, non credo servano qui degli esempi.
Alessandro Niero Per quanto riguarda il XVIII secolo, sarebbe opportuno riproporre un poeta come Gavrila Deržavin. L’Ottocento – come dicevo sopra – ha il “problema” di Puškin. Il primo Novecento è stato ampiamente frequentato e annovera ormai dei lavori che sono o si avviano a essere dei “classici della traduzione” (penso ai lavori di Angelo Maria Ripellino, soprattutto, e più recentemente, a Serena Vitale, Remo Faccani e Caterina Graziadei). Ciò non significa che non si debba procedere a “rinfrescare”, per esempio, la ricezione italiana di Anna Achmatova e di Velimir Chlebnikov, così come quella di un autore ingiustamente negletto, Nikolaj Zabolockij. La poesia dell’emigrazione, poi, manca in Italia dei nomi di Boris Poplavskij e di una scelta vasta di Georgij Ivanov. Per il secondo Novecento, le cose si fanno certamente più complicate, giacché non esiste ancora un “canone” stabilizzato del who is who. Certo, un poeta come Iosif Brodskij – già in parte tradotto – andrebbe riconsiderato, così come andrebbero riconsiderate la sua generazione e quella immediatamente successiva, che comunque ha visto già alcuni volumi editi, ma aspetta ancora il traduttore di Bachyt Kenžeev, Inna Lisnjanskaja, Jurij Kublanovskij, Oleg Čuchoncev. Forse un’idea complessiva della poesia di Evgenij Evtušenko e di Andrej Voznesenskij pure non sarebbe da trascurare… Ma sono sicuro di aver fatto torto a qualcuno. Ecco perché, se ci spostiamo verso il contemporaneo in senso stretto, temo che i nomi si infoltiscano a tal punto da indurmi a scaricare la patata bollente sul collega e traduttore Massimo Maurizio, che ne sa più di me e che ha già strumenti affilati per distinguere il grano dal loglio.
Serena Vitale A mio avviso tutte le buone traduzioni (di poesia o prosa) sono sempre importanti e benvenute, quindi anche le “ritraduzioni” – purché affrontate con modestia, amore, senza alcuna pretesa di dimostrare “quanto sono più bravo io di X o Y”… Tra i poeti “che non hanno ancora voce in Italia” (salvo qualche lirica in raccolte antologiche e una versione non a stampa, che si può leggere on line, dеllo splendido poema Terra bruciata) devo forzatamente limitarmi e segnalo soltanto Nikolaj Kljuev, un grande del ’900 russo.
*Interiste a cura di Stefano Fumagalli; in copertina: Anna Achmatova (1889-1966)
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diceriadelluntore · 5 years ago
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Fila tutto liscio. Ho perso il filo del tuo discorso. Tutti i nodi vengono al pettine. Usiamo queste espressioni spesso però raramente facciamo caso all’argomento da cui derivano. Tessere e i tessuti sono state una delle prime attività umane sulla terra, probabilmente prima dell’agricoltura. Eppure poche volte, se non in ambiti prettamente specialistici che li riguardano, si pensa a che meraviglia sono i tessuti. Al modo da cui si ricavano. E spesso al fatto che la cultura, l’economia, la religione ruotano molto attorno ai tessuti. Basta pensare che usiamo “trama” per lo svolgimento di un racconto proprio perchè testo e tessuto hanno la stessa etimologia. Kassia St Clair ha scritto un delizioso volume che racconta 13 storie di tessuti, dai frammenti ritrovati nelle caverne della Georgia risalenti a 34500 anni fa alla lana verde della calzamaglia di Robin Hood, dal lino degli Egizi per la mummificazione al cotone dei jeans, dalla seta e i suoi misteri alle tute spaziali, fino ai costumi in poliuretano e alle nuove prospettive sull’uso della tela dei ragni. In ogni storia l’autrice sottolinea come almeno fino alla seconda rivoluzione industriale la produzione e il commercio dei tessuti sia stata di gran lunga l’attività più importante delle comunità umane (insieme alle guerra, a volte combattuta persino per il dominio delle rotte del commercio dei tessuti): basta solo pensare che la tratta degli schiavi africani nelle Americhe fu organizzata proprio per coltivare il cotone.
Questo delizioso volume chiude il mio 2019 di letture. Come sempre lascio la lista ai più curiosi e sono pronto a rispondere ad eventuali curiosità:
F. Benigno - Terrore e Terrorismo. Saggio storico sulla violenza politica;
G. Savatteri - Il delitto di Kolymbetra;
U. Eco - Baudolino;
Edward Wilson-Lee - Il catalogo dei Libri naufragati: il figlio di Colombo e la ricerca della biblioteca universale;
J. S. Mill - Saggio Sulla Libertà;
C. Soule - L’anno dell’Oracolo;
L. Penny - Case di Vetro. Le indagini del Commissario Gamache;
D. Adams - Guida Galattica per Autostoppisti: Trilogia più che completa in 5 parti;
O. Tokarczuk - I vagabondi;
C. Bordas - Come muoversi tra la folla;
D. Macculloch - Il silenzio nella storia del Cristianesimo;
A. Malraux - La condizione umana;
K. Daoud - Zabor o I Salmi;
G. Papi - Il censimento dei radical chic;
T. Bernard - Il soccombente;
M. Nousiainen - Alla radice;
P. Jaenada - Lo strano caso di Henri Girard;
V. Perrin - Cambiare l’acqua ai fiori;
G. Carofiglio - La versione di Fenoglio;
M. Malvaldi \ G. Ghammouri - Vento in scatola;
J. Cohen - Il libro dei numeri;
V. Despentes - Trilogia della città di Parigi - Vernon Subutex;
D. Buzzati - Il deserto dei Tartari;
K. St Clair - La Trama del Mondo.I tessuti che hanno fatto la storia.
Sono 24 titoli per 9380 pagine, un po’ meno dell’anno scorso, ma pensando alle cose che ho fatto quest’anno mi ritengo molto soddisfatto. Ho notato riprendendo i titoli che i migliori libri di prima pubblicazione di quest’anno sono di scrittori e scrittrici francesi e mi compiaccio che scelgo le novità, tramite le mie fonti, con ormai una certa sicurezza che siano interessanti. Il mio invito rimane continuare a divertirsi nel leggere:
Ho degli amici (i libri), la cui società è per me deliziosissima; sono uomini di tutti i paesi e di tutti i secoli; distinti in guerra, in pace e nelle lettere, facili a mantenersi, pronti sempre ai miei cenni, li chiamo e li congedo quando più mi aggrada… essi non van mai soggetti ad alcun capriccio , ma rispondono a tutte le mie domande. Francesco Petrarca
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jaysreviews · 5 years ago
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Ciao a tutti! Eccoci di nuovo alla conclusione dell'anno, anzi del decennio. Non mi pare ci fosse tutta quest'anima per l'arrivo del 2010 ma vabbé... Come per lo scorso anno ho deciso di eleggere i migliori dell'anno 2019! Come sempre sono divisi in categorie. Non mi perderò in ulteriori chiacchiere e partirei subito con la prima categoria:
Film
Avengers: Endgame
Joker
C'era una volta a Hollywood
Ho un parimerito sul versante film visto che ci sono state tre pellicole importati. Il gran finale dei dieci anni del Marvel Cinematic Universe, il film DC che ha cambiato le carte in tavola per il pubblico (oltre ad avermi lasciato un pesante senso di... Non so nemmeno io cosa) e l'ultimo film di Quentin Tarantino che rimpiange un'epoca che non c'è più. Vedremo cosa ci riserverà il proiezionista del futuro.
Serie TV
The Man in the High Castle
Bojack Horseman
La sezione serie ha un altro ex-aequo che accontenta Amazon Prime Video e Netflix. Nel primo caso si può dire tranquillamente che Philip K. Dick è quasi una garanzia di successo ma questa serie ci ha messo del suo per tenere alta l'asticella. Siamo arrivati alla terza stagione e l'escalation di eventi sembra non volersi fermare. Il mix di politica, complotti, vite nel mondo alternativo e sci-fi ha acchiappato me e la mia bella, senza mollarci.
Sul fronte Netflix sono riuscito a mettermi in pari con la serie del cavallo più problematico di Hollywoo e non vedo l'ora di vedere come si chiuderà la sua avventura perché le chicche regalate dalle ultime stagioni sono state tanto geniali quanto divertenti e emozionalmente toste (ci manchi Sarah Lynn).
Animazione
Steven Universe
Dopo la prima "scofanata" di episodi, mi sono fermato un pochino ma, quando ho potuto, ho ripreso la visione scoprendo che, sempre mantenendo il suo spirito molto sentimentale, la storia delle Crystal Gems Inizia a svilupparsi. Mi aspetto molto dal proseguo della serie che continua ad avere un ottimo ritmo. E ottime canzoni!
Letture
Il Male non ha Eroi
Non leggevo e finivo libri da secoli e questo è stato il primo dopo anni, oltre che il primo in formato e-book. Una storia di esoterismo, azione e mistero nella Londra vittoriana con personaggi accattivanti, dialoghi ben scritti e nessuna pagina di noia! Di recente è uscito il terzo episodio, in tema natalizio. Non vedo l'ora di mettere le mani anche sui sequel!
Videogiochi
Legend of Zelda: Breath of the Wild
Come mi capita di solito, metto mano ai grandi successi con un lieve ritardo ma il tempo non ha diminuito il fascino della nuova Hyrule e del suo eroe Link. Tante cose da vedere, fare, imparare mentre si procede a salvare il regno dalla calamità Ganon. La mia paura maggiore è metterci mano e non riuscire a smettere!
Mobile
Mr. Bullet
Hustle Castle
Un concetto semplicissimo: sparare a determinati obiettivi sfruttando i rimbalzi del proiettile. Visto tremila volte in pubblicità su Facebook, YouTube e compagnia, decido di scaricarlo e mi tiene compagnia per settimane, anzi mesi! Non ho ancora scritto la recensione ma posso già dirvi che Mr. Bullet è tanto semplice nella forma quando complicato nell'esecuzione. Se poi siete testardi come me, potreste starci per ore!
Hustle Castle invece me l'ha fatto scoprire la mia bella ed è riassumibile come "Fallout Shelter nel medioevo fantasy" visto che riprende il concetto di gestione di uno spazio abitativo per varie persone ad una storia di principesse rapite. Ve ne parlerò prossimamente.
Musica
Cesare Cremonini
Billie Eilish
Attento a chi prendi in giro alle superiori! Quello che un tempo era Cesare dei Lunapop oggi è un signor artista! Ho ascoltato la sua discografia e mi sono reso conto che ne ha fatta di strada dall'andare in giro "con le ali sotto ai piedi", dimostrando di essere un artista poliedrico, versatile ed un virtuoso del pianoforte, tanto divertente quanto sensibile e poetico.
Billie Eilish l'ho scoperta... grazie ai meme. Giovane cantante molto particolare e strana. Ha solo due album all'attivo ma è riuscita a catturare l'attenzione. Sicuramente anche per lo stile ma nessuno canta con i vestiti quindi... La sua musica riesce ad essere inquietante, malinconica ma anche folle e bizzarra.
Menzioni d'onore
I podcast
Sono una curiosità che ho sempre avuto ma che non aveva ancora preso pienamente. Un vecchio amico ne ha creato uno così mi sono deciso. Ora ne seguo due in maniera assidua ovvero quello del mio amico Sergio che si chiama Polo Nerd e l'altro è Power Pizza condotto a tre voci di cui una è quella del fumettista Sio. Ormai sono la mia droga!
Bene, per il 2019 è tutto! Buon 2020 ed a presto per nuove fantastiche recensioni di giochi, giochini, film e serie TV!
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leggermenteblog · 5 years ago
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Le mie migliori letture del 2019
Le mie migliori letture del 2019
Eccoci qui arrivati agli sgoccioli di questo 2019 e a fare qualche bilancio delle letture affrontate in questi 365 giorni. Non è mai semplice stilare una classifica dei migliori libri letti nell’anno soprattutto se hai letto generi e autori molto diversificati tra loro. Per questo motivo la mia non sarà una vera e propria classifica ma più un riepilogo delle letture che ho apprezzato di più.
S…
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personal-reporter · 5 years ago
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Teatro sull’acqua 2019 ad Arona, ancora un’occasione di godere della bellezza del Lago Maggiore
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Arona si prepara ad accogliere la IX edizione del festival Teatro sull’Acqua diretto da Dacia Maraini, dal 3 all’8 settembre, con come tema di questa nuova edizione la Poesia. Sono previsti una serie di eventi che andranno dallo spettacolo Concertazione per elementi ospitato sulle acque del lago diretto da Monica Maimone, agli incontri dedicati ai poeti in Piazza San Graziano con Vivian Lamarque, Fabio Pusterla e Maria Borio accompagnata dalle letture di Federica Fracassi, al teatro in villa con Bello mondo di Mariangela Gualtieri, al Menù della Poesia ospitato nei locali e ristoranti della città. Come sempre Dacia Maraini dialogherà con alcuni tra i più interessanti autori e autrici del panorama letterario italiano, tra cui Claudia Durastanti, Simona Sparaco, Michela Marzano e Antonio Scurati. Il debutto sarà con Concertazione per elementi mercoledì 4 settembre e le repliche il 5, 6 e 7, sempre alle 21.30, che trasforma in immagini oniriche le parole dei poeti e queste diventano acqua, aria, terra, fuoco. Ogni sera, nel centro storico di Arona, turisti e cittadini potranno in grandi macchine sceniche sul lungolago, portate a mano da giovani servi di scena che sono co-protagonisti della spettacolarizzazione, tra giovani ballerine che dialogano con le creature dell’acqua: grandi pesci colorati, cavallucci marini, un grande cigno bianco e ad aprire e chiudere saranno gli spicchi di luna, padrona delle maree e signora degli innamorati. Il cartellone del festival 2019 si arricchisce di un nuovo spazio oltre a Villa Ponti, come Villa Usellini, segnalata al Fai che ospiteranno gli spettacoli Zanna Bianca della Natura selvaggia di Francesco Niccolini, ispirato ai romanzi e alla vita avventurosa di Jack London, con Luigi D’Elia, Mi abbatto e sono felice con Daniele Ronco, Bello mondo con Mariangela Gualtieri e la guida di Cesare Ronconi, Sospiro d’anima con Alda Taliente e Così…vi pare da Luigi Pirandello. Al Teatro sull’Acqua non mancheranno i migliori spettacoli di Teatro di Strada, con la centralissima Piazza del Popolo e il lungolago Marconi invasi da teatri mobili, clownerie, visual comedy, marchingegni teatrali, e perfomer di Circo. Inoltre nei bar e ristoranti del centro storico un gruppo di attori professionisti, vestiti da camerieri, presenterà agli ospiti una selezione di poesie che i commensali possono ordinare da un menu, come se fossero vivande. Lo spettatore sceglie e i versi sono immediatamente recitati per lui, con un sapore intimo, ironico, romantico o provocatorio, secondo l’estro del momento e la complicità che ne scaturisce, che vanno da Dante e Shakespeare a Sanguineti e Fosco Maraini, passando per Brecht e Bukowsky, fino alla poesia dialettale di Totò, De Filippo e Trilussa. Il Teatro sull’Acqua, è l’unico esempio italiano di produzioni teatrali sull’acqua, con l’Opéra on the Lake del Bregenz Festival (Austria) e il Teatro delle Marionette d’Acqua di Hanoi (Vietnam) ed è sostenuto da Comune di Arona, Regione Piemonte, Fondazione CRT e Compagnia di San Paolo nell’ambito dell’edizione 2019 del bando Performing Arts. Inoltre il Teatro sull’Acqua è entrato a far parte di Performing +, un progetto per il triennio 2018-2020, lanciato dalla Compagnia di San Paolo e dalla Fondazione Piemonte dal Vivo con la collaborazione dell’Osservatorio Culturale del Piemonte, per rafforzare le competenze della comunità di soggetti non profit operanti nello spettacolo dal vivo in Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta.   Read the full article
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paoloxl · 6 years ago
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Passato Gennaio, l’anno si ritiene convenzionalmente iniziato. E ciò che ha segnato l’inizio di questo 2019 è stato senza dubbio il vorticare della cronaca della “lotta al traffico di esseri umani”. Traducendo dal gergo governativo al linguaggio dei movimenti sociali si tratta l’attacco sferrato a livello globale ai migranti, alla solidarietà, all’organizzazione di qualunque azione di supporto, con l’evidente scopo di polarizzare ancora di più un corpo sociale che nel mantra della guerra tra poveri trova una risposta all’impoverimento di massa.
Diventa difficile, e non è nostra ambizione, tirare una sintesi dell’evoluzione dei molteplici discorsi e provvedimenti governativi con cui, “dall’alto”, si portano avanti le più ardite tecniche di costruzione del nemico, cavalcando la figura dell’invasore, della “minaccia alla sicurezza nazionale”, terrorista-fondamentalista islamico. A queste figure della criminalizzazione corrisponde simmetricamente la creazione dei nemici interni: ONG, reti di solidarietà, ogni traccia di attivismo per i diritti umani. Ma la Legge 132/18 consente di compiere un notevole salto di qualità; sotto attacco - assieme al dissenso sociale presente nel corpo vivo della società - finiscono anche i sindaci che criticano la proibizione di iscrivere le persone richiedenti protezione internazionale nelle liste anagrafiche.
D’altra parte il Governo ha, unanime, promulgato il “decreto sicurezza”, poi convertito in legge con voto di fiducia: a suo tempo chiaro indice dello stato di salute e coesione di una maggioranza parlamentare che ora è alla prova del TAV. Ma non ci addentriamo in questo terreno, non qui.
Anzi, facciamo notare invece come una sola voce accomuni leghisti e pentastellati quando si parla di migranti: rivendicano e difendono il blocco della Sea Watch 3 - e di ogni altra imbarcazione - scatenano le rispettive “bestie” da social network, forse proprio moneta di compensazione per il non allineamento sulle grandi opere. Attaccano senza mezzi termini quelle esperienze che sono diventate simbolo positivo e che hanno rappresentato un’alternativa reale e molto concreta a quello che definiscono “business dell’accoglienza”. La vicenda di Riace e di Mimmo Lucano è nota: l’emblema di come costruire e sperimentare pratiche alternative - dall’accoglienza, alla moneta locale fino alla raccolta differenziata - è stato paragonato dagli apparati dello Stato a un’associazione criminale.
Tornando alla questione dei sindaci, alcuni vedono con chiarezza che il divieto di iscrivere i richiedenti protezione internazionale nei registri anagrafici implica la perdita del controllo del territorio e, soprattutto, l’esclusione da qualsiasi accesso a minime forme di welfare ed assistenza: ci saranno centinaia e centinaia di persone non censite, materialmente presenti e magari messe al lavoro in agricoltura, nei servizi o nelle fabbriche, a dispetto della situazione formale.
Al (purtroppo) piccolo gruppo di amministratori locali si aggiungono alcune Regioni, schieramento questo dettato da una ragione di parte politica, il PD ora in cerca di risalto nell’ancora latente campagna elettorale per le europee più che di riscatto per le nequizie operate dallo scranno del Viminale da Marco Minniti.
L’inafferrabile cronaca fa annotare pochi giorni fa la “disobbedienza” di Leoluca Orlando, primo a violare il dettato della legge iscrivendo quattro persone tra i residenti a pieno titolo nella Repubblica Italiana. Orlando, ci piace ricordare, non ha fatto solo questo: la settimana precedente aveva di suo pugno firmato gli atti per “restituire” la residenza ad alcune famiglie dimorate presso le case popolari, ma insolventi da anni e dunque in stato di “occupazione”.
Salvini si trova ora nelle condizioni tecniche di rimuovere il Sindaco e commissariare il Comune di Palermo. Nelle manovre propagandistiche a caldo, rispondendo a specifica domanda, aveva annunciato di non voler fare uso di questa sua prerogativa: Orlando ha gettato il guanto di sfida, vedremo.
Nello spettro delle contromisure delle amministrazioni locali al diniego dell’iscrizione anagrafica, l’altro esperimento da annotare è l’istituzione dei registri paralleli al Comune di Napoli, operazione più tecnica che di “disobbedienza politica”, forse dettata dalla maggior dimestichezza di De Magistris coi codicilli, ma conserva lo stesso sapore di azione “contro”, dissenziente, dell’operato del collega panormita.
Il senso della contrapposizione tra Stato centrale e autonomie quali sono le Regioni ed i Comuni c’è tutto, è incontrovertibile e la Corte Costituzionale sarà chiamata a pronunciarsi sulla compatibilità formale tra leggi e dettato della carta fondamentale.
Questo quadro magmatico, in turbolenta e continua trasformazione, si sottrae a ogni tentativo di semplificazione, restituendo alle letture immediate corto-circuiti di senso che mettono a dura prova la capacità di rilevare il falso logico. Più in là tenteremo di additare alcune conclusioni, con l’ambizione di stimolare dibattito, azione, proposta teorica e processi di organizzazione materiale.
Leggendo superficialmente questa rapida rassegna - pur omettendo tra l’altro i grandi appuntamenti globali e i conseguenti posizionamenti politici come il meeting di Marrakech che ha adottato il Global Migration Compact, da cui il Governo ha tenuto fuori l’Italia - appare che il pallino stia in mano ai nodi del potere costituito.
Il dibattito mainstream si centra solamente sulle dinamiche relative agli assetti istituzionali, come se solo il recupero della “disobbedienza” nell’alveo della legalità formale, come se solo i togati della consulta potessero salvarci dalla barbarie del salvinismo e del razzismo. Dal dibattito dominante sembra scomparsa quella pluralità di soggetti che rendono possibile un’accoglienza diversa nell’Italia di Minniti-Salvini e che subisce la scure della legge dell’esclusione sociale.
Quella moltitudine variegata, forse disomogenea, che il 10 novembre si è incontrata nella manifestazione “#indivisibili”, lasciando per un giorno il lavoro incessante nei territori per attraversare le strade della capitale, unico pronunciamento esplicito e diretto contro la conversione in legge del decreto sicurezza.
Tutto pare sussunto nella sfera delle istituzioni, del già dato, della formalità da discutere in punta di diritto. Le piazze però continuano a sviluppare un discorso, coi presidi che hanno chiesto la libertà di sbarcare per le persone in ostaggio nel Mediterraneo, così come centinaia di associazioni e organizzazioni sociali proseguono il lavoro quotidiano fianco a fianco coi migranti - nuovi poveri, spossessati ormai di qualunque diritto.
C’è dunque un piano materiale, quotidiano, lasciato al lavoro della talpa: lavoro sommerso, vien da dire, che sembra destinato a restare nascosto.
La talpa scava, mette in relazione ciò che visibilmente – a uno sguardo superficiale! - resta sconnesso, lontano, distante. Il terreno della cooperazione sociale, unica prassi capace di trasformare il tempo presente creando alternative reali al neo-liberismo che stritola corpi e territori, è ben dissodato. Non ha forse senso porsi la questione di ricercare il principio di molti e tortuosi percorsi, il nodo sta nell’incessante trasformazione dei temi, delle forme e dell’intensità organizzativa e di lotta. Inseguendo e rispondendo senza esclusione di colpi alle politiche neo-liberiste che hanno segnato il tempo della Grande Crisi dal 2007 in poi, sono le pratiche solidali auto-organizzate a garantire – con ogni mezzo necessario – la possibilità di un welfare.
Il mutualismo è stata la risposta materiale allo spossessamento dei diritti formali, all’estinzione progressiva dei dispositivi di redistribuzione della ricchezza (diretta ed indiretta), mentre il novero dei sacrificabili sull’altare del dogma del “rigore per la crescita” si allarga creando una nuova classe di subalterni, in lotta però tra loro e non contro la situazione loro imposta. Mors tua vita mea: si potrebbe concludere che ormai tutto è perduto, l’atomizzazione della società è un fatto compiuto.
Non è così, certo, purtuttavia ciò che vogliamo dimostrare è la grandezza delle sfide del tempo presente, in cui la capacità di auto-organizzazione in seno alla società viene messa alla prova sul fronte cruciale della tenuta del tessuto sociale.
Negli ultimi anni il lavorìo sottotraccia è emerso con picchi di visibilità e potenza laddove la produzione di “welfare dal basso” si è intrecciata alle istanze di coloro che sono arrivati nel vecchio continente – e non ci interroghiamo ora sul perché – ma da subito hanno reclamato condizioni di esistenza migliori di quelle lasciate e trovate nei luoghi del “sistema d’accoglienza”. Manifestazioni e lotte – maledettamente concrete e reali – si sono succedute in tutta Europa, facendosi via via più fitte ed intense. È a partire da questo, dalla modifica di rapporti di forza, che dobbiamo riorientare il dibattito per dar forza a una postura che abbia nella modifica normativa un tassello per istituire un diritto del comune.
Il blocco dei governi reazionari è decisamente più ampio del “blocco di Visegrad” o del governo 5 Stelle - Lega. La cordata della repressione appare guidata dall’ideologia neo-nazionalista e sovranista che cavalca da destra alcune istanze anti-liberiste, ma di fatto cade su due elementi. Da un lato nell’approccio alle problematiche reali segue il gioco dettato dai potentati economici (migranti? No: “veri profughi”, sfollati di guerra insomma, oppure clandestini: usurpatori, truffatori, turisti del welfare). Dall’altro rivendica l’ “autonomia del politico” nella sua forma più diretta e pura: le decisioni si prendono perché il Sovrano così ha deliberato. Sovrano è il Popolo, che – date le forme e i limiti stabiliti dalla Costituzione – ha con le elezioni legittimato l’operato dei Governi i quali sono disposti ad assumere responsabilità gravissime pur di proteggere la “Nazione” dalle gravi minacce che la rendono insicura. E tra queste minacce, quelle esterne sono i migranti, quelle interne tutte le pratiche di lotta e di solidarietà attiva: picchetti, blocchi stradali, occupazioni di case, regalare una bottiglietta d’acqua ad un migrante, opporsi alle loro deportazioni.
La prassi quotidiana continua a vivere di rotture, piccole e diffuse sovversioni di questo ordine discorsivo e materiale imposto dalle norme e ribadito di continuo nelle narrazioni dominanti.
La questione che ora vogliamo porre con forza è come far sì che questa disponibilità a “rompere le gabbie” si consolidi, possa aggregarsi in maniera stabile così da crescere nella propria capacità organizzativa. Altrimenti tutto si disperde, gli exploit di piazza restano nei bei ricordi ma spariscono nella timeline delle immagini spazzati via dalla propaganda di Salvini o dal prossimo naufragio, e l’unico spazio resta alla contrapposizione meramente tecnico-giuridica o di superficie.
A ben guardare c’è una faglia che coinvolge anche il piano delle istituzioni, ma è determinata dalla linea di frizione di questo assetto di organizzazione del potere costituito con la potenza del sociale cooperante.
Sia chiaro, non certo da queste colonne partiranno strali contro le azioni giuridiche volte a scardinare le norme razziste e criminalizzanti dettate da Salvini. Il Diritto, se ancora vogliamo ritenere di vivere in uno Stato di diritto, può senza dubbio essere strumento utile. Certamente non è il solo, ancor più certamente il diritto stesso contiene la cristallizzazione di rapporti di forza dentro la società e tra “società civile” e Stato.
Questi sono oggi i termini in cui è urgente leggere e narrare gli eventi.
C’è una potenza che si annida nel sociale, non facile da scovare, forse più incline alla silente fatica quotidiana che ai momenti di visibilità, di protagonismo, di presa di parola diretta. Anche in questo sta l’eccezionalità della giornata del 10 novembre: il vedersi, riconoscersi, l’essere un intreccio di relazioni è cosa inconsueta. Questo è un limite che è tempo di superare, abbiamo bisogno di conoscere questa forza e metterci in relazione, per esercitare appieno la capacità di trasformazione del reale di cui sappiamo di essere capaci.
Certamente la grande manifestazione non è venuta sola, né è rimasta isolata: non si contano più, a livello locale, presidi, fiaccolate, sit-in, e da ultimo anche l’abbraccio alle sedi municipali. C’è, palpabile, una voglia di mobilitazione diffusa che allude a un movimento, ne ha la potenza “in sé”. La misura è - al solito - la capacità di coniugare percorsi di lotta e processi organizzativi: la settimana di mobilitazione che si è appena aperta si pone come substrato nutritivo per i molti gangli di questo movimento in fieri, così penetranti in ogni territorio ma forse privi di quella sicurezza nell’articolare un discorso pienamente politico perché incerti sulla propria forza.
C’è uno sforzo da compiere, un salto di qualità che chiamiamo organizzazione: sappiamo che nulla accade da sé, sappiamo che la buona volontà non è sufficiente. Non abbiamo mai dimenticato, qualora fosse necessario fugare ogni dubbio, che nulla nasce in vitro: se la diffidenza – o l’aperta ostilità - alle ricette degli alchimisti della politica è il nostro tratto identificativo, è proprio per sperimentare un terreno di auto-organizzazione che sentiamo l’esigenza pressante di una discussione volta a creare ambiti di confronto e scambio.
Di fronte a noi percepiamo intatta la disponibilità ad agire, benché il governo (i governi!) restino saldi nella loro linea di reazione, criminalizzazione e si preparino alla repressione, dalla Sicilia alle Alpi una movimentazione continua è in atto e non accenna a scemare: come è possibile non disperdere in mille rivoli questa ricchezza?
Va colto l’attimo, occorre provare a farsi forza a vicenda, a ripristinare meccanismi di mutualismo e mutuo-soccorso, osare sinergie badando a non cadere nella tentazione della reductio ad unum, la molteplicità che siamo è la nostra forza: ciò che serve è affinare la capacità di connettere istanze, lotte e prassi di giustizia sociale.
Crediamo che l’assemblea di Macerata del 10 febbraio, indetta dall’assemblea che a Roma ha dato seguito alla manifestazione “#indivisibili”, si collochi nel pieno di uno spazio di possibilità e sentiamo la responsabilità di contribuire a renderla luogo vivo, molteplice e fecondo. Questo incontro potrà a nostro avviso essere strumento di rilancio e di apertura di nuovi percorsi non perché parte di un processo già pianificato o dettato dalla volontà di soggetti determinati, anzi. Se alla manifestazione nazionale di novembre aderirono in forma pubblica più di quattrocento realtà organizzate, l’impossibilità materiale di imbrigliarle in un alveo già dato è palese ed evidente.
D’altro canto, si debbono porre le basi di una forma di agorà aperta e capace di guardare in avanti, luogo di socializzazione di prassi, analisi, luogo di condivisione di proposte organizzative, di crescita comune di consapevolezza, per far finalmente sgorgare quel fiume carsico ed affermare la volontà politica di sfidare l’impossibile. Uno spazio comune da inventare insieme: la forma che crediamo più idonea è quella del “forum”, modellato sulla scorta delle sperimentazioni zapatiste in Chiapas.
La posta in gioco è alta, il percorso è tutt’altro che agevole e scontato, intraprenderlo è un atto di consapevolezza e coraggio. La sfida da raccogliere e rilanciare è la rottura della subordinazione all’arroganza del potere costituito.
Noi siamo pronti: ci vediamo a Macerata!
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pleaseanotherbook · 6 years ago
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Il 2018 di Please Another Book
Il 22 dicembre, che per me in realtà poi è sempre il 29 dicembre (giorno in cui ho postato la prima recensione nel 2011), Please Another Book ha compiuto 7 anni, 7 anni di blogging, di studio, di costruzione un passo alla volta di un angolo di web fatto a immagine e somiglianza delle mie aspirazioni, dei miei sogni e delle mie letture. Ammetto che non avrei mai immaginato di raggiungere un simile risultato, un po’ perché come scrivo spesso inizialmente non ci credevo neanche a questa avventura del blog e poi perché gli ultimi anni sono stati un delirio tra laurea, lavoro, vita. Sono contenta però di essere ancora qui, aggrappata a questa impronta digitale che sembra sfuggirmi ad ogni passo. Un’orma sulla sabbia, pronta a sparire con un colpo di vento un po’ più forte o un’onda un po’ più viva. Non ho ancora smesso di investire energie in questo progetto, e sono un po’ più fiduciosa anche sul futuro di Please Another Book anche dopo aver parlato con i miei amici durante queste vacanze di Natale. In un pub per motociclisti, tra una birra e patatine fritte e partite di biliardo in cui sono state più le palle mancate che quelle colpite, i miei amici mi hanno fatto capire che no, non la devo dare vinta a nessuno, che in fondo questo “diario di letture e incedere” è un po’ come un figlio e non lo devo perdere. Anche se il ritmo è incostante e non ho voglia. Perché se non riesco a trovare spazi per me, allora che senso ha continuare ad andare avanti in questa direzione. E sì, è vero, affermarmi per quello che sono è uno degli scopi principali che mi spingono a non abbandonare Please Another Book. Perciò buon anniversario a me e a voi!
Il 2018 è stato un anno molto complicato per me e la mia vita, è stato uno di quegli anni strani, pieni di incidenti ma soprattutto di false partenze. Privatamente ho arrancato molto, lavorativamente parlando è stato un anno… da cancellare, ma ovviamente non siamo qui per questo o meglio non solo per questo. Perché alla fine siamo solo la somma dei momenti migliori o quelli meno migliori, purtroppo.
Gennaio si è aperto con una perdita che non avrei mai immaginato di vivere e non riesco neanche a credere che sia già passato un anno. Però nonostante questo, gennaio è stato l’inizio di una serie di viaggi stupendi che spero di poter surclassare quest’anno. Prima di tutto sono tornata a Praga la penultima settimana di gennaio per una serie fortuita di eventi, mandata dal mio capo a seguire un corso di formazione. È stata una settimana meravigliosa in cui ho riscoperto l’amore per una città che ha un fascino romantico e un’architettura che toglie il fiato. Girare per le strade di Praga è come perdersi in un’epoca lontana, dove il clamore della modernità sembra irraggiungibile.
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A febbraio invece con mia sorella sono approdata a Londra per la prima volta e pensavo di non tornare più da quel viaggio. Perché Londra è un miraggio, una possibilità, una immagine sfocata dalla pioggia. Ho sempre voluto andare a Londra, non quanto voglio andare a New York, ma questo è un tema per un altro giorno. Londra ha un fascino tutto malinconico per me, un fotogramma di pioggia e lacrime che si ripercuote in strade percorse da carrozze spinte da cavalli al galoppo. Ha quell’impronta gotica che non riesce a discostarsi dal mio immaginario, di assassini armati di pugnali e cimiteri inquieti. Londra più di tante città si porta dietro personaggi enormi, fossilizzati in leggende metropolitane che permangono nonostante tutto.
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A fine febbraio abbiamo organizzato anche un meraviglioso raduno con i Trentatré Anonimi (che mai come quest’anno mi hanno salvato la vita) a Ferrara in cui abbiamo avuto come ospite d’onore Alice Basso che non smetterò mai di ringraziare per la sua disponibilità e la sua verve e la sua ironia formidabile.
A marzo sono stata a Tempo di libri a Milano dove ho provato grazie a Audible la fantastica esperienza di leggere un brano in cabina di registrazione: e ovviamente io ho scelto una delle mie scene preferite tratte da L’ordine della Spada (Black Friars #1) di Virginia de Winter.
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Mentre Torino continua a regalarmi meraviglie, a maggio ci sono rimasta solo per il weekend del Salone del libro, per il resto sono stata in giro a festeggiare alla grande il mio compleanno: perché non farlo tra Ferrara e Roma eh? Il Salone del libro come al solito è stata un’esperienza semplicemente folle, con le mie fedeli compagne di avventura le Belle de La Bella e il Cavaliere e Purin e Salem di Il sospiro del Muflone,  Lorena di Petrichor e Martina di Liber Arcanus.
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In ordine Antoine Volodine, Jessa Crispin & Alice Basso
Tra giugno e luglio sono stata in giro a trovare tutti i miei amici in varie parti d’Italia, ma soprattutto a fine luglio sono andata al matrimonio di un mio carissimo amico, con tutti i miei coinquilini dei tempi di Bruxelles per un viaggio on the road che ci ha portato in provincia di Salerno.
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Ad agosto poi abbiamo anche organizzato il quinto raduno dei Trentatré Anonimi, in quel di Ferrara con annessa incursione della polizia sul terrazzo del mitico B&B che sempre ci ospita nelle nostre incursioni.
Finalmente a settembre, per le mie ferie, sono riuscita ad andare a Festivaletteratura di Mantova, e oltre al fatto che Mantova è una città bellissima, di cui mi sono innamorata senza colpo ferire, sono riuscita a incontrare Maja Lunde, l’autrice de La storia delle api.
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Poi negli ultimi mesi dell’anno sono stata molto in giro, come sempre, nel weekend per provare a non impazzire con il lavoro e con la vita di tutti i giorni, perché lo ammetto è sempre un delirio impressionante provare a far quadrare tutto. Ma ci sto provando, faticosamente e senza colpo ferire.
Per il 2019 mi auguro di essere più incline ad aprirmi con gli altri, più paziente con la mia irritazione, più generosa con me stessa e le mie confidenze. Vorrei riprendermi i miei spazi, riuscire a mettere dei paletti, collezionare momenti in cui tornare a respirare tranquillamente. Vorrei avere la serenità di essere più indulgente con me stessa, perdonarmi meglio le mie mancanze, riuscire a superare questa situazione di stallo che non mi permette di essere completamente felice. E soprattutto voglio continuare a leggere, viaggiare e vivere.
Buon 2019 miei cari, che possiate migliorarvi sempre e essere sereni e soddisfatti.
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loscaffaletraboccante · 4 years ago
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Lo scaffale dei libri letti 2020
Il 2020 è stato un anno particolare a dir poco. Tra lock down, chiusure parziali e pandemie, possiamo veramente dire di averne viste di tutti i colori (rosso-arancione-giallo-bianco...).
Nonostante quello che si potrebbe pensare, non ho avuto modo di leggere più di tanto e nonostante tutto il periodo di clausura casalinga, tra smart working e bambini, il tempo per la lettura più che aumentare è addirittura diminuito 😌
L'obiettivo per il 2020 era di 25 libri; al 30 di Dicembre ho chiuso il 20° libro dell'anno! Obiettivo non raggiunto? Forse in quantità ma sicuramente non in qualità!
20 libri letti non sono comunque pochi ma la quota dei libri rimossi dallo scaffale (i famosi libri arretrati) non è diminuita molto. Ho letto moltissimo prendendo a prestito da biblioteche (il sistema MLOL di cui vi parlavo è uno spettacolo) e ho approfittato di ebook a scarico gratuito a cui non ho potuto resistere. Va bene cercare di non comprarne troppi ma quando addirittura te li regalano!! Come si fa?
Come accennavo, il 2020 ha portato ottime letture e qualche bella sorprese, fortunatamente pochissime delusioni 😊 Dunque veniamo ai numeri! A fronte dei 25 libri letti nel 2019, devo segnare un -5 nel 2020 con 7756 pagine lette ( -700 rispetto al 2019). Il traguardo dei 30 libri rimane lontano 😝
E pensare che c'è chi legge 10 volte tanto... mi chiedo come facciano, vorrei avere anche io tutto quel tempo! 😋 Il libro più bello del 2020? Molto difficile eleggere il libro che mi è piaciuto di più. Vi dico solo che tra le letture ci sono "Gente di Dublino" di James Joyce, "Delitto e Castigo" di Fyodor Dostoyevsky, "Papà Goriot" di Honoré de Balzac e "Il Conte di Montecristo" di Alexandre Dumas. Tanta roba davvero.
Tutti i precedenti mi sono piaciuti tantissimo ma ce n'è uno che mi è entrato nelle ossa: "Cime Tempestose" di Emily Brontë.
Eleggerei tutti i precedenti come "miglior libro 2020" ma non potendo scriverne due righe per ognuno, sceglo il capolavoro di Brontë. Visto che la trama è ben nota, vorrei qui riportare un estratto dall'introduzione al libro di Frédéric Ieva: 
"Se tutto il resto scomparisse e restasse solo lui, continuerei a esistere"
"Un romanzo in cui domina la violenza sugli uomini, sugli animali, sulle cose, scandito da scatti di crudeltà sia fisica sia, soprattutto, morale. Un romanzo brutale e rozzo – sono gli aggettivi utilizzati dalla critica dell'epoca – che scuoteva gli animi per la sua potenza e la sua tetraggine e che narra il consumarsi di un'inesorabile (sino a un certo punto) vendetta portata avanti con fredda meticolosità dal disumano Heathcliff. 'Cime tempestose è un romanzo selvaggio, originale, possente', si leggeva in una recensione della 'North American Review', apparsa nel dicembre del 1848, e se la riuscita di un romanzo dovesse essere misurata unicamente sulla sua capacità evocativa, allora Wuthering Heights può essere considerata una delle migliori opere mai scritte in inglese e, come affermava Charlotte Brontë in una lettera a William Smith, Ellis Bell (lo pseudonimo di Emily) era un 'uomo dal talento non comune, ma caparbio, brutale e cupo'". […]
Tomasi di Lampedusa esprimeva il suo entusiastico e ammirato giudizio su Cime tempestose: "Un romanzo come non ne sono mai stati scritti prima, come non saranno mai più scritti dopo. Lo si è voluto paragonare a Re Lear. Ma, veramente, non a Shakespeare fa pensare Emily, ma a Freud; un Freud che alla propria spregiudicatezza e al proprio tragico disinganno unisse le più alte, le più pure doti artistiche. Si tratta di una fosca vicenda di odi, di sadismo e di represse passioni, narrate con uno stile teso e corrusco spirante, fra i tragici fatti, una selvaggia purezza."
... anche se non sono riuscito ad eleggere il migliore, posso sicuramente scegliere il peggiore. In effetti, considerando i sopra detti, il conto è preso fatto.
Il libro che meno mi ha convinto quest'anno è "Il piccolo negozio della felicità hygge" di Rosie Blake non tano per aver deluso le aspettative quanto per la trama in se, decisamente scontata e frivola. Un libro che non era proprio sulle mie frequenze!
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Com'è andato il vostro 2020 letterario? Propositi per il 2021?? Tanto per non strafare, il mio target per il prossimo anno è di 21 ma spero di riuscire a fare di meglio col proposito di limare il più possibile le letture arretrate! Vedremo se sarò all'altezza ma soprattutto, speriamo che sia un anno pieno di ottime letture 😉
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feel-the-book · 5 years ago
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#day8 della #FeelTheChristmasChallenge e il tema di oggi è #ConsigliaUnFantasy I titoli sono tanti, ma tra le letture migliori del 2019 spicca sicuramente la dilogia di #LainiTaylor Ambientazione e personaggi fantastici, assolutamente da leggere!! #FTB #FeelTheBook #IlSognatore #LaMusaDegliIncubi #FaziEditore #bookchallenge #christmasbooks #christmaschallenge #book #bookish #booknerd #booklover #bibliophile #bookaddict #bookaholic #vscobook #igbooks #igreads #librisulibri #kobo #LazloStrange #librisulibri #libridaleggere #librimania #librichepassione https://www.instagram.com/p/B50c2XAotSS/?igshid=dyh5lzwtcaf3
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giancarlonicoli · 6 years ago
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8 MAG 2019 08:06
LOMBARDIA CANAGLIA - IL “SISTEMA” DI TANGENTI HA PORTATO 12 ARRESTI E 90 INDAGATI CON L’IMPRENDITORE DEL SETTORE AMBIENTALE, DANIELE D’ALFONSO, ACCUSATO DI AVER AGEVOLATO LA ‘NDRANGHETA, CHE SI VANTA: “HO SEMINATO TALMENTE TANTO! IO A TUTTI QUANTO HO DATO DA MANGIARE!” - SISTEMI FEUDALI, PIACERI, CONTRORICHIESTE, FACILITATORI E QUELLA TANGENTE IDEATA SU UNA SENTENZA DI CONDANNA PER TANGENTI…
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1 - LE TANGENTI SCUOTONO LA LOMBARDIA
L.Fer. per il “Corriere della sera”
Uno è nella lista di Forza Italia per le elezioni europee, ma adesso Pietro Tatarella (consigliere comunale milanese e vicecoordinatore regionale di Forza Italia) è in carcere con l' accusa di associazione a delinquere, condivisa con l'uomo forte varesino del partito Gioacchino Caianiello. Ai domiciliari per corruzione finisce il forzista Fabio Altitonante, consigliere regionale e sottosegretario della Regione Lombardia all' area Expo nella giunta del governatore leghista Attilio Fontana, a sua volta indagato per abuso d' ufficio.
Alla Camera dei Deputati il gip chiede di autorizzare l' arresto per finanziamento illecito del parlamentare azzurro Diego Sozzani, ex presidente della Provincia di Novara e già consigliere regionale in Piemonte dove è vicecoordinatore del partito. E un nugolo di contestazioni raggiunge dirigenti di municipalizzate e Comuni lombardi, tra i quali per abuso d' ufficio l' attuale direttore (Franco Zinni) del settore Urbanistica nel Comune di Milano del sindaco Beppe Sala, e per turbativa d' asta il responsabile operativo (Mauro De Cillis) dell' Amsa che gestisce i rifiuti del capoluogo lombardo.
Sono alcune delle letture giuridiche che i pm Bonardi-Furno-Scudieri - tra 12 arresti in carcere, 16 ai domiciliari, 15 obblighi dimora, e in tutto 90 indagati - danno ai rapporti diretti o mediati con l' imprenditore del settore ambientale Daniele D' Alfonso (Ecol-Service srl), l' unico al quale è contestata anche l' aggravante d' aver agevolato il clan di 'ndrangheta dei Molluso di Buccinasco facendone lavorare uomini e mezzi negli appalti vinti pagando tangenti.
Il che fa additare alla gip Raffaella Mascarino «uno scenario di bassissima valenza sociale» dietro il finto «fiore all' occhiello di un certo modo lombardo di "fare sistema"». L' imprenditore che ha a libro paga Tatarella (5.000 euro al mese come consulente per il «posizionamento sul mercato», viaggi, carta di credito e uso di tre auto), che versa 10.000 euro a Sozzani, che scommette 10.000 euro sul futuro consigliere regionale forzista Angelo Palumbo, che su richiesta di Andrea Grossi (figlio dello scomparso plurindagato re delle bonifiche) fa versare 10.000 euro a Fratelli d' Italia, e che per conto del top manager Luigi Patimo della multinazionale spagnola Acciona Agua anticipa 20.000 euro per la campagna elettorale di Altitonante, è infatti lo stesso D'Alfonso che con la propria azienda si presta a fare la faccia pulita del movimento-terra del clan del condannato per associazione mafiosa Giosefatto Molluso (9 anni e 3 mesi nel processo Infinito). Con due tossici risultati per il gip.
«Pesanti ripercussioni su gestione del denaro pubblico, libertà dei mercati, e corretto espletamento delle elezioni». E «tutta la fitta rete di collusioni intessuta da D' Alfonso con l' ambiente politico finisce con il convogliare parte delle risorse illecite, ottenute attraverso la perpetrazione di reati contro la P.A. proprio a favore di esponenti della criminalità 'ndranghetista che continuano a operare nell' hinterland».
2 - IL FEUDO, LE SOMME, L' AMBULATORIO «HO DATO DA MANGIARE A TUTTI»
Luigi Ferrarella per il “Corriere della sera”
La tangente aguzza la metafora. «Ho seminato talmente tanto! Io a tutti quanto ho dato da mangiare!», si vanta (ignaro di essere intercettato) l' imprenditore dele bonifiche Daniele D' Alfonso, che con una mano finanziava i politici per gli appalti e con l' altra poi vi faceva lavorare il clan di 'ndrangheta Molluso.
Certo bisogna però essere persone «educate», per lavorare a Milano, se per educazione si intende la disponibilità a ungere le ruote: è tutta una questione di rapporti, spiega D'Alfonso a un interlocutore, «a Milano vanno da un costruttore, il costruttore più forte, vanno e gli dicono "lui è mio amico, lo fai lavorare per favore?". Quello magari ha fatto un favore, lui gli ha fatto un favore a quello che dice "va bene... piuttosto che far lavorare un estraneo, faccio lavorare Daniele, Daniele mi sta simpatico, si fa voler bene, è una persona educata, lo faccio lavorare"».
Del resto non è che dall' estero diano lezioni migliori. D' Alfonso, ad esempio, agisce come tramite di Luigi Patimo (top manager della multinazionale spagnola Acciona Agua) nell'anticipare 20.000 euro di finanziamento alla campagna elettorale del consigliere regionale forzista Fabio Altitonante, che poi però deve darsi da fare (con le sue conoscenze al Comune di Milano quali il direttore dell' Urbanistica) per far ottenere un permesso (nonostante alcuni vincoli paesaggistici) di ristrutturare un immobile della moglie del top manager.
Il passo è breve da qui a un «sistema feudale», come lo chiama la giudice quando nelle intercettazioni ascolta parlare proprio di «decima» in relazione alla regola del 10%, fotografata nella realtà di Varese dove «i pubblici funzionari posti a capo di importanti società partecipate (Accam spa, Alfa srl e Prealpi servizi srl) o con ruoli chiave in Comuni (Gallarate) hanno ricevuto la loro investitura dal dominus dell' intero sistema politico e dell' imprenditoria pubblica della provincia», il forzista Gioacchino Caianiello.
«I pubblici ufficiali non hanno quindi bisogno di essere "avvicinati" dal "facilitatore" per essere messi in contatto con il privato corruttore, ma sanno "ab origine" di dover rispondere a determinate logiche corruttive e clientelari»: perché, «come accadeva nel sistema feudale, l' investitura non è elargita a titolo gratuito, ma comporta il pagamento della "decima" in favore del dominus. Che neppure ha l' onere di andarla a raccogliere, in quanto i suoi vassalli si premurano di consegnargliela direttamente nel luogo da cui esercita il suo potere».
Che, mentre a Milano è il ristorante accanto alla Regione già teatro nel 2011 di una consegna di tangente ad un assessore, e che gli indagati chiamano sarcasticamente «la mensa dei poveri», a Gallarate è un bar dove Caianiello riceve questuanti e complici, e che con humour chiama perciò «l' ambulatorio».
Il picco di surrealtà, nell' indagine della Dda guidata dal procuratore aggiunto Alessandra Dolci con i pm Silvia Bonardi, Luigi Furno e Adriano Scudieri, viene toccato con la scoperta di una tangente ideata su una sentenza di condanna per tangenti. Nel 2005 l' imprenditore edile Emilio Paggiaro, per un cambio di destinazione a supermercato dell' area ex Maino a Gallarate (Varese), si era visto pretendere 250.000 euro da Caianiello, vicenda per la quale a fine 2017 il politico varesino di Forza Italia (lo stesso poi protagonista dell' istigazione alla corruzione del governatore leghista Fontana nel 2018) era stato condannato in via definitiva per concussione a 3 anni di pena e 125.000 euro da risarcire alla parte civile concussa. I 3 anni non erano un gran problema per lui, perché coperti da indulto.
Ma il risarcimento sì, sia perché ingente sia perché (se non saldato) impediva a Caianiello di chiedere l'agognata riabilitazione funzionale a tornare ad assumere ruoli formali in FI. E così il medesimo imprenditore concusso nel 2005, avendo ora di nuovo interesse a un altro cambio di destinazione urbanistica che Caianiello gli garantisce, per questo promesso favore accetta di concordare con il suo concussore politico del 2005 una transazione (che costa gli arresti domiciliari anche all' avvocato Stefano Besani), in cui finge di aver da Caianiello ricevuto il risarcimento di 125.000 euro fissato dalla sentenza e gli rimborsa pure 36.000 euro di spese legali. Corruzione sulla sentenza per concussione: la tangente al quadrato, questa ancora mancava nell' hit parade post Mani pulite.
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peccatidipenna · 6 years ago
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Nessuno ti chiama per nome di Tommaso Occhiogrosso. Uscita prevista per il 30 marzo 2019. @lesflaneursediz #TRAMA Carmine è un ragazzino intelligente e sensibile, diverso da tutti i suoi coetanei e dalla gran parte degli adulti di sua conoscenza. Mentre i compagni passano l’estate a scorrazzare in bici per le strade di Oria, lui ama disegnare, soprattutto volti, rendendoli migliori e “più veri” su carta. Quello dell’appuntato Carbone, per esempio, lo intriga al punto da piazzarsi ogni giorno nella caserma dei carabinieri con la scusa di una bicicletta rubata, per coglierne le innumerevoli sfumature. È lì che, una mattina, un uomo va a denunciare la scomparsa della figlia Sashi, trovan�dosi davanti l’aria di sufficienza del maresciallo Biase. Carmine segue l’istinto e, con lo scarso aiu�to dell’italiano stentato di questo padre in lacrime, realizza un ritratto che viene affisso in paese. Ma a nessuno interessano davvero le sorti di una zingara. Solo a lui, che la prende tanto a cuore da portare avanti un’indagine in solitaria per ritrovarla, compiendo nel frattempo un percorso che lo allontana dai pregiudizi dei grandi e lo rende più simile all’uomo che vuole diventare. —— Cartaceo 15€ Pag. 228 —— #libri #pubblicazioni #ebook #leggerefabene #leggeremania #booklovers #leggere #letture #booknow #booklover #leggerechepassione #leggeresempre #bookaddicted #bookaddict #bookish #bookaholic #booknerd #bookworm #bookstagram #igreaders #bookaddiction #bookblogger #booklove #peccatidipenna https://www.instagram.com/p/BvbmwrXH1rm/?utm_source=ig_tumblr_share&igshid=kz4q050wa7yx
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fondazioneterradotranto · 6 years ago
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Libri| Quannu te cunta ‘u core
Sabato 12 gennaio 2019, alle ore 18.00, a Lecce, presso la sede dell’associazione Cecyntè (Piazza Duca d’Atene, 6), si terrà la prima presentazione di “Quannu te cunta ‘u core”, la nuova raccolta poetica di Ada Garofalo, edita da Musicaos Editore.
Interverranno il dott. Ilio Torre, psicologo e esperto di Psicologia Quantistica e l’editore, Luciano Pagano, che dialogheranno con l’autrice. Un inedito connubio inedito di “dialetto e jazz”, nel quale i versi letti dall’autrice e da Franco Manni (attore, autore e regista), si uniranno alla musica del sassofono di Fulvio Palese.
L’evento inaugura gli incontri de “Il Salotto di Cecyntè” dove gli artisti, nello spirito proprio del luogo, avranno modo di incontrarsi, arricchirsi, scambiare e nutrire esperienze. La lingua dialettale è materna, identitaria, ricchezza di suoni che nascono dall’anima, con lo stesso spirito con cui nasce la musica jazz; da qui l’incontro, anzi, gli incontri con il sassofono di Fulvio Palese e con le letture di Franco Manni, scrittore e regista di opere in vernacolo, attore e collaboratore storico di Ada Garofalo, sul palcoscenico. Parte del ricavato sarà destinata al Progetto Shala-tribalosophy in Kenya.
La poesia di Ada Garofalo dipinge con il dialetto salentino ciò che accade nel mondo, in una trasposizione fedele dei paesaggi e dei luoghi del ricordo. La realtà che l’autrice racconta è tangibile, e racchiude un invito a riconoscersi per fare ritorno a sé. Il dettato del cuore, che erompe senza avviso, non può esprimersi senza che prima non si sia creato, in noi, il silenzio. È il silenzio di una notte scura, rischiarato dalla luce della luna, capace di descrivere il momento in cui le forze sembrano mancare, svanito il desiderio stesso di raccontare; un viaggio, quello del lettore, che al suo terrmine lo ritroverà mutato, faccia a faccia con la propria anima, “cu’ l’anima/ ca chiama,/ ca sta tantu vicina/ … e me parìa luntana” (E me parìa luntana). Il punto di partenza e quello di arrivo coincidono, per chi avrà la consapevolezza che tutto è vita, il principio e la fine, lo spazio e il tempo, i ricordi, la tenebra del buio e la luce fioca, gli affetti più cari e i legami che si frantumano. L’autrice ci avrà dimostrato che il silenzio, anche quello più sottile e prezioso, non merita di essere scalfito, a meno che le parole non provengano dall’intimità del proprio cuore.
“Cecyntè” è una Dimensione fatta di accudimento, gentilezza, inclusione, assenza di giudizio, espansione, amore nelle piccole cose (prima che nelle grandi) e che pertanto potrebbe avere sede ‘reale’ nello Spazio del Cuore. “Cecyntè”, attraverso le sue attività, vuole semplicemente diffondere un messaggio ai suoi compagni di viaggio: l’augurio che ognuno di noi possa riscoprire dentro di sé, per poi condividerla con il resto dei mondi, questa Dimensione (Ceci-in-te).
Fulvio Palese è saxofonista, compositore, arrangiatore. Musicista poliedrico, ha studiato saxofono presso il Conservatorio di Lecce ed è dottore di ricerca in filosofia presso l’Università del Salento. Suona indifferentemente tutti i saxofoni dal sopranino al basso ed il clarinetto basso.
Ha approfondito lo studio del jazz fra gli altri con Roberto Ottaviano, Jimmy Owens, George Cables, Cameron Brown, Javier Girotto ed ha seguito masterclass di saxofono classico con Federico Mondelci, Antonio Jimenez Alba, Maurice Moretti, Mario Marzi.
Organizzatore e direttore artistico del festival “Il Jazz Sale” (Torre Suda – LE). Direttore artistico per la parte musicale del Mercatino del Gusto dal 2002 al 2007. Attualmente è ideatore e direttore artistico dell’Hypogeum Jazz Festival. Ha svolto e svolge un’intensa attività orchestrale in veste di sax solista con l’Orchestra Sinfonica di Lecce, l’Orchestra di Terra d’Otranto, l’Orchestra della Magna Grecia (Taranto), l’Orchestra Nazionale dei Conservatori, l’Orchestra Filarmonica “Nino Rota”, l’Orchestra fiati del Conservatorio di Lecce, la Swing Orchestra del Conservatorio di Lecce, la Small Jazz Orchestra del Conservatorio di Lecce. Molte le collaborazioni cinematografiche e teatrali in veste di compositore ed esecutore, fra cui: Cristina Comencini “Liberate i pesci”, Giovanni Veronesi “Manuale d’amore 2”, Andrea Coppola “2×2”, Michele Placido “Salento viaggio di poesia”, Vincenzo Bocciarelli “Mozart cocholate” e “Volo fra musica e parole”, Astragali Teatro, “Le vie dei canti”, Nanni Moretti,”Concerto Moretti”.
Attualmente è docente di saxofono jazz presso il Conservatorio “T. Schipa” di Lecce, docente di saxofono presso il Liceo Musicale “G. Palmieri” di Lecce, docente di saxofono presso l’Accademia DAMUS di Lecce e l’Istituto comprensivo “I. Calvino” di Alliste e docente di Improvvisazione e musica d’insieme jazz presso l’Associazione “Amici della musica” di Presicce. Tiene regolarmente seminari e masterclass di armonia e improvvisazione jazz.
L’autrice.
Ada Garofalo nasce il 18 maggio 1955 a Racale, in provincia di Lecce, dove attualmente vive. Dopo gli studi classici frequenta la Facoltà di Farmacia a Napoli, percorso che nel ’78 interrompe, sposandosi e trasferendosi a Milano, e laureandosi poi in Servizio Sociale presso l’Università degli Studi di Trieste. È madre di tre figli. Dipendente dell’Azienda Sanitaria Locale di Lecce, lavora da sempre nel campo della neuropsichiatria infantile.
Nel privato, fin dai primi anni novanta, si occupa di teatro e si appassiona alla lingua salentina, ricoprendo attualmente, e ormai da tempo, il ruolo di Presidente dell’Associazione Teatrale “Sinonimi e Contrarie” (ex Teatr’Insieme di Racale). È interprete e coautrice, insieme ai suoi storici compagni di viaggio (Maristella Gaetani, Gerardo De Marco, Franco Manni e, fino al 1996, Francesco Causo e Giampaolo Viva) di eccellenti lavori teatrali in vernacolo (a volte inediti, a volte liberissimi riadattamenti di opere già note), lavori rappresentati, con grande successo di pubblico e di critica, nei migliori teatri salentini: ‘A lingua t’‘a gente (1993); A ci tantu… a ci nenzi (1995); Gelosia … cci malatia (1996); Cchiù niuru te cusì… nu’ putia vanire (1998); T’aggiu spusata, sì… ma sapia ca eri murire (2000); Pelo e contropelo… e permanente per signora (2003); Quannu ‘u tiaulu ‘mpizza ‘a cuta (2004); Salvatore e i suoi fratelli. Lecce, Charleroi, Parigi, Toronto e ritorno (2010).
L’Associazione “Teatr’Insieme”, poi “Sinonimi e… contrarie”, dal 1996 fa parte e partecipa alle iniziative organizzate dal “Centro Studi R. Protopapa per la difesa e la promozione del Teatro e della Cultura popolare Salentina”.
Nel 2004, come componente del Centro Studi, Ada Garofalo partecipa insieme a Maristella Gaetani, ai lavori teatrali allestiti e rappresentati dai detenuti nella Casa Circondariale Borgo San Nicola di Lecce (“Pe’ nu piezzu te pane” e “Il figlio dell’Altissimo” di Giacomo Profilo); successivamente è tra gli interpreti, con alcuni detenuti, del lavoro “Secondo Qoèlet, dialogo tra gli uomini e Dio”, di Luciano Violante, per la regia di Giacomo Profilo, rappresentato nel Comune di Campi Salentino e al Teatro Politeama Greco di Lecce.
Nel 2005 partecipa al lavoro teatrale “Quannu foi ca muriu lu Pietru Lau”, liberamente tratto dai “Canti te l’autra vita” di G. De Dominicis, rappresentato al Teatro Politeama Greco di Lecce.
Nel 2014 pubblica, per i tipi di Grauseditore, “Gallinelle e nodi. Sabbia e poesia”, una raccolta di testi in versi e prosa, definita come “un viaggio che si snoda tra le pagine per esplorare la vita” (Valeria Naviglio), o come “un volo pindarico… un viaggio tra i pensieri… particolarmente intenso e profondo… uno stile letterario raro e prezioso” (Paola Bisconti), o ancora “La rivoluzione della semplicità… una raccolta di liriche che trasudano vita… anche quando dall’italiano si passa a quel sanguigno pugliese, ritmato al punto da ricordare i grandi maestri greci” (Sabatino Di Maio), o infine “Una preghiera laica, insonne, sommessa, moderna, di una donna del XXI secolo… un libro che si regge sulla parola… delicato, intimista… intrigante” (Francesco Greco).
Informazioni: Cecyntè, 3381218128 [email protected]
Musicaos Editore [email protected] www.musicaos.org tel. 0836.618232 / 3288258358
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unrelletable · 5 years ago
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Il 2019 è giunto al termine, e con esso la sfida che mi ero ripromessa di vincere. All’inizio dell’anno scorso mi ero imposta di riuscire a leggere almeno un libro ogni due settimane, per un totale di ventisei letture. Che ci crediate o meno, ce l’ho fatta. Negli ultimi dodici mesi ho sfogliato ben trentatrè libri: di alcuni mi sono letteralmente innamorata, altri li ho terminati giusto per dimostrare a me stessa che quando mi impongo di raggiungere un obiettivo poi ci riesco. Una delle mie intenzioni per il nuovo anno è continuare questa buona abitudine. Ho già steso una breve lista di titoli su cui prima o poi metterò le mani, e non aspetto altro che tutti i libri che ho addocchiato, e che al momento sono in prestito, tornino disponibili nella biblioteca della mia città. Quando invece inizierò a riscuotere il mio modesto stipendio è possibile che decida di comprare delle copie fisiche dei suddetti da tenere in casa e, chissà, magari un giorno - speriamo non troppo lontano - trasferire nella libreria di un posto che sia solo e soltanto mio. Ma oggi non è quel giorno, quindi per il momento mi limito a lasciare nero su bianco i dieci libri che ho amato di più tra quelli che ho letto nell’anno appena passato. Piccolo disclaimer: quella di seguito non è una classifica, i titoli sono in ordine sparso di gradimento.  
- Diego De Silva, Terapia di coppia per amanti: mi era stato consigliato un paio di anni fa dalla mia prima coinquilina. A distanza di quattrocento chilometri e una laurea, devo ammettere che ci aveva visto giusto: mi sono ritrovata più di una volta a ridere da sola ad alta voce, con i conseguenti sguardi straniti dei miei familiari. Se siete in una relazione con la stessa persona da tanto tempo - ma anche poco, chissà - è poco probabile che non vi ci ritroviate. Oppure semplicemente dovrei trascinare anche io il mio fidanzato da un analista.
- Chimamanda Ngozi Adichie, Half of a yellow sun: un pugno nello stomaco non è mai stato così piacevole. Sarà che la traduzione in italiano (Americanah l’ho letto così) secondo me non rende abbastanza, ma avere la possibilità di leggerlo in inglese ha tutt’altro effetto. Ci sono porzioni di storia che a scuola vengono saltata a piè pari: questo libro è un’ottima occasione per recuperarne almeno una piccola parte.
- Joël Dicker, La verità sul caso Harry Quebert: aveva fatto clamore quando io frequentavo il terzo o quarto anno di liceo, l’ho rincorso sugli scaffali della biblioteca per mesi senza mai riuscire ad impadronirmene e poi mi sono ricordata che era stato il regalo di Natale per mio nonno un paio di anni fa. Letteralmente bevuto in meno di quarantotto ore. Per quanto riguarda lo stile, vale quanto detto sopra. Ma la trama è talmente intrigante che dopo le prime cento pagine ho smesso di farci caso.
- Virginie Despentes, Trilogia della città di Parigi: un altro mattone da cui non sono riuscita a staccarmi (attenzione: ce n’è un altro più in là). Mille prospettive diverse in cui ogni personaggio non risulta mai banale. A metà tra l’onirico e il reale. E con un finale che non ti aspetti.
- Roxane Gay, Hunger: la storia di un corpo, ma anche dei corpi e del corpo. Femminile. La storia del rapporto con il cibo, che diventa allo stesso tempo una via di fuga e una prigione. Un altro pugno nello stomaco.
- Paul Auster, 4321: un classico su cui ancora non avevo messo le mani, e per questo motivo ha bisogno di poche presentazioni. Il secondo mattone della lista, ma ne vale assolutamente la pena.
- Paolo Giordano, Divorare il cielo: uno di quei romanzi da leggere sulla fine dell’estate, quando le giornate cominciano ad accorciarsi ma il sole è ancora bollente. Racchiude la giusta dose di malinconia per il periodo dell’anno tra fine agosto e inizio settembre, quando tutto sembra in attesa di qualcosa di drastico. Se soffrite di seasonal affective disorder, ecco, magari evitatelo.
- Gail Honeyman, Eleanor Oliphant sta benissimo: è stato il mio primo libro del 2019 e, come l’inizio di ogni anno, sembrava portare con se aspettative non soddisfatte. Non credeteci, è tutta una tecnica per sorprendervi quando meno ve lo aspettate. Consigliatissimo.
- Sally Rooney, Normal people: una storia d’amore, o forse no, o forse sì. La normalità delle coincidenze, degli amori lasciati in sospeso perché non ci si è resi conto effettivamente di che cosa siano, la giovinezza e la prima età adulta. Da evitare nel periodo di San Valentino, ma per il resto dell’anno va assolutamente più che bene.
- Matthew Kneale, When we were Romans: tiene con il fiato sospeso dalla prima all’ultima pagina. Vi basti sapere questo. E che non sempre tutto è effettivamente ciò che sembra.
- i (miei) migliori libri del 2019
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personal-reporter · 5 years ago
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Grappolo d'Oro di Chiuro 2019: quando il vino si fa poesia
La Valtellina è un territorio unico grazie anche ai vini prodotti sul versante retico terrazzato, dove nei secoli il paesaggio è stato plasmato in un luogo ideale dove produrre il Nebbiolo delle Alpi, amato dagli appassionati di vino, e in generale da viaggiatori, turisti e amanti della bellezza. Proprio per questo il Comune e la Pro Loco di Chiuro, da trentasei edizioni, organizzano il Grappolo d'Oro come un qualificato appuntamento con i vini valtellinesi e dal 30 agosto al 14 settembre, storia, incontri col gusto, momenti di cultura, spettacolo e musica faranno da sfondo alla principale protagonista della manifestazione, cioè la viticoltura di montagna valtellinese. Venerdì 30 agosto alle 21 a Chiuro il Castello Stefano Quadrio vedrà il concerto dei Baraccone Express. Musica da anticamera, un prestigioso quartetto la cui musica spazia dal mondo delle colonne sonore, alle incursioni nella musica gitana, fino ai sentieri dell’old time jazz, con Paolo Xeres, Luca Radaelli, Edoardo Tomaselli e Stefano Malugani. Alle 21 di venerdì 6 settembre Castionetto di Chiuro nella Chiesa di San Bartolomeo terrà Virgo Vox ensemble cantata a cappella, un ensemble vocale femminile che propone musica polifonica moderna e contemporanea e un repertorio esclusivamente vocale con musiche di Lang, Badings, Tavener, Camoletto, Britten e brevi letture tratte da testi di autori del Novecento. Sabato 7 settembre dalle 19 alle 23 a Chiuro si terrà AperitiVino, una manifestazione alla scoperta dei sapori tipici del territorio con i migliori vini della Valtellina, supportati dalle delegazioni AIS e ONAV di Sondrio, tra storia, incontri con il gusto, momenti di cultura, spettacoli e musica in uno scenario unico ed esclusivo. Da non perdere sono Wine tasting, le isole di degustazione dei vini valtellinesi a cura di AIS e ONAV: bianchi, bollicine, Valtellina Superiore DOCG, Rosso di Valtellina DOC, Valtellina Superiore Riserva DOCG, Sforzato DOCG, Cantine al buio, una degustazione in assenza di luce realizzata da Altravaltellina in collaborazione con Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti e Rìsc-food, un tagliere di salumi, taroz, fritule, focaccia valtellina e pizzoccheri. Alle 21 ci sarà Shiver Folk, con una Band Indie folk in concerto e alle 20:30 e 22:30 Kira la dea del fuoco, lo spettacolo del fuoco, oltre ai giochi dei nonni in legno della tradizione popolare per adulti e bambini a cura dell’esposizione Associazione Valtellinese Intagliatori. Domenica 8 settembre alle 10:30 a Chiuro presso il centro sportivo comunale si terrà la Camminata delle fontane, una manifestazione podistica non competitiva aperta a tutti. 3 km o 6 km e per tutti gli iscritti maglia ricordo. Dalle 10:30 alle 18 Chiuro nel centro storico proporrà Passeggiando nel medioevo, un viaggio  tra vie, corti, giardini e vicoli del centro storico dell’epoca medievale alla scoperta di antiche arti e mestieri attraverso esposizioni, laboratori e giochi di abilità per grandi e bambini, allietato da musiche e danze dell’epoca, nelle quali sarà anche possibile cimentarsi. Dalle 12 alle 14:30 lungo il percorso sarà possibile degustare piatti tipici della cucina medievale e ci saranno gli sbandieratori alle 11:30, un villaggio medievale dalle 10:30 alle 18 e i giochi dei nonni dalle 10:30 alle 18. Alle 17 la piazza Stefano Quadrio di Chiuro vedrà la Corsa delle botti, una gara a squadre, aperta a tutti, che consiste nel far rotolare, nel minor tempo possibile, una botte in legno della capacità di 225 litri lungo un percorso di 400 metri. Venerdì 13 settembre alle 20:45 presso l’Auditorium Comunale Valtellinesi nel Mondo di Chiuro è previsto FAI Brumotti per l'Italia, un incontro con Vittorio Brumotti, il testimonial del Fondo Ambiente Italiano, Campione del mondo di bike trial 2006, detentore di 10 Guinness World Record, che illustrerà l'Italia da scoprire e da proteggere. La manifestazione terminerà sabato 14 settembre alle 20:45 presso la Palestra centro sportivo comunale di Chiuro con una Rassegna di canto corale, dove parteciperanno il Coro Montagne Mie di Chiuro (direttore Andrea Briotti), il Coro Stelvio di Bormio (direttore Matteo Bertolina) e il Coro La Baita Gruppo Alpini di Carate Brianza (direttore Mauro Villa Verga). Chiuro, paese ricco di storia e tradizioni enogastronomiche, si trova sulla sponda destra del fiume Adda a pochi km da Sondrio, in Lombardia, allo sbocco del torrente Val Fontana, circondato dalle montagne e dominato da frutteti e vigneti, che, con i loro suggestivi terrazzamenti, rendono unico il paesaggio della Valtellina. Il suo ricco passato ha lasciato varie tracce che impreziosiscono il centro storico ed è un ideale punto di partenza per escursioni e passeggiate, tra rarità naturalistiche ed esperienze all'insegna della tradizione enogastronomica. Maggiori info si possono avere telefonando al numero 0342484213, scrivendo a [email protected] e su www.facebook.com/grappolodorochiuro Read the full article
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tmnotizie · 5 years ago
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PESARO – Da sabato 6 luglio, torna la rassegna di musica antica ‘Musicae Amoeni Loci’. La pieve di S. Stefano a Candelara, i castelli di Novilara e Gradara, la chiesa di Mombaroccio, la Biblioteca Oliveriana a Pesaro, il fiume di S. Maria dell’Arzilla, Villa Cattani Stuart a Trebbiantico, la Fonte dei Poeti di Sant’Angelo in Lizzola: sono queste le splendide cornici dell’edizione 2019.
Una proposta di valore che arricchisce l’offerta estiva di Pesaro Città Creativa Unesco della Musica. La rassegna è promossa dal Coro Polifonico Jubilate di Candelara in collaborazione con il Comune di Pesaro/Assessorato alla Bellezza con il sostegno di Polimor.
Willem Peerik, direttore artistico del progetto, sottolinea: ‘Racconteremo la storia dei luoghi con la musica, la danza, l’arte visiva e la parola; approfondiremo aspetti culturali e contempleremo tutto ciò che è Bellezza. L’esecuzione è sempre affidata ai migliori Maestri del panorama della Musica Antica e al Coro Jubilate, la professoressa Maria Chiara Mazzi terrà lezioni specialistiche leggere e coinvolgenti, Laura Corraducci ci donerà Poesia e Massimo Ottoni le immagini più evocative.’
Spettacoli e degustazioni sono a ingresso gratuito, eccetto l’apericena del 27 luglio a pagamento e su prenotazione. In caso di maltempo, gli appuntamenti potrebbero subire modifiche che saranno comunicate in modo tempestivo. Info 320 152440, 347 7552274, Centro Iat Pesaro 0721 69341.
Si ringraziano per gli spazi concessi, i servizi offerti e per la preziosa collaborazione: la parrocchia di Candelara, Villa Cattani Stuart Trebbiantico (Famiglia Tomassini), la parrocchia di Mombaroccio.
Programma
sabato 6 luglio, ore 21.15 Candelara, Pieve di S. Stefano
L’ARMONIA DELLE SFERE
Dall’origine pitagorica all’intermedio fiorentino
Massimo Ottoni: live video performance
Alida Oliva: soprano, voce recitante
Ensemble Rinascimentale del Festival
Coro Polifonico Jubilate di Candelara
degustazioni a fine concerto: Vini Il Conventino, Monteciccardo (PU) – Salumi Alessi, Villa Ceccolini (PU) – Forno Mosca, Villa Ceccolini (PU)
sabato 13 luglio ore 21.15 Novilara, Teatro del Castello
LEONARDO: L’INVENZIONE DEL GIRARROSTO
L’invenzione del girarrosto nacque a Novilara?
Coro Polifonico Jubilate di Candelara
Ensemble Rinascimentale del festival
Gruppo di danza storica Guglielmo Ebreo da Pesaro
degustazioni a fine concerto: Associazione “La Stele”, Novilara – Vini Cantina Bianchini, Cartoceto (PU)
giovedì 18 luglio, ore 21.15 Gradara, Cortile del Castello
IL SORRISO DELLA GIOCONDA
Il ritratto della musica in Leonardo da Vinci
Giovanni Cantarini, tenore e direzione
Ariel Abramovich, liuto
Gabriele Russo, lira da braccio, ribeca, viella
Laboratorio “Voce Poetica” del Liceo “Giulio Cesare – M. Valgimigli” di Rimini
sabato 20 Luglio, ore 21.15 Gradara
1424 L’ASSEDIO AL CASTELLO
Una storia di Dame, Signori e Cavalieri, Papi, Frati e Pellegrini
Massimo Ottoni, live video performance
Ensemble Medievale del Festival
Coro Polifonico Jubilate di Candelara
Coro San Giuseppe di Gradara
Gruppo di danza storica Guglielmo Ebreo da Pesaro
Corpo di Guardia di Gradara
domenica 21 luglio, ore 21.15 Mombaroccio, chiesa dei Santi Vito e Modesto
L’ARTE DELLA DIMINUZIONE
Virtuosi passaggi nei madrigali, mottetti e canzoni del Barocco
David Brutti, cornetto
Willem Peerik, organo
Degustazioni a fine concerto: parrocchia di Mombaroccio
giovedì 25 luglio, ore 21.15 Pesaro, Biblioteca Oliveriana
VINCENTII PELLEGRINI PISAVRENSIS
Vita e opere del musicista pesarese Vincenzo Pellegrini (1562-1630)
 Maria Chiara Mazzi, relatrice
Alida Oliva, soprano
Willem Peerik, clavicembalo
 degustazioni a fine concerto: Vini Il Conventino, Monteciccardo – Salumi Alessi, Villa Ceccolini  – Forno Mosca, Villa Ceccolini
 sabato 27 luglio, ore 21.15 Santa Maria dell’Arzilla, via Lunga presso Azienda Agricola Apearzilla
L’ARMONIA DI TARTINI
La teoria del Terzo Suono nella sua musica
Concerto in preparazione al 250° dalla morte di Giuseppe Tartini
 In collaborazione con il Tartini Festival di Pirano/Slovenia, Ensemble Frequenze Diverse/Bologna
Alle ore 19 apericena con prodotti tipici e vini biologici della Cantina Crespaia di Fano. Info, costi e prenotazioni: [email protected], Marcello 334.3774503, Alessandra 345.4750081
Degustazioni a fine concerto: Pro Loco S. Maria dell’Arzilla
mercoledì 7 agosto, ore 21.15 Trebbiantico, Villa Cattani Stuart
GIUSEPPE TARTINI: PIRANO – MARCHE – PADOVA
La storia della turbolenta vita di Giuseppe Tartini
Concerto in preparazione al 250° dalla morte di Giuseppe Tartini
In collaborazione con il Tartini Festival di Pirano/Slovenia, Ensemble Il Terzo Suono, Pirano
Maria Chiara Mazzi, guida all’ascolto
Degustazioni a fine concerto: Vini Cantina Bianchini, Cartoceto (PU) – Salumi Alessi, Villa Ceccolini – Forno Mosca, Villa Ceccolini
domenica 25 agosto, ore 21.15 Sant’Angelo in Lizzola di Vallefoglia, Fonte dei Poeti
L’INFINITO  a 200 anni della poesia di Giacomo Leopardi
 Ensemble Concordanze/Bologna
Laura Corraducci, letture e poesie
degustazioni a fine concerto: Vini Il Conventino, Monteciccardo  – Salumi Alessi, Villa Ceccolini – Forno Mosca, Villa Ceccolini      
Musicae Amoeni Loci
Direttore artistico Willem Peerik
Coro Polifonico Jubilate di Candelara, presidente Stefano Giorgi
Official sponsor: Polimor
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pangeanews · 4 years ago
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Quella vita di me**a di cui andare orgogliosi. Beccatevi questo capolavoro: si intitola “La vita schifa”, lo ha scritto Rosario Palazzolo. Per fortuna, si tiene alla larga dai romanzi italiani degli ultimi trent’anni
Questo è solo il parere di un autore, di uno scrittore che decide di occuparsi di un altro scrittore. E per quanto emendabile, questa puntualizzazione diventa necessaria quando uno come me (che ha fatto dell’integralismo estetico la propria religione) incontra un romanzo come La vita schifa (un’opera che diversi critici avranno chiuso a pagina tre, ma che proprio per questo merita un coraggioso approfondimento di cui spero di essere degno). Rosario Palazzolo non è uno scrittore puro. È un attore, tra le altre cose nel cast de Il Traditore di Marco Bellocchio. Ma ha sempre scritto monologhi e testi teatrali, racconti e romanzi. Ed ha sempre letto, essendo costretto a farlo per mestiere (gli scrittori possono bluffare sulla loro formazione, gli attori no perché i copioni non si possono improvvisare). E la prima sensazione che mi è venuta addosso, immergendomi ne La vita schifa, è che le letture di anni di palcoscenico si siano stratificate con una magnifica casualità, si siano sovrapposte come placche tettoniche in una specie di patchwork, raccogliendosi intorno a una trama di per sé non molto originale – sebbene frutto di una lodevole intuizione – fino a collocarsi in precise cavità coniche come la kriptonite di Superman. Ognuna al suo posto, con pochissime eccezioni. Questa perfezione involontaria, quasi inconsapevole, fa de La vita schifa (Arkadia Edizioni, collana SideKar diretta da Ivana e Mariela Peritore e Patrizio Zurru) uno dei libri più belli letti negli ultimi anni.
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Che Dio ci liberi dalla trama
Liberiamoci subito della presenza/assenza di Ernesto Scossa, killer di mafia che – una volta morto, anzi proprio in qualità di morto ammazzato – guarda la sua vita dal di fuori e la radiografa con lo scanner delle parole. Ne scaturisce una confessione amarognola, un atto d’accusa verso il mondo che respinge le persone in un angolo e verso sé stesso in quanto angolo del mondo. Ma non è questo che m’interessa evidenziare del romanzo, quanto la sua estetica e la sua lingua. Elementi che combinati diventano musica, giri di frasi che finiscono sempre nel modo giusto, senza mai una sbavatura, grovigli di pensieri misurati persino nell’abbuffata di aggettivi, schiocco di note che nascondono l’invadenza del racconto e fanno sembrare tutto così adeguato, necessario, puntuale come la morte (appunto). Scritto nel siciliano vero – non la lingua di Camilleri, ma un siciliano così vero da azzannare mentre lo leggi e lo sbagli – di chi a Palermo deve tutto, La vita schifa attraversa le stagioni di questo Ernesto con la presunta anarchia e la rinnegata lucidità dei veri artisti. Di chi sa dove condurre il Lettore, perché padrone della storia e libero da ogni compromesso commerciale. «(…) mi ricordo di lei distesa, piccola come le cose minute, mi ricordo che allungo una mano per toccarla e nel mio pensiero, nel mentre che la tocco, di colpo spariscono tutte cose, come se il padreterno ha deciso di voltarci pagina, era l’ottantacinque e io avevo quasi nove anni, nove anni, e cosa potevo saperne a nove anni, delle cose che cambiano, come potevo figurarmi le rivoluzioni del tempo che fanno scoppia lo spazio, tipo certe telenovele che si guardava mia madre, dove a un certo punto sparivano tutti, pure le città: sabrina morì nell’ottantacinque, il vecchio coi baffi se ne andò in pensione e il bar cominciò a vendere pure patatine, mia nonna la portarono al ricovero e io cominciai a odiare il fuxia, e i capelli annodati». Sorvolando sull’interpunzione, nel senso che sono davvero poche le virgole non necessarie al testo, il romanzo è quasi tutto avvolto in queste nuvole narrative straordinariamente brevi, veloci ed eroiche. Ecosistemi che non hanno bisogno di nulla e che nulla chiedono al Lettore, se non di fidarsi della scelta che ha fatto. Ecco, Rosario Palazzolo ha il merito di onorare quel patto non scritto – invece andrebbe stipulato ogni santo giorno, ad ogni scontrino emesso da una libreria – tra Lettore e autore. Non promette nulla, libera subito dall’orgasmo della trama – pronti partenza svelata, morto che parla – eppure accompagna per mano lungo strade strette e incantevoli, ai cui lati non ci sono stese le calze degli operai ad asciugare ma passati prossimi, trapassati, indicativi strabici e futuri anteriori che disorientano senza smarrire, incalzano senza spaventare. La vita schifa quasi non ha trama, ed è un bene che Editore e Curatori abbiano favorito questa condizione senza imporre – come forse avrebbe fatto qualsiasi altra casa editrice di medio/grande entità – una soluzione storica e filologica, una continuità narrativa prossima al severo sviluppo degli eventi. Palazzolo si fa dirigere dal testosterone, peculiarità che impone anche al suo personaggio, e utilizza la virilità come indicatore di una bussola: punta là dove c’è da fottere, oltre che da uccidere, e in questa rincorsa semiseria e drammatica allo sticchio si snoda una personalità rara, un personaggio senza carne, quasi spirituale, un uomo del quale – grazie al cielo – nessuno si ferma a dire com’è fatto e cos’ha detto, perché al Lettore interessa solo farsi attraversare da Scossa.
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Lui è Rosario Palazzolo
Nemmeno letto al premio Strega
La vita schifa è stato segnalato, più che opportunamente da una brava filologa come Giulia Ciarapica, all’ultimo premio Strega. Nemmeno preso in considerazione, anzi conoscendo i meccanismi forse nemmeno sfogliato dai giurati, il romanzo non è entrato in dozzina. Non lo faccio notare per stupore, ma perché i limiti di questi meccanismi sono così evidenti che, se avessero letto La vita schifa, i componenti del comitato direttivo si sarebbero accorti che questo libro si tiene alla larga da tutti i romanzi italiani degli ultimi trent’anni. Non è un romanzo banale, non è un romanzo borghese né noioso, non è romanzo sulla storia del Paese – che qualcuno ci liberi da queste sofferenze – e non è nemmeno il romanzo di un autore mandato dal Picone di turno: PD, Forza Italia o Sinistra radical chic che cita Hegel con disprezzo e legge Fabio Volo. Se lo avessero letto, quelli dello Strega avrebbero notato che La vita schifa è un capolavoro perché non ambisce a sopprimere nessuno dei difetti su cui si lavora per mesi nelle scuole di scrittura, non asseconda le pulsioni degli editor di far chiarezza dentro pagine in cui non ci sarebbe nulla da chiarire, non strizza l’occhio alle versioni più becere dei gialli verso cui da una dozzina d’anni proviamo una pulsione erotica tanto potente quanto ingiustificata, non apparecchia frasi memorabili con l’ambizione con finiscano in Smemoranda o nelle fascette editoriali che dicono cose tutte uguali e inutili allo stesso modo. La vita schifa è un capolavoro perché non ha alcuna ambizione di esserlo, perché non soffre della febbre sottocutanea dell’eternità. «Grazie molte, e sono io che ti devo ringraziare, gli avrei detto, a questo, perché soldi ce n’erano rimasti pochi visto che avevo chiesto a katia di non prenderne alla banca ché se uno deva andare a morire mica gli servono, e poi erano soldi dell’altra vita, c’avevo detto, e l’altra vita era finita, e per primo dovevamo crederci noi alla nostra morte o qualcosa del genere, mi pare, e così, il giorno dell’epifania, dopo l’applauso, tutto il paese è venuto a presentarsi con noi, tutti in fila con io sono tizio e io sono caio, e porco il precipizio erano dieci giorni che la gente sapeva che eravamo a apecchio e manco un saluto e adesso eccoli tutti apparati come se eravamo apparsi dal nulla in quel momento là». La vita schifa è straordinario per tante ragioni: soprattutto perché ignora la bigotta scuola italiana, quel retrogusto cattocomunista che ne immobilizza ogni (vera) evoluzione dai tempi di Ennio Flaiano. Senza storia, senza protagonisti, senza artefici, senza vincitori e vinti, ma con la forza della vita (sebbene schifa) che da sola basta a spingere un romanzo che avrebbe meritato molto di più quello che finora ha avuto.
Davide Grittani
*Davide Grittani (Foggia, 1970) ha pubblicato i reportage “C’era un Paese che invidiavano tutti” (Transeuropa 2011, prefazione Ettore Mo e testimonianza Dacia Maraini) e i romanzi “Rondò” (Transeuropa 1998, postfazione Giampaolo Rugarli), “E invece io” (Biblioteca del Vascello 2016, presentato al premio Strega 2017), “La rampicante” (LiberAria 2018, presentato al premio Strega 2019 e vincitore premio Città di Cattolica 2019, Nicola Zingarelli 2019, Nabokov 2019, Giovane Holden 2019, inserito nella lista dei migliori libri 2018 da la Lettura del Corriere della Sera). Editorialista del Corriere del Mozzogiorno, inserto del Corriere della Sera.
L'articolo Quella vita di me**a di cui andare orgogliosi. Beccatevi questo capolavoro: si intitola “La vita schifa”, lo ha scritto Rosario Palazzolo. Per fortuna, si tiene alla larga dai romanzi italiani degli ultimi trent’anni proviene da Pangea.
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