#menù di Natale
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Il nostro desiderio è quello di condividere i nostri pasti e le nostre scelte vegetali anche con gli altri e le feste possono rivelarsi l’occasione giusta per farlo. Ma come preparare un menù di Natale vegano per tutti?
#menù di Natale#Natale#menù di Natale vegano#Natale vegan#consigli#isabella vendrame#veggie channel#adatto a tutti
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#menù di questo pranzo di natale antipasto un pezzo di lasagna lasciato a metà e lacrime#davvero delizioso#il tutto durato dieci minuti#ma poteva andare peggio ! potevo reggere solo cinque minuti !!#che belle le feste e che bella la famiglia !!#che poi mi dispiace perché ho sempre amato il natale e continuo ad amarlo#ma negli ultimi anni è sempre più “pesante”#e mai come quest'anno spero che tutte ste feste passino in fretta#se penso che la prossima è natale mi prende una sincope per carità
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Il futuro dell'Europa. Immagina, puoi.
Zell am See, Austria.
Una cittadina nelle Alpi austriache, a 100 km. da Innsbruck, trasformato in Arabia Saudita grazie agli sforzi delle agenzie di viaggio locali.
Già 10 anni fa iniziarono ad attrarre turisti “ricchi arabi”. A loro è piaciuto così tanto che hanno deciso di non partire e, per non sentire la mancanza della loro terra natale, hanno rifatto tutto a loro piacimento.
Adesso la città è piena di ristoranti arabi, il menù è in arabo, i camerieri parlano arabo. Sono stati aperti supermercati halal, dove non c’è un solo prodotto locale, tutto viene importato dall’Iraq, dal Libano o dall’Arabia Saudita.
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Amavo il Natale da piccola. Ricordo perfettamente la vigilia, la strada per arrivare a casa di nonna con una Roma notturna che mi affascinava tanto, soprattutto passare sopra Corso Francia illuminato con quelle luci gialle, io lo chiamavo il ponte di nonno. Arrivare a casa e trovarla sempre perfetta con le sue decorazioni elegantissime in ogni angolo, il presepe con decisamente troppe pecore e il terreno fatto di ceci e lenticchie, le tante candele rosse sparse per casa (sì, una volta sono venuti i pompieri), i rami di eucalipto rosso, i fazzoletti ricamati a tema natalizio, il vassoio gigante degli antipasti con pomodorini, mozzarelline, carciofini, cipolline, olive e salamini tutto rigorosamente disposto in fasce precisissime, il pandoro con la candela sopra, il Mont blanc enorme e il dolce della castagna, noi tanti cugini che dopo cena andavamo ad addormentarci tutti accalcati sui divani di velluto mentre i grandi facevano la cioccolata (o in realtà preparavano i regali) e chi voleva andava a messa. Al loro ritorno si mangiavano i dolci e poi i regali. Scatola grande "aaah questi sono calzini!" e scatola piccola "finalmente delle scarpe", classica battuta degli zii o che adesso faccio io. Era molto bello.
Poi una grande fase di Natali divisi per due nuclei familiari, ma sempre belli bene o male. Vigilia con papà e nonna poi la mattina del 25 in macchina per scendere dagli zii e da mamma.
Da un po' di tempo abbiamo ricominciato a fare il Natale uniti. La famiglia allargata. I primi istanti non senza un pochino di imbarazzo ma per fortuna il ruolo di giullare mi riesce benissimo e devo dire ha aiutato tanto in quei momenti. In questi ultimi anni per me l'unica vera cosa che significa Natale è passare queste giornate con mia nonna. È l'unica cosa che mi preme. L'unica cosa per cui mi impunto.
Lo scorso Natale l'ho passato a casa col covid. Piangendo. Non per il covid, ma perché avevo infettato tanti miei amici ad una cena qualche giorno prima, rovinando il loro Natale e quello delle loro famiglie. Gli unici due giorni senza olfatto e gusto sono stati 24 e 25, come beffa del menù godurioso, credo. Col senno di poi ci rido e ci ridiamo sopra, soprattutto perché mi sono beccata il soprannome di Cavallo di Troia.
Quest'anno non sento il Natale ma non me ne dispiaccio. Nelle ultime 48 ore si sono susseguite una serie di notizie e cambiamenti di programma per cause di forza maggiore che all'ultima ho reagito ridendo. Si naviga a vista. Io, alla fin fine, vorrei solo mantenere la certezza del vedere nonna, controllare se il presepe ha sempre troppe pecore e il terreno fatto di ceci e lenticchie anche se adesso non lo fa più lei, portarle dei rami di eucalipto rosso, accendere tante candele rosse in giro per la casa, farla ridere e farle assaggiare il dolce della castagna.
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I film di natale ti fanno sperare per 1 ora e 40 nella possibilità di trovare l'amore della tua vita mentre stai scrivendo artisticamente il menù del ristorante della tua famiglia in un paesino sperso nel nulla... poi torni nella vita reale e ti fai una grande risata
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Nel cercare una pizza
Il socio vorrebbe pranzare con una 🍕. La decisione cade su Domino’s pizza che viene immediatamente escluso per mancanza di spazio interno. Siamo all’estero…
Ci fiondiamo nel locale poco più avanti dove nel menù c’è il famoso salmone con lenticchie. Il Natale è già qua, ma la pizza era buona.
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Oggi è il nostro anniversario. Ho lavorato soltanto mezza giornata, visto che i ragazzi sono già in vacanza, perciò mi sono dedicata al nostro menù: tortelli con la coda piacentini burro e salvia, cappelletti di bresaola (non sono veri cappelletti ma involtini di bresaola con la stessa forma) e pastefrolle di natale, e una un po' speciale, con scritto ti amo.
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Ci risiamo. La bolla mediatica pacifista, che attraversa trasversalmente le redazioni e produce l’italico Giornalista Collettivo con sciarpa arcobaleno al collo, è di nuovo all’opera.
È la stessa bolla che da quasi tre anni conserva l’opinione pubblica italiana in un liquido amniotico dominato dal wishful thinking, dallo scambiare i desideri per realtà e notizie.
È la bolla in cui l’invasione russa dell’Ucraina era una fantasia della CIA e in cui, nelle prime ore dell’invasione stessa, ci si ostinava ad accreditare l’idea che fosse limitata al Donbas. È la bolla che ha gridato mille volte alla pace imminente, che ha pompato i più improbabili e velleitari, quando non inesistenti, piani di pace, da quello dei cinesi alla mediazione del cardinale Zuppi.
È la bolla in cui si enfatizzano notizie alle quali siamo gli unici a dare importanza, cosicché chi nutre il vizio di leggere i media internazionali ha poi la straniante sensazione come di vivere in una dimensione parallela, in un tempo sospeso in cui, rispetto all’informazione italiana, si segue un’altra guerra su un altro pianeta.
Il menù odierno di questa cucina impazzita offre la “resa di Zelensky“. Messaggero: “la svolta di Zelensky: trattiamo“. Domani: ” la resa di Zelensky sul Donbass” (le due esse finali, con il disconoscimento della denominazione ucraina, sono del “Domani” ndr). La Repubblica: “La svolta di Zelensky“. La Stampa:” Pace in Ucraina. Zelensky apre“. Fino al trionfalistico “Abbiamo perso la guerra” del Fatto Quotidiano.
Sono tutti titoli di apertura, insomma è la notizia del giorno.
Inguaribili esterofili, non vediamo l’ora di divorarci la copertura di questa svolta epocale da parte della stampa internazionale. Ed è subito straniamento: sulle prime pagine di Ft, El Pais, FAZ non c’è lo straccio di una riga sulla “svolta”. Urge forse attraversare l’Oceano, ma sulla prima del WSJ non c’è nulla.
Problema di fusi o di chiusure precoci dei giornali? Nulla che non sia superabile con un rapido giro sui vari siti: BBC, NYT, Guardian… nulla, il mondo, con la sola eccezione dei media italiani, sembra non essersi accorto della resa di Zelensky.
A questo punto attendiamo “Le Monde“, che esce in tarda mattinata, sperando che ci tolga di dosso questa sensazione di alienazione. Ma anche a Le Monde, tra prima pagina e ben cinque pagine di Esteri, lo sbracamento di Zelensky che apre le porte alla pace risulta non pervenuto.
Non resta che andare alla fonte, al giornale, anch’esso francese, che ospita l’intervista che cambierà il corso della guerra.
La prima impressione, però, è che quelli di “Le Parisien“, se hanno fatto lo scoop di Natale, lo hanno fatto a loro insaputa. L’intervista con Zelensky è talmente esplosiva che non viene neppure annunciata in prima. Infine la troviamo e la cifra complessiva dell’intervista è riassunta nel titolo che riporta queste parole di Zelensky: “Bisogna rimettere Putin al suo posto“, il che configurerebbe la più bizzarra dichiarazione di resa della Storia.
Tanto più se associata alle dichiarazioni contenute nel corpo dell’intervista.
“Non importa quanti presidenti o primi ministri vorrebbero dichiarare la fine della guerra, non ci arrenderemo semplicemente né rinunceremo alla nostra indipendenza. Il pericolo consisterebbe nel dire: congeliamo la guerra e ci mettiamo d’accordo con i russi”.
(…) “Sedersi al tavolo con Putin in queste condizioni gli darebbe il diritto di decidere tutto nella nostra parte del mondo“.
Si scopre poi che la frase sui territori occupati, il chiodo a cui il nostro sistematico mediatico ha appeso il suo quadro immaginifico, è meglio leggerla per intero: “non abbiamo la forza per riconquistarli. Possiamo solo contare sulla pressione diplomatica della comunità internazionale per costringere Putin alle trattative. Sono sorpreso: perché l’Occidente che ci sostiene lo tratta con riguardo? Perché non ci ha dotato dall’inizio di armi massicce? Il mio discorso può sembrare insolente, ma ho l’impressione che siano tutti terrorizzati dalla Russia di Putin. Ha l’impunità”.
Rara avis, il Foglio spiega che “Zelensky sa che con Trump si avvicina un accordo e le armi scarseggiano sempre di più, gli ucraini hanno fatto il loro doloroso lavoro, adesso tocca agli altri dimostrare di aver capito la minaccia russa e prevenirla.”
E Paolo Mieli, un altro con il vizio della stampa internazionale, dice preoccupato a Radio24: “le parole di Zelensky sono un appello all’Europa a fare la propria parte, come a dire: io ho parlato con Trump, ho capito come vanno le cose, ora voi offritevi di fare la vostra parte. Io non sono ottimista su questo“.
Neppure noi siamo ottimisti. Ma una cosa l’abbiamo capita: l’unica “pace” che si può intravedere in filigrana dalle parole di Zelensky a “Le Parisien” non passa dalla resa ucraina strimpellata dal nostro imbarazzante sistematico mediatico, ma dalla svendita dell’Ucraina, da parte degli europei, al criminale regime di Putin.
Qualcuno rettificherà l’abbaglio del Giornalista Collettivo?
Lecito dubitarne. Già li vediamo impegnati a torturare i tasti per estrapolare, dalla fluviale conferenza stampa odierna di Putin, il distensivo riferimento al Bel Paese: “Nonostante ciò che sta accadendo oggi, sentiamo che nella società italiana c’è una certa simpatia per la Russia, così come noi abbiamo una certa simpatia per l’Italia”.
Al Cremlino, è chiaro, la compulsano attentamente la stampa italiana e ne apprezzano i voli di fantasia.
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La scelta degli ingredienti è la base per organizzare un menù di Natale gustoso, etico e rispettoso del nostro benessere; prepariamo un antipasto vegano e genuino con le gallette di riso integrale e il pesto di cavolo siciliano di Salvia.
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ORA ULTIMA: Natale senza olio? Ecco perché il prezzo è alle stelle e come tutelarsi. LEGGI SUBITO L'ARTICOLO COMPLETO ➡️ https://www.oraultima.com/olio-di-oliva-prezzo/
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Organizzare un pranzo di Natale perfetto: un'esperienza da gustare
Preparare un pranzo di Natale è un’impresa che richiede organizzazione, passione e un pizzico di creatività, ma anche un’ottima pianificazione. Pianificazione, organizzazione, creatività, menù natalizio, ricette, ospiti, famiglia, amici, atmosfera, convivialità sono solo alcune delle parole chiave che ruotano attorno a questo evento. Continue reading Organizzare un pranzo di Natale perfetto:…
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16 dicembre 2024
Oggi inizia una nuova settimana, manca poco al Natale, hai cominciato a pensare al menu della vigilia, o al menù del giorno di Natale? Non ti ridurre all’ultimo momento. In Italia non è uguale dappertutto, in alcune località si dà più importanza alla cena della vigilia, in altre al pranzo di Natale. Altra diatriba è la scelta tra il Pandoro e il Panettone, ma ogni regione ha il suo dolce…
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Cronache di un trasloco - giorno #10
Finalmente ho la connessione! ** Ero in crisi d'astinenza e adesso ho un sacco di cose da recuperare. La casa prende forma, anche se dobbiamo ancora mettere la tv e il mobile del salotto che arriverà il 28 dicembre.
Nel frattempo io e Davide ci siamo fatti prendere dallo stress pre-natale e stamattina abbiamo comprato i regali per tutti (ne manca solo 1) e di pomeriggio ci siamo messi a cucinare il menù della vigilia, per provare le varie ricette. Dire che sono a pezzi è poco, sono completamente distrutta.
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The Bear 2: se possibile, ancora più bella
La prima stagione di The Bear è ambientata nella cucina di un ristorante, ma in realtà è girata come fosse un film di guerra. La tensione e il livello di stress della brigata sembrano molto simili a quella dei soldati in trincea. Siamo a Chicago, nella paninoteca The Original Beef of Chicagoland, attività a conduzione familiare. Quando il titolare, Mikey (Jon Bernthal), si suicida, è il fratello minore, Carmy (Jeremy Allen White), a prendere in mano la situazione. Nonostante sia uno chef rinomato, quel posto per lui diventa la cosa più importante: salvare The Beef è il suo modo di affrontare il trauma. Se vi state chiedendo se sia necessario prendere dei tranquillanti anche dopo la visione dei nuovi episodi della serie, sappiate che la vera domanda è: la qualità di scrittura e recitazione è rimasta la stessa? La risposta è di quelle che non arrivano spesso: The Bear 2 è, se possibile, ancora più bella della prima.
The Bear 2: una scena
Avevamo lasciato Carmy e Sydney (Ayo Edebiri, sempre più brava) pronti a trasformare The Beef in The Bear, ristorante con ambizioni da Stella Michelin. Un'impresa, come scopriamo all'inizio di The Bear 2 praticamente disperata. Come la vita personale del protagonista, è tutto da ricostruire: l'impianto elettrico, le pareti piene di muffa, il menù. Per non parlare dello staff: per essere competitivi non basta più sapere fare i pancake, bisogna alzare il livello di gioco.
La metafora sportiva qui è d'obbligo: se infatti la prima stagione è girata come fosse il resoconto di una una battaglia, la seconda si trasforma in un racconto quasi sportivo. Non è un caso che venga costantemente citato il libro di Coach K, molto famoso in America, Leading With the Heart: a tutti i protagonisti è affidato un ruolo preciso, che aiuta tutta la brigata, proprio come fossero una squadra. Con uno spunto simile a quello di Ted Lasso, la cucina e lo sport sono in realtà un pretesto: al centro di The Bear 2 c'è la domanda delle domande. Qual è il senso della vita?
Il senso della vita in un cannolo
The Bear 2: un momento della serie
Chiamati a mettere ordine nelle proprie esistenze e a migliorarsi per riuscire a essere competitivi e aprire il nuovo locale in soli tre mesi, tutti i protagonisti devono necessariamente fare i conti con se stessi. A soppesare i propri punti di forza, gli errori, le debolezze. C'è chi ancora non si è ripreso da un divorzio, chi ha la madre malata, chi è incinta e non l'ha detto a nessuno. Qualunque sia il tormento personale dei personaggi, tutti arrivano a farsi la stessa domanda: qual è il mio scopo? Se lo chiede per primo Richie (Ebon Moss-Bachrach), che si definisce da solo "un uomo senza qualità". Eppure, investito di responsabilità e fiducia da Carmy, anche lui troverà il suo talento. Così come Marcus (Lionel Boyce), protagonista di uno degli episodi più belli, quello a Copenaghen, dove va per imparare i segreti della pasticceria.
The Bear 2: una foto di scena
Se inizialmente la risposta più facile alla domanda sembra essere quella di seguire un sogno con tutte le proprie forze, i personaggi, e in particolare Carmy, scoprono che il vero segreto della felicità è saper bilanciare la propria esperienza con quella degli altri. Un lusso per chi, come il protagonista, pensa di non meritarla e per questo anestetizza ogni desiderio, sacrificandolo sull'altare del successo. Quando però incontra di nuovo Claire (Molly Gordon), il grande amore della sua vita, a cui non ha avuto mai il coraggio di dirlo, tutto viene messo in discussione.
E proprio quando pensavamo che The Bear fosse diventato più introspettivo e rilassato, ecco che torna la guerra, esattamente a metà: l'episodio numero 6, Fishes, di un'ora, il doppio della durata classica, è un doloroso e sfiancante flashback, in cui assistiamo a una cena di Natale della famiglia Berzatto. Ci sono tutti: Carmy e i suoi fratelli, Mikey e Nat, i cugini, gli zii, Richie. E soprattutto mamma Berzatto, Donna. Non vi svelo l'incredibile cast chiamato a interpretare i parenti di Carmy (così come altre due guest star di enorme pregio presenti in altre puntate), ma siate pronti a emozioni forti. È qui che scopriamo perché il protagonista odia i cannoli siciliani. E una volta compreso, sarà un viaggio emozionante capire come se ne riapproprierà, con l'aiuto della famiglia che si è scelto, la sua brigata.
The Bear: tra le migliori serie degli ultimi anni
Di serie scritte e interpretate in modo magistrale ce ne sono diverse: Succession e Better Call Saul sono forse sul podio delle migliori viste negli ultimi anni. Ma The Bear non è da meno. Anzi: empatizzare con criminali e miliardari è una sfida che, da spettatori, si accetta. È un gioco. Vedere invece sullo schermo persone esattamente come noi, che vivono di piccole delusioni e felicità quotidiane, cercando di migliorarsi nonostante i fallimenti, può essere molto più destabilizzante: diventa quasi terapia.
The Bear 2: un'immagine della serie
La variegata umanità che vediamo nella serie creata da Christopher Storer è viva, vera, pulsante: impossibile non riconoscersi in almeno una delle fragilità che vediamo raccontate con una naturalezza e un realismo quasi spietato. A seconda delle esperienze personali e delle capacità individuali, il cammino di una persona può prendere svolte imprevedibili, su cui si ha pochissimo controllo. Un pensiero che terrorizza. E, di fronte al caos che è la vita - o la cucina di un ristorante -, per quanto si provi a darsi regole e obbiettivi la cosa più importante in assoluto è lo scambio con gli altri. Soltanto dalla condivisione può nascere qualcosa di bello e vero. Che sia un cannolo rivisitato o un rapporto, non necessariamente romantico, che ci cambia in meglio e ci fa capire che si può sempre ricominciare, reinventarsi. Se c'è la voglia di cambiare e di fidarsi di altre persone spaventate esattamente quanto te.
Conclusioni
In conclusione The Bear 2, la seconda stagione della serie con protagonista Jeremy Allen White è ancora più bella della prima. Il livello di scrittura arriva al livello della perfezione, il cast è sempre più affiatato e convincente. Senza svelare nulla, c'è poi una lunga serie di guest star di livello altissimo, che impreziosisce ancora di più questi nuovi dieci episodi. Se The Bear era quasi un bollettino di guerra, The Bear 2 diventa un racconto sportivo, in cui la brigata di Carmy si trasforma in una vera e propria squadra. Vero, sincero, quasi spietato nel suo realismo. Tra le serie migliori degli ultimi anni.
👍🏻
La scrittura praticamente perfetta.
La bravura di tutto il cast.
Le incredibili e numerose guest star.
La colonna sonora.
👎🏻
È veramente difficile trovare dei difetti a quella che è una delle migliori serie degli ultimi anni. Un deterrente potrebbe essere l'ansia che può derivare dalla visione in sequenza di più episodi.
#the bear#the bear fx#the bear season 2#the bear season 3#sydney adamu#carmy berzatto#disney plus#disney+#series review#review#recensione#recensione serie
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Ravioli al Nero di Seppia: La Ricetta Imperdibile
Quando mi accingevo a preparare un menù per una ricorrenza speciale, come Natale, Pasqua, Ferragosto o Capodanno, sapevo esattamente cosa fare: sfruttare l’occasione per sperimentare piatti più elaborati. Questi esperimenti avevano un duplice scopo: testare ingredienti e ricette nuove e osservare la reazione degli ospiti. Durante un cenone di Capodanno, presentai un piatto che divenne un grande…
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