#il tutto durato dieci minuti
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#menù di questo pranzo di natale antipasto un pezzo di lasagna lasciato a metà e lacrime#davvero delizioso#il tutto durato dieci minuti#ma poteva andare peggio ! potevo reggere solo cinque minuti !!#che belle le feste e che bella la famiglia !!#che poi mi dispiace perché ho sempre amato il natale e continuo ad amarlo#ma negli ultimi anni è sempre più “pesante”#e mai come quest'anno spero che tutte ste feste passino in fretta#se penso che la prossima è natale mi prende una sincope per carità
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Come mi sento? Mi sento come se avessero trascinato il mio corpo intorno alle mura di Troia 50 volte, dopo avermi brutalmente ucciso. Sentivo di andare in contro al patibolo, ho sentito la nausea dopo aver fatto colazione, ho sentito l'ansia di non arrivare in tempo, ho sentito la sfiga di vedere il professore partire dalla M anziché dalla A, interrogandomi per terzo, senza lasciarmi il tempo di ascoltare abbastanza interrogazioni per capire cosa volesse. Ho sentito caldo al ritorno in autobus, durato il doppio a causa dei lavori, della pioggia e degli incidenti. La musica nelle orecchie era a duemila. Ho sentito la delusione, la perdita di tempo, imbarazzo per una preparazione incompleta, insufficiente, il blocco della memoria che mi ha colpito su una domanda banalissima, ho sentito le altre domande del professore, l'ho sentito impuntarsi su ogni mia insicurezza, l'ho sentito dire alla classe, mentre tornavo al posto, che se si deve copiare almeno di farlo bene, di imparare tutto, di saper giustificare ogni scelta. L'ho sentito dire che non gli piaceva il modo in cui ho svolto il mio progetto. E soprattutto, nonostante mi aspettassi di dover rimanere lì fino a sera, dopo nemmeno mezz'ora in classe ero già uscito, con la bocciatura in tasca e la coda tra le gambe. Un'estate che avrei potuto vivere al massimo, buttata al cesso per due esami del cazzo che non hanno fatto altro che deprimermi. Quando qualcosa va bene, dura dieci minuti, quando qualcosa va male, sembra la fine del mondo, sembra che duri all'infinito e tutto il coraggio arrivato dai buoni risultati non solo viene spazzato via, ma si trasforma in paura, anzi terrore. L'umore va sotto i piedi, le emozioni si bloccano per non crollare definitivamente, tutti i casini si aggregano felici intorno a questo falò di sfighe, parlando male di me, come non potessi sentirli.
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È stato divertente rincorrere un mio compagno di classe per tutta la scuola, ridendo e andando a sbattere entrambi contro qualsiasi cosa e uscendo dalle finestre del piano terra per farmi restituire il cellulare.
La cosa strana è che di solito io e lui nemmeno ci parliamo. Oggi invece mi ha fatta ridere, rubato il cellulare, si è fatto inseguire e dopo avermelo restituito ha detto: “Mh.. ogni tanto ridi anche tu?! Quando lo fai sei più bella”. Poi ci siamo guardati e siamo scoppiati un'altra volta a ridere.
#me#pensiero#pensieri#scuola#vabbé#è stato strano#di solito le mie giornate a scuola sono un inferno#invece questa volta#anche se il tutto sarà durato si e no dieci minuti#ho riso#roba da notizia del semestre#dettagli#probabilmente tornerà ad ignorarmi#e io a starmene per conto mio#magari però una volta ogni secolo#si ricorderà che è riuscito nell'impresa di farmi ridere#oggi va così#che poi per me sono semplicemente gli ormoni#che girano attorno a tutte le persone#in questo periodo
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Al tramonto del duemilaventi,
Ho deciso di spendere due minuti per fare un resoconto. Nonostante non capisca bene questa tendenza alla compartimentalizzazione degli eventi in un anno e alla conseguente recensione di questo in base a suddetti eventi, senza tener conto di ciò che si protrae oltre, o di ciò che avviene prima, al momento il duemilaventi è ancora solo il duemilaventi. Il duemilaventuno è ancora tutto in potenza, tutto da scrivere. Per quanto ne sappiamo, la pandemia, la recessione economica, il cambiamento climatico, il razzismo sistemico, il capitalismo spinto potrebbero cessare esattamente il trentuno dicembre, a un secondo dalla mezzanotte. Anche se, da un punto di vista termodinamico, ma anche un po' filosofico, siamo già direzionati verso un duemilaventuno peggiore dell'anno (ancora) corrente. Un po' per entropia. Un po' per la legge di Murphy.
Il duemilaventi è durato otto mesi, ma quello che è avvenuto negli altri quattro è così essenziale, così terribilmente necessario alla storia umana, che solo quei quattro mesi verranno scritti e studiati, da qualche parte. E inconsapevolmente, temo che questo valga anche per me.
Nel duemilaventi ho pianto così forte che ho temuto di poter svegliare mio padre, a due porte di distanza. Ho scritto una tesi che non verrà mai stampata, e probabilmente neanche mai letta, se non da letteralmente due persone, delle quali una sono io. I ringraziamenti non verranno mai completati, anche se da scrivere ce ne sarebbe, e tanto. Nel duemilaventi ho litigato con i miei genitori, forte; ma poi ho anche compreso chi sono. Sono solo due versioni alternative di me, di quella trentina d'anni più vecchie, ma rimangono semplicemente... persone. Persone rotte, che hanno tanti consigli, e insegnamenti, ma che alla fine sono proprio come me. La realizzazione che non esiste un punto di svolta, o di improvvisa comprensione e trasformazione in una persona adulta, è essa stessa l'inizio dell'età adulta. E mi sono vergognato a morte, per quanto spesso ho pensato, e forse sperato, che un certo giorno mi sarei svegliato, e sarei stato meglio, perché sarei stato più maturo, e con la chiave di me stesso, finalmente, in mano mia. La mia famiglia è composta da quattro persone, tutte a loro modo rotte, rovinate, che hanno tentato con tutte le loro forze di non rompersi a vicenda, purtroppo fallendo la maggioranza delle volte. E adesso almeno tre di loro sanno, silenziosamente, che siamo davvero uguali. Non litigherò più con i miei genitori, almeno non come prima.
Nel duemilaventi ho perso un fratello, e la ferita era molto più profonda di quello che mi sarei mai aspettato. Per la prima volta nella mia vita relativamente priva di funerali, ho percepito l'effettiva assenza di qualcuno, come essa modifichi, storpi completamente una casa. Ed era solo un cane! Uno stupido cane del cazzo che non mi voleva neanche tutto quel bene, e con cui non passavo neanche tutto quel tempo! Ma è rimasto con noi così a lungo, che capii la mia reazione. Io non lo vedrò mai più.
La mia famiglia, e i miei genitori in particolare, ha perso o rischiato di perdere molte persone. Quelle che alla fine sono andate perdute per davvero hanno di nuovo cambiato gli orizzonti degli occhi di chi era loro vicino. E io, nella mia infinita presunzione, ho paragonato queste perdite alle mie - amici che partono, che potrebbe essere l'ultima volta che vedo o sento, con cui non mi scrivo più, che ce l'hanno fatta. Mi sono designato come l'amico che viene lasciato indietro, necessario per poter testimoniare, a tutti gli effetti, l'evoluzione di qualcun altro. Gli eccellenti sono eccellenti solo grazie ai mediocri alla fine. Non pensavo di poter raggiungere certi livelli di patetismo, ma in realtà sono a tali livelli da quasi dieci anni. Per quelli che sono rimasti, invece, non ho mai avuto così tanta paura.
Il duemilaventi è stato l'anno della mia radicalizzazione. I movimenti e le proteste di giugno, tumultuosi nonostante la loro breve vita e rilevanza, mi hanno contorto le budella, rendendomi più attento, più dedicato, ma a volte anche più acido. Ed è adesso, sei mesi più tardi, che sto modificando le mie visioni, per tentare di renderle migliori, forse. Forse, semplicemente non so neanche di cosa sto parlando.
Nel duemilaventi ho avuto i primi contatti con la dipendenza, anche se i sentori erano nell'aria già da un po'. In questi giorni non riesco a dormire, e non capisco perché. E una parte di me vorrebbe deificare queste cose, viverne e morirci, e ne sono spaventato.
Il duemilaventi è stato l'anno che mi ha sicuramente costretto a crescere, e costretto a cambiare, più in fretta della mia vita, e non credo di piacere chi sono adesso. Sono stato colpito dalla necessità di scrivere tutto ciò, nella speranza che da qualche parte i miei pensieri e ricordi, ancora freschi, possano continuare a esistere, e nella paura che io mi dimentichi tutto, come è già successo in passato. Ma ora, di tutte queste parole non so che farne, non so trarre una conclusione. Non so perché non ho incluso le parti belle dell'anno, una buona parte dei restanti otto mesi, tra queste parole. Alla fine, è come sempre - non so cosa voglio. Faccio qualcosa, ma in ultima analisi non so perché. Vado avanti per inerzia, e un po' per costrizione autoimposta, ma quest'anno, da un lato, sembrava la cosa più saggia da fare. Mi mancano tutti e non so quando li rivedrò, se li rivedrò, e vorrei solo poter dormire bene stanotte.
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LA RAPIDA SCALATA DI AARON WAN-BISSAKA VERSO LA GLORIA
Il giovane terzino del Crystal Palace è ad un passo dal Manchester United, dopo una grande prima stagione in Premier League.
”There wasn't much choice, if he hadn't played, I don't know who would have played there” (“non c’era molta scelta, se non avesse giocato lui non so chi avrebbe giocato”).
Il 25 febbraio 2018 il Crystal Palace fa visita al Tottenham per la 28esima giornata di campionato. Per i londinesi non è per niente un buon momento: le Eagles sono al 15esimo posto, e alle difficoltà sul piano della classifica si aggiungono una serie infinita di assenze ed un calendario abbastanza tosto, con Spurs, United, Chelsea e Liverpool da affrontare nell’arco di un mese.
Roy Hodgson, che siede sulla panchina dopo aver preso il posto di Frank de Boer, deragliato nel suo progetto tecnico durato solo quattro partite, si trova privato tra gli altri dei terzini destri alternati fino ad allora in campionato, Tim Fosu-Mensah, Joel Ward e Martin Kelly. L’ultra 70enne allenatore lancia allora nella mischia il giovane Wan-Bissaka, da poco aggregato alla rosa della prima squadra e fino ad allora comparso soltanto una manciata di volta nelle distinte di gara, come ultimo panchinaro.
“Il giorno prima della partita hanno esposto la formazione sulla lavagnetta, io ho guardato prima i nomi in panchina, partendo dal fondo, ma non c’ero. Non so chi mi ha toccato la spalla, ma questo mi ha fatto guardare in cima alla lista ed ero lì, terzino destro”, ha dichiarato ripensando a quel momento.
Per il suo primo tackle è sufficiente aspettare dieci minuti, quando rincorre Ben Davies per qualche metro e recupera palla in scivolata. Inizia così la carriera in Premier League di Aaron Wan-Bissaka, uno dei più chiacchierati e promettenti giovani inglesi, destinato a far parlare a lungo di sé da qui in avanti.
Fino ad allora, Wan-Bissaka – nato a Croydon nel novembre del 1997, a pochi chilometri di distanza dal Selhurst Park, lo stadio appunto del Crystal Palace – si era fatto tutta la trafila nelle giovanili della compagine londinese, venendo poi aggregato alla rosa della prima squadra con una manciata di apparizioni in panchina. È sempre stato un’ala, dotato di accelerazione ed eccezionale nel dribbling. Quando i suoi allenatori dell’Under 23 lo hanno provato in posizione di terzino, lui non ne era per niente contento. “Non potevo esprimermi andando avanti. Questo non sono io”. Eppure il giovane Aaron non si è dato per vinto, ma anzi ha iniziato a fare pratica nel ruolo e a sottoporsi a delle sessioni di esercitazione difensiva extra. Negli allenamenti con la prima squadra si trova ad affrontare Yannick Bolasie e Wilfried Zaha, e ciò gli permette di affinare due diversi aspetti chiave del gioco difensivo ( la fisicità del primo, la tecnica e velocità del secondo), e i progressi sono all’ordine del giorno. Dove non arriva il talento naturale, arriva la voglia.
Nella più classica delle situazioni in cui o impari a nuotare o anneghi, Wan-Bissaka è stato buttato nella mischia trovandosi nelle sue prime tre partite da professionista ad affrontare Christian Eriksen, Alexis Sanchez ed Eden Hazard. Gioca sei partite consecutive, dalla 28’ alla 33’ giornata, contro Tottenham, Manchester United, Chelsea, Huddersfield, Liverpool e Bournemouth, in un filotto che terrorizzerebbe anche giocatori ben più esperti. Con il temporaneo rientro di Ward torna poi in panchina per le successive quattro gare, giocando però l’ultima in casa contro il West Brom. Anche se a livello di squadra i risultati non sono del tutto esaltanti – la squadra finisce giù al 18 esimo posto, anche se poi si rialza chiudendo l’annata con 4 vittorie su 5 gare – a livello personale si comincia ad intuire che il ragazzo ha del potenziale notevole.
Il miglior terzino difensivo della Premier League.
Nella stagione 2018/19 è ovviamente un titolare fisso, giocando 35 partite su 38. Hodgson è un allenatore vecchio stampo, la cui preoccupazione primaria è la compattezza difensiva e la solidità. Il suo Crystal Palace, schierato col 4-4-2 o 4-3-3 a seconda di avversario e stadio, è più che altro basato sul fisico, con poca creatività a centrocampo e le iniziative affidate più che altro alla coppia di esterni, Zaha e Towsend. La squadra fatica a costruire azioni palla al piede, mentre si trova più a proprio agio nelle ripartenze e negli spazi aperti da attaccare, e in questo senso non è un caso che siano gli unici ad aver realizzato più punti fuori casa, quando gli avversari attaccano di più, rispetto che nel proprio campo, quando gli viene concesso più possesso palla. In questo contesto, Wan-Bissaka è il giocatore perfetto.
Alcuni esempi di cosa voglia dire trovarselo di fronte. Vittime illustri, tra gli altri, Sané, Mané e Son.
Calcisticamente, la sua qualità migliore è senza dubbio il contrasto. Il dato su questo fondamentale difensivo solitamente è a favore dei centrocampisti, che per caratteristiche e zona di campo in cui agiscono sono portati ad effettuarne in quantità maggiore nel corso della partita. Wan-Bissaka è ottavo per contrasti tentati (139) – l’unico difensore prima di lui in elenco è Pereira del Leicester, altro terzino destro autore di una stagione ad altissimo livello – ma è terzo per contrasti riusciti (129, valore più alto nei cinque maggiori campionati europei tra i difensori), e ciò lo porta ad avere una percentuale di successo addirittura del 93%. Rovesciando il dato, questo significa che è stato superato soltanto 10 volte, il 7%, compiendo soltanto 22 falli in totale. Un dato di per sé incredibile.
Non ha alcuna paura ad affrontare in 1 contro 1 l’avversario, anche in spazi aperti, potendo contare sulle sue qualità fisiche e di comprensione del gioco.
I passaggi intercettati sono invece 84, soltanto uno in meno del capolista Capoue (centrocampista di una squadra molto aggressiva e reattiva come il Watford). 128 le spazzate (sesto tra i difensori, e nella Top 30 tra tutti), 33 i passaggi respinti (32esimo), 30 i cross respinti (secondo) e 16 i tiri respinti (34esimo). Giustificato, in pieno, il soprannome di “ragno”, datogli dai compagni di squadra.
Quello che i numeri ci restituiscono, in campo è molto evidente. A balzare all’occhio sono le sue qualità nel tempismo e nella scelta del momento giusto in cui allungare il piede, con il suo stile di gioco fortemente favorito dalla concentrazione, dall’agilità e dalle lunghe leve, che gli permettono accelerazioni e scatti sia sul lungo che sul breve. È un maestro nel far finire l’avversario in fuorigioco, muovendosi in anticipo, anche se solitamente tende ad aspettare dietro e poi recuperare effettuando il contrasto. Altra cosa che impressiona è la capacità di adattamento: c’è stata ad esempio una partita contro il Burnley in cui la squadra di Dyche ha provato a colpirlo in uno dei suoi presunti punti deboli – i palloni alti – e Wan-Bissaka ha risposto con la più alta percentuale di successo nei duelli aerei della sua squadra.
Fase offensiva.
Per quanto il punto di forza di Aaron Wan-Bissaka sia la fase difensiva, il giovane terzino inglese è competente anche in attacco. Unisce velocità ed agilità ad una grande qualità nel dribbling e soprattutto nelle finte. Nel suo ruolo è primatista in Premier League, sia per dribbling tentati (90) che riusciti (61), e in questo è molto favorito dal suo passato: “come ex-ala, capisci cosa stanno cercando di fare: in che modo potrebbero andare, come stanno pensando. Puoi anticipare le cose più facilmente”.
Un esempio di disimpegno in mezzo a tre avversari, con pausa e dribbling in un fazzoletto e attacco della linea di fondo.
Alle volte può apparire un po’ goffo sul pallone, o scoordinato, ma è invece molto efficace sia nel controllo di palla che nella successiva gestione. Effettua quasi due cross a partita – nella stagione appena conclusa ne ha fatti 76, con il 21% di successo – che in totale hanno prodotto tre assist, e quattordici key passes. Per quantità, sono numeri di molto inferiori ad altri suoi colleghi (soprattutto nella stagione della consacrazione di Robertson e Alexander-Arnold), ma di nuovo non va dimenticato il contesto, sia come stile di gioco che come livello dei compagni.
Grazie all’ampia falcata, gli bastano letteralmente un paio di passi per creare separazione dal suo avversario diretto. Con tutto quello spazio per calibrare il cross, e con una maggiore presenza in area, le chances di segnare dovrebbero essere considerevoli.
Come detto, nel sistema di squadra del Palace il compito di attaccare è affidato più che altro agli attaccanti esterni, con il terzino che deve accompagnare l’azione ma sempre con un occhio a non lasciare scoperta la sua zona, in una sorta di controtendenza rispetto al calcio di oggi, sempre più orientato all’importanza di quel ruolo all’interno dell’attacco. Data la tendenza di Zaha e Towsend ad accentrarsi verso l’area, ai lati del campo c’è spesso parecchio spazio libero. Il suo utilizzo non è quello di un giocatore in ampiezza, già alto a fare da sponda esterna, quanto più che altro di partire da dietro in accelerazione o con la palla tra i piedi, preferendo correre lungo una corsia interna.
I due assist realizzati in stagione (contro Burnley e Bournemouth), entrambi per Batshuayi, hanno seguito lo stesso copione: Zaha si accentra per ricevere palla, allarga verso il terzino inglese e attacca subito l’area di rigore, attirandosi le attenzioni della difesa – è pur sempre quello che per quantità dribbla di più in Premier League - e lasciando scoperta la zona destra di campo.
Un futuro al Manchester United?
Il talento di Aaron Wan-Bissaka non è ovviamente passato inosservato agli occhi delle Big d’Inghilterra. La squadra che pare più vicina è il Manchester United, che ha visto in lui la pedina perfetta per sistemare un ruolo in cui ha è carente – i vari Valencia, Young, Darmian e Dalot, non garantiscono una stagione ad alto livello, sia per motivi anagrafici che di adattamento al campionato –, andando a rinforzare una difesa iper perforata (54 reti subite in campionato, decisamente troppe) ma al contempo offrendo una copertura totale della corsia destra, anche avanzata, dove tatticamente lo United ha un “buco” avendo sempre impiegato dei giocatori che tendono ad accentrarsi (come Mata o Lingard).
Degli esempi di heatmap di Aaron Wan-Bissaka in occasione delle sue tre migliori prestazioni in stagione a livello di valutazione, contro Fulham, Everton e Burnley.
Il prezzo del cartellino, se confermato, si aggirerebbe sui 50 milioni di sterline bonus compresi: potrebbero sembrare tanti, per un giocatore con 40 presenze in un club di media classifica ed un paio di apparizioni in Nazionale, ma stiamo parlando di un 21enne con un potenziale enorme, e alla fine potrebbero addirittura rivelarsi pochi. D’altronde, solo un anno e mezzo fa fece molto rumore l’acquisto di van Dijk per 75 milioni, ma poi sappiamo tutti com’è andata a finire.
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L’incontro è fissato per le undici del mattino ed io arrivo con tre minuti di ritardo.
“Pè”, mi sento chiamare da una voce squillante. Mi volto e trovo Mohammed che mi saluta a dieci metri di distanza.
E’ alto almeno venti centimetri più di me e ben piazzato, ma un viso da bambino cresciuto troppo in fretta si fa spazio nei suoi lineamenti adulti.
“Cominciamo” gli dico. “Cominciamo” mi risponde.
Quanti anni hai?
Ho 32 anni.
Da che nazione vieni?
Arrivo dal Niger e sono in Italia da 8 anni.
Qual è stato il motivo che ti ha spinto a partire dal tuo Paese per arrivare in Europa?
In Niger lavorava mio papà, era falegname. Quando c’era lui si stava bene: si occupava dell’arredamento delle case universitarie. Dei mobili, delle sedie, dei letti.
Noi siamo una famiglia numerosa e lo aiutavamo nel suo lavoro: ci pagava bene.
Quando lui è morto, mio fratello ha preso il suo posto: abbiamo avuto degli attriti perché lui non è come papà, ci ha trattato diversamente. Poiché non volevo problemi con lui, ho cercato di andare via e di trovare un altro lavoro.
Così mi sono detto “vado in Libia” ed ho iniziato a lavorare a Tripoli. Avevo quasi 15 anni.
Ho optato per la Libia per la vicinanza territoriale: la poca distanza mi permetteva di fare andata e ritorno. Stavo un anno lì, tornavo al mio Paese per trovare la mia famiglia e poi riprendevo il mio lavoro in Libia.
Facevo avanti e indietro, perché comunque avevo i giorni di ferie come accade qui. Prendevo le mie cose e me ne andavo.
In Libia come si stava?
Guarda, ti dico la verità, stavo proprio bene. Molto meglio che qui in Italia. Lavoravo bene.
Ho preso i loro documenti ed ero regolarmente soggiornante. Quando è arrivato il momento della guerra, però, loro mi volevano militare. Ma quello era uno scontro voluto da gente che non voleva Gheddafi. Al mio Paese io non ho mai fatto la guerra, al paese degli altri non ne faccio.
Alcuni miei amici sono proprio partiti come militari e sono diventate milizie libiche, ma io ho deciso che non volevo.
La Libia è un paese molto particolare e delicato: quando è scoppiato il conflitto le prime persone ad essere ammazzate erano i ragazzi di colore. Questo è successo perché lì ci sono razzisti molto più che in Italia.
In Libia c’è molto, molto razzismo.
L’Italia al confronto è zero.
Come se non si sentissero africani?
No, no. Loro si sentono africani ma pensano “sto bene e posso fare quello che voglio”: si sentono superiori rispetto al resto dell’Africa, superiori agli europei.
Quando c’era Gheddafi stavano tutti molto bene, ognuno poteva permettersi cioè che desiderava.
In Libia in che anno sei arrivato e che lavori hai fatto?
Sono arrivato agli inizi del 2000, nel mese di Agosto.
Ho fatto un bel po’ di lavori: muratore, falegname, cuoco e guardia del corpo. Accompagnavo la persona in questione con sua moglie durante i loro spostamenti, mi occupavo di tutte le cose che lo riguardavano.
19 Marzo 2011: la Francia bombarda la Libia. Poche ore dopo, seguono i missili britannici. 25 Marzo 2011: comincia l’Operazione Unified Protector guidata dalla NATO. Come hai vissuto questo avvenimento?
Io ho visto una cosa che non dimenticherò mai nella mia vita: la guerra.
E la guerra non la dimenticherò mai, mai, mai, mai.
Perché ci sono gli aerei che bombardano e subito dopo le persone ammazzate come fossero cani. E nelle case? Sai quante persone sono state ammazzate? Solo perché dicevano di non voler andare in guerra.
Ma quindi le cosiddette bombe intelligenti…
Puh, puh, puh… Io ero dentro Tripoli! Nel cuore della città! Ho sentito come un terremoto quando hanno gettato le bombe.
E’ stata una cosa paurosa. P-a-u-r-o-s-a.
Dopo il 19 Marzo 2011 le cose non sono andate meglio? Non è stata una cosa positiva?
No, assolutamente. Anche perché già era una situazione complessa, delicata, ingarbugliata. Un sacco di miei amici sono morti: uno è stato ucciso mentre era dentro la sua macchina, uno a casa sua per una bomba, un altro ammazzato da un proiettile. In Libia non si capisce niente, chi ha ragione e chi non ha ragione.
C’è un bordello, non sai neanche dove puoi passare. Quindi mi sono detto: “Meglio andare via. Io non voglio andare in guerra. Non voglio fare la guerra.”
Tu hai fatto una scelta molto decisa.
Ho fatto una scelta molto decisa, si. Grazie anche ad amici in Libia che mi vogliono molto bene, che mi hanno ben consigliato, che mi hanno voluto aiutare. Anche perché io avevo documenti libici, il passaporto regolare, ero un uomo libero.
Tu volevi venire in Europa?
No, non volevo. Mi hanno mandato insieme ad altre 700 persone. Desideravo ritornare a casa mia ma non è stato possibile. Speravo di andare a trovare mia mamma, perché nel mio cuore avevo paura di morire. Vedere gente ammazzata come cani è dura. Da quel momento, non ho neanche pensato di arrivare, pensavo sarei morto.
Pensavi di morire?
No! Io pensavo “sono già morto” vedendo quante persone sono state ammazzate.
Non c’era nessuno che respirava. Le strade erano deserte, senza persone che camminavano. Rischiavi di essere sparato senza sapere il perché, chi fosse.
In quel momento ho pensato: “io muoio in Libia”.
Ho la pelle d’oca…
Si…
Noi avevamo le armi. Mi hanno dato kalashnikov, pistole.. tutto. Ero armato proprio come un militare. Quindi ho detto: “Muoio”. Perché quando c’è la guerra, tu non sai cosa succede. Ho visto tantissimi libici, amici miei, militari, a terra: nessuno era più vivo.
Tutti morti.
Tu conoscevi quindi persone al fianco di Gheddafi?
In Libia c’era un pezzo grosso, era parte della famiglia di Gheddafi. Io lavoravo per lui, era il mio capo.
Era il tuo datore di lavoro?
Si, era il mio capo: ci dirigeva, ci comandava. Era il nostro responsabile. Durante i bombardamenti mi ha detto: “Andate via!”
Mi ha dato dei soldi e mi ha detto: “Cerca di tornartene al Paese tuo”.
Ma dove potevo tenerle tutte quelle banconote? Le ho nascoste sotto terra, le ho davanti agli occhi ancora adesso. Ma non potevo prendere quel denaro, non potevo camminare con quei soldi. Quindi li ho lasciati.
Fammi capire, lui ti ha dato i soldi e ti ha detto “tu devi andare via”?
“Scappa, scappa via!”
Questo nel 2011…
Si! “Scappa via” e io gli ho risposto “E dove scappo?”
Incredibile…
Si! Gli ho detto “E dove, dove scappo?”
Perché, essendo la sua guardia del corpo, abitavo dentro casa sua. Ho scavato una buca ed ho messo i soldi dentro una valigia sotto terra. Ma non serviva a niente, perché io dove andavo con quel denaro? Era un problema: le banche non lavoravano più, tutte rovinate o distrutte. Tutte chiuse. Non c’era più movimento. Pure i supermercati erano chiusi.
Una città fantasma?
Una città che non serve più a niente e non vale più niente.
Quindi sostanzialmente ti hanno dato dei soldi e ti hanno messo in una barca?
No, no, no… I soldi li ho lasciati lì, non ci facevo niente.
Ho cercato in tutti i modi di andare via. Poi una persona mi ha detto: “Vai coi militari, vai via con loro e noi cerchiamo un posto per mandarti via”.
Ho risposto di si, che andava bene. Loro mi hanno munito di tutto, anche delle armi.
La sera mi hanno portato, c’erano circa 50 persone. Tra questi erano presenti anche libici che volevano venire con noi perché fuggivano dalla guerra e desideravano una vita normale.
Quando è arrivata la notizia di una barca libera, c’hanno preso tutte le armi che avevamo: con 50 kalashnikov e con le pistole ci fanno i soldi. Poi hanno caricato me e gli altri su un pullman e quando siamo arrivati al luogo stabilito, c’hanno cacciato i vestiti e dato indumenti normali.
Abbiamo fatto un giorno di cammino e poi trovato la barca coi trafficanti che ci aspettava.
Erano organizzati.
Siamo saliti su una barca dove c’erano più di 600 persone a bordo.
Sono partito da Tripoli ed arrivato a Lampedusa. Il viaggio è durato sei giorni.
Sei giorni?
Sei giorni in mezzo al mare, senza mangiare assolutamente nulla.
Alcune persone sotto di noi sono praticamente morte perché non c’era aria, non c’era niente. Non respiravano. Sopra era meglio, sotto invece c’era solo un buco per prendere aria, c’era il caldo asfissiante del motore, avevano noi sopra, quindi…
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Cos’è che Elon Musk non può fare?
In quanto CEO di SpaceX e di Tesla e cofondatore di OpenAI, Musk sembra essere ovunque nello stesso momento, pronto a sviluppare ogni tipo di nuove tecnologie. Pare che non sarà felice finché non saremo scappati dalla Terra e avremo colonizzato Marte, anche se ultimamente ha dovuto ridimensionare i suoi piani.
Da un punto di vista più pratico, Tesla ha appena annunciato la sua Model 3 – un’automobile elettrica da 35.000 dollari che potrebbe essere la svolta per il futuro di questo tipo di veicoli.
Tra razzi spaziali, auto elettriche, batterie solari, sperimentazioni su robot killer, e con tutti i miliardi guadagnati lungo la strada, Musk è essenzialmente un Toni Stark della vita reale – che è il motivo per cui è stato preso a riferimento dalla serie cinematografica “Iron Man”.
Non è stato sempre così facile per Elon Musk. Vedremo come a scuola sia stato oggetto di bullismo, poi diventato un piccolo imprenditore, fino a essere CEO di due grandi aziende dal carattere quasi fantascientifico…e come tutto ciò stesse per lasciarlo completamente sul lastrico.
Elon Musk è nato il 28 giugno del 1971 a Pretoria, in Sudafrica.
Wikimedia CommonsSuo padre Errol Musk, un ingegnere elettronico, ha detto una volta: “Elon è sempre stato introverso. Dove un sacco di persone sarebbero andate a una bella festa per divertirsi, bere e chiacchierare di qualsiasi cosa come il rugby o lo sport, Elon si sarebbe trovato a curiosare davanti alla libreria”.
Maye Musk, la madre canadese di Elon, è una dietista professionista e modella, apparsa sulle confezioni dei cereali Special K e sulla copertina di Time magazine.
Nel 1979 Errol e Maye divorziarono. Elon, nove anni e Kimbal, il suo fratello più piccolo, decisero di vivere con loro padre.
YouTube, Bloomberg NewsNel 1983, all’età di 12 anni, Musk vendette a una rivista di computer un videogioco chiamato Blastar per $ 500. Musk ha detto una volta che era “un gioco banale… ma migliore di Flappy Birds”.
Tuttavia, gli anni di scuola non furono facili per Musk. Come riportato nel libro “Elon Musk: Tesla, SpaceX and the Quest for a Fantastic Future”, una volta è stato ricoverato per essere stato buttato giù dalle scale e pestato fino a perdere conoscenza da un gruppo di compagni.
Dopo essersi diplomato, Musk si trasferì in Canada con la madre Maye, la sorella Tosca e il fratello Kimbal. Fece due anni di college alla Queen’s University, in Ontario…
Wikimedia Commons… ma concluse i suoi studi alla University of Pennsylvania, portando a casa la laurea sia in Fisica sia in Economia.
(La foto mostra in realtà un discorso inaugurale di Musk presso la CalTech, nel 2012). AP Photo/Damian DovarganesMentre studiava alla University of Pennsylvania, Musk e il suo compagno Adeo Ressi affittarono una casa per studenti da 10 stanze e la trasformarono in un locale notturno informale. Fu un precoce esperimento imprenditoriale.
Dopo la laurea, Musk si spostò alla Stanford University per il PhD. Finì per rinunciare alla sua iscrizione dopo solo due giorni di California, avendo deciso di tentare la fortuna nella crescente febbre del dot-com. Non tornerà mai a finire i suoi studi a Stanford.
Musk e suo fratello Kimbal (nella foto) si fecero dare 28.000 dollari da loro padre per lanciare Zip2, una startup web che forniva guide di viaggio delle città a quotidiani come il New York Times e il Chicago Tribune.
Wikimedia CommonsMusk ha raccontato che, mentre Zip2 stava decollando, lui viveva letteralmente nel suo ufficio, facendosi la doccia alla sede della YMCA. Il tutto iniziò a rendere quando la Compaq acquistò Zip2 con un accordo da 341 milioni di dollari tra contanti e azioni, fruttando 22 milioni a Musk.
Utilizzando 10 milioni del denaro ottenuto con la vendita di Zip2, nel 1999 Musk fondò X.com, un’azienda di online banking. Circa un anno dopo X.com si fuse con Confinity, una startup finanziaria co-fondata da Peter Thiel, per far partire una nuova azienda chiamata PayPal.
PAUL SAKUMA/APMusk fu nominato CEO della nuova PayPal. Non sarebbe durato molto: in ottobre, egli scatenò un aspro conflitto tra i diversi fondatori di PayPal insistendo affinché fossero spostati i loro server dal sistema operativo gratuito Unix a Microsoft Windows. Il cofondatore di PayPal e allora direttore tecnico Max Levchin era fortemente contrario.
Getty / Drew AngererAlla fine del 2000, Musk andò in vacanza dopo molto tempo. Mentre era ancora in volo verso l’Australia, il consiglio di amministrazione di PayPal lo licenziò e nominò Thiel nuovo CEO. Musk avrebbe commentato anni dopo a Fortune: “Questo è il problema di andare in vacanza”.
Le cose funzionavano per Musk – rimaneva il maggiore azionista di PayPal, e fu compensato con 165 milioni del miliardo e mezzo che a fine del 2002 eBay pagò per acquisire PayPal.
APGià prima della vendita di eBay, in ogni caso, Musk era rimasto in ballo: appassionato di fantascienza da sempre, concepì un folle piano per inviare topi o piante su Marte. Per raggiungere lo scopo, cercò anche di acquistare razzi sovietici dismessi. I venditori russi volevano 8 milioni per ogni razzo, e Musk pensò che avrebbe potuto costruirne in proprio per meno soldi…
Così, all’inizio del 2002, Musk fondò l’azienda che si sarebbe chiamata Space Exploration Technologies, SpaceX. L’obiettivo di Musk è creare processi che rendessero il viaggio nello spazio più economico di dieci volte.
I primi vettori di SpaceX furono i razzi Falcon 1 e 9, chiamati così dal Millennium Falcon di Star Wars…
Flickr/spacexphotos… e l’astronave SpaceX Dragon dalla canzone “Puff the Magic Dragon”.
Flickr/SpaceXSul lungo periodo, l’obbiettivo di SpaceX è di rendere colonizzabile Marte. Musk ha affermato che SpaceX non andrà in IPO finché ciò che egli chiama il “Mars Colonial Transporter” non dimostrerà di poter volare regolarmente.
Musk si teneva molto occupato anche qui sulla Terra. Nel 2004 fece il primo passo di ciò che sarebbero poi diventati i 70 milioni di investimenti totali in Tesla Motors, un’azienda costruttrice di automobili elettriche co-fondata con Martin Eberhard, manager veterano di diverse startup.
Wikimedia CommonsMusk ha avuto un ruolo attivo sul prodotto in azienda, e ha ricoperto la carica di Presidente. Ha collaborato allo sviluppo della Tesla Roadster, il primo modello della casa, lanciata nel 2006.
Come se non fosse abbastanza, di nuovo nel 2006, Musk venne fuori con l’idea di SolarCity, un’azienda per l’energia solare progettata per combattere il riscaldamento globale. Affidò ai suoi cugini Peter e Lyndon Rive il capitale necessario a farla decollare. Nel 2016, Tesla avrebbe continuato a coinvolgere SolarCity con un accordo da 2,6 miliardi.
Mark Von Holden/APTornando a Tesla, non tutto andava bene. Durante la direzione di Eberhard, Tesla bruciava più denaro di quanto ne guadagnasse. Nel 2007 Musk spodestò Eberhard durante un consiglio di amministrazione.
ASSOCIATED PRESSNel 2008, con la crisi finanziaria che limitava fortemente le sue disponibilità, Musk investì 40 milioni in Tesla, e concesse inoltre la stessa cifra in prestito per salvare l’azienda dalla bancarotta. Non fu certo per una coincidenza che lo stesso anno fu nominato CEO di Tesla.
ReutersTra SpaceX, Tesla e SolarCity, Musk si ritrovò praticamente fallito. Descrive il 2008 come “il peggior anno della mia vita”, dato che Tesla continuava a perdere soldi, mentre SpaceX stava avendo problemi a lanciare il suo razzo Falcon 1. Nel 2009, Musk sopravviveva tramite prestiti personali.
REUTERS/Bobby YipPiù o meno nello stesso periodo, Musk stava divorziando da Justine Musk, scrittrice canadese, dalla quale aveva avuto sei figli.
APIntorno al periodo di Natale del 2008, Musk ricevette due buone notizie: SpaceX aveva chiuso un contratto da 1,5 miliardi con la NASA per portare materiali nello spazio, e Tesla iniziava finalmente a trovare investitori esterni. Improvvisamente, le cose stavano andando di nuovo bene.
APNel 2010, tutto era notevolmente cambiato. In giugno, Tesla aveva collocato una IPO da 226 milioni – il primo costruttore di automobili a quotarsi in borsa dopo Ford nel 1956. Nell’offerta, Musk vendette proprie azioni per un controvalore di 15 milioni allo scopo di rimettere in carreggiata le sue finanze personali.
La straordinaria carriera di Musk iniziava a essere notata in altre cerchie. Il ritratto di Toni Stark nei film di Robert Downey Jr. della serie “Iron Man” è basato almeno un po��� sulla figura di Elon Musk, e l’imprenditore appare anche in “Iron Man 2”.
Kim Stockton/YouTubeNel frattempo, la vita privata di Musk passava attraverso un certo trambusto. Nel 2008 Musk ha iniziato a frequentare l’attrice Talulah Riley. Si sposarono nel 2010 per poi divorziare nel 2012. Nel luglio del 2013 si sono risposati; nel dicembre del 2014 Musk chiese il divorzio ma ritirò la domanda; nel marzo del 2016, la Riley ha chiesto il divorzio.
Pascal Le Segretain / Getty ImagesIl lavoro andava bene, in ogni caso. Alla fine del 2015, SpaceX aveva portato a termine 25 lanci su commissione, come ad esempio per approvvigionare la International Space Station, conquistando diversi record. Nel 2016, il Falcon 9 di SpaceX ha effettuato con successo il primo ammaraggio di un razzo orbitale riutilizzabile.
SpaceX/Flickr (public domain)Musk non può smettere di concepire nuove idee. Anche promuovendo l’energia solare, i veicoli elettrici e la colonizzazione di Marte, Musk ha progettato Hyperloop, un sistema di trasporto che potrà farvi viaggiare da Los Angeles a San Francisco in 30 minuti. Ha appena annunciato che costruirà una sua versione, mentre altre aziende stanno entrando in gioco.
Alla fine del 2015, Musk ha annunciato OpenAI, una non profit di ricerca che ha fondato per essere sicuro che l’intelligenza artificiale non distrugga l’umanità, una sua grave preoccupazione.
jurvetson / FlickrQuesto avviene nonostante “Autopilot”, la funzionalità di guida autonoma di Tesla, un grande obbiettivo per il progresso dell’azienda, e che continua a essere sviluppata.
Alla fine del 2016, Musk ha twittato in modo scherzoso di voler mettere su un’azienda per lo scavo di tunnel, chiamata “The Boring Company”, in modo da poter passare al di sotto del traffico. O, almeno, si credeva che fosse uno scherzo: The Boring Company ha appena finito di scavare il suo primo segmento di tunnel sotto Los Angeles.
Se non fosse abbastanza, Musk ha anche lanciato una nuova impresa chiamata Neuralink, che ha come missione l’impianto di computer nel cervello delle persone. Secondo lui, in questo modo gli umani potrebbero evitare la minaccia dell’intelligenza artificiale.
Tuttavia, quest’anno Musk non è riuscito a evitare controversie. È stato ampiamente criticato per aver accettato di far parte del consiglio tecnologico del presidente Trump. Ha poi recentemente dato le dimissioni, quando Trump ha ritirato gli Stati Uniti dagli accordi di Parigi sul clima.
Le sue attività, ad ogni modo, continuano a fare progressi. Tesla ha iniziato le consegne della Model 3 da $ 35.000, il modello accessibile al mercato di massa. Musk ha dichiarato che Tesla ha già più di 450.000 prenotazioni della Model 3, mettendo così basi sicure per la produzione. E il resto, come si dice, è storia.
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La vera natura dei giganti
Era una torrida estate (anzi, fine estate) quando mi sono appassionata ad Attack on Titan. Ero stata in vacanza con amici e il mio compagno, rimasto a casa, si era fatto una maratona della prima stagione dell'anime. Quando sono tornata mi ha consigliato di guardarlo mettendomi a parte del binge watching a cui si era sottoposto: STRANO! Lui che riesce a reggere a malapena un episodio e poi si distrae perchè vuole armeggiare al pc o dietro ai suoi lavori artistici. Così ho iniziato a guardare il primo episodio (non sono mai stata una grande fan di manga e anime, ho sempre preferito libri, serie e film) e devo dire che la cosa che mi ha agganciato subito è stato lo Smiling Titan. Ricordo di averlo trovato tremendamente inquietante, molto più inquietante dell'Armored e del Colossal perchè quei due sembravano possedere nello sguardo la vivace determinazione dell'intelletto umano.
Lo Smiling Titan invece sembrava guidato da una forza superiore, ha puntato dritto su casa Jaeger e si è divorato Carla dopo averla strizzata e aver brutalizzato il suo corpo già spezzato: che scena terribile, tutta sotto gli occhi di Eren e Mikasa. E ricordo di aver amato immensamente la scelta di mostrarci Hannes, l'ubriacone di buon cuore che dovrebbe salvare maldestramente tutti, ritrovarsi al cospetto di un orrore di cui, alla fine, la milizia cittadina aveva solo sentito parlare e contro il quale sbattevano la faccia solo gli Scout. E Hannes, di fronte all'orrore di questo sguardo vuoto, di questa bocca idiota eternamente affamata, fugge riuscendo a portarsi via giusto i due bambini, lasciando Carla al proprio destino. Ecco, difficilmente riesco a ricordare un momento tanto emozionante in un prodotto d'intrattenimento e Attack on Titan me ne ha regalati tantissimi altri dopo questo. Ma l'argomento di oggi parte dallo Smiling Titan. Essendo un'appassionata dei film sugli zombie di George Romero, ho pensato subito che tutti i giganti ad eccezione del Colossal, dell'Armored e dell'Attacking, somigliassero ad enormi morti viventi guidati dallo stesso desiderio primario: non il fare del male o il distruggere, ma una fame inestinguibile e, probabilmente, arsi da un dolore dovuto all'impossibilità di nutrirsi.
Ad oggi sono ancora più convinta che la rassomiglianza con gli zombie sia piuttosto consistente anche alla luce delle scoperte che sono state fatte nel manga, soprattutto gli studi che Hanji ha condotto sui Mindless catturati e la rivelazione di Bertholdt a proposito della posizione degli Shifter sulla nuca del gigante con la possibilità di spostare la propria coscienza all'interno del sistema nervoso del costrutto.
Esaminiamo un attimo i mindless titan che conosciamo meglio come lo Smiling Titan, che sappiamo essere la povera Dina Fritz e diversi altri, non ultimi quelli trasformati da Zeke a Ragako. Se proviamo a guardare solo gli occhi dello Smiling Titan ci troveremo tutta la tristezza della sua condizione. Sappiamo da Ymir che quando si viene trasformati in Mindless si resta coscienti ed è come vivere intrappolati in un lungo, interminabile incubo (che nel suo caso è durato ben sessant'anni).
Occhi tristi quelli dello Smiling Titan, gli occhi con cui ha guardato Grisha l'ultima volta, forse comprendendo e condividendo con lui l'orrore di aver generato un figlio per il solo bisogno di rivalsa e, detto fra noi, ho la convinzione che dietro all'incontro fra Dina e Grisha ci sia stato proprio Krueger che ha mandato l'ultima Fritz come femmina dal sangue prezioso per ottenere un ben più prezioso erede. Un plasmabile, straordinario bambino. Così Dina viene trasformata ed il suo ultimo pensiero, sopraffatto dal dolore è di ritrovare Grisha, lei glielo giura che lo ritroverà, che tornerà da lui. E con buona pace della povera Carla, Dina c'è riuscita. Mutata in un mostro decerebrato ma viva al suo interno, impossibilitata a fare qualsiasi cosa se non perdurare nell'incubo, l'unico carburante di quello straordinario motore che è il Mindless è stato il suo ultimo viscerale desiderio. Tornare da Grisha.
Abbiamo un altro esempio di un mindless mosso da qualcosa di diverso dalla semplice fame ed è il Talking Titan che divora Ilse Langnar: un'altra "lei", per altro che mossa dall'immensa fede e amore per Ymir, ritrovandosi di fronte ad una ragazza che poteva somigliarle prova a combattere contro quella fame, contro l'incapacità di interagirci come avrebbe fatto da "umana" e alla fine perde ma prima di farlo si strazia per il dolore di ciò che sarà costretta a fare. Anche qui abbiamo gli stessi occhi tristi di Dina Fritz ma una bocca insaziabile fissata in un rictus di morte che poco si sposa con l'espressione del volto. Vediamo anche i Mindless di Eren e di Ymir, come esempio. Eren viene trasformato da Grisha in un momento di paura e di incomprensione e quello che ne emerge è un gigante dalle fauci smisurate ma dagli occhi grandi e spaventati del bambino-Eren che abbiamo visto giusto la vignetta prima.
Ymir è un altro caso: quando viene trasformata sulle mura di Marley la sua paura si trasforma in disillusione e la sua espressione si smarrisce mentre precipita, vivendo come ultimo pensiero la gioia di essere esistita anche solo per qualche tempo, trattata come una piccola regina.
Il suo mindless ha lo sguardo vacuo ed assente di una persona dal cervello svuotato ma, anche in questo caso, le sue fauci raccontano la stessa storia della sua fame insaziabile che la porterà a divorare Marcel Galliard, rubandogli il Jaw Titan. C'è poi il caso del gruppo dei seguaci di Grisha che vengono trasformati in sequenza (il Beard Titan, quello che si mangia Eren e il Peering Titan, quello con gli occhi Kawaii): la loro espressione varia dall'assente (quella del Beard) a quella intenta e furiosa (quella del Peering). Cos'hanno pensato queste persone quando hanno subito l'iniezione letale e sono state gettate dalle mura? Qual è stato il loro ultimo pensiero, il loro ultimo desiderio, la loro ultima paura?
Gli Zombie di George Romero sono mossi dal medesimo istinto e anche loro, soprattutto i morti più "freschi", sembrano non essere coscienti del loro essere morti e il desiderare tornare a fare ciò che stavano facendo prima, nell'esatto momento della morte o nella vita. Sono mossi da qualcosa di molto forte o molto vicino come Stephen nel film "Zombi" che, una volta morto e "risvegliato", torna a cercare sua moglie per puro istinto, non certo per divorarla... ma sappiamo cosa sarebbe successo se l'avesse trovata. E il famoso "Bub", lo zombi "buono" di "Il giorno degli Zombi" che viene istruito dal dottor Logan e spinto a far funzionare ciò che resta del suo cervello, la parte che non è marcita (non ancora) a ricordare come usare un rasoio, ad emozionarsi nell'ascoltare la musica, a parlare al telefono "Dì ciao a zia Alicia, Bub!".
Vediamo quindi i giganti di Ragako, trasformati da Zeke. Questi giganti sembrano avere un'espressione diversa, meno furiosa rispetto ai giganti creati da Marley, come se fossero stati colti dalla trasformazione nel mezzo delle loro normali attività. Un esempio? I genitori di Connie. La madre, addirittura, riesce a parlare e dire a suo figlio "Bentornato a casa" come se non si stesse rendendo conto del tutto di essere stata mutata in un'aberrazione genetica. Il suo gigante è così malformato da essere inutile, impossibilitato a muoversi, forse perchè la volontà della donna è stata così forte da inceppare la trasformazione ad un certo punto.
Il padre addirittura è un gigante "piccolo", quasi di dimensioni umane, dall'aspetto compassato e sereno, lo stesso che aveva nel ritratto con il resto della famiglia. Anche il famigerato Glottonous Titan ha occhi grandi ed espressivi e un'espressione quasi allegra (qualcuno dice che possa essere uno dei fratellini di Connie, che tristezza!).
Si può quindi assumere che qualcosa della persona resti dentro il Mindless, pensiamo anche a Rod Reiss che pur nella sua forma mostruosa, ignora il gruppetto di Eren e degli Scout per puntare direttamente verso la città, senza alcuna esitazione.
Ma cos'è che resta dentro di loro? Ufficialmente, non si sa. Io credo che si tratti del midollo spinale che sappiamo essere un motore molto importante in fatto di creazione di giganti (Zeke per esempio, sembra usare il proprio, unito al famoso "grido" per accendere la trasformazione e poi comandarli). Il midollo spinale in particolare locato all'altezza della nuca del Mindless, il punto che, se colpito, "spegne" il gigante e, lo stesso punto che negli Shifter protegge proprio lo Shifter che, dal racconto di Bertholdt, sappiamo trovarsi parzialmente fuso alla colonna vertebrale del gigante con il sistema nervoso raddoppiato.
Esaminiamo quindi, in ultimo, cosa succede al cervello durante e negli attimi subito successivi alla morte del corpo. Dopo la morte, il cervello continua infatti a funzionare per circa dieci minuti. Quando viene definita la morte di un corpo? Quando il cuore cessa di battere, quando l'apparato respiratorio e circolatorio smettono di funzionare: il corpo si sta spegnendo e la vita cessa. Si può dire, tuttavia, che il cervello sia l'ultimo organo ad "arrendersi" quando il resto del corpo è oramai privo del soffio della vita.
(Stephen, Karen e Bub: anche dopo la morte ricordavano, amavano e potevano imparare ma restano schiavi del loro attuale stato d’esistenza e per loro esiste un’unica spinta: divorare carne umana.)
L'attimo prima della morte, infatti, sembra che il cervello riceva una grande quantità di stimoli elettrici e nessuno è ancora riuscito a spiegare con precisione come questo accada mentre, contemporaneamente, l'ossigeno inizia a calare. Dopo che il cuore ha smesso di battere ed il respiro si è fermato, si può restare coscienti fra i due e i venti secondi; questo perchè la corteccia cerebrale riesce a sopravvivere senza ossigeno per qualche tempo. Questa parte del cervello è responsabile del "pensare" e del prendere decisioni oltre che il convertire le informazioni raccolte da tutti i nostri sensi, in azioni. A questo punto, il cervello inizia ad attraversare il suo ultimo minuto di vita: le cellule cerebrali attivano collegamenti chimici che iniziano a guidare tutto l'organismo verso la sua fine. Solo una pompa di ossigeno ci separa dal nostro ultimo istante. Se qualcuno cercasse di far ripartire il nostro cuore tramite una stimolazione o un cpr, il cervello riceverebbe abbastanza ossigeno per potersi risvegliare: privato completamente dell'ossigeno, il cervello non potrebbe far altro che iniziare la sua resa. Gran parte del cervello è oramai morta ma c'è un'ultima zona che non sembra volersi arrendere così facilmente: il centro della memoria, dove sono contenuti i ricordi più emozionanti che abbiamo mai sperimentato. Quest'area del cervello non è colpita troppo pesantemente dalla perdita di sangue nemmeno dopo ferite piuttosto gravi: è l'ultima parte del cervello che si spegne. Prima di cessare la sua attività, il centro della memoria invia dei "flash" di ricordi della vita come se scorressero proprio davanti agli occhi. Quando i medici staccano i supporti vitali da pazienti terminali dichiarati clinicamente morti, il cervello sembra rimanere attivo per più di dieci minuti. Controllando tramite elettroencefalogramma, i medici hanno riscontrato attività cerebrali molto differenti fra paziente e paziente, questo perchè ognuno sembra vivere un'esperienza diversa come diverse sono state le loro vite. Due giorni dopo la morte, circa mille geni sono ancora al lavoro all'interno del corpo. Alcuni di questi geni sono altamente reattivi e sono hanno un'attività molto importante: come attivare il sistema immunitario e contrastare lo stress. In parte però sono geni la cui attività è stata documentata solo durante lo sviluppo dell'embrione: è possibile che l'organismo cerchi di difendersi dalla morte attuando un'"inversione cellulare"? In alcuni casi è stato possibile verificare una crescita di cellule tumorali anche a due giorni dopo la morte dell'organism: qual è lo scopo chimico di generare cellule tumorali dopo che l'organismo ha cessato di vivere? Un'altra domanda che non ha ancora ricevuto risposta. E' difficile definire la morte di un organismo quando alcune sue funzioni di base, come quelle cerebrali, sono ancora attive.
La mia domanda quindi è: potrebbe esserci una possibilità di far tornare i Mindless "persone" senza necessariamente imbarcarsi nel ciclo infinito di mindless > divora shifter > diventa shifter > viene divorato da mindless?
Dietro ai giganti di Attack on Titan c'è qualcosa di mastodontico, una scienza monumentale che li ha progettati esattamente così. Ma di chi era la mano iniziale? Di Ymir Fritz? Del Diavolo di tutte le terre? Qual è la fonte del potere che, come l'albero della Scienza del Bene e del Male può contenere tutto il sapere del creato, tanto da renderti onnisciente quanto Dio, può trasformarsi in una terribile maledizione?
#snk#AoT#attacco dei giganti#giganti#mindless#attack on titan#shingeki no kyojin#italianfanaot#italianfandome#crack theory#giganti e zombie#morte cerebrale
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Il nome di un Dio sconosciuto
Sento ancora le gambe è un buon segno, le braccia però sono ancora indolenzite, le muovo a mala pena, riesco a trascinarmi, quello di cui ho bisogno è una sigaretta, sono tesa, la testa mi fa male, il fumo riesce a calmarmi, di solito è Jimmy a rifornirmi di roba buona, il cinese ha sempre della maria di qualità, lo trovo in un angolo di strada, c'è lui con i suoi corrieri, li chiamo cosi, ragazzini che a mala pena conoscono l'alfabeto, ma riescono a fiutare se hai un anima oppure no, l'età è quella in cui io andavo a scuola a imparare a leggere a scrivere, un angolo di mondo a Madrid, tra un paio di ore devo essere in aula, sono le ultime lezioni prima della pausa estiva, devo essere concentrata, Letteratura Medievale, la lezione durerà all'incirca tre ore, prima di andare a lezione devo passare dal macellaio e ritirare la carne, mi sono rimasti pochi pezzi di carne in frigo. Pablo è l'unico macellaio del quartiere che mi procura il fegato fresco, una leggera anemia, caratterizza il mio sistema genetico, anemia che riesco a tenere sotto controllo, una sana alimentazione, attività fisica, le sigarette e il fumo sono il mio peccato, per il resto le analisi del sangue ed i loro valori sono nella norma. Ogni due anni i controlli sono necessari sul mio corpo sono rimaste indelebili le tracce delle infezioni, nel mio sangue è ancora tutto latente, la malaria, la febbre gialla, la tubercolosi, la febbre alta, i lunghi viaggi, l'acqua ferma le zanzare, la Bolivia, il mio sistema immunitario è andato oltre i quaranta, la resistenza è notevole, la febbre sempre alta mi ha piegata, riusciamo a stare in piedi, dedizione assoluta al lavoro, non sprechiamo mai del tempo, la concentrazione nel mio lavoro è fondamentale, la scioltezza di pensiero, nella mia mente si sovrappongono le immagini, associazione di immagini e pensieri. Gli alcaloidi servono, stabilizzano il mio sistema, lo regolano, si ragiona meglio, dove possibile dosi massicce di alcaloidi, la mancanza di tale sostanza è estremamente pericolosa, le immagini cominciano ad essere sfuocate, le immagini e i pensieri sbagliati cominciano a sovrapporsi, si rischia di impazzire, il sangue comincia a pulsare, la mancanza d'aria, si respira a fatica, l'astinenza è dannosa, ci serve per continuare il nostro lavoro, si lavora in modo costante, senza preoccupazioni, i pensieri dannosi scompaiono e il buon umore si fa strada, cariche di energia, il buon umore diventa stabile, cosi riusciamo ad andare avanti, per quanto riguarda la mia ricerca qui a Madrid mancano ancora due anni per concludere, dopodicchè potrò finalmente fare ritorno al mio vecchio lavoro, quello di traduzione di testi antichi. Un testo è ancora rimasto in sospeso, risale al XIII sec. una storia leggendaria narra la vita di un sacerdote, del suo rapporto con Dio, si dice che durante le notti, il suo corpo si disolvesse, si racconta che vagasse per notti intere alla ricerca di colui per dargli pace, una follia in sospeso, una devozione assoluta, un lavoro costante, Dio è colui che vede i miei pensieri, esiste il libero arbitrio la mia scelta nel seguirlo oppure no, il sacrificio per Allah, il sacerdote ha vissuto cosi fino a raggiungere i sessant’anni, si dice che una notte si fosse impiccato, non si conoscono le motivazioni, si è soltanto trovato il suo corpo inerme, avvolto in un sudario bianco, attorno al collo i segni dell'impiccagione, il colore bluastro dei segni della corda, i traditori, i criminali muoiono cosi, sono corrosi nell'anima, sono rimasta a questo punto, capire le motivazioni dell'impiccagione, il sudario bianco attorno al corpo, e la scelta della morte, quando lavoro cosi, gli alcaloidi sono necessari, perdo giorni, settimane intere a capire i vari testi, sono arrivata ad un punto che devo riflettere attentamente sul motivo di una scelta di questo genere, l'essere vecchi ci rende consapevoli dell'importanza della vita, del suo significato, il significato infinito di Dio e della sua infinita Misericordia. Attorno a questo pensiero, mi rendo conto che manca poco alla lezione e devo anche ritirare la carne, ma a questo punto preferisco farlo domani, Pablo non se ne accorgerà, della mia dimenticanza. Tra meno di un ora sarò in classe, il tempo di farmi una doccia, mi preparo il fegato crudo rimasto, il sapore del sangue in bocca, mastico la carne il sapore è ferroso, l'anemia diventa un problema quando non tenuta sotto controllo. Decido di farmi la doccia, l'acqua calda mi scende lungo il corpo, mentre mi faccio la doccia penso a lui, quel lui reale, fisico, una costante nel mio pensiero, è rientrato dopo un lungo viaggio in Africa, uno scavo durato quasi tre anni, durante questo periodo i contatti erano quasi inesistenti, l'ultimo un mese fa. Lo scavo riguarda un antica tribù di nomadi, le tracce lasciate, sono stati recuperati parte dei loro corpi, la struttura ossea impressionante, corpi perfettamente proporzionati, la parte superiore del cranio ampio senza difetti o imperfezioni. Ci vorrà del tempo prima di poter classificare quello che è stato trovato, penso ancora a lui, al suo lavoro, lo vedrò questa sera, mi manca vederlo. Mentre penso a questo sono quasi pronta, gli alcaloidi, riescono a regolare il mio umore, mi ci vorranno almeno venti minuti per raggiungere la facoltà di lettere, i miei soliti vestiti, i miei pantaloni di jeans, meglio vaqueros, la mia t-shirt una taglia in piu, comoda come sempre, capelli corti, rossetto rosso, mascara, la freschezza della doccia mi risveglia, il lavoro che faccio richiede concentrazione, sono arrivata in facoltà, mi aspettano fuori dalla porta, siamo in sette a seguire questo corso, sono puntuale come sempre, entriamo tutti quanti, il docente è una giovanissima studentessa che ha appena concluso i suoi studi, le sue spiegazioni sono perfette, senza errori o dimenticanze, concludiamo la lezione. Io sono pronta per rientrare a casa, questa sera lo rivedrò dopo diverso tempo, il mio lui, Sigurd è piu giovane di me, almeno dieci anni in meno, la sua resistenza al nostro rapporto è incredibile, entrambi lavoriamo in modo costante, dedichiamo anima e corpo a quello che facciamo, l'ho conosciuto una sera per caso, ero al supermercato facevo la spesa, ci vado sempre quando è in chiusura, non ci trovo quasi mai nessuno, mi fermo davanti al reparto della carne, lui è di fianco a me, mentre mi accingo a prendere la carne anche lui fa lo stesso mi sorride e mi dice: anche lei questa sera cucinerà piccante, lo guardo in faccia e non capisco, mi dice: con il macinato si riesce a fare un ottimo piatto messicano piccante, scoppio a ridere, gli rispondo in realtà avrei fatto delle semplici polpette, si presenta, piacere sono Sigurd, la sua stretta di mano è calda, Aurelia, piacere. Continuiamo entrambi a fare la spesa, parliamo del piu e del meno, mi chiede come mai a quest'ora, io gli rispondo è l'unico momento libero che ho con il lavoro che faccio, sono quasi le undici di sera, che lavoro fai Aurelia? la ricercatrice, e adesso seguo un corso di Letteratura Medievale, il tempo che mi resta per me è relativamente poco, a quel punto Sigurd sorride e mi dice io sono un archeologo e non ho mai tempo per fare niente. Entrambi ci avviciniamo alle casse per pagare, Sigurd, mi sorride e mi dice: ti va di venire a mangiare da me, ti preparo quel piatto messicano, carne macinata piccante, insalata, e un ottima bottiglia di vino bianco. A quelle parole gli rispondo immediatamente di si, sono elettrizzata all'idea di mangiare da lui, mi ha fatto un ottima impressione, mentre raggiungiamo casa sua parliamo del piu e del meno, vive in un quartiere splendido di Madrid, le strade alberate, il pavimento a losanghe, arriviamo di fronte al Palazzo dove vive, è antico, il portone d'ingresso è ampio, entriamo c'è un ascensore in ferro battuto ampio e largo, ci porta al settimo piano, il Palazzo è spettacolare, man mano che saliamo vedo scorrere sotto i miei occhi l'ampia scalinata le colonne in ordine dorico, la semplicità è disarmante, come arriviamo al settimo piano, si apre di fronte a me un lungo corridoio, ci saranno almeno otto ingressi, aspetto che sia lui ad uscire, mi apre la porta dell'ascensore e andiamo verso il suo appartamento, la porta d'ingresso è ampia, entriamo. La sala d'ingresso presenta un corridoio che poi si apre su un salotto, una vetrata che da direttamente su una corte interna, libri ovunque, una biblioteca che copre entrambe le pareti laterali, un tavolo in legno dove si trovano mappe, cartine geografiche, planimetrie di scavi, appunti ovunque, un lavoro intenso e costante, mozziconi di sigarette sparsi qua e la, mi giro e gli dico: dedichi gran parte del tuo tempo al lavoro, Sigurd mi risponde: mi piace il mio lavoro e ci dedico anima e corpo, è la ragione della mia vita, mentre mi dice questo appoggia le borse della spesa, si toglie la giacca, le sue braccia sono completamente tatuate, tattoo tribali, un simbolo che non riesco a riconoscere copre il braccio destro, ha la forma di una libellula, ma non è proprio cosi, mi guarda e mi dice: hai fame? io gli dico di si, sono rilassata, quella sera è andata cosi, sono rimasta a mangiare da Sigurd, quella doppia metà, quell'altro di se, che credi di non trovare mai, abbiamo fatto sesso, al mattino mi sono svegliata tra le sue braccia, il suo respiro tra le mie orecchie, da quella sera siamo rimasti insieme. La lezione è stata interessante, sono finalmente a casa, mi preparo la sigaretta, fumo intensamente, l'odore da mandorle bruciate inonda la stanza, oltre al tabacco c'è un tipo di fumo fatto con delle spezie particolari, provengono dalla Cina, si dice che il diavolo si fermasse per un istante, l'odore, il ricordo, si dice che potesse piangere, il fumo mi fa bene, riesco a ragionare meglio, per questa sera, sarà lui a venire da me, mi racconterà del suo scavo e dei progressi che lui e il suo gruppo hanno raggiunto. Quello che io invece voglio dirgli è qualcosa di molto semplice, le mie dita sfiorano il mio ombelico, sono incinta, avere una parte di lui dentro di me, essendo sotto stress non ho fatto caso al mio ciclo, di norma è regolare, capita delle volte che abbia dei ritardi, ma sono brevi, non me ne sono accorta, l'ultima volta che ci siamo visti un mese fa. L'ho scoperto durante una visita, un controllo che eseguo ogni anno, le pulsazioni del mio cuore, mi capita di soffrire di tachicardia, al controllo i battiti cardiaci sono risultati essere in due, quando me l'ha detto è rimasto a bocca aperta, Aurelia, sei incinta, la mia reazione è stata immediata, cosa non è possibile, mentre lo dicevo, Javier rideva, te e Sigurd state insieme, smetti di fumare, o per lo meno fuma un po di meno, hai tutti i valori regolari. Mi sono alzata e l'ho salutato, ringraziandolo della sua pazienza. Quella mattina sono rientrata a casa, le gambe che mi tremavano, incinta di Sigurd, alle parole stiamo insieme, entrambi abbiamo un ottimo lavoro, la parola insieme non l'ho mai contemplata, o per lo meno non fino ad ora e non cosi al punto di avere un figlio. Prima del suo arrivo devo fare un po di cose e soprattutto preparare la cena, c'è un negozio di Indiani molto interessante non molto lontano, posso fare un salto e prendere un paio di cose, del curry, carote, patate, carne macinata, cipolle e del riso, lo yogurt bianco lo prendo di solito in un negozio greco, adoro la verdura, i sapori forti, il tutto con una bottiglia di vino bianco. Decido di farmi una doccia calda, all'interno del mio corpo ci sono due battiti cardiaci, il mio e il suo, apro il rubinetto della doccia calda, sento l'acqua scorrere lungo il mio corpo, mi lavo soltanto con una saponetta, il profumo è intenso e caldo, finisco di farmi la doccia, indosso un paio di jeans e una t-shirt, i capelli sono ancora umidi li lascio asciugare. Non manca tanto al suo arrivo, vado in cucina e comincio a preparare la cena, faccio cuocere il riso lentamente, prima lo passo in padella con dell'olio poi ci verso dell'acqua bollente e ci metto sopra il coperchio cosi per almeno trenta minuti. Le verdure le taglio ed anche quelle le passo nell'acqua bollente venti minuti, la carne la lascio per ultima, taglio delle cipolle le faccio soffriggere, ci verso sopra la carne con del curry, il profumo è molto intenso, lo lascio cuocere per quindici minuti, la carne è fresca, il profumo è molto buono. Preparo la tavola, è quasi tutto pronto, in mezzo al tavolo ci metto dei fiori bianchi e delle margherite, l'odore dei fiori mi ricorda la mia infanzia, sono contenta di rivederlo, dirgli che avrà un figlio, suo figlio. Accendo la radio, la frequenza che adoro è radio ottanta, ad una certa ora della sera passano sempre della buona musica. Sento salire le scale, nel Palazzo dove vivo le scale scricchiolano, si sentono i passi, la pavimentazione è in legno, sono felice di sapere che è qui, apro la porta e me lo ritrovo di fronte a me, gli vado incontro, ha ancora le valigie in mano, lo abbraccio, sento il suo calore, le sue braccia attorno al mio corpo, so di amarlo, mentre lo abbraccio, gli sussurro all'orecchio di essere incinta e di amarlo, rimaniamo entrambi fuori dalla porta sulle scale, Sigurd mi stringe forte, mi solleva in braccio e mi porta in casa, mi bacia dolcemente, chiude la porta dietro di se. Si toglie la t-shirt, resta a petto nudo, mi solleva in aria, Ti amo, è cosi Aurelia, le lacrime mi scendono lungo il viso, lo sento tremare, mi bacia intensamente, mi toglie i vestiti resto nuda di fronte a lui, mi accarezza, mi solleva di nuovo e mi porta in camera da letto, il calore del suo corpo è intenso, è sopra di me, le sue mani su di me, resta nudo sopra di me, posso sentire la sua erezione, mi divarica le gambe, la penetrazione è intensa, lo sento dentro di me, si muove cosi su di me, mi accarezza i seni, li morde, l'intensita della penetrazione, il suo liquido è caldo, il suo orgasmo è sempre intenso, continua cosi, viene dentro di me, il suo cazzo è ancora duro, sono io a venire, mi sente ansimare. Le sue mani sono in mezzo alle mie gambe bagnate, le accarezza, il suo sperma è sul mio corpo, me lo passa sul ventre e mi accarezza dolcemente, bacia il mio ventre piu volte, le sue labbra su di me, ancora una volta e per sempre sarai l'amore mio, rimaniamo cosi, uno accanto all'altro, continua ad accarezzare il mio ventre, mi bacia, quello che mi dice rimarrà per sempre nella mia memoria come sigillo di un amore eterno, il giorno in cui io e te abbiamo concepito, Dio lo ha unito a noi per sempre, sacro come la vita e la morte, la nostra vita continua per sempre. Un unica vita, fatta di me e te, per sempre cosi sarai mia Aurelia. Nessuno tocchi quello che Dio ha unito in una sacra alleanza. Sigurd, crede in un Dio, nella sua infinita Misericordia, ha sempre amato Dio per la sua infinita Pietà, quella parte di lui che vede ancora Dio come un essere umano. Un sigillo infinito tra me e lui, il giorno in cui è nata nostra figlia Sigurd era li a tenerla tra le sue braccia, le lacrime che rigavano il suo viso, un unico Dio per lui e sua figlia, Eugenia, il suo unico grande amore per sempre e per tutta la vita. Nella mia memoria rimarranno cosi per sempre, noi tre per l'eternità.
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09/11/2020 - 18:49
Ero di buon umore fino a dieci minuti fa. Ora ho un nodo alla gola che mi toglie il sorriso dalla bocca.
Nelle ultime settimane ho avvertito il vortice che ho nel petto ingrandirsi, o almeno farsi più chiaro, rubando la mia attenzione e lasciandomi la sensazione di fluttuare nei miei pensieri, senza poter uscirne. Avvolta dalla nebbia, senza fari, senza vento, senza niente.
Quindi mi sono punita, come faccio sempre.
Mi sono imposta di non dormire; non completamente insonne ma non abbastanza da riposarmi, circa due o tre ore a notte. Una quantità sufficiente a non impazzire ma necessaria per stancarmi, mentalmente e fisicamente. Così divento tesa e poi nervosa e poi arrabbiata. Con i nervi a fior di pelle, non posso fare altro che scacciare la nebbia con il fiato che esce dalle urla. Quante urla ho in testa?
Ho riflettuto molto su questa mia tecnica, che risale a circa otto anni fa.
A differenza di mia sorella non sono mai stata in grado di farmi del male in modo permanente. La mia pelle è rimasta sempre intatta. Non ero arrabbiata con me, non odiavo me, non volevo fare del male a me, non volevo portare l’attenzione su di me. Volevo solo sparire.
È stato in quel periodo che sono diventata cosciente della mia sfera emotiva, che ho cominciato a riflettere su quella degli altri. In quei anni ero brillante, ero geniale, ero così buona. Onesta. Pulita. È durato poco, comunque. Non conoscevo nessuno come me. Nessuno in grado di amare tutto, di comprendere la bellezza dietro ogni persona, ogni albero o soffio di vento. Ero così sensibile, così ricettiva e in grado di comprendere e perdonare. Quante cose ho perdonato. Quante ho dimenticato. Eppure, la loro impronta emotiva è ancora nel mio petto, infusa nella mia anima e io sono costretta a distruggermi per cose che non ricordo più o persone che non hanno smesso di appartenermi. Quanti nomi potrei scrivere in quella lista?
Ho solo 21 anni. Non è giusto.
Ho divagato, come al solito.
Quando ho capito che non avevo nessuno con cui confrontarmi su questa mia nuova scoperta, e in generale nessuno con cui parlare di quella che era stata la mia vita fino a quel momento e la mia vita giorno per giorno, è nata in me una rabbia che non so definire con un termine esatto ma a quanto pare non sono la prima a pensarci.
“S'i' fosse foco, ardere' il mondo; s'i' fosse vento, lo tempestarei; s'i' fosse acqua, i' l'annegherei; s'i' fosse Dio, mandereil'en profondo”
Inoltre, avevo tutte questi pensieri che non riuscivo a controllare. Non sono sicura di riuscire a spiegarlo bene. Tra le persone che conosco non c’è nessuno che ha avuto la stessa esperienza: il luogo in cui si palesano i pensieri nel cervello non era di mio dominio. 12 ore di pensieri lampo su come avrei voluto uccidere tutti, cosa avrei provato al loro funerale, il mio funerale, io che uccido i miei amici, i mille piani che ho fatto per uccidere mia sorella, mia madre, un passante sul marciapiede. In maniera lenta, terrificante, che la maggior parte delle volte morivano per attacco cardiaco da panico e quella era la mia parte preferita. Immaginare le loro espressioni distorte dalla paura, sapere che il terrore che stavano provando era lo stesso che ho provato io per anni, senza spettatori. Ma io guardavo, e ridevo.
Dico dodici ore perché di notte non dormivo e il mio cervello era vuoto, così continuavo a non dormire sperando che stremandomi poi sarei potuta rientrare in controllo del mio cervello. E così è nata la mia insonnia auto-imposta, somma di questa punizione e degli anni precedenti a fare incubi ogni notte, alimentando le mie fobie. In quest’ultimo anno ho raggiunto la conclusione che soffro di paralisi del sonno.
Le cose sono migliorate ovviamente. Ci ho messo un po’ e ancora non so come ne sono uscita, cioè devo trovare il nesso tra un evento e la mia condizione psicologica, però sto meglio. Ovviamente sono successe un sacco di cose ne frattempo.
Questa era la prima riflessione che volevo fare.
La seconda non è tanto una riflessione quanto un’associazione tra le persone con cui ho avuto una relazione stretta e canzoni o parole o quant’altro.
Quindi farò una lista di persone e già questo sarà difficile. Dovrei andare in ordine cronologico? O per importanza? Come si misura l’importanza di una persona. Soprattutto se quella persona non è più nella tua vita. Andrò in ordine sparso e cercherò di fare il mio meglio.
Cri – tutto, una vita in simbiosi, se non fossimo così diverse saremmo la stessa persona
Sofia – un giorno mi perdonerò, non ho nient’altro da dire
Magda – quando penso ad una persona che mi ha tradito mi vengono in mente i tuoi occhi, Orgasmo
Aurora – Ieri L’Altro, ikea la notte, lucciole, mansarda, tumblr, sorrisi, lacrime, segreti, harry potter
Fra – fiducia assoluta, sono venuta da te quando sono scappata di casa, malvasia, campeggio, sigarette, To Marianne, prosciutto di parma
Elena - il pensiero della nostra amicizia mi tiene caldo anche nei giorni più freddi, mare, chiringuito, pensieri senza catene, cuore puro
Marina - mente libera, anima pura, Albachiara, sei un fiore in mezzo al cemento, mi hai dato degli occhiali rosa per guardare dentro me stessa, cuore puro
Tommaso - sorriso, elastici, Talisker, verdure, Nettuno, natale, lago, il tuo cane, tua madre, la stazione, ti amo, mi dispiace
Per alcune persone devo ancora lavorarci su e ho preferito non metterle. Sicuramente da riesaminare più avanti.
Sono passate quasi quattro ore da quando ho cominciato a scrivere. Solitamente scrivo solo quando ne sento proprio il bisogno, mi vengono in mente delle idee, delle frasi, organizzo i pensieri e poi ogni volta che mi siedo davanti al computer svanisce tutto e il mio cervello si svuota come il foglio bianco che ho aperto. È abbastanza frustrante.
Il terzo punto di cui volevo parlare era una mia curiosità sulla terapia, sulla quale vorrei però prima condurre un’indagine e poi scrivere un altro giorno così da darle lo spazio adeguato.
Oggi ho riflettuto su come a volte mi sfugge la mia età e mi trovo persa in desideri e obiettivi che superano le mie reali necessità e possibilità per gli hanno che ho. Ero con degli amici e ho detto:
“Tutto quello che avrei dovuto fare nei miei vent’anni l’ho fatto prima dei diciannove e adesso mi sento come se fossi quasi sulla soglia dei trenta perché penso che devo mettere su una famiglia e un lavoro e avere una vita stabile”.
Mi sono resa conto in quel momento che ho solo 21 anni e, per quanto veloce, la vita è lunga.
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26 set 2020 10:40
TUTTO GIRA INTORNO ALLA PROCURA DI PERUGIA - UNA COSA MAI VISTA: CANTONE FERMA LE INDAGINI SUL CASO SUAREZ PER L'INCAPACITÀ DI PROTEGGERNE LA SEGRETEZZA - I MESSAGGI SCAMBIATI TRA PALAMARA E IL MAGISTRATO TITOLARE DEL FASCICOLO SU SUAREZ PER L'EPURAZIONE DI UNA COLLEGA - LE CHAT SEGRETE E VENDETTE TRA TOGHE, GLI INCROCI CON L'INDAGINE PALAMARA
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Giacomo Amadori per “la Verità”
L'inchiesta più mediatica del momento, quella sull'esame di lingua italiana del bomber Luis Suarez, suscita qualche perplessità anche in chi juventino non è. Innanzitutto, come capita spesso, gli avvocati difensori hanno letto alcune intercettazioni ancora coperte da segreto sul quotidiano che da mesi fa da ufficio propaganda della Procura di Perugia per il caso Palamara. Anche le firme sono le stesse e questo un po' immalinconisce. Ma la cosa sembra non aver intristito noi soli. Ieri pomeriggio, il neo procuratore Raffaele Cantone, «indignato per quanto successo finora», ha improvvisamente annunciato, via agenzia, di aver deciso di «bloccare da oggi a tempo indeterminato tutte le attività investigative () per le ripetute violazioni del segreto istruttorio», e di voler aprire presto un fascicolo «per accertare eventuali responsabilità».
Una cosa mai audita: indagini fermate per l'incapacità di proteggerne la segretezza. Dopo un'ora e mezza è arrivata, però, la seguente precisazione: «Le indagini in corso "saranno tutte riprogrammate in modo da garantire la doverosa riservatezza"». Quindi il procuratore ha fatto sapere che l'inchiesta «riprenderà nei prossimi giorni con tutti gli accertamenti ritenuti necessari dagli inquirenti per chiarire la vicenda». Insomma il «blocco a tempo indeterminato» è durato lo spazio di 45 minuti.
Alle 19 e 04 l'ultimo monito attribuito a un Cantone in versione a metà tra Jacques de La Palice e Vujadin Boskov: «Atti devono diventare pubblici solo quando previsto dalla legge». Il procuratore è assurto all'aspirato soglio sull'onda dell'inchiesta Palamara. Dalle intercettazioni infatti emergeva che il pm indagato per corruzione non nutrisse grande simpatia per l'ex presidente (in quota Renzi) dell'Autorità anticorruzione o per lo meno che avesse in mente altri candidati per l'ambita poltrona.
Alla fine il posto lo ha ottenuto lui, nonostante non facesse l'inquirente dal 2005 e avesse, a dire dei suoi avversari e dei consiglieri del Csm che non lo hanno votato, meno titoli dei suoi competitori. Che in effetti hanno fatto ricorso al Tar. Uno di questi è il procuratore aggiunto di Salerno Luca Masini (sconfitto lo scorso 17 giugno con un combattuto 12 a 8), il quale contesta ai consiglieri di aver scelto Cantone per il suo ruolo nell'Autorità anticorruzione, nonostante si tratti «di un'attività estranea all'esercizio della giurisdizione» e di non aver tenuto conto della sua esperienza sul campo.
Ma ha fatto ricorso anche Gaetano Paci, procuratore aggiunto di Reggio Calabria, neppure preso in considerazione dalla competente quinta commissione del Csm. Quella di Paci, si legge nel ricorso presentato dal magistrato di origine palermitana, è una esclusione «illogica» e «contraddittoria», in «violazione» della normativa. La stessa commissione, infatti, elogia il profilo professionale di Paci, «prevalente» rispetto a Cantone per esperienze organizzative esercitate in ambito giudiziario.
Paci è stato a capo della Dda di Reggio Calabria, mentre Cantone non ha mai esercitato questa funzione nei suoi 15 anni da pm. Dopo è passato al Massimario della Cassazione e all'Anac. «Le ragioni addotte dalla Commissione» per preferire Cantone «si fondano sul servizio prestato dal vincitore quale presidente di un organo di nomina politica, l'Anac» sostengono i difensori di Paci. Cantone è un grandissimo tifoso del Napoli e anche se in passato parlò di «caccia alle streghe alla Juve» e disse che il problema dell'Italia non poteva essere «la curva della Juve», resta indimenticabile una prima pagina del Corriere dello sport con le sue dichiarazioni da ultrà, dopo che al Napoli era stato squalificato per tre giornate il bomber Gonzalo Higuain: «Devono ridarci Higuain» si leggeva in prima pagina tra virgolette.
E poi: «Cantone critica il giudice sportivo: "Meritava al massimo due turni. Un altro regalo alla Juve"». Sarà per questo che ieri mattina non tutti si sono stupiti nel vedere gli avvocati della Juventus Luigi Chiappero, uno dei più noti e stimati penalisti italiani, la sua collaboratrice Maria Turco, e l'amministrativista Brunella De Blasio, sfilare tra due ali di giornalisti, prima di entrare in Procura per essere ascoltati come testimoni. Il viso tirato e contrariato di Chiappero era più eloquente di una conferenza stampa. È chiaro che i difensori potessero essere sentiti, non diciamo a Torino o a Roma, ma, per esempio, in una caserma della Guardia di finanza.
Un riguardo istituzionale che spesso si riserva ai politici, ma che gli inquirenti, evidentemente, non hanno ritenuto di concedere ai tre legali. Offrendo ai media l'imperdibile foto opportunity di Chiappero davanti alla Procura. Dopo qualche ora, il procuratore Cantone si è però affrettato a stigmatizzare «l'assembramento dei mezzi d'informazione» e ha promesso di fare «in modo che tutto questo non accada più». Resta lo scivolone che potrebbe concedere degli alibi a chi, nel mondo juventino, intravede nuvolette di fumus persecutionis, dopo l'inchiesta sull'infiltrazione della 'ndrangheta dentro alla curva bianconera.
Una sindrome da fortino assediato che si aggrava in chi ricorda che il viceprocuratore federale della Federcalcio che potrebbe prendere in mano il fascicolo perugino è quel Marco Di Lello, che da deputato portò in commissione antimafia, dove era segretario, un'intercettazione «fantasma» sulla Juventus, in cui Andrea Agnelli mostrava di essere a conoscenza dei precedenti penali di alcuni tifosi.
Ma, come detto, la conversazione segnalata da Di Lello non emerse dagli atti dell'inchiesta. Agnelli fece questo durissimo comunicato: «C'è stata sicuramente qualche irregolarità nella vendita dei biglietti, ma in questi due anni abbiamo assistito a uno spettacolo molto spiacevole, fatto anche da un'indagine della commissione Antimafia nella quale si citano intercettazioni che i fatti hanno dimostrato essere inesistenti. E abbiamo assistito alla scena, ai limiti se non oltre il conflitto di interessi, dei fratelli Di Lello (Massimo e Marco, ndr), entrambi avvocati nello stesso studio legale che porta il loro nome, con uno dei due fratelli che firma la relazione di indagini della procura federale sulla Juventus e l'altro, allora deputato, che fa il relatore del pur meritorio comitato Mafia e sport della commissione Antimafia».
Di Lello minacciò querela. C'è infine il caso del pm Paolo Abbritti, titolare del fascicolo insieme con Gianpaolo Mocetti, che ci collega direttamente al caso Palamara. Infatti come abbiamo già scritto sulla Verità, l'ex presidente dell'Anm considerava Abbritti il suo cocco («È un ragazzetto proprio nostro, fidato»).
Palamara ha chiesto di poter utilizzare nei procedimenti che pendono sulla sua testa i messaggi scambiati con Abbritti su Telegram, chat criptata.In particolare quelli con cui veniva pressato per allontanare da Perugia il procuratore aggiunto Antonella Duchini, accusata di corruzione. All'epoca Palamara sapeva già di essere sotto indagine in Umbria e si riteneva incompatibile. In un'intercettazione ambientale aveva riferito a un amico che Abbritti, «una volta», avrebbe ammesso: «Sì, è arrivata questa cosa, non so di che si tratta però».
Ma c'è una conversazione in cui Palamara fa anche capire di aver avuto informazioni precise sulle contestazioni che lo riguardavano: «E Abritti, permettimi di dirtelo, è un pezzo di merda, (inc. le) che mi ha detto, ah ma tu non mi hai detto che hai fatto il viaggio a Dubai? Ah Paolo ma che cazzo ti devo dire? quello che faccio a te lo devo dire? ma che cazzo vuoi?».
Infine Palamara ha citato, pure, un altro colloquio che avrebbe avuto con il pm perugino: «Paolo, guarda che se c'è qualcosa, io non posso fare questo processo alla Duchini». E la risposta sarebbe stata questa: «No, tu fallo tranquillamente, non c'è niente, non c'è niente». Alla fine della conversazione Palamara si era detto pronto a scrivere un memoriale con cui «vanno a fini' tutti in galera», avendo come prova «i messaggi di Paolo qua».
Quelli di Telegram, dove Abbritti, all'epoca molto vicino al procuratore Luigi De Ficchy, chiedeva informazioni, anche a nome del capo, sul procedimento contro la collega Duchini.Il 27 luglio 2018 Abbritti scrive su Telegram a Palamara: «Firenze (che indaga sulla Duchini, ndr) ci chiede se entro lunedì verrà sciolta la riserva sul cautelare (da parte del Csm, ndr). Devono decidere se impugnare ordinanza gip». Nel capoluogo toscano il giudice aveva respinto la richiesta di misura cautelare interdittiva nei confronti della Duchini.Palamara risponde: «Relatore deve depositare provvedimento perché lo sta scrivendo appena deposita ti avverto. Un abbraccio».
Abbritti: «Grazie mille ti abbraccio forte». Il 3 agosto arrivano le buone notizie. A mezzogiorno Palamara invia questo messaggio: «Aggiorna il tuo capo». Abbritti: «Ha depositato?». Palamara: «Sì». Abbritti: «Trasferimento ad Ancona? Si può avere?». Passano dieci minuti e il sostituto procuratore umbro comunica: «Avvisato il capo. Molto contento. Ti ringrazia. Un abbraccio forte».
Dopo alcune nomine e prima che venisse depositata la decisione sulla Duchini, Abbritti aveva scritto a Palamara anche questo sms: «Intanto ti ringrazio per questo. So che avevi tante pressioni».Adesso le pressioni rischia di averle Abbritti: un fascicolo come quello sulla Juve non capita sul tavolo tutti i giorni.
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La lettrice che partì inseguendo un lieto fine, Katarina Bivald
Scheda del libro
Titolo originale Läsarna i Broken Wheel rekommenderar
Titolo italiano La lettrice che partì inseguendo un lieto fine
Autore Katarina Bivald
1ª ed. originale 21 Agosto 2013
1ª ed. italiana 2 settembre 2014
Editore Sperling & Kupfer
Pagine 408
Genere Narrativa Rosa
Lingua originale Swedish
Sinossi Se la vita fosse un romanzo, quella di Sara non sarebbe certo una storia d'avventura. In ventotto anni non ha mai lasciato la Svezia e nessun incontro del destino le ha scompigliato l'esistenza. Timida e insicura, si sente a suo agio soltanto in compagnia di un buon libro e i suoi migliori amici sono i personaggi nati dalla fantasia degli scrittori, che le fanno vivere indirettamente sogni, viaggi e passioni. Fino al giorno in cui riceve una lettera da una piccola città dal nome bizzarro, sperduta in mezzo all'Iowa: Broken Wheel. A scriverla è una certa Amy, sessantacinquenne americana che le invia – dalla propria vastissima biblioteca personale – un romanzo richiesto da Sara su un sito web. È così che inizia tra loro una corrispondenza affettuosa e sincera, che apre a Sara una finestra sulla vita: Amy le dimostra che è possibile amare la lettura senza per questo isolarsi dal mondo, perché è bello condividere ogni piccolo momento prezioso, anche se si tratta di un romanzo. E dopo un fitto scambio di lettere e libri durato due anni, Sara stessa trova finalmente il coraggio di attraversare l'oceano per incontrare l'amica lettrice. Tuttavia, come in un inatteso capovolgimento di trama, non c'è Amy ad attenderla: il suo finale, purtroppo, è giunto prima del previsto. Ci sono però tutti gli eccentrici abitanti di cui Amy le ha tanto parlato. E mentre loro si prendono cura della spaurita turista (la prima nella storia di Broken Wheel), Sara decide di ricambiare la gentilezza iniziandoli al piacere sconosciuto della lettura. Proprio lei, che ha sempre preferito i libri alle persone, in quella città di poche anime ma dal cuore grande troverà amicizia, amore ed emozioni da vivere sulla pelle: finalmente da vera protagonista della propria vita.
Dettagli
Inizio lettura: 27 Maggio
Fine lettura: 3 Giugno
Tempo di lettura: 11h x 181 p/m
Rating: ★★★★½
I say...
Questo è un libro che ti prende piano piano, che ti cresce addosso. E’ difficile riuscire a criticare un libro così bello.
Più che una storia d’amore tra due persone, è la storia di diversi tipi di amore. L’amore per la propria città, per i libri, per le proprie radici, per sé stessi, per i tuoi amici, per Dio, e perfino per una sconosciuta. L’amore che supera tutti gli ostacoli contro l’amore che ha avuto paura di sbocciare. Mi sono piaciuti tutti i personaggi, cosa assurda, e ho amato ciascuno di loro, con i loro pregi e i loro difetti.
I miei preferiti sono stati Caroline e Josh, e George. Ho adorato la loro storia.
E poi, non è carino che da “Cordiali saluti, Amy Harris” si arriva a “Cordiali saluti, Amy”?
Citazioni
Di nuovo sua madre: «Sara! Perché non rispondi alle nostre chiamate? Amy è una serial killer? So bene come vanno le cose negli Stati Uniti. Cerca di non farti squartare, non te lo perdonerei mai. Se non ti fai sentire immediatamente, telefono alla CIA». La voce del padre borbottò qualcosa in sottofondo. «FBI. Fa lo stesso.»
«La mamma ha tentato di tutto per farsi benvolere. Ci hai mai provato?» Sara ci pensò sopra prima di rispondere. «Non lo so», disse, anche se supponeva che tutti ci avessero provato, prima o poi. «Tanto è inutile», commentò Grace. «Se segui le loro regole, ti battono sempre. Come si dice: mai discutere con un idiota, ti trascina al suo livello e ti batte con l’esperienza. Lo stesso vale per il modo in cui uno decide di vivere la propria vita.» Spense il mozzicone nel posacenere già stracolmo. «Mai vivere la propria vita seguendo le regole fatte dagli idioti. Ti trascinano al loro livello, vincono loro e tu hai vissuto un’esistenza noiosissima.»
Quando ero più giovane, ero convinta che tutti gli anziani avessero alle spalle un’esistenza drammatica. Forse la pensavo così perché sono cresciuta in campagna. Qui ogni famiglia sembra avere dei segreti, gravidanze inspiegabili ed episodi spiacevoli con il trattore o la mietitrebbiatrice.
Gertrude fumava come una turca. E beveva pure. Né questo né la sua cucina (era un’appassionata di alimenti sottaceto, preferibilmente grassi) erano riusciti a ucciderla, con grande disappunto dei suoi due ex mariti. Fino a quando l’alimentazione e il fumo passivo avevano invece ammazzato loro. Era vedova. «Funerale», continuò Gertrude. «È durante un funerale che una cittadina dà il meglio di sé. È sempre bello quando succede qualcosa.»
«Non andavo a vedere la scuola da dieci anni», le rivelò con un sorriso, che lei ricambiò. Era bello aver condiviso insieme quel momento. «Be’», aggiunse continuando con voce allegra, «soprattutto per via del laboratorio di metanfetamine che c’era sul retro. Brutta gente, chi le produceva e chi le comprava.»
Ho patito qualche dolore, certo, ma mai più grande di quanto fossi in grado di tollerare. A volte sono convinta che non sia la dimensione della sofferenza a essere determinante, ma la forza con cui ci attanaglia. Forse ci sono persone più ricettive di altre, ma tutti lo diventiamo a periodi.
Non riconosceva più le costellazioni. Una sensazione liberatoria. Era tragico che la gente fosse così ossessionata dai modelli da cercare di soggiogare persino le stelle. Come il Grande Carro, per esempio: da piccola le sembrava magico, il cocchio trainato da quattro cavalli, scintillante e ricoperto di gioielli come in una fiaba; quando però aveva imparato a distinguerlo, le era parso più un banale carrello della spesa. Sette stelle che si trovavano a milioni di chilometri l’una dall’altra, costrette dagli umani a diventare un carrello della spesa. O una carrozzina a buon mercato.
Sara appoggiò il volume sul tavolino. «Jane Eyre». «Mi ero completamente dimenticata dell’intensità di quest’opera. Quando l’ho letta per la prima volta, sono rimasta sveglia quasi tutta la notte, rannicchiata per terra.» Tom diede un’occhiata alla copertina, che raffigurava una donna anonima, all’antica, di profilo. Grigia e noiosa. «È da sciocchi piangere quando si sa già che tutto andrà a finire bene. Ma è tristissimo quando lei scopre che lui è già sposato e che tiene la moglie segregata in soffitta, e lei si costringe a lasciarlo, e quell’idiota di suo cugino cerca di convincerla a sposarsi con lui, anche se non la ama e sa che lei non è abbastanza forte per lavorare nella missione. E l’argomento usato da quel cristiano ipocrita! Quando è soltanto l’ambizione a spingerlo e a volerla portare con sé in India a convertire la gente.» «L’importante è il lieto fine», commentò Tom senza riuscire a trattenere un sorriso. «Sì», replicò seria Sara. «Per lei, almeno. Il suo grande amore diventa cieco e perde una mano.» Tom si agitò sulla poltrona. «Ma felice», assicurò. «Lui poi ha avuto la sua Jane.» «Oddio», sussurrò Tom.
«Cosa state combinando voi due?» domandò George. Era iperprotettivo quando si trattava di Sara. «Vogliamo vedere per quanto tempo riesce a leggere senza fermarsi», rispose il più grande. «Non ci ha neanche notato», intervenne l’altro. George sbirciò incuriosito dentro il locale. «Da quant’è che siete qui?» «Un’ora.» «E non ha mai alzato gli occhi?» «No.» Il più giovane aggiunse: «Anche se le ho fatto le boccacce». George aggrottò la fronte, poi si allontanò dalla vetrina per paura che Sara lo vedesse proprio in quel momento e pensasse che fosse in combutta con quei due. «Rimarremo qui fino a quando non alzerà la testa», continuò spavaldo il ragazzino. «E cronometriamo il tempo, vero, Steven?»
«Chi cavolo ha voglia di starsene impalato a guardare una che legge?» commentò Grace sulla soglia della tavola calda. Si era accesa una sigaretta come scusa per poter spiare cosa stavano combinando. «E che altro c’è da fare?» replicò Steven. «In effetti…» concordò lei dopo un po’. «Avrete bisogno di cibo. Aiutami a portare fuori il grill. È nel cortile sul retro. Gli hamburger li offro io.»
«Ehi!» esclamò Steven quando Sara fece capolino dal negozio. «Fanno esattamente cinque ore e trentasette minuti.» Scoppiò un applauso generale.
Questo dimostra che forse ho ragione a proposito dei libri e degli esseri umani: i libri sono fantastici e trovano piena giustizia in una capanna in mezzo ai boschi, ma che divertimento si prova a leggere un’opera meravigliosa se non puoi consigliarla ad altri, parlarne e citarla? «La maggior parte di ciò che il mio vicino chiama bene, credo nella mia anima che sia male, e se c’è alcunché di cui mi pento, è molto probabilmente la mia buona condotta. Quale demone mi ha mai posseduto per farmi comportare così bene?» Non è una citazione meravigliosa? Mi piace in particolare l’idea che la buona condotta sia dovuta a qualche demone.
«Io non posso invitarlo a uscire», protestò lei. «Perché no?» «Credo mi ritenga…» «Sì?» disse Jen speranzosa. «Bella? Misteriosa? Interessante?» «Strana.»
«Ti ritengo personalmente responsabile delle conseguenze», disse Carl. «Mi darete parte degli incassi?» «Se prendi il mio posto, avrai metà del regno e il mio primo figlio maschio.» «Sei gay», gli ricordò Sara. «Possiamo adottare.» «Non voglio bambini.» «Il mio regno?» Sara rise. «Sì, chiamatemi regina Sara.»
Decise di leggere un capitolo, soltanto per capire di che cosa si trattasse. Avrebbe potuto giurare che il libro stesse ridendo di lei quando alla fine lo afferrò. «Se gli altri libri sono insolenti come te, non mi sorprende affatto che per secoli vi abbiano messi al rogo», sbottò ad alta voce. Quelle parole fecero ammutolire l’accusato.
Ma come si faceva a diventare una persona che aveva sogni e obiettivi nella vita? Sara temeva di essersi lasciata sfuggire il momento in cui l’esistenza avrebbe dovuto cominciare per davvero. L’aveva percorsa leggendo e, fino a quando tutti erano stati adolescenti, infelici e ridicoli, non c’erano stati problemi; ma di colpo gli altri erano cresciuti, mentre lei… lei aveva continuato a leggere.
«Ci credi a quelle cose lì? A quei romanzetti rosa tutto romanticismo e scemenze del genere?» Oppure: «Perché indossa dei vestiti così stupidi? Saresti mai andata a letto con uno che ha i capelli lunghi e porta una camicia di seta viola? Viola! Di seta! Oltretutto sbottonata!»
Josh lo tranquillizzò: «Posso assicurarti che Caroline non è innamorata di me». «Ah, no?» Andy parve deluso. «No», ripeté Josh. «Mi usa solo per il sesso.»
«Lo so!» sbottò Josh, dimenticandosi per un attimo di mostrarsi pentito. «Ma mi hanno provocato», si giustificò. «Non puoi prenderlo come un complimento?» azzardò. «La donna matura che tiene i giovani in pugno?…» Notando lo sguardo di Caroline, si fermò. «Forse no.» «Forse no», ripeté lei.
Gavin Jones sollevò gli occhi dai suoi appunti. Dall’altra parte del vetro divisorio a specchio, le persone nella sala d’aspetto non potevano vederlo. Non sapeva perché chi aveva costruito quel locale si fosse permesso certe stravaganze, ma quella in particolare gli diede l’opportunità di prendersi del tempo per osservarli. Sembrava un caso semplice, ma lì fuori c’era una folla di potenziali fuori di testa che lo riempivano di orrore. Aveva il forte presentimento che nulla fosse semplice, quando si trattava di Broken Wheel. […] «Da chi iniziamo?» si informò l’agente accanto a lui. «Dal fucile? Il parroco? Il penoso abito da sposa?» Sembrava trovare la faccenda divertente. «Siamo solo amici», rispose subito Caroline, anche se la sua voce tradì un briciolo di tristezza. «Eh no, maledizione!» Caroline si voltò verso Josh. Non era da lui essere così scortese. Le sue mani cominciarono a tremare e lei fu costretta a intrecciarle sul grembo per non darlo a vedere. «Siamo amici, no?…» tentò incerta. «Ti ho detto che ho cambiato idea», sbottò lui. Mi ha detto che ha cambiato idea, pensò lei. Non che non siamo amici. Josh continuò a fissarla e lei distolse lo sguardo. Si costrinse a deglutire e replicò con più calma possibile: «Naturalmente. Forse è meglio così». «Non ho intenzione di andare a Denver e lasciarti in pace solo per facilitarti la vita», riprese lui. «Non è questo il punto dell’amore? Rendere la vita più interessante?» Caroline abbozzò un sorrisetto suo malgrado. «Più interessante, certo», annuì. Josh la guardò irritato. Era molto attraente quando era arrabbiato. «Sarà complicato, sbagliato e strano! Che gli altri ridano pure, se vogliono. Significa solo che stiamo vivendo una vita più intensa della loro.» Caroline tentò di seguire l’evoluzione inaspettata di quel discorso, ma non ci riuscì e rimase in silenzio. «Al mondo esistono due tipi di persone, Caroline: quelle che vivono e quelle che deridono. E, per quanto tu cerchi di fingere di essere triste e noiosa, non lo sei. Devi solo imparare a convivere con l’idea di essere più tenace degli altri. L’unica cosa davvero codarda che ti ho visto fare è lasciarmi.» Il suo sguardo si fece combattivo. «E non ho intenzione di permetterlo. Mi rifiuto.» «Forse», mormorò Caroline con cautela. «Forse?» le fece eco. «Non no?» «Sì.» Caroline sorrise. «Non no.»
«Credo di averti amata sin dalla prima volta che mi hai detto di preferire i libri a me.» Tom ci pensò su. «O forse da quando ti sei offerta di lavare i piatti in cambio di una birra.» «Era una proposta ragionevole!» protestò lei.
E gran parte di quella felicità sembrava provenire dalla consapevolezza di essere riusciti a imbrogliare le autorità. Come ai bei vecchi tempi, aveva detto Grace, e Jen era parsa d’accordo. A essere sinceri, più che d’accordo: il suo sguardo compiaciuto pareva dire che, quando era lei a occuparsi dell’organizzazione, nemmeno una cosuccia da niente come le leggi statunitensi sull’immigrazione poteva mandare a monte i suoi piani.
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Di solito quando mi succede qualcosa l’ultimo pensiero che ho è raccontarla sull’internet. Un po’ perché io di mio sono riservata quando si tratta di questioni - appunto - private, e un po’ perché non sono mai riuscita a capire il voyeurismo sociale che affligge ogni tipo di interazione qui sopra. Oggi però farò l’ipocrita. Un po’ perché ho uno scopo e un po’ perché…Essendo cazzi miei, li uso come mi pare. Quella che vedete è la faccia che avevo alle cinque del pomeriggio, dopo otto ore di lavoro precedute da troppo poco sonno, niente trucco per non perdere dieci minuti che avrei potuto passare sotto al piumone e un vestito pescato a caso nel buio e scelto perché non puzzava troppo di cane. Ero nel bar di un albergo del centro di Milano a sorseggiare caffè mentre cercavo di lavorare fingendomi una novella Carrie Bradshaw quando il trio di svedesi completamente sbronzi di fianco al nostro tavolo ha pensato bene di iniziare ad attaccare bottone con me e Carlo, il collega salvavita. Alla prima domanda ho risposto gentilmente per non passare da maleducata. Alla seconda mano sulla spalla ho sorriso, perché sarebbe stato scortese non farlo. Quando Carlo ha iniziato a innervosirsi per l’insistenza, ho ridacchiato come una cretina assicurandogli che non stavano facendo niente di male. Mentre lo assicuravo avevo la mano di quello più vicino a palparmi il fianco. Già immaginavo una rissa. E mentre la immaginavo mi sentivo in colpa. Non per il mio aspetto conturbante, il mio odore di cane bagnato e deodorante che ormai inizia a perdere il proprio effetto, o le occhiaie profonde come il famoso abisso che dopo un po’ che lo guardi inizia a guardare dentro di te. Mi sentivo in colpa perché continuavo a chiedermi in che modo avrei potuto rivolgermi a quei simpatici signori per farli smettere; perché sicuramente la gentilezza non stava funzionando, ma io non riuscivo a fare altro che sorridere con una vena ballerina sull’occhio e fingere che la mano non fosse passata a toccare il mio culo. Più loro insistevano, più io mi sentivo incapace di dire o fare qualsiasi cosa, perché nella mia testa qualsiasi cosa sarebbe stata quella sbagliata. Il tutto sarà durato neanche dieci minuti. Alla fine erano talmente molesti e sbronzi che ci siamo spostati, ci siamo fatti una risata e li abbiamo guardati da lontano prodursi in tentativi di canti russi e lancio della dignità nel cesso. Questo aneddoto sconclusionato non è un qualche modo perverso per aderire a campagne di vario genere o per ricordare che quando un gruppo si mette in testa che ha il diritto di trattarti come un pezzo di carne o semplicemente romperti il cazzo c’è poco che puoi fare (specie se in corpo hanno più alcool che globuli rossi). Non è nemmeno un rant contro l’uomo predatore, perché probabilmente a sessi invertiti ci sarebbe stato lo stesso imbarazzo e lo stesso senso di colpa assolutamente immotivato. È un modo un po’ contorto e assolutamente personale per ricordarvi che la gente tiene la bocca chiusa per i motivi che vuole, che a volte di parlare sul momento non hai la forza, o la prontezza, o anche semplicemente la voglia. Che spesso una violenza non deve infrangere la legge per essere considerata tale. Questo non toglie che la scelta - perché sempre di scelta si tratta - di tre stronzi di ubriacarsi fino a pensare che fosse normale comportarsi come hanno fatto, ha regalato al mio collega un quarto d’ora di bestemmie intervallate dalle mie richieste di evitare scenate mentre minimizzavo tutto con il sorriso, e a me una lunga riflessione sul fatto che stessi facendo sicuramente qualcosa di completamente sbagliato, ma senza riuscire esattamente a cogliere cosa. E io ero in compagnia, in un luogo perfettamente illuminato e che nell’immaginario collettivo viene frequentato solo da persone per bene. Non sono mai stata effettivamente in pericolo. Eppure avevo paura, e la certezza che se mi fossi comportata diversamente forse quei tre stronzi avrebbero continuato a cantare finte canzoni russe senza sentire il bisogno di mettermi una mano sul culo. Che poi il tizio è stato anche educato, mica ha stretto.
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Oggi, 3 maggio 2017, a distanza di ben otto mesi e ventisei giorni da quel 7 settembre 2016, scrivo.
Scrivo perché sento di non potercela più fare.
Perché il peso del ricordo di quel pomeriggio aumenta di giorno in giorno.
Perché ormai giorno e notte è la stessa cosa. Non si dorme di giorno, non dormo di notte.
Perché sono stanca di svegliarmi piangendo e tremando, terrorizzata.
Quel pomeriggio, quel pauroso momento, non è durato tanto. Dieci minuti o poco più. Ma ora, questi otto mesi e ventisei giorni, pesano, pesano da troppo e peseranno ancora per molto. Temo.
Mi hai chiamata, quel pomeriggio. Tu in pausa fuori dal tuo bar in campeggio, io che mi avviavo verso l'ufficio. Mi hai chiamata e sono venuta da te, ingenuamente. Perché non immaginavo cosa avresti potuto fare. Lavoravo lì da ormai tre mesi, tutti i giorni venivo al bar a pranzare e tutti i giorni scambiavamo due chiacchiere.
Sapevi la mia età fin dall'inizio. Dal primo giorno.
Io al bancone e tu “ciao, lavori qui? Come sei piccola. Quanti anni hai?”
17. Ne ho 17.
E tu stai sui 40, o per lo meno dai 38 in su. Ne sono sicura.
Sono venuta verso te, seduto lì fuori su quella sedia bianca piuttosto sporca. Pensavo “massí, sono in anticipo. Tempo di due chiacchiere e poi vado in ufficio”.
Tornassi indietro non verrei più verso di te.
Sono venuta e mi hai fatta sedere sulle tue gambe. Non pensavo male di te. E sbagliavo a non farlo. Pensavo “mi vedrà come fossi sua sorella minore, sua nipote” dal tronde lì dentro mi coccolavate un po’ tutti essendo io la più piccolina.
Ma me ne sono pentita subito dopo. Non mi sarei mai dovuta sedere in braccio a te. Non sarei mai dovuta venire verso di te. Sarei dovuta filare dritta in ufficio. Evitandoti.
Sento ancora le tue mani tra le mie cosce. È da mesi che nella mia mente la scena si ripete in loop.
Ditruggendomi giorno dopo giorno.
Mi sarei dovuta alzare. Andare via. Veloce. Ma non ce la facevo. Avevo paura.
Sai Diego, avevo tanta paura.
Ero come pietrificata. Non riuscivo a far altro che dirti di no, chiedendoti di smetterla e a spostare quelle tue mani troppo invasive che però tornavano immediatamente lì dov'erano prima. Dove non volevo che stessero. Dove non ti avrei mai permesso di metterle.
Sento ancora le tue mani che mi scostano i capelli scoprendomi il collo. E sempre quelle mani che dalle cosce salgono, sempre più su. Le scosto. Le rimetti.
Sento ancora le tue mani sulla mia camicetta. E poi sotto la camicetta.
Penso sia stato quello il momento peggiore. L'hai tirata fuori dai pantaloni e hai lasciato che le tue mani mi scivolassero sulla pelle. Sulla pancia. Sui fianchi. Sul bordo degli slip.
E io continuavo a dirti di no. Con la voce tremante, piena di paura, ti chiedevo di smetterla trattenendo le lacrime.
Mi riabbassavo la camicetta azzurra mentre le mie mani tremavano. Assieme alle mie gambe, assieme al mio cuore che batteva troppo veloce e il desiderio di alzarmi e scappare senza però riuscire a farlo.
E sentivo il tuo respiro sul collo.
E me lo baciavi.
E più mi spostavo più ti avvicinavi a me.
Se solo fossi riuscita ad andar via…
E poi è uscito Kevin. Ha visto cosa stavi facendo. L'ho guardato con gli occhi lucidi, cercando di chiedergli aiuto. Ma lui ha guardato te e ti ha fatto l'occhiolino. Sorridendo maliziosamente.
E mentre mi baciavi il collo, mi toccavi, mi “azarezzavi”, mi dicevi di non mandarti via.
Mi baciavi e mi chiedevi “non le vuoi le coccole?”
Non erano coccole quelle Diego. Quelle erano le mani di un uomo che non volevo mi toccasse.
Erano come lame sulla mia pelle. Lame delle quali porto ancora i segni.
E ti dicevo con la voce soffocata che no, non le volevo le tue coccole.
La tua domanda alla mia affermazione?
“Hai già qualcun altro che te le fa?”
In effetti sì. C'era già qualcun altro a farmele. Qualcuno da cui volevo essere davvero coccolata.
Ma non è quello il punto.
Il punto è quelle non erano coccole e che le due mani sul mio corpo non ci sarebbero dovute essere. Né in quel momento né mai.
E io con la voce sempre più tremante, sempre più soffocata ti ho risposto di sì, che c'era già qualcun altro a farmele.
La tua risposta? “Ma io non sono geloso”
No Diego. Non eri geloso. Eri solo la cosa peggiore che mi sia mai capitata.
E sai, non è geloso neppure colui che c'era a farmi le coccole e che grazie al cielo c'è ancora. Sa quello che mi hai fatto.
Non prova gelosia nei tuoi confronti. Prova solo odio e tanta rabbia. E forse a volte pensa di volerti uccidere. Non lo so. E forse anche io a volte penso di volerti uccidere. Forse te lo meriteresti. D'altro canto uccidere è in un certo senso anche quello che tu hai fatto a me. Ed è lui che si precipita a casa mia nel bel mezzo della notte quando il ricordo di quel giorno e gli incubi mi uccidono.
Che mi dice di sfogarmi. Che lascia che i suoi vestiti vengano bagnati dalle mie lacrime mentre tremo e singhiozzo. Ultimamente il ricordo di quel pomeriggio è sempre più presente e sta compromettendo sempre più parte della mia vita. I miei rapporti con gli altri perché non riesco a pensare ad altro che a quello. Perché alcune volte scoppio a piangere dal nulla e sono costretta a nascondermi per non far preoccupare chi mi sta attorno. Non ho voglia di uscire. Mi spaventa andare alle feste con le mie amiche sai? Per colpa tua. Troppi ragazzi, troppi uomini dai quali mi sento osservata. Dai quali ho paura di essere toccata. E che a volte mi toccano pure, ed è un quei momenti che il tuo volto, Diego, si fa ancora più limpido nella mia mente. È come se mi stessi toccando tu, anche se in realtà non è così. Più cerco di spostare il pensiero più lui torna a farsi vivo in me. Il mio livello di concentrazione è calato spaventosamente. Non mi è possibile seguire due parole dette da qualcuno o una riga scritta su un libro che lui subito torna. E assieme a lui anche le tue mani sul mio corpo. Sto rovinando il mio rendimento scolastico, mi sto allontanando quasi inconsapevolmente da tutti, mi sto chiudendo in una teca di vetro nel vano tentativo di lasciare te fuori da essa, ma purtroppo nella teca non mi ci trovo mai sola. Ci sono io e c'è quel pomeriggio. E ho paura. Paura che nella teca rimarremo sempre entrambi. Io spogliata di ogni mia sicurezza e la tua immagine sempre in agguato, pronta all'attacco. E sai qual è il problema? Che non sono in grado di parlarne. Ho paura che tutto ciò possa essere considerato una cazzata. Ma per me non lo è, altrimenti non sarei qui anche sta sera come le sere precedenti a sperare di non avere ancora una volta gli incubi. Alcune volte mi fermo a riflettere. Mi sveglio la mattina pensando “forse non è successo realmente. Forse l'ho solo sognato. L'ho solo immaginato.” E invece no. È successo davvero e non sono in grado di cancellarlo. Continuo a incolparmi del tutto. È stata colpa mia perché non ci sarei dovuta andare. È stata colpa mia perché ingenuamente mi sono seduta sulle sue ginocchia. È stata colpa mia perché sono una stupida e credo sempre di potermi fidare. E invece no. Non è stata colpa mia. È stata colpa tua Diego. È una sola la colpa che posso avere io. Non averlo detto a nessuno fin da subito. Aver aspettato pensando sarebbe passato. Ma queste cose non passano. Ma tra lacrime e singhiozzi io ancora ci spero che possa passare.
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Il mio sangue vaga per la città,
Lo incontro ad un supermercato, trascina un carrello con dentro nulla che io comprerei.
Lo intravedo in posta con in mano un numerino diverso da quello sto aspettando io.
Lo ritrovo in stazione, ad un binario che non è il mio, aspettando qualcuno che non sono io: stenta a riconoscermi, mi guarda confuso e poco dopo riproduce il mio sorriso. Lo ritrovo per pochi minuti, il tempo di riaprire una ferita, di vedere quegli occhi lucidi ed un forte imbarazzo ad accompagnare quella gioia inaspettata, la gioia che ero io.
Voleva offrirmi il suo ritorno attraverso un caffè, unito ad una brioche con dentro qualche confettura, come a colmare il mio vuoto.
Un attimo durato come il tempo della mia vita fino ad allora,un attimo di vent'anni.
Un attimo come il sorriso nel ricevere una bustina per il mio album di figurine da completare.
Un giorno come il Sabato delle corse in bicicletta in mezzo ai campi, le mie gambe che tremavano in salita, i miei starnuti causati dall'allergia al polline, le pause alla fontana per riprendere fiato e le piogge improvvise da evitare sotto i portici.
Tre giorni come quelli passati a Verona, sotto casa di quei cantanti che seguivo ossessionatamene. Tu che suonavi al campanello perché io ero troppo timida per farlo, le fotografie che hai scattato per me, il treno che abbiamo preso al volo, un sogno che per me si realizzava. Le amicizie che si sono create, le notti in hotel e quella in stazione aspettando il primo treno che la mattina ci avrebbe riportato a casa.
Una settimana come il tempo che aspettavo per rivederti nel weekend, scoprire insieme nuovi ristoranti e nuovi piatti. Le gite in montagna a prendere l'acqua dalla fontana e gli inverni innevati in cui volevi che io imparassi a sciare, ma non sarei mai diventata brava come te. Tre settimane come quelle che ti hanno riportato a casa cambiato, con una nuova vita. Quella vita delle video-chiamate di nascosto, dei continui messaggi, del tuo sfondo sul computer che mi faceva male. Il tuo viaggio lontano da me. Le cene senza te, i tuoi ritardi frequenti, l'inizio di una fine.
Un mese come il tempo che è bastato per dividerci. Dopo essermi trasferita a pochi metri da te sempre più lunga è stata la frequenza dei nostri incontri, io avevo gli esami di terza media, dovevo studiare ed bastato così poco per spezzare un rapporto vitale.
Un anno come il tempo in cui si aggiunge una candelina in più sulla torta.
Due anni come il tempo in cui, lontana da te, ho smesso di festeggiare il compleanno.Tre anni come quelli in cui ho lasciato la scuola per i miei continui malesseri mattutini, i mal di pancia e mal di testa frequenti a cui tu non hai mai creduto. L'ansia della scuola che mi ha devastato l'adolescenza, la mia timidezza e le difficoltà nel relazionarmi con i compagni di classe. Le prese in giro, i miei pianti lontana da tutti. L'affezione al buio e l'ansia del sorgere del sole che preannunciava l'inizio di un nuovo inferno tra quelle mura in cui regnava l'ignoranza. Le sedute dallo psicologo e quelle dallo psichiatra, loro che non hanno mai capito nulla di me e degli eventi che scatenavano le mie ansie. Le gocce omeopatiche e lo Xanax che mi rifiutavo di mandare giù.
Quattro anni come i cinque, come i sei ed ora i sette che siamo lontani. Lontani pochi metri.
Sono lontana da quella casa in cui ho imparato a camminare sbattendo contro il divano rosa, la stessa casa in cui avevo lamia piccola stanza magica piena di poster, disegni e passioni. Le stelle sul soffitto raffiguranti le costellazioni chela notte si illuminavano, la radio rosa di Barbie a trasmettere le mie canzoni preferite su cui improvvisavo balletti imbarazzanti insieme a tutte le mie bambole a cui creavo look ed acconciature stravaganti. Il mio pupazzo preferito vive ancora lì, si chiama "Miomio", ha la mia età e gli è stato attribuito questo nome quando da piccola lo portavo sempre con me, dicendo " è mio, è mio!"
Ricordo il mio piccolo orto che innaffiavo quotidianamente immersa tra le zanzare ed i moscerini che mi divoravano. Le quattro piante di kiwi che ogni autunno raccoglievamo insieme, riempiendo più cassette possibili.Il giardino in cui passavo i pomeriggi dopo scuola giocando a pallavolo con la palla che finiva sempre nel giardino dei vicini, tra le margherite e le piante che ora hanno lasciato spazio ad un enorme palazzo.Ricordo il mio primo gatto che hai portato a casa quel 12 Ottobre, piccolo come il pugno di una mano. Lilli settimo, come dicevi tu scherzando, dato che prima di lui avevi avuto altri sei gatti con lo stesso nome. Per me era il mio Lilli con un dente rotto a causa di un incidente, lo stesso che era rimasto un giorno chiuso accidentalmente nello sgabuzzino e che un'altra volta era arrivato sopra il tetto non riuscendo più a scendere. Eri andato tu con la scala a prenderlo, ti ricordi? Il mio Lilli che chiamavo ogni mattina gridando in giardino anche quando poi non è più tornato a casa. Ricordo quando mi portavi alle feste nelle quali ti consegnavano delle medaglie per i tuoi anni di lavoro, feste composte da spettacoli divertenti e sotto al palco un tavolo imbandito di dolci a fare da sfondo. Ricordo le damigiane di vino in cantina che creavano numerose bottiglie da travasare insieme, che fosse Barbera o Grignolino.
Ricordo la mia passione per Sanremo nata nel 2007 a soli dieci anni. Negli anni successivi, prima di ogni edizione, impostavo una griglia su un foglio dove ti facevo votare con me tutte le canzoni in gara, anche se le nostre preferite poi non vincevano mai. Da questa passione derivano i concerti che abbiamo condiviso, le emozioni e gli insegnamenti che apprendevo dai cantautori italiani mi hanno reso capace di esprimermi attraverso le parole più di quanto io sia capace a fare con dei discorsi a quattrocchi. Ricordo tutto di noi e se chiudo gli occhi riesco a rivivere le stesse emozioni. I miei occhi sono come i tuoi, chissà se ci riesci anche tu.
Adesso hai qualche linea in più sul volto, gli occhi più spenti,qualche sorriso in meno e qualche chilo in più. Hai ancora quel cappellino, gli stessi occhiali neri e le mani di un uomo che nella vita si è dato da fare per realizzarsi, iniziando a lavorare da adolescente per mantenere la famiglia, mentre frequentava una scuola serale. Quella maglietta che ti ho portato da Montecarlo forse non ti starà più ma sono certa che la conservi ancora in qualche cassetto, come tutti gli album fotografici che ti ricordano di me. Anche io sono un po' cambiata, il mio volto è più simile al tuo adesso, i miei capelli sono più lunghi, i tuoi più bianchi,ma ti riconosco ancora nelle nostre fotografie. Ricordo quando mi rimproveravi per la mia scrittura ed ora posso dire di avere una bella calligrafia, ricordo quando passavi ore ad interrogarmi sui verbi che non ho mai più dimenticato, ricordo quando mi insegnavi i capoluoghi delle regioni italiane su cui ho preso ottimo nella verifica. Questo era il tuo modo di crescermi, mi hai insegnato tutto tranne che il funzionamento della vita, forse perché non lo conoscevi nemmeno tu. Questo ho dovuto sentirlo sulla mia pelle, sbattere molte volte la testa ed imparare a bastarmi facendo affidamento sulle mie sole forze, ma ora sono fiera di quello che sono diventata.
Sono fiera di me per le sigarette che non ho mai fumato, per tutte le sostanze che non ho iniettato nel mio corpo, per tutte le volte che non sono stata in mezzo alla gente e per quelle in cui non mi sono sentita accettata. Sono fiera per tutti i pianti che ho trasformato in parole su dei fogli di carta, perché sono sopravvissuta nonostante il tempo,nonostante il freddo, nonostante il caldo. Nonostante i brividi e nonostante il sudore. Sono fiera di me perché non lo sono mai davvero ed i miei obbiettivi mi tengono in vita quotidianamente. Ho ricevuto i tuoi fiori il giorno del mio compleanno, i tuoi messaggi di auguri ad ogni festività e la tua continua assenza. Ho preso da te la parte migliore di me e quella peggiore: dalla mia passione per il disegno che mi cullava le notti in cui perdevo il controllo della mia testa, al mio carattere freddo,a volte distante anche dalle persone che ho accanto,introverso ma solare. Ho preso i tuoi lineamenti, i pregi ed i difetti, ma sono ancora fiera quando mi dicono che assomiglio a te.
Cosa porta a far si che il tuo sangue non venga più riconosciuto da te? Sangue che scorre costantemente nelle tue vene e mantiene il tuo fisico, ma non la tua anima.
Cosa porta i tuoi stessi occhi, quelli con cui hai condiviso la tua vita, a non riuscire più a condividere un solo sguardo? E le tue gambe ad allontanarsi da chi ti ha sorretta prima che imparassi a usarle?
Il tempo, il tempo che non torna più.
Quel tempo durato un attimo, un attimo durato vent'anni.
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Mestre women friendly
Tips e consigli per un week-end a Mestre fuori dai luoghi comuni
Torre mediovale
Un nuovo hotel attento alle donne, un nuovo museo che non ha eguali, curiosità e spunti vicino a Venezia
Il 73% delle donne sta pianificando un viaggio da sola nei prossimi anni.
Donne di Italia, Gran Bretagna, Francia, Germania, Stati Uniti, Brasile e Cina secondo un sondaggio di alcuni mesi fa che ha coinvolto donne fra i 18 e 64 anni.
Oltre il 63% di noi italiane ha già fatto almeno un viaggio in solitaria e cominciamo prima di aver compiuto 25 anni. Interessante no?
Un nuovo indirizzo women friendly
In giugno è stato inaugurato un albergo che ha particolari attenzioni verso le donne. Leonardo Royal Hotel Venice Mestre ha scelto il design e la tecnologia per connotarsi e ha destinato alcune sistemazioni del nono piano alla clientela femminile.
L’ascensore porta al piano senza dover digitare nulla: riconosce automaticamente la card della camera.
Aya Ben Ezri
Le camere women friendly prevedono piastra per capelli e diffusore per il phon, elastici che spesso dimentichiamo, make up mirror, mascherina per gli occhi per agevolare il sonno, maschera viso per rigenerare la pelle, riviste femminili. E se stiamo viaggiando per lavoro e siamo troppo stanche per scendere al ristorante, il room service viene servito esclusivamente da donne.
L’hotel, di categoria 4 stelle superior, ha accesso diretto al binario 1 della stazione, da cui partono frequentemente i treni che collegano Venezia in dieci minuti. E la sua palestra è accessibile 24 ore.
Aya Ben Ezri
Molto accogliente, Leonardo Royal Hotel Venice Mestre alterna velluti, marmo e ottone a design e scelte cromatiche accurate; la lounge è un ambiente molto gradevole per aperitivi o dopocena, dove il bancone del bar evoca la prua di una barca.
www.leonardo-hotels.it
Perché andare a Mestre
Dovreste andare a Mestre se siete curiose
Mestre è una città piena di giovani, residenti e universitari dell’ateneo veneziano, che si danno appuntamento nella bella Piazza Ferretto.
Il centro pedonale è molto piacevole e se desiderate uno shopping particolare, andate in via Caneve 42, dove il Maestro Orafo Francesco Pavan collabora con Alberto Angela nella creazione di gioielli.
Un motivo per andare a Mestre è la nascita, nel dicembre 2018, di un museo che non ha eguali: M9, dedicato al Novecento Italiano. Due le caratteristiche: racconta la nostra storia non dal punto di vista artistico ma in tutte le sue sfaccettature. Ed è totalmente digitale e interattivo.
M9 è un museo multimediale che si articola in due piani (il terzo accoglie mostre temporanee), con 8 sezioni dedicate alla demografia, agli stili di vita, alla corsa al progresso, al lavoro, alle mutazioni del paesaggio, alle istituzioni, all’educazione, all’italianità.
È coinvolgente aggirarsi fra le sale, vedere su maxi schermi come eravamo e giocare a come saremmo state nei vari decenni del secolo, muoverci dentro le cucine degli Anni Cinquanta spostando i mobili in 3D e cucinando i piatti di allora, guardare le grandi manifestazioni di massa, sorridere di fronte a stereotipi e autorappresentazioni.
M9 ha svolto un lavoro di ricerca durato 10 anni, tanti quanti la riqualificazione urbanistica del distretto di un ettaro che in passato era militare e ora ruota attorno a lui. I curatori hanno collaborato con 160 archivi e hanno lavorato con esperti di tecnologia per tradurre l’identità italiana in modo avvincente.
Tutto in italiano e inglese, ci permette di scoprire, di capire e di divertirci pure.
www.m9museum.it
Dormire a Mestre ha costi decisamente più democratici rispetto a Venezia ma la distanza è minima.
Il nostro consiglio è di programmare un paio di notti in settembre o ottobre e di abbinare la visita alla Biennale d’Arte, il cui tema è “May You Live in Interesting Times”. Il curatore Ralph Rugoff ha scelto artisti che sfidano consuetudini e interpretazioni.
Le aree espositive Arsenale e Giardini sono un viaggio audace, che celebra la capacità dell’arte di stimolare domande e confronti complessi. In tempi in cui prevale la tendenza alla semplificazione, le espressioni che arrivano da mezzo mondo sono una boccata d’ossigeno.
www.labiennale.org
Luisella Colombo
Mestre da scoprire Mestre women friendly Tips e consigli per un week-end a Mestre fuori dai luoghi comuni Un nuovo hotel attento alle donne, un nuovo museo che non ha eguali, curiosità e spunti vicino a Venezia…
#Biennale d’Arte 2019#Italia#Leonardo Hotels#Leonardo Royal Hotel Venice Mestre#Mestre#museo M9#Veneto
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