#manipolazione maschile
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Come donne, viviamo in una società basata e costruita nei millenni attorno ad un solo fattore: come permettere al meglio ad un uomo di poter "svuotare il suo liquido seminale su una donna".
Dalla religione, al vestiario, al trucco, dai giochi alle storie per bambine, all'acconciatura, all'educazione familiare, scolastica, parrocchiale, alle norme costituzionali... esiste una continua manipolazione maschile che dice "Tu, donna, sei solo un oggetto per un uomo e questo solo devi essere".
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Come donne, viviamo in una società basata e costruita nei millenni attorno ad un solo fattore: come permettere al meglio ad un uomo di poter "svuotare il suo liquido seminale su una donna".
Dalla religione, al vestiario, al trucco, dai giochi alle storie per bambine, all'acconciatura, all'educazione familiare, scolastica, parrocchiale, alle norme costituzionali... esiste una continua manipolazione maschile che dice "Tu, donna, sei solo un oggetto per un uomo e questo solo devi essere".
È più che giusto che una donna esibisca il proprio corpo in pubblico anche in atti sessuali per il puro piacere maschile, ma deve essere a pagamento: farlo gratuitamente non va bene, perché alimenta l'idea che agli uomini sia concesso tutto, cioè alimenta il patriarcato con le sue connotazioni tossiche come violenza, stupro e femminicidio.
Il dover pagare per un servizio come il vedere la foto del viso di un'utente donna su un social condiziona l'interessato nel comprendere che niente è dovuto!
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Dalla religione, al vestiario, al trucco, dai giochi alle storie per bambine, all'acconciatura, all'educazione familiare, scolastica, parrocchiale, alle norme costituzionali... esiste una continua manipolazione maschile che dice "Tu, donna, sei solo un oggetto per un uomo e questo solo devi essere".
La violenza subita, qualsiasi essa sia, non deve intimorirci, ma essere la benzina del nostro motore progressista.
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Age Of Legends
Pensavo fosse amore...invece era un calesse
Avevo questo drama nella mia lista da secoli, in virtù dei suoi tag: Forte protagonista femminile , Forte protagonista maschile , Contrabbando di droga , Amnesia , Droga , Amico- nemico , Fratelli giurati , Morte , Amici degli amanti , Vendetta.
Grazie ei suoi poster belli aggressivi:
e al trailer super adrenalinico ed ad alta tensione. Con il voto su Mydramalist di 8.5 a certificare che potesse davvero essere un mezzo capolavoro.
Ed infine la trama come ciliegina sulla torta:
Liu Zi Guang (William Chan) è un giovane ragazzo educato e buono come il pane, che un giorno vede suo padre morire per mano di uno spacciatore, lasciandolo solo al mondo. Devastato dalla perdita e senza più nulla che lo legasse alla città, parte alla volta della Città M alla ricerca di un nuovo lavoro. Lì incontra Nie Wan Feng, ne diventa amico e più tardi fratello giurato.
Con questo nuovo rapporto, Nie Wan rivela al suo nuovo fratellino il suo sogno più grande, che lo ha spinto a venire alla Città M: diventare il Pablo Escobar della Cina. Soldi, potere, donne... con la droga si può diventare ricchi sfondati.
Liu Zi ovviamente non partecipa alla gioia di questa rivelazione, poiché in lizza per la Santità fan della giustizia e della verità e poiché mira a diventare ed essere, una brava persona. sai no, il cittadino modello.
Tuttavia Nie Wan fa orecchie da mercante e riesce a farsi assumere nel gruppo di un narcotrafficante che governa la città, trascinandosi appresso pure Liu Zi. Nei successivi 4 anni, Liu Zi, completamente contrario alla droga e al narcotraffico, proverà a scappare in tutti i modi, venendo catturato, malmenato, sparato ed infine chiuso in una gabbia di 2 metri per 3 con solo un buco altezza occhi per far passare l'aria.
Ma Liu Zi è così fenomeno che anche rinchiuso, guardando dal buco della serratura sopracitata, riesce ad imparare le mosse di combattimento, a smontare, rimontare e usare una pistola e mettendo al contempo su 12 Kg di muscoli.
Il tormento finisce dopo 4 anni, ossia quando Nie Wan uccide il capo dei narcotrafficanti e ne prende il posto, diventando il capoccia di tutti e liberando così suo fratello.
Liu Zi , salutato Nie Wan, torna nella città M e finisce a lavorare in un pub gestito da un poliziotto sotto copertura, mandato lì, proprio per arrestare i narcotrafficanti. Scoperto che il suo nuovo lavoratore conosce Nie Wan, il poliziotto compie uno dei casi di manipolazione mentale più hardcore che io abbia mai visto:
facendo leva sul desiderio di Liu Zi per una società giusta e buona, sulla disgrazia della droga, sulla sua santità, su quanto è brutta la Cina con questi criminali che rovinano la gente, rispedisce Liu Zi da Nie Wan come informatore.
In pratica manda a morire Liu Zi aggratis per un lavoro che doveva fare lui. Perché spoiler ( nessuno sapeva che Liu Zi era l'informatore del poliziotto. Manco la polizia. Così se Liu Zi crepava, nessuno lo sarebbe andato a cercare.)
Per essere ancor più vantaggioso, gli mostra anche la figlia lasciata a casa, ipotizzando magari anche una loro relazione futura... signore, il sensale doveva fare, non il poliziotto!
Figlia che lui ha dato al suo migliore amico e poliziotto anch'esso, chiedendogli di crescerla al suo posto poiché troppo pericoloso il lavoro di poliziotto sotto copertura. Così, la donzella, all'alba dei suoi 27 anni, ancora non sa che i suoi genitori non sono veramente quelli biologici.
Liu Zi intanto, novello informatore, torna dal fratello che lo accoglie a braccia aperte e gli dona metà del suo impero della droga. Nei 4 anni successivi, il lead darà informazioni su Nie Wan al poliziotto, giocando sul filo sottilissimo del tradimento e della spia, sempre con il terrore di venire beccato.
E beccato, viene beccato! Nie Wan scopre che il tipo del pub è un poliziotto e poichè sa che lui e Liu Zi sono amici e sospetta il tradimento, manda Liu Zi ad ucciderlo. Omicidio che il Nostro compie spoiler: cosa che ho sempre negato vista la palese love story con la figlia di sto tipo e che riporta il sereno nella relazione tra i due fratelli. Ma che brucia però, l'unica persona che sapeva che Liu Zi era un infiltrato. Lo dicevo io che era una cazzata!
Serenità che viene però interrotta quando, in una operazione assieme a tutti i signori della droga (tranne Nie Wan) arriva la polizia per arrestarli. Liu Zi si salva buttandosi a mare e andando alla deriva per giorni...
Ripescato sulla spiaggia privo di sensi, si scopre che è privo anche di un altra cosa: di memoria.
Il suo ultimo ricordo risale a 8 anni prima, quando morì il padre e andò alla città M per cercare lavoro. E adesso? Liu Zi scoprirà cosa ha combinato in quegli otto anni? e soprattutto, ne sarà felice? ne dubito
Alzi la mano chi come me ha pensato che la memoria gli sarebbe tornata ad una certa... ma solo quella di lui come narcotrafficante, come una cattiva persona, dimenticandosi invece del suo ruolo come informatore.
Vagando per la città disorientato, salva un bambino da dei rapitori - ovviamente la Santità deve esser praticata quotidianamente - ed è qui che incontra la protagonista femminile, Hu Rong, poliziotta che giustamente lo arresta perché crede che sia uno dei rapitori del bambino pure lui.
Portato in centrale e messo sotto interrogatorio, Liu Zi rivelerà quello che gli ha detto anche il dottore alla spiaggia: non ha memoria degli ultimi 8 anni e non è un rapitore. Ha salvato il bambino come atto di bontà quotidiana e fine.
Ma la lead non gli crede - nonostante lo porti a fare una TAC completa che certifica scientificamente questa perdita di memoria - e giura che scoprirà " tutti i segreti" che Liu Zi nasconde.
Hu Rong scoprirà che Liu Zi era un narcotrafficante? che gli ha ucciso il padre? che in realtà era un informatore?
Dai, non è figo?!
Intrighi, tranelli, quella tensione e paura di essere scoperti...e poi ancora doppiogioco e segreti. Io ci vado a nozze con questa roba.
Certo, c'è una pecca che sin dall'inizio mi ha frenato dall'iniziare la serie: le 47 puntate. Sapete quante sono 47 puntate e di quanto si può allungare il brodo con 47 puntate?! Ed infatti, come avevo ipotizzato il drama è super annacquato. Ma andiamo con ordine:
Se dovessi concentrare la mia opinione di questa serie in una frase direi: è come andare a vedere al cinema un film che aspettavi da mesi e mesi e poi in sala ti mettono 40 minuti di pubblicità ed il film tanto atteso in realtà si rivela un corto di 3 minuti.
Perché effettivamente dal 3 al 40 episodio la trama sopracitata quasi sparisce. Quaranta e passa episodi di Liu Zi che ricostruisce la sua vita, ritrova i suoi amici e li rimette sulla buona strada, cambia 5 volte lavoro, apre ditte, risolve i casini degli amici, si dedica al servizio civile, conosce gente, cattura cattivi insieme alla polizia, si fidanza...ma della trama orizzontale non vi è quasi traccia. Per circa 40 episodi.
Che poi, non è male quello che accade. E' anche carino vedere le relazioni tra i personaggi, la bromance e il restauro dell'esistenza del protagonista. Vengono presentati personaggi interessanti e simpatici - ho amato la second lead ed il capitano Han - e vengono portate in campo tematiche anche piacevoli.
Ma non è questo, quello "per cui ho pagato." Dei tag detti sopra non vi è traccia in questi 40 episodi e per quanto sia bellino questa specie di "slice of life", dove è finita la tensione e l'eccitazione prevista? Il "nemici- amici"?
Non potevano mischiare le cose? farci vedere la vita di Liu Zi e al contempo portare avanti la trama orizzontale?!
Inoltre, per arrivare ai 47 episodi, ci hanno messo di mezzo pure i flashback. Una marea di flashback che mi hanno costretta ad usare il tasto "avanti veloce" più e più volte. Tra le scene già viste e straviste e le scenette delle problematiche degli amici di Li Ziu, mi sono skippata metà serie.
E che le mie parole non siano una completa cazzata, viene certificato da due elementi: il primo riguarda il trailer. TUTTE le scene del trailer provengono dai primi 2 episodi e dagli ultimi 8. Guarda un po'! Sono maligna io o persino la serie sapeva bene quali carte giocare?! Chissà perché nel trailer non ci sono i personaggi secondari o nemmeno una scena dalla parte centrale della serie...
Il secondo elemento ce lo dice Nie Wan che dopo aver passato 40 episodi - e non scherzo - seduto al buio a commentare le azioni di Liu Zi decide, per gli ultimi 8 episodi, di fare qualcosa e movimentare almeno lui un po' le cose, facendoci tornare alla trama orizzontale e concludendo il drama. Grazie Nie Wan.
Gli ultimi 8 episodi poi sono strani:
prima di tutto, sono super frettolosi. Giustamente, tutto quello di cui non hanno parlato fino a mo' deve cicciare fuori adesso. Una informazione dietro l'altra senza dare alla polizia manco il tempo di razionalizzare tutto.
Noi spettatori invece non abbiamo bisogno di assorbire queste scoperte sulla vita del lead negli 8 anni precedenti poiché già le sappiamo. Togliendoci così ogni possibilità di sentirci parte dell'investigazione. Quanto sarebbe stato bello se la serie fosse iniziata con il lead senza memoria e noi e lui avessimo scoperto le cose assieme? Ed invece no. Semplici spettatori di una storia che sappiamo già.
Questa frettolosità si riflette appunto sulla reazione dei personaggi che non fanno manco in tempo a mostrare in volto la loro sorpresa o sconvolgimento: la notizia che il narcotrafficante sia Nie Wan e non Liu Zi, la scoperta che il primo abbia incastrato il secondo e che abbia una fedina penale da serial killer, viene buttata sul tavolo e dopo 2 secondi siamo già all'argomento successivo.
Niente pathos, niente tensione. Questa serie infatti ha il record mio personale di essere l'unico drama con genere "thriller, azione, romantico" visto fino a mo' a non avermi mai fatto sentire in ansia o nervosa.
In pratica, semmai volessi rivedermi questa serie, vedrei le prime due puntate e poi volerei direttamente al 40 episodio.
Andando ai personaggi, salvo solo i secondari ed un po' Liu Zi. Quest'ultimo grazie alla recitazione superba di Willam Chan capace di passare da ragazzotto ingenuo e spensierato a pazzo fuori di testa fino a uomo cazzuto e deciso nell'arco di poche scene. Gli episodi dove crede di essere davvero un narcotrafficante sono un capolavoro recitativo. E' stato bravissimo.
Liu Zi viene poi caratterizzato come un Santo. Seriamente, credo che partecipi a una specie di gara a chi fa più azioni positive per vincere un posto in Paradiso. Non solo è buono e gentile con chiunque ma si farebbe ammazzare per le altre persone. Aiuta le vecchie ad attraversare la strada, dona il sangue, rischia la vita per proteggere la fidanzata poliziotta, salva bambini, aiuta la polizia... un martire praticamente.
Ed infatti è super noioso. Ho amato la parte come infiltrato tra i narcotrafficanti poiché mostrava un Li Ziu che sì faceva la cosa giusta aiutando la polizia ma al contempo lavorava con la droga ed i narcotrafficanti. Era un contrasto interessante. Soprattutto in relazione al suo rapporto con Nie Wan: erano amici e fratelli ma al contempo Liu Zi tradiva la sua fiducia vendendo informazioni alla polizia.
Poi, senza memoria, diviene il Santo Protettore degli Innocenti, Amici e Fidanzata e perde tutto il mio interesse, mostrando un lead buono, dolce e sacrificale fino alla morte.
Quando la recupera invece va fuori di testa - sono gli episodi migliori quelli - combattuto tra la memoria che gli dice che è una cattiva persona e il sapere invece di essere una persona buona. Questo è il contrasto che volevo vedere e che ho amato.
I personaggi secondari sono stati carini anche, soprattutto i second lead. La second parte come ragazzina viziata e appiccicosa ma evolve durante la serie, dimostrando di esser diventata una persona matura. Il Capitano Han invece, mi è piaciuto per la sua calma e compostezza. Compiva dei ragionamenti intelligenti dimostrando di essere anche una persona con una certa sagacia. Peccato che la serie abbia deciso di ucciderlo in un modo atroce, solo per il gusto di alzare la quota dei morti. E farmi odiare ancora di più la lead.
Ohhhhh la lead.
Grazie a Hu Rong ho la mia vincitrice nella categoria della lead peggiore per il quiz di fine anno.
Cosa dire di lei? è dappertutto. Non c'è situazione che la polizia debba risolvere che non sia realizzabile solo e unicamente da lei. Nonostante sia parte di una squadra, i suoi compagni hanno la rilevanza di un fermaporte, perché tanto qualsiasi cosa, c'è Hu Rong.
La serie si è così impegnata a renderla super importante e cazzuta che persino i delinquenti la chiamano " la poliziotta coraggiosa". mado' il cringe Ci sono queste scene dove il drama la spamma in ogni modo che hanno contribuito a farmela odiare ad un livello da galera.
Essendo poi la figlia biologica del poliziotto infiltrato e al contempo figlia del Capo della Polizia e del Vicesindaco della città, la stazione di polizia è il suo regno: tutti la conoscono e la venerano, lasciando da parte protocolli, ordini e gerarchie appena lei è presente.
Irrompe nelle riunioni, non rispetta gli ordini del suo capitano, se ne sbatte delle gerarchie. Mai nessuno che la metta in punizione quando sbaglia o le dia note di demerito. Sia mai!! La principessa potrebbe soffrirne.
Ad un certo punto, le permettono pure di stare nella squadra d'investigazione che sta indagando sul suo futuro marito. Perché d'altronde, i sentimenti personali cosa vuoi che siano di fronte ad un indagine?! E la cosa assurda è che manco indaga. Sta lì con loro, con la faccia depressa e piangente ma in realtà fa solo numero.
A questa scrittura per me terribile di una protagonista, si aggiunge la sua relazione con Li Ziu;
L'intento delle serie era mostrare come per un poliziotto, non importa quanto amore ci sia verso l'altra persona, la giustizia deve sempre venire prima di tutto.
Per tutto il drama assistiamo a Hu Rong che inciucia con Li Ziu, si innamora di lui ma è sempre pronta a portarlo in centrale al minimo sospetto di sgarro. Ed è qui il problema.
Come dice chiaramente il Capitano Han, Li Zu lo conoscono tutti come un bravo ragazzo e si fidano di lui. Ma al contempo, se ci sono dei sospetti, devono investigare. Anche per mitigare qualsiasi dubbio.
Ed invece la lead di dubbi non ne ha.
Quando arresta il suo fidanzato per la morte di quel narcotrafficante da quattro soldi, lo fa piangendo disperata. Piange anche durante l'interrogatorio e di fronte a Li Ziu che nega il suo coinvolgimento e le chiede se almeno lei si fida di lui, lei rimane in silenzio. Piangendo. Tanto che Liu Zi se ne va arrabbiatissimo.
E' giusto che lei faccia il suo lavoro. Ma non è giusto che non abbia nemmeno il minimo dubbio che la situazione non sia come appare. Conoscendo poi il suo ragazzo. E futuro marito.
Idem con il finale. Dove Hu Rong rimane accanto a Liu Zi mentre lui sclera malissimo per il sospetto che sia una persona cattiva e lei NON GLI DICE NULLA. Non gli dice che indagheranno ma si fida di lui perché lo conosce e sa che non farebbe una cosa così, ad esempio.
Anzi, lei inizialmente scappa. E' il padre che le ricorda che l'uomo che presumibilmente ama e che deve sposare, sta vivendo una crisi mentale dolorosa e che lei dovrebbe stargli accanto. Ma sembra che gli stia vicina perché deve e non perché crede in lui e nella sua innocenza.
Qualcuno obietterà: eh ma lei è una poliziotta e se le prove portano tutte a credere che Liu Zi sia cattivo allora lei deve attenersi a quelle.
E allora perché il resto della stazione di polizia non ha creduto alle prove ed infatti poi scoprono che erano tutte una montatura? Perché degli " estranei" si sono fidati di Liu Zi, sul fatto che fosse un bravo ragazzo e non lo ha fatto invece la sua ragazza?
Come posso fare il tifo e innamorarmi di una relazione così??!!!
Hu Rong poi, è per me, una poliziotta terribile. Oltre quanto detto sopra, è impulsiva, testarda, piena di preconcetti e non ha mai dimostrato grandi doti investigative. Certo, è bravissima nell'infiltrarsi e nel menare le mani. Ma oltre a questo poco c'è.
Concludendo: Mi aspettavo una serie totalmente diversa da quanto poi effettivamente visto. Il drama per me è interessante e valido negli episodi iniziali e negli ultimi finali, in relazione a quanto mi era stato promesso. Con il fatto di sapere già tutta la storia, non c'è manco la suspance se non quella di scoprire come i personaggi prenderanno le rivelazioni una volta che verranno fuori. La recitazione è buona, soprattutto quella di William Chan ma la scrittura sia dei personaggi sia della storia potrebbe essere fatta molto meglio.
Voto: 6
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L'Imperatrice
"L'abbondanza della Coscienza Evoluta".
Sono giorni di "stasi attiva".
Le proiezioni del Passato ci accompagnano e ci rivestono come brandelli fedeli del nostro inseparabile vestito sgualcito.
Ma queste arcaiche vesti hanno oramai i giorni contati.
Non è più tempo di indossare abiti antichi.
E' tempo di Nuovo.
E seppur appare alle nostre Menti di arrovellare sempre gli stessi temi esistenziali ed emozionali, di ripercorrere strade già revisionate e risolte, è bene ricordare che Gennaio è il mese della "scollatura" definitiva.
E quando si strappano di dosso "lembi di pelle" così resistenti e spessi, rimane una bruciatura sul nostro Corpo, che deve potersi rimarginare con i dovuti tempi di guarigione.
Il Dolore non ha la stessa "profondità" e "sostanza" di prima. E' "passato alla superficie" e si sta ripulendo degli automatismi di Struttura. Ci appare interiormente più simile ad una "proiezione" che ad una realtà materialmente conglomerata.
Ha le sembianze di un film, il nostro film.
Quel "racconto passato", quella narrazione di noi stessi che osserviamo dalla poltroncina del cinema e in cui a tratti ancora ci immedesimiamo, a tratti invece lo sentiamo sempre più lontano e distante dalla nostra nuova "realtà emotiva".
Verrà il giorno, non lontano, in cui archivieremo quella "versione di noi stessi".
Non la riconosceremo più in alcun gesto e sentito della nostra nuova Esistenza. Il Passato ci apparirà estraneo, sepolto, dissolto tra le folate del potente Vento del Cambiamento del 2025.
Dai primi giorni di Gennaio, siamo seduti davanti a quello schermo. E le lacrime potrebbero alternarsi alla sensazione coraggiosa di dover buttare il Cuore oltre l'ostacolo e di suggellare le ultime chiusure che tanto ci spaventano. Ma che non sono più procrastinabili.
Chiudere è stato il più "reiterato" movimento degli ultimi 5 anni.
Ci siamo più abituati agli "addii", che ai "benvenuti", soprattutto in prossimità dei grandi salti di Frequenza e dei relativi portali di passaggio di Coscienza.
Oggi siamo nudi.
Molte persone credono che la "nudità emotiva" sia collegata alla vulnerabilità o sia sinonimo di perdita e di debolezza.
Ed invece è la più alta forma di Coraggio, di Forza e di Realizzazione a cui possa giungere un Essere Umano.
Essere "nudi" e non temere la propria Autenticità e Verità interiore è segno di immenso Potere spirituale, animico e terreno.
E' puro Amore.
A guidare la nuova Rivoluzione emotiva sarà il "Femminile Risolto". Ma a radicarla nella Materia ci penserà il "Maschile Integro".
L'Uno senza l'Altro non potranno assolvere alla loro "Missione".
Padre e Madre coltiveranno l'Amore reciproco nella Coppia e porteranno nell'atto generativo la sostanza del Nuovo Mondo: il figlio di Dio.
Il vero Figlio di Dio. Colui che è Carne e Spirito. Materia e Connessione. Abbondanza e Amore.
Sarà espansione del Vero dentro ognuno di noi. E poi anche nella quotidiana creazione del Fuori.
Accogliere i Doni della Coscienza Divina significa esserne piena Manifestazione. E non si passa senza la "purezza di Cuore".
Che non è bontà, non è pietà e non è buonismo.
Non ha nulla a che fare con tutto questo.
Il Cuore Cristallino è solo Verità, elevata e connessa Verità.
E se ancora non l'avete "trovata" e accolta dentro di voi, sarà complesso concludere il prossimo salto quantico.
E questa Verità non è "buona o cattiva". Non ha segno positivo o negativo. E' ciò che è.
E va manifestata nel Mondo esattamente per ciò che ispira e chiede. Senza giudizio, senza colpa, senza vergogna e senza sporcarla con la manipolazione e la strumentalizzazione del Passato.
Se il movimento Umano risulterà ancora "fallato" dallo schema, si sentirà. Tutto "andrà storto". Tutto ciò che verrà portato come atto generativo nella Materia risuonerà male. Peggio di prima.
E allora ci accorgeremo di cosa significhi davvero "legge dell'Attrazione". Che nella nuova Dimensione si chiamerà "legge della Creazione".
E non attrarremo ciò che siamo, ma lo genereremo dal Cuore Cristallino.
E se l'Intento Umano è deviato, è malato, è distorto, non è puro, se il Cuore è oscurato e soggiogato dalla disfunzione della Struttura di Personalità, cosa mai potrà generare?
A voi le debite conclusioni.
Ripulite. Ancora e ancora.
E' tempo di salto quantico. E' tempo di svolte epocali.
Ma nessuno va da nessuna parte senza la Guarigione Umana.
E' imprescindibile.
Perciò prendetevi cura di ciò che sta accadendo dentro di voi. E osservate con Amore tutti i passaggi di chiusura.
Dentro e fuori.
Senza giudizio. Ma solo con tanto tanto affetto per voi Stessi e per l'Altro.
Buon Gennaio ... passerà veloce. Vedrete. Anche troppo veloce.
Mirtilla Esmeralda
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Se alcuni uomini ci giudicano come donne con le quali non è possibile costruire una famiglia o farci neanche una storia (questo accade soprattutto nelle piccole realtà di paese, in Italia), dobbiamo solo che considerarci felici di questo!: non c'è niente di negativo in tale fattore, anzi, ma è un'occasione da prendere al balzo.
Queta etichetta sociale indica in realtà buona qualità: gli uomini tossici vogliono solo donne insipide, senza nessun tipo di amor proprio e amore per gli altri.
Come donne, viviamo in una società basata e costruita nei millenni attorno ad un solo fattore: come permettere al meglio ad un uomo di poter "svuotare il suo liquido seminale su una donna".
Dalla religione, al vestiario, al trucco, dai giochi alle storie per bambine, all'acconciatura, all'educazione familiare, scolastica, parrocchiale, alle norme costituzionali... esiste una continua manipolazione maschile che dice "Tu, donna, sei solo un oggetto per un uomo e questo solo devi essere".
Non esiste che una donna debba coprirsi perché altrimenti rischia di essere palpata o stuprata.
#donne con le quali non è possibile costruire una famiglia#storia#avere una storia#famiglia#etichetta sociale#donne insipide#amor proprio#amore per gli altri#uomini tossici#svuotare il proprio liquido seminale#uomo#fattore#religione#vestiario#trucco#giochi#storie per bambine#acconciatura#norme costituzionali
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Che tu pensi di poterlo fare o no, hai ragione. (Henry Ford)
Sperimentazione
Iniziativa
Abilità
Autostima
Creatività
Determinazione
Competenza
La prima carta degli Arcani Maggiori richiama l'energia maschile, il movimento, l'azione, la sicurezza in sé stessi e nelle proprie capacità.
Colui che incarna la personalità del Mago è curioso e intelligente, uno sperimentatore. Ha una forte autostima e sa di avere tutte le capacità necessarie per fronteggiare qualsiasi situazione.
Non c'è paura nell'azione, ma un grande potenziale.
Il lato ombra di questa carta parla di stress, arroganza, frenesia, manipolazione ed egocentrismo.
#cartomanzia#tarocchi#tarot#tarot cards#the magicians#daily tarot#tarot of the day#tarot of tumblr#spiritualità#spirituality#spiritualinspiration#spiritual awakening#spiritual disciplines#spiritual awareness#crescita personale#crescita#tarot blog#blog#blogger
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Bologna: “Brevi interviste con uomini schifosi” di Daniel Veronese al Teatro Arena del Sole
Bologna: “Brevi interviste con uomini schifosi” di Daniel Veronese al Teatro Arena del Sole. Al Teatro Arena del Sole di Bologna da giovedì 16 a domenica 19 marzo andrà in scena "Brevi interviste con uomini schifosi", dall’omonimo romanzo dello scrittore statunitense David Foster Wallace, del regista e drammaturgo Daniel Veronese, maestro del teatro argentino. Sul palco, due noti e apprezzati interpreti del teatro e cinema italiano, Lino Musella e Paolo Mazzarelli. Una produzione Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, Marche Teatro, TPE Teatro Piemonte Europa, FOG Triennale Milano Performing Arts, Carnezzeria, con il sostegno di Timbre 4, Buenos Aires e Teatro di Roma – Teatro Nazionale. Dall’opera di Wallace, scritta nel 1999 e composta da 23 racconti, Veronese seleziona una rosa di otto storie e traccia la propria linea drammaturgica, che va a delineare il maschio contemporaneo come un essere debole, incapace di relazionarsi con le donne, se non ricorrendo al cinismo e alla violenza. Il pubblico è così portato a osservare da vicino le perversioni e le meschinità di uomini-mostri: dal marito che disprezza, deride e insulta la moglie perché lo sta lasciando, al ragazzo che vanta la propria infallibilità con le ragazze, fino a colui che usa la propria deformazione per portarsi a letto quante più donne possibili. Una perturbante galleria di diversi tipi umani e delle loro deviate relazioni, narrati attraverso quello humor intriso di drammaticità e ferocia tipico di Wallace. Gli otto racconti vengono trasposti in scena nella forma del monologo, del soliloquio e del dialogo. I due attori Lino Musella e Paolo Mazzarelli - dal 2009 già al lavoro insieme in compagnia - si alternano con abilità nei ruoli del maschile e del femminile, costruendo un’alta tensione dialettica che fa emergere tutte le fragilità, le gelosie, i desideri ossessivi di possesso, la manipolazione e le violenze insiti nell’affettività maschile. Ne escono ritratti di uomini miserabili e sterili, incapaci di amare davvero, raccontati con disturbanti risvolti tragicomici che consegnano al pubblico momenti di ilarità e di turbamento al tempo stesso. Teatro Arena del Sole, via Indipendenza 44 – Bologna Prezzi dei biglietti: da 7 € a 25 € esclusa prevendita Biglietteria: dal martedì al sabato dalle ore 11.00 alle 14.00 e dalle 16.30 alle 19.00 Tel. 051 2910910 - [email protected] | bologna.emiliaromagnateatro.com... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Questo post sarà un memento per il 2022 e tutti gli anni a venire siete liberi di aggiungere punti alla seguente lista.
Disclaimer: è un parere personale non vi offendete grazie :)
Red flags 🚩🚩🚩🚩🚩🚩🚩 in tutte le persone che si identificano nel genere maschile (in ordine casuale non di importanza):
• Ha come autore preferito (o uno dei) Charles Bukowski
• Gioca a rugby o pallanuoto
• Pensa che il gender wage gap non esista/non sa di cosa si tratti
• Non disprezza Salvini e compagnia
• Disapprova i ragazzi a cui piace il make up
• Pensa che Pio e Amedeo facciano ridere/siano appropriati
• Insulta chi ha di fronte durante una discussione
• Pensa non sia un problema chiamare qualsiasi ragazza zoccola o simili
• Critica qualsiasi cosa faccia il prossimo e pensa che lui sia in grado di farla in modo migliore
• ECCESSIVAMENTE GELOSO
• Non sa esprimere quello che prova/tace durante il confronto
• Crede che sia giusto che i diritti delle minoranze siano argomento di dibattito politico
• È CONTRO L’ABORTO
• Non fa mai complimenti
• Non si impegna ad andare d’accordo con famiglia e amici
• Non presenta i propri amici
• NON CHIEDE IL PERMESSO
• Non chiede mai scusa
• Pensa che tutte le sue ex siano pazze e che tu sei così diversa dalle altre ragazze
• Se vede un ragazzo con una gonna o con indumenti/accessori e simili attribuiti in modo stereotipico alle donne pensa sia gay
• Le sue fonti di informazioni sono Wikipedia/Instagram/Facebook et similia
• Ha preferenze sull’orientamento sessuale del proprio partner (non mi va di dare further explanations se non capite cercate su google)
• In una discussione dice spesso “sei pazza”
• Mente anche sulle piccole cose
• Ha tradito in passato
• Pretende sia chiesta la sua approvazione sull’abbigliamento/prima di postare una foto sui social o mandare un messaggio
• Vuole mettere bocca sugli eventi sociali a cui partecipa il proprio partner
• Usa il senso di colpa come manipolazione
• Quello che viene preteso dal partner non è ricambiato da parte sua
• Non sa come funziona la satira
• È troppo appiccicoso sin dal principio
• Non legge libri
• Non ha uno scopo nella vita/ha poca motivazione
• Parlare di argomenti seri lo annoia
• NON CREDE NELLA SCIENZA
• Riconosce come transgender solo le persone che si sono operate ai genitali
• Non crede nei benefici di un percorso di terapia
• Risponde a monosillabi
• Si comporta in maniera diversa quando è solo con il proprio partner e quando è in compagnia
• NON È IN GRADO DI FARE UNA LAVATRICE (o altre faccende basiche)
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Spesso noi donne ci struggiamo, ci arrovelliamo, ci scervelliamo a cercare di interpretare i segnali di LUI, cosa pensa, cosa prova, alla ricerca di indizi di affetto e amore vero, sotto il rifiuto, la distanza.
Mi spiace dirlo così, ma talvolta un bagno di realtà è necessario per mollare sogno e illusione: se il lui in questione provasse davvero interesse, amore, affetto sarebbe lì di fianco a progettare una vita insieme.
Se non c'è, si nega, non risponde, sparisce, tentenna, si rende poco disponibile, è presente solo part time, a singhiozzo, o quando gli pare perché ha dei “problemi”, a nulla varranno le nostre elucubrazioni scientifiche. O tecniche di manipolazione, pozioni magiche e studi accurati sui narcisisti.
L’altro può dire di no. Come possiamo e dobbiamo farlo noi. E non necessariamente dobbiamo scomodare i trattati di personalità patologiche.
Spostiamoci, facciamoci una vita NOSTRA e smettiamola di credere che se diremo la parola giusta, la frase giusta, la combinazione giusta lo avremo. Magari contempliamo l'ipotesi di dedicare le nostre attenzioni a chi vuole esserci e finiamola di illuderci buttando via energie e tempo prezioso. L’amore non si chiede né si aspetta
(Il post può essere rovesciato anche al maschile)
Di troppo Amore. Dott.ssa Ameya Gabriella Canovi
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La verità su di me è che amo il tocco di mio padre, anche se mi dà fastidio, è un qualcosa di primordiale che riesce sempre segretamente a farmi stare bene
A farmi sentire più completa rispetto a ciò che sono abitualmente
La verità è che per questo motivo attiro solo persone come lui
La verità è che ho paura di essere grassa, ne sono terrorizzata e dò agli altri consigli salutari quando sono la prima ad essere malata
La verità è che non so comprendere le mie emozioni e i comportamenti degli altri, non capisco la differenza tra supporto e manipolazione e sopprimo il mio intuito perché alle mie debolezze fa comodo così
E poi però soffro per le conseguenze e attribuisco agli altri la colpa di ciò che mi accade
La verità è che andrea non è mai stato il punto ma solo la trasposizione delle mie mancanze col maschile
Andrea il simbolo
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SILVIA BOLOGNESI E YOUNG SHOUTS: “FRAME IN THE CROWD”
Se la pandemia è costata centinaia di migliaia di vittime, per guardare alla sola Italia, è anche vero che questa immane tragedia ha coinciso con un periodo di straordinaria creatività. A tale proposito mi pare che questa produzione di dischi, ma credo anche di libri, di poesie e persino di film concepiti durante il lock down o comunque durante questo lungo periodo di sofferenza, siano di notevole interesse. “È l’elemento maschile della Storia che feconda l’elemento femminile della creatività artistica” avrebbe potuto dire Benedetto Croce. Certo della pandemia ne avremmo fatto anche a meno, come avremmo potuto fare a meno di guerre, conquiste, dittature e sciagure varie; tuttavia è innegabile che da queste sofferenze l’arte, in senso lato, ne abbia tratto ispirazione, stimolo, incitamento. È stato così anche per il bel disco della contrabbassista Silvia Bolognesi e del suo ensemble “Young Shouts”, uscito ai primi di ottobre per l’etichetta “Fonterossa Records” dal titolo “A Frame in the Crowd”. Non so se i suoi dischi, usciti prima della pandemia, fossero della stessa qualità delle produzioni influenzate dal passaggio della “Luna nera”-Covid 19, ma quello che è certo, è che tutto il materiale sonoro accomunato da questo comun denominatore, mi è sembrato più “sentito”, le riflessioni sonore più profonde e più intime, certamente meno attente all’aspetto consumistico o alla spettacolarizzazione. È capitato anche per altri dischi e dubito che si tratti solo di una mia impressione. Come faccio spesso, nell’ascolto non seguo l’ordine con cui i brani sono presentati ed infatti ho cominciato dalla fine, da quel “A Frame in the Crowd” che dà il titolo all’album. Non mi sbagliavo: fortemente interiore, sentito e pensato, persino meditato, a cominciare dalla bellissima voce introspettiva e animistica di Emanuele Marsico che, come in una preghiera, porta con sé l’ensemble guidato da Silvia Bolognesi, con il magnifico e “monologante” sax di Attilio Sepe e con la tromba meditabonda, dello stesso Marsico, che accompagna i testi autoriflessivi da lui intonati. Nel viaggio a ritroso, il penultimo brano “Dyani” è un ritmo seriale, giocato tutto attorno a pochi accordi del contrabbasso di Silvia Bolognesi, coi quali si compone il prezioso ricamo dei fiati e della batteria di Sergio Bolognesi. “Unknow Friend” sembra essere più corposo, mentre nel precedente “Gallina” mi pare ci sia più spazio per la sperimentazione elettronica, sempre e comunque molto misurata. “Snap”, il secondo pezzo del disco, propone al suo interno, una vera e propria, seppure breve, canzone e nel complesso si tratta di un brano gradevole con un’idea molto originale. E così, nel mio mondo capovolto, siamo arrivati all’inizio, col primo brano che si intitola “Kick Him Out”: un ordinatissimo caos, misurato e senza sbavature che mette in guardia su cosa ci sarà da ascoltare nell’album, ovvero un jazz gradevole, sostenuto da tromba e sax, con un contrabbasso in bella evidenza e con inserti vocali pregevoli che, qualche volta si affrancano dal “continuum musicale” e più spesso ne fanno parte. Silvia Bolognesi, grande ammiratrice di Bessie Jones, ne assorbe l’ispirazione gospel e folk, ma sa tradurla in qualcos’altro ed è proprio questa manipolazione della materia sonora assimilata ed interiorizzata a fare di “ Frame in the Crowd” un disco sobriamente intrigante e godibilissimo.
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ELENA PULCINI,
LA FILOSOFIA CHE SALVA
Che cos’è la passione?
La passione è l’energia affettiva che ci motiva all’azione, è la sorgente profonda delle nostre scelte, preferenze, credenze. Non ha niente a che fare con l’ “irrazionale”, cioè con l’altro dalla ragione, a cui ha per lo più cercato di ridurla il pensiero occidentale e moderno. Attraverso le passioni (preferisco parlarne al plurale) noi conosciamo, comunichiamo, entriamo in relazione con il mondo, ci mettiamo in gioco. Certo, si tratta di energie intense, durature che pervadono l’intera personalità del soggetto; non vanno infatti confuse con le emozioni o gli stati d’animo, come la paura che insorge se un’auto sfreccia veloce mentre attraverso la strada, o come la gioia che mi investe se incontro inaspettatamente un amico che credevo perduto per sempre. Le passioni sono quelle che ci infondono una particolare tonalità emotiva e che presiedono di volta in volta alla relazione con l’altro, attraverso una dinamica aperta di reciproca trasformazione. Ovviamente questo non vuol dire che non ci siano passioni negative, persino capaci di distruggerci. Il punto è proprio questo: la qualità prismatica, ambivalente, imprevedibile delle passioni; che non solo ci impone di distinguere tra negative e positive, ma anche di capire che ci sono passioni positive, come l’amore, le quali possono annientarci e passioni negative, come la vergogna, che ci inducono a preoccuparci del giudizio dell’altro e a riaccedere a una dimensione etica. Etica è infatti la proprietà di tutte le passioni che ci spingono a tener conto dell’altro, a mettersi nei suoi panni, ad esercitare la nostra capacità di empatia. Ed è proprio l’empatia -attualmente oggetto di una importante riscoperta scientifica, ma già valorizzata dalla filosofia di Hume, Smith, o Scheler- la radice comune di quelle che propongo appunto di chiamare passioni empatiche, in quanto sono ispirate dalla capacità di mettersi nei panni dell’altro e di partecipare al suo vissuto. Una qualità emotiva che il pensiero moderno ha prevalentemente ignorato, finendo per identificare le passioni unicamente con quelle egoistiche.
Perché l’invidia è una passione triste?
Passioni tristi, che non vuol dire malinconiche, è una definizione che possiamo trarre da Spinoza, che le associa ad una condizione di depotenziamento del Sé e le oppone alle passioni “gioiose”: nelle quali al contrario egli vede l’espressione della “vis existendi”, della potenza di esistere. L’invidia è a mio avviso l’esempio più significativo delle passioni tristi, in quanto scaturisce da un senso di inferiorità che rende il soggetto incapace di tollerare il bene dell’altro (il suo talento, successo, bellezza) che viene vissuto come una sconfitta, una ferita narcisistica del Sé. Perché lei/lui sì e io no? È la domanda silenziosa e inconfessata che avvelena l’anima, e corrode la relazione, fino a pervertirsi nella nietzscheana Schadenfreude, cioè nel piacere che si prova di fronte al male e alle disgrazie dell’altro. L’invidia è una passione universale, persino i greci la conoscevano bene, ma prospera paradossalmente nelle società democratiche, in quanto è alimentata da quella che Tocqueville chiamava “l’uguaglianza delle condizioni”. È qui che essa mostra tutta la sua peculiare ambivalenza: si manifesta infatti allo stesso tempo come volontà di eccellere e intolleranza verso la sia pur minima differenza, desiderio di autoaffermazione e tendenza al conformismo, onnipotenza dell’Io e trionfo del desiderio mimetico di essere come l’altro. Non è difficile riconoscere in questi fenomeni le patologie più evidenti della nostra società narcisistica: patologie difficili da combattere perché l’invidia non si confessa mai come tale, lasciando tutt’al più trapelare quello “evil eye”, quello sguardo maligno che ci colpisce senza che ce ne accorgiamo…
Che cosa ha determinato la perdita del legame sociale?
L’assoluta egemonia di una prospettiva economicistica. Il soggetto moderno trova la sua raffigurazione nell’homo oeconomicus: motivato, come accennavo sopra, da quella che già Thomas Hobbes chiamava la “passione dell’utile”, vale a dire da passioni egoistiche, dalla realizzazione dei propri interessi, da quella brama di guadagno e di profitto che ha prodotto la progressiva atrofizzazione, o comunque rimozione, delle passioni empatiche. L’abbaglio della ricchezza e del benessere, la fantasmagoria della merce, come la chiamava Walter Benjamin, è così potente da oscurare altri moventi e obiettivi. Ed è la miccia che fa esplodere la logica seduttiva e incontrastata del capitalismo, di cui si è vista ancora troppo poco la molla emotiva: che non è solo il desiderio di beni materiali e di una vita prospera, ma anche quel desiderio di prestigio e di status che, a partire dalla modernità, viene conferito dalla ricchezza. Un desiderio che è poi a sua volta figlio dell’invidia: in una sorta di corto circuito tra passioni dell’utile e passioni dell’Io del quale, nella nostra effimera società dello spettacolo, siamo sempre più prigionieri, e al quale abbiamo sacrificato la relazione, il legame sociale, il bene comune.
“La cura del mondo” è uno dei suoi libri più significativi. La ritiene ancora possibile?
Penso che sia più che mai necessaria e urgente. Sembra incredibile ma dal 2009, l’anno in cui il mio libro è stato pubblicato, il mondo ha subito trasformazioni radicali, per non dire sconvolgenti, sintomo del fatto che velocizzazione e accelerazione non sono più parole che individuano una tendenza, ma una realtà che constatiamo ad un ritmo quasi quotidiano. E’ come se una serie di fenomeni finora ipotizzati, ma rimasti ancora in nuce, stessero esplodendo. Penso al fenomeno migratorio, certo, che assume proporzioni sempre più estese e preoccupanti, ma soprattutto al cambiamento climatico dei cui effetti siamo ormai ogni giorno testimoni. Ne è esempio inquietante questa torrida estate del 2019: il mondo sta bruciando, non solo per incendi devastanti in Siberia, Canarie, foresta amazzonica, ma per temperature così alte da sciogliere i ghiacciai della Groenlandia e mettere a repentaglio l’equilibrio ecologico del pianeta. Impossibile ovviamente fare previsioni precise, ma è certo che siamo entrati nell’era dell’Anthropocene: quella in cui tutto è prodotto dall’azione umana, e la natura, come realtà a noi esterna e autonoma, rischia di scomparire insieme alle risorse indispensabili alla vita. Abbiamo creato le condizioni per la nostra autodistruzione. Eppure non c’è ancora sufficiente consapevolezza di questo. Il genere umano è di fronte ad una sfida epocale che non sembra in grado di affrontare anche perché mette in atto meccanismi di diniego e illusorie strategie di indifferenza. La responsabilità e la cura non sono più un’opzione né solo un dovere etico, ma un meta-imperativo, un impegno concreto e ineludibile se vogliamo salvare il pianeta, le generazioni future, il mondo vivente.
Qual è la trasformazione più eclatante che ha modificato il soggetto occidentale?
È quella che ho appena evocato e che stiamo attualmente vivendo, il mistero della tendenza dell’umanità all’autodistruzione. Tendenza paradossale che sfida i paradigmi fin qui conosciuti: da quello, peculiare della modernità, di un soggetto prometeico, di un homo oeconomicus razionale e progettuale capace di foresight e proiettato nel futuro, a quello, esaltato dal pensiero postmoderno, di un soggetto edonista che si oppone all’etica del sacrificio per godere della felicità del presente. Oggi assistiamo, come direbbe Günther Anders, alla perversione di entrambi, a causa della scissione tra fare e immaginare, tra conoscere e sentire. Abbiamo un Prometeo senza foresight e un Narciso senza piacere: il primo sembra aver perso il senso e lo scopo dell’agire e procede ciecamente senza più chiedersi le conseguenze future del suo agire. Il secondo appare schiacciato sulla futilità della ricerca di un illusorio e autarchico benessere, ormai incapace di anelare alla felicità. Le sfide epocali della contemporaneità esigono perciò un nuovo tipo di soggettività, che deve ancora nascere, che si assuma la responsabilità del futuro e del destino del mondo e metta in atto strategie di cura per la ricostruzione di un mondo comune e per la difesa del mondo vivente. Ne cogliamo tracce nelle forme di solidarietà col diverso, nella lotta per la giustizia e per i diritti delle minoranze, e soprattutto nelle lotte per la difesa del pianeta che testimoniano auspicabilmente il farsi strada di una nuova consapevolezza dei rischi a cui siamo esposti e della necessità di nuove strategie.
La filosofia può limitarsi soltanto alla riflessione o può incidere in un contesto così complicato?
Oggi non abbiamo più bisogno di quella che chiamo una filosofia senza mondo, arroccata nella cittadella delle sue sofisticate riflessioni astratte, ma di una filosofia per il mondo; che in primo luogo recuperi l’originaria alleanza con la politica, intesa come preoccupazione per il destino della polis, come nella Repubblica di Platone; e che in secondo luogo sia disposta a riflettere in presa diretta con l’attualità. Insomma una “filosofia d’occasione”, per riprendere l’espressione di Anders, che sappia non solo continuare tenacemente a porre domande in un mondo che sembra annegare in una oppiacea indifferenza e nella banalità dell’ovvio, ma anche porre le domande giuste: quelle cioè che sanno opporsi alla manipolazione della verità, sempre più diffusa, per cogliere le trasformazioni in atto, individuare di volta in volta i veri pericoli, interpretare e dare la priorità agli eventi simbolicamente rappresentativi.
Che cos’è l’identità?
Non mi è mai piaciuta molto questa parola, perché contiene in sé il rischio di una fissità, compattezza, definitività, egemonia, che limita se non addirittura preclude, l’apertura, l’inclusione, il cambiamento; che non contempla in altre parole, l’idea di differenza. Basti pensare all’identità maschile che ha imposto il suo modello a livello universale relegando, nel migliore dei casi, l’identità femminile nel ruolo di un “altro” inevitabilmente subalterno. Una dicotomia che possiamo ulteriormente declinare in etero/omosessuale, bianco/nero, nord/sud ecc. L’identità è insomma facilmente esposta alla sua assolutizzazione, con effetti di dominio e di violenza. Lo vediamo oggi in particolare nello scontro, anche planetario, tra identità collettive, soprattutto quelle fondate su radici etniche e/o religiose, tese alla difesa di un Noi totalitario ed endogamico che si (ri)costituisce attraverso l’esclusione violenta dell’altro, del diverso; e sulla costruzione di capri espiatori su cui proiettare l’immagine stessa del male, sia che si tratti della contrapposizione planetaria occidente/islam, sia che si tratti di conflitti locali (come gli innumerevoli conflitti dei paesi dell’Africa, dal Ruanda al Mali ecc.). Indubbiamente i conflitti identitari sono oggi acuiti dai processi di globalizzazione, come ritorno regressivo del “locale” dentro il “globale”; fenomeno nel quale emerge comunque un bisogno di riconfinamento che fin qui è stato sottovalutato dalle forze progressiste e a cui è invece necessario - se non si vuole cadere nella trappola mortifera dei razzismi e dei populismi- dare una risposta, ripartendo da una diversa idea di comunità, compatibile con la libertà.
Di cosa è figlia la paura che attanaglia l’umano?
La paura non deve essere identificata tout court con una dimensione negativa. E’ infatti la passione primordiale, quella che, come ci insegna Blumenberg, ci spinge a costruire una familiarità con il mondo che ci circonda, cominciando con l’evitare i pericoli e sfuggire alle insidie. E’ dunque figlia della nostra ontologica vulnerabilità, che è ciò che definisce l’umano. E riconoscere la vulnerabilità è oggi più che mai salutare per un genere umano caratterizzato dalla perdita del limite e da una hybris narcisistica accecante. La vulnerabilità è insomma una risorsa, anche in quanto ci spinge ad interrompere la spirale di illimitatezza della quale siamo diventati inconsapevolmente prigionieri. La paura è infatti la passione del limite, il semaforo rosso, il campanello d’allarme che ci apre gli occhi di fronte al pericolo. Bisogna però reimparare ad avere paura. Oggi ne siamo evidentemente pervasi, ma di quale paura si tratta? Da un lato l’angoscia paralizzante, di cui ci parla Freud e che ritroviamo in una edizione attuale nella “paura liquida” di Bauman, che ci corrode internamente ma non sa individuare un bersaglio, scivolando da un oggetto all’altro in una sorta di perenne indeterminatezza; dall’altro, la paura persecutoria di cui parlavo prima, che proiettiamo sull’altro come nemico e origine di tutti i mali: una paura che si traduce in sentimenti violenti e distruttivi -come odio, rabbia, risentimento-, terreno di coltura di razzismi, nazionalismi, guerre religiose, atroci rivalità etniche. Presi tra questa forbice tra angoscia e paura persecutoria, finiamo per non vedere i veri pericoli, come quello che pende sul futuro del pianeta e delle prossime generazioni e ci trinceriamo dietro meccanismi di difesa (come il diniego e l’autoinganno) che ci esonerano dall’obbligo di una risposta. Reimparare ad avere paura significa dunque ritrovare la capacità di distinguere tra ciò che dobbiamo o non dobbiamo temere, tra paure giuste e paure sbagliate.
L’Altro è fuori o dentro di noi?
C’è evidentemente un altro fuori di noi: il prossimo, il diverso, l’amato, l’amico, il collega, lo sconosciuto che incontriamo nella sua concreta e tangibile corporeità. A cui si aggiunge l’altro virtuale, l’ “amico” dei social con cui chattiamo condividendo pensieri (fb) o immagini (instagram). E poi ancora c’è l’altro distante: distante nello spazio (il migrante) o nel tempo (le generazioni future). La nostra epoca produce una proliferazione delle figure dell’alterità in quanto moltiplica i luoghi –reali, virtuali o immaginari- della relazione, dell’incontro. Ma la nostra capacità di rapportarci a questa molteplicità di figure dipende molto dalla relazione che abbiamo con la nostra alterità interna: quanto più mi lascio contestare dall’altro che mi abita, dalla differenza che mi impedisce di chiudermi nella mia identità, tanto più saprò confrontarmi con l’altro esterno. Se sono in grado di riconoscere che il Sé contiene sempre un altro o meglio molti altri, sarò in grado di accettare l’altro concreto nella sua differenza, provare empatia per lo sconosciuto e persino per chi vive in territori lontani, nonché distinguere tra un’esperienza reale di relazione con l’altro da una relazione puramente virtuale, incorporea: senza tuttavia a priori negare la possibilità che persino una relazione virtuale possa diventare fonte di coinvolgimento emotivo…
Quando espelliamo l’Altro, in realtà che cosa espelliamo?
Espelliamo quella parte di noi che ci contesta dall’interno e che ci impedisce, come dicevo, di rinchiuderci nei confini asfittici di un’identità compatta che non lascia spazio alla differenza. Essere in contatto con l’alterità vuol dire mantenere viva la consapevolezza del fatto che l’identità è una struttura contingente, dovuta all’intreccio casuale di fattori che potevano anche comporsi in modo diverso, e che sono sempre passibili di cambiamento, dato l’incessante divenire dell’umano nella precarietà e nella vulnerabilità. Ed è questa consapevolezza che ci permette di riconoscere l’altro concreto nella sua stessa differenza; perché il bagaglio che egli porta con sé (di storia, cultura, suoni, colori e sapori) può diventare oggetto di curiosità, e persino di arricchimento, piuttosto che di diffidenza e di paura, come purtroppo accade sempre più spesso nelle nostre società, che chiamiamo multiculturali, ma che sono ben lungi dall’esserlo davvero. Noi, cittadini del mondo globale, siamo tutti esposti, inevitabilmente, alla reciproca contaminazione: possiamo scegliere di accettarla governando la paura e disponendoci alla reciproca solidarietà, o possiamo trincerarci nell’illusione immunitaria di chi pensa ancora di poter erigere muri.
“Essere singolare plurale” è possibile o è solo il titolo di un libro di Jean-Luc Nancy?
Temo il giorno in cui non lo considereremo più possibile. Ma indubbiamente non è un obiettivo facile anche se, come ci suggerisce Nancy, possiamo appellarci alla verità ontologica dell’essere-in- comune. Perché se è vero che l’essere è essere-con, è vero anche che la storia ci mostra un’infinita serie di tradimenti di questa nostra condizione. E allora bisogna interrogarsi sul perché: sul perché almeno in Occidente, l’individualismo ha nettamente prevalso sulla comunità e l’identità sulla pluralità. Quali motivazioni, passioni, interessi abbiano fatto sì che l’essere si mostrasse in un’unica, o prevalente prospettiva assumendo una connotazione unilaterale, impoverita se non addirittura patologica. Insomma, come sostengo da tempo, l’ontologia non basta; bisogna mobilitare interrogativi antropologici ed etici per spiegare luci ed ombre della condizione umana e individuare strategie per correggerne le patologie (tra cui, la più paradossale come abbiamo visto è la tendenza all’autodistruzione). La formula di Nancy, che ha peraltro una chiara radice arendtiana, è concettualmente efficace in quanto ci invita a valorizzare il singolo senza cadere nell’individualismo e a ripensare la comunità al di fuori di ogni organicismo, cioè all’insegna della differenza e della pluralità. Per raggiungere questo obiettivo, dobbiamo agire non solo “come se” fosse possibile, ma creare nuove congiunture, nuovi paradigmi che siano all’altezza di questo compito.
Come si passa dall’uomo economico all’uomo reciproco?
L’homo reciprocus, la figura in positivo che ho proposto nel mio L’individuo senza passioni, è appunto uno dei possibili, nuovi paradigmi sui quali possiamo scommettere per rispondere alle patologie del sociale e alle sfide del mondo globale. E’ la risposta alla prospettiva puramente utilitaristica e strumentale dell’homo oeconomicus, che ha privilegiato la logica dell’interesse, dell’acquisizione e del profitto sacrificando o marginalizzando tutto ciò che esula da questa logica -la relazione, la comunità, le passioni empatiche, la gratuità-; provocando non solo l’erosione del legame sociale, ma precludendo uno sviluppo più pieno e più ricco dell’individuo stesso. L’homo reciprocus è colui che integra l’unilateralità del paradigma economicistico (dell’utile e dello scambio) con la dimensione del dono, inteso nel senso proposto da Marcel Mauss, di struttura della reciprocità. Ben lungi dall’essere un modello di buonismo, egli non fa altro che attingere a moventi altri i quali, come ci ricorda per esempio Amartya Sen, sono intrinseci all’essere umano tanto quanto la ricerca dell’utile. Lo mostra il fatto che il dono non è il frutto di un dover essere, ma un evento che agisce già, spontaneamente, nel sociale; e che aspetta solo di essere valorizzato e praticato, al fine non solo di ricostruire il legame sociale, ma di riaprire l’accesso ad una felicità che rischia di inaridirsi totalmente nella ricerca egoistica del benessere materiale.
Responsabilità, uguaglianza e sostenibilità sono tre parole-chiave per interpretare il futuro. Quale delle tre fa più fatica a essere coniugata?
Si potrebbe pensare che fra le tre l’uguaglianza, godendo di una lunga tradizione nel pensiero moderno, sia quella più consolidata e meno attaccabile. Ma in realtà non è così perché va ripensata e riconfermata a fronte delle inedite minacce cui la espongono fenomeni complessi come la crisi della democrazia, il populismo, l’irruzione dell’altro come diverso. Indubbiamente però le altre due sono più direttamente connesse a fenomeni inediti e al tema del futuro. E’ infatti nel contesto di un’etica del futuro resa urgente dal primo manifestarsi delle sfide globali (nucleare, ecologica) che, con Hans Jonas nella seconda metà del ‘900, emerge l’importanza del concetto di responsabilità, intesa come responsabilità per: per il mondo, la natura, le generazioni future, in una parola per l’intero mondo vivente. E ciò vuol dire che c’è un nesso intrinseco tra responsabilità e sostenibilità. Abbiamo reso il mondo insostenibile, come già accennavo sopra, a causa della nostra hybris, della nostra avidità e della nostra cecità; abbiamo saccheggiato la terra in tutti modi possibili, la crisi ecologica sta esplodendo attraverso fenomeni sempre più accelerati. Dunque, siamo noi che l’abbiamo prodotta e siamo noi che dobbiamo farcene carico, assumendo, qui ed ora, la responsabilità per uno sviluppo sostenibile. Siamo di fronte ad una scommessa senza compromessi: dall’assunzione di responsabilità dipende la possibilità di prefigurare un mondo sostenibile e dalla sostenibilità dipende il futuro della vita, o meglio di una vita degna di essere vissuta.
La differenza emotiva del femminile è una risorsa potenziale ancora inespressa pienamente?
Qui bisogna fare una premessa. Il femminismo ha molti volti perché sfaccettato e complesso è il pensiero delle donne. Penso che non tutte si riconoscerebbero tout court in questo presupposto della differenza emotiva, che io condivido senz’altro insieme ad alcune voci del femminismo (come l’etica della cura): purché però venga sottoposto ad uno sguardo critico-decostruttivo. In altre parole, è vero che le donne sono state tradizionalmente identificate con l’amore, la cura, i sentimenti, ma questo patrimonio ereditario le ha anche fortemente penalizzate: non solo confinandole nel privato e nella pura gestione dei rapporti familiari, ma anche privandole di quello che chiamo il diritto alla passione. Oggi uno dei concetti preziosi del pensiero delle donne è quello di un soggetto in relazione, che va a contestare l’idea egemone (e patriarcale) di un Sé del tutto autonomo e autosufficiente (basti richiamare l’homo oeconomicus o il soggetto cartesiano). Tuttavia, è importante addentrarsi meglio nell’idea di relazione: che non vuol dire oblatività, cura sacrificale, dedizione -le qualità su cui a partire da Rousseau è stata costruita l’immagine moderna della donna che ancora conosciamo bene- quanto piuttosto attenzione, empatia, desiderio e passione per l’altro. Se la integriamo con la potenza del pathos, la differenza emotiva delle donne può essere non solo una risorsa ma una risorsa rivoluzionaria, capace di sovvertire l’idea consolidata (maschile) di soggetto, astratta e atomistica, e di valorizzare quella capacità di relazione che può (e deve) investire non solo l’altro come prossimo, ma la comunità, la città, la natura, il mondo vivente.
A quale autore e a quali testi deve di più la sua formazione filosofica?
In generale, il mio percorso è stato scandito dal pensiero critico: da Rousseau, che (nonostante le sue “colpe” relative alla visione delle donne!) ha di fatto inaugurato la filosofia critica, alla Scuola di Francoforte, da Marx a Tocqueville, da Anders ad Arendt. E poi il pensiero francese del 900: dal decostruttivismo di Derrida al Collège de sociologie (Bataille), da Michel Foucault alla filosofia dell’alterità (Lévinas). E last but not least, al femminismo. Tra i testi a cui sono particolarmente grata: La democrazia in America di Tocqueville, Eros e civiltà di Marcuse, L’uomo è antiquato di Anders; senza dimenticare il Simposio di Platone, Il disagio della civiltà di Freud…
Che cos’è la politica?
La politica è la cura della polis attraverso la capacità di prendere decisioni, rispettando quella funzione di rappresentanza dei cittadini che richiede un grande senso di responsabilità. A partire dalla modernità, la politica è per così dire inscindibile dalla democrazia come forma di governo, vale a dire dalla attiva partecipazione di tutti alla cosa pubblica (res publica). E’ ciò che Hannah Arendt chiamava un “agire di concerto”, nel quale essa vedeva un vero e proprio “miracolo”; anche perché presuppone un agire insieme nel rispetto della pluralità. Ma questo miracolo -che non pare proprio esistere in nessun luogo del mondo- richiede comunque la vigile e attenta consapevolezza critica di quelle che con Tocqueville possiamo chiamare le patologie della democrazia: individualismo, indifferenza e delega, torsione autoritaria, esplodere delle passioni tristi come l’invidia o la paura del diverso, erosione del legame sociale. Non abbiamo ancora ben compreso che la politica (e la democrazia) non sono qualcosa fuori di noi, ma siamo noi: dobbiamo quindi costantemente educarci alla democrazia -come sosteneva anche un autore illuminato come John Dewey- per correggere le degenerazioni sempre possibili ed agire per il bene comune, valorizzando le risorse positive intrinseche sia ai soggetti che al sociale.
Che cosa diventa la politica se perde l’aggancio al perseguimento del bene comune?
Diventa pura gestione degli interessi egoistici dei gruppi in conflitto, lotta per la conservazione del potere, tradimento della rappresentanza, visione shortsighted, capace solo di policies, per lo più inefficaci, per affrontare la contingenza e incapace di abbracciare più ampi ideali. E’ questa purtroppo l’immagine prevalente della politica oggi in diverse parti del mondo: aggravata da forme estreme e stupefacenti di avidità e di corruzione, da manipolazioni senza scrupoli di passioni e opinioni che tendono a trasformare il conflitto in violenza, dal ritorno del carisma e del potere carismatico, riproposto in forme caricaturali e pericolose ad un tempo, e sostenuto da involuzioni populistiche spacciate per legittimità democratica. Inoltre, ignorare il bene comune oggi vuol dire rendersi colpevoli dell’indifferenza verso il futuro e i destini di un mondo che, come ho detto, è percorso da sfide inedite, ed avrebbe perciò estremo bisogno di nuove parole d’ordine e nuove pratiche.
La globalizzazione è vista come nemica da alcuni popoli perché non governata?
In realtà la globalizzazione è molto “governata”: non dallo Stato e dalla politica, certo, che mostrano sempre di più la loro debolezza di fronte alle accelerate trasformazioni globali, ma dai poteri forti -economico, tecnologico, mediatico/informatico- pilastri del capitalismo neoliberista, capaci di varcare ogni confine, ispirati solo dalla logica del profitto e pronti allo sfruttamento senza scrupoli delle risorse planetarie, naturali ed umane. Gli Stati a loro volta tendono a rispondere per lo più arroccandosi difensivamente su posizioni cosiddette sovraniste, nell’illusione di poter difendere i propri confini con politiche “illiberali” che fanno appello con tutti i mezzi possibili, inclusa la menzogna legittimata da media e social networks, all’identità nazionale. Un processo bifronte ben sintetizzato dalla formula global/local, che si adatta anche alla dimensione antropologico/culturale: da un lato omologazione, indifferenziazione, pensiero unico, dall’altro emergere (dentro e fuori dell’Occidente) di comunità regressive sempre più alimentate da logiche immunitarie e dalla costruzione di un Noi esclusivo e ostile. Basti pensare, in Occidente, all’espulsione del diverso che trova il suo culmine nella sciagurata gestione del fenomeno migratorio, o, fuori dall’Occidente, all’escalation del fondamentalismo (soprattutto) islamico, fino ai suoi estremi terroristi. Eppure, in questo scenario desolante, c’è chi avanza l’ipotesi di un’ “altra” globalizzazione: non più del mercato ma del senso, per dirla con Nancy o Edgar Morin. Una globalizzazione come processo emancipativo, nella quale cogliere la chance di pensarsi come un’unica umanità: stretta intorno alla necessità di affrontare le patologie sociali e le sfide ecologiche, determinata a combattere le disuguaglianze senza negare le differenze, capace, come propongono Jeremy Rifkin e Peter Singer, di estendere i cerchi dell’empatia fino ad includere i poveri della terra e le generazioni future. Le condizioni oggettive di questa possibilità ci sono e sono date in primo luogo da quell’interdipendenza degli eventi che ci unisce di fatto in un legame planetario. Non ci resta quindi che mettere alla prova la nostra capacità soggettiva di cogliere la chance: quella di costruire, per usare il lessico di Alain Caillé e del Manifesto convivialista che ho attivamente condiviso, una società conviviale globale.
Siamo ancora nella società liquida di Bauman o la intende superata?
Con il concetto di società liquida, Bauman coglie senza dubbio una trasformazione importante del nostro tempo, ancora decisamente attuale, che pone l’accento su una diffusa condizione di incertezza e di fragilità dovuta al franare di regole e valori consolidati, all’assenza di punti di riferimento e alla frammentazione del legame sociale. Liquida, per darne solo qualche pennellata, è la società nella quale, a differenza della prima modernità, “tutto ciò che è solido si dissolve nell’aria” (come recita la metafora di Marx), lasciando gli individui in balia di un cambiamento permanente che rende endemica la vertigine del disorientamento. E’ la società caratterizzata dall’individualismo illimitato di cui parlavo sopra, che alla perdita del legame e del progetto, dei valori e della stabilità delle relazioni e del lavoro, risponde con la precarietà e la futilità del consumismo, del successo, dell’apparire ad ogni costo, dal teatrino dei talk shows alla ricerca dei like come conferma della propria fragile identità. E’ la società che esalta l’immediatezza e l’accelerazione a scapito dei contenuti. Tuttavia, in questo scenario ancora attuale che consacra il trionfo della precarietà e dell’effimero, vediamo rinascere forme che possiamo definire solide, sia pure in un senso nuovo, le quali affiorano inevitabilmente dal rimosso: forme regressive, come il revival di ideologie razziste, xenofobe e totalitarie a fondamento di comunità immunitarie e pateticamente esclusive (quello che ho chiamato comunitarismo endogamico); ma fortunatamente anche forme emancipative, come la rinascita di movimenti collettivi tesi alla ricostituzione del legame sociale, all’affermazione del valore della comunità e dei legami affettivi, all’assunzione della responsabilità collettiva (verso il pianeta, la natura) e della solidarietà (verso l’altro, il diverso). Non possiamo che scommettere, nel senso pascaliano, su quale di queste due forme avrà la meglio, puntando ovviamente sulla seconda.
Ormai solo un Dio o solo la filosofia può salvarci?
Se mi lasciassi sopraffare dal pessimismo, sarei tentata di aderire all’ammonimento heideggeriano. Ma se vogliamo darci una speranza, la filosofia può effettivamente venire in nostro soccorso: continuando in primo luogo a porre domande radicali e coraggiose che scuotano le coscienze in un mondo percorso da un lato da un oppiaceo individualismo e da una colpevole indifferenza, e dall’altro da ottuse regressioni verso miti identitari. Come ho già detto, abbiamo bisogno di una filosofia vitale che non tema di contaminarsi anche con altri linguaggi (letteratura, psicoanalisi, cinema) laddove il concetto e l’argomentazione non sono (più) sufficienti. Ma, come mi ha insegnato soprattutto il pensiero delle donne, la filosofia deve anche fornire risposte, prospettive, sentieri inediti, che siano all’altezza delle sfide della contemporaneità. È quello che chiamo un normativismo er-etico, che non proponga schemi astratti o retorici imperativi, ma tenda a valorizzare le risorse intrinseche sia al soggetto che al sociale; e che abbia il coraggio di lanciare nuove e rivoluzionarie parole d’ordine.
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La Luna
"L'Enigmatica forza della Vita".
E' la dolcezza dell'Arcano della Luna che oggi ci accompagna nel tormentato "approdo" di quest'anno sconvolgente, così denso di avvenimenti, trasformazioni, guarigioni emotive, consapevolezze nuove.
Il 2024 è stato l'anno dell'apertura del Cuore Cristallino.
Un Anno denso, di profondo ascolto della Voce interiore. Di rottura degli schemi. Di lotta agli automatismi. Di scioglimento delle Alleanze con l'Antico Mondo.
Ci siamo gettati nel Fango e ci siamo sporcati tutto il Corpo.
Ci siamo stracciati le vesti e strappati i capelli.
Ci siamo rotolati nella nostra inquietudine e angoscia esistenziale.
Ci siamo distesi a petto nudo sulla Terra, calda sotto di noi, pronta a regalarci e a sostenerci con la sua ancestrale Connessione, con il suo potente respiro, con il suo battito profondo, con la sua ricchezza e abbondanza.
La Medianità e le sue antiche formule, i suoi blocchi, le sue distorsioni di Servizio e Schiavitù, di Sottomissione e Sfruttamento, di Dissacrazione del Vero, si sono dissolte per sempre.
Il Libro della Stregoneria è stato sigillato per sempre.
Esso ha esaurito la sua funzione di "separazione" tra Divino e Umano, per lasciare spazio ad un progetto innovativo di "contatto interiore con lo Spirito", ripulito nelle vesti, nei ruoli e nelle consuetudini.
Debellando ed esaurendo lo schema delle Donne Strega, impegnata nelle arti oscure, nelle maledizioni, nei malocchi, nelle superstizioni, nelle invettive, nelle veggenze karmiche.
Destituendo il Mago Nero. Reo di aver reso l'Alchimia un simbolo di manipolazione e di potere violento per fini e scopi di dubbia volontà espressiva.
Liberando per sempre la Magia da tutte le sue ereditate "funzioni oscure", atte perpetrare e giustificare le logiche di disuguaglianza e potere all'interno della Storia incarnazionale dei Popoli.
Il 2025 è pronto ad entrare con regalità nelle nostre Vite.
Abbandonando definitivamente lo schema dell'Ereditarietà del Trauma. E abbracciando in toto "l'Eredità del Dono", spogliato dal dolore, dalla sofferenza, dalla perdita e dalla mancanza.
Con i prossimi mesi vedremo sciogliersi le ultime burrascose battaglie interiori e aprirsi nuovi movimenti colmi di purezza, di autenticità e di sentito Amore per la Vita.
La Mente si connetterà al Cuore Cristallino, regalandoci i primi segni di manifestazione materica del nostro nuovo Diapason Interiore.
La Grazia del Femminile governerà le prime sensazionali e incantevoli Magie espressive.
E la Spada del Maschile, solida e integra, guiderà i nostri innovativi e titubanti "primi passi" all'interno della manifestazione Materica del Nuovo.
Un "Nuovo" solido, coerente, ripulito dalle ambivalenze e dalle prigionie emotive del Passato.
Il Corpo completerà a piccoli passi la sua "riconversione".
Non assisteremo ancora all'esaurirsi della parte fisica della Guarigione.
Essa si muoverà più lenta rispetto ai processi interiori sottili.
Ma "staremo un po' meglio" e sentiremo i primi benefici di tanto lavoro di pulizia e di riconnessione con il Cuore.
Le Coppie Sacre si ricongiungeranno. A livello intergenerazionale.
Le Anime del Dono, siano esse già transitate nei ruoli innovativi o ancora simbolicamente definite dal codice dell'Antichità, si riconosceranno nei "nuovi progetti evolutivi".
E si "ri-sceglieranno" con Coscienza, Rispetto e Stima reciproca per percorrere insieme la "strada del Collettivo", dando vita a straordinarie sperimentazioni di "ricompattamento affettivo e spirituale".
Il 2025 suggellerà la fine di un'Epoca. A livello politico, economico, sociale ed emotivo.
E tanto ancora.
Ma oggi, oggi restiamo qui. A lasciarci travolgere dall'ennesima ondata di trasformazione profonda.
Godiamoci questi attimi così penetranti e pungenti di "vento cosmico", salutando questo 2024 con immensa gratitudine.
Ci ha "restituiti a noi stessi", al nostro autentico respiro, alla nostra originaria affettività, alla nostra purezza d'animo, al nostro battito più profondo.
Ci ha spogliati dalle Vesti antiche, per rinascere alla Luce del nostro Abito interiore più bello ed elegante.
E' stato un anno davvero indimenticabile. Gioie e dolori, cadute e risalite, sofferte perdite e nuovi arrivi.
E dentro, nelle profondità di noi stessi, sempre la stessa immancabile sensazione: il propagarsi di nuova Linfa, della Nuova Vita e del suo intenso Amore, la sua "magica espressione" racchiusa nel nostro immenso Cuore.
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Buona fine Anno a tutti voi. Di Cuore!
Con i vostri commenti, la vostra vicinanza emotiva, mi avete regalato un sorriso quando ero triste, un incoraggiamento, una parola di conforto e di affetto, anche nei giorni più complicati e difficili.
Mi avete spronata e accompagnata.
E avete condiviso con me la Magia di questo straordinario Tempo, la Gioia, la Bellezza, le Scoperte sensazionali, i Cambi di Direzione repentini e imprevedibili.
Giorno dopo giorno, passo dopo passo.
Magari senza conoscermi personalmente.
Ma condividendo energeticamente insieme a me le vostre emozioni quotidiane. Insieme agli Arcani, alle mie scritture, ai battiti del mio Cuore. Che è il vostro Cuore. Che è il Cuore di tutta l'Umanità Incarnata.
Il 2025 non si farà attendere nelle sue sorprese e nei suoi fuochi d'artificio. Saremo in tanti a goderne la Bellezza. E tanti ancora. Con un "effetto domino" sempre più "brillante" e "contagioso"!
Vi voglio bene e vi ringrazio dal profondo.
Con affetto immenso
Mirtilla Esmeralda.
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Dottor Giovanni Muto Urologo: La gente comune ha molte idee sbagliate sulle malattie. E questo è il motivo per cui tendono a giudicare male una condizione di salute. Questo errore di valutazione è più comune nelle malattie legate alle urine. Il tratto urinario di un essere umano è un organo sensibile e ci viene la pelle d'oca seria quando c'è un problema con esso. Non dobbiamo preoccuparci troppo, poiché ci sono esperti che hanno una grande esperienza su varie malattie urologiche e trattamenti moderni.
L'urologia è una branca medicinale che si occupa delle malattie delle vie urinarie maschili e femminili. Inoltre, l'urologia include anche i disturbi degli organi riproduttivi maschili. Gli organi che rientrano in questo ramo sono l'uretra, la vescica urinaria, le ghiandole surrenali, i reni e gli organi riproduttivi maschili. Ci sono molti organi coinvolti nell'urologia e, quindi, molte sotto-discipline vengono richieste per comprendere l'intero dominio.
Ecco l'elenco di 8 diverse sotto-discipline dell'urologia:
Endourologia
questa sottodisciplina si occupa della manipolazione chiusa del tratto urinario. La chirurgia delle vie urinarie non è aperta; gli endourologi usano piccoli strumenti e telecamere nell'ambulatorio. La chirurgia transuretrale è una parte importante dell'endourologia in quanto aiuta nel trattamento di altri casi come la chirurgia dei calcoli, la chirurgia dell'urotelio e la chirurgia della prostata.
Oncologia urologica
questa sottodisciplina si occupa di malattie come il cancro del pene, dei testicoli, dei reni, della vescica e delle ghiandole prostatiche. Poiché questi tumori sono normalmente troppo delicati per gli interventi chirurgici tradizionali, la maggior parte degli oncologi urologi usa i robot per aiutarli negli interventi chirurgici.
Laparoscopia
questa sottodisciplina si occupa anche di interventi chirurgici assistiti da robot. Di conseguenza, i processi chirurgici aperti stanno diventando meno popolari e la laparoscopia sta aumentando il tasso di successo degli interventi chirurgici su aree come l'uretere, i reni e la prostata. Tuttavia, l'uso estensivo della robotica rende anche questa sottodisciplina piuttosto costosa.
Neurourologia
questa sottodisciplina si occupa di casi di minzione anormale causati da disfunzioni nervose. Il tratto urinario inferiore può essere interrotto da condizioni neurologiche come lesioni spinali, morbo di Parkinson e sclerosi multipla. Le terapie in neurourologia comprendono la neuromodulazione sacrale, l'uso di farmaci anticolinergici e l'autocateterismo intermittente pulito della vescica.
Andrologia
questa sotto-disciplina si occupa dei disturbi urologici maschili come i disturbi eiaculatori, la disfunzione erettile e l'infertilità maschile. L'andrologia si sovrappone un po' all'endocrinologia, poiché la sessualità maschile è spesso un lavoro di ormoni. Le terapie in andrologia includono l'impianto di protesi peniene, inversioni di vasectomia e procedure di fecondazione.
Urologia femminile
questa sottodisciplina si occupa di disturbi urologici femminili come l'incontinenza urinaria, il prolasso degli organi pelvici e la vescica iperattiva. L'urologia femminile si sovrappone un po' all'uroginecologia, una sotto-disciplina della ginecologia. La diagnosi e le terapie dipendono da una particolare malattia.
Urologia pediatrica
questa sotto-disciplina si occupa di disturbi urologici nei bambini come reflusso vescico-ureterale, genitali sottosviluppati, enuresi e testicoli ritenuti. Un urologo con una formazione specifica in pediatria è adatto a contrastare questi problemi.
Urologia ricostruttiva
questa sottodisciplina si occupa del tratto genito-urinario. Questo tratto deve subire un intervento chirurgico se ci sono alcuni problemi urologici causati da parto, blocchi, ostruzioni, malattie, traumi o isterectomie.
Queste sono le 8 sotto-discipline dell'urologia. È meglio tenerli a mente, poiché la conoscenza precedente su di essi può aiutare in molti modi in futuro. Se pensi di soffrire di un disturbo urologico, controlla il tuo stato con l'aiuto del software EHR di urologia. Questo software è estremamente facile da maneggiare e correggere nelle sue misurazioni. Se i tuoi risultati sono positivi, non esitare a visitare un urologo.
I disturbi urologici, comprese tutte queste sotto-discipline, sono molto comuni nell'era odierna dell'inquinamento e dello stile di vita poco igienico. Quindi non devi avere paura se ti viene diagnosticata e consultare immediatamente un medico per ottenere un rapido recupero.
Giovanni Muto è un medico con sede a Torino, Italia. Sta parlando delle diverse sotto-discipline dell'urologia. Menziona anche l'uso del software EHR di urologia per tenere sotto controllo qualsiasi disturbo urologico.
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...Silvia Curione, a molti di noi questo nome e questo volto non dicono nulla. E, invece, l’Italia dovrebbe essere orgogliosa di questa giovane donna magistrata di 39 anni che, praticamente da sola, ha scardinato un presunto sistema di potere basato su intimidazione, corruzione e patriarcato tossico. È stata lei la prima - e l’unica - a denunciare, in un clima di paura e omertà, l’attuale procuratore capo di Taranto Carlo Maria Capristo (a Trani all’epoca dei fatti) che, insieme ad altri, le aveva fatto pressioni di ogni genere - anche a sfondo sessuale - per indurre lei, Sostituto Procuratore, a perseguire in sede penale una persona senza che esistessero i presupposti. Per mesi Silvia è stata oggetto di ogni genere di commenti, avance e apprezzamenti svilenti, pelosi. Ogni giorno Capristo le diceva: “Ricordati che sei solo una bambina”. “Ricordati che sei mia.” “Bambina mia” la chiamava. Lei, una pm che ha firmato indagini su mafie, criminalità organizzata e su alcuni dei casi più duri e complessi degli ultimi anni, trattata come una bambolina da un potere maschile che pensava di poterne disporre come di una cosa propria. Quanto si sbagliava. Per mesi Silvia ha incassato, apparentemente subìto. È rimasta in silenzio, e intanto annotava tutto: i fatti e le parole; i commenti e la manipolazione. Poi, al momento giusto, ha denunciato un intero sistema con un effetto domino che ha tirato giù con sé, oltre a Capristo (ora ai domiciliari), un collega magistrato, un poliziotto e tre imprenditori. Tutti rigorosamente uomini. Tutti di potere. Questa è la storia di una magistrata, di una donna, di una servitrice dello Stato che ha onorato fino in fondo il suo giuramento. Lo ha fatto rischiando tutto e mettendosi contro i poteri forti, quelli veri. Provate a parlare di lei, se avete il coraggio. Provate a insultare anche lei, se ci riuscite. Provate a dire qualcosa su questa donna del sud libera, di questa straordinaria professionista che non ha piegato la schiena e la testa. (Lorenzo Tosa)
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