#ma si è reso conto di quanto non fosse giusto e ha sempre cercato di migliorarsi pur non riuscendo a superare i molti traumi
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Vorrete mica fare perdere Pier Paolo Pasolini, tra le più importanti figure LGBT+ in Italia, nonché l'uomo che si faceva scattare migliaia di queste foto? Letteralmente un'icona di stile, e non solo di pensiero, degli anni 60 e 70?!
Ammirate con quale fierezza sfoggia la camicetta più confusa (ma col cuore nel posto giusto) che potesse esserci sul mercato. Appoggiato in una posa statica al suo amato divano fucsia. Torquato Tasso mica ce l'aveva, il divano fucsia!
Vi prego di osservare con attenzione il tacco ventordici (forse non lo sapete, ma PPP era alto tre mele o poco più), e l'elegante mix di bronzo metallizzato + vernice nera. Una combo che sicuramente dovrebbe portargli un sacco di voti. (queste foto sono state scattate nel 1973 nella sua casa in Via Eufrate e sono apparse sulla rivista "OTTO8")
Votate Pier Paolo per poter in futuro vedere altri deliziosi outfit anni '70. Con la manina sul fianchetto, ovviamente.
Italian literature tournament - Third round.
Propaganda in support of the authors is accepted, you can write it both in the tag if reblog the poll (explaining maybe that is propaganda and you want to see posted) or in the comments. Every few days it will be recollected and posted here under the cut.
#il prossimo post (se ce ne sarà bisogno) sarà sui pantaloncini cortissimi indossati durante le riprese delle Mille e Una Notte#lo sapevate che per scrivere il Fiore delle Mille e Una Notte ha chiesto a Dacia Maraini da fargli da co-scrittrice#perchè la protagonista e molti personaggi principali sono donne#e in quanto uomo gay e sostenitore dei diritti alle donne aveva paura di non poter scrivere bene un pg femminile#gli abusi emotivi e possibilmente sessuali che ha subito da donne l'hanno sempre reso restio a scrivere di pg femminili#comprensibilmente. i traumi fanno brutti scherzi al cervello#ma si è reso conto di quanto non fosse giusto e ha sempre cercato di migliorarsi pur non riuscendo a superare i molti traumi#era molto fuckuppato nel cervello ma era un bravo bimbo...#l'uomo più intelligente che l'italia possa vantare ma con l'emotività di un bambino traumatizzato#quanta sofferenza ha dovuto subire un uomo innocuo che non poteva difendersi invece di ricevere l'aiuto di cui aveva bisogno#bene ora mi sto emozionando per pier paolo. dannazione
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Cara mamma, scrivo questa lettara nel giorno della festa della mamma, io oggi non ti ho dato gli auguri, non perché ti odio, ma perché tu non riesci mai a capire gli altri; pretendi di essere sempre capita perché forse in passato non lo sei stata ma io non voglio e non posso più capirti, sei solamente accecata di odio da tutto, pensi che chiunque ti voglia male e che solo i tuoi fratelli ti vogliono bene ma mi dispiace dirtelo ma sono le uniche persone a non volertene e vuoi sapere perché? Perché loro non ci sono mai stati, non ti hanno mai chiamata, non ti hanno mai considerata, neache quando potevi andare da loro, sei sempre stata tu ad "inbucarti" nelle loro case ma sinceramente a me questo non interessa perché tanto chi li vede più.
Torniamo a noi, sai che non ho mai visto una mamma dire quello che dici tu ai figli? Nemmeno la mamma di Davide che è stata davvero malata, nemmeno lei. Io non so perché tu faccia così, cosa ti sia mancato da bambina per far pagare a me tutto, perché io l'unica sbaglio che ho fatto è stato crescere con un mio cervello che fosse diverso dal tuo. Io ammiro un sacco mia sorella per la sua forza di farsi scivolare tutto addosso, mi sono fatta scivolare tante cose nella vita nonostante abbia vent'anni e tu non sai nulla di tutto ciò, una mamma si dovrebbe accorgere di tutto ma tu non l'hai mai fatto. Sai quante volte sono tornata a casa con le lacrime agli occhi da scuola? Sai quante? No non lo sai, eri sempre distratta e a te bastava che ti dicessi "si va tutto bene", non sono stata una di quelle ragazze che è stata bocciata o è andata male a scuola perché aveva i "problemi", io ingoiavo tutto, come ho sempre fatto, da sempre, mi facevo dei pianti sull'autobus che nemmeno immagini, quando nessuno voleva sedere a scuola vicino a me, quando ho praticamente perso l'unica amica "vera" che pensavo di avere, quando nessuno mi voleva in stanza in gita o quando nessuno voleva uscire con me, non pensare che io sia come dici tu "cattiva" o "presuntuosa" o "cagacazzo", sono semplicemente io, nessuno è uguale e ognuno ha un suo carattere. Alle medie mi hanno fatto i migliori dispetti ma all'epoca si è piccoli quandi non ci si bada neache più di tanto ma a me sono comunque pesate. Ricorda che ogni volta che tu dici che io non ho un'amica, sinceramente ne sono fiera, sono fiera di essere stata me stessa senza cambiare per piacere a qualcuno, per avere un amicizia falsa. Io sono fiera di tutto quello che ho fatto fino ad oggi, l'ho fatto con il mio sudore, con le mie lacrime, e con i miei mille dispiaceri.
Tu parli di me senza sapere nulla, senza conoscermi, senza esserti mai interessata davvero a come stavo, ti accontentarvi sempre del "sto bene" e io andavo avanti, andavo avanti tra le lacrime come stasera da sola in bagno a scrivere perché è l'unico modo che riesco ad utilizzare e che mi fa stare bene, non sai neache che io ho un blog dove scrivo i miei pensieri ed è anche molto seguito da persone che mi conoscono attraverso la scrittura che non mi hanno mai visto, gli piaccio per quel che scrivo, e non sai che da grande avrei voluto fare la scrittrice perché io amo scrivere, invece tu l'ultima volta che hai letto qualcosa, mi hai detto che non so scrivere e che era sbagliato, wow grazie come sempre di sminuirmi ogni volta.
Riguardo altre cose che non sai boh forse che io con Luca stavo bene ma non eravamo fatti per stare insieme; la confidenza che tu avevi dato ad Enrico, come ti avevo detto anch'io non era giusta, solo che tu volevi parlare con qualcuno, anche in buona fede ma lui non aveva la buona fede e all'epoca tu le amiche non le avevi. Poi passiamo a Lorenzo che gli ho voluto davvero bene e sono stata malissimo quando lui mi ha lasciato, mettendomi le corna, per poi lasciarmi così, ed è inutile che tu continui a dire che c'entra Alessandro ecc perché io con Alessandro non ci ho fatto assolutamente nulla, a parte qualche bacio, perché si mi piaceva ed è un bel ragazzo ma era un passatempo, non come fidanzato, non aveva la testa. Di Lorenzo all'epoca mi piaceva la trasgressione, si lo ammetto, era il periodo in cui disubbidire era figo, ma poi con il tempo le cose non funzionavano, non c'erano argomenti. Parliamo di Giuseppe, di lui non ho molto da dire a parte che non sono davvero andata a Roma per lui, anche se fossi andata ad Ancona ci sarei potuta arrivare con l'autobus o lui con il treno (a parte che l'università ad Ancona sta su un colle ed era scomodissima e menomale che non ci sono andata perché si sono trovati tutti male) ma non è questo l'importante, Giuseppe era il classico ragazzo, campo sui genitori e io non faccio nulla, non aveva dato gli esami, non aveva la patente, per andare in giro si doveva uscire in 4 ma come cazzo si fa, poi aveva pretese di comando su di me, e quindi no. Arriviamo a Davide che ogni volta dici che mi deve lasciare perché secondo te, mi deve capitare quello che è successo a te, invece di farti un esame di coscienza sugli errori, commessi da entrambi, no macché, inveiamo contro la figlia maggiore. Vabbè sti cazzi tanto quando leggerai questa lettera tu sarai andata via e io e te avremmo chiuso per sempre, com'è giusto che sia. La cosa che più mi mancheranno mamma, saranno gli abbracci, quelli di un tempo, quelli delle medie, dove io ero piccola e tu non mi odiavi, e non dire che non mi odii perché è palese, se ne sono accorti tutti, anche se continuano a di dire che tu mi vuoi bene ecc; papà stasera mi ha detto che ti dovevo venire a dare gli auguri perché lui in fondo ci spera ancora e continua a dire "la mamma è sempre la mamma", ma io non ci credo più, e papà non fa altro che ripeterlo da sempre ma tu hai sempre detto che lui ti diceva male... Non ti sei sempre comportata bene tu ma neache io, ci sono volte in cui ho esagerato con le parole perché magari ero allo stremo, altre volte in cui l'hai fatto tu ma comunque, io non sarei mai arrivata a far dire da un fratello che se vedeva tua figlia, la uccideva, ci sono cose che io non cancello, mai, ci sono cose troppo gravi. Tu non ci hai saputo insegnare cos'è la famiglia, com'è quell'ambiente sereno, che qualcuno chiama casa, ogni volta che tornavo a casa dalle superiori speravo di andarmene all'università per non tornare più; io per tre anni di università non volevo tornare a casa perché c'eri tu, io non so se ti rendi conto, quando tutti vogliono tornare, io avrei preferito andare più lontano possibile. Hai reso la mia vita un inferno, e l'unica colpa che ho è quella di essere nata, perché io mi ricordo tutto, e sinceramente la nonna non c'entra nulla, ha solo cercato di fare il bene della casa perché si usava così, poi che tu ogni volta che scendevi gli dicevi male e ti mettevi a litigare dove IO ti dovevo fermare, con le unghie e con i denti, sono sempre stata io a mettermi in mezzo a te e papà per evitare tragedie, eh si perché potevano accadere tragedie, perché tu porti una persona a un livello di esasperazione allucinante. Vuoi sapere cos'ho imparato da Davide, ad essere forte, a rialzarmi, a pensare positivo, a fare tutto perché un domani andremo via dalle nostre case, ed è una cosa orrenda da pensare ma è così.
Poi inoltre parli in continuazione di me, male con chiunque, chiunque, ma un po' di vergogna non la provi, per sangue sono tua figlia, io non direi mai male a mia figlia, manco se fosse una drogata, io boh senza parole comunque ma tanto a te non interessa, né dei figli, né di nessuno, solo della tua bellissima vita che dovrai fare a cinquant'anni, insieme ai tuoi fratelli che non ti hanno cagato mai. Ma io queste cose te le ho sempre dette in faccia, tu invece dietro, come con il tuo avvocato che è una persona spregevole e cerca soldi, e tu solo con una persona simile a te potevi diventare amica perché quando si lavora, si mantiene un certo distacco con le persone, funziona così, ma tu il mondo non l'hai mai voluto capire, ti è estranea proprio l'idea che non funziona come al rione delle case popolari, il mondo esige Intelligenza, cultura, ambizione ecc cose che tu non hai e che non hai manco voluto acquisire e non prenderla a male perché io queste cose te le ho dette anche in faccia.
Io vado all'università, come dici tu "scienze delle merendine", ma cara mia io guadagno già da ora e tu non potresti manco parlare dato che non sai manco come si accende un PC, figuriamoci creare qualcosa, ma a te piace quella ragazza che fa la ragazza che vive alla giornata, io non sono quella, io sto costruendo un futuro, mi laureò e inizierò a lavorare (la tua simpatia per Serena che non fa nulla nella vita, fuma e beve è sempre più per me un mistero, una persona stupida come una capra però vabbè); la cosa bella mamma di tutto ciò è che sinceramente sarà già un po' che non ci sentiamo e ricordati che i figli non hanno bisogno del genitore per essere tali ma il genitore ha bisogno dei figli e questo non dimenticarlo mai. Sicuramente non verrò da te a farmi tenere i figli, si li conoscerai ma sai come una nonna lontana che verrà magari a qualche ricorrenza, perché io ho deciso di crescere e di crearmi una famiglia lontano da te, dal tuo modo di essere, dal tuo odio e dalla tua maleducazione, chissà se quando avrai 60/65 verrai a reclamare i nipoti, avrai quelli di giada e forse ti accudirà anche lei ma io di certo no. Per quanto riguarda la nonna, io spero viva per sempre, la nonna mi ha insegnato tanto, mi ha insegnato ad essere donna, mi ha insegnato che nella vita bisogna lavorare ed avere ambizione per costruirsi qualcosa, mi ha insegnato che la famiglia è una cosa che comunque vada ti accoglie sempre e non ti lascia mai indietro, mi ha insegnato tante cose, anche ad essere forte perché sapeva che saremmo rimaste da sole, io la nonna l'ammiro molto sia come donna che come imprenditrice, come moglie nonostante il nonno sia stato un uomo difficile e di altri tempi, come mamma perché ha saputo insegnare alla zia come si costruiva una famiglia, per papà, il mio caro papà, un papà che tu in primis mi hai rovinato, un papà che spero sappia insegnare a giada tutto quello che ha insegnato a me, un papà di cui io ho un ricordo bellissimo, ma che tu hai sempre descritto come un mostro, non l'hai fatto rispettare e l'hai deriso, non l'hai fatto rispettare dai tuoi fratelli in passato perché eri tu la prima a non rispettarlo; sono due anni e passa che io sto con Davide e l'unica cosa che non è mai mancata tra di noi è il rispetto reciproco come ho rispettato sua mamma e suo padre quando sono andata da loro, come ho rispettato sua zia che praticamente è diventata anche la mia (mi scrive tutti i giorni e mi aspetta sempre).
Aspetta ma tu hai anche (forse) qualche non colpa, non è colpa tua se tua mamma non ha saputo fare la mamma, non è colpa tua se tuo padre è morto giovane, non è colpa tua se ai tuoi fratelli mancano molte rotelle in testa, uno peggio dell'altro (forse si salva Benito ma per il semplice fatto che è stato con Giusi e quindi stando con persone che stimolano la tua intelligenza, si diventa intelligenti wow), a te non è mai interessato rapportati con gente colta, intelligente, per bene, ti piaceva andare con i poveretti che non ti potevano dare nulla a livello intellettuale, perché si, si frequentano le amicizie, le persone perché ti arricchiscono mentalmente, non ti devono impoverire. Una cosa la so però che tu non sarai mai la donna che io voglio essere da grande, non sarò mai la mamma che sei stata con me, non sarai mai la persona a cui ambirò perché? Perché cara mamma tu non hai arricchito me, mi hai impoverito, mi hai resa nervosa, schiva, maleducata, poco cordiale, intollerante alle cazzete, non sopporto le bugie (ne ho sentite troppe da te), insicura, ecc e io so che non sono così perché Davide parla sempre di me e forse lui ha visto qualcosa che nemmeno io non ancora riesco a vedere, so solo che sono sola, mi sento sola, mi sento più che è abbandonata, forse questa sensazione cambierà ma adesso è così. Vorrei aver avuto una famiglia diversa; mi brillavano gli occhi ogni volta che andavo a casa di qualche amica e i genitori erano così genitori, apprensivi, cordiali, sorridenti, mentre tu agli occhi degli altri appari un angelo ma quando non c'è nessuno dai il meglio di te. Mi ricordo ancora quando mi menavi, perché si tu mi menavi ma non come si menano ai figli, tu mi hai preso a calci, fatto sbattere la testa contro il muro e contro la finestra, ne hai fatte tu eh, ora con giada ci parli? Perché non hai parlato anche con me? Perché io avevo sempre la peggio anche quando non c'entravo nulla? Perché? Spiegami il motivo, io ero piccola, non avevo una grande forza, e tu mi facevi tutto questo. Ho anche molti ricordi belli di te, ma la maggior parte vengono offuscati da questi, da questo odio e rancore che provo anch'io ora, per avermi privato della spensieratezza, per avermi privato di non avere problemi per la testa, invece dovevo sempre stare a pensare "speriamo che a casa nessuno ha litigato", uscivo con questo pensiero e rientravo con questo pensiero, tu le cose non le sai, non le hai volute capire e quindi te le sto scrivendo, ti sto scrivendo tutto quello che non sono riuscita a dirti perché con te non si riesce a parlare, con te si litiga solo anche se nessuno vuole litigare, tu litighi da sola. Mi piacerebbe che un giorno tu ti renda conto della figlia che hai e smetta di sminuirla ed offenderla sempre, mi auguro che prima o poi con la lontana questo avvenga, ci spero sempre, ci ho sempre sperato che tu ti accorgessi di me, di come sono fatta e di come rispetto alle altre ragazze sia stata una brava figlia, ci spero davvero.
Ciao mamma.
Martina
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Porta Nord Due
La pioggia battente pareva una maledizione senza fine, colpiva il parabrezza della vecchia Renault 5 dalle fiancate ammaccate e scivolava via, perdendosi nelle pozzanghere lungo la via. Ogni notte, in quell’inverno ormai lontano e nell’indifferenza ottusa della vecchia città dai muri in mattoni rossi e cemento, scivolavamo insieme lungo strade illuminate da lampioni anonimi, che spandevano la loro luce giallastra come perduti in una sonnolenza decadente. La radio sempre accesa al minimo, perchè di musica a volume altissimo ne ingoiavo anche troppa nei locali fumosi di quella Torino di fine ventesimo secolo, tra gente ebbra di alcool e di innumerevoli droghe. Gli occhi perennemente stanchi per il poco sonno, in bocca il sapore dell’ultima Marlboro spiegazzata, attraversavo i quartieri deserti verso casa. Era tutta lì la mia vita, in quel ritorno ciclico alla mia piccola casa troppo fredda dopo aver vegliato sui fasti della notte altrui. ero uno degli invisibili, quelli che lavorano dove la gente va a scordarsi le proprie miserie quotidiane restando nel proprio spazio di manovra, cercando di farsi notare il meno possibile. Ci chiamavano buttafuori, prima di inventarsi un termine come “addetto al servizio di sicurezza”. Eravamo molto più liberi di dire la nostra, di fare valere l’abilità di correggere gli atteggiamenti pericolosi con ferma e lucida efficienza. Oltre i lustrini dei costumi che velavano corpi da sogno, le facciate pulite delle discoteche alla moda, le scale illuminate a giorno ed i colori sgargianti delle pareti di vecchie cantine trasformate in locali, lì c’era la mia vera vita, fatta di retroscena, di realtà molto meno affascinanti delle chimere vendute ai clienti. Quelli come me conoscevano il dietro delle quinte, sapevano che il bancone colorato del bar nasconde assi non verniciate se guardato dall’altra parte, che il guardaroba aveva un’uscita nascosta che dava sul vicolo dietro il locale, che nei cessi degli artisti circolava la coca tagliata male dei bassifondi. Quella notte, fendendo l’ennesimo temporale con la mia vecchia auto cieca di un fanale, portavo con me il rimpianto di non essere stato al posto giusto nel momento giusto, di essere nato dalla parte sbagliata del mondo, dove le luci non brillano di sogni ma servono solo a mascherare le crepe nei muri, abbagliando il mondo ridanciano della notte. Anni a dividere ragazzini intenti a cercare la rissa, a consolare cubiste lasciate dai mariti, a medicarsi ferite non meritate, guadagnate per sventare l’ennesimo furto o pestaggio. Anni a guardare il nuovo stronzetto ricco che si portava a casa la reginetta della settimana sulla propria Porche Carrera rosso fiammante, mentre chiudevo la porta dietro di loro, fradicio fino al midollo di pioggia o congelato fin nelle ossa dagli inverni sabaudi, rassegnato all'evanescenza professionale che mi rendeva trasparente ai loro sguardi di sfuggita. In dieci minuti scarsi un ospite del locale spendeva molto più di quanto io guadagnassi in tutta la notte ed il saperlo non mi rendeva di migliore l’umore. Era la vita della notte, un carrozzone sporco ma colorato, che mangiava o sputava le persone che lo trascinavano avanti, nutrendosi ingordo dei nostri giorni migliori. Tutti lo sapevamo, non potevamo non vedere i veterani dalle cicatrici chiare e spesse, che avevano lasciato che la notte fosse libera di prendersi le loro vite per intero, perdendo famiglie ed affetti in cambio della botta di adrenalina che un lavoro nei locali poteva dare, con tutto quel via vai di droghe per tenere sotto controllo lo stress, storie che ti sfioravano e non vivevi mai in prima persona, belle ragazze da sedurre cercando di stabilire quali sarebbero state in grado di soddisfare le aspettative e quante solo di vomitarti in macchina durante il tragitto. Chi non ha mai prestato i propri talenti al giro delle discoteche non può capire il fascino di quella vita, ma noi lo subivamo in pieno con grande trasporto. Ai tempi il lavoro non mancava, la nostra non era una scelta imposta, avremmo potuto fare altro. Le fabbriche assumevano senza problemi a quei tempi, l’economia era ancora in grado di assicurare un posto decente a ciascun uomo di buona volontà, a patto che si rinchiudesse in un buco grigio a saldare o tagliare lamiera per costruire cose che, nella maggior parte dei casi, non avrebbe mai potuto permettersi di comprare. Come ogni cosa, il mio lavoro aveva anche dei lati positivi che mi permettevano di apprezzarlo, non ultima la sensazione di potere che ne derivava, particolarità inconfessabile ma segretamente apprezzata da tutta la categoria. Poi arrivò quella notte, tutta quell’acqua, la strada viscida. Erano le quattro e mezza, abbastanza presto per tornarsene a casa, ma un’ora ragionevole se riferita alla bassa stagione, ed a Novembre in una città del nord si toccano i minimi storici del divertimento. Anche nella Torino di quei tempi, piena di locali e di gente che se ne andava in giro, godendosi quella fascinosa aria di proibito, quel perverso mix di sesso, rischio, droga ed adrenalina che grondava dalle pareti di luoghi in cui la sensazione che la faceva da padrona era la libertà di lasciarsi andare senza timore di venire giudicati. Erano gli anni della decadenza tra il novanta e la fine di quel decennio. Poi si cominciò a parlare di crisi e non si smise più di farlo, la FIAT cominciò a lasciare a casa gente, finendo per chiudere quasi totalmente i propri cancelli e sacrificando sull’altare dell’economia migliaia di famiglie. Non a quei tempi, però. Lì eravamo ancora nel regno dell’abbondanza, della serenità che derivava dalle certezze (che si rivelarono soltanto presunte di lì a breve, d’accordo, ma noi non lo sapevamo e non avevamo indizi per presagire il disastro). Una semplice notte come tante, fredda come è normale che sia, lunga, perchè le notti lavorative invernali sembrano non finire mai nelle grosse città. Eppure avrebbe cambiato la mia vita, oggi posso dirlo con certezza. Se non fossi finito fuori strada quella volta, restando miracolosamente illeso, non avrei mai capito, mai. Non avrei cercato di rivalutare il mio mondo fatto di uscite di sicurezza ed armadietti dai lucchetti poco affidabili, di avventure senza futuro, di albe tristi dai colori tenui, sorbite facendo colazione da qualche paninaro col truck a bordo strada, a suon di salsicce fritte e Ceres. Invece non ho nemmeno la scusa di non essermi reso conto di cosa stava succedendo. Lo sapevo, dopo quella notte in cui vidi la morte da vicino, ero perfettamente conscio che la mia vita sarebbe andata avanti in quella direzione se non avessi cambiato registro. Sapevo che non avrei avuto soldi per diventare qualcuno, che sarei campato giorno per giorno, senza una famiglia, senza una vera vita. Quando uscii dalle lamiere contorte che erano state la mia povera Renault e mossi quei pochi passi incerti, prima di crollare nella pozzanghera alta un paio di centimetri e sentire l’acqua gelida entrare nel mio giubbotto, lì ebbi la più terribile delle illuminazioni. Ora però vi lascio, perchè anche se sono conscio del prezzo da pagare, da allora so perfettamente a cosa mi porta la mia natura. Tra poco il locale apre, la fila è lunga e ci sarà da fare. Metto i guanti, controllo la radio e vado. “Porta Nord Due, inizio servizio, passo” sibilo nel microfono. Mi risponde una scarica statica seguita dalla voce roca del caposervizio “Ricevuto Porta Nord Due, i cancelli aprono tra un minuto, buon lavoro”. Poi si accendono le luci, la grande porta si spalanca e la folla avanza.
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The one with the new girlfriend
"Fabrizio se l'è scelta proprio bella, la ragazza." Sentendo Rinald dire quella frase, Ermal fece una smorfia ma non disse nulla. Era perfettamente consapevole che la nuova fiamma di Fabrizio fosse una bella ragazza. Anzi, era convinto che fino a qualche tempo prima, sarebbe stato proprio lui il primo ad incoraggiare Fabrizio a provarci con lei. Magari addirittura ci avrebbe provato anche lui, dando inizio ad un'assurda sfida tra lui e il collega per vedere chi riusciva a conquistarla più in fretta. Ma le cose non stavano così. Da quando Fabrizio era entrato nella sua vita, erano cambiate un sacco di cose. La prima - la più importante, se non l'unica che avesse davvero un senso - era che Ermal non si era più interessato a nessuna donna. O uomo. Non si era più interessato a nessuno che non fosse Fabrizio. All'inizio, non ci aveva nemmeno fatto caso. Aveva semplicemente pensato che il suo mancato interesse verso qualcuno, fosse dovuto al fatto che non aveva conosciuto nessuno di abbastanza interessante da attirare la sua attenzione. Solo dopo qualche mese si era reso conto che il motivo era molto più semplice: non gli interessava nessuno perché nessuno avrebbe mai attirato la sua attenzione tanto quanto Fabrizio. Quindi, per quanto la nuova fidanzata di Fabrizio fosse effettivamente molto carina, Ermal non riusciva a guardarla con obiettività. "Mh, sì, carina" borbottò tenendo lo sguardo fisso sul suo cellulare, fingendosi interessato a ciò che stava leggendo. "Da quant'è che stanno insieme?" "Qualche mese" rispose Ermal con tono indifferente. "E tu l'hai già conosciuta?" chiese ancora Rinald. Ermal sbuffò alzandosi dal divano. "No, non ancora. Ma che te ne frega?" "Mi sembra solo strano che uno dei tuoi più cari amici si frequenti da mesi con una donna, al punto di portarla a eventi pubblici, e ancora non te l'abbia presentata. Tu, piuttosto, che hai? Sembri un cane a cui hanno pestato la coda!" "Non capisco questo terzo grado a proposito di una che nemmeno conosco" replicò Ermal scocciato. "Ti ho solo fatto una domanda, calmati" rispose Rinald uscendo dalla stanza. "Forse dovresti scopare un po' di più!" Ermal sbuffò. No, decisamente non era quello il problema. Anzi, non aveva minimamente voglia di andare a letto con qualcuno e anche nelle occasioni in cui finiva per toccarsi da solo pensando a Fabrizio, alla fine si sentiva più frustrato di prima. L'idea che Fabrizio stesse con qualcuno, che non l'avrebbe mai guardato come invece lui avrebbe voluto, lo logorava così tanto che qualsiasi cosa facesse si sentiva comunque frustrato e insoddisfatto. E tutto questo si riversava nella sua musica. Aveva abbozzato qualche testo nelle ultime settimane, e tutto ciò che era venuto fuori erano frasi cariche di tristezza e malinconia. Su una cosa, però, Rinald aveva ragione: doveva calmarsi. Doveva davvero cercare di rimettere insieme i pezzi della sua vita e smetterla di pensare a Fabrizio. Altrimenti, se avesse temporeggiato ancora, sarebbe solo stato più difficile e non ne sarebbe più uscito.
Erano passati mesi. Mesi in cui Ermal e Fabrizio non si erano visti nemmeno una volta e si erano sentiti pochissimo. Mesi in cui, per ciò che Ermal aveva letto online e su qualche rivista, Fabrizio aveva continuato a uscire con quella che ormai era diventata ufficialmente la sua fidanzata. Mesi in cui Ermal aveva cercato di andare avanti e di toglierselo dalla testa. E a un certo punto, credeva anche di esserci riuscito. Pensava a lui sempre meno, a volte riusciva a non pensarci per giornate intere, e vedere le sue foto insieme a Roberta - così si chiamava la sua ragazza - non faceva più così male come qualche tempo prima. Il tempo aveva curato, almeno in parte, le ferite ed Ermal era riuscito a far tornare un po' di normalità nella sua vita. Fino a quel giorno. In fondo, non poteva nemmeno dire di essere sorpreso. Fin dal momento in cui Fiorella Mannoia lo aveva chiamato per invitarlo a quella cena a casa sua, aveva sospettato che anche Fabrizio sarebbe stato presente. Ed era convinto che la cosa gli andasse bene, che addirittura gli fosse indifferente. Ma quando aveva visto Fabrizio entrare in casa sorridendo, quando si era accorto che il suo mondo aveva di nuovo preso colore solo grazie alla sua presenza, Ermal aveva capito che in realtà non aveva superato proprio nulla. Rimase a osservarlo in disparte, mentre salutava Fiorella e un paio di altre conoscenze comuni. Sapeva che prima o poi sarebbe arrivato il suo turno, sapeva che Fabrizio probabilmente gli si sarebbe buttato addosso come al solito - incurante del male che gli avrebbe fatto - e sapeva che avrebbe dovuto lottare con tutto se stesso per non esplodere e non sputare fuori tutto quello che si teneva dentro. Appena vide Fabrizio guardare verso di lui, sorrise e lo raggiunse, pronto a fingere che andasse tutto bene. "Ermal! È una vita che non ci vediamo!" esclamò Fabrizio prima di abbracciarlo. Ermal lo accolse tra le sue braccia sofferente, ma allo stesso tempo sollevato. Era passato davvero troppo tempo dall'ultima volta in cui si erano visti, e Fabrizio gli era mancato più di quanto in realtà avesse creduto. "Già, è passato un sacco di tempo. Come stai?" chiese Ermal, con un sorriso stampato in faccia. Fabrizio gli era mancato davvero e, per quanto la situazione lo facesse stare non proprio benissimo - a tratti proprio male, ma questo non lo avrebbe mai ammesso - gli faceva comunque piacere parlare con lui. Gli sembrava di essere tornato ai vecchi tempi, quando erano solo due amici senza assurde implicazioni sentimentali. Era tutto più facile, all'epoca. E quella sera, sembrava un po' di essere tornati indietro nel tempo. Parlarono tanto, arrivando al punto di isolarsi completamente nella loro bolla, come era già successo tante volte durante il festival o l'Eurovision. Per un attimo, Ermal si dimenticò addirittura che Fabrizio avesse una splendida ragazza che probabilmente lo stava aspettando a casa. Fino a quando, ormai al termine della cena, il cellulare di Fabrizio iniziò a suonare incessantemente, mentre il nome della sua fidanzata lampeggiava sullo schermo, e lui dovette allontanarsi per rispondere. Ermal lo guardò portarsi il cellulare all'orecchio e parlare per qualche minuto, sentendo il cuore stretto in una morsa e lo stomaco completamente chiuso. E pensare che era convinto di aver superato e accantonato tutto quel groviglio di sentimenti che provava per lui. Quando Fabrizio tornò a sedersi accanto a Ermal, il più giovane si sentiva completamente schiacciato dalla consapevolezza che più a lungo restava accanto a Fabrizio e più avrebbe sofferto. E lui amava Fabrizio, lo amava davvero tanto, ma amava di più se stesso e non poteva farsi del male in quel modo. "Tutto bene?" chiese, anche se in realtà non era davvero interessato. Voleva solo andarsene da lì al più presto. "Sì, certo. Roberta voleva sapere a che ora sarei tornato, ma le ho detto di non aspettarmi. Sto troppo bene qui per tornare a casa" rispose Fabrizio sorridente, prima di bere un sorso di vino. "Io, invece, credo proprio che andrò" disse Ermal alzandosi. "Ma come? Te ne vai già?" chiese Fabrizio stupito. Non vedeva Ermal da così tanto, che aveva sperato di poter passare ancora un po' di tempo con lui. "Sì. Non sono dell'umore giusto per continuare la serata. Saluto Fiorella e vado" disse Ermal. Poi abbozzò un sorriso verso Fabrizio e aggiunse: "Buona serata, Bizio. Ci sentiamo." Fabrizio lo guardò raggiungere Fiorella e salutarla, mentre sul volto della donna si dipingeva prima un'espressione confusa e poi comprensiva. Almeno c'era qualcuno che comprendeva. Fabrizio, dal canto suo, non stava capendo proprio niente. Appena Ermal uscì, si avvicinò a Fiorella e, senza nemmeno premurarsi di fingere indifferenza, chiese: "Sai che gli è preso?" "Dovrei?" chiese la donna. "Non lo so. Sembrava di sì. Fino a poco fa andava tutto bene, poi all'improvviso ha detto di non essere dell'umore giusto e se n'è andato." "Forse era semplicemente stanco" disse Fiorella. Fabrizio scosse la testa. "No, non è quello. Era da tanto che non passavamo del tempo insieme, non avrebbe mai perso l'occasione solo perché è stanco." Fiorella sospirò. Aveva passato da un pezzo la fase in cui dava consigli di cuore alle amiche, eppure ogni volta che si trovava con Ermal e Fabrizio si rendeva conto che forse quella fase non sarebbe mai passata. "Forse dovresti parlarne con lui" disse semplicemente. "Allora c'è davvero qualcosa che non va." Fiorella gli posò una mano sulla spalla e disse: "Parla con lui, Fabrizio." Il tono di Fiorella era così serio che Fabrizio non poté fare a meno di afferrare al volo la sua giacca e raggiungere Ermal il più velocemente possibile.
Ermal si era appena seduto in macchina e stava rispondendo a un messaggio di Marco, quando sentì qualcuno bussare sul vetro del passeggero. Sollevò lo sguardo e, appena vide Fabrizio, disattivò la sicura per permettergli di entrare. Fuori stava piovendo ormai incessantemente da parecchie ore e non aveva di certo intenzione di lasciare Fabrizio sotto l'acqua. Il romano salì in auto, ormai con i vestiti appiccicati al corpo e i capelli completamente fradici, mentre Ermal lo guardava con la fronte aggrottata. "Che succede?" chiese poco dopo. "Perché sei andato via così di fretta?" chiese Fabrizio senza mezzi termini. "Te l'ho detto, non ero dell'umore giusto" disse Ermal puntando lo sguardo di fronte a lui, anche se la pioggia sul parabrezza gli impediva di vedere qualsiasi cosa ci fosse all'esterno della macchina. "Prima lo eri. Che è successo?" insistette Fabrizio. "Dovresti tornare da Roberta" disse Ermal, senza rispondere alla domanda di Fabrizio. Il più grande lo guardò perplesso, senza capire cosa c'entrasse Roberta in tutta quella conversazione, poi disse: "Non voglio tornare da Roberta. Voglio stare qui. Con te." "Fabrizio, per favore." "No, Ermal, dimmi che c'è che non va. Perché è ovvio che c'è qualcosa che non va" disse Fabrizio. Poi allungò la mano verso quella di Ermal, appoggiata al volante, ma il più piccolo lo scansò via malamente. "Vorrei evitare che finisse come l'ultima volta" disse togliendo entrambe le mani dal volante e incrociando le braccia al petto. Fabrizio non rispose, ricordando semplicemente come fossero andate le cose quell'ultima volta in cui si era permesso di prendere la mano di Ermal. Era stato a Lisbona, la sera prima della finale, quando Ermal si era fatto prendere dall'ansia e Fabrizio - che di attacchi di panico nella sua vita ne aveva avuti parecchi - aveva cercato di calmarlo. Quando finalmente Ermal si era rilassato, per Fabrizio era stato automatico prendergli la mano in un gesto che doveva essere semplicemente di conforto. Ma poi la stretta di mano si era trasformata in dita intrecciate, sguardi languidi e un bacio mancato che purtroppo - o per fortuna - era stato interrotto dall'arrivo di Andrea. Non ne avevano mai parlato, ma entrambi avevano cercato di fare in modo che le loro mani non si sfiorassero più. C'erano stati gli abbracci, le pacche sulle spalle, ma le strette di mano sembravano essere diventate una cosa troppo intima per loro. "Ermal, non ci vediamo da mesi. Non puoi davvero pensare che io preferisca stare con Roberta piuttosto che con te" disse Fabrizio. "È la tua fidanzata." "È tu sei il mio..." disse Fabrizio bloccandosi un attimo dopo. Ermal si voltò di scatto verso di lui e, con tono quasi rabbioso, disse: "Il tuo cosa? Amico? Collega? Compare? Nulla di tutto ciò è paragonabile." Fabrizio abbassò lo sguardo ricacciando indietro le parole che stavano per uscire un attimo prima. Il mio amore. Perché era quello che Ermal era sempre stato per lui, anche se era sempre stato troppo codardo per dirglielo. Fece un respiro profondo e poi disse: "Non capisco perché ce l'hai con me." "Non ce l'ho con te, Fabrizio. Cazzo, non ce l'ho con te. Ce l'ho con me stesso" disse Ermal in un sussurro. La rabbia, la frustrazione... ormai non c'era più niente. C'era solo lui. Un uomo svuotato da ogni speranza, che si portava dietro solo l'enorme peso di essersi innamorato di un suo amico. "Ma perché?" chiese Fabrizio. Il tono di voce era preoccupato, così come lo sguardo. Ermal sospirò, poi si voltò verso di lui e disse semplicemente: "Perché mi sono innamorato di te." Fabrizio spalancò gli occhi sorpreso, senza sapere cosa dire. Non aveva mai creduto che Ermal provasse qualcosa per lui, non lo aveva mai lasciato trasparire. Ed era il motivo principale per cui aveva iniziato a frequentare Roberta. Per distrarsi, per non pensare a Ermal. Con il tempo, però, a Roberta si era affezionato davvero e in quel momento si trovava combattuto tra il confessare a Ermal la verità e il non voler causare sofferenze a Roberta. In un attimo, gli passarono per la mente tutti i pro e i contro che avrebbe avuto un'eventuale relazione con Ermal. Sarebbe stato senz'altro bellissimo stare con l'uomo di cui era innamorato. Si sarebbe sentito finalmente felice. Ma come l'avrebbero presa i suoi figli? E la famiglia di Ermal? E le rispettive case discografiche? Che conseguenze avrebbe avuto sulle loro carriere? Non poteva permettersi di rischiare - e di far rischiare a Ermal - così tanto. Così si costrinse, di nuovo, a ricacciare indietro i suoi sentimenti e disse: "Io sto con Roberta." Ermal annuì, lo sguardo fisso sul finestrino e gli occhi leggermente lucidi. "Lo so, Bizio." Si sforzò di non sembrare troppo scosso da quella situazione e, guardandolo negli occhi, aggiunse: "Te la sei scelta molto carina. E sembra anche simpatica. Sono contento per te, davvero." Fabrizio abbassò lo sguardo sentendosi morire a quelle parole. Aveva appena spezzato il cuore dell'uomo che amava e, contemporaneamente, anche il suo.
Per quanto sembrasse assurdo, dopo quella sera le cose erano state più semplici. Almeno per Ermal. La consapevolezza che Fabrizio sapesse cosa provava per lui e che non ci sarebbe mai stato nulla di più di un'amicizia, rendeva Ermal stranamente tranquillo e rilassato. Insomma, si era messo il cuore in pace. Aveva ripreso in mano la sua vita, gettandosi a capofitto nel lavoro e riprendendo anche ad uscire con gli amici senza avere perennemente l'espressione triste stampata in faccia. Andava tutto bene. O quanto meno, andava tutto meglio rispetto a qualche tempo prima. Certo, il fatto di non vedere né sentire Fabrizio da un po' aveva contribuito a fargli superare quella situazione, ma ciò che contava era che finalmente Ermal stava meglio e finalmente Fabrizio non occupava più la sua mente in ogni singolo momento della giornata. Quando si incontrarono di nuovo, ormai erano passati mesi da quella conversazione avuta in macchina nel mezzo di un temporale. Ermal aveva sentito la mancanza di Fabrizio, ovviamente, ma non era stata una morsa dolorosa che gli stritolava lo stomaco. Era stato più che altro un leggero fastidio che gli ricordava quanto si sentisse ancora legato a Fabrizio, ma senza farlo soffrire come era successo fino a qualche mese prima. Quella sera, erano stati entrambi ospitati allo stesso evento e sebbene Ermal fosse contento di rivedere Fabrizio - nonostante i sentimenti per lui non si fossero mai del tutto assopiti - il più grande sembrava volerlo evitare a tutti i costi. Ma Ermal non avrebbe mai accettato di andarsene senza averlo prima salutato, quindi al termine della serata, si avvicinò a lui proprio mentre stava per andarsene. "Pensavi di andare via senza salutare?" Fabrizio si voltò sorpreso verso di lui, poi abbassò lo sguardo colpevole e disse: "No, io..." "Volevi andare via senza salutarmi, me ne sono accorto" disse Ermal. Fabrizio non replicò. Ormai era stato beccato, non avrebbe avuto senso cercare di giustificarsi. "Bizio, che ti prende? Sono sempre io! E mi ferisce il fatto che tu non voglia nemmeno dirmi ciao" disse Ermal sorridendo, cercando di fargli capire che non era davvero arrabbiato per quel comportamento, ma semplicemente confuso. "Avevo paura che tu ce l'avessi con me. Mi sembrava più facile evitarti" confessò Fabrizio. Ermal lo guardò accigliato e Fabrizio aggiunse: "Sai, per quello che ci siamo detti l'ultima volta che ci siamo visti." "Pensavi davvero che ce l'avessi con te perché stai con qualcuno? Ma dai, Bizio..." "Veramente, io e Roberta non stiamo più insieme." Ermal lo guardò sinceramente dispiaciuto. Non aveva avuto modo di conoscerla, ma era bella e sembrava anche simpatica. Tutto sommato, nonostante i suoi sentimenti, era dispiaciuto che si fossero lasciati. "Mi dispiace, Bizio." Fabrizio si strinse nelle spalle. "Doveva andare così. Non è mai stata una relazione sincera, non aveva senso che continuasse." "Che vuoi dire?" chiese Ermal curioso. Intanto avevano iniziato a camminare entrambi verso il parcheggio ormai deserto. Sembrava di nuovo di essere tornati ai vecchi tempi, quando bastava ritrovarsi insieme per qualche minuto per trovare la voglia di chiacchierare per ore. "Io non mi sono messo con lei per i motivi giusti, e lei lo sapeva ma ha sempre fatto finta che le andasse bene. A un certo punto, i problemi sono semplicemente saltati fuori" disse Fabrizio, poi si portò una sigaretta alle labbra e la accese svogliatamente. Ermal lo osservò per un attimo, mentre aspirava il fumo e poi lo buttava fuori, cercando di capire il senso di quelle parole, ma era sempre più confuso. "Non riesco a capire. Che significa che non stavi con lei per i motivi giusti e che lei lo sapeva?" Fabrizio sospirò appoggiandosi al cofano della sua auto. Poi, trovando la forza di guardare Ermal, disse: "Mi sono messo con lei per evitare di pensare a te, e lei lo sapeva benissimo. Lo aveva capito anche senza che glielo dicessi io." "Come, scusa?" chiese Ermal sgranando gli occhi. Quella conversazione stava diventando assurda. "Dopo l'Eurovision mi sono accorto di provare qualcosa per te, ma non credevo che per te fosse lo stesso. Così, quando ho conosciuto Roberta, ho iniziato a uscirci. Pensavo mi sarebbe servito a dimenticarti." "Ma quando io ti ho detto che..." iniziò a dire Ermal, ancora confuso da tutta quella situazione. "Mi sono fatto prendere dal panico. Ero spaventato dalle conseguenze che avrebbe avuto una nostra eventuale storia e non volevo che Roberta soffrisse. Qualche giorno dopo però le ho raccontato tutto, e lei mi ha risposto che lo sapeva già, che si era resa conto fin da subito che provavo qualcosa per te, che i miei occhi erano diversi quando parlavo di te" disse Fabrizio abbassando lo sguardo. "Perché non mi hai detto niente in questi mesi?" "Non sapevo come comportarmi. Non volevo che pensassi che fossero state le tue parole a condizionare il mio comportamento, che per qualche motivo mi fossi innamorato di te solo perché tu lo eri di me. Non è così. Io ti amo da anni, ormai." Ermal rimase in silenzio, a qualche passo di distanza da Fabrizio. Se quella fosse stata una commedia romantica, si sarebbe gettato tra le braccia di Fabrizio e lo avrebbe baciato fino a farlo rimanere senza fiato. Ma quella non era una commedia romantica. Era la sua vita e lui si sentiva totalmente confuso e sopraffatto dagli eventi. Fabrizio era innamorato di lui da anni, probabilmente da quando Ermal provava gli stessi sentimenti. E non gli aveva mai detto nulla. Certo, nemmeno Ermal lo aveva fatto, ma Fabrizio non era così codardo come lui nelle relazioni. Si era sempre aspettato che il primo passo sarebbe arrivato da lui. E anche quando alla fine Ermal gli aveva confessato di amarlo, Fabrizio si era tirato indietro giustificandosi dietro la sua relazione con Roberta. "Ermal, ti prego, di' qualcosa." "Che vuoi che ti dica?" rispose Ermal sollevando le spalle. "Che potevi dirmelo subito? Che così avremmo perso meno tempo?" "Ma che cazzo, Ermal! Io non ho detto niente, ma pure tu sei stato zitto in tutto questo tempo! Come puoi anche solo pensare di incolparmi?" Già, come poteva anche solo pensarci?! In fondo, erano semplicemente stati entrambi troppo spaventati per esporsi. Ma arrivati a quel punto, quando ormai entrambi avevano confessato i propri sentimenti, non aveva più senso avere paura. Senza perdere altro tempo, Ermal raggiunse Fabrizio prendendogli il viso tra le mani e baciandolo. Fabrizio lo strinse a sé immediatamente, ricambiando il bacio con la stessa intensità, facendo scivolare la lingua nella sua bocca e muovendo lentamente le labbra sulle sue. Erano entrambi ancora arrabbiati l'uno con l'altro, si incolpavano a vicenda perché nessuno dei due aveva parlato, frustrati per non aver espresso prima i loro sentimenti, tristi per aver perso tempo. Ma almeno erano insieme, almeno in quel momento le cose andavano bene. Era come se in quel bacio fosse racchiuso tutto il tempo che avevano perso, ogni bacio mancato, ogni parola non detta. Era come se per la prima volta entrambi si sentissero davvero bene, felici, liberi. Ermal sorrise sulle sue labbra. Era in un parcheggio e stava baciando la persona di cui era segretamente innamorato da anni, dopo aver superato mesi di incomprensioni che non sarebbero nemmeno esistiti se loro fossero stati solo un po' meno ciechi. La loro vita non era una commedia romantica, ma forse non si discostava poi così tanto.
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The Untamed, Il prezzo da pagare (episodi 19 e 20)
Avrei potuto intitolare questi episodi "Il dolce sapore della vendetta", ma non mi sembrava adatto come titolo. Chi deve pagare paga, e quindi giustizia viene fatta, ma quello che mi rimane in bocca alla fine di queste due puntate non è un dolce e soddisfacente sapore dato dalla vendetta compiuta. Sono contenta di questa vendetta, Wen Chao e la sua amante hanno avuto quello che si meritavano, ma non riesco a esultare più di tanto perché non sono stati solo loro a pagare un prezzo, ma anche colui che la vendetta l'ha inflitta. E col senno di poi, posso dire che lui ha pagato e pagherà un conto molto più salato. Ho amato molto questi episodi quando li vidi la prima volta, e li ho amati tantissimo anche adesso. Ho sentito una cascata di emozioni riversarsi con impeto durante la visione: tensione, inquietudine, rabbia, impotenza, ansia, preoccupazione, voglia di vendetta, magone, malinconia, una dolcezza amara. Ma sopratutto un puro e semplice dolore che sfogo con le lacrime nella scena finale.
Ma all'inizio si parte con una certa gioia e un senso di sollievo, vedendo Jiang Cheng riaprire gli occhi e scoprire che il suo Nucleo è stato riparato. Durante il sonno, ha avuto una visione della sua famiglia, una sorta di ricordo di quello che erano, quando erano felici, uniti, sorridenti. In questa visione ci sono proprio tutti: sua madre, bellissima e col sorriso sulle labbra; suo padre, che prende tra le braccia un piccolo A-Cheng e gioca con lui; e non mancano Shijie e Wuxian. Segno che anche quest'ultimo, per Jiang Cheng, fa parte della famiglia. Il ragazzo guarda con le lacrime agli occhi questa famiglia spensierata nel suo amato Pontile del Loto, malinconico al pensiero che quei giorni sono ormai andati e non torneranno più. Quando si sveglia si sente in forze, energico, pieno di vita, prova a usare i suoi poteri e ci riesce, e allora, grato e felicissimo, si inginocchia a terra per ringraziare dal più profondo del cuore la famosa cultrice che crede abbia ripristinato il suo Nucleo. Ignaro del sacrificio che il fratello ha compiuto per lui, lascia la montagna e torna a valle, al villaggio dove lui e Wuxian si sono dati appuntamento. Peccato che Wuxian non ci sia.
Prima che Jiang Cheng scendesse dalla montagna, Wuxian si trovava in città ad aspettare l'arrivo del fratello. Pallido ed emaciato a causa della mancanza del nucleo, la sua debolezza salta subito all'occhio. Nell'attesa, bisognoso di mangiare qualcosa, si reca in una locanda quasi trascinando i piedi, avendo ormai perduto tutta la sua forza. (In tutto ciò non mi torna una cosa: capisco il pallore e la debolezza, ma perché ha anche i vestiti stracciati? Vabbe..)
Appena mette piede all'interno i suoi occhi sono subito catturati dalle guardie Wen che pullulano in tutto il locale. Più veloce che può, fa per andarsene, ma viene scaraventato dentro da Mano Fondi Nucleo, silenzioso e obbediente come un bravo cagnolino, seguito da Wen Chao e da Miss Antipatia, che entrano con quell'aria strafottente che li contraddistingue. Wen Chao si diverte subito decidendo di schiacciare la mano a Wuxian giusto per rompergli qualche osso, poi gli chiede dove si trova Jiang Cheng, e giusto perché vuole farsi odiare per bene lo fa pestare dalle guardie. La signorina non è da meno, le piace fare la dura visto che è nelle grazie di Wen Chao, e si diverte a lasciare una linea marchiata sul già presente marchio sul petto del ragazzo. Wuxian non emette alcun lamento, non implora di smetterla, non pronuncia una sola parola su Jiang Cheng, e la coppietta pondera in che modo farlo fuori: prima intendono privarlo del Nucleo, poi gli taglieranno un braccio, lo tortureranno a poco a poco perché una morte veloce non è abbastanza divertente. Wuxian quasi gli ride in faccia e ancora ha il coraggio di prendere per i fondelli Wen Chao: tanto hanno intenzione di ucciderlo in ogni caso, quindi perché non divertirsi anche lui? Afferma di non aver paura di morire, ma di aver paura di non morire:
"Torturatemi pure quanto volete. Più crudelmente lo fate, meglio è. Dopo che sarò morto, mi trasformerò in un feroce fantasma, e darò la caccia al Clan Wen giorno e notte, maledicendovi tutti."
Wen Chao, smorfiosa, io queste parole me le segnerei per bene. Mentre lui è convinto che Wuxian stia dicendo solo sciocchezze per spaventarli, lei rimane spaventata dalle sue minacce, anche se cerca di non darlo a vedere.
Alla fine, viene deciso di torturare Wuxian e di condannarlo a morte nel modo più atroce possibile: ossia gettandolo nei Monti della Sepoltura. Questo posto si presenta da solo col nome che gli è stato affibbiato: qui vengono gettati tutti quei rifiuti umani di cui ci si vuole sbarazzare, è quindi un posto ricolmo di magia risentita ed emozioni negative, molti sono stati i cultori che nel corso degli anni hanno cercato di "ripulire" quei monti, ma nessuno è mai tornato indietro dopo esservisi avventurato. È impossibile sopravvivere ai Monti della Sepoltura. Ma come dice il motto del Clan Jiang, bisogna "tentare l'impossibile", ed è ciò che farà Wuxian.
Il ragazzo viene gettato in quello che diventerà un suo grande incubo che lo tormenterà per sempre. Il luogo è oscuro, inquietante, buio, sembrano esserci delle lapidi intorno, l'erba è disseminata da ossa di cadaveri, ma quello che colpisce più di tutto sono le voci che Wuxian comincia a sentire. Sono le voci di tutte quelle persone che in quel posto hanno perso la vita, e sono raccapriccianti. Lo chiamano, lo invitano a restare con loro, gli chiedono se vuole vendetta. Wuxian è perso, devastato, si trascina nell'erba verso la spada che aveva trovato nella tartaruga assassina e che ora si palesa di nuovo a lui (Spada di Godric Grifondoro 2.0??). È possibile che quando aveva trovato la spada nella tartaruga e poi l'aveva usata per sconfiggere l'animale, si fosse creato una sorta di legame tra lui e la magia risentita della spada? È possibile che il sangue colato poco prima nel suo borsello mentre era marchiato dalla smorfiosa, abbia creato in lui della magia risentita che ora gli permette di ripristinare il legame con la spada? Non so se ha senso quello che sto dicendo. È mezzanotte, e ho passato la serata a farmi pippe mentali riguardo un certo personaggio di 60 Days Survivor, @dilebe06 tu mi capisci. Ho la mente un po' fusa, e potrei star dicendo sciocchezze. Ad ogni modo, circondato da quelle voci angoscianti, Wuxian afferra la spada e con un grido la conficca con forza nel terreno, rialzando poi il viso con stampata in faccia un'espressione semplicemente terrificante e da brividi.
Nel frattempo, dopo il massacro del Clan Jiang, il mondo dei cultori si è finalmente reso conto che gli Wen sono un tantino pericolosi e che vanno fermati, quindi scendono tutti in guerra. Wen Qing e Wen Ning per il momento si trovano imprigionati e sotto chiave con l'accusa di aver dato rifugio ai ragazzi Jiang. Wen Ning si conferma ancora una volta coraggiosissimo, perché nonostante le torture non rivela una sola parola di quanto successo. Sua sorella, preoccupata e disperata, con le lacrime agli occhi, se lo stringe a sé e lo accarezza, probabilmente angosciata al pensiero che lei e suo fratello sono caduti in disgrazia, e chissà cosa gli succederà adesso.
Mentre lasciamo un disperato e inquietante Wuxian che deve trovare un modo per sopravvivere in quell'inferno senza poter contare nemmeno sul suo Nucleo, passano tre mesi.
Durante questo periodo, la Campagna dell'Eclissi entra sempre più nel vivo, le perdite sono numerose da ambo le parti della battaglia. La cosa che mi ha fatto più piacere vedere è stato Lan Zhan tornare in scena in puro stile badass dopo ben quattro episodi di assenza. La Scuola Lan e la Scuola Jiang assediano insieme il regno degli Wen, con Lan Zhan che sale la scalinata prendendosi tutto il suo tempo, pronto a fare il c..o a quelle guardie che se ne stanno bellamente a pancia all'aria a ridere e scherzare. Affiancato da Jiang Cheng, la prima cosa che chiede è dove si trovi Wei Ying, segno che entrambi lo stanno cercando da tre mesi. Una delle guardie risponde che lo hanno gettato nei Monti della Sepoltura, notizia che lascia sconvolti i due giovani. La possibilità che Wuxian sia già morto è davvero alta, nessuno sopravvive a quel posto infernale. Jiang Cheng lo ha aspettato per giorni al villaggio, e ora capisce perché non si è mai fatto vivo. Intanto i discepoli recuperano le spade che erano state loro sequestrate durante la loro permanenza lì, inclusa la spada di Wuxian, che Lan Zhan prende in mano con aria seria e silenziosa, celando i suoi sentimenti, ma dentro di sé rivela la sua angosciante preoccupazione quando pensa: "Wei Ying, dove sei?"
Intanto YanLi ha trascorso questo periodo sotto la protezione di Jin Zixuan, sempre in movimento a causa della guerra. In quei mesi non ha fatto altro che vedere distese di cadaveri sui campi di battaglia, e la ragazza aiuta come può aiutando ad accudire i feriti. Giunti al Regno di Nie Mingjue, noto un certo timido imbarazzo in Jin Zixuan nei confronti della ragazza, è come se volesse dirle qualcosa ma non trova il coraggio. Sembra un adolescente innamorato, troppo impacciato per parlare.
Qui YanLi finalmente si ricongiunge con Jiang Cheng, gli corre incontro e lo abbraccia. La gioia commossa è sui volti di entrambi, ma poi la domanda viene fuori automatica: "Dov'è Xian?", la ragazza è desiderosa di riabbracciare anche lui. Quando il viso di Jiang Cheng si rabbuia e non riesce a rispondere facendo capire che c'è qualcosa che non va, il sorriso speranzoso della ragazza si spegne lasciando posto alla disperazione.
Più tardi, i giovani si riuniscono con Nie Mingjue, infuriato per il comportamento barbarico degli Wen, e non intende darsi pace finché l'ultimo degli Wen non sarà caduto sotto la sua spada. Anche Jiang Cheng è molto scosso e arrabbiato, desideroso di vendicare il massacro avvenuto a casa sua. Lui e Lan Zhan chiedono di essere mandati in missione a Yiling, nella speranza di poter venire a conoscenza di qualche informazione riguardante Wuxian, visto che i Tumuli si trovano in quel regno. Jiang Cheng è quindi costretto a separarsi di nuovo dalla sorella e lasciarla sola a preoccuparsi per lui, e la ragazza lo implora con le lacrime agli occhi di riportare indietro Wuxian. Mentre i due sono seduti a tavola, l'atmosfera è diversa senza Wuxian, è come se mancasse qualcosa. Jiang Cheng e YanLi sono felici di essersi ritrovati, ma senza il loro amato fratello non è la stessa cosa. Jiang Cheng è il primo ad essere molto preoccupato per lui, lo sta cercando da settimane, il peso della sua assenza si fa sentire sul suo viso addolorato che tenta di nascondere per non far soffrire ancor di più la sorella. Nonostante tutto, per lui Wuxian è ancora suo fratello e gli vuole bene. Se non dovessero ritrovarlo più, entrambi soffrirebbero molto.
Durante la missione a Yiling, nell'ufficio di supervisione degli Wen, Jiang Cheng libera dalle catene Wen Qing, che è stata separata da suo fratello, portato via qualche giorno prima. Jiang Cheng è teso, è preoccupato per lei e vorrebbe aiutarla. Le chiede di abbandonare il Clan Wen così che lui la possa proteggere in qualche modo. La ragazza ribatte che non può lasciare il suo Clan, lei rimarrà sempre una Wen, e inoltre ha un fratello e una famiglia di cui prendersi cura. Forse Jiang Cheng può salvare lei, ma non può salvarli tutti. Lo ringrazia comunque cortesemente per averla liberata, e siccome lei una volta ha aiutato lui, ora sono pari. Jiang Cheng non ce la fa a lasciarla andare così, allora tira fuori quel pettine (comprato tipo 47282 episodi fa, finalmente ce la fai Jiang Cheng!!) che tiene accuratamente avvolto in un fazzoletto, e glielo consegna dicendole di venire da lui se in futuro avrà bisogno di aiuto (Jiang Cheng questa me la segno, eh).
E ora arriviamo alla parte più bella, che ho tenuto alla fine perché è il pezzo più succulento degli episodi.
LA VENDETTA.
Personalmente amo molto la vendetta messa in atto da Wuxian. È una vendetta estremamente psicologica, inquietante, a tratti horror, una vendetta che punta a giocare con la mente dei diretti interessati rendendoli ansiosi, sotto stress, paranoici, spaventati, terrorizzati al solo sentire il suono del flauto. Preferisco di gran lunga una vendetta del genere piuttosto che una vendetta meramente fisica in cui si mettono in atto delle atroci torture fino a portare alla morte i personaggi. Anche qui c'è del male fisico, ma tutto parte da un raccapricciante e raggelante giochetto psicologico, il che rende la cosa molto interessante.
Innanzitutto vorrei partire dicendo a Wen Chao e alla sua deliziosa amante: "Pensavate davvero che Wei Ying ci sarebbe morto in quei monti infernali?" Wuxian torna dal regno dei morti in stile genio del male, con un'aria maledettamente inquietante e distaccata, quasi fredda, ma ancora vivo e vegeto. Ma, a dire il vero, qualcosa di Wuxian è davvero morto là dentro. Mi ricordo quando nei primi episodi criticavo l'eccessiva spensieratezza che mostrava ai Meandri delle Nuvole, ma ora che lo vedo così una parte di me rimpiange e sente la mancanza di quel ragazzino ancora felice ed innocente. Ora so già come andranno le cose e come finirà la storia, ma la prima volta era tutto un punto interrogativo, non sapevo fino a che punto l'esperienza nei Tumuli avesse scosso e cambiato Wuxian, temevo che la trasformazione dark lo avrebbe portato a un punto di non ritorno. E in un certo senso è così.
Durante questi tre mesi, nei Monti della Sepoltura, Wuxian ha imparato a usare e padroneggiare con maestria la magia risentita. L'ha fatto per tre motivi: 1) per poter sopravvivere, e 2) per tornare indietro e proteggere i suoi fratelli, così come ha promesso, e 3) per vendicarsi. Mi chiedo sempre cosa sarebbe successo se Wuxian fosse stato ancora in possesso del suo Nucleo D'oro. Sarebbe comunque stato costretto a ricorrere alla magia nera, o avrebbe imparato a sopravvivere con l'energia virtuosa? Fatto sta che adesso, senza più il suo Nucleo, l'unico modo per coltivare magia è quello non ortodosso e condannato da tutti, e non può più portare la sua spada, perché senza il Nucleo non la potrebbe usare. Ma di questo parlerò in seguito.
Quando Wen Chao e la smorfiosa tornano in scena dopo questi tre mesi, si vede subito come sopratutto lei sia piuttosto scossa, perché nelle ultime settimane non fa altro che sognare Wei Wuxian, ha i nervi tesi, si sveglia nel cuore della notte, e si spaventa per ogni alito di vento o movimento sospetto. Wen Chao, già abbastanza stressato e infastidito per via della guerra contro di loro, non le presta molta attenzione, e il comportamento paranoico di lei lo fa solo innervosire ancora di più. La ragazza si chiede se non hanno commesso un errore nel gettare Wuxian nei Tumuli, forse è riuscito a sopravvivere, o forse è morto e ora si è trasformato in un crudele fantasma che li tormenta per vendicarsi, proprio come aveva detto che avrebbe fatto.
La giovane donna ormai non riesce più a dormire, trema in continuazione quasi come avesse le convulsioni, si guarda attorno con aria circospetta, è terrorizzata. Una notte, mentre parla tra sé e sé, decide di scappare perché non intende morire, e rimanendo con quell'uomo inaffidabile il suo destino è segnato. Spranga la porta (come se servisse), si arma con mezzi di fortuna e corre verso un baule, ma all'interno trova due occhi insanguinati, ed ecco che dalla finestra si leva il suono del flauto, che devo dire è quasi ipnotizzante.
Da qui la situazione degenera.
La ragazza comincia a urlare e a dare di matto, prende un bastone e inizia a combattere nemici immaginari distruggendo tutta la stanza. Devastata e con la mente sconvolta, chiede scusa per le cose che ha fatto e chiede perdono. Arriva addirittura a sfregiarsi il viso a sangue. Poi dalla finestra, una raffica di vento porta all'interno della stanza un lungo nastro azzurro, ed è come se Wuxian le servisse su un piatto d'argento il mezzo per uccidersi e porre fine a quel tormento infernale. E lei lo fa: si impicca, togliendo di mezzo uno dei personaggi più odiosi della serie, ma non riesco a godere troppo, perché mi rendo conto della fredda, inquietante e crudele vendetta messa in atto da Wuxian: l'ha esasperata a tal punto da indurla al suicidio.
Wen Chao, dal canto suo, quando la sente gridare come una gallina, ordina ai suoi servi di zittire quella sgualdrina, e quando si accorge che non c'è nessuno ad obbedire ai suoi ordini e che la casa è vuota, si arrabbia ancora di più, e butta a terra le cose. Le porte all'improvviso si spalancano, e nell'oscurità si fa avanti una figura vestita di bianco, è la sua amante, che cammina lentamente verso di lui implorando di aiutarla. Il suono del flauto entra in testa a Wen Chao e sembra che gli stia per far scoppiare il cervello. Sguaina la spada, intima alla ragazza di stare indietro, ma quando lei continua ad avanzare, lui la trafigge da parte a parte. Lei cade a terra, ma continua ad andare verso di lui con le mani protese, facendo impazzire Wen Chao, che comincia a combattere contro di lei. Poi anche lui, inginocchiato a terra e con l'aria stravolta, si rivolge a delle persone immaginarie chiedendo perdono. A quel punto arriva Mano Fondi Nucleo che lo afferra e lo porta via, mentre la figura scura e scostante di Wuxian svetta sui tetti, nel buio della notte e con gli abiti leggermente scossi dal vento.
Mi ero chiesta se i due fossero arrivati ad impazzire e ad avere allucinazioni di gente inesistente, oppure se Wuxian chiamasse degli spiriti con il potere del suo flauto. Ancora non sono sicura al 100%, ma credo che Wuxian abbia usato la musica e anche i talismani per attirare spiriti e fantasmi (di gente a cui loro hanno fatto del male) e sconvolgere la mente della coppietta.
Nel frattempo Jiang Cheng e Lan Zhan giungono a Yiling, e quando arrivano ad un ufficio di supervisione degli Wen, rimangono sorpresi nel trovarsi davanti una distesa di cadaveri. Tutte le guardie sono già morte: impiccate, annegate, avvelenate, bruciate. E sulle porte trovano dei talismani, ma non sono dei talismani qualunque che usano tutti i Cultori. Lan Zhan spiega che un normale talismano è fatto per allontanare il male, ma quelli sono stati modificati e ora il male lo attirano. Quindi deduco che Wuxian si è servito di questi talismani, li ha modificati, e tramite questi ha attirato sul posto degli spiriti malvagi, che ha controllato con il flauto e si è servito di loro perché uccidessero in vari modi tutte le guardie. Ricordo di aver pensato che fosse spaventosamente geniale, e ricordo che @dilebe06 mi fece presente quella frase che dice "Voldemort ha fatto grandi cose, ma terribili." In questo frangente Wuxian mi ricorda molto questa frase, anche se non è un Voldemort.
Jiang Cheng e Lan Zhan continuano la loro missione, e lungo la strada trovano altre guardie già morte come in precedenza. Anche se di mezzo c'è l'uso della magia nera, Jiang Cheng non se ne preoccupa più di tanto, perché finché quella persona (ancora non sanno che si tratta di Wuxian) uccide i loro nemici, a lui sta più che bene. Lan Zhan sembra prendere la cosa molto seriamente, e da certi sguardi misti a preoccupazione che posa sui talismani, mi viene quasi da dire che lui già sa chi c'è dietro a tutto questo, forse ha già il sospetto.
Giungono poi nei pressi di un altro edificio, dove sta momentaneamente rintanato Wen Chao con la sua fedele guardia del corpo, in viaggio verso casa, dal Capo Wen. Jiang Cheng e Lan Zhan decidono di salire sul tetto e osservare tutto dall'alto, in silenzio e senza farsi scoprire. Tutto quello che succede da adesso in poi, noi spettatori scopriamo cosa succede assieme a loro, e le loro reazioni sono più o meno le nostre. Da questo momento comincia anche una sequenza semplicemente spettacolare e una delle mie preferite dell'intera serie.
Mano Fondi Nucleo si sta prendendo cura di Wen Chao, e lo sta riportando a casa. Wen Chao è ridotto in condizioni pietose: ha la faccia stravolta e ricoperta di piaghe e ferite, è terrorizzato, tende a rannicchiarsi per terra, nascondersi in un angolo e restare raccolto in un mantello, come se questo lo rendesse invisibile e impossibile da attaccare. Applicare la medicina su quelle piaghe è dolorosissimo, e Wen Chao non può nemmeno permettersi di piangere perché le lacrime peggiorerebbero la situazione.
D'un tratto le porte si spalancano, sbattendo, come dal nulla. Nell'aria nebbiosa della notte compare una figura scura, che senza alcuna fretta entra nella casa, percorre l'ingresso e comincia a salire le scale. Lentamente. E più sale lentamente più la tensione sale. Wen Chao sa bene chi sta arrivando, e si rifugia in un angolo balbettante e tremante, mentre Mano Fondi Nucleo attende impassibile pronto a difendere il suo padrone. Jiang Cheng e Lan Zhan attendono sul tetto ansiosi di vedere di chi si tratta, e rimangono sconvolti quando davanti ai loro occhi si palesa Wuxian. Un Wuxian che sembra totalmente cambiato: ha un'aria diversa, più fredda, distaccata, cammina con sicurezza con le mani dietro la schiena, portando con sé uno strano flauto. Guardando Wen Chao e la sua guardia del corpo, Wuxian sorride (non un sorriso caldo e innocente come faceva prima, ma un sorriso ironico e freddo), e mette subito in chiaro che Wen Chao non ha alcuna possibilità di salvarsi da lui.
Alza le braccia, porta il flauto alle labbra e comincia a suonare. Lan Zhan e Jiang Cheng sono stupiti e scioccati nel vedere l'amico così cambiato, Lan Zhan soprattutto sembra piuttosto spaesato, come se non capisse che cosa sta succedendo, come se non riuscisse a spiegarsi perché Wuxian sia diventato così e come sia possibile che ora faccia uso della magia risentita.
Regalando ancora più tensione alla scena, la macchina da presa gira intorno a Wuxian alcune volte mentre suona, mentre l'aria della notte spegne le candele e fa ondeggiare le tende. Dalle porte d'ingresso si fa strada una nebbia densa e rossa, come se fosse una nuvola di sangue, che sale al piano di sopra pronta ad obbedire agli ordini di Wuxian. Uno spirito vestito di rosso, dalle sembianze di una donna, si avvicina a Wen Chao sfoderando le sue unghie che paiono quasi artigli, e da qui si capisce la natura delle ferite di Wen Chao, che quasi non riesce a respirare dalla paura. Mano Fondi Nucleo rimane per tutto il tempo impassibile, fermo immobile, come se fosse ipnotizzato dalla musica del flauto, e si "risveglia" quando la donna fantasma sta per scagliarsi sul suo padrone. Inizia la lotta tra i due, ma lo spirito sembra avere la meglio perché ferisce più volte la guardia, poi ad un certo punto si dissolve. L'uomo ne approfitta per lanciarsi su Wuxian, indifeso, ma Lan Zhan prontamente interviene sfondando il tetto e cadendo nella stanza assieme a Jiang Cheng. Sono piuttosto sicura che Wuxian abbia fatto sparire lo spirito di proposito, così che gli altri due intervenissero nella scena. Di certo sapeva che si trovavano sul tetto ad osservare, ma non so se si aspettava di trovarli lì quella sera. Probabilmente adesso non sa come comportarsi, specialmente davanti a Lan Zhan. Sa benissimo quanto il suo virtuoso amico condanni l'utilizzo della magia oscura, come può giustificarsi di fronte a lui? Come può fargli capire che non è diventato una persona malvagia, e che non ha alcun intento cattivo con quella pratica? Come può fare accettare il nuovo Wuxian che è diventato?
Jiang Cheng sfodera la sua Zidian e cattura Mano Fondi Nucleo prendendolo per il collo, lo solleva da terra e lo stringe finché non soffoca. Poi si rivolge al fratello, gli lancia la sua spada, che Wuxian afferra sorridendo con aria triste e malinconica, e con la sua solita aria da tsundere gli chiede dove diamine è stato in tutto questo tempo. Wuxian rimane vago e si limita a rispondere in tono mesto "È una lunga storia..."
Sollevato per averlo finalmente ritrovato sano e salvo, Jiang Cheng lo abbraccia stringendolo a sé per qualche momento. Wuxian rimane come sorpreso da quel gesto, e non risponde all'abbraccio. Avendo vissuto per tre mesi nei Monti della Sepoltura, non è più abituato a gesti di calore o di affetto, è come se per un lungo periodo abbia vissuto su un altro pianeta, costretto a sopravvivere padroneggiando le emozioni più negative, e ora fare ritorno nel mondo reale, tornando in contatto con persone normali, per lui è molto strano.
Jiang Cheng gli dice di averlo aspettato per giorni al villaggio, gli chiede dove sia stato, era molto preoccupato per lui in questi mesi. E gli chiede il perché di questo cambiamento. Al che Wuxian risponde "Davvero? Sono cambiato?". Lui sa che il suo cuore è lo stesso di tre mesi prima, e se usa la magia nera ha le sue motivazioni, ma per gli altri vederlo ricomparire dopo tanto tempo e vederlo comportarsi così, è strano da capire. Quando il fratello gli dice di aver sentito che lo hanno portato nei Tumuli, Wuxian sorride e risponde che non è possibile, se fosse vero ora lui non sarebbe di certo qui, nessuno sopravvive a quel posto. Inventa poi una storia, la storia meno credibile del mondo, dicendo di essere stato in una grotta dove ha trovato l'antico libro di un grande maestro, e da lì ha imparato un nuovo potere. Nessuno dei due si beve questa storia, ma Wuxian sembra voler tenere nascosto cosa gli sia successo, rimandando la conversazione. "È bello riaverti qui" gli dice Jiang Cheng con un sorriso, Wuxian non risponde nulla e abbassa lo sguardo, poi dice al fratello di aver saputo che lui e Shijie stanno bene, e che Jiang Cheng deve essere molto occupato tra la ricostruzione del Clan e la guerra in corso. Mentre parla poggia una mano su quella del fratello, primo gesto di contatto che mostra da quando è tornato, e sorride anche.
A questo punto si fa avanti Lan Zhan. È molto sconcertato e ha bisogno di risposte. Vedendolo approcciarsi a lui, Wuxian capisce che non lo può più evitare, quindi si alza e lo saluta. Qui noto che Wuxian è cambiato anche negli sguardi, spesso non guarda direttamente negli occhi Jiang Cheng e Lan Zhan, e soprattutto con quest'ultimo più di una volta si gira da un'altra parte per non dover sostenere il suo sguardo. Probabilmente si sente giudicato, e stare davanti agli occhi di Lan Zhan significa subire il suo sguardo riprovevole, e Wuxian non è ancora pronto per questo. Non sa come affrontare l'argomento. È consapevole che in quella situazione non solo lui soffre, ma anche Lan Zhan, che deve vederlo così cambiato e non ne capisce il motivo.
Lan Zhan comincia a porgli varie domande, se è vero che è stato lui a uccidere tutte quelle guardie lungo la strada, se è stato lui a modificare i talismani, perché adesso usa quei trucchetti magici e perché ha abbandonato la via virtuosa della spada per seguire un percorso diverso. Wuxian si volta di lato, sembra distaccato ma per un momento sembra quasi trattenere le lacrime. Si mantiene sul vago, non risponde direttamente a nessuna delle domande e assume un'aria offesa di fronte a quell'interrogatorio. Lan Zhan non molla: pretende una risposta. Una risposta che Wuxian non intende dare, non è qualcosa che può spiegare in due parole. Lan Zhan lo invita a tornare a Gusu con lui per poterne parlare con calma, ma Wuxian si rifiuta di tornare in quel Clan dalle tremila regole. Lan Zhan si arrabbia (sembra quasi un tira e molla, con Jiang Cheng che sta a osservare prima uno poi l'altro), gli intima di non scherzare, poi viene al dunque: prima o poi ci sarà un prezzo da pagare per l'utilizzo di quel tipo di magia, non c'è scampo per nessuno; inoltre è un tipo di coltivazione che danneggia sia il corpo che lo spirito. È un percorso pericoloso.
Wuxian assume un'aria indifferente e distaccata, un po' fredda e arrogante. Sembra molto sicuro di sé riguardo la magia che sta praticando, sa benissimo che cosa sta facendo. E assicura a Lan Zhan che quella che coltiva non è affatto la magia demoniaca, perché lui non "strappa" alle persone i loro spiriti. Conosce se stesso ed è padrone della propria mente, ha tutto sotto controllo, ma su questo Lan Zhan ha qualche dubbio. Wuxian lo guarda, dritto negli occhi, e gli dice che dopotutto gli estranei non conoscono la natura del suo cuore.
"Lan Wangji, vuoi davvero metterti contro di me? Chi ti credi di essere? Chi credete di essere voi del Clan Lan?"
Jiang Cheng prende la parola, ricordando a noi spettatori che esiste anche lui. Prende le difese del fratello: in questo momento il problema più urgente è come sconfiggere gli Wen, perché interessarsi tanto a questo? E se anche il comportamento di Wuxian deve essere messo in discussione, quelli non sono affari di Lan Zhan o del suo Clan. Wuxian approva le sue parole annuendo col capo.
Non posso non notare la profonda differenza di reazione di Jiang Cheng e Lan Zhan di fronte al cambiamento dark di Wuxian. Il primo sembra non prendere la cosa molto seriamente, la liquida in fretta, non vede quale sia il grosso problema. Mentre il secondo è estremamente sconcertato, preoccupato, confuso, scosso.
In tutto ciò, Wen Chao esce dall'angolo in cui si era rifugiato. Ah già, esiste anche lui! Striscia in ginocchio ai piedi di Lan Zhan e Jiang Cheng, prova ad appellarsi alla loro clemenza chiedendo perdono. Wuxian lo riporta al tappeto con un calcio, poi si volta di lato per non doverlo guardare, e chiede a Lan Zhan di andarsene, perché quella è una questione che riguarda solo il Clan Jiang. A Lan Zhan non rimane altro da fare che lasciare l'edificio in preda ai pensieri e alle preoccupazioni, mentre esce gli rimbombano ancora in testa le parole di Wuxian.
Mentre Lan Zhan discende le scale, quando ormai non lo sta più guardando e non è più sotto il suo sguardo inquisitore, Wuxian si volta e lo guarda andarsene con aria visibilmente afflitta e piena di dolore. Per terra Wen Chao importa perdono, ma quelle parole sembrano quasi uscire dal cuore di Wuxian in quella inquadratura. Trovandoselo davanti, non ha saputo gestire bene la situazione con Lan Zhan, lo ha trattato con freddezza e con distacco mentre mesi prima lo riempiva di calore, dopo tutto quello che hanno passato insieme lo ha definito estraneo accusandolo di non conoscere il suo cuore, e infine lo ha messo alla porta. Mentre lo guarda andar via, anche se è stato lui stesso a chiederglielo, posso scommettere che Wuxian prova un profondo senso di abbandono e combattimento interiore, perché non sa come risolvere quella situazione e riportare le cose com'erano prima, sa di deludere Lan Zhan usando quella magia ma lui dentro di sé è lo stesso Wuxian di tre mesi prima, come può riconquistare la fiducia dell'amico? Un amico che ha allontanato e che disapprova nel modo più assoluto il suo comportamento. Forse Wuxian sente di non godere più della sua stima, forse ora si sente inadeguato.
Insomma, ci sono un po' di cose da sistemare.
Per ora, Wuxian e Jiang Cheng fanno fuori Wen Chao, e con la dipartita sua e a quella della sua amante possiamo finalmente dire addio alla coppietta odiosa della serie. Dopo di che i due fratelli tornano al Pontile del Loto per rendere omaggio ai genitori. Qui Wuxian, mentre è in ginocchio in posizione di preghiera, rassicura lo Zio e la Signora Yu che ha mantenuto la sua promessa, ha protetto i suoi fratelli, ora possono riposare in pace.
E ora c'è solo una cosa che gli rimane da fare: riabbracciare la sua Shijie. La ragazza al momento segue i soldati in guerra e offre il suo aiuto come può occupandosi dei feriti. I due ragazzi raggiungono il posto, Wuxian si mette a cercare la sorella tra la distesa di feriti e gente morente. Quando la vede, la riconosce da dietro, mentre lei è chinata su un ferito. Si ferma e la chiama, quasi timoroso, esitante, quasi a bassa voce. Tre mesi prima sarebbe corso da lei con un caldo e vivace sorriso sulle labbra, con quell'aria spensierata che lo caratterizzava, pronto a ricevere le sue coccole come un bambino. Tutto quello che è successo pesa dentro di lui come un macigno. A Shijie basta sentire pronunciare il suo nome per riconoscere all'istante quella voce a lei tanto cara, tanto aspettata, tanto sperata. Si ferma subito, alza lo sguardo e si volta. Nel vedere il suo A-Xian sorpresa, sollievo e commozione si dipingono sul suo volto. Si alza e si guardano, Wuxian con gli occhi pieni di lacrime e schiacciato da un peso che non può esprimere, e Shijie che lo accoglie con un sorriso commosso su un volto la cui lucentezza delicata della fanciulla che era prima ha ceduto il posto alla stanchezza della guerra e all'angosciante attesa degli ultimi mesi, ma ora può finalmente tornare a sorridere perché A-Xian è tornato tra loro.
Wen Chao e la sua amante hanno pagato il prezzo che era giusto pagassero per la loro crudeltà, e qui vedo chiaramente negli occhi di Wuxian il prezzo che anche lui ha dovuto pagare per arrivare lì, in quel momento, dalla sua Shijie. Ha perso qualcosa che mai nessuno potrà restituirgli, sente un peso addosso che non riesce a spiegare con le parole, i sensi di colpa sono tanti, il dolore è profondo, il trauma di aver vissuto nei Tumuli è ancora fresco, tornare a vivere nel mondo reale padroneggiando la magia nera non sarà facile. Ce l'ha fatta, è sopravvissuto, si è preso la vendetta che voleva, ha mantenuto la sua promessa, Jiang Cheng è di nuovo forte e pieno di vita, e finalmente può rivedere il dolce sorriso della sua Shijie, ma il prezzo che ha dovuto pagare per tutto questo grava su di lui in modo opprimente.
#the untamed#wei ying#wei wuxian#lan wangji#lan zhan#jin zixuan#jiang yanli#jiang cheng#wen chao#wen clan#wen qing#wen ning#character death#villain#dark magic#horror#grandmaster of demonic cultivation#founder of demonic cultivation#demonic energy
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è iniziato tutto con ‘echo’ e poi ‘impossible’. perché la nostra storia, anche se bellissima, era destinata ad essere un'eco lontana e impossibile: le persone giuste, al momento giusto, ma nel modo sbagliato. con te ho trovato una casa, ma a questa casa mancava un pezzo e come ogni cosa, se non è completa, funziona male. ti ho toccato con la punta delle dita quando avrei voluto prendere una manciata di ogni tua parte, seppur piccola, ma finire ad averti tutto per me. tutto. e invece ogni speranza si è sbriciolata in polvere. io non ero forte e ho cercato in ogni modo di portarci avanti, tu lo eri e ci hai distrutti. 'what i’ve done’ è ciò che dovresti chiederti ora, hai rovinato la nostra storia con la consapevolezza di starlo facendo e quando è finita te ne sei pentito. mi hai mentito ingannando anche te stesso; e credimi vorrei, dio se lo vorrei, ma gli errori non si possono cancellare e tu, per fortuna, non ti puoi cancellare. 'castle of glass’ è la cosa che ci descrive alla perfezione: un castello di vetro costruito su promesse di carta, grosso, imponente, ma pronto a frantumarsi o a crollare per una semplice scossa. sei tu il mio castello di vetro. convinto di potermi proteggere, anch'io ne sono convinta, ma a te chi ci pensa? non sei indistruttibile, non sei infrangibile, sai crollare ma lo sai anche nascondere. a me però non la dai a bere, hai bisogno di qualcuno che respinga le tue insicurezze ed io sarò disposta a farlo fin quando lo vorrai, perché ti amo ma soprattutto io ti voglio bene e ciò significa che voglio che tu stia bene, con te e con tutti. ho sempre pensato che 'lay me down’ fosse stata scritta apposta per me dopo aver incontrato te, lo penso ancora; peccato che non ci sdraieremo mai l'uno accanto all'altra (o meglio dire “addosso”), né riuscirò a prendermi cura di te fino in fondo. perché la vita è bastarda, probabilmente; tu sei bastardo. lasciatelo dire. lascia che ti mandi una carezza. voglio sfiorarti la pelle. mi manchi. mi manca il tuo battito che non ho mai ascoltato. mi manca il tuo sorriso che non ho mai visto. mi mancano le tue braccia che non ho mai sentito. però sei bello, sei bellissimo. sei un controsenso vivente. anch'io lo sono. poi è arrivata 'take your time’, te l'ho fatta conoscere io eh? non ti piaceva, dopo un po’ si. non so quando me l'hai detto, fatto sta che te l'ho propinata più e più volte ma non ti è mai dispiaciuto. avrei voluto stare da sola con te sai quanto ancora? “but you’re still here, and i’m still here, come on let’s see where it goes”: i nostri momenti ce li siamo presi ed è andata così. i mesi sono passati e mi hai fatto ascoltare 'give me novacaine’, ce ne sono tante dei green day ma questa è tra le più importanti. dopo questa canzone ho sempre sognato un tuo bacio della buonanotte, di quelli sulla fronte, dati con le labbra tiepide e premurose. ero convinta che tutto sarebbe andato bene, lo sono ancora. e più tardi ho iniziato a credere in un'altra frase, la più bella, intraducibile alla lettera: essa significa “bacia i demoni fuori dai miei sogni”, o meglio “porta i demoni fuori dai miei sogni con un bacio”. puoi farlo? ne ho bisogno. un giorno ti ho chiesto di paragonarmi a una canzone, e tu hai scelto 'missing you’. la spiegazione è stata che ce ne voleva una complicata perché io sono così, ma di complicato lì dentro non ci trovo molto. ho sempre sperato che l'avessi scelta per le parole e una conferma non l'ho mai avuta, ma è proprio vero che siamo dei disastri senza avere l'uno accanto all'altra. per scrivere questa cosa le sto ascoltando tutte e ora ho iniziato a piangere. non la ascolto spesso. 'afire love’ rappresenta il mio mese di fiori (li preferisco all'oro), il nostro mese di fiori. momento tanto atteso, no? ci siamo messi insieme. e io non sono mai stata così felice, o forse si, ma lo vedremo dopo. mi sono sentita apprezzata da un ragazzo per la prima volta e il fatto che fossi tu, esattamente tu, è stato come un sogno. sentivo che sarebbe successo ma dall'altra parte avevo paura di ricevere un'altra delusione; chi mai si innamorerebbe di me? sei l'unico pazzo.
in questo momento, in cui sto scrivendo, è passato tanto tempo da quando ho iniziato. tra mezz'ora è il due giugno e poi sarà il tre; te lo ricordi?
l'estate è stata un disastro e la migliore musica la tua voce: è stata la sensazione più bella e commovente che io abbia mai provato; non è neanche lontanamente paragonabile a james arthur il modo in cui mi ha calmata nei momenti peggiori e resa così tranquilla da non aver paura di una buia stanza di hotel in cui il proprietario sembrava un maniaco e i letti erano sporchi, sporchi della tua assenza. adesso sto piangendo di nuovo. la prima volta che l'ho sentita ero euforica, e poi non ho più potuto farlo per mesi; mi mancava, non sai quanto cazzo mi mancava, queste parole non rendono affatto, ma io quando l'ho riascoltata mi sono sentita svenire e rinascere insieme. come una fenice dalle sue ceneri, sono riemersa trionfante e felice, felice per davvero. dopodiché è arrivata 'carry you home’, un'altra che mi fa piangere. io non pensavo ti fossi veramente reso conto della situazione ma quando mi hai detto “mi fa pensare a te”, mio dio, ho perso cinque battiti. ero felice che fossi consapevole di tutto perché non me l'avevi mai dimostrato realmente, o forse mi aspettavo troppo, ed ero felice che mi volessi proteggere. ecco l'ennessima bella sensazione con te: spesso sto a pensare se troverò qualcuno che mi farà sentire al sicuro come facevi tu, è tutto ciò che cerco.
era così bello amarti.
'a thousand years’ probabilmente non l'hai mai ascoltata, faceva parte del regalo di compleanno che non hai finito. era vero, ogni volta che ti aspettavo e l'ho fatto ogni singolo giorno morivo sempre un po’ di più, non mi davo pace, non sapevo se saresti tornato e quanto avrei dovuto stare in attesa; tu invece non l'hai mai fatto perché io c'ero sempre e mille e mille volte ho cercato di farmi attendere ma non ci sono riuscita. ero convinta di poterti amare per mille anni e più. quando ho sentito per la prima volta 'say you won’t let go’ ero in macchina e mi sono quasi messa a piangere, non tanto per il testo dato che non ci avevo capito una mazza ma perché avevo riconosciuto la voce del nostro solito caro james. vorrei ringraziarti per avermi fatto notare quel sorriso, inizio a sorridere anch'io come una matta e mi commuovo. ti ho incontrato nel buio, penso si potrebbe dire, era il tuo buio e spero di averti riportato alla luce, almeno per un po’; in caso contrario trova qualcuno che lo faccia perché nonostante tutte le cazzate te lo meriti.
non hai smesso di consigliarmi canzoni, e non so se esserne felice o meno, non posso pensare a te tutte le volte che ascolto la musica.
credimi che non sono i the fray a spaccarmi il cuore in diecimila pezzi, sei tu che mi mandi 'happier’. e non so neanche quali parole spendere a proposito di questa. si, sembro più felice. si, sono più felice. non ho più pesi da sopportare, non ho più angosce, non ho più i cuscini intrisi di lacrime. 'you’re beautiful’: è stato tutto un enorme sbaglio, ma è anche stato tutto fondamentale. non pensare di essere stato inutile, non pensare di avermi fatto solo male, con te ho imparato la cosa più importante: mi sono sentita bella e riesco ancora a farlo senza il tuo aiuto, mi hai insegnato ad apprezzarmi (o almeno una minima parte di me) e te ne sono grata. tutti quei “sei bellissima”, tutti quei “a me piaci che te devo dì” non sono stati vani, io ci ho creduto sempre più e ha funzionato. qualche giorno me lo dico anch'io che sono bella.
questa è la colonna sonora della nostra storia, scrivila sulla linea del cielo.
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Il confronto - Ep. 08
L’incontro con Mr Hubbs non era certo andato bene, ma Ethan non si sarebbe mai aspettato una simile reazione dall’uomo. Tutte quelle cose che aveva detto su suo fratello erano solo menzogne, beh forse non tutte, ma di certo Finley non era così cattivo come quell’uomo lo voleva far apparire e poi lui e suo fratello erano davvero diversi. Ethan continuava a chiedersi perchè Mr Hubbs non lo avesse ascoltato, perchè non avesse nemmeno voluto concedergli una possibilità, se solo lo avesse fatto si sarebbe reso conto della sua buona fede. Era così ingiusto, ma che altro avrebbe potuto fare?
Ethan passò l’ennesima notte in bianco, avrebbe voluto semplicemente dimenticare quella ragazza, fece di tutto per non pensare a lei, ma ogni volta che chiudeva gli occhi il suo viso era lì a fissarlo sorridente. Era come un incantesimo, per quanto lui si sforzasse, lei era sempre lì. La mattina seguente Ethan era uno straccio, stanco e affaticato, aveva sonno e non riusciva a concentrarsi su nulla. Solo dopo un paio di caffè riuscì finalmente a rimettersi a studiare. La giornata passò lenta e noiosa, doveva preparare un esame, ma per ogni paragrafo che leggeva doveva tornare indietro a quello precedente poichè si era già dimenticato di cosa parlava. Ogni qualvolta distoglieva gli occhi dal suo libro, Celia gli compariva innanzi e lui sentiva una morsa stringergli l’addome, un vuoto che pareva incolmabile.
Finalmente il sole tramontò lasciando il posto alla sera e Ethan era felice che ormai si stava lasciando alle spalle quella interminabile giornata. Le sue speranze però vennero meno quando Finley varcò la soglia di casa e iniziò a chiamarlo a squarcia gola. Ethan pensò che forse era successo qualcosa e si precipitò dal fratello cercando di capire cose stesse accadendo.
Non fece nemmeno in tempo ad entrare in salotto che subito Finley iniziò ad inveirgli contro.
- Ma cosa cazzo ti è saltato in mente? Sei andato a parlare con Hubbs senza dirmi nulla, senza il mio permesso! Sei fottuto idiota Ethan!! -
Ethan ci rimase di sasso, non aveva mai visto suo fratello tanto infuriato, mai con lui almeno.
- Finley posso spiegarti... - - Non c’è un cazzo da spiegare. - lo interruppe il fratello. - Sei un idiota! Uno stupido ragazzino idiota! Dovevi solo aspettare qualche giorni, darmi il tempo di sistemare le cose e sarebbe stato lo stesso Hubbs a pregarti di scopare la sua adorata figlioletta, ti avrebbe concesso di sposarla e di farne tutto ciò che volevi, ma tu non potevi aspettare, non è così? Ti tirava così tanto nei pantaloni che non potevi aspettare di avvisarmi prima di fare una cosa del genere? Perchè devi sempre comportarti da stupido, perchè Ethan? - Finley aveva già pianificato tutto, doveva solo trovare l’anello debole nella catena di comando delle Hubbs Industries a quel punto avrebbe avuto in mano le prove che Hubbs, insieme ai suoi soci, aveva pilotato uno dei loro più grandi appalti. Con quelle prove poteva rovinarlo, lasciarlo sul lastrico, ma Finley avrebbe usato quelle informazioni per ricattare l’uomo. A quel punto Mr Hubbs avrebbe di certo preferito concedere sua figlia in sposa a Ethan piuttosto che vederla vivere in una topaia guadagnandosi da vivere come spogliarellista in qualche infame locale di periferia. Con Ethan marito di Celia le Hubbs Industries sarebbero finite nelle mani del fratello che, conoscendolo, gli avrebbe lasciato carta bianca. Finley aveva pianificato le cose per bene così da cogliere due piccioni con una fava, Ethan avrebbe avuto quella stupida troietta e lui le H. Industries, tutti avrebbero vinto, se solo suo fratello non avesse rovinato tutto.
- Sai che non è per quello che voglio conoscerla! Ci sono cose più importanti del sesso, Finley! Io la amo e ho solo cercato di fare le cose per bene. - si mise ad urlare Ethan, fatto piuttosto insolito per lui. - Per una volta nella vita volevo cavarmela senza di te, volevo dimostrare di essere in grado di badare a me. - - E invece non hai capito un cazzo! Hai rovinato tutto!! Potevi avere quella ragazza tutta per te se solo mi avessi ascoltato, se solo avessi atteso qualche giorno! Ma tu sei fatto così, giusto? Ti innamori follemente di qualcosa o qualcuno e devi per forza avere tutto e subito, non ti importa di altro. Ma ti rendi conto di che cosa hai fatto? In che posizione mi hai messo? Nel giro di due giorni tutta la dannata città ci riderà dietro e tu non potrai mai più vedere quella ragazza! - Finley si rese conto che stava esagerando, ma era davvero furioso, quell’affare gli avrebbe fruttato una fortuna sul lungo periodo. Allo stesso tempo però Ethan sembrava molto sicuro di sè, più di quanto non lo fosse mai stato in tutta la sua vita.
- Vaffanculo Finley! Sai essere un vero stronzo a volte! Mi fai passare come un ragazzino viziato, ma io sono andato da Mr Hubbs per parlargli da uomo a uomo, volevo dimostrargli che siamo gente per bene, che SONO un uomo per bene. Gli ho solo chiesto il permesso di conoscerla meglio e non volevo metterti in mezzo, ero certo di potercela fare, di fargli capire che sono diverso dagli altri! - - Di certo lo ha capito che sei diverso dagli altri, Ethan! Ha visto bene quanto sei stupido! Non puoi combattere questo sistema, te l’ho detto e ripetuto mille volte. Devi essere astuto e fare la mossa giusta al momento giusto! Forse un giorno potrai andartene e fare ciò che vuoi, ma finchè sei qui in questa casa, legato a me, devi fare ciò che dico io!! - - Tu non sei mio padre!! Non sei i nostri genitori!! Perchè non ti rendi conto che sono cresciuto? - Ethan era arrabbiato, ma anche deluso. - Perchè tu ti comporti da idiota! Non lo capisci, vero? Tutto ciò che faccio è per noi, per me e per te! Comportandoti così manderai all’aria tutto. Dici sempre che non ti importa, ma non sai cosa vuol dire perdere tutto e vivere da pezzenti ai margini di questa società! Io voglio solo che tu abbia il meglio! - Finley fece un profondo respiro, era snervante per lui star dietro al fratello senza vedere nessun cambiamento in lui. Si chiese più volte dove aveva sbagliato con lui, perchè il fratello non capiva che non ci si può sottrarre a certe cose? - Senti lo capisco che questa ragazza ti piaccia molto, ma devi essere freddo e ragionare con la testa, Ethan! Siamo a San Myshuno e le cose qui vanno come vanno, che a te piaccia o meno. - i toni si fecero più pacati, Finley voleva far capire a Ethan ciò che lui aveva imparato molto in fretta sulla sua pelle. - So che sogni un mondo migliore, una vita migliore, ma io e te siamo qui, siamo dei Marlow e ciò che facciamo è e sarà sempre sotto giudizio di tutti. Quindi ti prego, ti prego Ethan, ragiona! - - Mi dispiace Fin... - il giovane abbassò gli occhi, sapeva che il fratello aveva ragione, non poteva opporsi a quel sistema da solo e non così. - Non è solo una ragazza che mi piace, io ci ho provato a dimenticarla, a non pensare a lei, ma non ci riesco, non posso! So come la pensi su certe cose, ma credimi se questo non è amore non so davvero cosa sia. -
Finley osservò in silenzio il fratello per lunghi istanti, lui non credeva nell’amore, sapeva che non faceva parte del loro mondo e avrebbe voluto evitare che il fratello dovesse capirlo sbattendoci su la testa, ma era chiaro che quella giovane gli era entrata dentro e non fosse più possibile far ragionare Ethan. Sospirò ed infine disse:
- Senti ho capito... Ok... Ti aiuterò! Non so come, ma ti aiuterò con quella ragazza, però tu devi promettermi di non fare altre cose stupide come andare a casa degli Hubbs, farti beccare nascosto chissà dove a spiarli o peggio ancora a scuola da lei. Dammi un po’ di tempo e farò in modo che Hubbs si ricreda su di te. - Finley non aveva la più pallida idea di come fare, di certo Mr Hubbs avrebbe raccontato a tutti ciò che era successo a casa sua e se anche lui avesse trovato un modo per ricattarlo sarebbe risultato sospetto un cambio così repentino d’opinione. Doveva studiare un modo migliore. Finley era anche convinto che Ethan, quando finalmente avesse conosciuto Celia, si sarebbe presto reso conto che era come tutte le altre, avrebbe visto le cose per come erano e probabilmente la cosa sarebbe finita come era già successo altre volte in passato con le sue strampalate passioni passeggere. - Davvero? Mi aiuterai davvero? - chiese stupito Ethan. - Sì, lo farò, ma alle mie condizioni. Prendere o lasciare! - - Ok! Non farò nient’altro di stupido, lo prometto. - disse abbassando di nuovo lo sguardo, solo ora si rendeva conto di quanto fosse stato ingenuo, non aveva nemmeno pensato che le sue azioni avrebbero potuto ripercuotersi sul fratello e sul nome della loro azienda. - Bene! - esclamò Finley. - E ora vieni qui stupido idiota di un fratello! - e così dicendo sorrise al fratello minore e aprì le braccia invitandolo così ad abbracciarlo. Ethan non se lo fece ripetere due volte, odiava litigare con Finley.
- Grazie Fin, sei il miglior fratello del mondo! -
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La mia storia d'amore con l'india secretheart2 1 settembre 2010 alle 13:07Ultima risposta: 29 ottobre 2016 alle 4:58 Salve a tutti/e, sono una ragazza italiana di 28 anni. Nove anni fa, ho conosciuto un ragazzo indiano di tre anni più grande di me, io studiavo legge e lui architettura... Inizialmente eravamo amici, ci incontravamo solo all'università, per un caffè, oppure per parlare degli esami. Non posso dire che non mi piacesse, anzi, era uno dei ragazzi più dolci che avessi mai conosciuto, educato, serio, intelligente, con dei bellissimi occhi verdi(cosa rarissima per un indiano) e dal fisico atletico. Tuttavia, il pensiero che tra noi potesse esserci dell'altro, non mi sfiorava neanche, forse perché temevo potesse rovinare il nostro bellissimo rapporto d'amicizia. Con il passare delle settimane, la nostra complicità diventava sempre più forte, stavamo sempre insieme, e molti pensavano che fossimo una coppia. Il tempo trascorso con lui era prezioso, mi sentivo ascoltata, capita, mi sentivo me stessa. Erano cinque mesi che ci frequentavamo ormai, e per me, lui era diventato il mio confidente, il mio confessore, il punto di riferimento. C'era sempre, senza mai essere invadente. Durante quei cinque mesi non sono mai uscita con altri ragazzi, ma presto ne conobbi uno molto carino e cominciai a frequentarlo. Mi piaceva, e nonostante avessi avuto già un altro ragazzo, non avevo mai fatto l'amore, quindi cominciavo a pensare che forse, all'età di 19 anni, era arrivato il momento di provare questa nuova esperienza. Il mio fidato amico, non mi ha deluso neanche in questo caso, mi ha detto che, se mi sentivo pronta, dovevo farlo. Mi armo di coraggio e una sera, dico al mio ormai ragazzo, che volevo fare l'amore con lui. Mi porta a cena in un ristorante romantico, ci teniamo per mano durante tutta la cena, e dopo un paio d'ore ci dirigiamo verso la sua camera. Ero terrorizzata, non sapevo se sarei stata capace, se fosse la cosa giusta da fare... Arrivati in camera, noto con piacere che il mio ragazzo aveva reso l'atmosfera romantica e rilassante, con decine di candele profumate e svariati mazzi di fiori. Presto mi rilasso e comincio a sentirmi più a mio agio, lui mi dice che mi ama ed io non riesco a fare lo stesso. In quel momento, mentre il mio ragazzo si avvicinava per baciarmi, ho visto il viso del mio amico indiano, i suoi bellissimi occhi che mi guardavano, ho visto me tra le sue braccia... Allora ho capito, ero innamorata di lui! Gli occhi si riempirono di lacrime e presto mi ritrovai a piangere, per la confusione, la paura e la gioia della mia consapevolezza. Esco dalla camera di corsa, lasciando il mio ormai ex ragazzo con la bocca aperta e senza parole. Corro verso la camera del mio amico, e quando mi apre la porta, vedo davanti a me tutta la mia vita. Senza dire una parola, mi butto tra le sue braccia, e posso dire con assoluta certezza che quello è stato l'abbraccio più lungo ed emozionante della mia vita. Facciamo l'amore per ore, e nonostante fosse la mia prima volta, e stato come se non avessi fatto altro per tutti quegli anni. E' stato perfetto! Senza rendermene conto, era cominciata una grande storia d'amore, fatta di sguardi, carezze, lunghe passeggiate, di giornate passate a letto a fare l'amore, di affetto e rispetto reciproco. Dicono che "l'amore non è bello se non è litigarello", ma noi non abbiamo mai litigato, ci capivamo alla perfezione. Dopo un anno, decido che era arrivato il momento di presentargli i miei genitori, ma pur avendo detto loro che mi frequentavo con un ragazzo, temevo per la reazione di quando avrebbero saputo che era indiano. Ancora una volta, i miei genitori, hanno dimostrato quali persone fantastiche sono, comportandosi esattamente come avrei voluto. Presto anche loro se ne innamorarono(impossibile non farlo), ed io ero felice di avere trovato una persona splendida, avendo anche l'appoggio della mia famiglia. Passavamo spesso i fine settimana dai miei e lui aveva rubato il cuore a tutti, oltre che a me. Non parlavamo molto della sua famiglia, sapevo che aveva un fratello ed una sorella e che i suoi genitori lavoravano nell'ambito del commercio. La sorella all'epoca studiava a Londra e decidemmo di andarla a trovare. Era così simile al mio amore, stesso viso dolcissimo, stessi occhi grandi(a parte il colore) e stesso carattere stupendo. Ci siamo trovate benissimo e in seguito, spesso ci sentivamo. Neanche lei parlava molto della sua famiglia, a parte avermi detto che i suoi genitori sono molto tradizionalisti. Il fratello invece, aveva finito gli studi, si era sposato e viveva insieme alla moglie e la figlia nella casa dei genitori. Per quanto trovassi strana la cosa, presto venni a sapere che in India è normale. In quei due anni lui è andato a trovare i suoi genitori solo una volta, per due settimane, e quelli sono stati i giorni più lunghi della mia vita. Una volta rientrato, mi disse che aveva parlato ai suoi genitori di me, e che quando e se me lo fossi sentito, avrebbe avuto il piacere di presentarmeli, andando in India. Nel chiedergli come l'avevano presa, mi ha risposto che loro avrebbero preferito una ragazza indiana, ma mi disse anche di non preoccuparmi, perché una volta conosciuta, loro mi avrebbero amata almeno quanto lui. L'idea di andare in India e conoscere i suoi genitori mi agitava molto, ma lui non me lo chiese più, quindi smisi di pensarci. Nonostante la mia sia una famiglia benestante, i miei fratelli ed io abbiamo sempre dovuto fare dei lavoretti anche durante gli studi. Anche il mio ragazzo faceva lo stesso, dando ripetizioni di inglese e francese. Il giorno della sua laurea, sua sorella è venuta a trovarci e anche i miei genitori hanno avuto la mia stessa impressione di lei. Noi conoscevamo l'India per i paese povero che realmente è, e quindi spesso non riuscivamo a capacitarci dell'eleganza, l'educazione e la cultura del mio ragazzo, che puntualmente si nota anche in sua sorella. In occasione della sua laurea, lui va nuovamente a trovare i suoi genitori, senza farmi pressioni chiedendomi di accompagnarlo. Ero sollevata che non avesse insistito, anche se la sua mancanza mi faceva male. Al suo rientro, andai a prenderlo all'aeroporto e dopo avermi abbracciata, si inginocchio davanti a me, mettendomi un anello al dito e chiedendomi di sposarlo. Sembrerà assurdo, ma ho avuto un attacco di panico, mi tremavano le gambe, mi tremava la voce...non me l'aspettavo. Non so dove io abbia trovato la voce per dirgli "si", ma l'ho detto.... SI, SI, SI, LO VOLEVO!! La sua proposta e la mia risposta, facevano si che il viaggio in India, non fosse rimandato ancora per molto. Dopo due mesi, partiamo io, lui e mio fratello. All'aeroporto troviamo un'auto che ci aspettava, faceva molto caldo, troppo, e Anil(così si chiama il mio amore) mi spiega che tra non molto ci sarebbe stata il periodo delle piogge, almeno era quello che tutti speravano. In macchina mi addormento e quando Anil mi sveglia, ci troviamo davanti ad un palazzo, che io credevo albergo. In realtà era la casa dei suoi, casa sua. Ora capivo perché ogni volta che gli chiedevo della sua casa, dei suoi, di come loro vivevano, lui mi rispondeva in maniera vaga. Come ho detto prima, la mia famiglia è benestante, abbiamo una bella casa, e anche un domestico che da molti anni vive con noi, ma era diverso dall'avere una specie di castello e decine di domestici per casa. Sapevo che lui non mi aveva detto nulla perché non mi sentissi influenzata in qualche modo, perché non vedessi alcuna differenza tra noi. In casa c'erano solo la cognata e la nipotina, oltre i domestici, e venni a sapere che non sapevano del nostro arrivo. Anil mi spiego che lo aveva fatto di proposito, perché così i suoi genitori non si sarebbero preparati in maniera formale e sarebbero stati più spontanei. Mi ha sempre colpito la sua capacità di sapere sempre come e cosa fare, è il suo pregio più grande. Dopo aver accompagnato mio fratello e me nelle nostre stanze, and anche lui a rinfrescarsi. Dopo un ora viene a bussarmi, ed io nel vederlo per la prima vestito con un bellissimo dhoti, ho capito quanto erano diverse le nostre culture, ma nello stesso tempo ho capito che ero così affascinata e curiosa di conoscere la sua. Per tutto il tempo che eravamo stati insieme, lui aveva vissuto nella mia cultura, nel mio paese, ed ora ero felice di quel piccolo assaggio della sua. L'incontro con i suoi genitori è stato migliore di come l'aspettassi, ero così tesa, ma sia Anil che mi fratello, non mi hanno lasciata sola un'attimo. Inizialmente ci sono stati parecchi attimi di silenzio, in cui nessuno sapeva cosa dire(parliamo tutti inglese), e mentre la madre sembrava preoccupata e tesa almeno quanto me, il padre sembrava così rilassato, oserei dire, quasi divertito dalla situazione. Infatti è con lui che ho legato per primo e di più. La madre era più distaccata, ma appena seppe che non sapevo nulla di loro, della loro casa, della loro vita, cambio totalmente. Mi confess che molte ragazze indiane ambivano a sposare i suoi figli per via del loro status, ed era contenta che Anil avesse trovato una persona che lo amasse per quello che è. Mi sentivo così stupida e superficiale per non avere cercato più informazioni sull'India prima, per non avere letto più libri, ma nello stesso tempo sembravo una bambina, che vedeva il mondo per la prima volta. Mi ero innamorata anche dell'India. Ci siamo sposati dopo un anno in Italia e tutta la sua famiglia era qui, vicino a noi. Abbiamo pensato che fosse giusto farlo qui, perché qui ci siamo conosciuti e ci siamo innamorati. Anil, ha preso anche il master, ed io sto finendo il mio. Abbiamo deciso che andremo a vivere in India, almeno per qualche anno, perché io voglio conoscere bene il paese che mi ha donato la cosa più bella che potesse capitarmi nella vita. Sono passati nove anni, ed io sento le farfalline allo stomaco come, quella prima volta, in cui sono corsa da lui.
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Origami
Non sa come ci sia finito a farlo. Ricorda solo che un suo compagno di classe ne parlava e l’idea gli è sembrata talmente geniale da doverla realizzare, da dover imparare anche lui.
Così ha iniziato ad informarsi. E a studiare. E a vedere video su youtube per impratichirsi. E poi ha provato. E ci è riuscito. Ma la carta ad un certo punto è finita. Così è dovuto uscire e andare a comprarne dell’altra. È tornato a casa con dieci blocchi di fogli di carta. Il negoziante, alla cassa, lo ha guardato un po’ titubante, domandandosi perché gliene servisse tanta, a un ragazzino di soli diciotto anni, ma quello non ha fatto domande e lui non gli ha dato alcuna risposta, troppo preso col proprio cellulare a scoprire nuovi livelli di difficoltà per le sue creazioni.
Anche nel tragitto verso casa, in tram, si è sentito osservato ma era così eccitato all’idea di cosa sarebbe successo una volta a casa che per una volta non gli è importato del mondo circostante e ha continuato a vedere video su youtube fino a quando, a metà strada verso casa, il cellulare non lo ha abbandonato morendogli tra le mani.
A casa, ha ripreso il lavoro. La sua stanza in disordine avrebbe fatto venire i capelli grigi a sua madre, una volta ritornata dal lavoro, ma non si è reso nemmeno conto che molto presto si sarebbe ritrovato sommerso fino al collo dalla carta che stava piegando, tagliando, stropicciando e maneggiando. E, di conseguenza, non si è reso conto nemmeno del ritorno a casa della madre. E poi del padre.
A Even piace tantissimo fare origami.
***
Non sa che quello sarebbe stato il primo di una lunga serie di episodi. Non lo sanno nemmeno i genitori, abituati al modo che il proprio figlio ha di appassionarsi alle cose.
Lo hanno capito, loro, quando la situazione è andata degenerando.
Even, invece, non ci ha trovato inizialmente nulla di strano. Non ha sonno. Di insonnia non è mai morto nessuno. E se vuole impegnare quel tempo della notte, facendo una serie infinita di origami di ogni genere, è semplicemente per passione. Non per mania.
Poi è arrivata la depressione, i controlli, i dottori e la diagnosi. E anche Even ha realizzato.
Dalla giostra, dopo il giro della morte e una lunga salita, è sceso giù. In profondità. In picchiata.
Ed è tornato a dormire. Col sollievo dei genitori.
***
Di quel brutto periodo, Even custodisce però un ricordo che lo fa tuttora sorridere. Un ricordo, beh, sarebbe meglio dire una persona.
Qualche settimana prima che gli diagnosticassero il disturbo bipolare, durante il tragitto in tram verso la Elvebakken, un ragazzino ha destato la sua attenzione.
Even ha pensato che di lui avrebbero potuto incuriosirlo i ciuffi di capelli, liberi dalla presa dello snapback blu che indossa, ai lati delle tempie, perché sono scarmigliati, dorati come quelli degli angeli. Oppure avrebbe potuto attrarlo la particolarità della sua bocca, sottile, così perfettamente disegnata da ricordargli l’arco arcuato di Cupido.
Ma ad attrarlo sono stati gli occhi. Incredibilmente tristi. E le guance, rosse e bagnate dalle lacrime che sgorgano silenziose dai suoi occhi.
Il ragazzo cerca di nascondersi nel cappuccio della felpa e nella visiera del cappello blu, ma Even lo vede. Even lo ha riconosciuto.
Quel ragazzo è rinchiuso nella stessa bolla di solitudine in cui anche lui si sente intrappolato. A differenza sua, però, quel ragazzino non sembra gridare aiuto né cerca di trovare un appiglio per salvarsi. A Even, piuttosto, sembra che quel ragazzino sia talmente abituato a quella sensazione, da crogiolarsi in essa. Lo ha guardato per tutto il tragitto, fino a quando, almeno, non lo ha visto scendere alla Nissen, un’altra scuola della sua città non molto distante dalla Elvebakken. Quando il ragazzino si è alzato, Even si è reso conto di aver smesso di prestare attenzione al suo origami e di aver passato gran parte del viaggio a fissarlo. E si è sorpreso, perché per tutto quel tempo i processi della propria mente si sono arrestati, come se guardarlo fosse bastato per colmare il vuoto che sente dentro e che solitamente riempie di idee, pensieri e parole. Guardarlo, non lo ha fatto più sentire solo. Ed è strano, perché lui crede fermamente che tutte le persone nascano sole al mondo con la sola compagnia dei propri pensieri.
Lo ha visto asciugarsi gli occhi frettolosamente con la manica della felpa e scendere dal tram senza guardarsi indietro. Lo ha guardato mentre prendeva la propria strada verso scuola e quando il tram ha ripreso a viaggiare, Even si è subito sentito riavvolgere dalla baraonda dei suoi pensieri.
Ed è tornato al suo origami.
Ha pensato a quel ragazzo per tutto il giorno, ad ogni ora, ad ogni lezione. Anche durante la pausa pranzo.
Perché nessuno lo ha mai fatto sentire in quel modo. Perché nessuno, prima di allora, ha mai arrestato con naturalezza i suoi pensieri. Nessuno. Nemmeno Sonja.
Per questo motivo, per tutto il giorno, Even ha tentato di costruire un nuovo origami, di difficoltà superiore ai suoi precedenti tentativi. Un origami che potesse in qualche modo rendere grazie a quel ragazzino dagli occhi tristi.
Di ritorno da scuola, poi, Even è salito sul tram con la speranza di ritrovare quel ragazzino. Il tratto di strada che divide le due scuole le ha passate ad ultimare il suo origami. Ne è entusiasta perché non ha imperfezioni. Le sue mani hanno lavorato come se avessero da tutta una vita atteso quel momento.
Davanti alla fermata della Nissen, Even ha guardato verso le porte ma nonostante siano saliti diversi ragazzi, di quel ragazzo dagli occhi tristi non c’è stata traccia.
Tristemente, Even ha preso atto che dovrà portarsi con sé quell’origami fino a quando non lo incontrerà di nuovo. Perché sa che lo ritroverà sulla propria strada, prima o poi. Perché sa che quell’origami è nato non per essere tenuto come ricordo, ma per essere regalato.
A una settimana dalla diagnosi, Even lo rivede. È salito sul proprio tram e ha cercato un posto sul quale sedersi. Il ragazzino dagli occhi tristi, sorprendentemente, è seduto di fronte a lui.
Even sorride, felice di vederlo come se lo conoscesse da tempo e non avesse aspettato altro, fino a quel giorno, di poterlo rivedere.
Il ragazzino ha le lacrime agli occhi e Even pensa che ci sia qualcosa, dal luogo in cui scappa per andare a scuola, che lo rende incredibilmente triste. Vorrebbe sapere cosa sia, ma quando il ragazzino lo guarda sospettoso, asciugandosi in fretta le guance e non capendo il perché lui lo stia fissando, Even ricorda di essere uno sconosciuto e guarda fuori dal finestrino. Per gran parte del tragitto tentenna sul da farsi.
L’origami è ancora nello zaino, in attesa di essere consegnato, ma Even non sa se sia giusto farlo. Improvvisamente ha paura: che il ragazzino possa considerare quel gesto in qualche modo molesto – indotto a crederlo dal modo in cui lo ha fissato per più di due minuti; ha paura, anche, che una volta consegnatoglielo, tutto finisca lì. Ed Even non vuole che tutto finisca. Per tutto quel tempo ad aspettare di incontrarlo, il ricordo di quel ragazzino lo ha aiutato nei momenti peggiori. Il ricordo di quei ciuffi biondi lo hanno fatto sentire avvolto da una sensazione di morbidezza. La sua bocca, invece, gli ha dato calore. Un calore diverso, non innocuo, che Even ha provato solo una volta nella sua vita, la prima volta che ha baciato Sonja. E i suoi occhi tristi, poi, lo hanno confortato, sempre, ogni volta, ricordandogli che forse al mondo non si è sempre soli. Si nasce e si muore, in solitudine, ma durante il viaggio della vita si può vivere assieme alla solitudine di qualcun altro.
Even ha paura di perdere quel ragazzino, ma quando comprende che non si può perdere una persona che non gli è mai appartenuta, decide di affrontare la paura e cerca l’origami nel suo zaino.
Il ragazzino dagli occhi tristi non lo nota. Si nasconde nella sua felpa e nel suo snapback rosso mentre maneggia il proprio cellulare, che non smette mai di notificare l’arrivo ininterrotto di sms.
Alla fine, davanti alla Nissen, Even lo vede asciugarsi frettolosamente le gote mentre abbandona il cellulare – quello che crede fermamente sia il colpevole delle sue lacrime – nella tasca dei jeans.
È il momento.
Si alza anche lui e scende assieme al ragazzino dagli occhi tristi. Salterà la prima ora di lezione, ma non è importante.
Cammina, inseguendolo, mentre il tram scivola via allontanandosi da entrambi. Si sente già molesto nel farlo ma sa che deve. Non ha più paura.
“Hey” lo chiama raggiungendolo in due falcate. Il ragazzino si ferma e lo fronteggia, guardandolo con diffidenza.
“Hey…” replica scettico, domandandosi forse se possa essersi effettivamente dimenticato di conoscerlo. Impossibile, sembra rispondersi, un viso del genere se lo ricorderebbe. Even sorride. Quel ragazzino è un libro aperto. Anzi no, è un libro che lui ha già letto. È un libro molto simile a quello che racconta di lui. Per questo sembra leggergli in viso ogni espressione. Perché le loro storie sono più simili di quanto sembri.
“Ehm, ciao-” balbetta Even. Ed è strano, perché non è mai imbarazzato.
“Ciao… ci conosciamo?” domanda l’altro, sempre più scettico, guardandosi attorno. Even subito nega.
“No- no… solo che- mh- ti ho visto sul tram, qualche giorno fa e… sì, mi sembravi molto triste e, niente- questo è per te” mentre parla, gli prende una mano e gli consegna l’origami. Il ragazzino ha lo sguardo basso, fisso sul regalo che gli è stato offerto mentre gli occhi gli si riempiono nuovamente di lacrime. “è un angelo, con in mano un arco, quindi è Cupido. E l’ho fatto per te, perché ti rappresenta” cerca di spiegarglielo nel modo più semplice possibile, divagando un po’ con l’onestà perché ha paura di spaventarlo.
Quando lui alza il viso per incontrare i suoi occhi, Even scopre due cose: il colore delle sue iridi è il verde, ed è subito come precipitare in un prato di campagna; il ragazzino dagli occhi tristi non ha paura di mostrare la sua tristezza e, anzi, rincuorato da quel gesto – anche lui ora deve sentirsi meno solo al mondo – gli sorride, mentre una lacrime scivola giù sulla sua gota. Ed è il sorriso più bello che Even abbia avuto il piacere di vedere in tutta la sua vita, ma non aveva dubbi su questo, e nemmeno delle sensazioni che avrebbe provato una volta imbattutosi in esso. Lo stomaco gli si è attorcigliato, in una trottola che ha poco di fraintendibile, sebbene lui non l’abbia mai provata – nemmeno per Sonja.
Così Even gli asciuga veloce la lacrima con il pollice e gli accarezza una guancia. Gli sorride, fissandolo senza inganni.
“Grazie” gli dice. Il ragazzino si acciglia, perché dovrebbe essere lui a ringraziarlo. Even annuisce. “Per questo sorriso” gli spiega. Ne aveva bisogno.
Il ragazzino sembra ancora più confuso, ma la mano di Even non sembra turbarlo e nemmeno le sue parole. Così Even parla con onestà, senza il timore che possa esagerare. “Sei già terribilmente carino, con i tuoi occhi tristi, ed ero certo quindi che potesse essere davvero sconvolgente il tuo sorriso. Avevo bisogno di una conferma”.
Il ragazzino sgrana gli occhi. Si imbarazza. E arrossisce. Ridacchia e, incapace di sostenere quegli occhi di sincerità palpabile, abbassa lo sguardo e guarda l’origami tra le mani. Forse non è abituato a quel tipo di attenzioni. Forse lui è il primo. Ed Even è sia dispiaciuto, di essere arrivato così tardi, sia felice di essere il primo.
Poi fa un passo indietro. Sorride, anche se sa che presto tutto quello sarà solo un mero ricordo. Tutto sarà finito. Fino a quel momento sembra che entrambi abbiano condiviso la stessa bolla di solitudine, ma Even non ci pensa, perché fino a quando è lì dentro con quel ragazzino, non ha pensieri. Ci sono solo loro. Ora.
Il ragazzino si schiarisce la voce.
“Mi chiamo Isak” gli dice.
Even è sorpreso. Un nome per il ragazzino dagli occhi tristi e dal sorriso disarmante. Isak. Non pensava di poter avere tanto in cambio, che in fondo gli ha dato solo un origami.
È felice. “Even” risponde. Isak alza gli occhi per una frazione di secondo e accenna un sorriso. Un altro. Anche lui è felice.
“Even… ti ringrazio per- per il pensiero. Ora devo andare, o farò tardi a scuola!” lo saluta. Even vorrebbe trattenerlo ma lo lascia andare, annuendo. “Sì, devo andare anche io. Vado alla Elvebakken e mi aspetta un bel tragitto”.
Isak sembra dispiaciuto e a Even fa una grande tenerezza. Gli sorride e lo vede sorridere in quella frazione di secondo in cui riesce a sostenere il suo sguardo.
“Beh- allora ci vediamo… in giro” lo saluta ancora una volta Isak, indietreggiando. Even annuisce di nuovo.
“Lo spero…” sussurra a se stesso mentre lo vede andare via con la testa china a fissare l’origami che gli ha regalato. “Isak”.
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Adore you (capitolo 11)
Finiamo di sistemare la spesa e decidiamo di cucinare un piatto di pasta.
Mentre cucino Lou non è molto di aiuto: continua ad osservare ogni mio movimento, mettendomi involontariamente in soggezione.
<Perché metti il sale?>
<È?>
<Perché metti il sale?> ripete, con un sorriso.
<Beh, sennò non sa di nulla>
<Pensavo si mettesse sopra la pasta>
Scoppio a ridere e lui mi fulmina con lo sguardo.
È buffo che non sappia come si cucini un semplicissimo piatto di pasta, ed è ancora più buffo il modo in cui mi sta guardando. Ha un'espressione fintamente ferita e non riesce a trattenere un sorriso.
Al supermercato mi ha detto che quando provò a cucinare gli si bruciò tutto quanto, perciò avevo immaginato che non fosse il suo forte la cucina, però non pensavo che non sapesse fare nemmeno la pasta.
<Hai finito di ridere?> chiede, provando ad assumere un tono scocciato.
Annuisco ridendo e dopo aver messo la pasta nella pentola imposto un timer di dieci minuti.
Nel frattempo che la pasta cuoce vado in camera da letto, lasciandolo qualche minuto da solo, per finire di sistemare la stanza.
L'armadio è un vero disastro e se non fosse venuto probabilmente l'avrei sistemato, ma onestamente preferisco passare la serata con lui invece che piegare magliette e pantaloni.
Rimbocco il letto e torno immediatamente in cucina, dove trovo Lou intento ad osservare una foto sopra la mensola.
Ha un sorriso dolce ed uno sguardo curioso.
Rimango a guardare la scena finché non mi nota appoggiato alla porta.
<È la tua famiglia?>
<Si> prendo la foto e mi siedo accanto a lui.
<Questa è mia madre, Anne. Questa invece è mia sorella Gemma. Lui invece è....lui è Des. Mio padre>
<Non hai un bel rapporto con tuo padre?> chiede, con un pizzico di imbarazzo.
Scuoto la testa e sospiro.
<In questa foto avevo due anni. Sembriamo così felici vero? Lui aveva un'altra donna, più giovane, più bella e con un posto di lavoro più retribuito di mia madre. Quando avevo quattro anni decisero di separarsi. Io e mia sorella vivevamo con mia madre e lui lo vedevamo poco. Una volta a settimana. In pochi mesi la volta a settimana si trasformò in una volta al mese, fin quando non decise di andarsene definitivamente. Non ho sue notizie da circa undici anni> concludo con le lacrime agli occhi e la voce incrinata.
Mio padre non è un argomento di cui amo parlare. L'ho racconto a Liam in modo superficiale e molto breve.
A Louis non ho raccontato tutti i particolari di quel periodo ma in questo momento sa molto di più dei miei amici.
A Liam non avevo detto che aveva un'altra donna. Gli ho semplicemente detto che ci aveva abbondato quando io avevo cinque anni e Gemma sette.
<Mi dispiace Harry> dice accarezzandomi dolcemente la schiena.
<Non dispiacerti. Non fa niente. Lui ora ha una vita nuova, una famiglia nuova e una casa nuova. Probabilmente starà vivendo la vita che ha sempre voluto vivere, quindi non dispiacerti. Non ne vale la pena>
Restiamo secondi, o forse minuti in silenzio.
Lui non sa cosa dire ed io sono immerso nei pochi ricordi che ho di Des.
Ne ho veramente pochi. Giusto un paio.
Il primo ricordo è felice. Siamo in un luna park poco fuori città. Gemma non fa altro che parlare e mamma guarda con occhi innamorati papà.
Io tengo la sua mano e lui me la stringe amorevolmente, come fa un padre con il figlio. Tutti volevano andare sulla ruota panoramica, ma io avevo paura. Lui mi confortò, mi prese in braccio e per tutto il tempo mi tenne stretto a se. Mi fece sentire al sicuro.
L'altro ricordo non è altrettanto felice.
Sono mamma e papà che litigano. Mamma piange e papà le urla contro. Gemma è seduta sul divano e si tappa le orecchie per non sentirli, ma le urla sono troppo forti e non riesce a trattenere le lacrime.
Il rumore del timer interrompe i miei pensieri.
Scolo la pasta ed apro una scatola di condimento al pesto.
Adoro il pesto ed anche a Louis piace.
<Posso aiutarti?>
<Potresti rimettere la foto sulla mensola?>
Senza rispondere prende la foto e in punta di piedi la sistema al suo posto.
Trattengo a stento una risata mentre continuo a girare il condimento nella pasta.
È buffo vederlo in punta di piedi. Ha diciotto anni ed è poco più basso di me. Non so come faccia ad incutere timore alla gente anche non essendo particolarmente alto, ma ci riesce. E anche molto bene oserei dire.
Riempio i piatti e li porto a tavola.
<Com'è? Forse non è un granché dato che->
<Harry frena. È buonissima. La pasta migliore degli ultimi tempi> mi interrompe.
Sorrido soddisfatto e mando giù un boccone.
Non mi ero reso conto di quanta fame avessi fin quando non ho mandato giù la pasta.
Non è male. Sicuramente ho fatto della pasta più buona, ma per essere stata fatta di fretta e con Lou che mi guardava è venuta fin troppo bene.
Chiacchieriamo per il resto della cena, anche se io non presto molta attenzione alle sue parole. Sono troppo concentrato sui movimenti delle sue labbra: al modo in cui poggia la lingua sui denti quando sorride; al modo in cui se le lecca quando l'olio gli si poggia sopra; al modo in cui le stringe, mentre pensa a come rispondere.
Quando si interrompe per accertarsi che non mi stia annoiando o che lo stia ascoltando mi limito a rispondere con qualcosa che non sia del tutto insensata.
Vorrei poter riuscire a distogliere l'attenzione dalla sua bocca e concentrarmi pienamente sulle sue parole, ma non ci riesco.
Quelle labbra rosse hanno un qualcosa di magnetico, e so che non è un bene che continui a fissarle.
<Dovrai darmi qualche lezione di cucina> dice pulendosi la bocca, e distogliendomi dal guardare le sue labbra.
<Volentieri. Mi piace cucinare>
<Chi ti ha insegnato?>
<C'è stato un periodo, dopo che i miei si sono separati, in cui mia madre era perennemente ubriaca, e beh.....> esito <mio padre non gli dava troppo peso. Anzi non glielo dava minimamente, dato che ci ha abbandonati. Io e mia sorella ci siamo trovati varie volte da soli, e ci siamo dovuti arrangiare. All'inizio cucinava solo lei. Io ero troppo piccolo> puntualizzo e dopo aver fatto un respiro continuo <questa situazione è andata avanti circa tre anni, e quando ne avevo sette ho iniziato a vedere mia sorella cucinare. Se la cavava bene, ma per lei era un'obbligo non un piacere. Io ero piccolo, molto piccolo, ma adoravo vederla cucinare e aiutarla a farlo. Man mano che imparavo ha smesso di prepare la cena, quindi ho iniziato ad occuparmene io> concludo con un mezzo sorriso.
<Quindi hai iniziato a cucinare quando avevi sette anni?> chiede stupito.
<Già. Anche mia sorella aveva sette anni quando ha imparato. Ovviamente ci limitavamo alla pasta in bianco, e agli Hamburger, ma ci andava bene così>
<Il rapporto con tua mamma ora com'è?>
<È la persona che amo di più al mondo insieme a Gemma. Anche in quel periodo riusciva ad essere una madre fantastica.
Anche se per un po' ci ha fatto mancare le cene di famiglia è sempre stata una madre eccezionale. Ogni problema, ogni dubbio e ogni domanda che avevamo, lei riusciva a darci un consiglio, portandoci alla scelta giusta. Non riesco a rinfacciarle alcune cene a cui è stata assente. Era il periodo più brutto della sua vita e non merita rancore.
Era inamorata di mio padre sin dai tempi delle medie, e divorziare è stato come perdere una parte della sua adolescenza, e della sua vita. Loro hanno condiviso dei momenti magici insieme e non posso biasimarla se per qualche tempo ha cercato rifugio nell'alcol. Infondo, in quel periodo, quando ne avevamo bisogno lei c'era, e questo è l'importante> concludo con un sorriso.
Lou ha un'espressione triste. È come se stesse rivivendo qualcosa, ma non ho idea di cosa sia. Forse si sta immaginando la mia vita però non sembrerebbe data l'espressione.
Sembra che stia vivendo in prima persona qualcosa di orribile, e avrei tanta voglia di sapere di cosa si tratta.
Io mi sono aperto con lui. Gli ho racconto cose che non nessuno sa. Spero che lo faccia anche lui. Non necessariamente stasera, ma spero che con il passare del tempo lo faccia.
Non lo conosco da molto, però passando del tempo insieme ho capito che non ama le domande, e che quando si sente pronto a raccontare qualcosa lo fa.
Lo guardo, aspettando che smetta di tormentarsi.
<Ehy Lou torna sul pianeta terra. Non volevo rovinare la serata. Volevo solamente essere sincero con te>
<Non hai rovinato nulla. Sono felice che mi hai raccontato parte della tua vita>
Fa un sorriso, ma non sono i suoi soliti sorrisi. Non è forzato, però non è nemmeno felice. È una via di mezzo e forse per la situazione è il più adatto.
Nel raccontare il mio passato non ci trovo nulla di felice, ma ricordandolo riesco ad abbozzare un sorriso.
È bello pensare che oramai l'ho superato e che è solo una storia da raccontare.
Se devo essere onesto, pensavo che quel periodo durasse molto più a lungo o che addirittura non finisse. Sentivo alcuni racconti in tv, dai film principalmente, che non mi aiutavano a vedere una luce infondo al tunnel. Mi facevano credere che quel periodo abbastanza infelice durasse per sempre, e che sarei finito per essere un ragazzo emarginato, senza amici e che fumava troppo per l'età che aveva.
Ora non ho molti amici, ma non sono il ragazzo emarginato che fuma troppo per l'età che ha.
Metto i piatti sporchi nel lavandino e faccio cenno a Lou di seguirmi in salone.
Voglio raccontargli altro della mia vita. Momenti felici. Momenti che non voglio dimenticare.
Mi avvicino allo scaffale pieno di foto e ne prendo una di me e mia sorella.
<Qui avevo dieci anni, le ne aveva dodici. Era il momento che iniziava ad uscire con le amiche e ad avere le prime cotte per i ragazzi. Ricordo che quel pomeriggio sarebbe dovuta uscire con un ragazzo che non mi andava a genio. Glielo avevo detto, ma lei non mi ha dato ascolto. Ero riuscito a creare una sorta di "trappola"> mimo con le dita le virgolette <avevo appeso ad un filo un sacco di farina e quando ci è passata sotto gliel'ho fatto cadere addosso. Ovviamente non ci uscì più con quel ragazzo. Mi inseguì per tutta casa e alle fine sporcò anche me con la farina. Mamma trovava divertente farci una foto. Lei imbronciata perché non poteva uscire, ed io compiaciuto perché ero riuscito nel mio intento di sporcarla e non farla uscire con il ragazzo>
Lou scoppia a ridere ed io con lui.
La sua risata ha un suono bellissimo, e mi piacerebbe ascoltarla molto più spesso.
Continuo a raccontargli le dinamiche di altre foto e lui ride sempre di più.
Questi sono i ricordi che mi piace ricordare. Sono questi i ricordi che amo.
<È bello il rapporto che hai con tua sorella> dice, quando ho concluso di raccontare l'ultima foto.
<Vorrei poter dire lo stesso con mia sorella>
<Hai un sorella?>
<Ne ho cinque. Charlotte, ma tutti la chiamano Lottie, Felicitè, Daisy e Phoebe. Daisy e Phoebe sono gemelle>
Wow, ha cinque sorelle. Avevo capito che non fosse figlio unico quando in macchina ha detto che il cd era della sorella, ma non pensavo che ne avesse cinque.
<Non hai un buon rapporto con loro?> chiedo incuriosito.
"Spero che risponda" penso tra me e me.
<Phoebe e Daisy hanno cinque anni. Loro mi adorano. Ancora non sono in grado di distinguere il giusto dallo sbagliato. Felicitè ha dieci anni. Io e lei abbiamo un rapporto bellissimo. Qualsiasi cosa le accade me lo racconta. Molte volte mi tiene tranquillo quando vorrei urlare e rompere tutto quello che ho intorno>
Sorride mentre mi racconta di Felicitè.
Un po' mi dispiace che per lei stia spendendo moltissime parole e per le gemelle non ne abbia spesa nemmeno una.
Non metto in dubbio che gli voglia incondizionatamente bene, però da quello che lascia intendere il rapporto con Felicitè è totalmente diverso. È più paterno e più confidenziale. Anche essendo otto anni più piccola, lui si confida e chiede consiglio a lei.
Non voglio sembrare un ficcanaso, ma ho notato che ha evitato di parlare di Lottie.
Prima ha detto che non può dire di aver un buon rapporto con la sorella. Ha parlato al singolare, pur avendone cinque. Sono quasi certo che sia Lottie la sorella con il quale non ha un buon rapporto.
Dal modo in cui l'ha detto, ho dedotto che sia una cosa che lo fa star male, ma alla quale non riesce a trovare una soluzione.
<E Lottie?> azzardo, quando ha finito di parlare.
Il sorriso che aveva si spegne e il volto si rabbuia.
<Lottie ha dodici anni. Mi odia. Con lei sbaglio sempre. Quando tento di aiutarla la faccio stare solo più male. Provo a parlarle ma dico sempre la cosa sbagliata>
Mi dispiace per lui. È evidente che questa cosa la fa star male. Vorrei poterlo aiutare, ma non saprei come. Non conosco la sua famiglia e fondamentalmente non conosco nemmeno lui. Questa è la prima volta che si apre veramente con me.
Finora l'ho sempre fatto io, e sono felice che di sua spontanea volontà abbia tirato fuori le sorelle.
Sono felice che si sia voluto confidare del
rapporto complicato con Lottie.
<Vedrai che riuscirete a trovare un punto di incontro. Si vede che le vuoi bene, e sono certo che lei ne voglia a te. Forse tu provi ad approcciarti a lei come fai con Felicitè, però probabilmente Lottie ha un carattere diverso, e quindi ciò che dici a Felicitè con lei potrebbe non funzionare. Prova a cambiare approccio>
Louis ci ragiona un momento e non ribatte.
Da come si è evoluta la serata capisco che parlare delle nostre famiglie non porta a nulla di buono.
A me vengono in mente ricordi di mio padre che non voglio riportare alla mente, e Lou non sembra avere un buon rapporto con la sua.
Ogni volta che esce l'argomento cambia umore.
<Basta parlare delle cose che non vanno. Parliamo d'altro> dico andandomi a sedere sul divano.
Qualche istante dopo lui fa lo stesso e scegliamo un programma da vedere in tv.
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𝙉𝙪𝙫𝙤𝙡𝙚𝙩𝙩𝙚 𝙙𝙞 𝙂𝙞𝙪𝙜𝙣𝙤.
( Las Vegas, 08.06.2018 ) ‘ 𝐃𝐢𝐳𝐢𝐨𝐧𝐚𝐫𝐢𝐨: 𝘕𝘶𝘷𝘰𝘭𝘦𝘵𝘵𝘦. Le nuvolette sono i pensieri, quelli che occupano la nostra mente per giorni, settimane, quelli che si annidano nella nostra testa e non la mollano più. Le nuvolette rappresentano quei pensieri che ci fanno riflettere un po’ di più e ci tengono svegli la notte. ______
Mi conoscevi da pochi giorni, eppure mi avevi già capita e per questo mi hai detto “Secondo me hai tante nuvolette in testa” (o qualcosa del genere) per dirmi che sono una persona che pensa troppo. Ma questo "troppo" non ti ha mai dato fastidio, quindi l'ho sempre interpretato in chiave positiva.
Ti ricordi quando ti dicevo che molte mie nuvolette portavano il tuo nome? Eri felice perché eri riuscito ad entrare nei miei pensieri, eri felice perché in quel modo avevo confermato la mia cotta (questo termine mi fa sentire una tredicenne, ma passamelo) per te. Vuoi sapere una cosa che ancora mi lascia sconvolta? Non dovrei utilizzare il passato, non dovrei dire “eri felice..”, perché SEI felice. Al presente. Usare il presente con te, dopo un mese che ci conosciamo, pensare che in questo preciso istante ancora sei al mio fianco e sei felice di esserlo, mi sconvolge. Non sono abituata alle persone che rimangono, quindi perdonami se a volte risulterò sbalordita o se a volte parlerò come se non mi fidassi di te, farò del mio meglio per lavorarci su, per essere positiva al cento per cento. Perché in qualche modo sento che con te potrebbe funzionare davvero. L’ho detto anche altre volte in passato sbagliando totalmente, rimanendo poi delusa, ma non lo so, ti sento davvero con me, nella mia testa, nel mio cuore. Ti sento nelle ossa. E questo vorrà pur dire qualcosa, no?
Sei la mia nuvoletta costante, sei la mia nuvoletta preferita. Sei colorata, cambi spesso colore e sei di tutti quei colori belli, allegri e accesi, perché tu porti solo luce nella mia vita. La porti sin dal primo giorno in cui ti ho conosciuto e sai perché sto scrivendo questi miei pensieri su carta? Perché oggi è esattamente un mese che ci conosciamo ed io mi trovo seduta su una sedia, in un ospedale mentre cerco di non farmi prendere dal panico e tu sei con me. Ti guardo di tanto in tanto, perché per quanto io riesca a ricordare il tuo viso, guardarti fa sicuramente un altro effetto e ho bisogno di incrociare i tuoi dolci occhi marroni per poter stare meglio.
In realtà lo faccio per assicurarmi che sia tutto reale, che tu sia sul serio seduto a pochi metri da me. Che tu ci sia. E ci sei ancora, quindi forse posso tirare un sospiro di sollievo e non avere paura.
Sei la mia nuvoletta preferita, perché con te sto bene, se penso a te sono felice e non ho paura di essere quello che sono. Se penso a te il mio cuore respira aria pulita, non si sente intossicato, non si sente come se qualcuno lo stesse torturando o prendendo in giro. Ed io mi sono sentita presa in giro per mesi, ma sei arrivato tu giusto in tempo per portarmi via da quello.. schifo. Non è bello neanche questo di termine, ma lo voglio usare perché rappresenta bene la mia situazione precedente e voglio smetterla almeno per un minuto di dover essere carina, dolce e affettuosa, perché tutto ciò che ho vissuto prima di te mi ha fatto schifo. Tutte i ricordi che ho delle persone prima di te mi danno fastidio. Alcune di quelle persone vorrei non averle mai incontrate e ti giuro che avrei voluto conoscerti prima e risparmiare mesi inutili che anziché farmi crescere, mi hanno riportata al punto di partenza.
Ma tu sei arrivato giusto in tempo per portarmi via dalla fossa in cui ero finita. Stavo risalendo da sola, te lo giuro, stavo andando alla grande, ma la tua mano è stata la mia salvezza perché non sono poi così tanto atletica, ho perso un po’ di allenamento, quindi l’ultimo sforzo per uscire dalla fossa mi sembrava assurdo. Con te è stato facile. Con te sembra tutto facile, in realtà, ed è sorprendete. Mi sento così leggera, mi sento una piuma. È strano. È proprio una sensazione strana e non l’avevo mai provata prima d’ora. Pensavo di averla già sentita, ma mi sbagliavo, perché con te ogni singola emozione che provo sembra come se fosse la prima volta, come se stessi riscoprendo il mondo con occhi nuovi di zecca. Mi sembra come se tu fossi il mio primo tutto, la mia prima cotta, le mie prime uscite, il mio primo appuntamento, il mio primo bacio. E vorrei farti sapere che questa sensazione è ciò che più mi rende felice, perché ho sprecato le mie prime volte con persone che forse non meritavano neanche di essere nella mia vita, quindi sentirmi come se con te stessi imparando tutto daccapo mi fa stare meglio, mi fa vivere meglio.
Tu sei il primo ragazzo che mi fa sentire voluta. Voluta sul serio. Non sei titubante, non sei insicuro, non pensi troppo perché sai di volermi e me lo dici. Ogni giorno mi fai sapere cosa ti frulla in testa e mi dici chiaro e tondo che mi vuoi, che sono tua. E sono tua sul serio, mettiamolo in chiaro, a me non piace essere di nessuno, perché mi piace essere indipendente e amo me stessa e ciò che sono da sola, ma ecco, mi sta bene condividere me stessa con te. Mi tratti bene, mi tocchi con gentilezza, mi baci dolcemente e sentirmi tua mi fa un bell’effetto. Mi fa un bell'effetto perché mi sono sentita sempre di troppo o poco rispetto agli altri, mentre con te e per te mi sento giusta. Mi sento come se stessimo sulla stessa lunghezza d'onda e non devo avere paura di nulla, perché so che mi capisci. Un esempio sciocco: con altri ragazzi non mi azzardavo a scherzare sul matrimonio, mentre con te ho praticamente pianificato qualsiasi cosa e tu mi hai appoggiato. E lo hai fatto perché sapevi benissimo che stessimo scherzando e non ti sei fatto prendere dal panico, ma hai scherzato a tua volta. Non mi hai detto “Andrea, forse è un po' presto, non trovi?” perché sapevi che nella mia testa era tutta una barzelletta per farci due risate e che non ho sul serio pianificato il colore delle sedie o il tipo di fiori come decorazione. E questo mi fa sentire leggera. Mi fa sentire bene, perché significa che stai con me sul serio, che capisci ciò che voglio e ciò che penso. E sto scrivendo tutto su questo quaderno perché ho intenzione di raggruppare tutte le mie nuvolette per poi regalartele un giorno quando sarò pronta. (Oltretutto scrivere mi aiuta a non farmi prendere dall'ansia in momenti tragici e terrorizzanti come quello che sto vivendo ora, quindi grazie per essere un ottimo soggetto che riesce a farmi mantenere la calma).
Ci sono tante cose che non sai di me, come io non so tante cose di te. Insomma, ci conosciamo da un mese, ma tu vivi da trentatré anni ed io da ventitré, abbiamo un bel po' di anni da raccontarci, ma questo è ciò che mi spinge ogni giorno a chiederti di uscire, di passare del tempo con te. Le voglio imparare sul serio tutte le piccole cose che ti compongono e che ti hanno reso la persona che sei oggi e voglio farlo lentamente e nei momenti giusti, perché io e te abbiamo tempo, no? ’
( New York, 25.06.2018 ) ‘ Ti sei addormentato nel bel mezzo di un discorso, ma non me la sono presa, eri stanco e ho solo ridacchiato per quanto sei buffo in questi casi. Solitamente riesco ad addormentarmi insieme a te perché mi fai stare bene ed il mio cervello è tranquillo e rilassato in tua compagnia, ma ieri ero troppo euforica per poter andare a dormire “presto”. Ti ho guardato per qualche minuto - non in maniera inquietante, sia chiaro - e ho immaginato i tuoi tratti poiché il buio non mi permetteva di vederli bene. Li ho immaginati uno ad uno, posando lo sguardo sui tuoi occhi per pensare al loro colore scuro e dolce, portandolo poi sulle tue labbra morbide che quando si posano sulle mie o sulla mia pelle mi regalano un’infinità di emozioni che non saprei come definire per quanto forti. Mi è sempre mancata la parola giusta per descrivere ciò che provo e sento, ma se ti guardo dormire il mio cuore si riempie di quella bellissima sensazione di pace e soddisfazione che si ha quando finalmente si trova qualcuno di speciale. Lo sei sul serio, speciale. Ti ho guardato per pochi minuti e ho sorriso per la tua bellezza che non è composta solo da un bel viso ed un corpo mozzafiato, ma anche dalla persona che sei e dal cuore che hai. Discutere con te per due giorni di fila mi ha fatto realizzare questo e molto altro. Ho realizzato che non ho mai capito l’importanza di avere qualcuno che ti faccia sentire accettato e compreso fin quando non sei arrivato tu nella mia vita. Ho sempre creduto che ognuno debba fare le cose per se stesso, sentirsi libero ed alzare le spalle nel caso in cui qualcuno non capisse le nostre scelte. Con te mi sono resa conto che essere soli è bello, ma condividere la vita con qualcuno è molto più soddisfacente. Condividere la vita con qualcuno di giusto, di non tossico, qualcuno che ti vuole sul serio e che ti faccia sentire libero. "Libera." Tu mi fai sentire in questo modo. Spero di fare altrettanto. Abbiamo discusso e alla fine di tutto, ciò che avevo in testa non era una nuvoletta triste, ma una nuvoletta sollevata e contenta. Mi hai voluto bene anche se sono saltata a conclusioni affrettate, anche se non ho ascoltato subito le tue ragioni e mi sono impuntata. Ed io ti ho voluto bene anche se alcune cose che hai detto non le condividevo. Ma ti ho voluto bene soprattutto perché ti stavano andando bene i miei difetti come a me stavano piacendo i tuoi. Non mi stavi giudicando o trattando male, non mi hai dato della stupida e hai cercato di capire il mio punto di vista e il motivo per cui io sia arrivata ad infastidirmi. Non è una cosa da tutti, sai? Capire i motivi dell’altra persona. Soprattutto perché sono passata da persone che pretendevano di avere ragione anche quando era palese stessero sbagliano e dopo avermi fatto male si permettevano pure di dirmi “Non capisco perché tu te la sia presa così tanto”. Ma tu sei diverso. Tu l’hai fatto e ti sei preoccupato di ripensare a te stesso e a ciò che hai detto per trovare il punto sbagliato che ha scatenato tutto. Sono state discussioni semplici e veloci, nulla di grave, nulla di brutto, ma la tua maturità nel gestire anche queste piccolezze mi ha fatta sorridere. La tua attenzione nei miei confronti, il tuo accettarmi anche quando sono testarda da far schifo, il tuo volermi bene e dirmi che mi accetteresti sempre anche quando sono io a sbagliare. Questa è una delle tante cose che ti rende importante. Stai diventando sul serio la persona più importante per me, perché nessuno è mai entrato nella mia testa come te e voglio farti sapere che il mio cuore è pieno della tua persona, esattamente come lo sono anche i miei occhi, la mia bocca e la mia testa. Ieri, con quelle tue parole dolci mentre chiarivamo il tutto, sei entrato ovunque, sotto pelle, dentro le ossa e ho pensato che avere qualcuno come te, nella vita, è come aver vinto alla lotteria. Avere qualcuno come te che capisce, che è sempre presente e che non giudica è, senza ombra di dubbio, la cosa migliore che potesse mai capitarmi. ps. Mi dici sempre di non ringraziarti, ma io un “grazie” te lo direi almeno una volta al giorno. ’
( New York, 06.07.2018 )
‘ Non sapevo esistesse un giorno dedicato ai baci, ma la trovo una cosa molto carina e tenera, quindi mi va di scrivere qualcosa a riguardo. Oggi ti racconto del mio primo bacio e di quelli venuti dopo.
Il primo non è stato nulla di speciale, partiamo da questo presupposto. L’ho dato a sedici anni ad un ragazzo conosciuto in vacanza e di cui sapevo ben poco. Era un ragazzo spagnolo, ero andata in Spagna in quel periodo e mi sembrava un tipo simpatico e carino. Inutile dire che dopo averlo baciato è sparito nel nulla e che quello fu il bacio più imbarazzante del secolo perché ero impacciata e a disagio.
Tuttavia ricordo di aver iniziato a sognare di incontrare qualcuno da amare e da baciare ogni secondo, perché quello di posare le proprie labbra su labbra altrui è forse il gesto più dolce esistente al mondo ed è il primo passo verso la creazione di un’intimità inviolabile ed un legame indissolubile tra due persone. Ho sempre sognato di trovare qualcuno con cui condividere questa intimità e a forza di sognare sono finita tra le braccia di altre persone dopo quel ragazzo spagnolo.
Ho trovato speciale ogni primo bacio, perché con ogni ragazzo c’è stata un’intesa diversa. Con uno è stato divertente, con un altro è stato romantico, con un altro ancora è stato come tornare ad essere una tredicenne. E tu ora penserai “Perché mi stai raccontando nel dettaglio i tuoi baci?”, ma tutto questo lo voglio scrivere per arrivare a te e dirti che l’unicità di quei baci dati non è paragonabile alla magia provata quando le tue labbra si sono incastrate alla perfezione con le mie. Riesco a rivedere la scena: il tuo viso vicino al mio, le tue braccia intorno al corpo mentre stiamo sdraiati sul tuo letto. Mi volevi baciare da giorni esattamente come lo volevo io. Stavamo aspettando perché non volevamo correre e pensavi che il momento dovesse essere un altro, ma ci siamo guardati ed il leggero tocco delle mie dita sulle tue labbra ti hanno fatto capire che in realtà il momento era arrivato.
E quel bacio l’ho sentito fin dentro le ossa. Non ho sentito solamente le tue labbra, ho sentito Te ed il desiderio che avevi di me. Ho sentito i tuoi pensieri, come pensavi a me e a quanto mi trovavi giusta per te. Ho sentito il calore del tuo corpo mentre le tue braccia mi stringevano ancora di più. Quando ti sei allontanato ti ho guardato e ho realizzato che quello era appena diventato il mio vero primo bacio. ’
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Anime Rotte
Oggi la persona che scrive questo articolo si rende conto, anzi fa un conto della situazione. Siamo in bancarotta, l'animo delle persone è in bancarotta. Fin dalla nascita, il primo insegnamento da seguire è il rispetto. In primo luogo verso le istituzioni e dopo, verso la famiglia. Convincendoci sul fatto che: ribellarsi alle regole o comunque alle leggi imposte, farebbe del trasgressore un pazzo, un criminale e per la peggiore delle ipotesi, una minaccia per lo Stato o Status Quo, decidete voi cos'è meglio. Alzarsi la mattina, lavorare, pranzare, lavorare, tornare a casa, passare per il supermercato, cucinare, cenare ed infine incollarsi alla TV. Bisogna rimanere accesi per rendere il tutto ancora più dolce. Ed infine suona la sveglia. La mattina ti alzi e così via. La routine occupa il cervello, impedisce al pensiero di fluire e trovare un collegamento. Il nostro pensiero dovrebbe essere, anzi, deve essere come un ruscello che fluisce in un bacino d'acqua. In ogni caso adesso la mente è bloccata da una diga, o meglio, da una regola: lavorare per pagare o anche vivere per lavorare.
Mi sovviene in mente lo scopo primario delle api. Proteggere la regina qualunque cosa accada. In questo momento è lo stesso principio dell'essere umano o comunque, di quei pochi eletti, che impegnano l'animo mondiale nel proteggere una regina fatale dedita a distruggere il mondo. Nome in codice della regina: "debito mondiale". Non ho strumenti tali da poter dimostrare il malfunzionamento del concetto di economia mondiale. Posso solo usare il mio pensiero e le doti analitiche che, da anni, mi hanno reso dubbioso sulle regole mondiali del debito. Ero, no anzi, sono tutt'ora una persona come molti, che si alza la mattina e continua a guardare un immenso cielo grigio, chiedendosi stupidamente: quando soffierà questo fantomatico vento di cambiamento? Abbiamo deciso o forse no, di svendere la nostra essenza, nonostante i continui avvisi, nonostante le continue stronzate che si sentono in TV o nei computer, su collassi bancari, morali, di morte e quant'altro. La gente vive per lavorare e rimane impassibile, quasi sofferente, ma in ogni caso impassibile. Quasi mi viene da dire: l'essere umano ha raggiunto i livelli massimi di misantropa. Popoli privati del concetto di ribellione, o peggio, privati del coraggio ribellarsi, per omologarsi a quello che più volte è stato definito dai capi governo come: Nuovo Ordine Mondiale. Questi poteri forti, anche se preferisco definirli poteri deboli, in quanto è grazie alla capacità di noi schiavi, se determinai individui si fanno forti di un potere che, ovviamente è del popolo o come si diceva un tempo della plebe. Questo Nuovo Ordine Mondiale, ha la possibilità di dettare regole al limite dell'assurdo e modificare parole al limite del concepibile.
Prendiamo ad esempio la democrazia. Se Socrate fosse ancora vivo, arrivati a questo punto, direbbe che forse era meglio non concepirla. Ma cos'altro ci può essere oltre la democrazia? Rimango sul discorso: l'egoismo umano ha nel tempo contaminato un bellissimo e interpretativo concetto. Si basa su questo il problema mondiale, interpretare ciò che ci accade attorno. Individualmente o in piccoli gruppi, ci si può rendere conto che la democrazia può funzionare, ma in grandi gruppi questo è oltre modo impossibile. Basti pensare alla rappresentanza. Io odio il denaro, ma non vi è mai stato partito politico, almeno in quest'epoca a mio dire, che abbia mai parlato di eliminare il Dio denaro dalla faccia della terra. Prendo un altro mio pensiero come esempio: il denaro non esiste più, crollo del genere umano. Guerre tra classi, carestia, povertà e quant'altro può venire in mente a degli animali malati, schizofrenici e schiavizzati come l'essere umano. So anche che la risoluzione a tale benedizione, creerà come primo vero pensiero, quello di dare vita ad una necessaria misura, per avviare un discorso di scambio equivalente del prodotto o comunque di un determinato servizio. Semplifico questa parte del discorso dicendo : Tabula Rasa, si ricomincia da capo. Soffermo il mio pensiero su poche righe. Mi rendo conto che: con o senza soldi, le guerre, le carestie, la povertà e via dicendo, continuano lo stesso perché l'uomo è un animale meramente troppo stupido. Prendo anche in considerazione il pensiero mondiale o comunque di molti nel dire: "se mi ribello perdo tutto o quel poco che ho". Per definirlo meglio: Ho mangiato dalla ciotola, se me la togli come mangio? Il mondo insegna che, un cambiamento votato al meglio, non è mai una cosa buona a vedersi. Tanto per citarne alcuni che hanno dato prova di simile affermazione e che sono stati azzittiti: Mahatma Gandhi, Maritin Luter King, Malcolm X, Enrico Mattei, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Thomas Sankara, Adriano Olivetti e Alexandros Panagulis. Questi sono alcuni dei nomi a mio dire importanti e non si finirebbe di elencarli. Dato che sono tante le persone che hanno cercato di apportare un significato alla parola giustizia collettiva nonché sociale.
Le persone con il tempo sono divenute apatiche, misantrope, quasi disinteressate a comprendere cosa accade nel nostro mondo, questo anche fosse il nostro piccolo mondo. Oramai non è più una questione di banche, aziende multinazionali o soldi, ma di anime rotte, di persone scollegate tra loro. Siamo distanti, non ci conosciamo e non vogliamo conoscerci. I poteri deboli sono riusciti a dividerci. Ora la classe umana non si parla più, quasi si sente disturbata a parlare, non vogliamo parlare, non ci riteniamo pronti a parlare. Sempre perché questi poteri piccoli ci hanno dato qualcosa da perdere. Basterebbe soffermarsi e osservare in modo analitico che, quel tanto che pensiamo di avere da perdere alla fine non è niente. L'essere umano prima di tutto e specialmente in questo periodo, sta vivendo una fase totalmente individuale. Le riviste, i giornali, le TV, alimentano una speranza dove l'individuo ha gli strumenti sufficienti per cambiare il proprio destino. E se pensi di non avere tali strumenti ti sbagli, vuol dire che non ci hai nemmeno provato. Insomma, tutti quanti vogliamo far parte di un'élite esclusiva. Questo pensiero è una molla, è una forza che utilizzano contro di noi. Pongo un esempio classico con i mezzi di trasporto pubblico. Le persone preferiscono guardare da un'altra parte, sognando di poter essere i prescelti (Calvinismo) in grado di poter raggiungere la cima, o se vogliamo essere ancora più precisi la Fama. Quasi nessuno dentro ad un mezzo di trasporto parla con uno sconosciuto. La questione è esilarante, in quanto nel mezzo di trasporto pubblico viviamo tutti le stesse paure, le stesse stanchezze e le stesse preoccupazioni. Siamo troppo storditi dal lavoro e dal grigio cielo che ci copre. Per non parlare del tempo, che dovrebbe essere amico del uomo e invece lo trattiamo come un acerrimo nemico. "Sto diventando troppo vecchio", " Il tempo è denaro", o la frase che mi piace più di tutte: "chi ha tempo non aspetti tempo", che a mio parere penso sia uno dei proverbi più stupidi che l'uomo poteva asserire sul tempo. Mi si para un immagine macabra: Noi che grondiamo sangue da ogni parte del corpo, che veniamo frustati, fino a che non ci strappano dalle nostre menti i pensieri più privati. Fino scavare nel profondo dei nostri ricordi, modificandoli e arrangiandoli al tempo che viviamo. Come si dice: "è così che va il mondo", ah, si, giusto, non ricordavo. Inevitabilmente noi tutti siamo come le radici di un albero, ugualmente devono esserlo anche i nostri pensieri. Non sradichiamoli per omologarci.
Io credo che si stia perdendo il filo logico della questione, o forse l'ho perso io. In ogni caso, le persone non si incazzano, non si vogliono incazzare, se non per questioni flebili, che porteranno ad una crescita della paura, fino a trasformarsi nella auspicata guerra tra poveri o per meglio dire tra schiavi. Penso che un solo individuo che alza la voce non basta, ne servono di più. Però nel mondo si sono visti miracoli, di uno solo individuo che innalzandosi, è riuscito a farne alzare altri 100, 1000 e anche di più. I cambiamenti avvengono come di norma e regola solo se siamo noi a volerlo fare. Siamo noi che decidiamo di stare male, siamo noi che decidiamo di fermare questo debito, siamo noi che decidiamo di vivere e sempre noi decidiamo chi deve comandarci, siamo noi lo Stato. Siamo sempre stati e sempre saremo noi, a decidere le sorti del mondo. Noi anime rotte, noi anime apatiche.
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Sull’Eurovision Song Contest.
Anche questo Eurovison Song Contest è finito e io, come ogni anno, da quando l’Italia e ritornata a partecipare, l’ho seguito. Non mi ritengo un esperto, ma essendo un amante della musica e un cantante in erba credo di essermi fatto una sensibilità artistica e quindi volevo esprimere le mie impressioni, senza presunzione e spocchia.
Prima di parlare delle canzoni in gara ci tengo a dire che amo l’ESC, ma ci sono delle che non mi piacciono proprio e che spero in futuro possano cambiare. Sto parlando del diritto alla finale dei “Big 5″, trovo scorretto e poco etico che i 5 paesi che (detta in parole povere) sganciano più soldi abbiano diritto alla finale, non è per niente in linea con lo spirito di coesione e inclusione dell’Eurovision. Tuttavia penso sia giusto che ci siano dei finalisti di diritto, per bilanciare le semifinali che altrimenti sarebbero troppo “affollate”. Quindi, se dovessi stabilire io un regolamento, concederei la finale di diritto ai primi 5 (o 6) paesi nella classifica dell’anno prima, in questo modo probabilmente si darebbe almeno un po’ più di giustizia a chi partecipa al contest. La cosa che odio di più però del contest è questo favoritismo dei paesi vicini nei voti della giuria di qualità: squallidissimo. Il sistema di votazione sarebbe anche ottimo se non fosse per questa disonestà intellettuale da parte dei giurati; francamente non saprei come risolvere il problema, ma è possibile che non si trovi una soluzione?
Bando alle eurociance, quali sono le mie canzoni preferite di questo contest? Non volevo fare una classifica vera e propria, ok, alcune sono migliori di altre ma a loro modo hanno tutte qualcosa di particolare perciò ho diviso le mie 10 canzoni preferite in 3 gruppi a cui ho dato dei nomi molto originali perchè ho molta fantasia: “BELLISSIME”, “BELLE”, “BELLINE” . Le mie preferenze, tengo a precisare, sono basate da un insieme di fattori: gusto personale, qualità oggettiva musicale, qualità dell’esibizione sul palco. Non voglio usare tante parole, in molti ne hanno già parlato e stra parlato quindi darò un breve parere complessivo, Cominciamo!
BELLISSIME: Portogallo, Italia, Azeirbaigian, Armenia. Secondo me le canzoni che sono più efficaci all’eurovision sono quelle che uniscono elementi autoctoni e elementi internazionali, queste canzoni sono quelle che hanno saputo meglio condensare questi due aspetti. Ognuno di questi artisti poi ha saputo farsi riconoscere, personalmente sono tutte è quattro si sono “infilate” perfettamente nel mio cervello, non per l’orecchiabilità quanto per le particolarità di queste canzoni. Parlando di punteggi e classifica, non posso non essere d’accordo con la vittoria tanto amata e odiata di Sobral, però per Gabbani un posto sul podio secondo me ci stava tutto. Invece la azera e la armena credo che abbiano ricevuto poche attenzioni, specialmente la canzone armena. Comunque tutti e quattro gli artisti hanno saputo dare il meglio e anche dare un pizzico di originalità nel solito guazzabuglio di canzoni eurovisive.
BELLE. Belgio. Macedonia, Finlandia. Brevemente: la Macedonia mi ha fatto ballare e diveritre, e rispetto alle precedenti proposte macedoni è di gran lunga il miglior frutto che questo paese ha raccolto (che simpatico umoristaaaaaa!!). La Finlandia mi ha dato un’ atmosfera commovente, lei è stata impeccabile ed elegantissima, e chi ha detto che lei assomiglia ad Adele ha la vista di un Ray Charles e l’orecchio di un Van Gogh. Francamente ero convinto che entrambe passassero in finale, forse però hanno colpito più me personalmente che gran parte del pubblico, o forse non hanno sorpreso abbastanza sul palco, per questo le ho messe in questo gruppo. Sul Belgio devo dire che all’inizio proprio non mi piaceva il pezzo, ma nemmeno in semifinale l’ho apprezzato, ma in finale mi ha stregato. Blanche ha saputo mettere da parte lo “scagazzo” che aveva di stare sul palco della semifinale e quindi la performance è riuscita molto bene. Non ho messo Blanche tra le “bellissime” perchè il pezzo secondo me manca di qualcosa, però non so cosa e tutto ciò ancora mi disturba, perchè non riesco a capire cosa manchi alla canzone. (Help me!!!)
BELLINE. Moldavia, Serbia, Albania. Onestamente questo gruppo non è necessario, potrei benissimo classificare queste canzoni come “belle”, però volevo credermi per un pomeriggio un critico musicale quindi ho cercato di essere più rompipalle. I Moldavi sono stati fighissimi sul palco e il pezzo è un piacevole brainwashing, però personalmente non mi fa impazzire molto, sarò un po’ cattivo però mi ha ricordato molto le giostre delle sagre, e non è un bel ricordo da riesumare se siete me. Serbia e Albania sono canzoni che mi sono piaciute, anche se non particolarmente però le ho messe tra le mie dieci preferite anche perché credo si meritassero benissimo la finale e anche qualche buona posizione nella classifica. Sono canzoni che mi hanno “preso” molto comunque, l’Albania per il testo e la Serbia per l’arrangiamento drum n bass che a me garba sempre molto.
Voglio essere però onesto, più che altro con me stesso e con la mia vena canora che spero possa diventare una carriera. Alcune canzoni non mi sono piaciute però penso che oggettivamente siano state valide, come per esempio la Danimarca, la Svezia, l’Olanda e la Bulgaria. I pezzi non mi piacevano, specialmente quello della Bulgaria (il suo secondo posto mi ha amareggiato perché ci ho visto, come molti, un gioco politico che ammiccava alla Russia). Devo ammettere però che questi artisti sono stati impeccabili, sia vocalmente e sia dal punto di vista della performance, ma per mero gusto personale non mi hanno colpito le canzoni. Inoltre la Svezia e l’Olanda sul palco, a mio parere, sono sembrati inumani, sterili emotivamente, quasi come dei robot, mi hanno dato l’impressione che fossero sul palco solo per vincere. Insomma, la mia reazione a queste performances è stata “meh...”.
Prima di concludere definitivamente per quest’anno con l’eurovision ho deciso di fare un ultimo gruppo, nel quali ho messo non solo le canzoni ma anche i momenti più strani e più brutti del contesti. Momenti che mi hanno fatto ridere, piangere, incazzare, o tutti e 3, molti di questi momenti mi hanno proprio stordito la psiche. Li elenco brevemente come una sorta di inventario:
Sarò scontato ma l’invasione di culo australiano è stato un altissimo momento di televisione.
La Romania (non credo ci siano bisogno di spiegazioni).
La Croazia e la Grecia che ricevono 12 punti (seriamente, perché?)
La Spagna (sei fortunato che sei finalista di diritto, mannaggia a te Manel, tu e il tuo ritornello!! Comunque giustizia è stata fatta e sei arrivato ultimo).
La messa in scena dell’Azerbaigian (forse è proprio vero che “il troppo stroppia” perché la canzone in sé era molto interessante, peccato per la performance nonsense).
L’outifit dell’annunciatrice australiana.
Mi devo complimentare con Federico Russo e Insinna per la loro crona… ah no l’ho visto su youtube senza commenti grazie al cielo.
La mia TL di Twitter, veramente patetico, ok ha fatto ridere anche a me questo accanimento contro San Marino ma per i primi 5 minuti poi basta. Poi che Sobral possa non piacere capisco perché non è un genere popolare, però non c’è bisogno di annunciare guerre per dire che una canzone non piace.
Bene, credo di aver detto tutto, volevo anche parlare più nello specifico di Gabbani, della questione Rai e di Sobral, ma poi mi sono reso conto che finirei per scrivere un libro che nessuno leggerebbe e poi, come già ho detto, di questo Eurovision 2017 se ne è parlato troppo ma più che altro male. Il mio augurio per l’anno prossimo è che la Rai prenda esempio da questo tipo di contest e che il pubblico italiano se ne interessi di più.
Ci risentiamo l’anno prossimo a Lisbona!!
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Cose vecchie, cose nuove e scarpe buone per la Golden Week
Quando iniziate una conversazione con un giapponese nella sua lingua, in cuor vostro sapete già che, per quanto capre possiate essere, arriverà sempre il momento in cui il rappresentante di turno di questo popolo di falsi cortesi che manco i piemontesi si complimenterà con voi per la vostra bravura linguistica. 日本語お上手ですね。 E voi vi sarete magari semplicemente limitati a dire arigatò, ma con l'accento sulla o proprio eh. È un momento che vedrete proprio arrivare perché lo imparerete a leggere negli occhi del vostro interlocutore: il giapponese davanti a voi non ve lo vuole dire perché probabilmente non lo pensa, ma qualcosa, forse il fatto che ormai siete a corto di argomenti, lo spinge sconfortato a inscenare un teatrino il cui canovaccio risale probabilmente al periodo Edo quando i primi missionari portoghesi, un nome per tutti João Rodrigues, autore del Vocabvlario da Lingoa de Iapam, iniziarono a studiare il nipponico idioma e i daimyō locali cominciarono a lusingarli nella speranza di mettere le mani sugli archibugi portoghesi. Voi non ci crederete che state per fare tutta la sceneggiata, ma vi piegherete docilmente alle esigenze del copione: そんなことないですよ。 Un'altra domanda che immancabilmente seguirà riguarderà il motivo per il quale vi siate mai avventurati nell'irto sentiero dell'apprendimento di una lingua così complessa. Ebbene, il motivo per cui ho cominciato a studiarla è venuto finalmente a trovarmi in Giappone durante questa Golden Week.
Fruit ninja pronti per l'uscita del loro primo indie EP "You are the lemon of my eye and you are the kiwi of mine".
Sono sempre un po' in difficoltà quando devo rendere conto del perché mi sia messo a studiare il giapponese: di solito attacco con "quando ero alle medie una mia amica si era appassionata di manga e anime e aveva cominciato a studiare giapponese per conto proprio, e siccome diceva che era interessante mi sono fatto prestare da lei il manualetto di grammatica e mi sono messo a studiarlo anch'io". Ma dalla domanda successiva, che di solito è "che manga leggevi?", capisco che immancabilmente l'interlocutore non mi è stato a sentire e ha arbitrariamente deciso di riassumere tutto in "ho iniziato a studiare giapponese perché mi piacevano i manga". Ma va bene lo stesso, tanto non mi sta mai a sentire nessuno.
Questa mia amica è F., vicentina come me, un anno più grande, giovane talento del design, residente da qualche anno in Inghilterra e presto consorte di T., un lord delle terre di Albione che più di lei ama solo i giochi di parole squallidi, e che quindi non poteva che starmi simpatico. Finalmente, dopo aver passato praticamente l'infanzia e l'adolescenza insieme ed esserci poi rincorsi nei nostri ritorni in Italia in seguito alle rispettive diaspore, siamo riusciti a incontrarci in Giappone, dove ho potuto infine farle vedere in che razza di casino mi ha cacciato. Non ci potevo credere che sarebbe finalmente venuta in visita finché non me la sono ritrovata davanti all'uscita nord della stazione di Nakano un giovedì sera, con valigione e fidanzato, entrambi enormi lol
Grazie ai giorni di vacanza della Golden Week siamo riusciti a non limitare la visita a Tokyo ma ad andare anche a Kyoto, che per chi vede il Giappone per la prima volta secondo me rimane una tappa imprescindibile. Memore del monito di madre che, dopo il tour de force a cui ho costretto lei e sister durante la loro permanenza a Kyoto, mi ha ricordato che devo morire e non far morire gli altri, avevo cercato di ridurre il programma e diluirlo meglio, e anche se si è comunque rivelato troppo ottimista, siamo riusciti a portare a casa quasi tutti i must-see lasciando qualcosa per la prossima volta. Personalmente poi sono riuscito anche a visitare qualche punto di interesse che ancora mi mancava, per cui, come ci è spesso capitato di esclamare durante questo viaggio dove si è parlato una specie di esperanto che mischiava goffamente italiano, inglese e giapponese, "it became study!"
A dire la verità anche posti visitati mille volte hanno rivelato qualche sorpresa: per esempio, mi era completamente sfuggito il pino a forma di barca nel giardino del Kinkakuji, un bonsai di circa 600 anni sfuggito un po' di mano ad Ashikaga Yoshimitsu e cresciuto a dismisura modellato in modo da sembrare una barca. O tipo il pozzo nel giardino del Ryōanji, sapevo che riprendesse una vecchia moneta e che i quattro caratteri incisi (吾唯足知) significassero una cosa tipo "imparo solo come essere soddisfatto", ma mi era sfuggito che fossero stati scelti in modo da venire completati dal quadrato al centro che così diventa non solo un buco ma anche parte del significato (sono infatti disposti in modo che il radicale 口 presente in tutti e quattro sia occupato dal foro del pozzo).
Foto di repertorio scattata nel lontano settembre 2014, sigh.
Menzione speciale al Kiyomizudera che, giusto per non interrompere la catena di sfighe che sempre devono infierire ogni volta che faccio del turismo, era in ristrutturazione pesante - giapponesi, avete una settimana di vacanza in tutto l’anno e riuscite a fare i lavori in uno dei templi più visitati di Kyoto proprio in quel periodo lì? Ma guardate che siete magici eh.
Però ecco diciamo che almeno questa volta sono riuscito ad arrivare anche dall’altra parte della collina dove sorge la pagoda che sembra alta se la vedi spiccare tra le fronde dal tempio, e invece quando ti avvicini è abbastanza miserella. La vista del tempio da lì ad ogni modo ci ha ripagati della camminata in salita, così come il profumo di fiori e di verzura da cui eravamo circondati e che mentre io ho commentato con: “What a pleasant scent of flowers...” F. ha prontamente ucciso con: “These flowers stink, I hate them so much."
Tra le new entry di questo viaggio, comunque, citerei il Konkai-Kōmyōji, tempio di scuola Jōdō che in periodo Edo fu residenza di Matsudaira Katamori, capo della Shinsengumi, il corpo di polizia dello shogunato Tokugawa che se non fosse per Gintama credo avrei completamente dimenticato (AAAH ALLORA LO VEDI CHE LI LEGGI I MANGHI, PERZONA FALZAAAAA!!!1!!111!!!!11!).
Il motivo che mi ha spinto a visitarlo però è stato piuttosto il fatto che tra le tombe nel suo precinto ospita una statua molto particolare, conosciuta dai kyotoiti come “Afro Buddha”. Si tratta in verità di una rappresentazione di Gogoh-shiyui-amida-butsu (五劫思惟阿弥陀仏, ‘il Buddha Amida in contemplazione per cinque kalpa’): si dice infatti che i capelli di Buddha crebbero a dismisura mentre egli era assorto in meditazione per cinque kalpa, un’unità di misura temporale infinita come l’eone, che può essere descritta come più lunga del tempo che occorre a una montagna per sparire se ogni cento anni la si strofina una volta con un pezzo di seta, o anche come il tempo che ci vuole per finire la Salerno-Reggio Calabria.
Altra piccola soddisfazione, ma per un motivo meramente metaletterario più che turistico, è stata riuscire ad andare a fare colazione allo Shinshindō 進々堂, un café dove si danno appuntamento i protagonisti dell’ultimo film di Yuasa Masaaki, “Yoru wa mijikashi, arukeyo otome” (「夜は短し、歩けよ乙女」“La notte è giovane fanciulla, cammina”).
Ora, lasciate che mi limiti ad aprire solo una piccolissima parentesi su quanto io stia in fissa con questo genio dell’animazione giapponese, di cui ho visionato tutte le visionarie opere su cui sia riuscito a mettere le mani. Tra tutte, ho particolarmente amato “The Tatami Galaxy”, deliziosa serie ispirata a un romanzo di Morimi Tomihiko regalatomi per i miei 23 anni dal basco e che ancora non ho letto adesso che vado per i 26, con l’inconfondibile character design di Yusuke Nakamura e contributi musicali degli Asian Kung-Fu Generation.
Quando quest’anno ho saputo che Yuasa avrebbe riportato sul grande schermo una nuova commistione di tutti questi elementi trasponendo un altro romanzo di Morimi mi sono straesaltato e sono corso al cinema appena ho potuto, ma evidentemente sono giunto a un’età in cui l’entusiasmo provoca sonnolenza perché credo di essermi abbioccato in diverse parti abbastanza cruciali dato che, per quanto il nonsense sia una delle cifre che caratteristicano le opere di questo autore, quando cerco di ricordare il contenuto del film ho dei buchi di trama abbastanza importanti. Questo non mi ha comunque impedito di fangirlare tantissimo e di innamorarmi perdutamente della canzone dei titoli di coda.
「あの娘がスケートボード蹴って表通り飛ばす ♪」
Beh insomma tutto molto bello, soprattutto perché i romanzi di Morimi sono spesso ambientati a Kyoto e quindi l’idea di vivere la città come se fosse un suo romanzo mi affascinava molto. Peccato solo che boh, non è che si mangi poi nulla di speciale in sto Shinshindō, e le tavolate coi banconi bassi non erano proprio quello che mi aspettavo dopo aver visto l’interno del locale nel film. Però insomma vabbè, uno si fa la foto ricordo e si porta a casa la lezione che se han tirato su la quarta parete ci sarà un motivo e si ricorda che non bisognerebbe mai buttarla giù.
Tappa che mi sono reso conto di non essermi quasi mai fatto mancare quando sono nei dintorni di Kyoto, anche Uji, la città che profuma di matcha, ha rivelato delle sorprese. Innanzitutto il giardino del Byōdōin con i suoi tralicci di glicine, fiore che in giapponese si chiama fuji 藤, quindi immaginate se potevo risparmiarmi i miei soliti giochi di parole demmerda con un simile potenziale tra le mani.
(F)Uji!
Tra l’altro, se in inglese la più bella combinazione di parole è “cellar door”, credo che in italiano la migliore sia probabilmente proprio “tralicci di glicine”.
“This famous linguist once said that of all the phrases in the English language, of all the endless combinations of words in all history, ‘cellar door’ is the most beautiful.”
Nonostante fosse la mia quarta volta a Uji, anche in questo caso sono stato contento di riuscire a vedere comunque qualcosa di nuovo: l’Ujigami-jinja, altro patrimonio UNESCO come praticamente tre quarti di Kyoto e dintorni, che credevo di aver visitato ma che in realtà avevo confuso con l’Uji-jinja durante la mia prima gita a Uji. La storia dei due santuari dai nomi così simili è un po’ complessa e si può riassumere così: fino al 1868, l’Ujigami-jinja era parte dell’Uji-jinja e i due santuari erano conosciuti rispettivamente come Rikyu-kami e Rikyu-shimo. Dei due, l’Ujigami-jinja è il più antico e anzi si ritiene sia addirittura il più antico santuario ancora esistente di tutto il Giappone. Considerato una sorta di guardiano del vicino Byōdōin, è dedicato alle tre figure storico-leggendarie di Uji-no-Waki-Iratsuko, a suo padre, l’Imperatore Ojin, e a suo fratello maggiore, l’Imperatore Nintoku. Vi sono varie versioni circa l’avvicendamento dinastico, ma secondo le cronache riportate dal Nihonshoki, Ojin avrebbe voluto che fosse Uji-no-Waki-Iratsuko a succedergli, ma egli si suicidò per permettere a Nintoku di prendere il potere perché lo riteneva più adatto e perché trovava sconveniente che un primogenito finisse agli ordini del fratello minore. Se la regia mi fa partire la sigla di Biujiful, grazie.
Già che ci eravamo spinti leggermente oltre Kyoto andando a Uji, il giorno dopo abbiamo deciso di andarcene ancora più fuori dalle balle e ci siamo detti: sai che c’è? C’è che prendiamo un treno speciale (nel senso di costosissimo e con lo stesso tempo di percorrenza che lo Shinkansen impiega per andare da Tokyo a Kyoto) che va ad Amanohashidate, il Ponte per il Paradiso, Paradiso città.
Amanohashidate è un istmo di sabbia ricoperto di alberi che si estende per quasi tre chilometri e mezzo lungo la baia di Miyazu, a nordissimo di Kyoto, ed è considerato a pieno diritto uno dei tre panorami più suggestivi del Giappone (gli altri due sono Miyajima con il suo torii galleggiante e Matsushima con le sue isole di pini, l’ultimo che mi manca, ma non preoccupatevi, gotta catch ‘em all!). La leggenda vuole che Izanagi, divinità maschile primigenia della mitologia giapponese, usasse una scala per scendere dal cielo alla terra dove risiedeva la sua amata Izanami. Un giorno, addormentatosi, dimenticò di ritornare in cielo prima che calasse la notte e la scala cadde, formando l’istmo che oggi vediamo. Sarebbe proprio qui, tra l’altro, che le due divinità avrebbero dato vita alle terre emerse che poi avrebbero costituito il Giappone.
Le tre vedute del Giappone (日本三景, Nihon Sankei) secondo Utagawa Hiroshige.
Una volta arrivati ad Amanohashidate, noleggiamo le biciclette per percorrere l’istmo e ci inoltriamo nella pineta che profuma di salmastro, immersi nello spirto silvestre, d'arborea vita viventi. Credo che mi rimarrà per sempre impressa la sensazione della brezza marina che mi veniva incontro e mi scorreva tra le dita mentre pedalavo con una mano tesa verso le fronde dei pini, molti dei quali, tra l’altro, hanno un nome: qui sotto, per esempio, da sinistra potete vedere i pini coniugi, che crescono biforcandosi dallo stesso tronco; il massiccio pino da mille kan; e il pino della saggezza, diviso in tre tronchi principali così come tre sono le persone che dovrebbero consultarsi per elaborare un buon piano.
「はし立や松は月日の こぼれ種」与謝蕪村 “Hashidate, i tuoi pini del tempo sono i figli spontanei” (Yosa Buson)
「潮騒の声を聞いた、影法師見つめてる。手を引いた足跡に砂の音残るようです。ああ、そうだ、君の、君の風景が写ってる、小さな波を見て。ああ、そうだ、僕の、僕の風景も優しく小さな日々と重ねて」
“Ho sentito il rumore delle onde, osservo il profilo delle ombre. Nelle orme che mi hanno condotto per mano pare rimanere il suono della sabbia. Ebbene sì, guardando i piccoli flutti appare il tuo paesaggio. Ebbene sì, anche il mio paesaggio si sovrappone dolcemente a queste piccole giornate”
Tra tutti questi pini, tra l’altro, mi ha fatto abbastanza ridere che ci fosse una lastra con un haiku di Bashō a cazzo a fianco del quale si leggeva: “vabbè probabilmente Bashō non è mai stato qui e non ha mai scritto haiku riguardo ad Amanohashidate, ma cazzomene noi volevamo dedicargli questo monumento lo stesso perché sì”. Lol, okay? Ad ogni buon conto, una volta attraversato tutto l’istmo e sbucati fuori dalla pineta, ci dirigiamo verso il vicino Kono-jinja (籠神社、あの神社じゃなくて).
Questo santuario, all’interno del quale non è permesso fare fotografie per non si capisce bene esattamente quale motivo, originariamente ospitava la più importante divinità del pantheon scintoista, la dea del Sole Amaterasu, e la dea dell’Agricoltura Toyoukehime. A entrambe è stato poi dedicato l’Ise-jingū, ma è ancora possibile venerarle qui.
Proseguendo oltre il Kono-jinja, si arriva a una seggiovia (di fianco scorre anche la funivia, ma vuoi mettere il brivido di salire su una sedia appesa a mezz’aria senza sbarre di sicurezza, che si vede è prassi in Giappone perché non è la prima volta che ne registro la mancanza) che in sei minuti porta in cima al Kasamatsu Park, un belvedere da cui finalmente si può godere la vista mozzafiato della baia di Miyazu tagliata a metà dalla sottile lingua di sabbia di Amanohashidate. Pare sia tradizione consolidata fare una foto ricordo mentre si osserva il panorama attraverso le proprie gambe (股のぞき, matanozoki), perché si dice che così facendo l’istmo appaia galleggiare. Non so, a me è andato il sangue alla testa e mi pareva che mi venisse da vomitare, quindi credo che sia la sensazione di nausea diffusa che fa sembrare che effettivamente tutto galleggi, ma non vorrei rovinare la poesia di questa pratica.
A sette minuti di autobus da Kasamatsu Park si può poi arrivare al Nariaiji, tempio buddhista dedicato a Kannon che si dice possa realizzare qualsiasi desiderio. La leggenda vuole infatti che un monaco di questo tempio avesse pregato il bodhisattva di salvare il villaggio dalla fame garantendo un pasto a tutti; prontamente, la statua di Kannon qui venerata si trasformò in un cervo offrendogli parte delle sue carni.
Altre attrazioni interessanti dei tempio sono il Jizō che realizza tutti i desideri; la campana che non suona, per realizzare la quale furono raccolte donazioni da tutti i fedeli tranne una ricca signora, che, venuta a vedere l’opera finita con l’ultimo nato, fece cadere il bambino nella torre campanaria, tragico evento in memoria del quale la campana non fu più suonata; e il belvedere di Bentenzan da cui si gode una splendida vista della baia e della pagoda a cinque piani del tempio stesso.
Sulla strada del ritorno, correndo contro il tempo per cercare di non perdere il treno che ci avrebbe riportati a Kyoto, abbiamo fatto giusto in tempo a dare una rapida occhiata ad Isoshimizu, una fonte di acqua stranamente dolce nonostante si trovi nel bel mezzo dell’istmo, selezionata come una delle cento acque più pure del Giappone, e il Chionji, un tempio dedicato al bodhisattva della saggezza Monju.
「橋立の松の下なる磯 清水都なりせば君も汲ままし」和泉式部 “As if found in the capital, you too, could cup in your hands the fresh water of Iso-Shimizu that tumbles from the Ama-no-hashidate pines.” (Izumi Shikibu)
Concludo questo interminabile resoconto di viaggio con un ringraziamento a F., che è stata la ragione per la quale ho voluto tornare a Kyoto per la Golden Week in modo da farle visitare la città - inutile che ve lo ripeta perché l’ho scritto anche troppe volte ormai, Kyoto è e spero rimarrà sempre per me un posto unico e speciale, dove, come dice Banana Yoshimoto in ‘Sweet Hereafter’, “qui e là si mescola il mondo dei sogni”; un luogo dove ogni volta che torno sento che anche se non sembra cambiato niente nulla potrà più tornare come prima, perché nel frattempo sono cambiato io; una città dove se un incontro è destino capiterà, come quello con C. che avrei voluto contattare ma non ero sicuro che avrei avuto il tempo di andare a trovare, e che invece ha trovato me per puro caso nei pressi dello Yasaka-jinja.
Grazie F. per essere stata la molla che ha fatto scattare l’interesse che mi ha poi molti anni dopo portato qui. Mi sono ritrovato a riflettere spesso durante i nostri giorni a Kyoto a quanto diversamente avremmo vissuto questo viaggio se l’avessimo fatto anni fa, quando il Giappone ci sembrava lontanissimo, letteralmente dall’altra parte del mondo, poco più che un sogno che, come il poliziotto di Paprika, non potevo sapere che un giorno sarebbe diventato così reale e “normale”, tra le mille virgolette del caso.
"Tu non hai fatto niente di male. Hai soltanto vissuto il nostro film nella realtà. Ecco perché sei diventato un poliziotto. È una verità nata dalla tua fantasia... non dimenticarlo mai." "...Già. Dalla mia fantasia."
Grazie F. perché se è vero che siamo cambiati rispetto ai due adolescenti fomentatissimi per tutto quello che di giapponese potevano reperire nella loro piccola provincia, nonostante il tempo passi, le distanze siano aumentate e la nostra quotidianità sia così diversa, mi è sembrato di riprendere esattamente da dove avevamo lasciato l’ultima volta che ci siamo visti, e sì che da allora ne sono successe di cose. Non sono tantissime le amicizie che durano così tanto e che sopravvivono a cambiamenti così drastici, per cui mi sento molto fortunato di aver avuto la riprova che questo è il nostro caso.
Grazie per la biciclettata notturna fino al karaoke, per i discorsi seri in italiano, per le battutacce in qualsiasi lingua, per la promessa di tornare, possibilmente prima che caccino pure me lol. Arigatō kudasai.
“Buppanase like a dangan liner!” [cit.]
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