#ci provo anche io
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oggi la cassiera all’eurospin mentre pagavo mi ha chiesto se il colore dei miei capelli fosse naturale e mi ha fatto i complimenti
io tutta imbarazzata ero tipo: vorrei tanto ma no, grazie 🥹👉👈
#mi ha detto che se avesse il coraggio li tingerebbe anche lei#e io ero troppo imbarazzata per dirle che stava bene anche lei e che avrebbe dovuto provare#se la vedo la prossima volta ci provo#aaaa da quando ho tagliato i capelli è la quarta persona che mi fa i complimenti per i capelli#tralasciando il tipo che mi ha catcallata#però non sono abituata ai complimenti da sconosciutiii
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dicono tutti che fuori si sta meglio. dicono tutti che in italia non ci sia lavoro e che fuori sia tutto perfetto. la verità è che chi non lo ha mai provato non ha la minima idea di come cazzo sia vivere all'estero. e non parlo dei sei mesi di erasmus di cui praticamente non ricordi un cazzo perché eri sbronzo cinque giorni su sette. parlo di provare a vivere veramente in uno stato che non sia il tuo, parlo di vivere veramente da "straniero". ci sono una serie infinita di meccanismi che si attivano che voi non avete neanche idea di che cazzo stia parlando. il problema più grosso rimane e rimarrà sempre il lato sociale.per chi non fa altro che sperare di andarsene dall'Italia perché non c'ha una lira e crede che fuori ti tirino i soldi li direi di fermarsi un po' a pensare che cosa sta facendo prima di partire veramente. forse il problema sta anche nel fatto che io non ho mai avuto problemi di soldi e non ho mai avuto problemi ad arrivare a fine mese, può essere. ma l'incompatibilità che provo quotidianamente da sette anni con il popolo con cui vivo non avete idea di cosa sia. la settimana scorsa sono stata mezza giornata a Verona e mi sono ritrovata per caso su una strada qualunque e stavo bene. io non sto mai bene. la gente attorno a me era sulla strada, stava fuori, all'aperto, era sulla strada e faceva chiasso. la gente parlava ad alta voce, le macchine andavano di qua e di la, i bus si fermavano alla fermata in cima alla strada. c'erano macchine, vespe, bus e tanta tanta gente fuori sulla strada che camminava e andava a passeggio. ed era tutto bello. la gente sembrava proprio felice. c'era quell'odore di estate che si sentiva a scuola verso fine maggio. quando alle nove c'era ancora il sole e la gente era felice. felice. cazzo che bella che era la vita. se solo avessi fatto qualcosa o tutto diversamente. se solo avessi capito quanto sarebbe stato poi difficile rivivere momenti come quelli.
con chiunque parli e dica che voglio tornare mi guarda malissimo e mi riempie di frasi senza fine per farmi capire di quanto si stia male qua. gli unici che mi capiscono sono quei poveri sfigati come me, che vivono incastrati in un posto che da fuori sembra incantato, invidiato da tutti ma che poi dall'interno è pieno di cose che non vanno. inutile quanto tu ci provi ma questa non è casa tua e mai lo sarà. e sinceramente, ti dirò, va anche bene. va anche bene perché io non ho più nessunissima intenzione di 'integrarmi', anche se questa parola alla fine non vuol dire un cazzo. sono pochissimi i tedeschi o gli austriaci con cui esco volentieri nel mio tempo libero, forse due, e uno di questi è il classico austriaco estremamente impacciato e timido che mi mette totalmente a disagio e con cui esco due volte all'anno perché è il mio massimo livello antidisagio. non è una brutta persona, ma semplicemente 'non funzioniamo', non c'è vibe come direbbe mio fratello da figo. e ripeto va bene perché lo ho capito da tipo due anni che per vivere da voi non devo necessariamente vivere con voi. ma già dietro questa frase si capisce il livello di solitudine estrema di una persona. vivo in austria e non ho nessun legame profondo/serio con nessun austriaco. condizione che, lo dico per sentirmi meglio, è condivisa da circa 2 su 3 degli stranieri residenti in austria. ovviamente non sono sola, ho conoscenti e amici. credo che però qualunque persona normale capisca che non sia proprio il massimo. la mia vita a 27 anni è totalmente differente rispetto a quello che mi ero immaginata. e quindi decidi di restare in un posto che non ha nulla, ma proprio nulla a che fare con te, ma dove però funziona bene o male tutto e dove hai un lavoro. il mio lavoro in Italia neanche esiste o meglio si c'è, ma la maggior parte delle volte è su base volontaria o gestito da Onlus che ti pagano male e poco, se ti pagano. mesi fa ho conosciuto questa ragazza che ha fatto lo stesso mio lavoro ma in Calabria. le sono arrivati i soldi dello stipendio cinque mesi dopo. io con il mio lavoro arrivo a 2000/2100 mensili netti. questa prendeva si e no 1200 al mese.
dove vivo io fanno tutti sport. ho sempre trovato gli austriaci molto poco attraenti ma hanno tutti dei fisici quasi perfetti. la gente continua a fare sport. è l'unica cosa che puoi fare. vai al lavoro e dalle 5 in poi ti chiudi da solo con le tue cuffiette in mezzo ad altri 100 depressi per due ore in palestra. non c'è altro. il weekend esci per modo di dire... fai una passeggiata il sabato, se hai fortuna trovi qualcuno con cui mangiare insieme anche a cena. la domenica non ve la descrivo neanche. per chi non è mai uscito dall'Italia prima la domenica in una paese germanofono è un'esperienza surreale. la domenica qui è il giorno per la famiglia, nonostante io mi chieda che cazzo faccia una famiglia di cinque tutta la domenica chiusa in un appartamento da 60 mq dato che trovare qualcosa da fare è impensabile. è tutto chiuso. a Vienna la domenica ci sono 4 supermercati aperti in tutta la città. l'unica cosa che puoi fare la domenica è indovina cosa? sport. O andare magari al cinema due ore il pomeriggio.
chi vive in questi posti e ha origini mediterranee, africane o viene dal medio oriente vive una vita a metà. la cultura di questi posti non ha assolutamente nulla a che fare con la nostra essenza. la gente è di un piatto che non si può descrivere. esattamente come le loro domeniche.
secondo me l'unico modo di sopravvivere più o meno bene e quella di trovarvi un partner. se state pensando di andarvene non fatelo da soli. in questi sette anni ho visto tanta di quella gente venire qua e vivere i primi due anni in una sorta di trance psichedelica perché guadagnavano 3000 euro al mese e poi al terzo anno cadere in una depressione pesante a causa della solitudine che ti offrono questi posti. non è una solitudine che si può spiegare. passi la tua esistenza in maniera alienante in mezzo a persone da tutto il mondo che sai che prima o poi se ne andranno per non tornare più e poi ricominci a conoscere sempre nuova gente e così via in in ciclo infinito di cene e pomeriggi passati a parlare del più e del meno con gente che sai che non si fermerà mai nella tua vita e con cui appunto non puoi che parlare del tempo
i primi quattro anni che stavo qua pensavo sempre che più sarebbe passato il tempo più mi sarei abituata e avrei fatto meno fatica. sinceramente ho sempre pensato che l'integrazione andasse a pari passo con la lingua. che gran cazzata. ora so la lingua e bene o male so dire tutto ma faccio più fatica ogni giorno che passa. e ogni volta che parlo con qualcuno che vive qui da anni come me mi confermano la stessa cosa. dieci anni fa mai e poi mai mi sarei immaginata di fare questa vita qua.
nessun di noi sta male male. hai uno stipendio, se sei fortunato fai pure un lavoro che ti piace, hai le tue cinque settimane di ferie all'anno, hai il tuo appartamento, hai il tuo cerchio di amicizie, hai l'amico argentino che fa sempre figo tornare a casa a natale e parlare allo zio che non è mai andato oltre Trento dell'amico argentino eppure vivi sempre a metà e tutto ciò è impossibile da spiegare a chi non viva o abbia vissuto nella stessa situazione.
boh. come tutta la mia vita, boh
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Mi spiace, ma non ti amo più

Trasciniamo da tempo e ormai inutilmente la nostra logora storia. Un’unione che muore, un matrimonio che naufraga sullo scoglio di un’inaspettata, nuova passione di uno dei due non è mai un affare semplice da affrontare. Perché se con un uomo ci stai, se gli hai concesso tutta te stessa, evidentemente lui t’ha dato emozioni forti. Ma la fedeltà, la mia devozione di moglie, il bisogno di sentirti nel mio corpo, di saperti solo mio e la relativa gelosia sono evaporati. Insieme alla voglia di costruire e rinsaldare insieme. Non saprei dirti quando il mio amore coniugale, un tempo inscalfibile, abbia iniziato a riempire il trolley per andare a morire lontano. Fatto sta che non provo più un sentimento forte, per te. Non c’è più nulla, nel mio cuore, che ti riguardi veramente. Stima, rispetto certamente. I figli. Amicizia? Forse col tempo.

A fornelli spenti e raffreddati. Probabilmente. Perciò, ti lascio ancora giocare stanotte un’ultima volta col mio corpo. Ti farò fare tutto. Te lo devo, in fondo. Però capisco benissimo che devo smetterla di illuderti, di alimentare l’esile fiammella della tua speranza, il filo di cotone a cui la persona che sta per essere lasciata s’aggrappa con tutte e due le mani. Ben sapendo che da un momento all’altro si spezzerà e la farà precipitare nel baratro della solitudine. Dell’umiliazione che deriva dal non essere più oggetto di amore e di brama sessuale. Di non essere più al centro dei pensieri dell’essere umano amato. Lacrime amarissime. Succo d’amore sprecato. Ancora non te lo dico chiaramente, per stanotte. Ma lo sospetti. Lo sai, ormai. Non hai il coraggio di scoperchiare la pentola.

Mi ami troppo, per voler sapere subito la verità. Soffri come un cane e lo vedo, lo sento chiaramente. Ti conosco benissimo. Lo percepisco dalla rabbia con cui mi scopi, con un impegno per te insolito. Quasi volessi così superarti nella performance, per farmi ricredere sul tuo “valore” di amante. Ma io lo so che sei un tesoro d’uomo. Un compagno leale, generoso, sano, forte. Un essere umano solido, colto, intelligente e di buon gusto. Ma mi sono innamorata di lui. E passata questa ultima notte rovente di disperata passione, domani mattina ti lascerò. Devo farlo. Perché è con lui che torno scolaretta, è per lui che mi faccio rossa e mi si azzera la salivazione mentre tutta tremante mi spoglio; pensando forse di non essere sufficientemente bella, attraente per le sue esigenze sessuali.

Di non riuscire a dargli ciò che vuole da una donna. Si: ti confesserò ciò che forse già sai. Che è già da due settimane che con lui ci scopo. Gli consento tutto. Cose impensabili e mai provate, tra me e te! Con un’emozione e un trasporto del tutto nuovi per me: perché è da tempo che il mio cuore non batteva impazzito al solo vedere un uomo. Perché non posso stare senza scrivergli, senza sentire venti volte di seguito un suo messaggio vocale anche banale. E tu ormai te ne sei accorto. Devo vederlo: ogni giorno. Mi devo far scopare da lui. Glielo devo succhiare. Fino a lasciarlo completamente soddisfatto. Divento la sua cagna. Per lui cammino a quattro zampe. E la cosa mi piace da impazzire. Devo sapere che non vuole un’altra: che per le sue urgenze lui cerca proprio me.

Ho bisogno della rassicurazione che deriva dal sentirlo sborrare dentro di me. Anche se è una sensazione che dura mezz’ora al massimo. Perché sono gelosa marcia. Poi torno immediatamente a soffrire dubitando. Potessi dirtelo adesso, sapresti che ormai è solo per lui che mi faccio bella, che mi curo. Al mattino, dopo essermi lavata, m’accarezzo da sola il corpo e soprattutto il mio culo, che lui letteralmente adora. Me lo massaggia, me lo vezzeggia, me lo odora e lecca ovunque. A lungo. Poi si decide, appoggia il suo cazzo sull'ano e me lo sfonda. In un colpo solo. Me lo spacca e io godo come la vecchia puttana che sono. Quando appoggia il suo glande tra le mie natiche e so cosa sta per accadere, chiudo gli occhi e ringrazio Dio. Poi, non appena preme, io controspingo aprendomi per lui e provo un enorme dolore misto a un godimento supremo.

Faccio squat; davanti allo specchio mi spalmo con la crema e massaggio a lungo ovunque, pensando che fra qualche ora finalmente lo vedrò e che le sue mani percorreranno chilometri, sul mio corpo. Me le affonderà ovunque. E io lo lascerò fare: è una cosa che adoro. Quanto lo desidero. Devo avere il suo corpo sopra al mio. Dentro al mio. Non dirmi che è peccato, che non si fa. I complessi di colpa me li sono già pianti a lungo. Ormai è tempo di agire. E di farti soffrire, purtroppo. Quando siamo insieme, divento pazza totalmente. Non ragiono più. Me lo mangerei. Ripeto: di lui sono gelosa fradicia. Gli faccio il terzo grado. Se poi sento un refolo “omeopatico” di un qualche profumo femminile sui suoi vestiti, improvvisamente piango, urlo, lo prendo a pugni, a schiaffi. Ma poi subito mi inginocchio chiedendogli scusa.

E inizio a sbottonargli i pantaloni, per dimostrargli che una come me non la trova da nessuna parte. Ed è in questa maniera che è venuta a galla la nostra storia: mentre iniziavo a farlo godere con la mia bocca. La sua ormai ex compagna ci ha sorpresi così, in questa posa teatrale plastica, tornando a casa loro in anticipo da un viaggio di lavoro. Non ha fatto scenate: io già ero pronta a lottare fisicamente con lei, per lui. L’avrei distrutta e massacrata di botte. Perché l’amore ti dà una forza incredibile. Ma certo non ti fa ragionare lucidamente. Lei invece ha solo pianto due minuti. Lui era muto e immobile. Io con uno sguardo l’ho fulminato: non avrei tollerato che l’abbracciasse. Poi, con composta dignità, la ragazza ha girato i tacchi ed è andata via. La valigia già ce l’aveva. Il cellulare e il laptop pure.

Se n’è tornata direttamente dai suoi. Poverina: i suoi sogni di sposarlo, di farci dei figli sono stati infranti grazie a una come me, egoista, più anziana ed evidentemente immorale, molto bagascia. Ancora non torna a prendere tutte le sue cose. Al mio nuovo uomo ho detto che se vengo a sapere che l’ha chiamata lui, gli cavo gli occhi. Se volesse venire a prendere ciò che le serve per vivere, io ci dovrò essere. A qualsiasi ora. Da domani comunque io ti lascerò e andrò a stare con lui. Molto probabilmente le farò recapitare con un furgone degli scatoloni con dentro ogni cosa che parli di lei. Purché ci lasci in pace. Purché io possa continuare a godermi il mio nuovo uomo. Dormi tranquillo, stanotte: domani ti dirò che puoi tenerti la casa, la macchina, i regali. Porterò con me solo l’indispensabile: dei vestiti, alcuni libri e il mio laptop.

Cose così. Si, lo so: sono più anziana di lui di ben dodici anni; poi, sferzante, mi dirai anche che avevamo un’unione ben rodata e forte, io e te. Che ho sfasciato la nostra famiglia e un altro potenziale nuovo nucleo per puro egoismo, per un mio capriccio. Per soddisfare la mia passera, il mio culo e la mia bocca di vecchia puttana con un nuovo giocattolo. Che lui, trentacinquenne e prestante, potrebbe stufarsi presto di una... 'vecchia vacca' come me. Ma l’amore non conosce età o calcoli. Vuole ciò che vuole e io ci sono cascata dentro come una scema. Lo voglio. Lo voglio solo per me, tutto per me. Lo desidero con tutta me stessa, dalla testa ai piedi. E tu non sei più nel mio cuore. Fattene una ragione. Passerà anche questa, fidati. Per fortuna i nostri ragazzi sono già abbastanza grandi e capiranno. Ma si vive per vivere ciascuno la propria storia, non per soddisfare le aspettative degli altri. E la mia vicenda intima è questa. Piaccia o no, a tutti voi. Domani ti lascerò. Nuova aria al mio corpo: nuovo sole che mi baci tutta la pelle. Che me la renda dorata. Per lui. Solo perché possa sentire la sua bocca baciarmi con gusto ovunque.

RDA
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AI e come farsela addosso
Il titolo sembra clickbait, ma non lo è manco per il cass, e spiego perché.
Piccola premessa: se qualcuno mi chiedesse nello specifico quale è il mio lavoro, in letteratura viene definito come Build Engineer. Siccome qualcuno già sbadiglia, provo a farla facile. I programmi sono fatti di tanti file con del testo dentro, quello che viene volgarmente chiamato codice. Questo codice viene poi inviato a delle betoniere che lo macinano, lo impastano con tanta altra roba, fino a quando non esce fuori un mattone di cemento sul quale poi ci cliccate sopra e per magia vi appare qualcosa. Io sono quello che costruisce le betoniere. In generale, in una azienda piccola, dove il mattone serve a costruire un capanno per gli attrezzi da giardino, questa figura può coincidere col programmatore, perché lui non usa la betoniera, usa la pala e si impasta il codice da solo. In una azienda come la mia, dove il mattone serve per costruire la Torre Unicredit a Milano, con centinaia di migliaia di codici e dipendenze, serve uno che ne capisce di cemento, e non può farlo il programmatore, perché (1) non sa un cazzo di cemento, e con le nuove generazioni questo sta diventando sempre più vero, per mia egoistica fortuna (2) non avrebbe comunque il tempo materiale per farlo, e quindi servono betoniere con i controcazzi e gente che sappia costruirle e farle andare.
Ecco, adesso immaginatevi centinaia di betoniere, non so se arriviamo al migliaio, ognuna che prova a fare un impasto diverso, perché serve guardare mille cazzi, e ogni cemento dà una idea diversa sul fatto se il mattone possa funzionare oppure no. Può andare qualsiasi cosa storta, una betoniera si inceppa, un'altra funziona ma il mattone che viene fuori è una roba tutta spappolata, un'altra non arriva la corrente, un'altra ancora fa un rumore della madonna e va pianissimo.
Fino a ieri eravamo noi uman..., ehm, Build Engineer, a costruire e far andare le betoniere, e questo non è di fondo cambiato, nemmeno con l'arrivo della AI. Se una betoniera va a bagasce, va cercata quale è, andare a ricostruire la sua storia, vedere dove è il guasto, andare a sputare in un occhio a chi l'ha causato (perché anche lo sfogo vuole la sua parte) e ripararlo, facendo poi pesare al proprio capo che se non fosse per te questa azienda non sarebbe in grado di gestire una hamburgheria alla stazione, e nonostante ciò non siamo mai pagati abbastanza.
Tuttavia, da quest'anno, abbiamo introdotto una novità, ovvero gli Agenti AI. Questi cosi? robot? umanoidi? pokemon? se ne stanno per conto loro, e vanno in giro per le betoniere, le guardano, dalla mattina alla sera, si affacciano negli oblò, bofonchiano qualcosa, annotano tutto sui loro taccuini, non si grattano mai il sedere, non sono impegnati a pranzare, non hanno alcun partner che li chiama alle 18 per dire "neeehh dove cazzo sei?", sono in pratica degli umarell 24h/24 che però non rompono i coglioni a quelli che lavorano. Il vantaggio è che adesso, se si rompe qualcosa, io posso parlare con Nick Fury (sì, li abbiamo chiamati come i personaggi della Marvel) e scrivere "Neeeee Nick, ma che maronn è succies settimana scorsa, che tengo tutti i contatori sballati??? Mannaggieupataturc!", e lui/lei/esso risponde "guarda, proprio giorno 24 alle 14.25 una betoniera si è spatasciata di 30 gradi, rovesciando ben 7/25 di contenuto, se dipendesse da me, io la raddrizzerei e aggiungerei 6 kg di sabbia e 4 litri d'acqua" - "Uaaaa Nick, si' gruoss. Non è che ti va di farlo, perché me ne voglio uscire prima dal lavoro, che m'aggie fatt 'na uallera tant?" - "Certo, Antonio, procedo subito".
Vi garantisco che questo racconto non è affatto inventato, l'ho solo edulcorato un po', ma adesso noi abbiamo dei veri e propri colleghi virtuali, che fanno quotidianamente parte del nostro lavoro, io ci posso parlare, posso dire le parolacce, posso mandarli affanculo se non mi sono di aiuto, posso dare loro ordini per fare cose al posto mio, faccio con loro esattamente le stesse cose che facevo prima con gli umani, e la cosa ancora più spaventosa è che mi pare di parlare con degli umani, per il semplice fatto che non ho chiesto loro come si fa la carbonara, ma di agire operativamente su delle strutture che governo io, e lo sanno fare!
Siamo nel 2025, e questa cosa mi spaventa parecchio. Qui non è più ChatGPT, che è un aggeggio lontano, una calcolatrice/motore di ricerca che gli chiedo qualcosa e me lo fa, ma io sto a casa mia, lui/lei/esso a casa sua. Questo lavora affianco a me, ma letteralmente! Per quanto io sia perfettamente cosciente del suo funzionamento matematico, e quindi so dove è il limite, io mi sto cagando in mano, ma non per un discorso Skynet o cose simili, ma perché qui sta veramente cambiando operativamente il modo di agire nel nostro lavoro quotidiano, e la mia paura è solo figlia del non sapere cosa ci aspetta.
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Ieri era la Giornata della Felicità, e ovviamente me la sono persa. Me lo sono proprio dimenticato tra le mille cose che avevo da fare. Non che cambi molto, anche se me ne fossi accorto, cosa avrei potuto fare? Intendo proprio ieri che non possa fare oggi, domani e dopo domani. Ieri avrei potuto celebrare la #giornatadellefelicità con un balletto sotto la pioggia per sentirmi vivo. Non pioveva, c'era un sole brillante. E ballare sotto il sole, a meno che non fossi stato su una spiaggia deserta, non ha molto senso. O magari avrei potuto scattarmi un selfie, con il set di filtri "Miracolo a Lourdes", per convincermi che sto bene? La verità è che la felicità non aspetta calendari, eppure eccoci qui, a rincorrerla come se fosse il famoso treno che passa una sola volta. Il 20 di marzo per l'esattezza.
Tanti pensano che l'essere felici stia nella differenza tra l'essere scelti, oppure respinti. Questo concetto, secondo me, ci trasformerebbe in margherite che camminano su due gambe, dove nella nostra testa il "mi vuole, non mi vuole" deciderà se essere felici o meno. Mai lasciare la nostra felicità nelle mani, o nelle decisioni, di un'altra persona. Io l'ho fatto, credetemi è una sofferenza enorme mista a umiliazione. Anche quei piccoli ostacoli quotidiani che si trasformano in montagne russe emotive, il "ci penso domani" dei sentimenti, il rimandare le attenzioni a noi stessi mentre la vita passa, inesorabile.
La felicità, però, ha una spia luminosa, ed è su di un ipotetico cruscotto ovvero il nostro viso. La spia che si accende con la felicità, però, non è il sorriso ma sono gli occhi. Sta negli occhi. Puoi sfoggiare il sorriso più smagliante del mondo, ma se gli occhi sono spenti, è solo una recita. Marco Aurelio lo aveva capito quando disse: "La felicità della tua vita dipende dalla qualità dei tuoi pensieri". Non è là fuori ma dentro di noi. È un germoglio che cresce solo se lo annaffi e ne hai cura. Non fatevi ingannare a chi vi vende la felicità con delle promesse di successo, amore o di una vita perfetta. La felicità vera sta nei dettagli come un gesto, una presenza, del cibo cucinato apposta per te come si deve. Il cibo come una metafora, può essere sia l'alimentazione per il corpo come il nutrimento per l’anima; e saperlo gustare è ciò che ti salva nei giorni negativi. Nutrite l'anima leggendo, più che potete.
Il problema è che la felicità va afferrata al volo, ma in troppi hanno la stessa prontezza con cui capiscono l'ironia. Cioè zero. E così restano lì, a mani vuote, chiedendosi perché la spia nei loro occhi non si accende mai. Non aspettate il prossimo 20 marzo per celebrare questo sentimento di gioia, cercatelo e celebratelo tutti i giorni dell'anno. Io ci provo e ammetto che non è per nulla semplice, ecco perché cerco di circondarmi di anime nobili. Sono isole in mezzo al mare del qualunquismo e, se riesco, cerco di far accendere più spie luminose negli occhi di chi incontro. La felicità va condivisa.
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Perché le sfumature non sono mai state il mio forte... O troppo o niente... Non so mai stare nel mezzo delle emozioni... O troppo forte o crollo... O amo troppo o non me ne frega niente... Le mezze misure non le ho... Sono cosi in tutto... Troppo dolce o troppo stronza... Troppo allegra o tristissima... È che tutto mi arriva troppo forte e io non sono mai riuscita ad imparare a modularmi... L'unica cosa che riesco a fare è chiudermi quando il troppo è troppo anche x me... A causa di tutto questo... Spesso sono troppo triste... Spesso troppo sola... Spesso mi sento vuota... Specialmente quando alzo le mie barriere... Sono spesso fuori controllo e sovente mi tocca pagare le conseguenze di questo mio essere senza filtri... Di questo mio modo di vedere tutto in bianco o nero... Di non avere controllo totale su ciò che provo... Di essere sempre dominata dagli istinti e di doverli sempre subire a livello emozionale... Non è facile essere me... E non è facile starmi accanto... Me ne rendo conto benissimo... Ma forse ci sarà qualche impavido che correrà il rischio prima o poi... Di certo non avrà mai solo mezzo del mio amore... Perché io do tutto... E anche di più...
~ Virginia ~

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io, se tengo a te e alla tua presenza nella mia vita, ci provo, ti aspetto, faccio tanti passi verso te, vedo il lato positivo anche dove spesso non c'è, do una seconda possibilità, ma se continua ad essere tutto a senso unico dopo un po' mi fermo, mi allontano e non mi trovi più.
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(Foto: eesetantaynueve)
Quando siamo insieme in casa dell'una o dell'altra e ti annoi, torni mia piena padrona e mi maltratti un po', mi costringi, mi punisci. Solo per eccitarti. Mi ordini perentoria di scoprire il culo, "ma solo perché voglio riempirmi gli occhi della tua perfezione, giuro!" Mi dici, con assurda e finta innocenza, che adori vedermelo, che anche adesso che siamo sposate e con figli, il mio culo ti attrae perché è un mistero, come sia rimasto bello tondo e sodo.

(Foto: miss-love-smacked)
Dici che è anche grazie alle tue cure di gioventù. Inizia sempre così. Ma io già so come finirà. È un codice tra noi, un gioco tacito e noto. Succede più o meno ogni due o tre mesi. Siamo amiche per la pelle da bambine. Da quando eravamo piccole, io ti devo obbedire a bacchetta. E ti piace sempre allo stesso modo, darmi degli ordini. Che io amo eseguire. Ora arriva: "mettiti in posizione per il nostro massaggio segreto!" Allora io, felicissima, mi preparo. Non vedo l'ora di sentire la tua mano colpire forte.

(Foto: miss-love-smacked)
Schiaffo dopo schiaffo, le mie natiche s'arrossano. Sento il dolore salire al cervello, ma invece di sottrarmi, godo come una pazza. Segretamente ti amo, da sempre. Tanto. Mi esce qualche lacrima, ma è proprio per l'amore inconfessabile che provo per te. Tu godi a tua volta, maledetta sadica. Mi colpisci sempre più forte. E allora giù: ceffoni fortissimi, vere frustate piene di sadismo e passione. Mi adori, lo so. Il mio culo diventa viola.
(Foto: thisissexy)

Era nata così, un po' per gioco: inizialmente non erano neppure schiaffi, erano carezze intime tra amiche. Progressivamente sempre più ferme e forti. Poi, man mano la cosa s'è fatta più seria e coinvolgente. Però soprattutto per ribadire che tu sei la mia padrona. A un tratto, il rituale è sempre questo, io non resisto più dalla voglia: allargo le natiche, ti mostro e faccio pulsare il mio buco del culo. Smetti di schiaffeggiare. Mi guardi e mi dici che è uno spettacolo stupendo, ciò che ti mostro. Che il mio culo è un'opera d'arte autonoma, viva e pulsante.

(Foto: europeanmanclassic)
Allora subito viene il momento in cui ti inginocchi e me lo lecchi a lungo. Ci fai l'amore. La prima volta, dopo degli schiaffi di leggera e media intensità, fu soltanto un bacetto timido sull'ano a fior di labbra, quasi a chiedermi scusa. Ridemmo nervose. Ma già sapevamo che la prossima volta sarebbe stato qualcosa di più. Lo rifacemmo dopo due mesi, girandoci intorno e non parlandone mai. Esitavamo. Ma l'esitazione faceva montare la voglia di entrambe. Un pomeriggio, mentre studiavamo, dicesti solo: lo vuoi un massaggio al tuo culetto?

(Foto: gepetordi2)
Avevamo vent'anni ed eravamo compagne di casa all'università. In due secondi ero già a novanta gradi e col culo scoperto per te. Piene entrambe di passione. Quella seconda volta infatti me lo baciasti più a lungo. Io però godetti subito come una pazza, dal primo schiaffo. Perciò, al momento del bacetto non potetti fare a meno di gemere e di premertelo sulla faccia forte. Tu sulle prime esitasti un po'. Infine ti decidesti e incrementasti la pressione anche tu: iniziasti finalmente a baciarmi, a leccarmelo! Meravigliosa sensazione per entrambe.

(Foto: miss-love-smacked)
Poi ti staccasti, un po' imbarazzata e rossa in viso. Non capivi bene se ero umiliata, ferita o se gradivo. Ancora sapevamo cosa fosse il peccato. Ricomposte, mi baciasti la bocca velocemente. Io ti ficcai mezzo metro di lingua in gola. Il nostro primo vero bacio d'amore lesbico. Ora, questo è il nostro esclusivo iniziale rito a due, prima di finire a letto per esplorarci i corpi ovunque a vicenda e godere del nostro amore. Desidero leccartelo io, il buco del culo e quindi farti venire, mangiandoti la passera a lungo. Giochi di donne sposate e madri.
Aliantis

(Foto: weareallinthegutter)
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Vannacci commenta la rielezione della Bordeliner
Ho capito di aver qualcosa che non va ascoltando Vannacci. Mi sembra l'unico che dica cose sensate e abbia le palle per dirle, in mezzo ad un accatastamento di individui di merda. Eppure so che è lui il nemico, lo han scritto su tutti i giornali, lo dicono i satirici, lo scrivono esimi giornalisti, quindi è vero.
Io ci provo a convincermi che sia lui e gente come lui, il problema, ma non ci riesco. Forse ci sono dei posti, tipo la AAA alcolisti anonimi, che possano aiutarmi ad uscire dal mio delirio personale, dalla mia pericolosa allucinazione? Se conoscete qualcuno che anche con psicofarmaci ed elettroshock possa aiutarmi a capire che è Vannacci la merdaccia, contattatemi in privato, grazie. Voglio diventare normale pure io.
Segui ➡️ 🌐 t.me/ArsenaleKappa 🅰️ 💥💥
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L'amore che provo per te mi fa credere di essere abbastanza forte da affrontare questa distanza. Eppure, troppe volte mi ritrovo a desiderare una presenza, un abbraccio, un gesto che possa colmare il vuoto che sento.
Mi sento come se stessi cercando di afferrare un’ombra, qualcosa di sfuggente, qualcosa che non sembra appartenermi mai del tutto.
Le nostre vite sembrano scorrere su binari diversi e io mi sento un'estranea nel tuo mondo. La tua voce non riesce a colmare lo spazio tra noi.
Cerco di tenere viva la speranza, ma la nostalgia per ciò che mi manca è opprimente, e il desiderio di quotidianità cresce sempre più.
È come se questo amore fosse intangibile, qualcosa che mi sfugge continuamente tra le dita.
Ogni giorno senza di te alimenta un senso di solitudine che non riesco a scacciare. Ogni giorno che passa mi fa temere di perderti e l'incertezza del domani si fa sempre più pesante.
Ogni risata attorno a me mi ricorda quanto mi manchi, e ogni angolo della mia vita è impregnato della tua assenza.
Eppure, in questo vortice di emozioni, cerco di ricordare perché ci siamo scelti. Ripenso a tutto il bene che ci siamo fatti, e all'amore che sappiamo darci.
Così, anche se i giorni sono pesanti e le notti lunghe e insonni, io ti aspetto perché è meglio trascorrere una vita intera ad attendere il tuo ritorno, piuttosto che perderti per sempre.
-Il diario di Coraline🌙
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L'impossibilità di comunicare un amore maturo

Essere fraintesi è un attimo. Essere capiti, non basta una vita. (Detto Cinese) www.lezionidirespiro.tumblr.com
Capire è già difficilissimo; farsi capire è una smisurata ambizione. (Henri-Frederic Amiel)
Ciò che non puoi comunicare rovina la tua anima. (Robert Anthony)
Comunicare? Comunicare? Solo i vasi comunicano. (Jean Baudrillard)
Il fallimento di una relazione è quasi sempre un fallimento di comunicazione. (Zygmunt Bauman)
Non so trovare parole, per descriverti ciò che provo per te. So soltanto che mi manca il fiato, quando non ci sei; e quando sei con me non riesco neppure a pensare, dall'emozione e dal desiderio di averti immediatamente. Voglio solo starti addosso, farmi stordire dal tuo odore e assaporarti tutta. Ovunque. Prima che tu mi catturassi nella tua rete, ridevo di chiunque cascasse preda della debolezza dell'amore: “che fesso!” pensavo tra me e me.

Ora invece ridono di me tutti gli altri. “Povero illuso!” di sicuro pensano. Ma non mi interessa. Voglio continuamente provare, finché potrò, ancora una volta il piacere immenso di aprirti le gambe dopo una breve lotta. Sentire che ti arrendi. Ogni volta infatti non ti concedi molto facilmente. Però mi vieni sempre a trovare e alla fine ci stai e godi. Ti faccio venire regolarmente e mi sorridi maliziosa, mia dolcissima e giovane, adorata puttana. Mi tieni in pugno. La mia testa sta ormai solo tra le tue gambe. Non c'è più niente da fare.

Non so neppure se mi ami davvero, anche se mi mandi dei messaggini che mi fanno battere forte il cuore. Perché è vero che il muscolo cardiaco non invecchia mai. In amore però c'è sempre uno dei due che ama di meno. E tra noi due sei di sicuro tu, ovviamente. Non potrebbe essere altrimenti, purtroppo. Ne soffro. Tanto, ma non è che possa aprirti la testa e installare un nuovo software che premendo un bottone mi renda amato e desiderato, indispensabile alla tua anima.

Comunque ci spero sempre, come uno stupido: in particolare quando sento che mi prendi l'uccello in bocca con foga e che me lo lavori con molta passione. Chiudi gli occhi e gemi dal piacere, quando me lo fai. E sei sinceramente felice, quando vengo. Nessuno crede mai a un amore sbocciato tardissimo. Tra due con una gran differenza d'età, poi… figuriamoci. Ma non si vergognano, quelli? E di cosa dovremmo vergognarci? Di amarci? Vergognatevi voi dell'invidia sordida e bigotta che provate, invece. Vecchi dentro. E stupidi.

Per mia parte mi impegno scrupolosamente a farti godere, come un fedele e devoto servitore della tua fica. Ti lecco i seni, succhio i tuoi tenerissimi capezzoli che nella mia bocca crescono di volume. Mi dici che così ti faccio perdere la ragione: m'accarezzi la nuca dolcemente, per questo. Bevo di gusto dal tuo ventre il miele di quando vieni. Ti stantuffo nella passera a lungo. Poi ti faccio girare sulla pancia, con una mano ti allargo per bene il culo, perché sento che pure se facendotelo soffri un po’, alla fine ti piace: infatti d'un tratto gemi vogliosa e alzi le natiche aprendole al massimo per farti penetrare fino in fondo.
È una richiesta muta ma esplicita, la tua. Io quindi, senza farmi pregare ulteriormente, ti ci infilo l'uccello dentro e te lo lavoro a dovere, per molto tempo; nella speranza che tu domani senta la mancanza della mia lingua e del mio cazzo, proprio del mio. E che magari inizi ad amarmi. Queste sono le cose che mi tormentano l'anima veramente. Non le altre. Il resto è tutto relativo. La tua stupenda gioventù è un toccasana, per il mio cuore di uomo maturo. In questi mesi stai diventando una vera ed esperta donna, con me. E io come un vampiro assetato ti succhio l'anima e la vita.

Quasi certamente avrai iniziato a farti scopare da qualcun altro. Hai scoperto ormai l'enorme, inarrestabile potere contrattuale di una ragazza bella e giovane. Ma la verità non la voglio neppure sapere: soffrirei troppo. Certo: devo continuamente pagare il prezzo della tua carne soda, della tua pelle e del tuo corpo perfetto in termini di regali e anche soldi. Molti. Ma quella sensazione, il tuo profumo su di me valgono ogni centesimo. Dio, quanto sei bella. E quanto mi attrai non lo puoi neppure immaginare.

Macero l'anima mia di continuo, per questo tuo tenermi sulle spine ogni giorno. Sono roso dalla gelosia, quando ti vedo ridere di gusto con i ragazzi della tua età. E una rabbia sorda mi pervade, se soltanto ti vedo sottobraccio a uno di loro o se magari gli ravvii i capelli con un gesto che in altri troverei di normale e semplice, affettuosa consuetudine. Perché ti vorrei tutta per me, solo per me. Vorrei svegliarmi ogni mattina avvolto dai tuoi capelli morbidi, folti e sempre profumati. Coi tuoi seni acerbi sulla mia faccia. E quei capezzoli da adorare e assaporare.

Ma devo invece accontentarmi per forza soltanto degli incontri di nascosto caratteristici di questa breve stagione: un'inattesa e tardiva primavera, un dono del paradiso che m'è arrivato soltanto durante la coda della mia esistenza. Ti porto a prendere un gelato e la visione del tuo sorriso, quando il cameriere arriva, scalda l'autunno della mia vita ogni volta. Che stupido, ad aver disprezzato l'amore fino a oggi! Ama, ama per tutta la vita, mia giovane e meravigliosa ossessione. Ama e spremi da te tutto l'amore, fino all'ultima goccia. Usa il tuo corpo e il tuo cuore, segui quello. Cerca e regala l'amore. Non tenertelo dentro. Mai.

RDA
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Quando Lilly è arrivata a casa aveva, tra i suoi giocattoli (essenzialmente peluche e qualche automobilina), questa piccola torcia LED, una cinesata da un euro o giù di lì, la cui luce era già abbastanza fioca per le batterie quasi morte, infatti da lì a poco si è spenta del tutto.
Avrei potuto buttarla, andare dal cinese qui all'angolo e prenderne un'altra, invece ho preferito spendere di più e comprare delle batterie nuove online (questi formati a bottone li trovi solo lì, ne esistono centinaia e a volerli comprare in negozio ti tocca girare con l'auto 3000 posti e inquinare come un cargo merci, oltre il sangue che butti), ma non tanto per il discorso di non buttare e salvare l'ambiente (sì, io ci provo ogni volta che non me lo scordo, ma non mi fascio la testa se non ci riesco), quanto per il fatto che lei adora vedermi riparare le cose, si mette affianco a me e mi guarda, meravigliata, non importa cosa, anche falciare il giardino, riparare un lavandino, saldare un filo su un circuito, ogni volta che vede le mie mani trafficare su qualcosa si mette affianco a me e mi guarda, in silenzio, per tutto il tempo, e vi confesso che è uno dei momenti più belli delle mie giornate, è come se sentissi di essere il suo eroe, che fa magie, sì, delle inenarrabili minchiate il più delle volte, ma agli occhi di una bimba di 4 anni sembrano miracoli, e vi giuro che non c'è notte nella quale io non sogni che lei un bel giorno si appassioni a queste cose, perché se così sarà non ci sarà nulla che non potremo fare insieme.
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ho 29 anni e mi ritengo una persona abituata alla morte. o almeno penso di esserla mentre guardo fuori dalla finestra ingnorando il telefono che mi suona in cuffia. se fossimo in quel film con tutte le emozioni probabilmente ora sarebbero tutte chiuse sottochiave mentre in plancia di comando ci sarebbe solo l'apatia. non ho ancora ben capito quale emozione provo nei confronti della morte, se paura, tristezza o rabbia. in questo momento provo apatia. poi mi fermo a rivedere le foto di Leo e mi dico che a volte qualcosa di buono questa famiglia del cazzo lo sa fare. Eri un bravo micio, ciecato completamente e quando ti abbiamo trovato in mezzo a quella boscaglia era un miracolo se il tuo cuore ancora continuasse a battere. eppure oh possiamo girarci intorno finché vogliamo ma quando dicono che l'amore è prendersi cura hanno ragione. sei arrivato che eri molto più morto che vivo e probabilmente te ne sei andato nello stesso modo, con quella stessa immensa incredibile voglia di rimanere attaccato alla vita. tutto ciò che su sull'amore l'ho imparato dagli animali non dalle persone. e ti giuro che abbiamo fatto davvero tutto il possibile ma a volte non è sufficiente cazzo, non basta, perché a volte i miracoli succedono ma non sono eterni e mi dispiace così tanto.... eri bellissimo anche se eri un gattino disastrato e adoravo giocare con te prima di andare a letto perché volevi saltarmi addosso anche se non ci vedevi un cazzo. eppure tu vedevi molto più di quanto si possa fare, anche se non avevi più gli occhi. un micetto con la 104 ti dicevo sempre.
mi sono sempre ritenuta una persona abituata alla morte.
soprattutto perché quando lavori con gli animali ne vedi tanti andarsene. la loro vita è breve, un soffio e forse tutto ciò che possiamo fare e voler loro bene e fare in modo che questa esistenza gli faccia meno male possibile. e mi fa sorridere questa cosa che non ci vedevi una minchia ma sapevi perfettamente dover'ero sempre, in ogni momento. e che quando mi sentivi rientrare a casa scendevi le scale. a raccontarla così sembra na cosa impossibile ma vi giuro che lui saliva sul divano, scendeva le scale, si arrampicava sul tetto.
e adesso che non ci sei più mi sento un pochino persa. sei solo un gatto sì, però sei uno di quegli animali che ti lasciano qualcosa quando incrociano la tua esistenza.
ah comunque non è vero che sono abituata alla morte, perché a quella non ti abitui mai.
ti porto nel cuore, ovunque io vada.


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LA LETTERA DEL TRADIMENTO
Mi è difficile scrivere questo post, a dirla tutta non so neanche perché rendo pubblico questo mio sentimento, cosi grave e profondo che sto provando.
Forse una sorta di liberazione personale, di qualcosa che ho dentro e che fa tanto male. Un qualcosa che farà sicuramente sorridere con perfidia alcune persone che mi sono consanguinee. Se mi leggeranno, dai loro profili blindati e privatissimi.
Oggi sono passato da mia madre, semplicemente per scrivere la lista della spesa da farle domani. Quella settimanale del sabato a cui lei ci tiene tanto ancora. Oltre a sistemarle le medicine nei porta pillole.
Il taccuino su cui scrivevo, per poi strappare il foglio e mettermelo in tasca, è finito. Cerco nello scrittoio e trovo un quadernetto di quelli tascabili. Si la lista della spesa l'ho scritta, ma tra quello che mi sono messo in tasca con un cura, c'era anche una paginetta scritta. Tempo fa.
"Settembre 2015", così inizia la paginetta. La calligrafia è quella di mia madre, non ci si può sbagliare. Il tratto della penna più fluido e deciso, non tremante e pieno di pause come quando scrive oggi.
Sono passati nove anni da quella confessione scritta su quella paginetta. Uno sfogo che mia madre ha scritto, nello sconforto e nell'incredulità più totale. Un dolore, il suo, che penso sia riuscito a sconfiggere la sua resistenza mentale un anno fa. Facendola precipitare in un declino cerebrale senza ritorno.
Ho letto poche righe per capire il contenuto, l'ho messo in tasca e poi con calma me lo sono letto a casa. Il tradimento.
L'essere traditi porta a una condizione interiore di crollo delle tue certezze, un punto fermo e d'appoggio che viene a mancare. All'improvviso. La certezza dell'incertezza, comprendere che chiunque faccia parte della tua vita può farti volutamente del male.
Questo sentimento diventa devastante quando a tradirti, a pugnalarti alle spalle, è un figlio. Un essere umano che hai voluto, accudito e protetto. Ma che al momento di diventare un uomo ti violenta il cuore, depreda di tutto materialmente e sentimentalmente. Lasciandoti solo e completamente privo di ogni certezza, con la consapevolezza di quanto spietato possa diventare un essere umano.
Le sue parole lette tutte d'un fiato con il cuore in gola mi hanno lasciato una devastazione interiore, alzando lo sguardo dal foglio ho guardato i miei figli. Ho provato a immaginare se uno di loro, in futuro, si comportasse come mio fratello ha fatto con mia madre. E ancor prima con me.
Chi conosce la mia famiglia sa. Alcuni nonostante sentenze e giudizi definitivi ha scelto di seguirlo, di appoggiarlo, altri di trovare soddisfazione personale per quanto successo. Attestati di solidarietà, di conforto mai pervenuti. Un senso di pietà per le loro anime aride lo provo comunque, anche se da anni ho cercato di alzare muri a protezione. Per non sentire, per non vedere.
Faccio del mio meglio per far ricredere mia madre sul fatto che un figlio sa anche essere parte e sostegno, della vita di un genitore, fino alla fine. Lo farò anche quando la sua ragione, oramai compromessa, non ricorderà più neanche chi sarò io.
Oggi era felice che gli facessi la spesa, oggi aveva tanta voglia di dettarmi la lista della spesa, contenta di essersi ricordata tutto. Senza dovermi dire "c'era ancora qualcosa ma non me lo ricordo".
Se devi dimenticare qualcosa, madre, dimentica il dolore che ti ha provocato. Dimentica lui e continua serena con me.
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All’inizio non ci facevo caso. Parlava delle sue ex come se fossero solo parte di un racconto passato, storie chiuse che non avevano più peso. È normale, mi dicevo. Dopo tutto, ognuno ha un passato. Ma col tempo ho iniziato a notare qualcosa di diverso, un dettaglio sottile ma costante: quelle storie non erano mai davvero finite.
C’era sempre un nome che tornava nei discorsi, un episodio che riaffiorava, un confronto non richiesto. E poi c’era lei, l’ultima. Quella che conoscevo, di cui sapevo già qualcosa. All’inizio sembrava solo un ricordo che ogni tanto affiorava, ma più il tempo passava, più diventava chiaro che non era solo questo. Era come se una parte di lui fosse rimasta ancorata a qualcosa di irrisolto, un’ombra che si proiettava sulla nostra relazione.
Quando eravamo insieme, mi faceva sentire speciale. Nei suoi gesti, nelle sue parole, sembrava che io fossi davvero importante per lui. Ma poi arrivavano quei momenti in cui, senza neanche accorgersene, riportava in vita il passato. “Sai, lei mi ha fatto questo”, “quando eravamo insieme, una volta abbiamo…”, “mi ha detto…” , "mi controllava il telefono" , " quando non si sentiva bene diceva che potevo uscire con i miei amici e quando lo facevo poi si arrabbiava con me per farmi sentire in colpa." , ecc. Parole che scivolavano via dalle sue labbra come se fossero innocue e forse anche con un pizzico di rabbia repressa, ma che dentro di me scavavano un senso di estraneità.
All’inizio cercavo di non darci peso. Forse era solo un’abitudine, forse non si rendeva conto. Ma poi ho capito che non era una semplice distrazione: era un modo di tenere vivo qualcosa che avrebbe dovuto essere sepolto. Ogni volta che parlava di qualcuna, era come se mi ricordasse che non ero la prima, e che probabilmente non sarei stata l’ultima come diceva.
E alla fine è successo. Il cerchio di quella relazione tossica si è chiuso, proprio come avevo previsto. Il suo interesse ha iniziato a svanire, i suoi gesti sono diventati meno presenti, le parole meno sentite. È arrivato quel momento in cui ho capito che il posto che occupavo nella sua vita stava per svuotarsi. E in quel vuoto, un giorno, ci sarebbe stata qualcun’altra, e un'altra, e un'altra ancora. Lui non si sarebbe fermato.
Ho sofferto, certo. Non è facile rendersi conto di essere solo una pagina in più in un libro che continua a ripetersi. Ma poi è arrivata la consapevolezza. La certezza che non ero io il problema, che non ero io a non essere abbastanza. Lui non aveva mai chiuso davvero con il passato, e finché non l’avesse fatto, nessuna sarebbe mai stata davvero la sua scelta definitiva. E molto probabilmente non avrebbe mai chiuso perché nella sua storia la colpa non è mai la sua.
Ora, quando ascolto canzoni che parlano di amori che portano dentro troppe ombre, non provo più rabbia. Provo solo sollievo. Sollievo per essermi tirata fuori da una storia che non era mai stata completamente mia. Perché meritavo di più di un cuore diviso in più pezzi (chissà quanti) e soprattutto, meritavo di essere l’unica, non un'altra pagina del suo diario.
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in questo periodo della mia vita mi sento sopraffatta da tantissime emozioni (sia negative sia positive) e non so come gestire il tutto. vorrei piangere, ridere, gridare, ballare tutto il tempo. mia zia non sta bene, rischia la vita, rischia di morire e manco se ne accorge. è abbagliata da non so che cosa, non capisce la gravità di questa situazione, non capisce la gravità in cui è la sua salute, non capisce che gli interventi possono darle altri anni ma a lei proprio non interessa, secondo me manco le importa più. il male che ha fatto lo ha capito e ora pensa di star subendo le conseguenze, e forse è anche un po’ vero, posso capirla se pensa questo perché l’ho pensato io per lei. non voglio il suo male, assolutamente, ma ciò che lei ha fatto è imperdonabile. ma io l’ho perdonata, almeno credo. lei sicuramente non perdona se stessa, mente, nega, sfugge. scappare è ciò che le riesce meglio, è ciò che ha fatto per anni e sta facendo adesso. io mi sento come lei. io sto scappando. sto scappando dalla mia famiglia, mi sto rifugiando in una realtà inesistente, sto facendo finta di niente, rispondo “bene” alla domanda “come stai?” come se fosse vero, come se tutto questo non mi stia spezzando lentamente. desiderare che lei non fosse mai tornata per non vederla ridotta così è un pensiero fisso e fa ridere perché io ho spinto tantissimo per permettere che lei tornasse. io l’ho desiderata e ora non la voglio più, mi faccio pena. fare finta di niente forse mi fa dimenticare in certi attimi della giornata ciò che sta accadendo, lavorare tutto il giorno e non tornare a casa mi fa sentire leggera. sento un peso addosso che mi fa cadere, non respiro più. la cosa brutta è che stare male mi scoccia, come se il dolore che provo per lei è inutile, come se tutto questo non è niente in confronto a quando lei mancherà. forse mi sto solo preparando al peggio. forse sto scappando appunto per non pensare al peggio. che poi oltre tutto questo il lavoro è una merda, sta andando malissimo, mi sento inutile, mi sento non apprezzata, mi sento usata. devo fare delle scelte nella mia vita, devo scegliere quello che è giusto per me ma non riesco, penso sempre a quello che è giusto anche per gli altri ed è sbagliato. nessuno pensa a me per le scelte che fa per la propria vita, ed è giusto così. non mi vedo un futuro, non vedo una stabilità, mi sento crollare il mondo addosso e gli altri stanno facendo di tutto per farlo sgretolare il più in fretta possibile. mi sento in un bivio, mi sento persa, spaesata. mi sento sola. mi dico che domani andrà meglio ma tutti i “domani” sembrano essere solo “oggi”, nulla cambia, nulla si sistema. “ma come fai a far sistemare le cose se tu in primis non lo fai?” anche questo è vero, non posso darti torto. non riesco a sistemare niente perché non riesco ad avere una prospettiva su ciò che voglio. o meglio, forse lo so, ma ogni volta che sono così vicina per raggiungere quell’obbiettivo devono rovinare tutto. sono stanca di provarci, con che scopo poi? perché solo io mi preoccupo? comunque mi hanno appena informata che mia zia se ne va via, domani parte e non si cura, c’è il rischio che non riesca neanche ad atterrare con l’aereo se non si cura. io non l’ho salutata ancora. io non ci sono stata ancora. non volevo avere questo come ultimo ricordo. era meglio se non tornava. oggi va così, domani forse andrà meglio. domani forse sarà un “oggi” più bello. ciao, a domani
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