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Vivere Intensamente: La Torcia della Vita secondo George Bernard Shaw. Recensione Alessandria today
Illuminare il cammino degli altri è il modo migliore per onorare il dono della vita, lasciando un’impronta che continuerà a brillare anche quando non saremo più presenti.
Illuminare il cammino degli altri è il modo migliore per onorare il dono della vita, lasciando un’impronta che continuerà a brillare anche quando non saremo più presenti. Un invito a vivere con passione e responsabilità per lasciare un’eredità luminosa. George Bernard Shaw, con la sua caratteristica profondità e incisività, ci ha lasciato una delle riflessioni più ispiranti sulla vita: «La vita…
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- Nonna, non riesco a lasciar andare...
- Non ci riesci perché pensi che lasciare andare vuol dire morire. E invece vuol dire nascere. Ad una vita nuova. Pensa alla donna che sta per partorire: per far nascere suo figlio lo deve lasciare andare. Deve guidarlo fuori di sé e donarlo al mondo. Altrimenti muore.
- Come si fa a lasciar andare?
- Impara dalla donna che sta dando alla luce la sua creazione: apri il tuo corpo, la tua bocca e soprattutto il tuo cuore. E fatti strumento di questo lasciar andare. Con fermezza, determinazione e forza d'animo. Non resistere a questo richiamo, non chiudere il tuo corpo, non fuggire da questo compito. Non trattenere ciò che è giusto si allontani da te. Morirebbe. E non si creerebbe dentro di te lo spazio necessario per una vita nuova.
- Non è facile nonna...
- Perché ti ostini a pesare il tuo valore in base a quanto riesci a trattenere. Quando invece è il contrario. Più sei leggera, libera e vuota, più la tua luce interiore ha lo spazio per poter espandersi e avvolgerti. E allora capirai che lasciare andare è un dono. Che stai facendo a te stessa.
Elena Bernabè
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Non si può sempre essere forti.
A volte, è necessario prendersi un momento per sé stessi, permettersi di sentire e lasciare andare le emozioni.
Le lacrime non sono segno di debolezza, ma una forma di liberazione e guarigione.
Darsi il permesso di vivere anche questi momenti può essere un passo importante verso una maggiore forza interiore.
~A.C
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“Prima ero capace di aspettare ore, giorni e mesi una risposta, un segno, un cambiamento.
Oggi ho capito che ciò che non hai accanto è perché non vuole esserci. Che ciò che non viene detto è perché non è sentito e ciò che non è come vuoi, spesso non puoi cambiarlo.
Ecco che in questi casi ho imparato a mettermi comoda, lasciar passare il peggio e dopo rialzarmi per dare il meglio di me.. altrove.”
— Silvia Nelli
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Elogio della donna di classe
di Francesco Lamendola
La donna di classe…
È una Signora con la "s" maiuscola; una donna che, qualunque cosa faccia (o non faccia) e dica (o non dica), rimane sempre al di sopra di se stessa.
Non si dà mai interamente: nel senso che non si svende, non si regala alle mode più facili, ma conserva sempre una parte di mistero, ossia di fascino.
Sì, perché il mistero è affascinante: è il non detto, il suggerito, l’implicito; è il riserbo, la discrezione, il pudore; è l’intimità che non si mette mai in piazza, che rimane fedele a un proprio codice di onore e di riservatezza.
È la femminilità che mantiene il rispetto di sé, che si veste di sobrietà e di senso della misura, perché consapevole che lo strafare non è mai veramente femminile e che l’esibire, l’ostentare, il gridare e il dimenarsi, si addicono alle donne da poco.
Donne di classe si nasce e non si diventa; e lo si è a qualunque classe sociale si appartenga. Una donna del popolo, a determinate condizioni, può avere più classe di una gran dama o di una ricca borghese. Non è questione di soldi e nemmeno di lignaggio. O si è signori nell’anima, o non lo si è; e questo vale per le donne, così come per gli uomini.
La donna di classe non teme le rughe e accetta di invecchiare. Sa di valere, anche se la modestia fa parte del suo abito mentale; perciò non tenta disperatamente di inseguire i perduti vent’anni, ma asseconda con grazia e intelligenza le diverse stagioni della vita, conscia del fatto che il fascino è qualcosa di molto più sottile e di molto più prezioso della bellezza che proviene dalla sola giovinezza.
Non si può essere giovani per sempre e non si deve cadere nel ridicolo di atteggiarsi a ventenni, quando si hanno sessant’anni; ma si può essere sempre raffinate, affascinanti, intriganti, purché si abbia classe.
Quando si ha classe, l’età diventa un elemento secondario o, addirittura, un ulteriore fattore di fascino; perfino le rughe, portate con dignità e naturalezza, possono accrescere il fascino, non diminuirlo.
La donna di classe sa che uno spacco vale più di cento minigonne e sa che uno sguardo può lasciare il segno più di cento perle sull’ombelico, esibito coi pantaloni a vita bassa; sa che alludere è più raffinato che strillare, come sa che sussurrare è molto più sensuale che dire.
La donna di classe si muove con garbo, parla di cose interessanti, e nello sguardo le brilla una luce particolare: perché ama la vita, ma la ama con sensibilità e intelligenza, non con avidità e prepotenza…
- Francesco Lamendola
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Un vecchio cuore ferito non ha bisogno di altre ferite ma nella vita c'è sempre qualcuno che trova spazio per lasciare un altro segno. Non preoccuparti. Vuol dire che hai un grande cuore.
|| D. Capelli
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Sarà dovuto all'età forse. Oppure alla stanchezza, non saprei. Ma sono arrivata ad un punto della mia vita in cui io lascio.
Lascio fare.
Lascio dire.
Non discuto più per tentare di farmi comprendere o di far comprendere i miei sentimenti e le mie emozioni, le mie paure o le mie sensazioni. Lascio ad ognuno la propria convinzione, di essere nel giusto, di essere capace di prendermi in giro senza che io mi accorga di nulla, di poter fare come gli pare, di prendere usare e poi gettare in un angolo fino a quando non serve nuovamente, Io lascio fare, Io lascio dire.
Ma soprattutto ho imparato a lasciar andare. Non usare parola non significa non vedere e non sentire.
Il silenzio è spesso segno di riflessione, di valutazione, e di decisione.
dal web
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Abu Zayd, più precisamente Zayd Abu Zayd Ab-Alh-Rahmann III, meglio conosciuto come "il Moro Zeyt", è un altro dei grandi protagonisti della nascita del Regno cristiano di Valencia.
Ultimo signore almohade di Valencia, era il pronipote del califfo berbero Abd-Al-Mucmin. Pur essendo originario di Baeza, era stato avviato alla politica dal nipote, il califfo Yusuf II, che lo nominò governatore di Valencia.
L’ultimo re almohade di Valencia vide presto sorgere problemi, sia per la pressione delle truppe cristiane a nord sia per quella di altri signori musulmani a sud. Insieme alla corruzione politica, che già esisteva all’epoca, avevano soffocato il popolo.
Dopo la morte del califfo Yusuf II, la decadenza politica si aggravò. Fu allora che Abu Zayd fu costretto a chiedere la protezione di Ferdinando III, il re santo di Castiglia. I raccolti rovinati da una piaga di cavallette e la mancanza di cibo incoraggiarono la ribellione della popolazione. In questa situazione, Zayyan Ibn Mardanis, discendente del re Lobo, arrivò a Valencia da Onda e guidò il rovesciamento di Abu Zayd, che dovette lasciare la città con il suo seguito e la sua famiglia nel 1229, diretto a Segorbe (Castellón).
Qui storia e leggenda si fondono, poiché si dice che la conversione del "moro Zeyt" sia avvenuta a Caravaca de la Cruz, dove la leggenda vuole che sia apparso il simbolo della croce.
Secondo la tradizione locale più diffusa, si dice che dalla fine del 1230 o all’inizio del 1231, il re almohade di Valencia e Murcia, Abu Zayd, si trovava nei suoi possedimenti a Caravaca. Interrogò i cristiani che teneva prigionieri per scoprire quali mestieri esercitassero, con l’obiettivo di occuparli secondo le loro capacità. Tra loro c’era il sacerdote Ginés Pérez Chirinos che, come missionario, era venuto da Cuenca nelle terre saracene per predicare il Vangelo. Egli rispose che il suo compito era quello di celebrare la messa e il re moresco voleva sapere com’era. Fu ordinato di portare da Cuenca i paramenti corrispondenti e il 3 maggio 1232, nella sala nobile della fortezza, il sacerdote iniziò la liturgia. Tuttavia, poco dopo aver iniziato la liturgia, dovette fermarsi, spiegando che gli era impossibile continuare perché mancava un elemento essenziale all’altare: un crocifisso.
In quel momento, attraverso una finestra della stanza, due angeli scesero dal cielo e posero delicatamente una croce a due bracci sull’altare. Il sacerdote pot�� quindi continuare la celebrazione della messa e, in presenza di tale meraviglia, Abu-Ceyt (insieme ai membri della sua corte presenti) si convertì al cristianesimo. In seguito si scoprì che la croce apparsa era il pettorale del vescovo Roberto, primo patriarca di Gerusalemme, realizzato con il legno della croce dove morì Gesù Cristo.
Quando Abu Zayd si convertì, prese il nome di Vicente Bellvís, come riportano le cronache dell’epoca. Morì tra il 1265 e il 1270.
La morte di Abu-Zayd è precedente all’11 dicembre 1268, data in cui il documento lo dichiara defunto. I suoi figli e parenti ricevettero un’importante eredità e, essendo imparentati con la nobiltà aragonese, divennero anch’essi signori cristiani.
QUI GIACE D. VICENTIUS BELVIS CON I SUOI FIGLI UN TEMPO ZEIT ABUSIÒ RE VALENTIA MAURUS ADEO IL PROTETTORE DELLA SUA RELIGIONE VT DUE UOMINI INNOCENTI BEATI GIOVANNI DI PERUSIA E PIETRO DI SASSO-FERRATICO FIGLI E COMPAGNI DI PADRE FRANCESCO CHE PREDICANO LA VERA FEDE DI CRISTO OTTENUTO ATTRAVERSO LA SPADA MA RICEVERE LA LUCE DEL PADRE ISPIRATORE OGNI PECCATO FU CONSUMATO DAL SANTO BATTESIMO E IL SEGNO DELL’ETERNA RICONCILIAZIONE EGLI DESTINÒ UNA VOLTA LA SUA SALA IN CHIESA E SEDE.
Intorno al 16 giugno 1860, a Valencia fu eretta una lapide che lasciava in vista alcuni resti umani, il cui stato denotava la loro antichità. Nello stesso luogo fu rinvenuta una pergamena che recitava come segue:
Data di nascita:
17 ottobre 1195
Data di morte:
11 dicembre 1268
Titoli:
-Principe musulmano
-Signore cristiano
Etnia:
Berbero
Religione:
Islam
Religione 2:
Cristiano cattolico
Dinastia:
Almohade
Amici:
Ismail Haniyeh e Yasser Arafat
Prestavolti nella trama:
-Alvaro Rico
-Walid Azaro
-Asier Cadenas
-David Raya
-Marco Mengoni
-Stephen Ammell
-Peter Porte (pv attuale)
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Un nuovo paradigma di bellezza
Giuseppina De Biase riflette sulla differenza tra chi lascia il segno e chi lascia un sogno. Ma oggi, quali valori guidano davvero la nostra società?
La riflessione di Giuseppina De Biase ci invita a riconsiderare i parametri con cui giudichiamo e diamo valore alle persone nella nostra società. È tempo di spostare la nostra attenzione dalle “belle persone”, che si limitano a essere attraenti agli occhi, alle “persone belle”, che parlano al cuore e all’anima. Come comunità, abbiamo il potere di invertire la tendenza e celebrare ciò che conta…
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Non voglio illudermi di esser insostituibile per qualcuno.
Mi basta lasciare un segno, essere un bel ricordo, di quelli che fanno sorridere ♡
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Non ti auguro un anno migliore
Ti auguro di trovare l'amore
Non ti auguro che sia l'anno del tuo segno
ma che tu riesca a lasciare andare ogni storia.
Non ti auguro di realizzare tutti i tuoi sogni
Ti auguro di sentire il richiamo dell'anima
Non ti auguro successo, fama, ricchezza,
Ti auguro libertà!
Ti auguro una vita piena, vera, onesta e sincera e ti auguro di cuore che tu possa trovare quel silenzio interiore, quel sostengo interiore, quel Dio interiore, quella divinità che sei, in modo che tu possa aiutare anche l'altro a trovarla attraverso il tuo silenzioso esempio.
Ti auguro di vivere la vita pienamente, così come si presenta, nella gioia e nel dolore, in salute e malattia fin che morte non ti separi da questo corpo.
E ti auguro di trovare la strada verso casa, invitandoti a concentrarti sul singolo passo,
solo sul singolo respiro.
Ti auguro di sentire la bellezza che sei, e di percepire la sacralità di questo corpo che ti permette di vivere la vita pienamente.
Ti auguro di scoprirti VITA, nel suo continuo flusso, movimento e mutamento e di ti auguro di cuore, di riuscire ad amare profondamente la tua umanità, senza dover più fare nulla per cambiarla o trasformarla.
Ti auguro secondi intensi
Non ti auguro di attendere il Risveglio,
né di rincorrerlo
ma piuttosto di renderti conto che si, anche tu, come un fiore, sboccerai a suo tempo.
E lo stesso identico augurio, lo auguro a me e ad ogni anima nel mondo 💜
Claudia Sapienza
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In chat...
... un fallo è insapore, inodore, un palo, un punto esclamativo privo di valenza che si frappone tra astuzia e intelligenza, tra coraggio e pochezza, è l'oggetto virtuale del desiderio che scorre sulle dita di formiche risparmiatrici di sostanza, intente a perseguire il primato nella strategia dell'irrelevanza nella propaganda del proprio sex appeal solo per approvazione sociale. In chat il fallo è immaginazione è un'app che si accende e spegne con chiunque. La realtà è diversa. Per alcune donne il fallo è un impersonale e disumano ingranaggio del godimento nel sadico esercizio del godimento individuale scevro da emozioni e/ o sentimenti, mero pezzo anatomico senza identità e unità, istericamente utilizzato da donne per lasciare traccia nel loro corpo allo scopo di creare dipendenza nell'uomo. Per altre Donne è estensione della propria mente, la costola che ha dato vita ad Eva, il punto di congiunzione pulsionale con l'Uomo, il midollo del piacere, fisicità della mente. La Donna che si prende cura del fallo non ha come scopo l'orgasmo dell'Uomo ma la sua Estasi, ovvero il viaggio attraverso il corpo mentale della Donna in cui UN UOMO si sente padrone, quel viaggio in cui l'orgasmo alla fine non è semplice scarica fisica ma approdo in una terra in cui essere differenza e non numero, avere identità e non anonimato, avere una casa e non un momentaneo giaciglio essere semplicemnte se stessi senza riserve con pregi e difetti, ma soprattutto difetti, apprezzati come segno distintivo di veridicità. Ci sono enormi differenze tra donne e Donne, uomini e Uomini, apparenza e sostanza, astuzia e intelligenza e consistono nella personalità di chi per indole non lascia tracce ma impronte!
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BLACKLOTUS
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L’arte di ignorare i messaggi
Non capirò mai il perché alcune persone ignorino i messaggi. Non serve tanto, davvero. Basta un "non ho voglia di parlare" o "non posso ora". Sarebbe un segno di rispetto, una piccola concessione di sincerità in un mondo dove siamo tutti sempre connessi, ma raramente davvero presenti. Invece, il silenzio. Quell’attesa interminabile di una risposta che non arriva mai. E ti ritrovi lì, a fissare lo schermo, a chiederti se hai detto qualcosa di sbagliato, se hai fatto qualcosa di troppo.È strano come la semplicità di una risposta possa alleviare tanto l'incertezza, ma a volte sembra che la gente preferisca lasciare in sospeso, come se ignorare fosse la soluzione più facile. Forse perché non si sa come dire le cose, forse perché si teme di ferire, o semplicemente perché non si dà abbastanza valore alla comunicazione. Ma il silenzio fa rumore, e dentro quel rumore ci sono tutte le domande senza risposta che ci facciamo, e tutte le volte che ci siamo sentiti trascurati, lasciati in un angolo della conversazione senza spiegazione.Alla fine, ci si rende conto che non si può controllare il comportamento degli altri, ma si può decidere come rispondere a questo vuoto. Forse l’unica soluzione è imparare a dare meno peso a quelle spunte blu che restano senza risposta e capire che, a volte, il silenzio dice più di mille parole.
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“Penso che per lasciare un indelebile segno e non un fastidioso graffio, dipende da come hai toccato quel cuore, da come hai accarezzato quell'anima e dal valore che hai dato a quella mente.”
— Lailly Daolio
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