#la metafora del viaggio
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“Malinconia e settembre sono due sinonimi Che ti fregano sempre se sei un po’ giù Poi guardi l’orizzonte che sembra quasi muoversi Ma lui resta lì fermo, a sparire sei tu”.
― Pinguini Tattici Nucleari, “Romantico Ma Muori”.
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1927 Il ritorno in Italia
Salvatore Ferragamo e la cultura visiva del 900
a cura di Stefania Ricci e Carlo Sisi
Skira, Milano 2017, Museo Salvatore Ferragamo Firenze, 512 pagine, 24x28cm, ISBN 978-88-572-3568-4
euro 35,00
email if you want to buy [email protected]
Mostra Palazzo Spini Feroni, Firenze 19 maggio 2017-5 maggio 2018
Nel 2017 ricorrono novant'anni dal ritorno di Salvatore Ferragamo in Italia, nel 1927, dopo dodici anni trascorsi negli Stati Uniti. In occasione di questo anniversario, il Museo Salvatore Ferragamo ha ideato un progetto espositivo che si apre a una panoramica sull’Italia degli anni Venti, decennio al quale oggi guardiamo come una vera fucina di idee e di sperimentazioni condotte con mente aperta e scevra da pregiudizi o condizionamenti ideologici. Ferragamo scelse di stabilirsi a Firenze in virtù della sua riconosciuta centralità nella geografia del gusto e dello stile nazionali in un momento storico scandito da molti ritorni: ritorno all’ordine, al mestiere, alla grande tradizione nazionale. La mostra narra proprio di questo attraversamento nella cultura del tempo, sviluppandolo per capitoli come un romanzo di formazione. Fil rouge del percorso espositivo curato da Carlo Sisi è il viaggio in transatlantico che Ferragamo compie per tornare in Italia, inteso come metafora del suo itinerario mentale attraverso la cultura visiva dell’Italia degli anni Venti, da cui estrae le tematiche e le opere che influenzarono, in maniera diretta o indiretta, la sua officina poetica; senza trascurare nessuno degli aspetti culturali e sociali che contraddistinsero la rinascita civile del primo dopoguerra, alla vigilia dell’autoritaria affermazione del regime fascista.
08/11/24
#Salvatore Ferragamo#exhibition catalogue#Palazzo Spini Feroni Firenze 2017#Italia anni venti#fashion books#fashionbooksmilano
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La leggenda del Soffione 🥀
"Secondo una leggenda irlandese, la corolla del soffione è la dimora delle fate, un tempo erano libere di scorrazzare nei prati. Quando la terra era abitata solo da gnomi, elfi e fate, queste creature vivevano liberamente nella natura. L’arrivo dell’uomo li costrinse a rifugiarsi nei boschi. Ma le fate avevano dei vestiti troppo sgargianti per riuscire a mimetizzarsi con l’ambiente circostante.
Per questo motivo, furono costrette a trasformarsi in denti di leone, mantenendo per�� la loro fierezza. Anche se calpestato dall’uomo,infatti, il soffione torna sempre in posizione eretta!
Il significato 🥀
Nel linguaggio dei fiori, il soffione simboleggia la forza, la speranza e la fiducia. È inoltre legato all’idea del distacco e del viaggio. Questo perché inizialmente i semi sono legati al pappo, la loro appendice soffice, e sembra non vogliano staccarsene; poi si lasciano trasportare dal vento, dapprima timorosi, poi sempre più impavidi, pronti a intraprendere un nuovo viaggio, a sperimentare nuove avventure. Superata la paura iniziale, si lasciano andare al flusso della vita, curiosi di nuove scoperte, pronti a generare nuova vita.
Il loro percorso rappresenta una metafora perfetta della vita: per poter fiorire, ciascuno deve staccarsi dalla propria origine, affrontando il proprio viaggio senza paura, pronto a lottare contro le intemperie e a cogliere ogni opportunità." 🥀
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L’ora di greco - di Han Kang, Adelphi
Premessa: sono tra coloro che ritengono che il Nobel per la letteratura ad Han Kang si assolutamente meritato. Inutile proseguire la lettura se si è già convinti del contrario.
Probabilmente per me questo è il romanzo più bello tra quelli fin qui tradotti in italiano (o inglese). Molto breve ma denso, esplora temi profondi come la perdita, la solitudine, e la ricerca dell’identità. È del 2011 anche se qui da noi è arrivato appena l’anno scorso. Un viaggio introspettivo in cui due persone, apparentemente molto diverse, si incontrano e si comprendono attraverso la condivisione di un dolore nascosto e silenzioso.
Lei, Hanja, dopo aver vissuto un periodo di intensa sofferenza, ha trovato il silenzio come rifugio: non parlare, più che una scelta volontaria, è una reazione istintiva e fisiologica alla sua sofferenza. Le parole per lei si sono trasformate in strumenti di dolore, tanto che la voce stessa le sembra ormai qualcosa di estraneo. Dopo in matrimonio fallito e la perdita di custodia del figlio, persa anche la madre le sembra di aver ormai perso qualsiasi contatto con la propria identità e il mondo che la circonda. Come via di fuga da questo dolore, inizia a seguire lezioni di greco antico, una lingua che per lei diventa una sorta di “nuovo inizio”, poiché le consente di esprimere e riscoprire sé stessa senza le ferite che l’uso della lingua madre le provoca.
È così che la sua vita incrocia il suo insegnante di greco, un uomo non vedente che vive anche lui un’esistenza profondamente segnata dalla perdita. Per lui la cecità ha rappresentato un graduale distacco dal mondo, ma nonostante le difficoltà quotidiane ha imparato a navigare attraverso questo vuoto grazie all’amore per le parole e per la letteratura. Egli usa il greco come strumento per mantenere un legame con il mondo esterno e per dare un senso al proprio passato.
Attraverso questo incontro tra la donna e il suo insegnante, Han Kang esplora l’intimità della comunicazione e del linguaggio come mezzo di guarigione. Entrambi i protagonisti sono segnati da ferite invisibili e trovano nella lingua greca un terreno neutrale in cui potersi esprimere senza il peso delle loro storie personali. Il greco antico diventa simbolo di un viaggio interiore, che permette loro di riconoscere il proprio dolore e, in qualche modo, di riappropriarsi delle proprie vite.
Han Kang utilizza una prosa poetica e riflessiva per approfondire i sentimenti complessi dei protagonisti. La narrazione alterna i punti di vista della donna e dell’insegnante, e attraverso le loro prospettive frammentate il lettore è invitato a riflettere sul significato dell’empatia, della perdita, e della redenzione. I dialoghi sono ridotti al minimo, quasi come se l’autrice volesse rispettare il silenzio che i due protagonisti sembrano cercare.
In sostanza, un romanzo che parla di sopravvivenza emotiva. Attraverso la storia dei protagonisti, Han Kang esplora la possibilità di trovare una via d’uscita dal dolore e dalla perdita senza negare le proprie ferite. La lingua greca diventa metafora del processo di auto-ricostruzione, una lingua che, con le sue radici antiche, permette ai personaggi di esprimere sentimenti che sembravano impossibili da comunicare.
Un delicatissimo racconto di Han Kang, che con la sua scrittura minimalista invita alla riflessione sulla complessità dell’animo umano, sul ruolo del linguaggio, e sulla possibilità di una rinascita anche nei momenti più bui. Leggetelo solo se questi temi vi appassionano. Diversamente state andando incontro a una delusione.
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Oggi sono stata al cinema con una mia amica, abbiamo visto il nuovo film di Miyazaki, "Il ragazzo e l'airone", che nella versione originale si chiama "How do you live?" e forse il titolo così è più appropriato al film. È stato strano, perché è stato lento più di quanto siano già solitamente lenti alcuni film dello studio ghibli, ma è stato anche uno dei primi film che non mi hanno commosso come invece spesso mi succede, e nonostante la trama sia una di quelle che si presterebbero molto alla commozione, dato che parla di lutto e sofferenza e rinascita. Forse è anche perché non sono più abituata a vedere film al cinema e l'atmosfera è diversa, o forse era l'abbiocco post pranzo o forse semplicemente il ritmo di questo film è tale che una seconda visione è più godibile di una prima, quando ancora non sai cosa aspettarti e pensi che sta passando un sacco di tempo e ancora non è successo niente di particolarmente strano. Mi ha ricordato in molti momenti degli altri film di Miyazaki, il viaggio onirico de La città incantata, le porte su altri mondi de Il castello errante di Owl, la malattia e la fuga/smarrimento della famiglia de Il mio vicino Totoro, la distruzione della guerra di Si alza il vento. Ci sono anche le vecchine e le creaturine e la natura che ci sono in tantissimi altri film di Miyazaki, sembrava proprio una citazione continua, ma forse è semplicemente il suo universo che è popolato di questi elementi e, una volta che li conosci, li riconosci inevitabilmente in ogni film.
Tornata a casa, dopo averne parlato un po' con la mia amica per condividere impressione e frustrazione, perché anche per lei a livello emotivo non ha avuto l'impatto che ci aspettavamo, ho cercato un po' di opinioni online e ho salvato qualche post di tumblr. A quanto pare, oltre alla lettura più immediata dell'elaborazione del lutto e della condizione di malattia, c'è una metafora generazionale e anche una estremamente personale di Miyazaki rispetto al suo mestiere e alla sua storia con il suo mentore. Alcuni la leggono anche verso l'altra direzione, con suo figlio. In ogni caso sono ancora più convinta che a una seconda visione piacerà di più anche a me. Commuovermi però non lo so, vedremo quando sarà il caso, credo sia proprio una questione di ritmi e di investimento emotivo nei personaggi, non so se questi sono riusciti ad entrarmi nel cuore con la stessa immediatezza degli altri che di solito sono raccontati nei suoi film e in generale nei film dello studio ghibli.
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Da: SGUARDI SULL’ARTE LIBRO QUARTO - di Gianpiero Menniti
CUM NAUFRAGIUM FECI, TUNC BENE NAVIGAVI
Ossimoro latino, forse risalente a Zenone, riproposto da Erasmo da Rotterdam (1469 - 1536) nel suo “Adagia”, 1500, (Centuria 1878) con questa formulazione:
«Nunc bene navigavi, cum naufragium feci.» «Posso dire di aver ben navigato, solo dopo aver fatto naufragio.»
Non si tratta di riferirsi al viaggio, ma al viaggio per mare, là, dove nessuna strada è tracciata e ogni rotta è possibile e ogni istante può mutare in tempesta.
Metafora drammatica.
Temuta.
Accettata.
Subita.
Agognata.
Come per ogni domanda profonda, solo portandosi fino all’estremo confine è possibile scorgere la luce della coscienza consapevole.
Così, la pittura di Turner, agli esordi dell’800, ha già nelle corde il vibrare della crisi di un secolo impetuoso, durante il quale sarà impossibile cambiare rotta per evitare la furia degli elementi.
La metafora diviene simbolo: la tempesta è la metà del piatto spezzato - σύμβολον (symbolon) - che indica l’origine e l’identità da ritrovare.
Essenza del pensiero “romantico” agli albori: esistere, è tragedia.
Il “dipinto-simbolo” racconta il senso, necessario, del vivere: prendere il mare aperto e ogni rischio che questo comporti.
Ogni rischio, anche mortale.
Pur di ricongiungersi con l’altra metà del piatto.
Rimasto ad attendere in un placido canale.
L’ossimoro, si compie.
- Joseph Mallord William Turner (1775 - 1851): “Il naufragio”, 1805, Tate Britain, Londra e “Canale di Chichester”, 1828, Tate Gallery, Londra
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Quando alla fine dell'estate dovevo rimettere i piedi nelle scarpe, era finita la libertà. Non solo per metafora, perché le libertà procedono dal basso verso l'alto, ma per evidenza: il contatto con la libertà iniziava dalla pianta scalza sul selciato dell'isola d'Ischia, sull'aspro degli scogli. Era l'inspessimento dell'epidermide che diventava buccia. Poi toccava al resto del corpo arrossarsi, far bolle sulla schiena, da bucare con l'ago. Era la mutazione estiva, caduta la pelle di carta velina della città, spuntava l'altra, compatta, colore di carruba, coi peluzzi gialli.
Da adulto ho iniziato a portare sandali per gran parte dell'anno, anche in inverno. Poi ho smesso. Dopo la domanda premurosa e centesima: "Non hai freddo ai piedi?", ho dovuto arrendermi. Quando vado in città o sono in viaggio metto le scarpe chiuse, ma sento i piedi scontenti. Sono abituati a stare all'aria, hanno una loro temperatura indipendente.
Stare sotto al sole è abituale per i mediterranei, ma non resisto a mettermi sdraiato. Cammino lungo le rive, nuoto, scalo qualche scoglio, poi mi copro. Ho dei punti bruciati della pelle sui quali spalmo una protezione, non sul resto del corpo. Mi tengo il sole addosso, pure il sale, una seconda pelle.
Nelle pagine del libro sacro Kohèlet/Ecclesiaste si ripete a cadenza di affanno: "tàhat hashèmesh", sotto il sole. Non è quello delle vacanze, ma quello che pesa sulla schiena piegata dei braccianti. È la più potente, schiacciante forza della natura.
Ho conosciuto questo sole, che sovrasta chi non può mettersi all'ombra. Per questo amo quella degli alberi e continuo a piantarli. Vedo la loro crescita, il tronco che espande il diametro, la chioma che allarga a ombrello il suo riparo in terra.
I pescatori d'Ischia non scherzavano con la forza del sole. Nicola, quello che mi ha insegnato a pescare, portava il basco a bordo, i pantaloni blu rimboccati al ginocchio e una canottiera bianca che non toglieva mai. A lui e agli altri non importava niente l'uniformità dell'abbronzatura.
Borges ha scritto un eroico elogio dell'ombra, quella della sua cecità. Io posso lodare la circonferenza protettiva dei rami di un albero. Durante le mietiture in Africa vicino all'Equatore, in mezzo ai trent'anni, ricordo il sole che calava rapido a terra alle sei di sera e rispuntava alle sei del mattino. Abituato alle oscillazioni di orario del Mediterraneo, chiamavo con la marca di un orologio svizzero quel saliscendi puntuale.
Appena tramontato uscivano in volo fitte schiere di pipistrelli. Volavano basso, sfioravano. I loro scatti vicini di alta pressione mi ricordavano le sforbiciate leggere di un barbiere. A mezzogiorno il sole era così a piombo sulla terra che i corpi non facevano ombra. Buffo camminare in piena luce e non trascinarsela dietro. Non ho dimestichezza con la parola anima, ma con la sua controfigura, l'ombra, con lei sì. Mi gira intorno, mi tiene compagnia meglio di un cane, anche di sera a lume di lampadina, di camino acceso. Non si fa accarezzare.
Quando scalo una parete al sole sento il suo fiato sul collo, sul dorso delle mani. È contatto fisico, non solamente luce. Se mi batte dritto davanti, faccio schermo con il palmo sugli occhi, non uso occhiali di protezione. Come i piedi, anche gli occhi sono fatti per stare alla luce.
" 'O sole nun è ddoro": così inizia una poesia di Rocco Galdieri. Non è d'oro, invece è geografia, per chi è del Mediterraneo. La sua irradiazione feconda la terra, e noi di questo mare mangiamo e beviamo il sole e i suoi derivati.
Erri De Luca, Il sole
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Vola solo chi osa farlo...
Se volete una storia a cartoni animati raccontata bene, dovete lasciar perdere la Disney. Quei presuntuosi non ne sono più capaci. Wish ne è una scintillante testimonianza. Guardatevi piuttosto Prendi il volo. In un tranquillo stagno situato non so bene dove, vive una famigliuola di cinque anatre. C'è lo zio Dan, anziano e pigro. Poi ci sono Pam e Mack e i loro due pargoli Dax e Gwen. Pam è avventurosa e ottimista, mentre Mack è un tipo pavido che vede pericoli ovunque. Fosse per lui, se ne starebbe per sempre nel suo tranquillo stagno. Lo convincono invece a migrare verso la Giamaica. Il viaggio sarà tutt'altro che agevole. Però Mack avrà l'occasione di affrontare e vincere le sue immotivate paure, rinsaldando al contempo i propri legami affettivi. Perché è restando uniti che si può superare qualsiasi ostacolo e raggiungere qualunque obiettivo. Il viaggio è ovviamente la metafora del percorso dentro se stessi, alla ricerca della propria identità. Non ce ne rendiamo conto, ma dentro ognuno di noi c'è qualcosa che risplende. Basta raccogliere un po' di coraggio. E guardare.
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“Imitazione di Giacomo Leopardi”: un viaggio poetico tra fragilità e destino. Recensione di Alessandria today
La poesia si apre con una domanda diretta, in cui la foglia, fragile e lontana dal ramo che l’ha generata, è trasportata dal vento
“Imitazione di Giacomo Leopardi” è una poesia che incarna l’essenza dello stile leopardiano, esplorando con delicatezza il tema della fragilità umana e del destino che guida ogni esistenza. Il testo, costruito con versi brevi e musicali, offre una riflessione profonda sul senso del viaggio e sulla transitorietà della vita, usando l’immagine simbolica della foglia come metafora del pellegrinaggio…
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La vecchia Fiat 500 nel mondo del cinema e della moda italiana
La vecchia Fiat 500 ha saputo distinguersi non solo per le sue linee semplici ma affascinanti, diventando una protagonista in film indimenticabili e sulle passerelle più importanti.
La Fiat 500, un'auto piccola ma piena di carattere, è da sempre un simbolo di stile italiano. Nata per dare agli italiani una macchina economica e funzionale, ha rapidamente conquistato il cuore delle persone, tanto da diventare protagonista non solo nelle strade di tutti i giorni, ma anche nelle pellicole cinematografiche e sulle passerelle della moda. Il suo fascino semplice, abbinato a una straordinaria praticità, l'ha resa una scelta perfetta per rappresentare l'eleganza e lo spirito italiano. La Fiat 500 nel cinema La storia del cinema ha visto la vecchia Fiat 500 apparire in numerosi film, specialmente durante gli anni '60 e '70, quando il suo successo era al culmine. In quei decenni, il cinema italiano viveva il suo periodo d'oro, con registi del calibro di Federico Fellini e Vittorio De Sica, e la Fiat 500 era spesso sullo schermo, diventando il simbolo di una società in cambiamento. Tra le prime apparizioni significative della vecchia Fiat 500 nel cinema troviamo il film I Motorizzati (1962), diretto da Camillo Mastrocinque. In uno degli episodi, due ladri maldestri, fingendosi parcheggiatori, rubano proprio una Fiat 500, sottolineando come questa piccola auto fosse già diventata un simbolo riconoscibile dell'Italia di quel periodo.
I Motorizzati (1962) La Fiat 500 appare anche come spalla di Franco e Ciccio, celebri comici dell'epoca, contribuendo a dare un tocco di umorismo a una pellicola già ricca di ironia. Un anno dopo, nel 1963, la Fiat 500 compare in un altro classico del cinema italiano: Il Boom, diretto da Vittorio De Sica e interpretato da Alberto Sordi. Nel film, la piccola utilitaria diventa oggetto del desiderio per il protagonista, Giovanni Alberti, simbolo della ricerca di uno stile di vita all'altezza del boom economico italiano. Anche qui, la vecchia Fiat 500 rappresenta il desiderio di riscatto sociale e benessere di un'intera generazione.
Film: il Boom Non meno significativa è la presenza della Fiat 500 in Io la conoscevo bene (1965), di Antonio Pietrangeli, dove accompagna Adriana, interpretata da Stefania Sandrelli, nella sua faticosa ricerca di successo a Roma. La Fiat 500 bianca diventa il simbolo della sua ingenua speranza di realizzare i propri sogni, un'auto che la accompagna mentre attraversa le difficoltà della vita nella grande città.
Io la conoscevo bene (1965) Tra le ultime apparizioni, invece, c’è quella rosso fuoco guidata da Aldo, Giovanni e Giacomo in Il Ricco, il Povero e il Maggiordomo, uscito nel 2014 e campione di incassi con quasi 15 milioni di euro al botteghino. La vecchia Fiat 500 riesce a strappare ancora un sorriso al pubblico italiano, consolidando il suo ruolo di compagna fedele e divertente anche nel cinema contemporaneo.
Aldo, Giovanni e Giacomo e la 500 rossa Raccontando il viaggio della Fiat 500 sul grande schermo, arriviamo letteralmente fino ai giorni nostri, dove la piccola auto italiana torna in primo piano addirittura in The Laundromat di Steve Soderbergh. Il film, con un cast stellare che include Gary Oldman, Antonio Banderas e Meryl Streep, si concentra sullo scandalo dei Panama Papers ed è stato presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia. Anche qui, la Fiat 500 trova il suo spazio in una trama globale, dimostrando come il suo fascino non conosca confini né epoche.
THE LAUNDROMAT Questi film, insieme a tanti altri, hanno contribuito a consolidare la Fiat 500 come simbolo del cinema italiano, rappresentando non solo un mezzo di trasporto, ma una vera e propria metafora della vita quotidiana, dei sogni e delle ambizioni degli italiani di quell'epoca. La Fiat 500 nella moda Non è solo nel cinema che la vecchia Fiat 500 ha brillato. Anche il mondo della moda ha riconosciuto il suo fascino. Negli anni '60 e '70, era comune vedere modelli e modelle salire su una Fiat 500 dopo una sfilata, o posare accanto ad essa per servizi fotografici destinati alle riviste più prestigiose.
La sua linea semplice, ma perfettamente proporzionata, si prestava benissimo alle pubblicità di abbigliamento e accessori. Molti stilisti italiani hanno utilizzato la Fiat 500 come sfondo per le loro creazioni, celebrando il fascino unico del design italiano. Dolce & Gabbana, ad esempio, hanno inserito la Fiat 500 in diverse campagne pubblicitarie, accostandola a capi che rappresentano l’essenza del “Made in Italy”.
Un'auto che continua a ispirare Oggi, più di cinquant’anni dopo il suo debutto, la vecchia Fiat 500 continua a essere una fonte di ispirazione per stilisti, fotografi e registi. La sua capacità di evocare nostalgia, combinata con un fascino senza tempo, la rende l'accessorio perfetto per chi cerca qualcosa di più di un semplice mezzo di trasporto. Il futuro della Fiat 500 Il fascino della vecchia Fiat 500 non accenna a svanire. Anche oggi, in un mondo sempre più orientato verso la tecnologia e l'innovazione, la piccola utilitaria italiana continua a far battere il cuore degli appassionati. Le nuove generazioni, alla ricerca di un contatto con le radici del passato, trovano in questa auto un simbolo di una semplicità ormai scomparsa. La Fiat 500 rappresenta più di un semplice oggetto da collezione: è un vero e proprio pezzo di storia, un emblema di stile e buon gusto che ha saputo attraversare i decenni senza perdere il suo fascino. E tu, hai mai sognato di possedere una vecchia Fiat 500? Raccontaci nei commenti cosa ti ispira di più di questa splendida auto!
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Chino - Binario 35
Sarà disponibile su tutte le piattaforme da venerdì 27 settembre “Binario35” (La Grande Onda/Altafonte) il nuovo album del musicista romano Chino. Dal 18ottobre il disco sarà anche disponibile su sopporto fisico.“Binario 35” racconta il delicato e profondo passaggio dall’adolescenza all’età adulta, attraverso una metafora potente e visivamente evocativa: un viaggio in treno. Il titolo stesso…
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Squiddly Diddly - Tentacolino
Ah, Squiddly Diddly! Un vero tuffo nel passato per chi, come me, ha vissuto gli anni '80 attaccato allo schermo a guardare i cartoni animati di Hanna-Barbera. Squiddly Diddly, che in Italia abbiamo conosciuto come Tentacolino, è uno di quei personaggi che a molti potrebbe sfuggire a primo impatto, ma che chi ha avuto la fortuna di crescere guardando Ciao Ciao non dimentica facilmente. Tentacolino era un calamaro antropomorfo – o meglio, somigliava più a un polpo con il suo simpatico cappellino da marinaio e solo sei tentacoli – che viveva nel parco acquatico di Bubbleland, cercando sempre di sfuggire dalla monotonia della sua prigionia. Era un personaggio che, come tanti di noi, sognava in grande. Il suo grande desiderio? Diventare una star della musica! Tentava continuamente di fuggire per trovare il suo posto nel mondo, ma il burbero Capo Winchley, l’amministratore del parco, era sempre lì pronto a riportarlo in riga. Ogni episodio era una piccola avventura, dove Tentacolino provava a inseguire i suoi sogni, spesso con risultati disastrosi, ma sempre con un sorriso. Era buffo perché, ogni volta che riusciva a scappare, si trovava ad affrontare un mondo esterno che non era esattamente come lo immaginava. E, alla fine, finiva sempre per tornare a Bubbleland, a dimostrazione che a volte i sogni più grandi non sono così semplici da realizzare.
Ciò che rendeva Squiddly Diddly così speciale era proprio questa combinazione di umorismo slapstick e un pizzico di malinconia. Tentacolino era amato per la sua musica – spesso lo vedevamo intrattenere con la sua band improvvisata – ma allo stesso tempo era temuto per via della sua natura di "polpo", una creatura marina che molti trovavano spaventosa. Una metafora, forse, di come a volte ci sentiamo incompresi, nonostante i nostri talenti. Ricordo con affetto come le sue disavventure fossero sempre accompagnate da una colonna sonora allegra e orecchiabile, composta da Ted Nichols, che ti restava in testa per ore. In più, Tentacolino era parte di un pacchetto di serie animate che includeva anche Secret Squirrel e L'amabile strega, quindi guardare questi episodi era come avere un'intera ora di divertimento non-stop. In Italia, la serie è andata in onda su Ciao Ciao a partire dal novembre del 1980, e anche se gli episodi duravano solo sette minuti, erano abbastanza per strapparti un sorriso e farti dimenticare per un attimo le preoccupazioni della giornata. Quei brevi minuti erano un vero e proprio viaggio in un mondo di fantasia dove tutto sembrava possibile, almeno per Tentacolino… fino al prossimo incontro con il Capo Winchley! Anche se non è diventato uno dei personaggi di punta della Hanna-Barbera, Squiddly Diddly ha comunque lasciato il segno nei cuori di chi lo ha seguito. E come dimenticarlo? Ogni tentacolo era un simbolo di speranza, una speranza che ci ricordava di non mollare mai i nostri sogni, anche quando il mondo ci mette i bastoni tra le ruote… o, nel caso di Tentacolino, tra i tentacoli!
Sinossi degli episodi di Squiddly Diddly:
Stagione 1 (1965–66) - Way Out Squiddly (2 ottobre 1965) Due alieni rapiscono Squiddly e lo portano in un'avventura selvaggia a bordo della loro astronave. - Show Biz Squid (9 ottobre 1965) Squiddly, oscurato dai delfini, decide di lasciare Bubbleland per cercare la celebrità nel mondo dello spettacolo. - The Canvas Back Squid (16 ottobre 1965) Squiddly viene assunto come sostituto per un lottatore professionista. - Nervous Service (23 ottobre 1965) Squiddly viene arruolato per errore nella Marina. - Westward Ha! (30 ottobre 1965) Squiddly si reca nel selvaggio West per imitare i suoi show western preferiti. - Sea Grunt (6 novembre 1965) Squiddly viene scelto come protagonista in una serie televisiva. - Chief Cook and Bottle Washer (13 novembre 1965) Sopraffatto dalle faccende, Squiddly fugge per unirsi ai pirati. - Squid on the Skids (20 novembre 1965) Squiddly tenta di corteggiare una calamaro femmina. - Double Trouble (27 novembre 1965) Squiddly diventa improvvisamente popolare a una festa in maschera. - Squid Kid (4 dicembre 1965) Un ragazzino porta Squiddly a casa come "animale domestico". - Booty and the Beast (11 dicembre 1965) Squiddly e Winchley partono alla ricerca di un tesoro nascosto. - Clowning Around (18 dicembre 1965) Squiddly scappa e si unisce a un circo. - Surprise Prize (25 dicembre 1965) Squiddly e Winchley finiscono su un'isola, dove Squiddly viene venerato come un dio. - Naughty Astronaut (1 gennaio 1966) Scambiato per un alieno, Squiddly viene inseguito dall'esercito. - The Ghost Is Clear (8 gennaio 1966) Squiddly deve fare da babysitter a un giovane fantasma di nome Wilbur. - Lucky Ducky (15 gennaio 1966) Un'anatra della Tasmania arriva a Bubbleland e tenta di convincere Squiddly a cedergli la sua vasca. - Foxy Seal (22 gennaio 1966) Dopo essere stato ingannato da Slippery Seal, Squiddly aiuta a proteggere una volpe dalla caccia. - Squiddly Double Diddly (29 gennaio 1966) Un agente straniero sostituisce Squiddly per rubare i progetti segreti di Bubbleland. - Hollywood Folly (5 febbraio 1966) Squiddly parte per Hollywood con l'aspirazione di diventare una star. - One Black Knight (12 febbraio 1966) Squiddly eredita un castello infestato dal fantasma del Cavaliere Nero. Stagione 2 (1966) - Yo Ho Ho (10 settembre 1966) Squiddly trova una macchina del tempo e viaggia nell'epoca dei pirati al tempo del Capitano Kidney. - Phoney Fish (17 settembre 1966) Due criminali, Knuckles e Tiny, si travestono da pesci per rapinare la biglietteria di Bubbleland. - Gnatman (24 settembre 1966) Squiddly e il capo Winchley si travestono entrambi da supereroe Gnatman per combattere il crimine. - Robot Squid (1 ottobre 1966) Winchley sostituisce Squiddly con una versione robotica. - Jewel Finger (8 ottobre 1966) Squiddly ingoia accidentalmente una collana di perle rubata da un ladro nascosto a Bubbleland. - Baby Squidder (15 ottobre 1966) Squiddly deve proteggere un bambino avventuroso e tenerlo al sicuro.
Dati tecnici
Ecco i dati tecnici per la serie animata Squiddly Diddly: - Lingua originale: inglese - Paese: Stati Uniti - Autori: William Hanna, Joseph Barbera - Regia: William Hanna, Joseph Barbera - Produttori: William Hanna, Joseph Barbera - Musiche: Ted Nichols - Studio: Hanna-Barbera Productions - Rete originale: NBC - Prima TV (USA): 2 ottobre 1965 – 15 ottobre 1966 - Stagioni: 2 - Episodi: 26 (serie completa) - Rapporto: 4:3 - Durata episodio: 7 minuti - Rete italiana: Ciao Ciao - Prima TV italiana: 20 novembre 1980 Altri cartoni animati di Hanna e Barbera Altri cartoni animati degli anni 60 Guarda i video di Squiddy su Youtube Read the full article
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Frattini - Lumen e altre immagini Il lungo viaggio del segno
Martina Corgnati
Edizioni Gabriele Mazzotta , Milano 2005, 96 pagine, 33 ill.b/n, 36 ill.colori, brossura, 22 x 24 cm, ISBN 9788820217556
euro 15,00
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Il catalogo, in italiano e inglese, accompagna la mostra Lumen di Vittore Frattini e testimonia il passaggio dalle opere postinformali degli anni '55 - '66 alle visioni materiche e notturne delle sue sculture. Questi oggetti, come scrive Martina Corgnati, non si possono chiamare sculture poiché ne eludono le tecniche e mancano del soggetto, sono smaterializzate, stanno in una nicchia concettuale al confine tra scultura e design. Frattini non rinuncia all'immagine pur esplorandola nel nome dell'asemanticità, considerata dall'artista stesso una forma di libertà. Vittore Frattini è un artista che, attraverso il segno, penetra nell'intimo, nella verità degli oggetti, guardando alla realtà con una libertà estrema che certamente si può percepire nella libertà creativa e sperimentale delle sue tecniche e dei materiali utilizzati,contaminate, trasversali, in continuo dialogo con la sfida dei linguaggi tardo novecenteschi. Il catalogo si avvale di una grafica dinamica e di un apparato fotografico sostanzioso che cerca di esplorare le sculture girando loro attorno con uno sguardo voyeuristico che si sofferma sui particolari accentuando il senso di disorientamento. "Lumen" è infatti un viaggio nei segni, ma implica un particolare punto di vista: quello dall'alto, che genera una perdita di direzione; in queste opere non è più rintracciabile una direzione certa e forse in questo risiede una forte metafora della modernità. Completano il catalogo la biografia e un ricordo di Mario Luzi in forma di poesia.
Vittore Frattini Lumen e altre immagini Il lungo viaggio del segno
Spoleto, Galleria Civica d’Arte Moderna 21 maggio- 18 giugno 2005
27/11/22
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(via Oscar 2025 Miglior film internazionale: l'Ecuador seleziona Behind the Mist)
L'Everest come specchio dell'anima. Il documentario di Sebastián Cordero, Behind the Mist, è stato scelto dall’Ecuador per gli Oscar 2025 per la categoria Miglior film internazionale. La scalata come metafora di un viaggio di auto-scoperta ci invita a riflettere sulle grandi sfide della vita.
Iván Vallejo e Sebastián Cordero sono rispettivamente scalatori e registi ecuadoriani. Insieme iniziano un documentario sulla scalata di Vallejo sulla cima del monte Everest, ma man mano che salgono più in alto, la loro visione del film cambia radicalmente e pericolosamente.
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sulle nostre nuvole
undici rose metafora di uomini arresi al destino non di fatto; rosa rossa sul mazzo bianco ormai stanco sciupato dal caldo di un giorno avaro ma giusto ed onesto nel confessare verità di quell'angelo semplice venerato quanto smarrito nei troppi falsi istinti confusi di un orgoglio antico che rivela palese ostinatezza nel perpetrare l'errore di un intelletto precario travolto dall'intensità dell'espressione di un arte, impossibile accondiscende la mediocrità ma non rinuncia alla preghiera nel tempo ormai sopita nemmeno nota in ricordi e presagi Piangono i loro steli gettati al macero serba nella mente quella rosa la sua idea. non so se sono impazzito so che ne vorrei per costruire sogni, ancora una volta, giochi fantastici donano ali che ci trasportano in ogni momento sulle nostre nuvole senza esserne all'altezza ma nessuno immagina mai quanto si desideri provare. non si può costringere per questo accetto il fato senza nascondere ciò che ho sentito e continuerò a credere: le fantasie devono esistere. non troppo vecchie ne troppo giovani per comportamenti incauti e irragionevoli, fiero di esserne capace imbranato nell'imbarazzo senza risposta ma in un incontro , un semplice, nessun mi dispiace perché quando manca agli avvenimenti non avremo pianto per le violenze ne emozioni per gli eroi le cui lunghe notti nascoste sotto un cappello inginocchiato nel freddo austero profondo vuoto la gotica cattedrale nel nome proprio Buia Oscurità evoca le avide poesie del dramma squartato al banchetto silente sulla sinfonia in viaggio attraverso sentieri transfrontalieri rifiuti di mestieri prosa dell'uomo ignoti al sacerdozio di Giuda immaturo accolito cerimoniere inconsapevole che sparge siffatti petali di rosa
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P. Gaetano Piccolo S.J."Dove stai andando? La vita come pellegrinaggio"
XV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (14/07/2024) Vangelo: Mc 6,7-13 «Accogli lo Spirito:dev’essere in te una sorgente, non una borsa;una ricchezza da cui si possa prendere per farne dono,non per tenerla rinchiusa».Sant’Agostino, Discorso 101,6 La metafora del viaggio La vita è un grande viaggio durante il quale siamo chiamati continuamente a separarci da noi stessi, a seguire quel…
#Commenti al Vangelo#OMELIE#Vangelo#Vangelo di Domenica prossima#XV Domenica del Tempo Ordinario(Anno B)
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