#istituzioni contro le mafie
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pier-carlo-universe · 18 days ago
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ROSSI (PD): Il Piemonte sia fucina e laboratorio dell'antimafia
Per costruire un Piemonte libero dalle mafie serve l’impegno di ciascuno di noi. superare Occorre il principio della delega nei confronti di magistratura e Forze dell’Ordine. L’azione repressiva, per quanto fondamentale, non è sufficiente. È necessario un impegno collettivo, che parte dalla scuola, dalle associazioni, dalle imprese, dai singoli cittadini e che vede la politica in prima linea. Se…
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agrpress-blog · 1 year ago
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Memoria e impegno: la Giornata contro le Mafie a Roma A Roma, la 29esima Giornata della Memor... #antoniodecaro #CircoMassimo #donluigiciotti #GiornatacontroleMafie #mafia #mafie #robertogualtieri #roma https://agrpress.it/memoria-e-impegno-la-giornata-contro-le-mafie-a-roma/?feed_id=4059&_unique_id=65fd53f66f3b8
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ninocom5786 · 3 years ago
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Il 9 maggio è una data molto importante perché ricorda due eventi molto particolari: il primo è la sconfitta definitiva della Germania nazista dinanzi all'Unione Sovietica e il secondo è il barbaro assassinio di Peppino Impastato da parte della mafia democristiana.
Chi crede in una società realmente progressista e democratica senza sfruttamento, disoccupazione, guerra tra bande, discriminazioni e disuguaglianze sociali, viene sempre ostacolato, messo a tacere, alla porta e via dicendo da parte di elementi dei ranghi più alti della società.
La cosa ancora più squallida e inaccettabile è chi usa questi due eventi per lavarsi le mani della propria sporca coscienza da parte di quest'ultimi elementi. Non si rendono conto dello squallore che fanno e che hanno pur di non perdere la propria faccia e di mantenere il loro potere.
Chi dice che il fascismo ormai è morto e che la mafia non esiste è solo un emerito ignorante. La mafia non è solo lupara, traffico di droga, di esseri umani e di armi; il fascismo non è solo il centrodestra, la destra e l'estrema destra. La mafia è pure nelle istituzioni, nei vertici di aziende e banche, così come il fascismo.
Sappiamo tutti che la lotta al nazifascismo e alla mafia la fanno principalmente chi crede nelle idee di costruzione di una società progressista, ugualitaria e democratica, mentre quelli dei ranghi più alti della società odierna è solo opportunismo e ipocrisia.
Personaggi come Placido Rizzotto, Turi Carnevale, Peppino Impastato, Fausto e Iaio, Valerio Verbano e Pio La Torre hanno pagato a caro prezzo le loro battaglie con la vita per mano della mafia democristiana e dei fascisti.
Gli uni e gli altri sono legati strettamente da interessi molto strategici con la collusione di politici, clero e dirigenti di aziende e banche.
La guerra in Ucraina è l'esempio più lampante dello squallido revisionismo storico che glorifica ed esalta il filonazismo ucraino e criminalizza l'eroica resistenza dei popoli. Le serie televisive e la musica neomelodica e persino il trap incentrate sulla vita da strada, sull'ostentazione della ricchezza, dell'ignoranza e sulla vita di un boss mafioso sono persino esempi molto lampanti di sdoganamento della vita e della cultura malavitosa.
Come possono parlare di lotta contro la mafia e contro il fascismo se candidano alle liste elettorali e vengono piazzati nelle istituzioni persone molto legate e colluse con le mafie e che esprimono idee fasciste e razziste? Come possono farlo quando i nostri governi attuano politiche sociali che privatizzano servizi statali essenziali e utili per tutta la collettività aumentando sempre di più le possibilità di infiltrazioni mafiose? Come posso farlo quando vengono negati ai lavoratori e alle lavoratrici i diritti sociali e civili più importanti e si ricorre alla repressione poliziesca contro le loro lotte?
Chi lotta davvero contro la mafia e contro il fascismo, lotta contro tutta questa società e contro tutto questo sistema che ci vedono come merce da scambio, che normalizzano e che sdoganano ogni cosa, che ci insegnano a farci competizione tra noi e a essere ubbidienti a loro.
Mafia e fascismo sono due montagne di merda. La nostra società è piena di questa montagna di merda.
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diceriadelluntore · 5 years ago
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Oggi, 21 marzo, ricordiamo le donne e gli uomini che hanno pagato con la vita l’impegno coerente contro le mafie, la fedeltà alle istituzioni repubblicane, la libertà di sottrarsi al ricatto criminale e al giogo violento della sopraffazione.
Questa Giornata della Memoria è nata nella società civile, tra i giovani che vogliono costruire il loro futuro nella dignità e nella legalità che, sola, può garantire il rispetto e la parità dei diritti delle persone. Il Parlamento, opportunamente, ha poi deciso di dare a questo giorno la solennità di una ricorrenza civile.
L’emergenza sanitaria che stiamo affrontando impone, quest’anno, di rimandare il momento in cui si leggeranno, nelle piazze d’Italia, i nomi delle vittime, dei martiri, dei servitori dello Stato che la disumanità mafiosa ha strappato ai loro cari e a tutta la società. Ma quei nomi, tutti i nomi, sono impressi nella nostra storia e nulla  potrà cancellarli.
Il ricordo si lega a un impegno civile: quelle testimonianze, quegli esempi indicano un percorso di civiltà. Le mafie cambiano le forme, i campi di azione, le strategie criminali. Si insinuano nelle attività economiche e creano nuove zone grigie di corruzione e complicità. Sono un cancro per la società e un grave impedimento allo sviluppo. Occorre vigilanza, e la consapevolezza deve farsi cultura. Occasioni come queste ci aiutano a riflettere insieme.
Sconfiggeremo ed estirperemo le mafie. Con l’azione delle istituzioni, con la coesione delle comunità, con il protagonismo dei cittadini. Il 21 marzo, giorno di primavera, anche in questo difficile anno è un giorno di speranza che dobbiamo far valere contro chi la speranza vuole sottrarre
Sergio Mattarella, il 21 Marzo 2020, Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie
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corallorosso · 5 years ago
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Coronavirus, prof Alessandro Campi chiede aiuto alla mafia. di THOMAS CARDINALI Il post di domenica sul coronavirus del professor Alessandro Campi ha sconvolto tutta Italia, ma soprattutto l’Università di Perugia. Il rettore Maurizio Oliviero infatti, è senza parole dinanzi alle parole del docente. Ricordiamo che Alessandro Campi ha postato sul suo profilo privato il seguente messaggio: “Chiedo alla mafia, alla ‘ndrangheta, alla Sacra corona unita e alla camorra di imporre, nei vasti territori da loro controllati, la quarantena domiciliare obbligatoria a tutti i loro corregionali improvvidamente rientrati a casa dai loro domicili al Nord rientranti nella zona rossa”. Un post inquietante, dopo poche ore scomparso da tutti i social. ...ferma risposta dunque del rettore Maurizio Oliviero a nome di tutta l’Università di Perugia al Corriere della Sera: “Il mio ateneo si dissocia completamente dalle dichiarazioni del professor Alessandro Campi perché siamo al fianco esclusivamente delle Istituzioni democratiche di questo Paese che proprio in queste sono chiamate a scelte difficili. Sono veramente dispiaciuto perché proprio la nostra Università sta avviando dei corsi di legislazione antimafia, in collaborazione con Libera di Don Ciotti, proprio perché crediamo prioritaria la lotta a tutte le mafie: è e deve essere un pilastro della formazione universitaria, civica e culturale dei nostri studenti. Non condividiamo proprio nulla dei contenuti di quel post su Facebook. Men che meno l’equiparazione delle mafie allo Stato. Per questo motivo ho chiesto spiegazioni al docente e spero che presto si scusi pubblicamente”. Parole durissime sulla vicenda arrivano anche dal senatore Nicola Morra, presidente della commissione parlamentare nazionale Antimafia: “Ma stiamo scherzando!?!?… In questo momento di caos ed impazzimento di molti, sembra che anche politologi universitari perdano la trebisonda. Rivolgersi alle mafie come se le stesse abbiano il controllo del territorio è gravissimo, a prescindere da quanto si comunica loro. Spero ci sia una spiegazione”. L’associazione Libera di Don Ciotti, che proprio con l’Università di Perugia ha siglato una partnership contro la mafia ha dichiarato: “PAROLE INACCETTABILI, che lasciano di stucco e che sono ancor meno tollerabili visto che a pronunciarle è un docente universitario, che ha la responsabilità di formare centinaia e centinaia di giovani nell’Università di Perugia. L’aver cancellato il post non riduce di certo la gravità del fatto, visto che per SCRIVERLE quelle cose bisogna anche PENSARLE. Noi riteniamo che questo episodio gravissimo non possa non avere conseguenze ed auspichiamo che le istituzioni danneggiate, Ateneo e ministero, mettano in atto misure adeguate per censurare nettamente simili comportamenti”
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metacsi · 5 years ago
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Ogni forma criminale di derivazione popolare che si contrapponeva allo Stato, prima delle mafie, ha perso nel corso della storia. Le mafie hanno successo e hanno vita lunga perché non si contrappongono allo Stato. La mafia è violenza di potere, è violenza che si relaziona con coloro che dovrebbero contrastarla, dunque le mafie hanno avuto successo perché si sono relazionate con una parte delle classi dirigenti e con una parte dello Stato. Fuori da questa interpretazione è difficile capire perché se ce l’abbiamo fatta contro i briganti, contro i banditi e contro i pirati non potremmo farcela contro i mafiosi. I mafiosi non sono all’esterno della società ma all’interno, non stanno all’esterno delle istituzioni, ma al loro Interno.
Isaia Sales
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paoloxl · 6 years ago
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Caporalato e sfruttamento lavorativo nel rapporto tra potere politico e giudiziario. Il caso della sentenza Nardò come paradigma. Cosi la legge Martina contro il caporalato potrebbe avere l’effetto di bloccare tutti i processi in corso per schiavitù cominciati prima del 2016
Era il 30 luglio del 2011, tra le immense campagne al confine tra le province di Brindisi, Lecce e Taranto. Quel giorno nei pressi della masseria Boncuri, nel comune di Nardò, si levò alta la voce dei braccianti africani giunti in quel periodo da ogni parte d’Italia per la raccolta delle angurie e dei pomodori.
“Sciopero ora”. Era l’urlo della protesta che risuonava da un megafono improvvisato maneggiato da Ivan, 26enne studente camerunense di ingegneria al Politecnico di Torino, arrivato qualche giorno prima in Puglia per la raccolta. La stagione delle angurie quell’anno era andata male, con più della metà del raccolto che era rimasto a marcire nei campi. Così i braccianti africani speravano di “rimediare” qualche soldo in più con i pomodori. Ma, dopo i primi giorni di caldo e fatica, quando avevano scoperto che avrebbero guadagnato 3 euro e mezzo per ogni cassone da 100 chili, avevano incrociato le braccia. Circa 40 braccianti avevano smesso di lavorare, chiedendo di trattare direttamente con le aziende. Come funzionava il sistema alla base dello sfruttamento della manodopera, lo spiegarono allora l’associazione Finis Terrae, e le Brigate di solidarietà attiva, organizzazioni che da due anni mantenevano attivo un presidio socio-legale presso la Masseria Boncuri di Nardò nell’ambito della campagna “Ingaggiami. Contro il lavoro nero”.
«A monte ci sono cinque, sei aziende, che coltivano circa 600-700 ettari destinati a cocomeri e pomodori. Esse affidano la raccolta e la vendita ad altre, seguendo le regole del subappalto. Il sistema funziona come uno spazio politico nel quale le convenienze cambiano rapidamente». Denunciando dunque l’esistenza di una forma consolidata di sfruttamento di lavoro migrante nell’agricoltura, in pratica il sistema del nuovo caporalato, un fenomeno in base al quale le inchieste giudiziarie condotte dalla Procura antimafia di Lecce ipotizzeranno negli anni a venire la fattispecie di riduzione di schiavitù. È lì che accadeva, nella Puglia delle lotte sindacali di Peppino di Vittorio, in quella contemporanea progressista guidata da Nichi Vendola.
«Lo sciopero di Nardò costituisce un punto di svolta importante – spiegava allora Alessandro Leogrande, osservatore attento – Per la prima volta i braccianti stranieri, impiegati nella massacrante raccolta del pomodoro, si sono rivoltati contro i loro sfruttatori. Non è stata una rivolta esacerbata da una aggressione razzista, come nel caso di Rosarno». E ancora: «È stata una protesta matura, che ha avuto al centro della propria denuncia le condizioni di lavoro e di sfruttamento, i rapporti di forza nelle campagne, la rappresentanza».
Dopo gli scioperi di Nardò. Negli anni a venire, poi, di quei caporali se ne sono occupati i magistrati. Anche se le prime denunce risalgono già al 2009, ad opera di Finis Terrae e del progetto Libera (da non confondere con l’associazione fondata da don Luigi Ciotti). Ma è il 23 maggio del 2012 quando la procura antimafia di Lecce e i Ros dei carabinieri mettono sotto scacco un’organizzazione internazionale che per anni aveva sfruttato i lavoratori migranti reclutandoli direttamente in Africa. E in cella ci finirono, allora, in sedici, anche numerosi imprenditori, con i capi di imputazione più vari che comprendevano, per alcuni di loro, «la riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù, uniti all’intermediazione illecita e allo sfruttamento del lavoro».
Non soltanto. Il 13 luglio del 2017 nel processo Sabr, nato appunto da quella operazione, la Corte di Assise di Lecce in primo grado aveva pronunciato una sentenza “storica” condannando 13 imputati e riconoscendo il reato di «riduzione in schiavitù di lavoratori stranieri» che sarebbe stato commesso secondo i giudici anche da alcuni imprenditori italiani. Tra di loro, c’era Pantaleo Latino, considerato il dominus di un cartello di aziende agricole, il quale si occupava anche di reperire «i locali fatiscenti in cui venivano alloggiati gli extracomunitari utilizzati sui campi». La sentenza riconobbe anche il risarcimento per le parti civili che si erano costituite nel giudizio, la Cgil nazionale, la Flai Cgil Lecce, la Regione Puglia, l’associazione Finis Terrae, oltre che in favore di sei braccianti, tra cui Yvan Sagnet, bracciante camerunense a capo della rivolta del 2011.
Sono passati dieci giorni, invece, dalla sentenza di secondo grado della Corte d’Assise d’Appello di Lecce che ha stravolto l’impianto di quel giudizio stabilendo che «il reato di caporalato legato alla schiavitù è stato introdotto nell’estate del 2011 mentre in questo procedimento si contestano fatti avvenuti tra il 2009 e il 2011». E ancora, in sostanza i giudici, accogliendo la tesi della difesa hanno assolto 11 imputati, tra questi l’imprenditore Pantaleo Latino, il “re delle angurie’”, che era ritenuto dall’accusa proprio «a capo del sodalizio criminale transnazionale dedito allo sfruttamento e riduzione in schiavitù dei migranti impegnati nella raccolta delle angurie nelle campagne di Nardò».
Yvan Sagnet, oggi presidente della Rete NoCap e cavaliere al merito della Repubblica italiana, ha commentato: «Siamo arrabbiati perché pensiamo, come parti civili e come lavoratori, che il fatto ci sia: noi abbiamo subito nelle campagne questo tipo di reato». Una sentenza, dunque, che rischia di far venire meno lo stesso risarcimento riconosciuto alle parti civili. Una pronuncia, questa, che secondo l’ex Sindaco di Nardò e parlamentare di Forza Italia Rino Dell’Anna, restituisce l’onore perduto alla comunità locale
Oltre il danno c’è la beffa. Racconta Gian Luca Nigro dell’associazione Finis Terrae: «La legge 199/2016, conosciuta come la legge di contrasto al caporalato, nata proprio sulla spinta dello sciopero di Nardò sembra avere come effetto il rovesciamento del suo intento». Ovvero, prosegue Nigro: «La legge assorbe la gran parte della fattispecie individuate dall’art. 600 del codice penale, producendo così il rischio che quanto avvenuto per la sentenza d’appello del processo Sabr possa avvenire anche in altri processi che abbiano come capo d’imputazione principale la riduzione in schiavitù». Conclude: «Di fatto la legge n. 199 sta diventando lo strumento per esautorare i processi aperti prima della sua approvazione. Siamo di fronte a un processo di normalizzazione. Ne è la prova l’emanazione delle linee guida sui controlli alle aziende, indicate in una recente circolare del ministero del Lavoro che sembrano voler essere un deterrente, invece che una spinta all’emersione del lavoro nero e del caporalato».
Il caporalato italiano in agricoltura. Un’analisi del contesto. Uno dei capitoli della relazione 2018 della Commissione parlamentare antimafia contiene un focus specifico su “Mafie, migranti, tratta degli esseri umani e nuove schiavitù” in cui si chiarisce, invece, che «esiste una profonda relazione tra l’odierno contesto globale delle migrazioni, con i corrispondenti flussi economico-sociali, e il fenomeno della moderna schiavitù contemporanea». Non solo. Secondo quanto è stato rilevato dal rapporto Istat che risale all’anno precedente, dal titolo «L’economia non osservata nei conti nazionali», si registra «un salto di qualità dell’infiltrazione mafiosa nella filiera agroalimentare, fatta di gestione dell’intermediazione illecita di manodopera ma soprattutto di tratta internazionale degli esseri umani».
Ci sono poi i dati diffusi nel luglio scorso dall’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai Cgil, il quale ha calcolato che «sono 400mila oggi in tutta Italia i lavoratori agricoli stagionali esposti al rischio dello sfruttamento lavorativo e del sistema del caporalato, la maggior parte dei quali sono stranieri che si trovano anche in condizioni di forte vulnerabilità sanitaria, sociale, occupazionale». Il centro studi del sindacato ha calcolato anche che esistono sull’intero territorio italiano 15mila caporali e che «la media dei lavoratori reclutati in condizioni indecenti con punte di assoggettamento para- schiavistico sul totale dei 220 distretti agricoli censiti è di seicento persone per ogni distretto agricolo».
In Puglia le morti avvenute a causa del caldo e della fatica nell’estate del 2015, tra cui anche quelle di alcuni braccianti di nazionalità italiana, e di cui si è scritto ampiamente su queste pagine, e le cronache più recenti dell’agosto scorso, quando in provincia di Foggia morirono 16 braccianti in due distinti incidenti stradali, hanno riportato l’attenzione sul fenomeno del caporalato nella regione Puglia, da parte sia delle istituzioni locali che di quelle nazionali. Se ne riparlerà forse dopo le prossime morti? Fino ad allora la schiavitù contemporanea sarà considerata alla stregua di un pranzo di gala.
Gaetano De Monte
da Dinamo Press
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zeropregi · 7 years ago
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Contro Roma
Da inizio anno a Roma sono andati in fiamme diversi autobus, almeno una decina. Il fatto che ieri sia accaduto in centro, oltretutto nei pressi delle redazioni di alcuni quotidiani romani, ha reso questa notizia, normale per ogni cittadino della capitale, il dramma da prima pagina. Tra autisti eroi, esplosioni che non ci sono state, le migliori penne del paese si sono scatenate su Roma con brillanti articoli di opinione dalla vena comica.
Facciamo un passo indietro. Roma è una città amministrata malissimo. Non da ieri ma da anni. Manca qualsiasi forma di progetto pubblico per la città (del resto non è che l’Italia se la passi meglio eh) e l’ultimo che c’è stato è stato il “Modello Roma” di Veltroni basato su una crescita legata agli introiti immobiliari: quello che nel 2008 ha regalato ai palazzinari l’edificabilità di oltre 2mila ettari di terreno, non esattamente un modello encomiabile insomma. L’amministrazione di Roma sembra inseguire le emergenze: la pioggia, la neve, le buche, i rami che cadono, l’allerta terrorismo, la sicurezza, gli immigrati. Del resto  è in default da quasi una decina d’anni, soffre la trasformazione in atto e sta letteralmente implodendo: la premiata ditta Tronca prima e Raggi poi, le stanno dando il colpo di grazia. Se prima eravamo in agonia ora siamo un cadavere che puzza. Ma più di tutte una cosa puzza, terribilmente, il racconto della città e la retorica che ci gira intorno.
Roma è una città senza una vera opposizione sociale. I tentativi di opposizione dal basso finiscono in sgomberi e arresti da un po’ di tempo a questa parte. C’è tutto un popolo di poveracci, lavoratori/trici precari, che vive ai margini della città che ha capito che è meglio nascondersi che provare a prendere parola. Come biasimarli? Accanto a tutto questo Roma viene descritta, da chi dovrebbe fare informazione oppure opinione con la stessa retorica di un blog anti-degrado. Tanto che anche Roma Fa Schifo, blog di riferimento della stampa romana, ormai ha perso quella visibilità che lo portò solo 2 anni fa a incontrare insieme ai candidati sindaci. Il perché è facile, le pagine delle cronache romane ne hanno sussunto la retorica e il linguaggio, basti pensare all’ossessione con cui nelle ultime settimane larepubblicaroma si è concentrata sulle erbe alte a Roma.
Il giorno dopo l’ennesimo incendio di un autobus (il decimo da inizio anno) su Repubblica in prima pagina si legge Mr AntiCasta Sergio Rizzo fare un minestrone politico che parte dall’assenteismo in Atac (che con la disastrosa condizione dei mezzi pubblici non c’entra niente) passando per i Casamonica, la Romanina, arrivando fino alle buche. Buche che oltretutto nonostante il lancio di 2 mesi fa di Virginia Raggi che prometteva di chiudere «50 mila buche in un mese» (sarebbe curioso capire come le han calcolate) sono ancora quasi tutte sulle nostre strade. Ma non se ne parla, l’indignazione oggi si sposta su altro.
Del M5S sul blog ne abbiamo già parlato. Il bluff su beni comuni e partito con istanze di sinistra è durato il tempo per crearsi un alibi per votarli. Loro del resto stanno al benecomune come facebook sta alla trasparenza: tutto deve essere messo a profitto, come dimostra la recente presa di posizione delle consigliere 5s sulla Casa internazionale delle donne. Fatto sta che Raggi non ha opposizione in città se non dal basso. Media e politica istituzionale, esclusa la faccenda olimpiadi a Roma, muovono le sue critiche da destra. La città che hanno in mente i 5S non è diversa da quella che hanno in mente i vari partiti. Una città divisa in 2 che tende a escludere chi non ha abbastanza reddito per viverci. E non parliamo del centro ormai, come in altre città d’Europa, regalato al business del turismo, come evidenziato pure di recente da Antonello Sotgia e Rossella Marchini in La conquista del West.
Ad esempio qualsiasi persona di buonsenso di fronte alla comunicazione di Raggi sul «regolamento sulla Città Storica» (le maiuscole sono nel comunicato) dovrebbe far accapponare la pelle: un provvedimento necessario, a tutela di residenti, esercenti e cittadini. Stop a minimarket, friggitorie, negozi-suk (ma loro non sono comunque esercenti? ndz) e merce di cattivo gusto nel centro di Roma. Restituiamo legalità e decoro al cuore di Roma, alle sue attività storiche, alle sue tradizioni e alle sue aree di pregio. 
Merce di cattivo gusto sarebbe? Perché no i mini-market, visto che sono indispensabili per i turisti per acquistare merce a un prezzo sostenibile? Ma quali sarebbero le attività storiche? Nel frattempo l’assessore Meloni parlava di rilancio del “Made in Rome” che onestamente farebbe pensare più alla pajata o all’abbacchio allo scottadito che ad altro ma attendiamo delucidazioni.
Nel blog di Grillo, dove la Raggi fa anche comunicazione, spiega che «vogliamo riportare nelle vie centrali l’atmosfera unica dei laboratori artigiani, delle erboristerie, delle botteghe antiquarie […] fiore all’occhiello del Made in Italy. Un cambio di passo epocale che restituisce decoro alle zone più frequentate dai turisti». 
Ovviamente nessuno è sbottato a ridere di fronte a una roba del genere. Nessuno ha chiesto, tra chi fa informazione, a chi dovrebbero vendere i propri prodotti un’erboristeria o le librerie antiche (ma in che senso antica? boh), come se negli ultimi 20 anni il centro non si fosse trasformato in un enorme turistificio, con affitti alle stelle che hanno cacciato i pochi artigiani rimasti in zona insieme alla mancanza di residenti a cui riferirsi. Non ci vuole un economista. Tanto quanto non bisogna essere urbanisti per porre domande del genere. Nel regolamento della Raggi ovviamente ci sta anche il divieto di apertura per i compro-oro. Del resto loro devono continuare ad aprire nelle periferie cittadine, insieme a decine di agenzie di scommesse (gli uni accanto alle altre), perché in qualche modo bisogna pur andare in contro alla disperazione delle persone, no? Oltre al fatto che ci sembra giusto dare opportunità alle varie mafie di riciclare soldi. È economia anch’essa.
Fatto sta che la narrazione su Roma è sempre quella del “centro degradato” e mai della periferia abbandonata. Ricordate che dopo gli assalti al Cara di Tor Sapienza l’allora sindaco Marino insieme al gotha del PD si prese il preciso impegno di «riportare la cultura in periferia»? Ecco, in periferia non sono mai arrivati, escluso qualche settimana fa per la campagna elettorale: e manco la cultura ci è arrivata, visto per dire i crescenti tagli a istituzioni come quelle delle biblioteche comunali. Giornalisti, scrittori, intellettuali, coloro che fino a 20-30 anni fa ci raccontavano gli esclusi, hanno smesso di farlo: al limite preferiscono addentrarsi in grottesche rappresentazioni di quella che considerano l’annosa contrapposizione Roma nord vs Roma sud. Del resto non è manco così comodo o semplice arrivare a Torre Maura da Monti. Ci mancherebbe. Ma soprattutto quando quelle poche volte lo fanno, usano la retorica di cui si parlava poc’anzi, quella del «signora mia degrado decoro immigrazione e Atac non funziona perché ci stanno gli scioperi». E infatti leggendo l’ultima operazione editoriale di autori vari Contro Roma, da poco uscito per Laterza, abbiamo la conferma di quel che abbiamo appena sostenuto.
L’operazione si rifà chiaramente all’omonimo volume del 1975, in cui a prendere parola erano intellettuali come Alberto Moravia e Dario Bellezza, di cui vengono riprese le riflessioni. Il bello è che la rappresentazione di Roma che ne esce è esattamente la stessa, come se non fossero cambiate tanto la società italiana quanto Roma stessa: quella della città in rovina che è inadatta al ruolo di capitale o che, dopo 150 anni, rimane una “capitale incompiuta”. Una «grande bruttezza» determinata da puzza, degrado e rumore contrapposta alla «grande bellezza» (il film sul Roma più citato da chi fa opinione, insieme a Jeeg Robot).
Del resto, scrivere «contro Roma» utilizzando tali paradigmi è un genere letterario più che un’analisi politica o sociale: si può scrivere Contro Roma, ma se qualcuno scrivesse un Contro Napoli con le stesse semplificazioni sarebbe giustamente accusato di pregiudizi e antimeridionalismo.
Invece viene ritenuto pienamente legittimo ingaggiare alcuni (in molti casi quasi autonominati) intellettuali di oggi per scrivere contro Roma: e contro i romani, al solito cinici e cazzari (che magari lo siamo pure eh, ma più o meno di altri chissà). Salvo un paio di eccezioni (Christian Raimo, per dire, che infatti scrive un buon pezzo), parliamo di persone che vivono tra il centro (un centro compreso tra il Ghetto e il Pantheon) e Monteverde, irritati da quella che in nome del politicamente corretto rifiutano di definire esplicitamente «Roma plebea»: una prospettiva deformata e deformante, che quindi non può che fare appello alla retorica antidegrado. Poi negli ultimi anni eccezioni ci sono state, sia chiaro: Walter Siti è uno che le periferie le sa raccontare e infatti fa dire a uno dei suoi personaggi che «so' tanti che vengono a fa ricerche sulle borgate, e io je dico sempre famo a cambio ... si volete capì qualcosa delle borgate, ce venite a sta' du' anni e io me trasferisco a casa vostra». In Contro Roma, invece, non va così.
Abbiamo Nicola Lagioia – che pure in Esquilino. Tre riconognizioni (edizioni dell’Asino) sembrava aver preso atto dei limiti del discorso pubblico, che «a chi è fuori dal sistema non interessa affatto» – che ci parla di una Roma «fogna a cielo aperto» e «Mumbai d’Occidente» (che gli ha fatto Mumbai? Boh, ma è esattamente lo stesso paragone e la stessa retorica usata da Romafaschifo), da cui «qualcuno mi ha visto allontanarmi su una scialuppa mentre la nave affondava». Lagioia descrive poi i romani (ma poi chi sono i romani? Quanti romani da più di una generazione ci sono a Roma?) come orgogliosi del proprio «cinismo» conquistato attraverso i vari secoli: i romani sono cinici, quindi, alla Montesquieu, in virtù del clima che determina il carattere dei popoli. Magari più di cinismo si dovrebbe parlare di resilenza, ma è meglio continuare con le antiche narrazioni che non necessitano di dimostrazioni. Oppure meglio continuare a descrivere la Galleria nazionale d’arte moderna di Roma come se fosse la stessa decadente e appiccicaticcia di vent’anni fa, senza tener conto del suo nuovo allestimento (2016): tanto a Roma non cambia mai niente, no?
Abbiamo Teresa Ciabatti che ci parla dell’aristocrazia romana (??). C’è Valerio Magrelli che ci dice di quanto siano offesi i cinque sensi di chi vive a Roma (lui vive al Ghetto, deduciamo dalla targa sulla mondezza che cita), nell’ordine da: mancanza di strisce pedonali (vista); dehors che levano spazio ai pedoni (tatto); puzza/gestione Ama (olfatto); la «distruzione cui sono andati incontro negli anni antichi ristoranti, pasticcerie, caffè» (gusto!!!); le molestie acustiche dovute all’uso di altoparlanti in strada per gli artisti di strada (udito). 
Ma visto che al grottesco non c’è limite, nel raccontino successivo Antonio Pascale ci racconta quanto lo irritino le continue manifestazioni nel centro di Roma (per fortuna che ormai sia sempre più difficile manifestare, eh!) e il traffico dovuto agli scioperi dei mezzi. Ma visto che lui è uno bravo bravo, è andato a visitare pure la periferia, lungo la Prenestina, dove quelli in motorino che «entravano nel proprio quartiere si toglievano il casco», e pure Tor Sapienza, dove «l’aria è mesta, lo si vede dai vestiti non di marca, dalle scarpe alla buona. […] E ci sono gli immigrati. Tanti, secondo alcuni, oltre ai campi rom. I cittadini se ne lamentano, spesso gli immigrati sono ubriachi e molesti, anche perché non sanno come passare la giornata, si buttano nei giardinetti». 
Giuseppe Culicchia identifica il problema di Roma nei «romani che sono diventati quelli dei film di Verdone», accompagnando a ciò l’annoso dibattito sull’uso dell’espressione «sti cazzi». E poi, ci dice Igiaba Scego in un pezzo tra il feticismo e lo splatter, non ci dimentichiamo della puzza sull’autobus affollato (che infatti a Londra e a Parigi, invece, odorano di violetta): non solo di alito e di ascelle, ma persino di sangue mestruale! Perché a Roma le mestruazioni vengono con «scoppi» più improvvisi che altrove, si vede.
Ecco, la scelta di parlare «contro Roma» in questi termini e di far propria la retorica anti-degrado è una scelta politica: parlare della puzza sull’81 (linea tra l’altro in dismissione) o del traffico per lo sciopero dei mezzi ma non della dismissione dei contratti per la manutenzione dei mezzi Atac o degli stipendi non pagati degli autisti Tpl è una scelta politica. È una scelta politica parlare dei dehors in centro e non dei fenomeni di gentrificazione e speculazione come quelli di cui è pioniera l’ex Dogana a San Lorenzo. È una scelta politica quella di parlare di chi abita in periferia e si toglie il casco appena entrato nel quartiere e non del fatto che Roma è una città in cui si contano 7mila persone in povertà estrema, 15mila persone senza fissa dimora, 50mila famiglie in emergenza abitativa (a fronte di 150mila case ufficialmente sfitte), uno sfratto per morosità ogni 279 abitanti (la media nazionale è di uno ogni 419) e 3.215 famiglie sfrattate dalla polizia nel 2016, un tasso di disoccupazione giovanile che supera il 40% e uno di disoccupazione generale che sfiora il 10%. Altro che le «scarpe alla buona» notate da Pascale a Tor Sapienza.
Del resto, dietro la «lotta al degrado» c’è in realtà la «guerra ai poveri». Non alla povertà, proprio ai poveri, quelli dall’aria mesta che sono gli oggetti delle uniche politiche che sembrano funzionare in città: quelle dell’esclusione, delle barriere a Termini (non contro il terrorismo, ma contro chi ci dorme), dello sgombero quotidiano del mercatino delle carabattole dei poveri a Porta Maggiore, delle retate contro i venditori di borse contraffatte. I neo-“intellettuali”, i giornalisti, gli opinionisti rafforzano proprio la retorica che dà corpo a tali politiche di esclusione e “invisibilizzazione” del disagio economico: in effetti parlare del supposto cinismo dei romani recuperando qualche vecchio luogo comune, della puzza e dei dehors richiede meno impegno e meno fatica che dare voce a chi – magari – il degrado, la scarsezza dei mezzi pubblici e il traffico li vive davvero, abitando a 5-10-15-20 km dal centro vetrina di Roma.
Quindi amici e amiche che avete deciso di lasciare Roma, la fogna a cielo aperto, fate pure, non saremo noi a fermarvi né a venirvi a cercare in centro città. Come recita un murales nel quartiere di Rebibbia: Qui ci manca tutto, non ci serve niente. Soprattutto quello che avete da offrirci.  [Scritto a 4 mani con autrice che vuol rimanere anonima]
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pier-carlo-universe · 1 month ago
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ANCI e Libera insieme per la 30^ Giornata della Memoria e dell’Impegno: il 20 e 21 marzo a Trapani per ricordare le vittime delle mafie
Il 20 e 21 marzo 2025, si celebrerà la 30^ Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime delle mafie, un appuntamento che ogni anno richiama cittadini, istituzioni e associazioni per onorare la memoria di chi ha perso la vita per mano della criminalità organizzata e per riaffermare il valore della legalità.
Il 20 e 21 marzo 2025, si celebrerà la 30^ Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime delle mafie, un appuntamento che ogni anno richiama cittadini, istituzioni e associazioni per onorare la memoria di chi ha perso la vita per mano della criminalità organizzata e per riaffermare il valore della legalità. Quest’anno la città scelta per l’evento sarà Trapani, in Sicilia, luogo…
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orestegiurlani · 3 years ago
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Pescia : OGGI SI CELEBRA LA GIORNATA DELLA MEMORIA E DELL'IMPEGNO IN RICORDO DELLE VITTIME INNOCENTI DELLE MAFIE LA COMUNITÀ DI PESCIA DICE NO A TUTTE LE MAFIE !! Ogni 21 marzo, primo giorno di primavera, Libera celebra la Giornata della Memoria e dell'Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, perché in quel giorno di risveglio della natura si rinnovi la primavera della verità e della giustizia sociale. Dal 1996, ogni anno in una città diversa, viene letto un elenco di circa novecento nomi di vittime innocenti. Ci sono vedove, figli senza padri, madri e fratelli. Ci sono i parenti delle vittime conosciute, quelle il cui nome richiama subito un'emozione forte. E ci sono i familiari delle vittime il cui nome dice poco o nulla. Per questo motivo è un dovere civile ricordarli tutti. Per ricordarci sempre che a quei nomi e alle loro famiglie dobbiamo la dignità dell'Italia intera. “. . Eppure non dobbiamo dare nulla per scontato, non dobbiamo pensare non tanto di essere immuni perché su questo le inchieste giudiziarie hanno già dato delle risposte ma soprattutto non dobbiamo distrarci. Le infiltrazioni mafiose nell’economia viaggiano a velocità che spesso rischiamo di non vedere, hanno una straordinaria capacità di mimetizzarsi con il tessuto economico sano. Per questo è fondamentale che siano direttamente le istituzioni a essere attente e proattive e su questo posso assicurare che la nostra comunità e’ consapevole che si può fare sempre di più e meglio. Partiamo dai giovani , la Chiave per debellare per sempre la mafia sono le ragazze e i ragazzi , i giovani , le scuole.. Perché la lotta alla mafia e alla criminalità organizzata vi consegna una memoria delle vittime innocenti e dei tanti magistrati e amministratori, funzionari delle forze dell’ordine che tocca a voi ricordare portando nel presente e nel futuro il modo più autentico di onorare la memoria, con il vostro impegno civico e la vostra cittadinanza attiva”. Anche la nostra Comunità di Pescia vuole lanciare un messaggio forte contro le mafie, comunque si manifestino #pesciacambia #avantituttapescia#pesciacontrotuttelemafie#pesciacontrotutteleviolenze @orestegiurlani https://www.instagram.com/p/CbWwKTks9Sr/?utm_medium=tumblr
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latinabiz · 3 years ago
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Giampiero Cioffredi ha commentato l'esito dell'operazione Scarface a Latina
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Giampiero Cioffredi Il Presidente dell’Osservatorio per la Sicurezza e la Legalità della Regione Lazio Giampiero Cioffredi ha commentato l’operazione ‘Scarface’ che nella mattina del 26 ottobre ha portato all’arresto di 33 persone: “A Latina apparati dello Stato, istituzioni e cittadini sono protagonisti di una importante stagione di legalità. Grazie alla Questura di Latina, al Servizio Centrale della Polizia di Stato e alla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Roma per l’operazione contro il clan Di Silvio che ha disarticolato uno dei sodalizi criminali tra i più radicati nel capoluogo pontino. Una operazione ancora più importante perché colpisce sul nascere la ricostituzione di una nuova operatività del clan Di Silvio a seguito delle numerose inchieste e sentenze che hanno colpito il vertice dell’organizzazione criminale. La forza intimidatrice dispiegata dal gruppo e la pervasività delle minacce estorsive con l’obiettivo di acquisire il controllo delle attività commerciali ci spinge tutti a non arretrare di un passo rispetto alla necessità di consolidare quell’alleanza popolare contro le mafie che ha visto in questi anni proprio a Latina apparati dello Stato, istituzioni e cittadini protagonisti di una importante stagione di legalità”. Read the full article
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corallorosso · 5 years ago
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E quindi dottor Nicola Gratteri? Adesso fa notare con disappunto che la sua maxi operazione contro la 'Ndrangheta, i 350 arresti di mafiosi e collusi, è sparita dopo solo 24 ore dalle prime pagine di tutti i giornali? E allora? Che si aspettava? Cosa vi aspettavate lei e le sue migliaia di carabinieri che in questi anni avete dedicato la vita a questa operazione per il Paese? Gratitudine e visibilità? Dove crede di vivere, dottor Gratteri, in un paese normale? In un paese dove abbiano asilo memoria, razionalità e proporzioni? Non sia ridicolo e pesante dottor Gratteri. Sì lo sappiamo che le 4 mafie del Sud Italia sono dei pozzi senza fondo che da decenni succhiano tutta la vita e tutte le energie e le speranze e i miliardi e il futuro dei meridionali. Lo sappiamo che se non fosse stato per le mafie, per i suoi appalti truccati, i suoi tentacoli nelle istituzioni, per la sua "tassa in più" fatta pagare a milioni di commercianti e imprenditori che soffoca l'economia e l'occupazione da sempre; se non fosse stato per la violenza, il terrore, la cappa, il sangue, la morte, il Sud Italia oggi sarebbe ricco due volte il Nord. E i terroni sarebbero loro. Lo sappiamo che la mafia è insieme all'evasione fiscale il più grande cancro del Paese. E del Sud soprattutto. Lo sappiamo. Ma dottor Gratteri, cosa cazzo crede che ce ne importi a noi? A questa Italia del 2020 dove i meridionali votano chi li chiama africani, i cattolici adorano quelli che cacciano i poveri (purché lo facciano col presepe in mano), le donne spalleggiano chi augura lo stupro ad altre donne, cosa crede che gliene importi, a questo Paese, della sua operazione? Lei ha sbagliato Paese dottor Gratteri e ha sbagliato epoca. Qui da mattina a sera si parla e si deve parlare solo di immigrati. Sono loro il vero problema. E sì lo sappiamo che gli stranieri in Italia producono il 9% del Pil, versano 7 miliardi di IRPEF, 13 miliardi di contributi e stanno tenendo in piedi il sistema pensionistico per oggi e per domani. Ma per noi il problema sono loro. Non ha senso? E chi se ne frega dottor Gratteri. Il senso vada a cercarlo in un altro Paese. Non qui. Non qui. Quindi non si meravigli troppo se su Tv e giornali si parla per il 99% di immigrati e presepi e nemmeno per l'1% dei veri cancri che ci stanno uccidendo. E se di conseguenza, alla fine, a nessuno interessino più di tanto i suoi arresti. Impari a mettere sulla sedia elettrica qualche africano che chiede l'elemosina fuori al supermercato, se proprio vuole catturare l'attenzione. Che quelli sono il nostro problema, non le organizzazioni criminali armate fino ai denti e che ci derubano ogni secondo di tutte le nostre ricchezze. Quelli non danno fastidio a nessuno dottor Gratteri. Quelli vestono bene e non si fanno sentire. Mica come gli africani. Quindi vada a fare l'eroe da qualche altra parte. Che questo Paese qui di eroi non ne vuole. Vuole solo deboli e nemici a cui addossare tutte le sue colpe. E capi a cui dare il comando. Procedendo a passo di danza verso l'abisso. Ci lasci fallire in pace dottor Gratteri. Se ne vada. Che questo Paese qui, dottor Gratteri, la gente come lei, non la merita. Emilio Mola
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bergamorisvegliata · 4 years ago
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NON TOCCATE I BAMBINI!
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Che cosa c'è dietro a questo accanimento psicologico verso i piccoli? Chi continua a influenzare gli atteggiamenti dei bimbi, del tutto inconsapevoli e innocenti, di fronte a un dilagare così violento di notizie false e tendenti a generare inutili allarmismi e a favorire un senso di precarietà sociale a tutto danno di quello che dovrebbe essere il nostro futuro?
In Italia è dai tempi di Bibbiano e dalle vaccinazioni obbligatorie che i nostri figli sono nell'occhio del ciclone di una tempesta perfetta che li vuole alla mercé di organizzazioni criminose, dedite allo sfruttamento dei minori e all'ingresso di un mercato -quello pedopornografico- che ogni anno aumenta ancora di più i suoi indotti finanziari a tutto vantaggio delle mafie del settore, e contribuendo non poco al PIL degli stati più "virtuosi" in tal senso. Persino il Vaticano non è esente da questi traffici, che puniscono troppo severamente e contro ogni dirittura morale, che rischia di compromettere del tutto la psiche di persone che nulla possono contro questi illeciti.
Non ci voleva certo un "virus" per scoperchiare queste turpi pratiche, ora accompagnate da restrizioni che penalizzano, oltre che i bambini, le istituzioni scolastiche, forse le meno colpevoli ma certo le più sprovvedute a dover fronteggiare una situazione ormai sfuggita di mano, ma che richiede uno sforzo comune: quello di denunciare questi traffici, di ridare un senso alle azioni di uno stato ora assente, e di tutelare quelli che sono i diritti umani, sia dei nostri bambini -sempre più privati degli affetti e dei loro giochi preferiti- che finanche di noi adulti.
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neroenonsoloonlus · 5 years ago
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COMUNICATO – APPELLO Squarciamo il silenzio che è sceso sui Beni Confiscati e la lotta alle mafie! Le istituzioni spezzino l'inerzia che ha fatto perdere i fondi alla Fattoria Sociale “Meta”
Tra la calura estiva e l'emergenza Covid rischiano di passare sotto silenzio attentati incendiari e responsabilità burocratiche, che entrambe distruggono anni ed anni di lavoro delle associazioni sui terreni confiscati al Clan dei Casalesi.
Prima la messa a fuoco di diversi ettari di grano nella masseria Abbate, poi l’incendio nella “Balzana” a Santa Maria la Fossa, ora l'incendio ai capannoni dell'Euromilk a San Marcellino, ma anche, come se non bastasse, la revoca di 1.400.000 euro per “La fattoria Meta per l’accoglienza e l’integrazione di immigrati” che l’Autorità di Gestione del PON Legalità 2014/2020 del Ministero dell’Interno ha disposto per il Comune di Santa Maria la Fossa.
 Inerzia e silenzio costituiscono il terreno in cui le mafie riprendono forza.
“Nero e non solo!” ha realizzato sui terreni confiscati ai camorristi Francesco Schiavone detto Cicciariello e ad Aniello Bidognetti, un impianto elicicolo, per l’allevamento delle chiocciole per scopi alimentari e per l’estrazione della bava.
In dieci anni centinaia di studenti e volontari provenienti da tutt'Italia, durante i campi di lavoro estivi insieme a giovani rifugiati politici accolti dall'associazione, hanno tenuto fertile il terreno e costruito l'impianto che oggi ha appena iniziato a creare lavoro.
 Abbiamo scritto al Ministro dell’Interno, al Presidente della Regione Campania, al Prefetto di Caserta, al Sindaco del Comune di Santa Maria la Fossa, alla responsabile dell’Autorità di gestione del Pon legalità 2014-2020 e al presidente di Agrorinasce, che nel 2011 affidò i terreni all'associazione.
 Il progetto “Fattoria Meta” prevedeva la costruzione di una fattoria sociale e la riqualificazione dell’intera area affidata all’associazione. Un progetto innovativo sul piano della sostenibilità ambientale e architettonico sviluppato da un gruppo di architetti vincitrici di un concorso pubblico. Il Comune di Santa Maria La Fossa, una volta realizzata la fattoria, ne sarebbe stato il proprietario.
 Oggi la delusione è fortissima. In questi ultimi anni la fattoria “Meta” ha rappresentato il sogno che poteva diventare realtà, il possibile segno concreto del riscatto di un intero territorio.
 La fattoria avrebbe portato a compimento gli investimenti che l’associazione ha già realizzato attraverso i finanziamenti della Fondazione con il Sud, la Chiesa Valdese, il 5 per mille e i contributi dei volontari che hanno partecipato ai campi e dei fondi raccolti dallo Spi CGIL per le attività dal 2011 ad oggi.
Più di 80.000 euro, senza considerare gli anni di impegno volontario profusi in questi ultimi 9 anni.
 Lo abbiamo fatto, con la consapevolezza che per cambiare le cose non sarebbero bastati i proclami ma che fosse necessario, sporcarsi faticosamente le mani nella terra e sotto il sole.
Abbiamo realizzato i campi della legalità “Terra di lavoro e dignità”, con l’ARCI Nazionale in collaborazione con lo Spi, la CGIL e tante altre organizzazioni locali e nazionali, facendo conoscere  la storia, le difficoltà ma anche la ricchezza, la dignità e la voglia di riscatto del nostro territorio, a centinaia di giovani e adulti di diverse parti d’Italia.
 Senza la fattoria Meta, non avremo più il laboratorio per l’estrazione e la trasformazione della bava di lumaca, il ricovero degli attrezzi agricoli, la possibilità della guardiania, l’accoglienza dei lavoratori stranieri, gli spazi didattici per i percorsi di educazione alla legalità.
 Nero e non solo! da quasi 30 anni è impegnata nella provincia di Caserta per promuovere i diritti degli immigrati per una società aperta e giusta. In tutti questi anni il dialogo interculturale, la lotta alla tratta degli esseri umani e allo sfruttamento lavorativo e sessuale sono stati al centro del nostro agire quotidiano. Nove anni fa ci siamo assunti la responsabilità di costruire su terreni confiscati un’esperienza di antimafia sociale per coniugare il rispetto dei diritti dei braccianti agricoli, l’agricoltura sociale e l’educazione alla legalità.
 In questi giorni ci siamo più volte chiesti:
 A cosa sono servite le migliaia di ore di impegno sotto il sole, il sudore e la fatica di tanti volontari, di centinaia di giovani provenienti da tante città d’Italia e non solo?
 A cosa sono serviti gli sforzi economici per provare a dare una opportunità, un futuro ai giovani braccianti rifugiati?
 A cosa sono serviti gli sforzi compiuti per ripristinare i danni dovuti ai danneggiamenti, furti, incendi dolosi, di cui siamo stati vittime sul terreno in questi anni?
 NO! Non possiamo accettare questo epilogo.
 Non lo possiamo accettare, soprattutto, perché questa non sarebbe solo una nostra sconfitta ma di tutte le persone della società civile che lottano e si impegnano quotidianamente contro le mafie, il caporalato e lo sfruttamento dei braccianti.
 La perdita di questo finanziamento rappresenta una sconfitta non solo per Santa Maria la Fossa, ma per tutta la provincia di Caserta.
 Un’altra opportunità persa per la provincia di Caserta, già martoriata da mille problemi.
 Chiediamo alle istituzioni e agli enti coinvolti di compiere il massimo sforzo per risolvere questa situazione, recuperare il finanziamento e realizzare l’opera.
 Abbiamo incontrato la Prefettura ed il Comune di Santa Maria La Fossa sollecitandoli a fare il possibile per recuperare il finanziamento. Siamo ancora in attesa di una risposta positiva.
 Chiediamo alle persone, agli operatori dell'informazione, alle organizzazioni del lavoro e al terzo settore di essere al nostro fianco per spingere le istituzioni e la pubblica amministrazione a non abbandonare l'impegno sui beni confiscati.
 NON TORNEREMO AL PASSATO E OGNI GIORNO CONTINUEREMO A COMBATTERE AFFINCHE’ LA NOSTRA PROVINCIA SIA “TERRA DI LAVORO E DIGNITÀ”.
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paoloxl · 6 years ago
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Oggi Peppino Impastato avrebbe compiuto 71 anni era nato a Cinisi il 5 gennaio 1948 La sua antimafia sociale, contro un sistema di relazioni in cui sono strettamente intrecciate mafie, politica, amministrazione, finanza. Come ha scritto Giovanni Russo Spena, “L’antimafia sociale contro la borghesia mafiosa, contro processi di accumulazione mafiosa che sono veri e propri percorsi di valorizzazione del capitale globale. Noi ci impegniamo a ricostruire, pur dentro alle difficoltà del presente, partecipazione, protagonismo, autorganizzazione, intorno ad una antimafia, come quella che Peppino ha incarnato, non ipocrita, non di facciata, ma viva, vera, sociale; lottare contro le mafie è, per tanti giovani e tante ragazze, anche lotta contro la precarietà, per il salario sociale, il reddito di cittadinanza. Per questo Peppino è parte fondativa del nostro vissuto politico. Per questo rifiutiamo interpretazioni edulcorate e centriste: Peppino fu uomo del ’68, non va dimenticato. Fu militante anticapitalista che organizzava conflitti sociali, dagli studenti ai braccianti, ai contadini poveri. E fu precursore, anche come organizzatore culturale, di un’intensa e moderna criticità come rovesciamento e senso comune di massa. Radio Aut fu la struttura comunicativa più moderna del Mezzogiorno, negli anni Settanta, esempio straordinario di inchiesta e controinformazione. La metafora, il sarcasmo, la desacralizzazione dei capi mafiosi diventarono, con Peppino, strumento di lotta politica”. Perciò fa strano vedere la figura di Peppino innalzata a fredda icona di tanti professionisti dell’antimafia, come l'associazione Libera e l'universo legalitario che le gravita attorno (per non parlare del Movimento 5 Stelle, del partito di Repubblica, di Travaglio e compagnia cantante). E' utile ricordare inoltre la recente diffida del Centro di documentazione Impastato nei confronti di Roberto Saviano, reo di aver inventato di sana pianta che fu il film “I cento passi” e non i compagni, i familiari e il Centro stesso a far riaprire le indagini sul caso di Peppino, quasi a voler cancellare le lotte, le idee e il ricordo del compagno che meglio ha incarnato lo slogan "nè con la mafia nè con lo Stato".
Al contrario, bisogna legare l'antimafia alla lotta per l'uso razionale delle risorse sottraendole ai reticoli clientelari, per la difesa del territorio e contro il nucleare, per la partecipazione non intesa soltanto come liturgia delle elezioni e delle primarie. L'antimafia che attualmente cerca di coniugare la difesa delle istituzioni (la Costituzione, i magistrati impegnati, la legislazione antimafia) con la decriminalizzazione del potere, dimentica completamente la portata fondamentale della lotta sociale che Peppino Impastato ha combattuto nelle piazze e nel Movimento.
LA MAFIA È UNA MONTAGNA DI MERDA #peppinoimpastato
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unsoleconlalunastorta · 7 years ago
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Oggi i Collettivi Anco Marzio, Enriques e Labriola sono scesi in piazza contro le Mafie, per ribadire l'importanza degli spazi di aggregazione come unico antidoto per combattere l'infiltrazione mafiosa. Vogliamo discutere, dibattere in un posto che sia tutto nostro, dove poter riunirci.
Abbiamo chiesto alle istituzioni di non lasciarci soli, abbiamo chiesto di affiancarci, abbiamo chiesto ai giornalisti di non andarsene ma di lasciare sempre accesa la luce su Ostia e sul nostro territorio.
Il nostro percorso di 100 passi inizia proprio da queste 30 persone, persone bellissime che si impegnano giorno per giorno per cambiare il territorio.
Ci siamo detti che oggi è stato un punto d'inizio e che continueremo, continueremo a parlare, a sensibilizzare gli altri studenti per far capire che la mafia è qualcosa che riguarda tutti noi ed è ovunque. La nostra attività sarà fatta sulla visione di film e sul dibattito, sul confronto e sulla conoscenza di testimoni, alcuni dei quali si sono detti entusiasti di aiutarci.
Abbiamo ricordato che, la scuola, deve tornare a parlare di temi come Mafie e legalità e non rimanere indifferente: gli studenti, quando usciranno da scuola saranno cittadini! Vogliamo essere informati e partecipare, vogliamo sviscerare la Costituzione, conoscere la storia e dibatterne. Ma non possiamo essere soli. Vogliamo che l'istituzione scolastica ci sostenga in questo percorso!!
La strada è lunga… ma 100 passi non sono poi così tanti.
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