#istituzioni contro la mafia
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pier-carlo-universe · 2 days ago
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ANCI e Libera insieme per la 30^ Giornata della Memoria e dell’Impegno: il 20 e 21 marzo a Trapani per ricordare le vittime delle mafie
Il 20 e 21 marzo 2025, si celebrerà la 30^ Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime delle mafie, un appuntamento che ogni anno richiama cittadini, istituzioni e associazioni per onorare la memoria di chi ha perso la vita per mano della criminalità organizzata e per riaffermare il valore della legalità.
Il 20 e 21 marzo 2025, si celebrerà la 30^ Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime delle mafie, un appuntamento che ogni anno richiama cittadini, istituzioni e associazioni per onorare la memoria di chi ha perso la vita per mano della criminalità organizzata e per riaffermare il valore della legalità. Quest’anno la città scelta per l’evento sarà Trapani, in Sicilia, luogo…
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curiositasmundi · 1 year ago
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Lunedì si è concluso con oltre 200 condanne su 338 imputati il primo grado del processo conosciuto come “Rinascita Scott”, dal nome dell’operazione che, nel 2019, portò a centinaia di arresti per presunte affiliazioni o collaborazioni con il clan criminale Mancuso di Limbadi, in provincia di Vibo Valentia, in Calabria. Si tratta del più grande processo di sempre contro la ’ndrangheta e del secondo più grande contro la mafia dopo il maxiprocesso contro Cosa Nostra degli anni Ottanta, al quale è stato spesso paragonato.
Tra i condannati ci sono l’ex tenente colonnello dei carabinieri Giorgio Naselli (2 anni e 6 mesi) e l’ex comandante dei vigili urbani di Vibo Valentia Filippo Nesci (4 anni). Le condanne più pesanti (30 anni di reclusione) sono state date a Saverio Razionale, indicato come il boss di San Gregorio d’Ippona, e a Domenico Bonavota, ritenuto il boss di Sant’Onofrio. È stato invece assolto l’ex sindaco di Pizzo Calabro (Vibo Valentia) Gianluca Callipo, per cui l’accusa aveva chiesto 20 anni di reclusione.
Da quando è iniziato il processo l’attenzione mediatica si è però concentrata soprattutto su Giancarlo Pittelli, avvocato ed ex parlamentare di Forza Italia, che è stato condannato a 11 anni di carcere.
[...]
I magistrati contestavano a Pittelli di aver avuto un ruolo di primo piano nei rapporti dei vertici della ’ndrangheta con la politica e le istituzioni.
In particolare, Pittelli avrebbe avuto rapporti confidenziali con Luigi Mancuso, a capo dell’omonimo clan, e «avrebbe messo sistematicamente a disposizione dei criminali il proprio rilevante patrimonio di conoscenze e di rapporti privilegiati con esponenti di primo piano a livello politico-istituzionale, del mondo imprenditoriale e delle professioni, anche per acquisire informazioni coperte dal segreto d’ufficio e per garantirne lo sviluppo nel settore imprenditoriale». I magistrati hanno anche ricostruito uno stretto legame tra la ’ndrangheta di Vibo Valentia ed esponenti di logge massoniche segrete, di cui lo stesso Pittelli avrebbe fatto parte.
Tra le altre cose in passato Pittelli aveva presieduto il consiglio di amministrazione della Società Aeroportuale Calabrese (SaCal), la società per azioni che gestisce gli aeroporti di Lamezia Terme, Reggio Calabria e Crotone, e aveva svolto due mandati in parlamento, venendo eletto nel 2001 nella Camera dei Deputati e nel 2006 in Senato, in entrambi i casi con Forza Italia.
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ninocom5786 · 9 months ago
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Ci voleva una video inchiesta di Fanpage a dire che la destra italiana è assolutamente FASCISTA? Lo si capiva già perché in fondo eredita direttamente il fascismo e ne porta avanti i suoi ideali repressivi, razzisti, omobitransfobici, oscurantisti, antidemocratici e antipopolari.
Ricordiamo che il fascismo non fu solo un regime repressivo e liberticida, non solo fu un movimento bellicoso, razzista, sciovinista e nazionalista, il fascismo fu in realtà la colonna dell'imperialismo e delle classi dominanti e sfruttatrici. Servì agli aristocratici, agli industriali, ai proprietari terrieri, ai latifondisti, ai banchieri e ai nobili per preservare i loro poteri di dominio economico, finanziario e sociale e il fascismo ne fu il loro principale movimento contro l'affermazione dei movimenti rivoluzionari che si affermavano dopo la rivoluzione d'ottobre in Russia.
A fare da fulcro per il fascismo fu la liberal democrazia (democrazie parlamentari, democrazie presidenziali, ecc.) e grazie ai liberali che il fascismo e il nazismo salirono al potere in piena continuità con le loro riforme antipopolari.
Lo scoppio della seconda guerra mondiale era già inevitabile e l'obiettivo vero del fascismo e del nazismo era colpire e disintegrare la Russia (all'epoca Unione Sovietica). Tutto ciò non iniziò con il famigerato patto Molotov Ribbentrop, bensì con il patto di Monaco e ancora prima con la guerra civile spagnola.
La guerra di liberazione è stata guidata da socialisti e comunisti, ma dopo il 25 aprile 1945 la nuova democrazia repubblicana ha dato la possibilità ai fascisti di riorganizzarsi e di integrarsi nelle sue istituzioni.
Il fascismo viene riabilitato grazie al revisionismo dei liberal socialdemocratici e alle patetiche loro equiparazioni. Il fascismo viene riabilitato grazie anche alla NATO e all'UE che armano i nazifascisti ucraini per accerchiare e aggredire la Russia. Il fascismo viene riabilitato grazie al sostegno e alla complicità delle democrazie occidentali con il genocidio di Israele in Palestina. Il fascismo viene riabilitato grazie alle riforme neoliberiste dei governi del PD. Il fascismo è riabilitato grazie a Berlusconi e al suo sistema di potere mafioso e mediatico.
Il fascismo si combatte opponendo resistenza alla repressione dello Stato e dei padroni e lo si elimina distruggendo totalmente il sistema. Non servono le istituzioni democratiche attuali perché quest'ultime sono colluse direttamente o indirettamente col fascismo e con la mafia.
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the-lived-abstractionism · 1 month ago
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🇪🇺🇧🇪Il tribunale di Liegi ha rifiutato di proseguire le indagini sulla causa contro il capo della Commissione europea, ursula von der merden, accusata di corruzione nell’acquisto di 1,8 miliardi di vaccini Covid-19 per 35 miliardi di euro.
Qualche giorno fa si è parlato di un procedimento atteso presso un tribunale belga contro Ursula Von Der Leyen e ci brutte notizie. Facciamo prima a tradurvi direttamente il comunicato di Frédéric Baldan, il lobbista belga che ha dato il via al c.d. UrsulaGates e vi ricordiamo che il tribunale doveva esprimersi non nel merito dell'acquisto vaccini, contratti con Pfizer etcc, ma solo sull'immunità della Presidente della Commissione. Superato questo scoglio, si sarebbe dovuto procedere poi ad un processo vero e proprio.
Ecco il comunicato tradotto (abbiamo tradotto velocemente, perdonate eventuali refusi):
(segue….. ).
ORGANIZZAZIONE DELL'IMPUNITÀ DI URSULA VON DER LEYEN
RIFIUTO DI ESAMINARE IL CASO NEL MERITO NONOSTANTE I FATTI
"I fatti ci sono, ma i tribunali hanno rifiutato di giudicare nel merito del caso"
Di conseguenza, Ursula von der Leyen gode di impunità. Le violazioni sono state effettivamente commesse, ma sembra che nessuno possa richiedere che vengano perseguite o punite. Rifiutandosi di affrontarle, i tribunali stanno dimostrando che l'Unione Europea è diventata un'area di mancanza di libertà, insicurezza e ingiustizia.
"Grave attentato allo stato di diritto, alla democrazia e ai diritti fondamentali"
Dichiarando che "la violazione di un diritto, anche se considerato fondamentale, non implica necessariamente la correlativa esistenza di un danno da parte di chi lo invoca", la sezione istruttoria di Liegi ha gravemente compromesso l'efficacia dei diritti umani. Questa decisione è contraria alla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU) ed è incomprensibile ai sensi del Codice Penale belga, che punisce le violazioni arbitrarie dei diritti garantiti dalla Costituzione.
"La giustizia belga ha creato due classi di cittadini"
In primo luogo, quella della signora von der Leyen, che può commettere reati senza che il sistema giudiziario intraprenda alcuna azione per perseguirla, e in secondo luogo quella degli altri europei, ridotti allo status di sub-cittadini privati dell'esercizio dei propri diritti. Forse è per questo che Emily O'Reilly, il Mediatore dell'Unione Europea, avendo constatato personalmente la distruzione dei diritti umani all'interno delle istituzioni, ha descritto la Commissione Europea come un'organizzazione simile alla Mafia.
"Questa procedura ci ha permesso di ottenere alcune importanti vittorie"
Abbiamo ottenuto una copia non censurata del contratto con Pfizer, in modo legale;
Ora siamo in possesso del rapporto d'indagine della Polizia Federale belga;
Ora possiamo dimostrare che sono state commesse violazioni;
Non siamo più vincolati dal segreto sull'indagine.
"Continueremo a perseguire la signora von der Leyen"
Imporremo il ritorno della democrazia, il rispetto dello stato di diritto, il ripristino dei diritti fondamentali, e non permetteremo che la corruzione rimanga impunita.
La sentenza consente temporaneamente alla signora von der Leyen di sfuggire alla giustizia, simbolicamente lo stesso giorno in cui Anthony Fauci ha ottenuto un indulto preventivo presidenziale per i suoi crimini.
- Davide Lombardi Official
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pietroalviti · 4 months ago
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Ceccano, tanta gente dice no alla mafia e alla corruzione con Sandro Ruotolo
Il caffè letterario traboccava di gente venerdì sera, come per la marcia della legalità. Erano andati ad ascoltare Sandro Ruotolo, parlamentare europeo, giornalista in prima linea contro tutte le mafie. E proprio Ruotolo ha indicato le linee: la corruzione riguarda tutti i partiti, tutti gli ambiti delle istituzioni. Sono i cittadini che debbono combatterla, associandosi, facendo fronte contro…
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notiziariofinanziario · 6 months ago
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Morta Maria Mattarella
Maria Mattarella, figlia dell'ex presidente della regione Sicilia, lascia due figli, Giovanni e Piersanti. Lottava da tempo contro una malattia incurabile. Maria Mattarella è deceduta nella sua casa di Palermo circondata dall'affetto dei figli e dei familiari. Era sposata con Alessandro Argiroffi, docente universitario di Filosofia del Diritto, morto prematuramente nel 2015. Ex capo legislativo della Regione, era stata battezzata dallo zio, il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Il Capo dello Stato è da ieri a Palermo. Era in auto quando uccisero il padre. Quando fu assassinato dalla mafia il 6 gennaio del 1980 Piersanti Mattarella era alla guida della propria Fiat 132 e stava per recarsi a messa insieme alla moglie Irma Chiazzese, al suo fianco, alla suocera e alla figlia Maria, allora 18enne, sedute sul sedile posteriore. Un sicario si avvicinò all'automobile e uccise il presidente della Regione siciliana con colpi di rivoltella calibro 38 attraverso il finestrino, che venne frantumato. Tra i primi a soccorrerlo ci fu il fratello Sergio, che lo prese tra le sue braccia. Ad aprile del 2017 il governo regionale presieduto da Rosario Crocetta aveva nominato Maria Mattarella avvocato generale della Presidenza della Regione siciliana. A dicembre dello stesso anno la giunta regionale, guidata dal presidente Nello Musumeci, la nominò segretario generale della Regione "l'incarico non è stato sollecitato da alcuno ma è stato ponderato e determinato solo dalle competenze dell'avvocato, dalla stima di cui gode all'interno della pubblica amministrazione", disse l'attuale ministro la Protezione civile e le Politiche del mare. Laureata in giurisprudenza con il massimo dei voti nel 1986, avvocato dal 1995, era stata assunta alla Regione dal 1993 dove aveva sempre fatto parte dell'ufficio legislativo e legale che ha guidato fino al nuovo incarico. Il marito Alessandro Argiroffi, docente di Scienze politiche a Palermo, morì a 57 anni, nel 2015. Il cordoglio delle istituzioni "Il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, esprime a nome personale e di tutto il Governo le più profonde e sincere condoglianze per la scomparsa di Maria Mattarella, nipote del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella". Lo riferisce una nota di Palazzo Chigi. "Ho appreso la triste notizia della scomparsa di Maria Mattarella, avvocato e segretario generale della Regione siciliana, figlia dell'ex presidente della Regione, Piersanti Mattarella, ucciso dalla mafia il 6 gennaio 1980. In questo momento di dolore desidero rivolgere alla sua famiglia le più sentite condoglianze, mie personali e del Senato della Repubblica". Lo scrive sui social il presidente del Senato, Ignazio La Russa. "Rivolgo al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella le più sentite condoglianze per la scomparsa della nipote Maria, figlia del compianto Piersanti. Ai familiari desidero esprimere la vicinanza e il cordoglio della Camera dei deputati". Così il Presidente della Camera Lorenzo Fontana. "A nome personale e dell'intera Regione Siciliana esprimo il più profondo cordoglio per la scomparsa del segretario generale della Presidenza della Regione Maria Mattarella. In questo momento di dolore, desidero rivolgere un pensiero affettuoso ai suoi figli, Giovanni e Piersanti e a tutti i suoi familiari, a cui va il nostro sincero abbraccio". Lo afferma il presidente della Regione Siciliana Renato Schifani. "L'avvocato Mattarella - prosegue il presidente - è stata un esempio straordinario di professionalità, garbo e dedizione al lavoro. Il suo ruolo di segretario generale della Regione è stato caratterizzato da una profonda competenza e da un impegno ineguagliabile". "La sua dolcezza d'animo e la serenità, che riusciva a trasmettere nonostante le difficoltà della vita, resteranno impresse nei nostri cuori. Maria Mattarella ha servito fino all'ultimo con dignità e dedizione la nostra terra, lasciando una testimonianza esemplare di amore per le istituzioni e per la comunità siciliana. Ci stringiamo attorno alla famiglia in questo momento di grande dolore, ricordandola con affetto e ammirazione", dice. Il presidente della Regione ha disposto l'esposizione a mezz'asta delle bandiere a Palazzo d'Orléans e ha annullato tutti gli impegni pubblici. "Sono sinceramente commosso per la prematura perdita, a Palermo, dell'avvocato Maria Mattarella, figlia di Piersanti, ucciso dalla mafia, e nipote del capo dello Stato. Una giurista alla quale il cognome che portava non aggiungeva nulla ai propri meriti, alla propria preparazione e dirittura morale. Ragioni per cui nel 2017 l'ho chiamata al mio fianco, da presidente della Regione, nominandola segretario generale, ruolo svolto dalla Mattarella con grande equilibrio, rigore etico e profonda competenza. Cinque anni di duro e intenso lavoro, condiviso con il reciproco rispetto dei ruoli, senza mai una incomprensione. Ai figli, al fratello, allo zio Sergio e ai familiari tutti le mie più sincere condoglianze". Lo dichiara il ministro per la Protezione civile Nello Musumeci, ex presidente della Regione Siciliana. Read the full article
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agrpress-blog · 11 months ago
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Memoria e impegno: la Giornata contro le Mafie a Roma A Roma, la 29esima Giornata della Memor... #antoniodecaro #CircoMassimo #donluigiciotti #GiornatacontroleMafie #mafia #mafie #robertogualtieri #roma https://agrpress.it/memoria-e-impegno-la-giornata-contro-le-mafie-a-roma/?feed_id=4059&_unique_id=65fd53f66f3b8
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alessandrocorbelli · 1 year ago
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6 gennaio 1980, vilmente ucciso a Palermo il Presidente della Regione Sicilia, Onorevole Piersanti Mattarella.
Mai dimenticare, anzi, bisogna parlare sempre della mafia e che le Istituzioni svolgano appieno le loro funzioni giurisdizionali per condannare con fermezza tutti i criminali mafiosi responsabili degli accadimenti passati e presenti. Per questo motivo continuo la battaglia contro la mafia intrapresa a favore della campagna “verità e giustizia per Irene Palacino”#veritàegiustiziaperirenepalacino…
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rosaleona · 2 years ago
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“Ho dato mandato ai miei legali per valutare se ci sono le condizioni di una citazione per danni contro Vittorio Sgarbi. Non è possibile che io possa essere definito ‘lo stupratore d’Italia’ per il mio sostegno agli impianti eolici. E non solo: in risposta alla mia nota di ieri, ha detto che io avrei interessi convergenti con la mafia di Matteo Messina Denaro. Insomma, mi sembra un po’ tanto”. Così il deputato e co-portavoce nazionale di Europa Verde, Angelo Bonelli, spiega ai microfoni di Radio Radicale la sua decisione di citare in giudizio Vittorio Sgarbi a seguito di alcune sue dichiarazioni offensive dopo il caso Maxxi.
Ieri stesso però il sottosegretario alla Cultura ha a sua volta annunciato che citerà in giudizio Bonelli. “Mi viene da ridere – commenta il parlamentare – C’è una sindrome che viene studiata in medicina e che si chiama coprolalia. Io rifletterei su questo”.
Bonelli aggiunge: “Trovo inaccettabile non solo quello che è successo al Maxxi e l’autodifesa di successiva di Sgarbi, ma anche chi gli ha dato il ruolo di sottosegretario. Questo è veramente incredibile. Ricordo che una volta Sgarbi ha definito le pale eoliche “peggiori dello stupro dei bambini”. È interessante poi la reazione del governo Meloni a riguardo. Noto che non riesce a difendere le istituzioni ma difende faziosamente i suoi, come se si trattasse di una partita di calcio. Una volta – continua – è Donzelli con Delmastro, che vengono difesi dal governo nonostante abbiano fatto una sciocchezza. Poi è la volta della Santanchè, che è capace di accumulare debiti con lo Stato e continua a fare la ministra della Repubblica. Ora è il turno di Sgarbi, che offende dalla mattina alla sera e usa il turpiloquio come strumento di comunicazione. E continua a fare il sottosegretario”.
Il deputato invoca le dimissioni del critico d’arte e dell’esponente di Fratelli d’Italia: “Sgarbi non può continuare a fare il sottosegretario, così come la Santanchè non può fare la ministra del Turismo. La domanda che faccio alla Meloni è: ma dove l’hai trovata questa gente?“.
DA "IL FATTO QUOTIDIANO"
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kritere · 2 years ago
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“Definire le tasse pizzo di Stato è inaccettabile, Meloni paragona mafia e istituzioni”: l’attacco del Pd
DIRETTA TV 27 Maggio 2023 Il Partito democratico parte all’attacco contro Giorgia Meloni, che a Catania ha definito le tasse ai piccoli commercianti come “pizzo di Stato”. Inaccettabile, dice il Pd, che la presidente del Consiglio paragoni le istituzioni alla mafia. 13 CONDIVISIONI Per Giorgia Meloni far pagare le tasse ai piccoli commercianti è “pizzo di Stato”. Un’espressione che,…
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Ovviamente la serie ha un momento in cui ci riempiono di speranze, dove Mimmo incontra un uomo e sembra finalmente possa spretarsi, e il Pantera quasi lascia la polizia per l'omertà presente, ma si salvano in curva facendo ricordare loro perché stanno facendo questo, rimanendo nelle istituzioni li stanno bullizzando, perché loro possono cambiarle dall'interno (rimarrà tutto nello stesso status quo).
Per un momento speriamo almeno la serie sarà principalmente contro la mafia, ma la Meloni riceve soldi dalla stessa quindi ogni episodio si hanno solo ladruncoli o migranti che solo grazie alla chiesa possono salvarsi.
Ritornando su Mimmo in Un Professore 3, io già lo chiamo. Non solo spinoff criminale su Il Pantera. Spin off criminale su Il Pantera dove lui e Mimmo, che nel frattempo entra in seminario, collaborano per trovare i criminali. Così abbiamo entrambe le cose la RAi ama: La pula e i preti.
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corallorosso · 3 years ago
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Fa arrestare i suoi sfruttatori ma non ottiene la cittadinanza italiana: Adelina si suicida di Alessia Rabbai Adelina Sejdini è morta lanciandosi da un cavalcavia ferroviario. Si è tolta la vita perché non è riuscita ad ottenere la cittadinanza italiana che le serviva per stare al sicuro e perché non ha ricevuto ascolto e aiuto da parte delle istituzioni. Avrebbe voluto dunque mantenere lo stato di apolide nel suo permesso di soggiorno, ma è stata assegnata la cittadinanza albanese. Un riconoscimento che Adelina non voleva e che aveva fortemente rifiutato, perché, impossibilitata a lavorare, temeva che in quel modo non avrebbe mai ricevuto una casa popolare in Italia. Vittima della prostituzione, ha combattuto e fatto arrestare i suoi sfruttatori. Le sue dichiarazioni sono servite a far arrestare quaranta persone e a farne denuciare ottanta, parte delle quali facenti parte della mafia albanese. A ‘L'aria che tira' su La7 aveva spiegato: "In Albania sono una donna morta". Nata a Durazzo è arrivata in Italia all'età di ventideua anni ed abitava a Pavia. Le sue condizioni di salute non erano buone: stava lottando contro un tumore, che la costringeva a continui ricoveri ospedalieri ed era stata dichiarata invalida al cento per cento. La sua speranza era quella di incontrare il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, per potergli parlare della sua situazione, o almeno i funzionari del Ministero dell'Interno. Adelina ha provato a togliersi la vita già il 28 ottobre scorso, quando si è data fuoco in segno di protesta. Date le gravi ustioni riportate su diverse parti del corpo, è stato necessario il trasporto in ospedale. Sarebbe dovuta rientrare a Pavia, ma ha deciso di restare nella Capitale. Una condizione quella nella quale si trovava, che era diventata per lei insostenibile, non avendo ricevuto l'ascolto e l'aiuto che chiedeva da parte delle istituzioni. Così ha deciso di uccidersi e sabato scorso si è lanciata da un cavalcavia ferroviario. Una caduta di diversi metri, che non le ha lasciato scampo ed ogni tentativo di soccorrerla si è rivelato purtroppo vano. Sul caso sono al lavoro gli agenti della polizia ferroviaria di Roma Termini.
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3nding · 4 years ago
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CURE DOMICILIARI: LE ISTITUZIONI CHIUDONO UN OCCHIO, ANZI DUE
Lo stato che fa? Si costerna, s'indigna, s'impegna poi getta la spugna con gran dignità. Così cantava De André nella famosa canzone “Don Raffaé”.
L’impegno delle istituzioni per contrastare le bufale sul Covid è pari a zero. Sembra proprio che questo compito sia stato lasciato a pochi eroici divulgatori (dei quali non mi vanto di fare parte per la mia irrilevanza sia chiaro) e a qualche giornalista di buona volontà.
Lo stato è terzo, un po’ come le erano tradizionalmente coloro che non appartenevano organicamente alla mafia ma che si guardavano bene dal combatterla pur rivestendo cariche pubbliche rilevanti. Anzi a volte lo stato è addirittura complice.
Siamo così abituati al fatto che le istituzioni siano codardamente silenziose che abbiamo osannato il presidente Mario Draghi solo per aver detto chiaramente che bisognava vaccinarsi, neanche avesse fatto il discorso più mirabile degli ultimi 50 anni. Abbiamo vissuto quelle parole, di per sé doverose e banali, come un atto di coraggio straordinario, una liberazione collettiva. E invece non era neanche il minimo sindacale.
È uno dei motivi per cui ho attribuito al ministro Roberto Speranza l’immaginario premio di miglior ministro non protagonista. Il punto è: egli non dovrebbe sentire, dato il suo ruolo, una sacra responsabilità comunicativa prima ancora di quella tecnico-operativa? Il paese si divide sulla cura De Donno? Le persone sono confuse perché un signor nessuno giura che in Giappone hanno risolto ogni problema con il famigerato Avigan? I giornali parlano di magici integratori? Dei cialtroni dicono che ci sono pezzi di feti nei vaccini? Personaggi ridicoli affermano che i tamponi non funzionano perché rilevano la positività anche nella frutta? Alcuni medici continuano a sconsigliare fortemente i vaccini in gravidanza o a chi prende la pillola? Allo stato non gliene può fregare di meno. Nessuno si pone il problema di fare chiarezza per il bene dei cittadini. In pratica le istituzioni hanno definitivamente deciso di lasciare la comunicazione ai talk show. Non mi pare una grande idea.
E poi ci sono i cittadini “furbi” che vanno ai centri vaccinali con i loro avvocati che mettono in difficoltà i poveri medici (che sono medici non giuristi), lo stato vuole dare indicazioni su come comportarsi? Sarei stanco di vedere questi avvocati cialtroni che si vantano sui social di aver impaurito una povera infermiera citando ad cazzum leggi e regolamenti di cui la malcapitata non può avere contezza. L’ordine degli avvocati fa finta di non vedere?
Data l’emergenza che stiamo vivendo ecco cosa dovrebbe succedere in uno stato minimamente serio e con politici che abbiano un grammo di personalità e coraggio: periodicamente il ministro della salute, un suo delegato o addirittura il presidente del consiglio (opportunamente istruiti) dovrebbero comunicare in solenni conferenze stampa ai cittadini le evidenze scientifiche su tutte le bufale, le dicerie, le notizie, le nuove questioni che possono impattare sui comportamenti delle persone. Lo dovrebbero fare portando tutto il peso e la credibilità delle istituzioni. Degli inutili messaggi a reti unificate a Natale e a capodanno onestamente potrei anche fare a meno. Non è il momento di essere codardi e avere paura di scontentare qualcuno.
In particolare la vicenda delle cure domiciliari precoci ha qualcosa di surreale. È sotto gli occhi di tutti che una moltitudine di medici sta prescrivendo, senza alcuna visita, a pazienti completamente sconosciuti, protocolli semi-misteriosi che non sono stati validati dalla comunità scientifica e dalle istituzioni preposte. Anzi per molti di quei farmaci/integratori è già stata sancita l’inefficacia, la pericolosità o l’inadeguatezza nelle fasi precoci da montagne di studi scientifici. Mentre, per esempio, la FDA americana si preoccupa di fare campagne per mettere in guardia dall’uso e l’abuso di Invermectina, da noi tutto tace. Non è un tema che a quanto pare interessi le istituzioni.
Alcune regioni addirittura suggeriscono ai medici di medicina generale di implementare questi fantomatici protocolli (vedi Sardegna e Piemonte) per dimostrarsi vicini ai cittadini e attenti alle loro esigenze, suscitando il giusto sconcerto dei medici seri che si sentono colpiti alle spalle dal “fuoco amico”. Il ministero della salute ha qualcosa da dire? Il governo se ne lava le mani? I leader politici che si vantano di essere pro scienza tacciono per non indispettire nessuno? I tweet li usano solo per promettere millemila miliardi per la transizione ecologica o per fare i complimenti alla nazionale italiana?
E l’ordine? Anzi, gli ordini dei medici che ci stanno a fare? Chi diavolo si preoccupa di fornite delucidazioni ai cittadini? Immagino avrete visto tutti la famosa (oserei dire fantasiosa) prescrizione fatta dal medico odontoiatra Andrea Stramezzi, ex membro del Comitato terapie domiciliari Covid 19 (dell’avvocato Erich Grimaldi) e attualmente membro del comitato scientifico dell’altra grande associazione di cure domiciliari, Ippocrate. org. La vera e propria barzelletta è che il dott. Stramezzi ha accusato il giornalista Gerardo D'Amico di essersi spacciato per una certa Alberta Trocino malata di Covid per ottenere la ricetta. Stramezzi tagga anche il ministero della salute a dimostrazione del fatto che questi personaggi sono certi di godere della più totale impunità, lo sanno benissimo che le istituzioni se ne lavano le mani. Pronto? Ordine dei medici di Milano (OMCeO Milano) ci sei? Un medico raccoglie fondi per non meglio precisati scopi, fa propaganda contro i vaccini, dichiara di essere in possesso della cura per il Covid, ammette pubblicamente di aver prescritto una montagna di farmaci ad una paziente sconosciuta che non ha neanche visto in faccia… cosa bisogna fare per essere attenzionati? Bisogna strangolare un bambino? Facciamo finta che sia un caso isolato? Qualcuno ai vari livelli delle istituzioni ha intenzione di prendere pubblicamente una posizione di fronte ai cittadini confusi?
Sembra di no, nel paese della cura Di Bella e del caso Stamina le istituzioni sono terze, stanno a guardare e a volte si rendono addirittura complici dell’anti scienza. Non sia mai che ci si faccia dei nemici. - Elio Truzzolillo
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ninocom5786 · 2 years ago
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Se siamo di fronte a un governo di un centrodestra che fa apologia del fascismo e della mafia, se siamo di fronte a un'opposizione ridicola e debole per via di una sinistra ridicola e inutile, è perché abbiamo buttato per anni di lotte sociali per abbracciare il solito individualismo e il disfattismo, per appoggiare, in Ucraina, quei nemici che abbiamo combattuto e sconfitto quasi ottant'anni fa, è perché accostare certi fatti storici non fa che riabilitare e legittimare quei ratti, è perché ci riduciamo ad etichettare di "fascismo" chiunque non è in linea con una certa parte politica.
Berlusconi è morto da un mese e mezzo, ma le sue luride idee, i suoi luridi piani e le sue luride politiche non sono morte, anzi camminano nelle gambe di quei ratti che sono al governo e che siedono nelle più alte cariche della repubblica.
La liberal democrazia ormai è un sistema politico morto, inutile e dannoso, è un sistema politico che ha permesso al fascismo di governare il paese.
Non è che appellandoci alle "istituzioni" europee e internazionali, ovvero le oligarchie, si può cambiare il corso delle cose. Anzi, quelle "istituzioni" non gliene fregano nulla del governo che vuole togliere il reddito di cittadinanza e che nega il salario minimo, che vuole cercare di negare il diritto all'aborto, a loro importano di come assicurare e proteggere la classe degli affaristi, dei papponi, degli sfruttatori e dei politici corrotti e ridurre sempre alla fame i lavoratori e le lavoratrici.
La destra può gridare al comunismo contro la sinistra, la sinistra può gridare al fascismo contro la destra, ma entrambi sono sempre funzionali a quelle "istituzioni" nell'interesse dei pochi che sfruttano molti.
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eventiarmonici · 5 years ago
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CHI UCCISE LUIGI TENCO E PERCHÉ
Il Festival di Sanremo fu teatro di una tragedia che ancora oggi smuove le coscienze e dà adito a sospetti e illazioni, poiché la dinamica della morte di Luigi Tenco, così come ci è stata raccontata, è talmente inverosimile e piena di elementi inequivocabilmente discordanti che chi avrà la voglia di arrivare alla fine di queste righe scoprirà come e perché il cantautore sia stato ucciso dal Sistema Sanremo contro ogni ragionevole dubbio.
di Pasquale Di Matteo
LUIGI TENCO: COS’È IL SISTEMA SANREMO
“Signori e signore, buonasera. Diamo inizio alla seconda serata con una nota di mestizia per il triste evento che ha colpito un valoroso rappresentante del mondo della canzone. Anche questa sera per presentare le canzoni è con me Renata Mauro. Allora Renata, chi è il primo cantante di questa serata?”.
Se la cavò così la RAI, la sera dopo la scomparsa di Luigi Tenco, con questa frase di apertura di Mike Bongiorno.
Il Festival, per fortuna andava avanti, con buona pace di chi non c’era più.
La gente aveva voglia di voltare pagina, di dimenticare in fretta quanto accaduto, di non parlarne mai più.
Lo voleva la gente, l’organizzazione della Rai o, piuttosto, l’intero sistema che intorno al Festival guadagnava?
Per capirlo, bisogna fare una breve introduzione.
A metà degli anni sessanta, il Festival di Sanremo era diventato la manifestazione più importante che si tenesse in Italia; intorno al festival non ruotava solo il potere finanziario delle major della discografia, con i loro indotti, né l’evento si esauriva con le serate trasmesse alla RAI.
Il Festival di Sanremo era diventato un appuntamento fisso che, annualmente, misurava diversi parametri della nazione, dall’aspetto economico a quello sociologico.
I motivetti più o meno orecchiabili che si sentivano fischiettare nelle settimane immediatamente successive alla fase finale della manifestazione raccontavano della trasformazione di una nazione che stava dimenticando il periodo più buio della propria storia e che si stava risollevando dopo le sciagure della guerra.
Il Festival di Sanremo non era più soltanto una gara tra canzoni italiane, ma rappresentava, anno dopo anno, le mille sfaccettature che la società andava assumendo in seguito al boom economico, con la nascita della classe media.
Dopo l’avvento di Domenico Modugno, il primo cantautore, le canzoni si stavano trasformando da motivetti più o meno banali, che parlavano solo d’amore e senza mai scavare lo strato apicale del vivere, in testi più sottili e impegnati.
Erano nati i cantautori, che trasmettevano nelle loro creazioni tutta la potenza delle idee, tanto che qualcuno cominciava a muovere i primi passi verso testi che sarebbero divenuti via via sempre più resoconto di problemi sociali e politici, con il sessantotto alle porte.
Inoltre, così come durante il periodo che portò alla sua ideazione, il Festival di Sanremo aveva anche una cornice meno nota e non certo limpida come la fiaba che raccontava la Tv.
Un sottobosco che rischiava di venire a galla quando uno di quei cantautori impegnati fu trovato morto nella sua stanza dopo essere stato eliminato dalla serata finale della manifestazione.
Il Festival di Sanremo era diventato così importante e in grado di richiamare ingenti capitali da divenire motivo di astio tra Italia e Francia perché i casinò della Costa Azzurra non reggevano il passo con quello di Sanremo e del suo straordinario festival popolare.
Domenico Modugno- Immagine di Proprietà del Web
Joe Adonis – Immagine di Proprietà del Web
Paul Anka – Immagine di Proprietà del Web
Gigliola Cinquetti – Immagine di Proprietà del Web
Era così dirompente che persino la Confindustria se ne lamentava apertamente con i politici, poiché durante la settimana della finale trasmessa dalla RAI l’assenteismo nelle fabbriche quintuplicava.
Ed era importante politicamente, poiché il Vaticano temeva una deriva dei valori tradizionali nelle nuove mode lanciate dai beniamini del pubblico.
Ma attorno al Festival di Sanremo ruotava una quantità enorme di denaro, un flusso costante e inimmaginabile che proveniva da attività illecite di mezzo mondo, come si era scoperto negli anni cinquanta, quando la Magistratura aveva processato i vertici di alcune case farmaceutiche italiane che producevano droga, poi immessa nei canali illegali e spedita ai vertici della mafia statunitense da quella italiana, attraverso mafiosi del calibro di Lucky Luciano, che girava indisturbato per tutta la Penisola, appoggiato da politici e finanzieri importanti.
Dalle inchieste della Magistratura emerse che il casinò di Campione versava fino all’80% come fondi occulti destinati al Ministero dell’Interno, soldi usati per i servizi segreti.
Non è escluso che tutti i casinò seguissero abitudini simili, compreso il più ricco e famoso.
D’altro canto, bisogna ricordare che il Festival di Sanremo esplose proprio in concomitanza con l’operazione DEMAGNETIZE, con la quale bisognava annichilire ogni attrazione comunista nel nostro Paese, quindi i servizi d’intelligence avevano bisogno di denaro, di fiumi di denaro.
Quindi, il fatto che la mafia realizzasse forti profitti grazie alla vendita della droga e che tutto quel denaro venisse riciclato anche attraverso il casinò di Sanremo, per lo Stato era il minore dei mali, poiché, da un lato poteva finanziare la lotta al Comunismo, dall’altro tenersi buoni faccendieri ricchi e potenti.
Anche dopo il processo alla Schiapparelli, che aveva dimostrato come molte aziende farmaceutiche tramassero con laboratori clandestini per produrre droga, e dopo alcune leggi più restrittive emanate sul tema, l’Italia continuava a essere il principale fornitore per i mafiosi oltreoceano.
L’oppio grezzo arrivava nei porti di Napoli, Genova e Trieste, quindi finiva in Francia, dove nei laboratori clandestini della malavita marsigliese si trasformava in droga, per poi essere diluita nei meccanismi del mercato nero, che soddisfaceva i bisogni di tutta Europa.
All’Italia era destinata una quota maggiore proprio in virtù del fatto che i Padrini dovevano smerciarne la gran parte in America.
Ciò che restava nel Bel Paese era smerciata tra chi poteva permetterselo e il casinò di Sanremo era un punto cardine del sistema, soprattutto durante il Festival, che attirava una moltitudine di possibili clienti.
Un pozzo di soldi senza fine dal quale attingevano personaggi del calibro di Joe Adonis, Angelo La Barbera, Gaetano Badalamenti, fino ad arrivare a uomini più vicini alle istituzioni italiane e vaticane, come Michele Sindona.
Tuttavia, il Festival di Sanremo rischiò di vedere la parola fine per colpa di una donna procace, dal fascino avvenente.
La cantante Jula de Palma, alias jolanda Maria Palma, la sera del 29 gennaio 1959 si esibì con la canzone TUA, con un testo carnale e scabroso, per i tempi, che creò imbarazzo tra una parte della popolazione e il Vaticano.
Per alcuni, quello sembrò il pretesto giusto per andare incontro alle lamentele mosse dalla Francia, così, alla Questura di Ventimiglia arrivò l’ordine perentorio di sospendere il festival.
Fu incaricato un giovane funzionario di Polizia, Arrigo Molinari, il quale, inspiegabilmente, non portò a compimento quanto ordinato e, come egli stesso raccontò anni dopo, subì solo la ramanzina del Questore di Imperia, Carmelo Carella.
D’altro canto, come si è visto, il governo aveva molto da perdere se il Festival di Sanremo fosse stato sospeso: milioni di vacanzieri festivalieri avrebbero abbandonato la riviera e i casinò si sarebbero svuotati, cancellando ingenti somme di denaro da destinare alla lotta al Comunismo e alla miriade di buste che giravano tra i salotti di mezza Italia per ungere i politici più in vista.
Comunque, il clamore suscitato da Jolanda Palma fu talmente elevato che la cantante fu costretta ad assumere in fretta e furia una guardia del corpo poiché temeva per la propria incolumità, cosa che fecero, in verità, e inspiegabilmente, anche altri cantanti.
LUIGI TENCO, IL POETA UCCISO DA SANREMO
A rigor di logica, verrebbe da pensare che quando uno stia per suicidarsi, abbia voglia di spiegare il proprio gesto e, magari, di salutare amici e parenti, invece, poco prima di farla finita con un colpo di pistola alla tempia, Luigi Tenco avrebbe scritto un messaggio che oggi potrebbe essere il testo di un banalissimo sfogo postato su Facebook, minacciando di fare qualcosa.
Anzi, in verità, oggi sui Social si posta di peggio.
“Io ho voluto bene al pubblico italiano e gli ho dedicato inutilmente cinque anni della mia vita. Faccio questo non perché sia stanco della vita (tutt’altro), ma come atto di protesta contro un pubblico che manda IO TU E LE ROSE in finale e una commissione che selleziona LA RIVOLUZIONE. Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno. Ciao Luigi”
Il termine “selleziona” non è un errore di battitura, ma quanto recita il biglietto in questione, senza alcun dubbio un errore che Tenco non avrebbe mai potuto commettere in circostanze normali, anche sotto il forte stress di chi stia per suicidarsi.
Il biglietto ritrovato nella stanza di Tenco – Immagine di Proprietà del Web
Incongruenze nella presunta firma di Luigi Tenco
Nelle frasi “… non perché sia stanco della vita (tutt’altro)” e “Spero che…” c’è tutto il controsenso dell’idea del suicidio, perché, solitamente, nella disperazione di chi è prossimo a farla finita non c’è posto per la speranza, tanto meno si è felici della vita che si conduce, come invece quel tutt’altro lascerebbe intendere.
Senza contare il fatto che la presunta firma del cantautore in calce al biglietto era ben diversa dalla solita, e in maniera assai evidente anche a un occhio inesperto.
Tuttavia, il biglietto d’addio di Tenco è l’unica prova con un briciolo di credibilità a supporto della tesi secondo la quale la sua morte sarebbe riconducibile a un gesto disperato dell’artista.
Ed ecco perché tale ipotesi è la meno plausibile.
L’Hotel Savoy era uno scatolone in cui si incastravano quattrocento stanze, posizionate su diversi livelli a seconda del rango degli ospiti.
La stanza di Luigi Tenco era la numero 219, ricavata negli spazi un tempo destinati al personale di servizio, poiché il cantautore non era un pezzo da novanta.
Non ancora.
Lo sarebbe diventato la notte tra il 26 e 27 gennaio 1967, quando al commissario Arrigo Molinari fu affidato il compito di indagare sul perché l’artista giacesse morto, sul pavimento della sua stanza.
Un caso di suicidio che fa discutere ancora oggi, dopo oltre cinquant’anni.
LUIGI TENCO. MA CHI ERA?
Luigi Tenco era un poeta.
Manifestava la sua arte attraverso la musica leggera, ma le sue parole erano forti, misteriose, spesso ermetiche, e aprivano le porte verso mondi inesplorati e pieni di domande per riflettere.
Era nato il 21 marzo 1938 a Cassine, un piccolo centro in provincia di Alessandria, ma aveva vissuto la sua infanzia a Genova.
Fin da piccolo aveva mostrato una naturale predisposizione per la musica, ma, pur suonando diversi strumenti, le sue dita sembravano essere nate per muoversi sui tasti bianchi e neri del pianoforte, con il quale instaurò un feeling particolare che lo portava a sviluppare semplicemente anche i complessi passaggi della musica jazz di cui era appassionato.
Fu notato giovanissimo dalla Ricordi, che gli offrì un contratto discografico, e fu così che arrivarono alla ribalta pezzi straordinari della musica italiana, come “Mi sono innamorato di te”  e “Vedrai, vedrai”, diventando un protagonista della scuola genovese, di quel gruppo di cantautori intellettualmente e politicamente impegnati in temi sociali cari alla Sinistra dell’epoca.
Luigi Tenco aveva un viso normale, da ragazzo perbene, educato, come quello che si può trovare posizionato sul corpo di un comune vicino di casa in un quartiere tranquillo, un uomo che piaceva alle donne per il suo fascino tenebroso, e che, a differenza di quanto lascerebbero ipotizzare i suoi splendidi testi impregnati di malinconia, non era affatto triste.
Al contrario, gli amici più intimi lo ricordano come un ragazzo allegro, dotato di un’ironia sottile e laconica, un uomo la cui abitazione di Roma era un via vai di conoscenti, un porto di mare.
LUIGI TENCO: PERCHE’ AVREBBE DOVUTO UCCIDERSI
Per l’edizione del 1967, il Festival di Sanremo prevedeva che le canzoni fossero interpretate da due diversi artisti; Luigi Tenco presentò la sua Ciao Amore Ciao in coppia con la cantante francese Dalida.
Come dichiarò più volte, il cantautore genovese nutriva molte aspettative su quel pezzo, tanto che in alcune interviste si diceva persino convinto di poter vincere.
Tuttavia, la sua esibizione fu imbarazzante, cantò malissimo e sembrò persino essere svogliato o sotto l’effetto di qualche medicinale. (I più maligni parleranno in seguito di droga).
Sta di fatto che, alla fine della serata, il suo brano risultò dodicesimo in classifica e fu eliminato dalla gara, scartato anche dalla commissione artistica, che ripescò Gianni Pettenati e Gene Pitney, in gara con La Rivoluzione.
Dalida – Foto di Propietà del Web
Luigi Tenco – Foto di Propietà del Web
Secondo il racconto di chi gli stette accanto durante quelle ore, Tenco era fortemente contrariato, persino incredulo della sua esclusione.
Quando raggiunse il ristorante Nostromo con la propria auto, in compagnia di Dalida e di alcuni amici, per cenare insieme a tutto il suo staff della casa discografica, Tenco era talmente adirato che decise di andarsene poco dopo.
Prese la sua auto e si diresse verso una destinazione sconosciuta.
Per lungo tempo, secondo la teoria del suicidio, si pensò che Tenco si fosse diretto subito all’Hotel Savoy e che, una volta entrato nella sua stanza, avesse parlato per circa un’ora con la sua fidanzata.
Nel corso degli anni, invece, è emerso che il centralino dell’hotel non registrò mai nessuna comunicazione di Tenco, il quale chiamò da un altro luogo, tesi confermata anche dalle tracce di sabbia che in alcune foto si notavano tra i capelli, sui vestiti e sulla sua auto, granelli che quando l’artista aveva lasciato il ristorante Nostromo non c’erano.
La fidanzata Valeria affermò di aver dialogato con Tenco fino all’una di notte, quando lui le aveva confidato che stava gettando gli appunti per le dichiarazioni che intendeva rilasciare durante la conferenza stampa del giorno successivo, durante la quale aveva intenzione di rendere noti i meccanismi perversi e le truffe che muovevano le fila del Festival di Sanremo.
Valeria affermò di averlo lasciato più sereno, tanto che l’artista la lasciò promettendole che presto sarebbero partiti per una vacanza in Africa.
Un’ora più tardi, invece, Dalida trovò il suo cadavere nella stanza 219.
LUIGI TENCO: INDAGINI GROSSOLANE PER DEPISTARE
Inspiegabilmente, quando il commissario Arrigo Molinari fu informato della morte di Luigi Tenco, questi, senza aver nemmeno visionato la scenda del crimine, comunicò subito all’ANSA che l’artista era morto suicida.
Sulla base di quali prove e testimonianze potesse affermare una cosa del genere non è dato saperlo.
Anche per colpa dei dirigenti della RAI, che volevano concludere la vicenda il prima possibile per non dover interrompere la manifestazione, le indagini furono condotte grossolanamente, in fretta e furia, senza svolgere l’autopsia sul cadavere, né alcun tipo di analisi sulla pistola e sugli eventuali bossoli.
Addirittura, il cadavere fu rimosso dalla stanza prima di fotografarlo, perciò riportato all’Hotel Savoy e ricollocato nell’esatta posizione in cui era stato scoperto, o almeno questo è ciò che dichiarò Molinari, quello della dichiarazione in merito al suicidio senza aver nemmeno iniziato a indagare.
Il cadavere di Tenco con una pistola – Foto di Propietà del Web
Evidenti tracce di sabbia sugli abiti di Luigi Tenco – Foto di Propietà del Web
Sabbia sugli abiti di Tenco – Foto di Propietà del Web
A trovare il cadavere di Tenco fu Dalida.
Mentre si trovava ancora presso il ristorante Nostromo, la cantante aveva ricevuto una telefonata, con la quale fu informata del fatto che Luigi Tenco non si sentisse bene.
La donna salutò i commensali perché voleva correre dall’amico, ma, anziché precipitarsi all’Hotel Savoy, passò prima ad acquistare delle sigarette e poi andò dal suo ex marito, un faccendiere di nome Lucien Morisse, arrivando da Tenco dopo oltre quaranta minuti.
I due furono poi visti uscire insieme dalla stanza numero 219 dal giornalista Sandro Ciotti.
LUIGI TENCO: COSA NON TORNA NEL SUICIDIO
La polizia riconsegnò alla famiglia dell’artista la sua pistola, una Walther PPK 7.65 che Tenco aveva acquistato poiché, come aveva confidato sia ai parenti, sia ad alcuni amici, si sentiva minacciato e temeva per la propria vita.
Innanzitutto, non è chiaro il motivo per il quale la polizia consegnò l’arma al fratello di Tenco, inoltre, come confermato da diversi testimoni, di quella pistola non c’era traccia nella stanza 219.
Tra le mani del cantante, infatti, fu prelevata una Beretta calibro 22, come confermato anche dal giornalista esperto d’armi del Corriere della Sera, Mino Duran, le cui mani presero la pistola da quella del presunto suicida la notte del 27 gennaio 1967.
Sandro Ciotti, oltre ad aver visto Dalida e l’ex marito, riferì anche di non aver sentito alcuna detonazione, nonostante la sua stanza si trovasse nelle immediate vicinanze di quella di Tenco, circostanza confermata anche da Lucio Dalla, né lo sparo fu udito da altri, cosa assolutamente impossibile vista l’ora tarda e il silenzio.
Sandro Ciotti – Foto di Propietà del Web
Lucio Dalla – Foto di Propietà del Web
Nel 2006, fu finalmente riesumato il cadavere dell’artista per sottoporlo a un’autopsia, i cui risultati confermarono, a detta degli inquirenti, la teoria del suicidio.
Tuttavia, gli stessi inquirenti non sono in grado di spiegare come sia possibile che sulle mani di Tenco non siano state trovate tracce evidenti del fatto ch’egli abbia sparato.
In questi casi, infatti, è necessario individuare tre elementi che non possono mancare: Antimonio, Bario e Piombo. Se non si trovano, o se ne manca anche uno solo, l’esame è negativo.
Sulle mani di Tenco furono trovate particelle di Antimonio, come è solito riscontrare tra chi usi abitualmente accendini, così come era consuetudine per il cantautore, che era un fumatore.
Non vennero riscontrate invece tracce di Bario e Piombo, segno incontrovertibile del fatto che le mani di Tenco non spararono.
Tracce di Antimonio, Bario e Piombo furono rinvenute sulla testa del cantante.
Qualche giornalista ipotizzò che fossero scomparse con il tempo, ma la cosa è impossibile, poiché si tratta di sostanze non degradabili e riscontrabili anche dopo molti decenni.
Inoltre, l’autopsia non evidenziò neppure particelle di sangue sulle mani del cantante.
Tuttavia, in maniera incomprensibile ai più, in seguito all’autopsia, la Procura parlò di suicidio contro ogni ragionevole dubbio.
Assai improbabile è anche la storia legata al proiettile che uccise Tenco.
Durante le frettolose indagini del 1967, non si trovò alcun bossolo, tanto che gli inquirenti stabilirono che il proiettile doveva essere rimasto nel cranio dell’artista.
Nel 2006, invece, magicamente, spuntò fuori il bossolo della PPK di proprietà di Tenco, che comunque non si trovava tra le mani del cantante quando ne fu rinvenuto il cadavere.
Secondo il parere del Dott. Martino Farneti, direttore della balistica della Polizia scientifica di Roma, non certo quello che si potrebbe definire un complottista, i colleghi di Sanremo si sbagliavano miseramente, poiché i segni del bossolo magicamente ricomparso erano riconducibili a una Beretta modello 70 e non alla pistola di proprietà di Tenco, cosa che si collega perfettamente con quanto dichiarato dal giornalista del Corriere della Sera che esaminò l’arma che uccise l’artista.
Il Dott. Martino Farneti – Foto di Propietà del Web
Farneti dichiarò anche che i segni sul bossolo evidenziavano l’uso di un silenziatore, dinamica senza dubbio compatibile con il fatto che nessuno udì mai la detonazione del colpo.
Oltretutto, fa riflettere il fatto che il modello di Beretta in questione fosse quello in dotazione alle forze di polizia fino al 1990, circostanza che fa supporre anche che qualcuno l’avesse lasciata nella stanza proprio per giustificare il foro nel cranio di Tenco, in assenza di un’arma da fuoco nelle vicinanze.
Nel 1994, fecero scalpore alcune foto rimaste inedite fino ad allora pubblicate dal settimanale Oggi, in cui il volto del cadavere di Tenco mostra segni evidenti di percosse, mentre il referto della polizia del 1967 riportò solo il foro in entrata di un colpo d’arma da fuoco.
Osservando le foto, diversi esperti hanno stabilito che Tenco fosse stato percosso, in quanto gli ematomi presenti sia sulla parte frontale che in zona occipitale sarebbero impossibili da ricondurre a eventuale caduta del cadavere.
Altra incongruenza vistosissima è data dagli abiti del cantante: in alcune foto si notano tracce di sangue evidenti, mentre in altre il colletto della camicia risulta persino lindo.
Chi lo rivestì e perché?
Più tardi, il commissario Arrigo Molinari si scoprirà essere un agente vicino ai servizi segreti, appartenente alla P2 con la tessera 767, colluso con l’operazione Gladio, accuse dalle quali il funzionario di Polizia si difese, sostenendo che la sua iscrizione alla Massoneria fosse dovuta a ragioni di servizio.
Fu lo stesso Molinari, d’altronde, a dichiarare nel 2004 a Paolo Bonolis, che lo stava intervistando proprio in merito alla morte di Luigi Tenco a Domenica In: “… indubbiamente non è stato un suicidio… Lo posso dire con sicurezza”.
Molinari verrà trovato morto ammazzato nell’hotel di proprietà della moglie, il 27 settembre 2005 all’età di 73 anni.
LUIGI TENCO: CHI LO UCCISE E PERCHÈ?
Dalle testimonianze e dai racconti di chi orbitava nella vita di Tenco nelle ore a ridosso della sua morte emerge che i moventi per un suo delitto sarebbero diversi.
Il più semplice è riconducibile a una rapina finita male: il pomeriggio del 26 gennaio, Luigi Tenco aveva vinto al Casinò una discreta somma, circa tre milioni di vecchie lire che non furono mai trovate.
Altra ipotesi, sempre legata ai soldi, è che il cantante navigasse in cattive acque e fosse vistosamente indebitato, probabilmente nei confronti di chi non voleva più aspettare.
Le due ipotesi, inoltre, potrebbero tranquillamente incastrarsi l’una nell’altra: Tenco vince una bella somma, la consegna la sera ai suoi debitori, magari incontrandosi sulla spiaggia che dista solo 600 metri dal suo albergo, e qui, avvertendo i suoi creditori che sta per spifferare tutto il marcio che ruota intorno al mondo della canzone, al festival e al Casinò, firma la sua condanna a morte.
Se Tenco avesse scoperto le carte, molti artisti famosi rischiavano di veder concludere le relative carriere, come poteva accadere anche a Dalida, con la quale il cantante aveva una relazione sentimentale.
L’ex marito della star francese, Lucien Morisse, si era fatto largo nel mondo dello show business e pare che agisse a stretto contatto con la malavita che introduceva le sue estroflessioni nel mondo dello spettacolo.
Lucien Morisse e Dalida – Foto di Propietà del Web
L’uomo fu interrogato sbrigativamente, insieme all’ex moglie, e lasciato libero di tornarsene in Francia subito dopo.
Scappò da Sanremo e dalla vicenda di quel pazzo che si sparò un colpo alla testa per essere stato estromesso dalla gara, solo per recitare lo stesso copione l’11 settembre 1970, quando si suicidò a sua volta.
Anche Dalida tentò il suicidio più volte, fino a riuscire a compiere l’opera nel luglio del 1983, quando si lasciò uccidere dai gas di scarico dell’auto del suo compagno di allora, che volle seguirla in quel macabro gesto.
Inutile nascondere che l’ambiente dello spettacolo avrebbe avuto tutto da perdere e nulla da guadagnare se uno come Luigi Tenco avesse puntato i riflettori su quanto avveniva dietro le quinte.
Il mondo dello spettacolo e quello dell’industria discografica erano inquinati dalla politica, dal narcotraffico, dalla malavita organizzata e dal gioco d’azzardo.
Uno show business che doveva continuare, in nome della lotta al Comunismo e dei conti correnti di molti che si arricchivano grazie al Sistema Sanremo.
C’erano troppi interessi in ballo perché un poeta da quattro soldi, rancoroso nei confronti di un mondo che anch’egli aveva utilizzato per sbarcare il lunario, portasse tutto alla luce del sole.
La nazione doveva continuare a nutrirsi della magica favola raccontata dalla TV.
La malavita e gli interessi che il festival generava dovevano andare avanti.
Lo spettacolo non poteva fermarsi.
CHI UCCISE LUIGI TENCO E PERCHÉ CHI UCCISE LUIGI TENCO E PERCHÉ Il Festival di Sanremo fu teatro di una tragedia che ancora oggi smuove le coscienze e dà adito a sospetti e illazioni, poiché la dinamica della morte di Luigi Tenco, così come ci è stata raccontata, è talmente inverosimile e piena di elementi inequivocabilmente discordanti che chi avrà la voglia di arrivare alla fine di queste righe scoprirà come e perché il cantautore sia stato ucciso dal…
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the-lived-abstractionism · 5 years ago
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Dal Corriere della Sera del 14 novembre, 1974.
Pier Paolo Pasolini, nato a Bologna il 5 marzo 1922 – Assassinato a Ostia, Roma, il 2 novembre 1975 (Foto da wikipedia)
Io so.
Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato “golpe” (e che in realtà è una serie di “golpe” istituitasi a sistema di protezione del potere).
Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969.
Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974.
Io so i nomi del “vertice” che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di “golpe”, sia i neo-fascisti autori materiali delle prime stragi, sia infine, gli “ignoti” autori materiali delle stragi più recenti.
Io so i nomi che hanno gestito le due differenti, anzi, opposte, fasi della tensione: una prima fase anticomunista (Milano 1969) e una seconda fase antifascista (Brescia e Bologna 1974).
Io so i nomi del gruppo di potenti, che, con l’aiuto della Cia (e in second’ordine dei colonnelli greci della mafia), hanno prima creato (del resto miseramente fallendo) una crociata anticomunista, a tamponare il ’68, e in seguito, sempre con l’aiuto e per ispirazione della Cia, si sono ricostituiti una verginità antifascista, a tamponare il disastro del “referendum”.
Io so i nomi di coloro che, tra una Messa e l’altra, hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione politica a vecchi generali (per tenere in piedi, di riserva, l’organizzazione di un potenziale colpo di Stato), a giovani neo-fascisti, anzi neo-nazisti (per creare in concreto la tensione anticomunista) e infine criminali comuni, fino a questo momento, e forse per sempre, senza nome (per creare la successiva tensione antifascista). Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro a dei personaggi comici come quel generale della Forestale che operava, alquanto operettisticamente, a Città Ducale (mentre i boschi italiani bruciavano), o a dei personaggio grigi e puramente organizzativi come il generale Miceli.
Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no, che si sono messi a disposizione, come killer e sicari.
Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli.
Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.
Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero.
Tutto ciò fa parte del mio mestiere e dell’istinto del mio mestiere. Credo che sia difficile che il mio “progetto di romanzo”, sia sbagliato, che non abbia cioè attinenza con la realtà, e che i suoi riferimenti a fatti e persone reali siano inesatti. Credo inoltre che molti altri intellettuali e romanzieri sappiano ciò che so io in quanto intellettuale e romanziere. Perché la ricostruzione della verità a proposito di ciò che è successo in Italia dopo il ’68 non è poi così difficile.
La sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura di Piazza Fontana a Milano, dopo l’esplosione avvenuta il 12 dicembre 1969 (Da Wikipedia)
Tale verità – lo si sente con assoluta precisione – sta dietro una grande quantità di interventi anche giornalistici e politici: cioè non di immaginazione o di finzione come è per sua natura il mio. Ultimo esempio: è chiaro che la verità urgeva, con tutti i suoi nomi, dietro all’editoriale del “Corriere della Sera”, del 1° novembre 1974.
Probabilmente i giornalisti e i politici hanno anche delle prove o, almeno, degli indizi.
Ora il problema è questo: i giornalisti e i politici, pur avendo forse delle prove e certamente degli indizi, non fanno i nomi.
A chi dunque compete fare questi nomi? Evidentemente a chi non solo ha il necessario coraggio, ma, insieme, non è compromesso nella pratica col potere, e, inoltre, non ha, per definizione, niente da perdere: cioè un intellettuale.
Un intellettuale dunque potrebbe benissimo fare pubblicamente quei nomi: ma egli non ha né prove né indizi.
Il potere e il mondo che, pur non essendo del potere, tiene rapporti pratici col potere, ha escluso gli intellettuali liberi – proprio per il modo in cui è fatto – dalla possibilità di avere prove ed indizi.
Mi si potrebbe obiettare che io, per esempio, come intellettuale, e inventore di storie, potrei entrare in quel mondo esplicitamente politico (del potere o intorno al potere), compromettermi con esso, e quindi partecipare del diritto ad avere, con una certa alta probabilità, prove ed indizi.
Ma a tale obiezione io risponderei che ciò non è possibile, perché è proprio la ripugnanza ad entrare in un simile mondo politico che si identifica col mio potenziale coraggio intellettuale a dire la verità: cioè a fare i nomi.
Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia.
All’intellettuale – profondamente e visceralmente disprezzato da tutta la borghesia italiana – si deferisce un mandato falsamente alto e nobile, in realtà servile: quello di dibattere i problemi morali e ideologici.
Se egli vien messo a questo mandato viene considerato traditore del suo ruolo: si grida subito (come se non si aspettasse altro che questo) al “tradimento dei chierici” è un alibi e una gratificazione per i politici e per i servi del potere.
Ma non esiste solo il potere: esiste anche un’opposizione al potere. In Italia questa opposizione è così vasta e forte da essere un potere essa stessa: mi riferisco naturalmente al Partito comunista italiano.
È certo che in questo momento la presenza di un grande partito all’opposizione come è il Partito comunista italiano è la salvezza dell’Italia e delle sue povere istituzioni democratiche.
Il Partito comunista italiano è un Paese pulito in un Paese sporco, un Paese onesto in un Paese disonesto, un Paese intelligente in un Paese idiota, un Paese colto in un Paese ignorante, un Paese umanistico in un Paese consumistico. In questi ultimi anni tra il Partito comunista italiano, inteso in senso autenticamente unitario – in un compatto “insieme” di dirigenti, base e votanti – e il resto dell’Italia, si è aperto un baratto: per cui il Partito comunista italiano è divenuto appunto un “Paese separato”, un’isola. Ed è proprio per questo che esso può oggi avere rapporti stretti come non mai col potere effettivo, corrotto, inetto, degradato: ma si tratta di rapporti diplomatici, quasi da nazione a nazione. In realtà le due morali sono incommensurabili, intese nella loro concretezza, nella loro totalità. È possibile, proprio su queste basi, prospettare quel “compromesso”, realistico, che forse salverebbe l’Italia dal completo sfacelo: “compromesso” che sarebbe però in realtà una “alleanza” tra due Stati confinanti, o tra due Stati incastrati uno nell’altro.
Ma proprio tutto ciò che di positivo ho detto sul Partito comunista italiano ne costituisce anche il momento relativamente negativo.
La divisione del Paese in due Paesi, uno affondato fino al collo nella degradazione e nella degenerazione, l’altro intatto e non compromesso, non può essere una ragione di pace e di costruttività.
Inoltre, concepita così come io l’ho qui delineata, credo oggettivamente, cioè come un Paese nel Paese, l’opposizione si identifica con un altro potere: che tuttavia è sempre potere.
Di conseguenza gli uomini politici di tale opposizione non possono non comportarsi anch’essi come uomini di potere.
Nel caso specifico, che in questo momento così drammaticamente ci riguarda, anch’essi hanno deferito all’intellettuale un mandato stabilito da loro. E, se l’intellettuale viene meno a questo mandato – puramente morale e ideologico – ecco che è, con somma soddisfazione di tutti, un traditore.
Ora, perché neanche gli uomini politici dell’opposizione, se hanno – come probabilmente hanno – prove o almeno indizi, non fanno i nomi dei responsabili reali, cioè politici, dei comici golpe e delle spaventose stragi di questi anni? È semplice: essi non li fanno nella misura in cui distinguono – a differenza di quanto farebbe un intellettuale – verità politica da pratica politica. E quindi, naturalmente, neanch’essi mettono al corrente di prove e indizi l’intellettuale non funzionario: non se lo sognano nemmeno, com’è del resto normale, data l’oggettiva situazione di fatto.
L’intellettuale deve continuare ad attenersi a quello che gli viene imposto come suo dovere, a iterare il proprio modo codificato di intervento.
Lo so bene che non è il caso – in questo particolare momento della storia italiana – di fare pubblicamente una mozione di sfiducia contro l’intera classe politica. Non è diplomatico, non è opportuno. Ma queste categorie della politica, non della verità politica: quella che – quando può e come può – l’impotente intellettuale è tenuto a servire.
Ebbene, proprio perché io non posso fare i nomi dei responsabili dei tentativi di colpo di Stato e delle stragi (e non al posto di questo) io non posso pronunciare la mia debole e ideale accusa contro l’intera classe politica italiana.
E io faccio in quanto io credo alla politica, credo nei principi “formali” della democrazia, credo nel Parlamento e credo nei partiti. E naturalmente attraverso la mia particolare ottica che è quella di un comunista.
Sono pronto a ritirare la mia mozione di sfiducia (anzi non aspetto altro che questo) solo quando un uomo politico – non per opportunità, cioè non perché sia venuto il momento, ma piuttosto per creare la possibilità di tale momento – deciderà di fare i nomi dei responsabili dei colpi di Stato e delle stragi, che evidentemente egli sa, come me, non può non avere prove, o almeno indizi.
Probabilmente – se il potere americano lo consentirà – magari decidendo “diplomaticamente” di concedere a un’altra democrazia ciò che la democrazia americana si è concessa a proposito di Nixon – questi nomi prima o poi saranno detti. Ma a dirli saranno uomini che hanno condiviso con essi il potere: come minori responsabili contro maggiori responsabili (e non è detto, come nel caso americano, che siano migliori). Questo sarebbe in definitiva il vero Colpo di Stato.
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