#io vivo sempre insieme ai miei capelli
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LA CANZONE DI REBECCA
"Questa di Rebecca è la storia vera che scivolò fuori dal cuore in una fredda sera ma un padre che la vide così bella da quel cuore la portò sopra a una stella"
Così figlio 2 e Rebecca si sono lasciati. Sono cicli della vita, che sinceramente ti aspetti quando a intrecciarsi sono due cuori così giovani e, sotto alcuni punti di vista, acerbi.
Però da padre sono dispiaciuto. Molto, non nascondo il fatto di essere commosso mentre scrivo questo capitolo di vita da padre.
Credo che l'esperienza della vita di una persona sia costituita da tanti mattoncini, ognuno portato da chiunque sia passato per quella vita.
Chi avrà portato tanti mattoncini, chi meno. Ma anche solo uno contribuirà alla costruzione dell'esperienza di vita in quella persona.
Spero che Gabriele (mio figlio) e Rebecca si siano donati tanti mattoncini, su cui posare le basi delle loro future vite sentimentali.
Una separazione decisa insieme, questa è già una prova di maturità, dove entrambi sembrano aver affrontato questa decisione con serenità. Anche se sono convinto che alcuni ricordi rimarranno per sempre, perché i momenti vissuti amando non si dimenticano mai. Almeno così dovrebbe essere. Io me le ricordo i miei. Tutti, ancora oggi.
Devo dire che a me mancherà tanto, era la figlia che non ho e avrei tanto desiderato. Così simile ai miei colori di carnagione e di capelli.
Sto pensando a questa separazione, mi rendo conto di quanto nella vita, a volte, le separazioni siano necessarie; necessarie per ricominciare e non stare immobili.
Che il dolore, quando è condiviso, insegni molto quanto e come le gioie condivise.
Restare uniti in abbracci freddi e senza più sentimento, non permette di vivere la propria esistenza. Diventa come una prigione dell'anima. Diventa necessario separarsi.
Esiste chi non l'ha fatto e se n'è pentito, chi lo ha fatto e ha capito che doveva farlo prima. Ma esiste anche chi, per questa scelta, ne sta pagando le conseguenze.
Ma Gabriele e Rebecca sono così giovani, così estremamente impetuosi e immaturi da vivere il tutto come un'esperienza. Probabilmente senza tragedie.
Mentre io così dannatamente invecchiato e attempato, vivo con malinconia questa vicenda.
Era, anzi è, anche nel mio cuore Rebecca, sempre grata nel salutarmi per essere stata accolta e protetta, coccolata, ogni volta in casa nostra.
Quel tuo saluto, accompagnato dal gesto della mano, mentre ti dicevo ti "aspetto presto", probabilmente, è stato l'ultimo come padre di colui che amavi. Non ti vedrò mai più così.
"Dicono poi che mentre sulla porta mi salutavi dal suo cuore già fuori scivolavi e io che non ti voglio vedere come un'ombra ti ricorderò mentre mi saluti sull'uscio della mia porta"
Buona vita ragazzi, buone cose ai vostri cuori pulsanti e pieni di energia.
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Stare bene insieme non significa stare insieme. Significa esserci, anche in modo indiretto, e fare il tifo per le soddisfazioni e gioie dell'altro. Significa pensarsi silenziosamente non appena ci sia un minimo di rimando. Ma significa anche avere consapevolezza e non intralciare più il percorso dell'altra persona se vi sono presenti problemi personali irrisolti che inevitabilmente finiranno col ferire la tua persona, anche se terribilmente amata. Stare bene insieme significa pensarsi e sorridere, anche se a uno dei due, o a entrambi, scenderà sempre una lacrima amara tra gli occhiali e le guance rosse. Stare bene insieme significa anche staccarsi e concentrarsi su sé stessi, cercare di risolversi e sperare che l'altra persona non sia andata troppo avanti, che un minimo ti abbia aspettato.
Io e te stavamo benissimo insieme e tutt'ora, pur adottando questa modalità più distaccata, lo siamo. Due come noi, lo saranno sempre, anche con le rughe in volto, i capelli incolti e candidi.
Il problema sorge quando arriva quella terribile ondata di consapevolezza che mi fa riflettere su quanto stia bene con te, anche in questo modo, e quanto stia male con tutti gli altri.
Il problema sorge quando, in un momento completamente random della giornata, mi ritrovo a pensare alle tue labbra e ai tuoi stupidi scherzi di cui ero sempre vittima. Il che si configura molto debilitante se accade mentre intrattengo una conversazione con altre persone e provo a distrarmi, esattamente come fai tu.
Sto bene solo con te, anche se non sono più con te, e questo mi conduce ad una forte nausea sociale che produce solo disgusto nei confronti del prossimo ragazzetto un minimo interessante con cui il tempo è piacevole solo quando cado vittima della rabbia che riverso nei tuoi confronti. Perché, come ogni lutto sociale che si rispetti, anch'io vivo la mia rabbia repressa. Consapevole che non mi condurrà da nessuna parte e che probabilmente finirò col ferirmi o ferire il prossimo. Atto che mi farebbe stare peggio persino della prima casistica e finirei nuovamente col restare ingabbiata nei miei sensi di colpa, precludendomi la vita, com'è successo già in passato, vivendo solo col mio vuoto in corpo e l'ansia in testa. Paralizzata.
Ma diventa tutto più tollerabile quando vedo dei fiorellini belli in un parco svedese e penso al fatto che diresti che ho le stesse ossessioni di tua mamma e che non finirai col prenderti cura dell'ennesimo giardino fiorato, per poi baciarmi.
Intanto, le nostre piantine crescono e oggi mi sono commossa a vederle alte, piene e verdi.
Infine, ho iniziato a sorridere ai papà in metro con in braccio i pargoli che giocano con la loro barba. Quanto sarebbe stato bello realizzare il nostro sogno.
Che gran periodo del cazzo.
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17/07/2024 00.44
quanto forte ti pensavo- madame
sono nella mia camera a scrivere e parlare ancora di te. Sono così attratta da te, ma allo stesso tempo terrorizzata. Scrivo e piango. Ma ti penso, ti penso forte. Ogni cosa che faccio mi collega a te, ogni cosa che vedo, che vivo mi collega a te. Non so se sei tu che sei sempre presente o è il mio desiderio di te che ti rivela in ogni cosa. Ho paura di te, del male che puoi farmi, delle parole che puoi usare con me, della reazione che puoi avere. Mi sento vuota, magari è colpa mia. Sono io che mi metto sempre nelle stesse situazioni, vicoli cechi. Sono io stessa che metto delle trappole sul mio percorso, auto sabotaggio. Sono abituata a queste mie trappole e non sono mai caduta in quelle degli altri, ma nella tua si. Mi logori.
Il mio cuore è tuo, non lo sai, ma è così. Non te lo voglio ancora affidare ma te lo voglio mostrare, limpido e nudo. Voglio avere questo coraggio. Ma sono sicura di trovare del male nella tua persona. Coltelli pronti a colpire questo mio cuore, ancora insicuro e fragile. Perché non mi noti fra le altre? Non sono abbastanza? Non vedi di più in me? Sono tante le domande che mi faccio ma non trovo risposte, so che solo tu puoi darmele, ma ho tanta paura di queste.
Credimi, sei protagonista di ogni mio pensiero, la mia immaginazione viaggia con te, per il futuro prossimo e quello lontano. Ci vedo in macchina ad ascoltare canzoni sul lungomare di qualche città, al tramonto, con il vento che mi accarezza i capelli, tu che mi sfiori le gambe e i tuoi occhi fissi su di me. Ci vedo a cena fuori a parlare di qualunque cosa; parlare di noi stessi, ascoltare delle nostre giornate, parlare dei tanti modi che si possono trovare per far scoppiare un chicco di riso o di come ci potrebbero stare i vari tatuaggi che abbiamo in mente di fare. Ci vedo sul mio letto stesi su un fianco uno di fronte all’altro, con i corpi distanti ma con i cuori che si toccano quasi eroticamente, gli occhi che si baciano dopo ogni battito.Ci vedo al mare, in piscina, al cinema, a casa, in ogni parte del mondo. Vedo anche noi due tra vent’anni con dei bambini. In una casa tutta nostra, nella città dove viviamo dato che per te i bambini devono stare vicino ai nonni e crescere in famiglia, oppure in quella città che ti affascina tanto. Ti sento suonare, vedo i bambini che ti guardano affascinati e io che penso al fatto che fossimo destinati. In qualsiasi posto o momento mi vedo spensierata ed innamorata, tu perso nei miei occhi.
Vorrei che tutto fosse realtà e non solo pensieri costanti. Adesso solo ammetto di essere innamorata di te, o non mi spiego tutto questo. Il desiderio di vederci felici insieme. Ci vedo tanto in te, so che potresti donarmi tanto amore. Ma so anche che se non fossi disposto a farlo potresti farmi cento volte più male. Mi fai paura, ma il mio cuore è tuo. Mi fai sentire viva, felice, piena; ma anche fragile, mi fai piangere, quasi mi fai venire da vomitare con tutti questi pensieri. Mi fai paura ma non posso accontentarmi ancora di un lecca-lecca, mi lascia la bocca secca, voglio di più.
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Sono quasi le 3, dovrei dormire, fra poche ore parto per le vacanze. Dopo due anni i miei piedi affonderanno di nuovo nella sabbia e il mio corpo perderà un po’ di peso, almeno in un’illusione della mia mente, e galleggerà finalmente, ancora, nell’acqua del mare. Lo vivo un po’ come una vergogna il fatto di andare al mare con mio padre a 25 anni, ma tant’è (mi vergogno perché penso che gli altri mi schiferebbero se lo sapessero, non perché mi vergogno davvero; ho scoperto di essere totalmente ossessionata dalle convenzioni sociali secondo cui una ragazza per essere ritenuta normale, meritevole di considerazione e rispetto dovrebbe andare in vacanza con gli amici, o al massimo con il fidanzato, non con il padre o la madre). Comunque dovrei dormire, eppure mi sembra di essermi appena svegliata dall’incubo in cui ho vissuto nell’ultimo anno e mezzo. Mi sembra di averci capito qualcosa solo ora dopo tutto questo tempo. Lui me l’aveva detto. Me l’aveva detto tante volte, prima, me l’aveva detto chiaramente: quando mi parlava del gioco d’azzardo, delle dipendenze, delle droghe ai festival (non è sbagliato di per sé, ma io non sono così, per quanto faccia fatica ad accettarlo), quando mi aveva confessato, con una tranquillità agghiacciante, di aver picchiato la ex, e pure la madre. Però quella stessa ex continuava ad averci un rapporto, e quindi mi dissi che avrei potuto anche io, che era sicuro in fondo stare con lui. Me lo diceva tutte le volte che impazziva davanti alla mia sensibilità ed io avevo paura, ma “io” in quel momento non era importante, non più di lui almeno, anzi, era solo un fastidio, un ostacolo alla nostra relazione. Mi odiavo. E pensavo davvero di essere solo un cazzo di ostacolo. E, infine, me l’aveva detto quando voleva convincermi, riuscendoci anche, per un po’, che il mio sesto senso era, in realtà, follia. Non so perché tutto questo non è stato abbastanza. Non so se mi potrò mai perdonare. Per me il fatto che potesse tradirmi era molto peggio che essere tirata per i capelli o quasi fatta schiantare contro un muro, e infatti sono riuscita a lasciarlo solo dopo aver avuto la certezza di un tradimento. Eppure mi aveva detto anche quello, cazzo, anche dei tradimenti, me l’aveva detto davvero quell’ultima sera in cui mi ha portata a casa. Lui me l’aveva detto, ma io me ne sono accorta solo ora. Ho fatto finta di niente per tutti questi mesi, ed ora non riesco a dormire. L’ho nascosto involontariamente a tutti, ho raccontato tutto a molti ma ho omesso quella parte, l’ho omessa anche a me stessa. L’ho volutamente rimossa. Forse per proteggermi, come faccio sempre quando mi racconto le bugie, ma non so se questo basta a potermi perdonare. Stasera ho riletto quella mail per la centesima volta, eppure solo questa volta ho capito davvero. Ho messo insieme i pezzi e tutto ha avuto un senso. Tutto. Vorrei vomitare lo schifo che ho dentro e che provo per lui, perché non merita di stare dentro me nemmeno sotto questa forma. Vorrei buttare fuori tutta la rabbia, la pena, la voglia di vendetta. Mi vergogno, ma adesso vorrei potergli fare del male fisico. Spero di non essere diventata come lui. Vorrei non averlo mai conosciuto. Il pensiero che possa sfiorarmi, anche solo nei suoi pensieri, mi manda in bestia, il pensiero che mi abbia davvero avuta ancora di più. L’avevo sentito quel sapore acido e sconosciuto in bocca quella volta. Spero tu possa marcire all’inferno, e che l’inferno sia per te su questa terra, Davide. Non ho più paura del tuo nome
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[✎ TESTO ♫ ITA] PROOF - BTS⠸ ❛ Born Singer ❜⠸ 10.06.22
[✎ TESTO ♫ ITA] BTS ⟭⟬ PROOF
❛ Born Singer ❜ / Cantante nato
__Rilascio originale: 🎵 Soundcloud | YouTube , 11. 07. 2013
Spotify | Apple | Twitter
Scritta da: RM, SUGA, j-hope
Eseguita da: BTS
Traccia originale: J. Cole - Born Sinner
youtube
Sono un cantante nato, una confessione un po' tardiva (giuro)
Quel miraggio che è sempre stato così lontano,
ora è qui, di fronte a me (è qui)
Sono un cantante nato, forse è un po' presto per dirlo
Ma sono molto felice, mi sento bene
Il primo palco su cui sono salito sotto il nome Bangtan
Ripenso ora a come mi son sentito 3 anni fa, la prima volta nella mia vita
Sono ancora un rapper provincialotto di Daegu, ma
Ho coperto la parola 'dilettante' con 'professionista'
Rappare e ballare sul palco che tanto desideravo mi fa sentire vivo
Anche se andare e venire da lavoro è estenuante, lo sopporto perché la mia gente mi guarda e supporta
Anche se il mio corpo è distrutto, mi faccio forza
per tutte le grida ed il sostegno che ricevo
Che cosa è cambiato tra il prima ed il dopo debutto,
nonostante io viva al confine tra l'essere un idol ed un rapper,
il mio taccuino è ancora sempre pieno di appunti
Prendo la penna e butto giù testi nelle attese tra i camerini ed il palco
Sono ancora così, in che cosa sarei cambiato, ai vostri occhi?
Dannazione, merda. Sono sempre lo stesso
Sono cambiato, dite? (Che?) Andate un po' a dirlo in giro
La mia essenza è sempre la stessa, sono ancora un rapper
Continuo ancora a rappare e cantare come facevo 3 anni fa
Sono un cantante nato, una confessione un po' tardiva (giuro)
Quel miraggio che è sempre stato così lontano,
ora è qui, di fronte a me (è qui)
Sono un cantante nato, forse è un po' presto per dirlo
Ma sono molto felice, mi sento bene
Ad esser sincero, avevo paura di dimostrare quanto valgo,
dopo aver fatto il gradasso
[Avevo paura] Che io, che conoscevo solo penna e libri, avrei ora sorpreso il mondo
Non so, io e le aspettative di tuttə siamo troppo asimmetrici
Avevo paura di tradire la fiducia di coloro che credevano in me
Mi sgranchisco le spalle su cui grava questo peso e salgo sul mio primo palco
Un momento di silenzio, raccolgo il fiato
Le persone cui ho sempre guardato, ora stanno guardando me
La gente che ho sempre seguito in TV, ora è sotto di me
Senza neppure un momento per lasciarmi alle spalle il passato,
Questa singola rappresentazione va in scena
3 anni di sudore e lacrime evaporati in soli 3 minuti
Quella feroce tensione tra me ed il microfono
È stata questione di pochi secondi, ma ho dato tutto me stesso con sicurezza
Sono dannatamente serio
Hey, qual è il tuo sogno? Il mio è di diventare una star del rap
Non è evidente?
E quando siamo scesi dal palco, quelle grida
Già, posso quasi leggervi nella mente (oh, sì) immagino ciò che pensate
Solo sorrisi invece che interrogativi,
I membri mi danno delle pacche sulle spalle, senza dir niente
Mi sembra ancora l'altro ieri, ma son già passate 20 notti
E lascia che gli hater mi odino, è ciò che han sempre fatto
Mentre voi vi nascondevate dietro le vostre tastiere, io ho realizzato i miei sogni
Gli occhiali da sole, i capelli, so perché mi additate così
Ma io, appena 20enne, sono arrivato più in alto di voi
Ah ah
Sono un cantante nato, una confessione un po' tardiva (giuro)
Quel miraggio che è sempre stato così lontano,
ora è qui, di fronte a me (è qui)
Sono un cantante nato, forse è un po' presto per dirlo
Ma sono molto felice, mi sento bene
Quei giorni che abbiamo superato correndo, giorni che abbiamo affrontato insieme
In questi 3 anni, i nostri cuori son diventati una cosa sola
Sono fradicio del sudore e del sangue versato
A fine performance, ho gli occhi pieni di lacrime
Ogni istante ricordo a me stesso di non dimenticare il motivo per cui ho iniziato
Di rimanere sempre me stesso così da non dovermi poi vergognare di fronte
al me delle origini
E quindi andiamo, andiamo, andiamo
Sempre più in alto, alto, alto
Sono un cantante nato, una confessione un po' tardiva (giuro)
Quel miraggio che è sempre stato così lontano,
ora è qui, di fronte a me (è qui)
Sono un cantante nato, forse è un po' presto per dirlo
Ma sono molto felice, mi sento bene
⠸ ita : © Seoul_ItalyBTS | eng: © BTS_Trans ; © doolsetbangtan⠸
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Io e Zoolibri ci siamo incontrati per posta elettronica. Ho inviato un mio racconto, ho ricevuto una risposta positiva e un piano di lavoro dettagliato. L’editore Corrado Rabitti ha rispettato ogni singolo passaggio di quel piano. Così è nato Perché mio nonno ha i capelli bianchi, illustrato da Felicita Sala, magnifica nell’aver interpretato il testo. A lei va la mia più profonda gratitudine. Il libro è uscito da pochi giorni e sono felice. È stato pensato e realizzato con cura e, soprattutto, dimostra come le persone, ad un certo punto, si incontrino e si riconoscano. In questi mesi sarò impegnato nella promozione e nella proposta di laboratori a tema. Sono Mauro Scarpa, ho 42 anni e vivo a Lecce, città in cui sono nato e nella quale sono tornato a vivere da tre anni. Lavoro come pedagogista da diciotto anni ed ho sviluppato molti progetti legati all’infanzia e all’adolescenza. A Roma ho studiato recitazione. Non riesco a stare fermo, ho sempre bisogno di lavorare su più cose contemporaneamente. Conduco laboratori emotivi e teatrali nelle scuole, insegno teatro nell’Accademia Damus di Lecce, collaboro con NAHO’, azienda che promuove il settore biologico offrendo formazione ai dipendenti, sempre attraverso il teatro. Conduco laboratori teatrali per adulti e porto in scena i miei spettacoli. Alleno il settore giovanile di una squadra di pallavolo (Eos Volley) e, naturalmente, scrivo: storie per bambini, romanzi, testi teatrali. Ho iniziato a scrivere relativamente tardi (26 anni) e con consapevole trasporto. Il mio diritto a scrivere e a raccontare viene prima di qualunque attività, è la scelta che più mi fa stare bene. Ho pubblicato alcuni libri e molti altri sono in preparazione. Per Kurumuny, ad esempio, uscirà il secondo libro di una piccola collana che lega le storie per bambini alla lingua Grika. (Il primo è uscito la scorsa estate col titolo Il Sole e il Gallo, illustrato da Alberto Giammaruco amico e grande professionista). Con Zoolibri stiamo lavorando su nuove storie, in un percorso di scambio, raro e rispettoso. Non è scontato. Ho un blog, mauroscarpa.wordpress.com, in cui raccolgo, insieme alle storie per i bambini, racconti e monologhi teatrali. La mia parola preferita è restituzione. Scopri di più qui: Perchè mio nonno ha i capelli bianchi | ZOOlibri
#Curiosità#9788899556099#AlbertoGiammaruco#FelicitaSala#MauroScarpa#Perchémiononnohaicapellibianchi
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Capitolo 1: Non so come iniziare..
Non so come iniziare, o meglio, come si può iniziare un capitolo senza prima spiegare il perchè della mia presenza qui? No non lo spiegherò e partirò direttamente dalle mie sensazioni presenti, poi nel corso del tempo, sicuramente scriverò qualcosa inerente a quello che è stato, a quello che sono stato, ma non ora, ora mi concentro su quello che è che in teoria è quello che conta no? E quello che è in questo momento sa di malinconia, malinconia verso un qualcosa che quando l’ho vissuta non era così meravigliosa come la testa mi fa credere, ma è il solito giochino della mente che dura da anni, e nonostante sia consapevole, mi fotte sempre. Distogliere l’attenzione dal problema e focalizzarlo su altro, su quello che voglio, su quello che voglio essere su quello che voglio diventare. Ecco sappiate che potrei passare da un argomento all’altro così.. a caso.. come ora, solo perchè mi sta passando qualcosa nella testa solo perchè non riesco a concentrarmi su una cosa, ora per esempio mi vien da dire che era tanto che non scrivevo, da ragazzino (ecco il primo passo indietro) lo facevo spesso, buttavo fuori qualsiasi cosa, era una valvola di sfogo, col tempo ho smesso non so perchè.. non so il motivo, non l’ho piu fatto e basta. Beh torniamo alla mente che fotte, che mi fotte come fotte tantissime persone, è un problema che ho da sempre, a volte è una partita che vinco, altre perdo malamente, prendo un volpino che me lo ricordo per molto. E così la mia mente, è astuta più di me. Ora per esempio ho un disagio, che ovviamente in questo momento è frutto della mia fantasia, non sarà più frutto della mia fantasia quando agirò e lo farò molto presto, è questione di giorni, ma purtroppo prima o poi quel giorno doveva arrivare.. per molti non è niente di che, per altri è un problema, io ho l’ansia per questa cosa da quando ho iniziato ad avere i primi segni di cedimento.. senza tanti giri di parole che poi uno pensa ma che cazzo di problema ha questo qua.. ho un grosso problema, la calvizia ! L’ho detto. Mi crea disagio, mi imbarazza, non ho piu quei capelli che ho tanto amato ma che nello stesso tempo ho anche tanto odiato, perchè molto spesso non stavano come volevo. Rivoglio i miei capelli. Il mio processo d’invecchiamento negli ultimi due anni ha messo il turbo, due anni di vita persi, per motivi che sapete benissimo tutti, perchè li abbiamo vissuti tutti. Ma tornando ai miei capelli, era come ho detto prima un momento che doveva arrivare, col padre calvo non mi potevo aspettare di rimanere un beatles fino ai 40 anni ! Piazza San Marco ha iniziato ad espandersi nella parte posteriore della testa verso i 25 anni, nel corso degli anni i capelli hanno perso forza e volume su quasi tutta la testa, ma nel 2019 ero ancora messo bene più o meno, a parte dietro ovviamente, li ormai è un calvario (battutaccia) negli ultimi due anni come ho detto, la situazione è precipitata. La faccio breve perchè ho poco tempo: sabato vado a rasarmi! L’ho sognato quel giorno anzi più che un sogno era un incubo, ma è l’unica soluzione per tamponare qualcosa di irreversibile a meno di un trapianto di capelli, cosa che più e più volte mi è frullata nella testa. La fantasia di cui parlavo all’inizio sta nel pensare di star male, di non piacermi ma soprattutto di non piacere, che poi è una conseguenza del non piacermi, va beh avete capito è una cosa contorta... poi magari starò bene, fatto sta che una cosa è certa, rivoglio i miei capelli!
#capelli#io vivo sempre insieme ai miei capelli#testa#calvizia#disagio#mannaia#chepalle#rasato#ansia
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Penso che l’amore sia l’unica nostra possibilità per superare molte paure, molti ostacoli sia fisici che - forse soprattutto - mentali. Se ripenso a tutte le mie “prime volte”, sono sempre motivate dalla solita sensazione di farfalle nello stomaco e cuore che batte all’impazzata! Cambiava la persona, ma l’emozione che mi muoveva - più o meno intensa - era sempre quella.
La prima volta che presi il treno, da solo, a 15 anni, un viaggio di una mezz’oretta eh nulla di che, per andare da lei a farle una sorpresa.
La prima volta che feci l’alba al telefono, solo noi due.
La prima volta che passai tutta una notte in macchina, di fronte casa sua, perché i genitori litigavano forte e lei aveva paura.
La prima volta che studiai 20 ore in una giornata, così da potermi godere un po’ più di tempo assieme a lei senza dovermi preoccupare di nulla.
La prima volta che mi addormentai in una biblioteca, rovistando tra libri di anatomia e patologia, in cerca di tutte le forme possibili di tumori.
La prima volta che inviai mail su mail, a 19 anni, parlando con primari di TAC e risonanze: sempre sperando di trovare qualche informazione, sapere qualcosa riguardo questa malattia.
La prima volta che mi tagliai fu pensando di non poterla più rivedere, baciare.
La prima volta che registrai un CD, imbranato come sono con i computer, stando attento a musica, testo, tono di voce... ci misi giorni interi per registrare poco più di mezz’ora, ma ne valse la pena.
La prima volta che accettai i miei capelli, perché lei li guardava con quegli occhi stupendi, ed in quello sguardo riuscivo a vedermi bello pure io.
La prima volta che piansi in silenzio, inghiottendo ogni singhiozzo, reprimendo le grida, era per colpa sua.
La prima volta che mi alzai alle 6 per prendere il treno, anche quella volta a muovermi era solo quel sentimento.
La prima volta che progettai il mio futuro, cosa che da sempre avevo evitato, l’ho fatto perché lei aveva voglia di fantasticare insieme a me.
La prima volta che mi feci vedere debole, che piansi di fronte ai miei amici, a 13 anni, era per una brutta delusione.
La prima volta che, vedendo una stella cadente, espressi un desiderio non riferito a me, fu proprio a lei che pensai.
La prima volta che, spegnendo le candeline di compleanno, smisi di desiderare di sopravvivere ed iniziai a desiderare di vivere.. eh, avevo lei di fronte a me.
La prima volta che mi sentii vivo, voglioso di vivere e di sorridere, fu sempre per “colpa” di una lei.
#occhicomegalassieinesplorate#prima volta#tumblr#pensieri#love#amore#late night#life#alone with my thoughts#me#sorridi
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Utopia
È buffo il fatto che per conoscermi ci ho messo anni, ma nonostante questo tenti comunque di raccontarmi in qualche riga. È questo che mi piace della natura umana, il fatto di non arrendersi, concetto che secondo me rende bene l'idea nella parola inglese "strength".
Se fossimo esseri totalmente ed esclusivamente razionali descriversi scrivendo per qualche minuto o ore, o anche giorni, nel tentativo di affidare ad un foglio (virtuale o di carta che sia) il nostro autoritratto, sarebbe utopico. Utopia. Il non luogo. Una delle parole che utilizzerei per descrivere la mia persona. Per me l'utopia ha lo stesso significato che ha per Platone : non qualcosa di irraggiungibile, ma qualcosa verso cui tendere.
Sono una ragazza nata 17 primavere fa che ha da subito imparato ad amare i libri, a sognare e a vivere perseverando nella "curiosità di Ulisse". La mia utopia è fatta di scomparti nascosti, numerosi e in continuo crescere. La mia utopia è quel portagioielli che tutte le nonne possiedono, in cui ogni cassettino è adibito a un piccolo frammento di preziosità, che custodisce i ricordi. Lo scomparto più grande è il canto. Credo che siano le corde vocali a rendermi me stessa, a permettermi di stare bene. Ho iniziato cantando a squarciagola davanti allo zecchino d'oro facendo finta di essere una di loro. Ho continuato con le recite di natale: sempre in prima fila, petto in fuori, spalle rilassate, mani congiunte dietro la schiena e ginocchia che molleggiavano seguendo il ritmo della canzone. E ora sono qui. Con un canale youtube di poche persone affezionate (per il momento) e un microfono da registrazione nuovo di zecca, che ancora fatico a realizzare. E per questo tendo verso l'utopia di diventare un giorno una di quelle persone che vivono sui palchi, girando il mondo, conoscendo e emozionando persone.
Subito al lato c'è un altro scomparto in cui ho riposto tutta la mia determinazione, forza di volontà e tenacia nello studio che un giorno mi porteranno ad avverare un sogno che tanti vivono come standard: entrare in un'università e studiare all'interno di una comunità vera e propria, in cui si condivide l'amore per la sapienza. E da qui arriviamo alla filosofia. L'ho scoperta ufficialmente in terzo liceo finendo per innamoramene a tal punto da chiedermi "come ho fatto fino ad ora a vivere senza?". Tra le cose che mi piacciono del mondo, insieme alla musica, c'è la possibilità di dialogare con gli antichi e camminare in punta di piedi nelle loro menti, sfiorando i loro pensieri fino a renderli parte del mio processo di introspezione e formulazione di un pensiero. L'amore per la filosofia credo sia semrpe stato presente in me, forse quiescente fra le pagine dei libri che amavo (e amo) divorare. Questo è, penso, ciò che abita la mia anima.
I miei occhi però, dai tratti profondamente arabi, osservano tutti i giorni ingiustizie, violenza e odio verso gli altri. I miei occhi sono di un marrone intenso, ma se fossero di un colore più chiaro probabilmente si tingerebbero del colore della pece da cui il mondo si è lasciato avvolgere. Sto per aprire un altro scomparto, che non avevo notato prima. L'utopia del voler essere parte attiva del processo di liberazione, di disobbedienza civile - come direbbe Throeau - dalle "manette forgiate dalla mente" (William Blake) che ci hanno imposto. Parole come razzismo, femminicidio, omofobia non esistono nel mio vocabolario. Fanno parte di un vocabolario senza parole dove regna sovrana la violenza e l'odio.
In questo mondo di equazioni, in cui si tende a semplificare sempre quel denominatore mettendolo in comune, il significato di comune si avvicina sempre di più al significato di semplificazione. Che è quindi perdita di una parte di autenticità. Le mie idee sono ciò che mi caratterizzano e lasciare che un'equazione le semplifchi per rendere addizionabili i suoi termini non fa per me. Crescendo sto imparando a vedere il mondo per cio che è. Probabilmente Peter Pan aveva ragione a non voler crescere, perché il mondo ti svela il suo lato più crudele ad ogni soffio sulle candeline. Ma forse lo faccio anche per Peter Pan. Non resto a guardare, non mi limito a sapere dell'esistenza di queste ingiustizie e in cuor mio a sapere che tutto questo odio è sbagliato. Non mi basta. Perciò cerco costantemente, affannosamente, in maniera persistente quasi petulante, di agire (almeno nel mio piccolo) . Il black lives matter è un movimento che mi ha segnata nel profondo. Ha scoperchiato agli occhi di tutti la verità su quanto l'uomo cieco possa essere crudele. Ma proprio questo è il problema. La cecità. Che a lungo andare renderà "l'orbo il re" (E. Da Rotterdam).
Credo che, in quanto giovane (e in quanto umana oserei dire) io abbia il dovere di assicurare ai bambini che oggi vivono spensierati, di poter continuare a farlo, seppur crescendo, in un mondo in cui regna l'amore.
Qualcuno di voi forse si starà chiedendo cosa significa il nome del mio blog e per quanto io ami il dubbio come fonte di produzione intellettiva, voglio dare una risposta. Il cuore carillon, l'ossimoro perfetto di un cuore, che per definizione brucia sempre senza spegnersi mai, e un carillon che suona finché ha forza, finché qualcuno poi non alimenti di nuovo il suo girare.
Giunta a questo punto mi rendo conto che descrivermi non è affatto facile, ma la mia tenacia non mi lascia smettere di far picchiettare le mie dita su questa tastiera esausta per la sua capacità di tirar fuori infinite parole, infiniti concetti. E io sono come questa tastiera. Perciò vorrei aggiungere che nei miei occhi ci sono screzi luminosi. Il Bernini li ha lasciati insinuare fra la mia iride e la mia pupilla, quel giorno d'estate che decisi di andare a visitare la Galleria Borghese di Roma. Posso dirvi che questa città eterna in cui abito mi ha regalato la capacità di provare ancora stupore. Il Colosseo con la sua bellezza monumentale mi stupisce ogni volta, come fosse la prima. Posso dirvi inoltre che i miei capelli sono lunghi, ricci e forti perché mai un paio di forbici li hanno sfiorati. Probabilmente il mio tratto distintivo. E infine posso dirvi che nel mio cuore, anche se scosso dalle intemperie della vita, persiste ancora quella scintilla che mantiene vivo l'amore. A grandi linee "cuore" , a piccoli tratti "carillon", nell'insieme "il mio autoritratto" .
; cuorecarillon
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Negli ultimi mesi mi sono ritrovata a pensare spesso che non mi ricordo più come riuscivo, senza il minimo problema, durante i primissimi tempi dell’università, 19/22 anni?, a starmene pressoché sempre sola. Dedicavo il mio tempo ai libri e ai progetti futuri. Ore e ore di dedizione alla cultura, ai bei voti e all’essere sempre brillante e preparata. Non avevo molti altri pensieri che i libri, gli esami e i semestri che trascorrevano. Vedevo le mie amiche e i miei amici, uscivo, quello si, ma in definitiva ero abbastanza concentrata verso i miei obbiettivi. Niente alcool, niente canne e niente notti insonni a quei tempi. Avevo una vita programmata, statica, e prospettata verso “il mio radioso e brillante futuro”. Ahahahahaha si...
Oggi del futuro non mi frega più niente, nemmeno ci penso, e a malapena penso al programma per il giorno dopo. Non pianifico più niente, vivo quel che viene come se fossi una homeless sotto un ponte che vive alla giornata. Prima mi sforzavo di essere social, ora sono a-social, con tendenza all’anti-social. Prima facevo i miei begli acquisti di vestiti e vestitini, ossessionata da un determinato canone estetico, ci tenevo un sacco. Adesso esco con la prima felpa, senza un filo di fondotinta, con i capelli a stento pettinati, e via.
Quando ripenso a come ero, e a quanta fiducia e passione riponevo in me stessa, penso quasi ad un altra persona, lontana dalla attuale me. Prima pensavo ai giorni in cui i miei sogni avrebbero preso vita, ora penso al giorno in cui avrò una piccola minima soddisfazione. Prima pensavo a quanto sarebbero stati emozionanti i giorni dell’età adulta, adesso penso che è tutta una truffa questa adulthood. Prima pensavo a quando avrei avuto un uomo intelligente, brillante e innamorato di me al mio fianco, ora penso solo che sono quasi 8 mesi che non scopo e cazzo, non si può vivere così. Prima pensavo che sarei stata sempre eterea, candida e romantica, adesso le romanticherie mi fanno vomitare e l’unica persona che io abbia mai amato è stata quella che ha tirato fuori da me i miei più bassi istinti animali, senza tante chiacchiere e senza tanti fronzoli. Prima mi piacevano i timidi e mi vedevo in queste fantasie da amici e amori della porta accanto, adesso veramente non capisco come si faccia anche solo a considerare queste cazzate. Prima pensavo che avrei avuto una bella casetta non lontano dal centro città, dove organizzare cene con gli amici e movie nights, adesso voglio solo 17 gatti, due cani e una casa nel bosco, con le pareti di legno e gli alberi da frutta, e qualcuno con cui dormire abbracciata.
Non so come sia possibile passare dall’essere una persona con sogni e prospettive, ad essere uno strano animale, stanco, disinteressato e disadattato, che prega solo di trovare chi la porti a vivere nel nulla, lontano da tutto questo insensato agglomerato di cose e persone che chiamiamo società.
Non ero così e non sono mai stata così tanto disinteressata alla vita e al futuro come lo sono oggi. Ero un insieme di mondi e di sogni e di prospettive, e adesso sono un insieme di amarezze, delusioni e di noia verso tutti. Non ci credo più in me stessa, e forse alla fine dei giochi è molto meglio così. Non mi aspetto più niente da me.
E non so se vivere così è solo triste o anche liberatorio in definitiva. Sicuramente molto meno impegnativo, perché poche cose mi deludono, rispetto alla vita di prima.
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“Sono dominato da donne che non ho mai visto e che attendo – fantasmi”. Le lettere di Robert Musil ad Anna
Raccolte e pubblicate per la prima volta in edizione critica nel 1981 (R. Musil, Briefe, a cura di Adolf Frisé, Rowohlt Verlag Hamburg), gli abbozzi e le lettere dell’austriaco Robert Musil sono state a lungo ignorate dalla critica e dalla germanistica italiana, già severamente messe alla prova dalla scrittura narrativa e saggistica musiliane.
È vero che le lettere compiute ed effettivamente spedite, soprattutto quelle più tarde, legate così drammaticamente all’esperienza degli anni d’esilio, come pure le più datate ad amici, a familiari e a collaboratori di rivista, nell’insieme rivelano uno scarso valore letterario, evidenziando cosi come Musil preferisse affidare le proprie riflessioni e i propri esperimenti piuttosto ai plurimi quaderni dei diari (vedi R. Musil, Diari (1899-1941), traduzione di Enrico De Angelis, Einaudi 1997, pp. 1659). È altrettanto vero però che esiste un gruppo di lettere spedite e abbozzi la cui affinità con una certa sua scrittura diaristica le rende meritevoli di essere lette e godute come veri e propri esperimenti letterari. Sono quelle risalenti al cosiddetto Törless-Zeit, il periodo cioè che va dal 1900, quando il ventenne Robert si cimentava in particolare nelle prose liriche da lui chiamate Parafrasi, al 1905, anno in cui terminò la scrittura del primo romanzo, I turbamenti del giovane Törless (edito nel 1906), ed oltre, fino al 1907, quando morì Herma Dietz, l’ultima protagonista della vita sentimentale di Musil prima della sua unione definitiva con Martha Heimann.
Notevoli per il carattere sperimentale ad esse attribuito dallo stesso autore, queste lettere e questi abbozzi sono gli unici a possedere una scrittura che è sì tentativo di descrizione della condizione e della sensibilità musilane, ma anche ricerca stilistica propriamente detta. Destinatari sono personaggi femminili i cui nomi in almeno tre casi (Anna, Liesl e Valerie) non sono determinabili nella loro identità.
A fronte di segreti cosi gelosamente preservati da Musil anche nei Diari, dove pure i tre nomi compaiono, è lecito pensare che quelle donne non siano mai esistite e che i loro nomi, le loro figure siano piuttosto riconducibili a quella dimensione d’«irrealtà al femminile» che cosi marcatamente ha caratterizzato la vita e l’opera dell’austriaco in gioventù: “Sono dominato da donne che non ho mai visto e che attendo – prese realmente, forse fantasmi e ridicolaggini. Ma forse profondamente legate alla mia migliore essenza (artistica)”. Così nella Lettera (2) ad Anna.
La scelta di presentare gli otto abbozzi di lettera indirizzati ad Anna, tutti risalenti al 1907 e inseriti in R. Musil Saggi e lettere (a cura di Bianca Cetti Marinoni, Einaudi 1995; ora non più disponibile), è dettata dalla presenza in essi di un’omogeneità tale da renderli un’unità determinata dall’evolversi a spirale della scrittura, in un percorso che va da una struttura frammentaria scarsamente elaborata, ad una più complessa, stilisticamente caratterizzata da ripetizioni e ritorni sintattici.
Allora ancora inediti in italiano, questi abbozzi li ho tradotti e pubblicati una prima volta, per gentile concessione dell’editore Rowohlt, sulla rivista diretta da Luciano Anceschi “Il Verri”, n. 3-4 nuova serie, settembre-ottobre 1987, Mucchi Editore, pp. 5-16.
Vito Punzi
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Lettere a Anna
Ad Anna (1)
9 aprile 1907, Berlino
Cara Anna
Brünn: vivo ora qui così pigramente, così pigramente… Passeggiate su terreni incolti che si alzano e si abbassano con linee tranquille, e più lontano il cielo – questo è tutto. Leggo. Ma non troppo. E vivo propriamente come un uomo che si è già ritirato a vita privata.
Colui che non vuole rinunciare interamente al nuovo che accade all’esterno e che però da questo non si lascia assediare.
Come se qui non esistesse la ferrovia, ma solo la posta… Poiché i libri che leggo per la maggior parte hanno mosso già da tempo gli animi e non sono in genere nella condizione di muovere violentemente il mio… (Sabato Santo)
Brünn: sono triste, Anna. Il mio amico venne a farmi visita da Vienna, il mio amico innamorato e promesso. Ed anche la tua lettera arrivò.
Percorremmo sentieri lontani nel boscoso paesaggio collinare e sostammo al pallido sole di marzo, là dove lo sguardo si getta lontano sulla pianura.
Fui liberato per giorni dalle preoccupazioni del lavoro, che altrimenti esigono la mia riflessione, e potei raccogliermi in me stesso.
Ti sono di peso; la tua ultima lettera me lo lascia leggere tra le righe. Ti sottraggo la gioia e so facendo questo stupendo equilibrio armonico e questa sicurezza che tanto amo in te. Non ho alcun dubbio che te la sottraggo.
Sento precisamente ciò che vuoi da me e ciò che in me eviti. Hai bisogno di un animo che ti avvolga interamente in forti e teneri sentimenti. Se tu sapessi quanto questo alle volte sia vivo in me; così, come se io fossi te. E invece ti appaio pedante come un saccente…
Berlino: questo accadde una settimana fa. Entrambe le volte vedevo troppo poco chiaro per continuare queste lettere e nel frattempo arrivò la tua cara. Ma le compongo ora perché tu veda che a te pensai, sebbene non scrissi e poiché sento che questi pensieri devono pur essere portati a compimento tra di noi.
Mi ritrovai, come sai, con il mio amico, quell’amico di gioventù del quale ti raccontai, e lui ed io eravamo un tempo fratelli gemelli spirituali. Oggi questo è qualcosa di diverso.
Ad Anna (2)
Mentre lui ti ispira scrupoli intorno a ciò che tu sino ad oggi hai fatto senza esitazione e a tuo profitto? Vorrei vederti più che mai in un castello, circondata da una servitù nata serva della gleba.
Che razza di idee…
Sono triste, Anna. Il mio amico venne a farmi visita a Vienna, il mio amico innamorato e promesso. Ed anche la tua lettera arrivò.
Percorremmo sentieri lontani nel boscoso paesaggio collinare, e sostammo al pallido sole di marzo, lì dove lo sguardo si getta lontano sulla pianura. Sono stato liberato per giorni dal peso del lavoro, che pretende la mia testa, e potei raccogliermi in me stesso.
Non mi ritengo un uomo da compatire, ma neppure un uomo felice. Non desidero barattare con alcuno, ma non sono felice. Non possiedo alcun talento per essere felice, come si dice…
E ti sono di peso. La tua lettera me lo dice tra le righe. Ti sottraggo la gioia e la tranquillità, e questo stupendo equilibrio armonico che tanto amo in te. Non ho alcun dubbio che te le sottraggo.
Sento precisamente ciò che vuoi da me e ciò che in me eviti. Ci sono momenti nei quali non posso fare a meno di te. – Quando ti vedo di fronte a me – in abito bianco con i tuoi capelli neri, quando ti aspettavo, oppure quando ti trovi chissà dove, ora, nell’abitazione dei miei genitori. È sera quando sono solo �� noi due sempre come coloro che rimangono insieme quando gli altri se ne sono andati. –
Vedo le tue gambe in un abito tirato – quanto le amo, quelle gambe che non ho mai visto – tu puoi appena crederlo. Capitano di questi momenti, e vorrei sposarti, con intenzione chiara, e vorrei esserti fedele, fin dove mi conosco nonostante tutto – e darei tutto ciò di cui tu ed io ora siamo privi – arrivano però momenti in cui tu retrocedi – tu come sei – di fronte a sogni ed immagini che forse non si realizzeranno mai. Sono dominato da donne che non ho mai visto e che attendo – prese realmente, forse fantasmi e ridicolaggini. Ma forse profondamente legate alla mia migliore essenza (artistica). Sono questi poi i momenti nei quali vorrei fare di te tutto.
E poi hai di nuovo ragione con il tuo prendermi come sono. Potessi dunque ora sposarti, sarebbe bene – in questo momento però i due stati si sostituiranno sempre l’un l’altro con imprevedibilità.
Ho trovato infine l’energia per fare in me chiarezza in proposito. E non sopporto di tacertelo. Devi sapere come essere in questo.
Mi conosci ora così bene che non hai bisogno di dubitare del mio amore. Io ti sarò sempre fedele.
Ad Anna (3)
Cara Anna. Ti ringrazio per la tua lettera. Non perché mi vuoi sapere libero, non ho atteso che questo da te, ti ringrazio per la tua posizione – essa è sincera
Possiederai già la mia seconda lettera, giudicherai già molto diversamente – lascia però che dica ancora qualche parola, e spero non siano le ultime che mi permetti.
Tu stessa dici che lo scrivere, l’arte è la mia vita. Hai ragione; è – non voglio dire la mia vita vera e propria – certo ciò che si nutre di altro e prende forma attraverso le sue richieste. Poi però le azioni reali – che si compiono veramente o si omettono – non vanno giudicate come fanno gli altri uomini, i quali sono realmente tanto buoni o cattivi, tanto ricchi o poveri come si mostrano nella vita. E se un sentimento fiorisce esitante e pallido invece che ardente, non si può dire che il fusto che lo regge sia povero e debole. È altro Anna, solo altro. E le leggi con cui si giudica secondo forza e debolezza in questo caso non valgono. Ma proprio per questo, e perché si sta di fronte a un nuovo sentimento come fosse un miracolo di cui non si conosce via d’uscita, si deve essere sinceri e dire: è così, ti fidi? Devi ritirare ogni tua promessa e ad ogni momento lasciare solo la dolcezza che ha in sé, come se la catena alla quale è legato, ad ogni istante che segue potesse spezzarsi –
Dico questo perché parleresti di indifference e certo, come tu affermi, l’indifference è la cosa più miserabile. Amicizia non è certo il nome per indifference; è il nome per una nuova via (e nuova non solo per noi). Si potrebbe dire ugualmente bene: amore libero, poiché investe il senso più significativo di quella parola.
È la differenza che c’è tra due uomini che vivono insieme e due altri ognuno possessore di una propria casa e reciproci frequentatori. Certo vi saranno uomini per i quali la seconda soluzione significa la fine, altri per i quali questa rappresenta l’unica forma possibile – l’una è bella l’altra diversa. Ma osserva attentamente che anche l’altra è bella e che essa possiede libertà insostituibili. Non si può dire che questi uomini non si amino. Essi si amano, sono ospiti l’uno dell’altro e si donano le ricchezze della propria casa, e tutto ciò è possibile solo perché essi non posseggono semplicemente un’abitazione. Certo lo si chiamerà per una volta amore, poiché con questa parola si pensa ancora oggi quasi esclusivamente qualcosa che comprende l’intera vita come una comune camera da letto, allora preferisco dire amicizia. (Perché ci sono uomini che portano ovunque con sé la propria camera da letto, come fosse un guscio di chiocciola)
Ad Anna (4)
Da una lettera
Ci sono uomini che non hanno mai giocato diversamente con le donne. Ma non si può pensare a limitati uomini d’affari o ad assessori prussiani. Ci sono uomini di valore, giocosi, eternamente fanciulli – agitati come prati al vento – troppo agitati e teneri, cara A, per essere il robusto fusto al quale si possa avviticchiare – nella provata immagine dell’organetto – l’edera della dolce femminilità. Citeresti anche gli animali?
Perché no? Pavoni e nobili fagiani, animali che nella propria suntuosità non possono sentirsi a sufficienza? Sai, in fondo tali uomini amano forse solo se stessi. Chi è povero può praticare facilmente l’ascesi, ma chi sa che ogni volta può risplendere in nuovi colori…? E colui che così ama se stesso, ama in fondo Dio, il mondo, il paesaggio, il sole, l’aria primaverile – tutto l’incomparabilmente splendido e l’infondatamente grande.
…
Ma dimmi, non desideri amare anche questo? Essere un uccello del paradiso? Oppure un soffice prato che ognuno vuole per sé e che poi però solitario appare nel suo maggior splendore?
Metafore, solo metafore Anna. Ma le metafore sono come musica nella sera proveniente da chissà dove, da una qualsiasi casa solitaria nascosta dietro i cespugli e come da sogno al suo interno. Non si sa dove sia e quali sogni nasconda. E non lo si saprà, perché con la sera la musica subito si dissolve.
Così devi accettare anche questo. Si ascolta in noi qualcosa di estraneo e di invitante. Si fa un paio di passi, ci si ferma perché non è possibile raggiungerlo, si dice all’altro: ascolta, un suono. Come può essere, cosa lo produce?… e si pensa quanto sia solitario ed estraneo il mondo, quando improvvisamente un suono si perde, un suono amato per alcuni istanti con tutta l’anima e certo impossibile da comprendere. Ci si prende per mano per riflettere in due. Si parla di ombre. Perché è bello parlare quando ci si tiene per mano.
Non capisci che questo amore, timoroso e per entrambi incalzante, è qualcosa di profondo?…
L’uomo che in fondo ama solo le metafore e per il quale anche l’incesto è una metafora. La donna per la quale ciò deve essere una realtà, un compimento.
*
Ad Anna (5)
Mi scusi cara, se le scrivo simili parole. È forse un abuso della sua fiducia. Ma le parole sono veramente brutte e fuori luogo. Almeno per ciò che in queste notti mi attraversa in forma di pensieri.
Mi lasci dunque ragionare ancora un poco.
Di fronte a una sua parola ho una paura terribile: mi rende orgogliosa il significare qualcosa per un uomo del suo genere – così mi disse all’incirca. Un simile orgoglio ed il rammarico di non poter più dare rende tenero e dolce l’aspetto di una donna. Ciò potrebbe ingannare lei e me. Per questo volevo mostrarle il rischio. È troppo grande per essere preso a cuor leggero. La passione è qualcosa di assolutamente unico nella vita di un uomo. Come lo sono una sventura spietata e la morte di cose uniche. Essa però distorce tutto. È estasiata, estranea, fuori di sé come l’essere posseduti da un Dio. Era per me come le doglie del parto del divino. Essa si cela dietro il discreto sipario di un tempio. Sferza tanto l’uomo che un grido lacera il suo viso e incide sul suo volto linee strane e incomprensibili come il morire e il partorire. Dall’esterno non la si può vedere. Poiché ci si spaventa anche dell’uomo che non si riconosce, si prova forse disgusto perfino di fronte alla sua estasi.
Se lei mi vede dall’esterno come una cosa cara e preziosa cui non si rinuncia volentieri, allora metta da parte questa lettera e mi scriva in poche righe che lei ama la giornata chiara e la freschezza di un’anima serena. Mi vergognerò così d’averle presentato un simile aspetto e proverò con l’amicizia di renderlo buono.
…poiché ci si deve trovare nella stessa camera buia e sentire la stessa oscurità formarsi nella sua anima, e dell’altro non provare che la calda ombra e un bagliore nei suoi occhi. E questo pensiero va compreso per intero, veramente per intero: un uomo è un animale che talvolta può sognare un’anima…
Pensi alla vita quotidiana. Quanto sono stupide le cose con cui ci battiamo e quanto orribili spesso i nostri gesti e le faccende che la vita ci impone. Trascorra così una giornata qualunque. Dalla mattina alla sera. Quanti giorni consistono di null’altro che di questa mostruosità; e poi la chiamiamo indifferente, necessaria e così via. Solo alcuni momenti – lei li conosce attraverso l’arte – sono diversi. Ma me? È bello abbandonarsi ad un suono con la bocca spalancata? Oppure era bello il tremore delle mie labbra quando le declamai Rilke? Certo no. Ma qualcosa scaturì dall’interno e ci toccò. Qualcosa? No, nulla. Non deve essere scoperto. È… nulla… una luce che improvvisamente tutto trasforma e da nessun luogo giunge un sogno… un sogno di un’anima.
Questo si deve sapere. Poi ci si piega alla mostruosità del turbine, perché si sa, l’animale sogna, il misero animale sogna mirabilmente, in lui sogna il Dio, l’uomo, e divenne orribile, perché l’amore è molto più profondo quando si erge sull’abisso. Ma certo bisogna averlo sperimentato. Oppure si può pensare che l’animale per un attimo generi un’anima.
Si interroghi. Non sull’amore – su di un nome, piuttosto si chieda se può tollerarlo. Si interroghi se è in grado di sopportare in una simile solitudine la mia compagnia. I nostri giorni sono contati, come le giornate autunnali. Ciò che è tra di noi non ha nome, ma non è il problema di che cosa sia, piuttosto di che cosa ne facciamo. Chi vive la primavera e ha di fronte l’estate può affrontare la sfida. Noi dobbiamo portare a fioritura un tardo, tenero fiore ancor prima dell’inverno. Per quest’unica volta, in questioni morali sia ragionevole.
*
Ad Anna (6)
Mi è intollerabile a letto
Oggi ho trascorso la notte insonne, steso sul sofà, col fumare di sigarette, di fronte alla porta aperta del balcone, d’un giallo color vino l’intermediario sentimentale: la luna. Non ho acceso lume per tutta la notte. Ho gustato un sentimento lontano, lontano distante quasi quanto gli anni dell’infanzia. Lo conosce? In una notte siffatta tutti i fili che ci legano agli uomini della vita giornaliera sono Spezzati. In una notte siffatta i mobili si spostano per la stanza e qua e là spunta la loro ombra da ogni angolo e da ogni dove ci chiamano con suono leggero. In una notte siffatta l’immagine non resiste allo specchio. Come un’ombra grigia si muove sul vetro nero velluto, cresce, di nuovo si ritira, sembra essere la nostra immagine e poi ancora solo una nebbia inquietante nello spazio sinistro.
… sogno, avvenuto in noi un tempo.
In una simile notte siamo diversi. E tuttavia noi stessi… Come un sogno più volte avuto…
Non posso volere. Non posso dire: vieni, vogliamo imboccare una strada insieme e sempre. La volontà possiede un futuro, un fermo sì e no tra gli uomini. Io non posso. Possiedo solo l’istante. Vivo solo nella notte. Nelle ombre delicate che ora sembrano essere la nostra immagine, ora qualcosa di completamente diverso, e certo noi stessi siamo troppo profondi… Così non comprendo l’istante.
Mi si definisce uno psicologo. Non lo sono. Vengo attratto solo da cose certe e rare. Indovino in altri e in me processi che sfuggono agli uomini, ma non so come io and lei nell’insieme, umanamente, di giorno… appariamo. Conosco quasi esclusivamente le immagini sul vetro nero, che si rimirano ora simili ora così estranee, nuove, diverse, che ci stupiamo di essere così.
Mi capisca bene: non parlo di me come di colui che lei incontrò qua e là, piuttosto di me come sono negli istanti più rari e veri, tra i quali spesso corrono anni, e so come voglio essere per lei.
Di più posso appena dirle che non trovo sonno ed amo ciò, passando la notte con ombre e pensieri, scosso come acqua percorsa dal turbine…E sono felice. Certo appassionatamente felice.
Non vogliamo dare alcun nome a questa passione; lei non lo desidera. Essa non ne ha bisogno. Ogni nome inoltre risulta precario ed inopportuno. E quando una tempesta è tanto violenta non si domanda se essa viene da nord o da est. Essa giunge urtando. E sferza i pensieri innanzi a sé, così tanto, così violenta, così estranea, che quelli non si lasciano afferrare. E lacera divise nell’anima, cosa che si osserva quando non si è ancora mai raggiunto il fondo di se stessi…Ed è di nuovo silenzio. (Forse dormo alcuni minuti) Mi stanco. Non ricordo più nulla. Ed è come se tenessi la sua mano e la potessi accarezzare ed intorpidire. Ed è come se potessi posare i suoi capelli sul mio viso…
Robert Musil
L'articolo “Sono dominato da donne che non ho mai visto e che attendo – fantasmi”. Le lettere di Robert Musil ad Anna proviene da Pangea.
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Bambola V.M.18
Mi guardo allo specchio rifinendo il trucco e aggiustandomi i capelli rosso fuoco, oggi ho deciso di lasciarli al naturale, ondulati che si poggiano sul mio viso truccato accuratamente. Sono vanitoso, mi compiaccio della mia bellezza ma, tutto questo mio bisogno di apparire sempre al meglio è diretto a un solo scopo. Quello di farmi notare dal mio capo. Ogni gesto, ogni parola emessa dal mio signore vale più di qualsiasi cosa. Io vivo per lui, per servirlo sotto ogni aspetto, dopotutto ci sono molte maniere per farlo. Dico maliziosamente mentre aggiusto il rossetto. Esco dalla mia camera e mi dirigo verso la sala principale, dove si trova il trono degno per il re dell’inferno, mi metto in piedi li accanto aspettando il suo arrivo. La sala si illumina ai miei occhi quando lo vedo entrare, mi inchino mentre nella mia testa mi ripeto quanto è bello. Lui si siede senza degnarmi di uno sguardo, un brivido percorre la mia schiena, è difficile rimanere composti ma devo farlo. Vedo passare in rassegna alcuni dei più terribili demoni e la cosa che mi fa sfuggire una risatina è che tremano come foglie davanti a lui. A ogni domanda sussultano, è una scena divertente ma non posso ridere, metto su la mia miglior faccia d’indifferenza ma dentro di me rido a crepapelle. Vedo che li manda via mentre sbuffa, ha resistito più del solito oggi. Con la mano mi fa cenno di avvicinarmi a lui, eseguo subito l’ordine. Mi indica d'inginocchiarmi davanti a lui e io lo faccio senza fare domande <<”Fa sparire la noia che mi attanaglia.”>> Vedo che si sgancia i pantaloni facendo uscire il suo sesso, io mi avvicino voglioso come non mai. Con uno schiocco di dita chiude la porta alle mie spalle mentre comincio a deliziarmi del suo frutto proibito, muovo la mia bocca su di esso succhiando e leccando avidamente ogni singolo centimetro. La mia erezione cresce ogni secondo si più ma se avesse voluto fottermi mi avrebbe dato un altro ordine. Lo sento fino in gola, beh non ho mai detto che è piccolo. Mi sento tirare i capelli e mi muovo più velocemente facendolo venire, ormai so cosa vuole anche nel dopo, inghiotto e lo ripulisco soddisfatto del mio operato. Con ancora la presa salda su i miei capelli mi dice <<”Posso sempre contare su di te mia bambola.”>> Finita la frase toglie la presa e mi fa alzare <<”Adesso va, ti chiamerò se avrò nuovamente bisogno di te.”>> Mi inchino nuovamente dopo essermi alzato <<” Come desidera mio re.”>> Esco e me ne torno in camera spogliandomi completamente dopo aver chiuso a chiave. Mi stendo sul letto e afferro la mia erezione che reclama attenzione pulsando, muovo la mia mano mentre la mia testa mi fa rivivere quello che è accaduto pochi secondi fa. Aumento la velocità e insieme a essa i miei gemiti. Dopo pochi attimi mi svuoto sulla mia mano, ho il fiato corto e sento le scariche su tutto il mio corpo. Arriverà il momento in cui mi noterà in maniera diversa ma amo essere una bambola nelle sue mani.
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A Madrid
Prima volta a Madrid, io e la mia compagna ci siamo prese qualche giorno di ferie dal lavoro, ci voleva una pausa e poi Maria mi parla sempre di quanti bei ragazzi si incontrano a Madrid!
Siamo insieme da un po’ io e Maria, siamo tutte e due bisessuali e ci piace fare sesso insieme, ma ogni tanto sentiamo il bisogno di essere prese da un maschio…
Entriamo in albergo dopo una serata in un ristorante in centro, Maria non ha fatto altro che stuzzicarmi sotto la gonna per tutta la serata e tra quello e qualche bicchiere di vino, mi sento molto eccitata, avrei voglia di andare in camera e farmi Maria in tutti i modi possibili, ma lei invece su ferma nella hall e si guarda intorno.
Mi indica un bel ragazzo moro seduto in disparte, è attraente, alto e con i capelli ricci, Maria sa quanto mi piacciono i ricci, sopratutto quelli che crescono tra le sue cosce, neri e morbidissimi, mi guarda e mi dìce: “Ana, cosa ne pensi di lui? È solo e sembra davvero un bel ragazzo”, io lo guardo meglio, in effetti è davvero carino e, seduto a gambe larghe, sembra essere ben dotato.
Ci avviciniamo e Maria attacca discorso, è italiano e non parla una parola di basco! Meglio così posso commentare senza che mi capisca!
Ridiamo e ci scambiamo qualche battuta, Maria traduce per me, non è che non sappia l’italiano ma preferisco lui non lo capisca… ci offre del vino, altro vino!!
Comincio a sentirne gli effetti… dico a Maria in basco che nei pantaloni deve avere davvero un bel attrezzo, lei ride e traduce tutt’altro!
Terzo giro di vino, ci siamo spostati nel salone dove un gruppo sta suonando dal vivo e c’è molta gente, simo molto vicini e Maria gli carezza una coscia, mi guarda e, sempre in basco, mi dice “avanti Ana, prova a vedere se ha davvero tutto quel cazzo che pensi”. Esito un attimo e poi gli appoggio una mano proprio sul pacco, sento il membro semi duro attraverso la stoffa e lo carezzo per capire quanto è grosso, lui mi guarda, mi sorride e mi offre altro vino, io stringo un poco la mano intorno alla forma del suo pene e dico a Maria ” si è grosso e comincio ad avere voglia di sentirlo in bocca”, Maria ride e con una scusa si allontana.
Ci mettiamo a ballare, lui è bravino e ad un certo punto me lo ritrovo alle spalle, mi abbraccia e sento il suo sesso spingermi sul sedere, mi bacia il collo e io sento le mutandine inumidirsi sotto la gonna…. ho voglia di lui, in qualche modo mi fa capire che vuole salire in camera, fingo di non essere molto d’accordo, lui insiste e ci dirigiamo verso gli ascensori.
In ascensore prendo la bottiglietta d’acqua che tengo in borsa, devo togliermi dalla bocca il sapore del fiore di Maria visto che al ristorante lo abbiamo fatto chiuse nel bagno, non voglio che mi baci e senta il suo sapore mescolato al vino… lui non immagina cosa stia facendo, lo guardo con aria maliziosa, chissà a cosa sta pensando…
Appena entriamo mi butto su di lui, braccia al collo e mi avvinghio con le gambe al suo corpo, come una ragazzina, ma voglio vedere quanto è ancora sobrio, se mi fa cadere significa che è troppo ubriaco per i miei gusti…. lui invece mi tiene su, mi bacia sulla bocca e mette le mani sulle cosce, si accorge che ho le autoreggenti e sale con le mani sulla mia pelle, mi fa venire i brividi, è bravo a baciare e mi sto eccitando sempre di più.
Mi mette giù e con abili movimenti mi fa scendere le calze, si piega per togliermele e io rimango solo con la gonna corta e gli slip, mi abbraccia e mi bacia sulle labbra, con la lingua ne segue la forma, le apro leggermente, vorrei mi mettesse la lingua in bocca ma lui non lo fa aumentando la mia eccitazione, intanto si mette a giocare con l’elastico delle mie mutande, cazzo voglio che mi tocchi, voglio sentire le sue dita sul clitoride che mi sta scoppiando di voglia, mi bacia ancora e finalmente mi mette la lingua in bocca, vorrei quasi morderla, mi ha fatto penare e mi scappa un mugolio.
Lui si inginocchia davanti a me, ho voglia di farmela leccare, ho il sesso in fiamme dalla voglia, ma lui si limita a baciarmela attraverso lo slip! Mi sta facendo impazzire, sono bagnatissima e se continua comincerò a gocciolare lungo le cosce!
Mi bacia in bocca e poi torna giù, finalmente mi scosta gli slip e mi fa sentire la lingua sulle labbra, mi lecca e poi infila due dita dentro di me, vorrei urlare, mi tremano le gambe, finalmente mi sta scopando.
Toglie le dita, le lecca e le fa leccare anche a me, adoro il mio sapore, ancora di più sentirlo sulle sue dita… mi spoglio al volo e gli slaccio i pantaloni, lui fa il resto e finalmente mi mostra il suo cazzo, è tutta la sera che voglio vederlo, è grosso come mi immaginavo, con una bella cappella lucida, non vedo l’ora di averlo in bocca, mi butta sul letto e mi sale sopra, lo sento sfregare tra le mie labbra, mi punta il clitoride e mi sembra di impazzire, se lo lascia li vengo subito! Fortuna lo porta più in alto, me lo mette tra le tette, cazzo vorrei avere le tette di Maria in questo momento e non la misera seconda che ho, vorrei schiacciarle intorno al suo bastone e segarlo con le tette fino a farlo venire sulla mia faccia… invece scende di nuovo, me lo punta dentro, infila la cappella, no non subito, non è quello che voglio! Fa per mettersi un preservativo ma io lo fermo, prima lo voglio in bocca!
Mi metto a carponi, lui si infila sotto, finalmente ho il suo cazzo a portata di bocca, non voglio che mi lecchi, mi farebbe venire troppo in fretta tanto sono eccitata, gli faccio capire di non farlo e intanto gli sfilo il preservativo, prendo con la lingua la goccia che gli esce dalla punta e la assaggio, ha un buon sapore per fortuna, a volte non riesco neanche a fingere che mi piaccia!
Gli stuzzico la cappella con la lingua e poi lo prendo tutto in bocca, mi riempie tantissimo ma io sono piuttosto brava a fare pompini, anche Maria dice sempre che le pompe devo farle solo io.
Gli stringo le palle con una mano mentre mi infilo tutta l’asta in gola, lui riprende a masturbarmi con le dita, avvolgo la lingua intorno al glande e succhio, lui spinge le dita in fondo e le muove veloce, non resisterò molto così, sento l’orgasmo salire potente, cerco di non venire concentrandomi sul suo cazzo nella bocca ma è peggio… mi tocca il clitoride con il pollice, non resisto, vengo nella sua mano ma mentre vengo lo succhio e gli stringo la base del cazzo, sento la sua cappella gonfiarsi in bocca, stringo ancora un pochino e mi inonda la gola con il suo sperma, ne bevo due sborsare poi mi stacco e lo masturbo per farlo finire, uno schizzo ancora sul viso e poi mi cola il suo seme sulla mano.
Mi sento imbarazzata con il viso sporco, ma lui ride, mi sdraio accanto a lui e rido anche io.
Si alza e si dirige in bagno, anche io ho voglia di pulirmi e lo seguo, cavoli in bagno c’è una jacuzi! Lui apre il rubinetto e facciamo il bagno insieme, adoro fare il bagno in due, mi piace giocare nella vasca e poi… ho ancora voglia di lui, usciamo dalla vasca, ne approfitto per asciugarlo e assicurarmi che gli diventi nuovamente duro, lo massaggio con le mani, mi struscio sulla sua schiena, lo bacio sul collo e in breve è di nuovo in tiro
Torno verso il letto ondeggiando il sedere, so che mi seguirà, il mio culo non lascia gli uomini impassibili! Lui si è messo un altro preservativo e si sdraia sul letto, finalmente posso cavalcarlo, mi sistemo sopra di lui e con una mano lo guido dentro… mi abbasso piano e lo faccio entrare tutto, mi riempie alla perfezione, lo sento spingere, mi prende per i fianchi e da il ritmo ai nostri movimenti, averlo dentro è una sensazione che mi ero quasi dimenticata, mi abbasso su di lui e lo bacio mentre continua a spingermi dentro cambiando il ritmo, cazzo se è bravo, mi sta portando all’orgasmo troppo in fretta, scendo da sopra e lo riprendo in bocca, con il preservativo non è un granché, sento solo il sapore dei miei succhi ma almeno mi calmo un attimo
Quando smetto di succhiarlo lui si alza, mi fa capire che vuole mi giri, mi metto a carponi e gli offro il sedere, lui ricomincia a leccarmela con foga bagnandomi anche il buchino, mi sta facendo impazzire, sento che sto gocciolando, lo voglio dentro, ma lui sta giocando a farmi impazzire, lo punta, me lo spinge appena e lo toglie e riprende a leccarmi, cazzo lo voglio, lo voglio anche nel culo! Alzo di più il sedere e spero capisca, invece continua a giocare e a farmi sbavare di voglia, non resisterò molto, mi metto una mano sul clitoride e comincio a masturbarmi, lui capisce, si mette dietro e mi punta proprio sul buchino… “si si si sfondamelo” ma invece me lo spinge nella figa con forza e tutto di colpo, lo sento tutto dentro e mi sfugge un gemito a metà tra il godimento di sentirlo dentro e la delusione di non averlo in culo…
Mi prende per i fianchi e comincia a pompare sempre più veloce, lo sento crescere sempre di più dentro la figa e sento che sto per venire anche io
Con un urlo viene dentro di me e, aiutata da un ditino birichino sul clitoride, vengo anche io.
Ci sdraiamo vicini, lui mi abbraccia e si addormenta, io non riesco a dormire, penso alla fantastica scopata e alla mancata inculata, penso a lui al mio fianco e che Maria aveva ragione, a Madrid ci sono un sacco di bei ragazzi!
Mattina, mi sveglio prima di lui, e mi sistemo, doccia veloce e mi rivesto, sento che mi chiama, vado, lo bacio, mi dice che ci rivedremo, e torno da Maria
So che si farà raccontare tutto tra un bacio e l’altro e so che si prenderà quello che lui non ha preso… spero solo Maria si sia ricordata lo strapon….
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Sei felice
Stasera vi voglio raccontare una storia. E’ da un po’ che non scrivo cose lunghe su questo blog, ma forse ciò di cui voglio parlarvi necessita di essere narrato.
Quando ero più piccolo, fino agli 11-12 anni, io e la mia famiglia eravamo soliti andare in vacanza allo stesso posto, in una città sulle coste della Puglia. Ho bellissimi ricordi delle mie estati pugliesi: forse perché quei periodi furono davvero belli, o forse perché i ricordi sono sempre più dolci quando diventano ricordi.
Nel corso degli anni avevamo creato una piccola comitiva, io ed altri ragazzi. Lorenzo, Giacomo, Barbara, Teresa e... Laura. Laura, una bimba bellissima dai boccoli d’oro, un raggio di sole che illuminava anche le rare giornate nuvolose.
Come faccio a spiegare quello che ci fu fra me e Laura? Forse nulla, forse tutto. Quando sei così piccolo non riesci davvero a capire come gestire i tuoi sentimenti. Posso dirvi che Laura mi faceva vibrare il cuore, mi faceva arrossire e annullava ogni mia certezza. Sì, io a 8 anni sentivo tutto questo, ogni volta. E nel corso degli anni, avvicinandomi ad altri tipi di sentimenti, non ho comunque mai sminuito le sensazioni che quella bella bimba mi ha fatto provare, né ho intenzione di farlo mai. Cotta, attrazione, amore? Non lo so, non lo so proprio. So solo che per Laura impazzivo.
E che per Laura impazzivo lo sapevano tutti, inclusi i suoi genitori. Se sapessero che ero io, quello che ogni mattina arrivava prima di tutti in spiaggia per lasciarle un fiore sul lettino, a dire il vero non l’ho mai scoperto. Se sapessero che quella collana con i sassolini a forma di cuore, quella che la loro figlia fu così contenta di trovare e che indossava come se fosse la cosa più preziosa al mondo, in realtà l’avevo preparata io rimanendo sveglio fino alle 3 la notte precedente, a dire il vero non ne ho idea.
L’ultima volta che ho visto Laura avevamo 9 anni. Un’altra estate stava finendo. Io, lei, Giacomo e Barbara ci stavamo salutando. Mi stringeva sempre più forte rispetto agli altri, Laura. Lasciava che m’inebriassi del suo profumo e mi copriva, involontariamente, gli occhi con i suoi bellissimi capelli. A 9 anni cominciavo a pensare che forse, un giorno, fra me e questa ragazza sarebbe successo qualcosa. Forse avrei dato a lei il mio primo bacio, forse ci saremmo sposati. In fondo, avevamo o no tutte le estati della nostra vita da passare insieme?
L’anno successivo, Laura e la sua famiglia non occupavano più il solito ombrellone. Non pensai subito che non l’avrei più rivista. All’inizio pensai che, forse, suo padre non fosse riuscito ad ottenere le ferie nel periodo di sempre (lavorava ai piani alti di una grossa azienda import-export), e al massimo ci avrebbero raggiunti qualche giorno più in là.
Il finale sembra già scritto, no? Chissà perché, chissà come, Laura non è mai più tornata a trascorrere le vacanze in Puglia. Io e la mia famiglia invece sì: siamo rimasti lì per qualche altro anno, poi abbiamo cominciato ad esplorare altre zone. E così gli altri ragazzi della compagnia, con cui però siamo rimasti in contatto.
Io e la mia famiglia abbiamo tentato più volte di ritrovare i nostri compagni di ombrellone. In fondo, anche i miei genitori avevano legato molto con i suoi. Abbiamo scoperto poi, tramite amici in comune, che l’inverno precedente erano stati costretti a trasferirsi all’estremo Nord, a causa del lavoro del padre. Ecco perché il numero di telefono che ci avevano dato risultava inattivo da parecchi mesi: la loro casa non era più quella che conoscevamo.
Io l’avevo capito subito, che fra me e Laura non sarebbe mai più successo nulla. Il mio istinto me lo diceva, che non l’avrei più rivista. Che non sarebbe stata lei il mio primo bacio. Che non le avrei mai potuto dire che quella collana a forma di cuore gliel’avevo intagliata io.
Ho portato Laura nel cuore per tutta la mia adolescenza, custodendola come uno dei cimeli più preziosi che potessi avere. Ho provato a cercarla su ogni social network possibile, ma non sono mai riuscito a ritrovarla. Non che la cosa mi abbia mai stupito: non era mai stata, lei, una tipa troppo tecnologica. Quando videofonini e smartphone cominciavano a conquistare il mercato, lei mi diceva che odiava la tecnologia, e che ad un SMS avrebbe sempre preferito una lettera scritta a mano.
Ho controllato, pazientemente, la cassetta della posta ogni settimana, per circa due anni, ma Laura una lettera non me l’ha mai spedita. Nessuno ha più saputo nulla di loro, ma abbiamo sempre, con tutto il cuore, sperato che fossero felici dovunque si trovassero.
L’ho sognata, quanto l’ho sognata. L’ho immaginata cresciuta. L’ho immaginata donna, con la voce diversa, magari con un piercing. Quando ho cominciato a fumare, mi sono chiesto se anche lei stesse attraversando la fase ribelle in cui fumi per sentirti più grande, in cui vuoi scappare ma non sai dove andare, non sai da cosa fuggire. Ma io Laura non l’avrei mai più rivista, me lo sentivo. E il mio istinto raramente si sbaglia.
—
Più di dieci anni dopo, è il mio quarto mese da studente fuorisede. Ho cominciato ad abituarmi alla nuova città, alla nuova vita. Vivo da poco in una camera singola nel mio studentato, dopo aver finalmente convinto chi di dovere ad allontanarmi da quel pazzo del mio ex-coinquilino.
Il 19 gennaio sto cercando disperatamente una bilancia: ho l’aereo il giorno successivo, e il bagaglio non può assolutamente superare il peso consentito (nessuno studente fuorisede sarebbe mai felice di pagare un supplemento per la propria valigia).
In portineria, una bilancia non ce l’hanno. Gli altri che conosco, una bilancia non ce l’hanno. E così Abdel, un mio amico iraniano matricola del corso di Medicina e Chirurgia, mi suggerisce di provare a chiedere alla 315.
In ciabatte, con i capelli arruffati e le borse sotto gli occhi, il 19 gennaio busso alla stanza 315, a pochi passi dalla mia. “Ciao”, mi dice la ragazza mentre apre la porta.
Il mio cuore si ferma.
La collana vecchia di 13 anni è lì, sulla scrivania accanto al suo portatile. La scorgo in lontananza.
“Laura… mi presteresti la bilancia?”
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Il tempo serve a tutto, è vero. Eppure io non ho mai smesso di ascoltare attentamente dalla mia camera il rumore delle auto che si fermano sotto casa sperando che sia tu, che finalmente hai capito, che hai conosciuto altre persone, altre cose ma finalmente hai capito che il tuo posto è qui accanto a me. Sono passati 4 anni e non c'è stato un solo giorno in cui io non abbia sentito la tua mancanza. Osservo la tua vita andare avanti e la mia rimanere ferma. Non è passato un mese, nemmeno un anno. Per questo mi sono convinta che forse ci sarai per sempre anche se sei da un'altra parte. Ero innamorata. E continuo tuttora a fare i funerali ai miei sentimenti, soffro tanto. E voglio soffrire in pace. Da sola. Voglio affrontare il lutto dei miei sentimenti in santa pace e senza fretta. Come è possibile che ancora ti penso? Come è possibile che ancora adesso guardo le tue foto e mi sento scomparire? Non ci prendiamo in giro, succede a tutti. C'è chi lo racconta, c'è chi racconta cazzate Ma è successo a tutti e se non è successo significa che non si è mai stati innamorati veramente. Tutti abbiamo una persona che ci ha cambiato, che ci ha ferito, ucciso e sepolto. Prima ti pensavo con dolore, piangevo, battevo i pugni sul letto. Poi, invece, ho provato ad andare avanti nella mia vita e il tuo ricordo è il rifugio in cui mi distendo quando non riesco più a gestire la mia vita fatta di bugie e di confusione. Come si fa con i morti. Solo che tu sei vivo. E io lo sento battere il tuo cuore da qualche parte della città. Lo sento pulsare al centro della terra. Lo sento nelle mie orecchie quando supero un esame e vorrei dirtelo ma non posso. Quando sono triste e vorrei dirtelo ma non posso. Quando sono felice o triste e vorrei dirtelo ma non posso perché sei lontano da me e forse non tornerai mai più. Sono ostinata, ci credo, perché una cosa così forte non si può ignorare ne' paragonare a qualcun'altra. Sono testarda e forse un po' infantile e ho ancora dentro me un briciolo di speranza. Ho capito che ci sarai per sempre. E chissà cosa diresti tu se sapessi che ti parlo ogni sera e ti sento vicino ogni volta che esco, quando mi sveglio e quando mi addormento. Vorrei prenderti la mano, vorrei sentire per l'ultima volta quella sensazione. Vorrei darti l'ultimo bacio. Vorrei uscire con te per l'ultima volta. Vorrei toccarti i capelli per l'ultima volta. E se quel giorno avessi saputo che sarebbe stato l'ultimo insieme sono sicura che ti avrei stretto più forte.
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Piove sulla mia isola ecologica
Piove. Sono passati 553 giorni dall'ultima volta che ci siamo visti. Nei 143 giorni in cui ha piovuto ho sempre pensato,” l'ultima volta che ci siamo incontrati l’acqua continuava a cadere dal cielo”. I ricordi sono sempre li. Il codice numerico per accedere al nostro appartamento per questa settimana e’ 4578. Da lì al primo portico di questa città dall’aria snob ci sono 48 passi, lo spaziotempo necessario perché i tuoi lunghi capelli si bagnino al punto di increspatura perfetto. Ho portato te ed i tuoi ricordi nell'isola ecologica del mio cervello, dove da tempo oramai attendo qualcuno che se li porti via. Ma niente. Restano lì, fissi, incuranti del tempo che passa, del faticoso lavoro di rimozione, di milioni di parole spese a parlare ad orecchie ben allenate. Sono in miei rifiuti speciali, che continuano a rilasciare sostanze tossiche. Ho pagato, e poi bestemmiato e poi pregato, inveito, ma niente, se potessi mi scartavetrerei quella parte di cervello dove ti annidi maligna per poter fare una frittata di neuroni e materia grigia da gustare a pranzo, Non ci sei ma continui ad avvelenarmi. Oggi Indossi il vestito blu con i fiori, corto alle ginocchia e le tue sneakers bianche, quello che per te era il mio vestito. A chi lo regali ora? Giriamo per questa città umida e fredda ma tu sei ancora senza calze, vuoi che ti tocchi, sempre, che senta costantemente la tua pelle, mentre siamo a colazione, pranzo, cena, autobus, taxi, folla, minimarket, di giorno , di notte. Non c’e’ punto del tuo corpo che non abbia imparato a conoscere, a disegnare col palmo delle mani. Siamo uno strano miscuglio di un uomo allampanato e magro ed una ragazza bassa e tonda, una sorta di “Io” egocentrico e strafottente che si muove incurante tra milioni di parole di un libro di grande insuccesso. Siamo la scommessa persa in partenza, quella che vale meno dello sbarco dell’uomo su Marte entro il 2039, siamo un equilibrio che non esiste, il punto di rottura delle regole del buon costume e della comune morale. Siamo qui perchè entrambi funzionali alle nostre disfunzioni, ai nostri traumi, alle nostre ferite, alla nostra sessualità contorta ed incomprensibile agli occhi di coloro che tutto giudicano e poco sentono. Ci teniamo per mano, ci baciamo, ci parliamo, di cose senza senso, perchè il senso del tutto è semplicemente nello stare lì insieme, perdersi in un posto sconosciuto, tra gente sconosciuta, a bere, mangiare, scopare, godere, ridere, guardarsi negli occhi, respirare. Non abbiamo niente da costruire, perchè veniamo dalle macerie e solo li sappiamo vivere. Ogni tanto uno dei due ha provato ad essere edificatore di una cosa qualsiasi ma niente, siamo discendenti di Nerone, io sono la fiamma e tu sei il combustibile con cui bruciare tutto quello che c’e’ intorno e poi stare li a cantare e ballare su quello che resta, tra i segni neri del fumo e l’odore acre che sale, ed invade le narici, ci impregna i vestiti.Tu non guarirai mai, io potrei ma in fondo non voglio farlo davvero, perchè mi sento bene e vivo solo quando l’adrenalina scorre, quando fremo, quando tremo, quando qualcosa mi colpisce e mi scuote e tu sei la frusta perfetta per flagellarmi l’anima, farla sanguinare come nessuno ha fatto mai, l’apoteosi di tutti i miei dolori mai confessati. Mi azzanni il cuore con la stessa forza con cui io mordo la tua pelle, con la differenza che i segni blu che ti lascio sparsi sulla carne spariranno a breve mentre i segni invisibili che mi lasci dentro si accumuleranno insieme a tutti quelli di una vita alzando ulteriormente l’asticella del desiderio, fino a farla diventare una montagna insormontabile.
“ L'autista che ti guida ha una sola mano Ma vede cio che credi invisibile Nel tuo piccolo mondo fra piccole iene Anche il sole sorge solo se conviene “...storie di piccole iene
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