#indagini letterarie
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pier-carlo-universe · 21 days ago
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La ruga del cretino: un’indagine tra mistero e ironia firmata Vitali e Picozzi. Recensione di Alessandria today
Un giallo avvincente che intreccia crimini, personaggi eccentrici e un pizzico di humor inconfondibile.
Un giallo avvincente che intreccia crimini, personaggi eccentrici e un pizzico di humor inconfondibile. Andrea Vitali e Massimo Picozzi, maestri rispettivamente della narrativa e della criminologia, collaborano per dar vita a “La ruga del cretino”, un romanzo che mescola sapientemente mistero, introspezione e ironia. Pubblicato da Garzanti, il libro si distingue per la sua capacità di…
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carmenvicinanza · 8 months ago
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Laura Betti
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«Sono comunque un’attrice ed ho una necessità fisica di perdermi nel profondo degli intricati corridoi dove si inciampa tra le bave depositate da alieni, tele di ragno luminose e mani, mani che ti spingono verso i buchi neri screziati da lampi di colore, infiniti, dove sbattono qua e là le mie pulsioni forse dimenticate da sempre oppure taciute… per poi ritrovare l’odore della superficie e rituffarmi nel sole dei proiettori, nuova, altra».
Laura Betti è stata un’attrice talentuosa, vivace e intensa. La cattiva per antonomasia delle grandi dive del cinema italiano.
Ha recitato in circa settanta film, diretta dai più grandi registi e registe del Novecento come Federico Fellini, Roberto Rossellini, Mario Monicelli, Bernardo Bertolucci, Pier Paolo Pasolini, Gianni Amelio, Francesca Archibugi, i fratelli Taviani, in capolavori come La dolce vita, Teorema, Sbatti il mostro in prima pagina, Nel nome del padre, Il grande cocomero e molti altri ancora.
Tra le interpretazioni più memorabili c’è sicuramente quella in Novecento di Bertolucci (1976) in cui ha interpretato Regina, personaggio dall’aria sinistra, quasi stregonesca, amante del fascista Attila, interpretato da Donald Sutherland.
Sul suo modo di esprimersi con le parole, il linguaggio, la voce roca e impastata, la fisicità, ci sono stati anche diversi studi accademici.
Artista a tutto tondo, ha recitato a teatro, cinema, televisione e lavorato a lungo come doppiatrice.
Soprannominata giaguara per la sua vitalità aggressiva e incontenibile associata a un passo felpato, quello con cui entrava in un film con un ruolo non da protagonista, per poi rubare la scena a tutti gli altri.
Nata col nome di Laura Trombetti a Casalecchio di Reno, Bologna, il 1º maggio 1927, ha esordito come cantante jazz, per poi passare al cabaret con Walter Chiari ne I saltimbachi. 
Nel 1955 ha debuttato in teatro ne Il crogiuolo di Arthur Miller, con la regia di Luchino Visconti, seguito poi da spettacoli storici come il Cid di Corneille, in coppia con Enrico Maria Salerno e I sette peccati capitali di Brecht e Weill.
Il recital Giro a vuoto, del 1960, realizzato in collaborazione dei più grandi talenti letterari dell’epoca che amavano riunirsi nella sua casa romana, a Parigi venne recensito positivamente dal fondatore del movimento del surrealismo, André Breton.
Al cinema ha esordito nel 1956, in Noi siamo le colonne di Luigi Filippo D’Amico. Le prime parti importanti sono state in Labbra rosse di Giuseppe Bennati, Era notte a Roma di Roberto Rossellini, e soprattutto ne La dolce vita di Federico Fellini, dove interpretava una giovane saccente che nella scena finale della festa si vede rovesciare un bicchiere d’acqua in faccia da Marcello Mastroianni.
Fondamentale è stato il sodalizio con Pier Paolo Pasolini, che l’ha diretta in diverse opere teatrali e cinematografiche, tra cui svetta Teorema, che le è valso la Coppa Volpi come miglior attrice al Festival del Cinema di Venezia. 
È stata la sua musa, definita da lui “una tragica Marlene Dietrich, una vera Greta Garbo che si è messa sul volto una maschera inalterabile di pupattola bionda”. Meglio di chiunque, è riuscito a sfruttare la sua capacità di caratterizzare i personaggi con la sua fisicità intensa, il forte segno caratteriale, spesso aspro, e la sua voce dal timbro pastoso.
A partire dagli anni ’70 ha cominciato a interpretare soprattutto ruoli da cattiva, scomodi e sgradevoli che, seppur secondari, restavano impressi nella memoria del pubblico.
Dopo la morte di Pasolini, nel 1975, ha tentato in tutti i modi di fare giustizia all’amico, sporse anche denuncia contro la magistratura per come erano state svolte le indagini sull’omicidio, le cui cause ancora oggi, restano oscure.
Ha continuato a farlo vivere, ricordandolo, scrivendone, dirigendo documentari su di lui.
Con Giovanni Raboni, ha pubblicato, nel 1977 Pasolini cronaca giudiziaria, persecuzione, morte seguito, due anni dopo, dal romanzo Teta Veleta il cui titolo è un riferimento a uno scritto giovanile del grande intellettuale.
Nel 1983 ha ideato e diretto il Fondo Pier Paolo Pasolini che per oltre vent’anni ha avuto la sede a Roma, poi spostato a Bologna, quando, nel 2003, ha creato il Centro Studi Archivio Pier Paolo Pasolini, con oltre mille volumi e altro materiale relativo alle opere dello scrittore e regista.
Nel 2001, con Paolo Costella, ha diretto il documentario Pier Paolo Pasolini e la ragione di un sogno.
È stata anche la protagonista del libro di Emanuele Trevi Qualcosa di scritto, che evidenzia come lei sia stata la vera erede spirituale di Pasolini e incontrarla è come incontrare lo scrittore, perché rimasta plasmata e posseduta dalla sua vivida presenza.
In Francia, paese che l’ha adorata e riverita molto più dell’Italia, nel 1984 è stata nominata Commandeur des Arts et Lettres.
Laura Betti si è spenta a Roma il 31 luglio 2004.
Dopo la sua morte, il fratello, ha donato al Centro Studi Archivio Pier Paolo Pasolini anche tutti i documenti personali della carriera della sorella, raccolti sotto il nome Fondo Laura Betti, inoltre la sua città di origine, Casalecchio di Reno, nel 2015, le ha intitolato il Teatro Comunale.
Del 2011 è il documentario La passione di Laura, diretto da Paolo Petrucci, in cui viene ripercorsa la carriera dell’attrice raccogliendo anche le testimonianze di registi e intellettuali come Bernardo Bertolucci, Francesca Archibugi, Giacomo Marramao e Jack Lang. Il film è stato candidato ai Nastri d’Argento del 2012 tra i migliori documentari.
Laura Betti ha concentrato la sua esistenza nella ricerca della verità. Nell’arte, nella vita, tra la poesia che ha frequentato, nella sua recitazione.
Aveva carisma e fascino, sapeva sperimentare e aveva uno straordinario dinamismo dell’intelletto. 
Ha avuto ruoli fuori dai canoni e per questo è stata difficilmente inquadrabile.
Ha saputo intrecciare linguaggi differenti come il cabaret, la canzone, il teatro, il cinema, la rivista.
Dipinta con tratti alterni, di sicuro ha saputo lasciare la sua impronta decisa e precisa nella storia della cultura italiana.
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diceriadelluntore · 1 year ago
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Juice Sanguinis
Francesco Paolo de Ceglia è stato già protagonista di uno dei miei post bibliofili, qualche anno fa, quando scrisse un libro eccezionale sulla Storia del Miracolo di San Gennaro, che fu una lettura entusiasmante. È con lo stesso spirito di curiosità che ho comprato il suo ultimo, lavoro, dal titolo, non si può dire altro, gotico:
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Anche in questo caso si tratta di una Storia Naturale, intesa come studio e descrizione dei componenti della natura, che stavolta riguarda i vampiri. Dico subito una cosa: non esiste una traduzione precisa del concetto di “vampiro” e persino la sua etimologia è oscura e misteriosa (va da sé, visto l’argomento, si potrebbe pensare), ma è chiaro che la nostra idea di “Vampiro” un succhiasangue spesso ben vestito che abita un castello terrificante sta al termine come Babbo Natale sta alla Coca-Cola. E lo spiega, con la sua scrittura precisa e barocca, il professore de Ceglia, che insegna Storia della Scienza presso l’Università di Bari, intraprendendo un percorso affascinante che parte da un dato storico: a metà del 1700, un po’ per pruderie editoriali un po’ per motivi politici, alcuni resoconti di ufficiali dell’Impero Austro-Ungarico, mandati da Vienna in sperduti angoli orientali dell’Impero, scoprirono che le popolazioni locali avevano “problemi” riguardanti dei “ritornati”, persone cioè morte ma che continuavano a disturbare la popolazione, soprattutto i familiari. Si fecero indagini, autopsie, e tra il preoccupato e lo scettico quei documenti arrivarono a Vienna, e segretamente poi pubblicati e ripresi da numerose Riviste Scientifiche e letterarie che accesero la miccia sui morti viventi dell’Europa orientale. Da qui, con un lavoro filologico e storico impressionante (oltre 1000 note, più di 400 tra Autori e Testi citati) de Ceglia indaga a ritroso sulle tradizioni legate a queste presenze, al ruolo che la Chiesa ha giocato sulla loro diffusione o sul loro confinamento, sulle problematiche teologiche, storiche e persino economiche. E si scopre che sotto la definizione vampiro si annidano figure che adesso definiamo con altri nomi, come gli zombie, ma che a seconda del contesto avevano caratteristiche specifiche, e molte altre comuni, che attraversano per centinaia di anni alcune zone dell’Europa. La storia è, il più delle volte, sempre la stessa: dopo il suo decesso, un membro marginale della comunità, spesso segnato da caratteristiche fisiche peculiari, ritorna col proprio corpo (e non semplicemente come spettro evanescente) a tormentare la popolazione del proprio villaggio, del tutto indifferente alla ratio che vorrebbe un corpo sepolto, e riesumato solo per accertarne l’assenza di decomposizione o eventualmente arderlo, inamovibile e del tutto incapace di vagare quando cassa e terra lo abbracciano. Ma non fu sempre così, e la categorizzazione delle varie differenze è meravigliosa, come lo scoprire perchè, e nel libro è prontamente spiegato, ci sono intere fasce di territorio europeo dove questo fenomeno non si riscontra. 
Ma Dracula? Beh, questo lo posso svelare: fu un bellissimo ma cagionevole di salute scrittore irlandese, che nel 1890 stava scrivendo un libro, dal titolo provvisorio di Conte Wampyr lo inventò. Si imbattè in un libello nascosto in una biblioteca, Resoconto sui principati di Valacchia e Moldavia, nel quale aveva letto: “Dracula in lingua valacca significa Diavolo. I Valacchi avevano l’abitudine all’epoca, e ce l’hanno ancora oggi, di dare questo soprannome a tutte le persone che si distinguono per coraggio,. azioni crudeli o abilità”. Persino il riferimento a Vlad III Dracula, detto l’Impalatore (Tepes,  nomignolo che si sarebbe affermato dopo la sua morte) è piuttosto occasionale. Quando uscì il suo romanzo, nel 1897, il clamoroso successo e l’imperitura trasfigurazione in opere teatrali e soprattutto cinema e televisione (potere dell’immagine, punto dell’era contemporanea) Dracula si trasformò in un elegante mordicollo, che odia la luce, che preferisce le tenebre e che trasforma chi morde in vampiro (che leggendo il libro sono caratteristiche che non si riscontrano, se non in minima parte, nelle storie dei vampiri “naturali” e sono tutta farina del sacco di Stoker).
Soprattutto, e qui sta la bellezza secondaria, è un grande affresco sul ruolo storico, culturale, politico e simbolico del rapporto con l’altro, con il diverso e, en passant, con la morte. E ci sono delle osservazioni che davvero entusiasmano (per chi leggerà il libro, raccomando particolare attenzione all’introduzione dell’idea del Purgatorio o come, per evitare pericolose contaminazioni, i segnali di santità sui corpi cambino repentinamente per non confondersi con quelli dei “non morti”).
È una lettura impegnativa, sia per l’argomento, per il tono da pubblicazione accademica (ma molto ironica e in alcuni passaggi esilarante) e anche per il prezzo del volume (34€) ma che scandaglia la storia dai miti greci fino a Buffy L’ammazzavampiri e True Blood o Twilight, nuovi fenomeni che cambiano ancora radicalmente la figura del vampiri, regalandole nuove e inaspettati rappresentazioni. D’altronde il possesso della conoscenza non uccide il senso di meraviglia e mistero. C’è sempre più mistero (Anaïs Nin).
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lamilanomagazine · 7 months ago
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Pompei: ultima scoperta, gli attrezzi di un carpentiere in un ambiente servile della Villa di Civita Giuliana
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Pompei: ultima scoperta, gli attrezzi di un carpentiere in un ambiente servile della Villa di Civita Giuliana. È l’ultima scoperta nel quartiere servile della villa di Civita Giuliana, indagata scientificamente sin dal 2017 quando fu strappata agli scavatori clandestini grazie a un accordo tra il Parco Archeologico di Pompei e la Procura della Repubblica di Torre Annunziata: un ambiente, conservato in maniera eccezionale come gli altri due scoperti nello stesso settore con i letti degli schiavi, dove è stato possibile realizzare i calchi di mobili e altri oggetti di materiali deperibili: legno, tessuti, corde. La tecnica dei calchi, sperimentata in maniera sistematica sin dal 1863 con la realizzazione dei primi calchi delle vittime dell’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C., è unica al mondo in quanto frutto della dinamica specifica dell’evento catastrofico: persone o oggetti travolti e coperti dalla “corrente piroclastica”, una nube ardente di cenere e gas tossici, sono rimasti lì per secoli. Ma mentre la cenere si è solidificata, formando uno strato molto solido noto come “cinerite”, il materiale organico quali corpi umani, animali o oggetti lignei, si sono decomposti, lasciando un vuoto nel terreno. Questi vuoti possono essere riempiti di gesso durante lo scavo, per riottenere, dall’impronta in “negativo”, la forma originale. Una tecnica che ha portato a risultati straordinari nella villa di Civita Giuliana, dai calchi di due vittime e di un cavallo a quelli dei letti modesti del quartiere servile. Ora, un’ulteriore stanza amplia lo spaccato di vita degli ultimi, poco documentata nelle fonti letterarie. L’ambiente contiene un letto, ma anche attrezzi di lavoro e quello che sembra un telaio, forse di un altro letto, smontato: si riconoscono, inoltre, ceste, una lunga corda, pezzi di legno e una sega con lama, che sembra non tanto diversa dalle seghe tradizionali usate fino a poco tempo fa. Individuato persino un pezzo della corda, sempre come impronta nel sottosuolo, che la teneva sotto tensione. L’attuale finanziamento dello scavo volge verso il suo termine, ma il Parco insieme alla Procura hanno annunciato di voler proseguire le indagini, attingendo al finanziamento di una campagna di scavi previsto nella Legge di Bilancio dal Ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, che ieri si è recato a Pompei per un sopralluogo. Anche perché i punti da chiarire a Civita Giuliana sono ancora tanti, non solo a livello scientifico, ma anche in termini giuridici. "Le continue scoperte sugli usi e costumi della vita quotidiana degli antichi romani rese possibili dalle indagini scientifiche nella villa di Civita Giuliana nei pressi del Parco archeologico di Pompei ci rafforzano nella convinzione di proseguire a finanziare le attività di scavo. I nuovi ambienti recentemente rinvenuti e resi noti oggi danno preziosa testimonianza del passato di una grande civiltà e rendono onore alla professionalità della ricerca archeologica che a Pompei è tornata più attiva che mai. Ringrazio la Procura di Torre Annunziata per la collaborazione prestata, che ha permesso di preservare la Villa di Civita Giuliana dall'attività criminale dei trafficanti d'arte e di intraprendere un percorso di ricerca capace di questi importanti risultati", ha dichiarato il Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano. “La scommessa degli ultimi anni di puntare nuovamente sulle campagne di scavo archeologico si sta rivelando vincente. La collaborazione ormai pluriennale con la Procura della Repubblica di Torre Annunziata continua a produrre i suoi frutti, non solo nella lotta per la legalità, ma anche in termini di arricchimento delle conoscenze: basti pensare al rinvenimento straordinario del carro della sposa, in questa stessa area, nel 2019. Cruciali in questo senso la costante attenzione del Ministero in ottica di finanziamenti dedicati, la consolidata cooperazione istituzionale e il circolo virtuoso che collega scavi, studi e ricerca a tutela e valorizzazione del sito”, ha affermato il Direttore generale Musei del MiC, Massimo Osanna. “Si tratta di un esempio virtuoso di sinergia tra il Ministero della Cultura, il Parco e la Procura della Repubblica di Torre Annunziata - ha detto il direttore del Parco Archeologico di Pompei, Gabriel Zuchtriegel - un’operazione di grande valore scientifico ma anche culturale. Vogliamo sviluppare questo luogo eccezionale facendolo diventare un luogo accessibile per tutti, un nodo nella rete della Grande Pompei, tra la città antica, le ville e i poli museali di Boscoreale, Oplonti e Stabia. Lo stanziamento nel Bilancio dello Stato per nuovi scavi a Pompei e in altri parchi nazionali voluto dal Ministro Sangiuliano ci aiuterà a continuare questa affascinante impresa archeologica". Per il Procuratore della Repubblica di Torre Annunziata, Nunzio Fragliasso: “Si tratta dell’ennesimo, eccezionale ritrovamento nel sito archeologico di Civita Giuliana, frutto della collaborazione sinergica tra la Procura della Repubblica di Torre Annunziata e il Parco Archeologico di Pompei, in attuazione del protocollo sottoscritto dai due Enti, che, coniugando le ricerche archeologiche con le attività investigative, si è rivelato un formidabile strumento per il contrasto alle attività clandestine di scavo e la restituzione alla collettività di reperti e testimonianze di eccezionale valore storico e culturale. È fondamentale che gli scavi archeologici a Civita Giuliana continuino, in quanto, sulla scorta di recenti acquisizioni info-investigative, vi è fondato motivo di ritenere che, proseguendo nelle ricerche, possano essere rinvenuti ulteriori, importanti, reperti già attenzionati dai tombaroli ma non depredati da questi ultimi”.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Libri per l’estate
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Non potevamo certo lasciarvi accaldati per l’afa estiva e assetati di libri da gustare in vacanza! Ecco dunque una puntata fresca fresca di questa ormai consolidata rubrica di consigli letterari.
Iniziamo con due classici.
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Processi verbali di Federico De Roberto: estremamente interessante l’esperimento di realismo verista di queste novelline (come le chiama l’autore nella sua concisa e lucidissima prefazione), che ricordano il Verga del ciclo dei vinti (folgorante in questo senso Il rosario), con il ricorso ai proverbi popolari (tanto va la secchia al pozzo, finché si rompe; carcere, malattia, necessità, si conosce l’amistà), con squarci di storia (il ’48 a Napoli e la rivolta di Bronte ne I vecchi), ma anche Pirandello e Guy de Maupassant, per non parlare di Lupetto, che sembra addirittura anticipare Raymond Carver. Esilarante e boccaccesco, un autentico gioiellino, il racconto di chiusura Il viaggio a San Vito.
Il denaro di Émile Zola: un’analisi acuta e quanto mai attuale del mondo degli affari e della Borsa. Imperi economici acquisiti e persi in un sol giorno, i re della finanza ossequiati e riveriti, i falliti derisi e respinti. In una sorta di eterno ritorno le azioni umane si riproducono ciclicamente senza lasciare l’insegnamento necessario a evitare il ripetersi degli errori. Così questo affresco della Borsa francese durante il Secondo impero ricorda le recenti bolle finanziarie che hanno causato la rovina di migliaia di piccoli risparmiatori e il crollo dei mutui fondiari. A manovrare i movimenti di una banca fantasma nata grazie alla complicità di diversi prestanome è il visionario Saccard, a cui il lettore (e con lui diverse figure femminili e un’infinita serie di dipendenti del gioco) si affeziona nonostante tutto e di cui segue le mosse con apprensione e ininterrotta curiosità per quasi 600 pagine che scorrono veloci come un fiume in piena, il fiume del denaro (l’argent del titolo) che passa per le mani di affaristi e speculatori, ma spesso solo in forma virtuale. La cosa più sorprendente è che lo spunto per la trama è tratto da un episodio realmente accaduto: la parabola del banchiere Paul Eugène Bontoux e della banca Union Générale fallita nel 1882. Se il denaro è il tema principale, questo romanzo appartiene pur sempre al ciclo dei Rougon-Macquart ed esplora le tare genetiche che, nella visione deterministica del naturalismo francese, minano la famiglia e ne spiegano i comportamenti. Victor, il figlio perverso e deforme del protagonista, ricorda ‘Coniglio mannaro’, uno degli ultimi discententi dell’indimenticabile famiglia Scacerni de Il mulino del Po di Riccardo Bacchelli. E non poteva mancare neppure il tema dell’antisemimitismo, caro all’autore del J’accuse. Insomma un piatto completo, per gli amanti della buona letteratura.
Non possiamo tralasciare l’ultimo Simenon pubblicato da Adelphi, Il dottor Bergelon: “Qualcosa si era guastato, senza che lui riuscisse a capire cosa”. La verità è che un fatto increscioso, una malaugurata deviazione dalla consueta routine ha avvelenato la pace interiore del protagonista al punto da fargli mettere in discussione l’intera sua esistenza. Affrontare Simenon è sempre come scendere negli abissi più profondi dell’animo umano.
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Per chi avesse la fortuna di non aver mai letto Manuel Vázquez Montalbán, sono stati appena ristampati Le terme e Il labirinto greco in cui l’investigatore Pepe Carvalho esprime al meglio le sue doti culinarie e il suo fiuto per le indagini, il tutto in uno stile degno del grande Chandler.
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Uno degli autori prediletti di Andrea G. Pinketts, Stuart Kaminsky, professore di storia e critica cinematografica alla Northwestern University di Evanstone, Illinois, farcisce con le proprie competenze letterarie e cinematografiche i suoi gialli hard boiled, per cui Bela Lugosi e William Faulkner diventano clienti del detective privato Toby Peters (“affettuosa parodia dell’investigatore della scuola dei duri”, da Hardboiled blues di Gian Franco Orsi) in due casi che si intrecciano in Never cross a Vampire. Gli amanti del noir potranno cogliere in queste pagine spunti per rivedere vecchi film o scoprirne di nuovi e introvabili. Così anche per Una pallottola per Errol Flynn, Il caso Howard Hughes e Follie di Hollywood, ma nei suoi gialli troviamo molte altre star, come Mae West, Gary Cooper, Clark Gable, Buster Keaton, Judy Garland e Raymond Chandler: pare proprio che il mondo del cinema sia una inesauribile fonte di ispirazione.
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Fedele all’idea che uno scrittore dovrebbe trattare di ciò che conosce, nel creare i personaggi Kaminsky non esita a inserire cenni autobiografici, come le radici russe per l’ispettore Rostnikov (Morte di un dissidente: “Le sue armi: una falce, un martello e una bottiglia di vodka”), e la fede ebraica per il poliziotto Abe Lieberman, che opera in una Chicago quanto mai violenta e movimentata (La follia di Lieberman), città d’origine dello scrittore. Infine il detective Lew Fonesca, trasferitosi da Chicago (Midnight Pass) nell’atmosfera assolata e apparentemente pacifica della Florida, specializzato nella ricerca di persone scomparse (Cattive intenzioni, Parole al vento). Notevoli le collaborazioni con il regista Don Siegel per Ispettore Callaghan, il caso Scorpio è tuo, e con Sergio Leone per i dialoghi di C’era una volta in America. Insomma uno scrittore prolifico (possiamo contare una sessantina di titoli) per amanti del cinema, della letteratura e di uno stile ironico e versatile.
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Un altro libro ambientato nella Hollywood degli anni d’oro: Perché corre Sammy?, di Budd Schulberg, Oscar alla migliore sceneggiatura originale per Fronte del porto, sceneggiatore di Il paradiso dei barbari con un esordiente Peter Falk  e soggettista di Un volto nella folla di Elia Kazan e di Il colosso d’argilla con Humphrey Bogart.
“Quello che mi faceva infuriare era che Sammy era la persona più scaltra e più ottusa che avessi mai conosciuto. Era dotato di un’intelligenza che era in grado di impiegare unicamente a vantaggio di Sammy Glick. È un tipo di intelligenza che comporta una certa ottusità: una specie di sterminata zona d’ombra con un solo raggio di luce diritto davanti a se stessi”.
Ma chi è Sammy? Un arrivista, un arrampicatore sociale, con meno scrupoli che talento, di un cinismo disarmante, egoista e avido, anche le sue apparenti qualità sono solo difetti astutamente mascherati: “un piccolo fattorino ebreo sempre di corsa che diventa un potente produttore, sacrificando ogni cosa d’umano alla sua assetata ambizione”. Consigliato da Kurt Vonnegut (a sua volta scrittore ammirato da Umberto Eco), che addirittura lo paragona a Francis Scott Fitzgerald, è una lettura scorrevole e moderna che ci lascia agganciati al mistero di questo personaggio odioso e intraprendente fino all’ultima pagina. C’è, naturalmente, molto di autobiografico nelle opere di Schulberg: “Figlio del tycoon della Paramount, e lui stesso, per un certo tempo, prediletto di Hollywood... ma anche comunista inciampato nelle reti del Mccarthismo, spesso e volentieri elesse il mondo di Hollywood quale osservatorio ideale... I disincantati si concentra su come muore, in America, una leggenda. Uno scrittore grande e dimenticato, che ha avuto tutto, ed è stato travolto assieme a un mondo lussureggiante dalla crisi del ’29, si lascia umiliare e consumare nel corpo e nella dignità in un ultimo infimo lavoro da sceneggiatore di filmetti”. In questo caso l’episodio autobiografico si riferisce all’incontro di Schulberg con Scott Fitzgerald, chiamato dagli studios a collaborare alla revisione di una sua sceneggiatura.
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Il 22 giugno 2022 potrete assistere alla presentazione del romanzo di Manuela Cattaneo della Volta e Livio Sposito, Un cuore al buio: Kafka, che si terrà presso la biblioteca Valvassori Peroni. Il libro racconta la “storia e la vita delle cinque donne che hanno amato Franz Kafka”.
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Buone vacanze da tutto lo staff delle biblioteche di Milano!
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ryanadham · 4 years ago
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Dal momento che qui c'è qualcuno che giudica tutto senza capire i generi del GDR (non faccio nome) prima di tutto mostro i generi che possono esistere come potete vedere nello schema ma ora passiamo ai generi che ha il GDR il terzo tempio:
-Thriller: Il thriller è un genere di fiction che utilizza la suspense, la tensione e l'eccitazione come elementi principali della trama.
Accorgimenti tipicamente letterari quali falsi indizi, colpi di scena e complotti sono ampiamente utilizzati.
-Dramma: Un dramma (dal greco δρᾶμα, "drama" = azione, storia[1]) è una forma letteraria che include parti scritte per essere interpretate da attori.
In senso lato è un intreccio narrativo compiuto e destinato alla rappresentazione teatrale. Può essere in forma verbale scritta (ogni opera letteraria che preveda parti recitate o cantate) oppure improvvisata da un attore, o ancora in forma di narrazione non verbale, tramite la gestualità o la danza. Il termine dramma, se inteso in senso restrittivo, si applica esclusivamente alle opere teatrali scritte. Nell'opera lirica, si ricorre in genere al termine libretto.
Action fiction: L'action fiction è il genere letterario che include romanzi di spionaggio, storie di avventura, racconti di terrore e intrighi ("mantello e pugnale") e misteri. Questo tipo di storia utilizza la suspense, la tensione che si crea quando il lettore desidera sapere come verrà risolto il conflitto tra il protagonista e l'antagonista o quale sia la soluzione al puzzle di un thriller.
Mistero: Un film misterioso è un genere di film che ruota attorno alla soluzione di un problema o di un crimine. Si concentra sugli sforzi del detective, investigatore privato o detective dilettante per risolvere le misteriose circostanze di un problema per mezzo di indizi, indagini e deduzioni intelligenti.
Apocalittico-fantasy: La fantascienza apocalittica e post apocalittica sono due sottogeneri della fantascienza, strettamente connessi, generalmente analisi su alcuni elementi comuni come il verificarsi di un evento distruttivo che possa portare all'estinzione dell'umanità o comunque della società tecnologica (f. Apocalittica), o che abbia portato alla nascita di società distopiche (f. post apocalittica); queste eventi possono essere dall'uomo, come ad esempio una guerra nucleare, o naturali, con conseguenze su scala planetaria con danni all'intera umanità.
Rosa: Il romanzo rosa (detto anche romance) è un genere letterario che narra di storie d'amore e del loro intreccio che si dipanano in genere in avventure e intrighi e terminano sempre con un lieto fine. I romance (in inglese significa romanticismo) o romanzi rosa presentano una struttura formale molto simile alla fiaba, infatti in ogni romanzo i personaggi svolgono ruoli che seguono uno schema ben preciso simile a quello presentato da Propp: l'eroina protagonista (la tipica fanciulla giovane e bella che va incontro al pericolo), l'eroe (protagonista maschile e figura molto importante nel romanzo rosa in quanto "cavaliere" nonché "uomo amato" dalla protagonista che la salva sempre dal pericolo), l'antagonista (solitamente anche quella di sesso femminile, come per esempio la matrigna cattiva, ma non così frequente come la figura della protagonista, può anche capitare che l'antagonista sia un maschio che rapisce la fanciulla per poi sposarla contro il suo volere), l'amico/a aiutante dei protagonisti (la figura che nelle fiabe riveste il ruolo di fata madrina) e tanti altri personaggi secondari che si intrecciano sullo sfondo di intrighi politici, complotti, duelli, guerre, ecc...
Ora la persona che non nomino dice: i tuoi pg sono brutti, non possono ruolare con i miei.
Peccato che dal mio punto di vista che la sua soap opera non mi attira completamente. Motivo? non ci sono colpi di scena particolari, è solo sesso e niente storie d'amore che partono dai sentimenti che si provano.
Conclusione? la persona in questione non sa che vuol dire amore e non sa nemmeno cosa vuol dire creare colpi di scena che complicano molto la situazione di personaggi protagonisti.
Si sente offeso e deluso? questa è la verità che gli fa male e non accetta.
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kon-igi · 4 years ago
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Ciao Kon, mi interesserebbe conoscere un tuo parere su questo "articolo", se avrai tempo e voglia di leggerlo: https://www.facebook.com/107912280949252/posts/197957735278039/
Grazie!
La pagina FB Pillole di Ottimismo è un ottimo aggregatore di punti di vista professionali scevri da protagonismi, complottismi e pessimismi cosmici e con grande piacere (o forse dispiacere) credo che questo post fotografi la maggioranza delle persone con una pugnalata dritta e precisa al cuore, che quasi fa soffrire anche me di riflesso empatico.
Riporto il post in link per chi non avesse Facebook: 
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E TU DI CHE COVID SEI?
Di Emilio Mordini, medico psicoanalista Foto di Greg Rosenke/Unsplash
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Classificazione empirica di come diversi tipi psicopatologici affrontano la pandemia, liberamente ispirata a tre casi letterari.
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Sin dai primi mesi di questa epidemia si è parlato dei suoi possibili effetti sulla salute mentale, sia diretti (dovuti ad un’azione del virus sul sistema nervoso centrale) sia indiretti (dovuti alle misure di distanziamento sociale e all’isolamento, al clima generalizzato di paura, al mancato o insufficiente trattamento di disturbi preesistenti, e così via).
Già nel maggio scorso il Royal College of Psychiatrists avvertiva dell’arrivo di uno “tsunami di disturbi mentali”, comprendendo sia nuovi disturbi provocati dalla condizione di stress, sia l’aggravarsi dei disturbi esistenti (1). Numerose indagini si sono succedute da allora, confermando quest’allarme (2). La maggior parte dei lavori ha ricercato la comparsa o l’aggravamento di sintomi psicologici e psichiatrici nella popolazione generale o in specifiche sottopopolazioni.
Come psicoanalista debbo confessare che raramente trovo simili studi interessanti. Tra l’altro, per lunga esperienza clinica, so che le persone tendono ad ingannare e ingannarsi rispetto alle proprie condizioni mentali e che i meccanismi di rovesciamento, diniego e spostamento sono così ubiquitari da rendere del tutto improbabili i risultati di questionari pur sofisticati. Lascio, quindi, ad altri il compito di discutere la validità di queste ricerche.
Vorrei invece proporre una mia classificazione empirica di come diversi tipi psicopatologici affrontano la pandemia. Naturalmente esiste anche un modo “sano” di gestire psicologicamente questa emergenza ma la salute mentale, come quella fisica, è un ideale che nessuno riesce davvero a raggiungere: così molti anche tra i “sani” potranno, almeno in alcuni aspetti, riconoscersi nei quadri che descriverò.
Questa classificazione è stata costruita su una casistica relativamente vasta di pazienti, composta sia da coloro che seguo in psicoterapia e sia da persone che si sono rivolte a me per semplici consultazioni, nonché sull’osservazione quotidiana delle persone che incontro. Non è, tuttavia, un esercizio rigoroso, piuttosto è uno stimolo a ragionare insieme, sperando che il lettore possa divertirsi a ritrovare sé stesso, o qualche proprio conoscente, nell’uno o nell’altro tipo. Se poi questo gioco lo farà anche a riflettere su alcune dinamiche psicologiche innescate dall’epidemia, avrò raggiunto il mio scopo.
Il primo tipo di reazione a questa epidemia è la “sindrome della casa degli Usher”.
“Il crollo della casa Usher” è una famosa novella di E.A.Poe che racconta come il protagonista e voce narrante si rechi a far visita a un vecchio amico d’infanzia, Roderick Usher, che vive isolato nella casa di famiglia con la sorella Madaline. Fratello e sorella sono entrambi affetti da bizzarre malattie: l’uomo vive in una situazione di eretismo nervoso perenne mentre la donna vaga in uno stato crepuscolare tra la vita e la morte. Il racconto si svolge in un’atmosfera di crescente tensione, densa di sinistri presagi, che genera via via una situazione da incubo che esploderà nell’orrore finale. L’attesa di una catastrofe terribile ed inevitabile - ma di cui non si riescono a prevedere i contorni - è la chiave di questo racconto così come della reazione psicologica di coloro affetti da questa sindrome.
Chi fa parte di questo tipo psicologico avverte nell’epidemia una minaccia oscura la cui presenza non riesce a tollerare né intellettualmente né emotivamente. Incertezza, segni inquietanti ed ambigui, impossibilità di fuga: tutto ciò risulta intollerabile a queste persone. Esse non temono tanto il rischio reale quanto la sensazione di attesa catastrofica, claustrofobica e inevitabile. Le persone che appartengono a questo gruppo sono anche quelle che risentono di più del clima di terrore creato dai media.
Un modo fondamentale per gestire psicologicamente questa condizione è costruire una narrazione che colmi l’attesa, che allenti la tensione incombente (“Io leggerò ed voi ascolterete: così passeremo insieme questa terribile notte” dice ad un certo punto il protagonista della novella di Poe all’amico Roderick). Si tratta di narrazioni che, a seconda della formazione e della cultura della persona, possono presentarsi in forme scientifiche, pseudoscientifiche o decisamente fantastiche: lo scienziato, ad esempio, costruirà modelli matematici mentre l’ingenuo complottista sognerà del Gruppo Bilderberg ma – al di là del contenuto di verità dei rispettivi racconti – l’obiettivo di entrambi è anestetizzarsi dall’angoscia dell’attesa. Segno inconfondibile che una narrazione assolve questa funzione è la tenacia, tetragona ad ogni critica razionale, con cui una persona la difende. Assistiamo così a seri studiosi che non riescono ad abbandonare le proprie teorie sull’epidemia nemmeno davanti a evidenze lampanti della loro fallacia oppure a pacifiche casalinghe che sarebbero disposte a farsi bruciare sul rogo pur di non ammettere che una qualche malattia pur esiste. In tutti questi casi, sotto l’apparente caparbietà intellettuale, agisce in effetti un potente condizionamento emotivo: la narrazione a cui queste persone sono così affezionate è diventato un feticcio che le protegge dall’ansia, questa è la ragione per cui è spesso impossibile far cambiare loro idea. Questo estremo tentativo di autocura, però, non sempre riesce a reggere l’urto con la realtà esterna o ad arginare efficacemente l’angoscia che preme dall’interno, in tal caso possono emergere sintomi più specifici: stati di agitazione, pensieri paurosi sul futuro, disturbi del sonno, vere e proprie crisi di panico. Infine, le persone che appartengono a questo gruppo rischiano di precipitare in gravi stati depressivi.
Il secondo tipo psicopatologico è quello del “demone meschino”.
“Il demone meschino” è uno straordinario romanzo che lo scrittore russo Fëdor Sologub scrisse agli inizi del secolo scorso e che narra il progressivo sprofondare nella follia e nella cattiveria di Peredònov, un oscuro professore di provincia. La storia è un allucinato apologo sull’avarizia e la misantropia e sul loro trasformarsi prima in solitudine, poi in delirio persecutorio, infine in morte. Coloro che sviluppano questa sindrome sono spesso persone affette da una certa rigidità emotiva, con una personalità caratterizzata da tratti ossessivi, a volte paranoici. Questi soggetti sono spontaneamente poco propensi ai contatti fisici, con una estrema attenzione all’igiene personale, però anche ambiguamente affascinati da tutti i prodotti di decadimento del corpo (ad esempio, nonostante tutto il loro igienismo, possono avere l’abitudine di annusare i propri indumenti intimi sporchi o osservare con scrupolosa attenzione il muco rappreso delle proprie narici).
Altri tratti caratteristici sono una tendenza all’avarizia, ad attenersi scrupolosamente alle regole e un atteggiamento sospettoso, più o meno marcato, nei confronti del prossimo. Si comprende facilmente come il clima generato dalla pandemia e dalle misure di prevenzione trovi un terreno fertile nella personalità di questi soggetti, che vedono tutte le loro fantasie inconsce realizzarsi nella realtà. Per queste persone distanziamento fisico, grande attenzione alle deiezioni corporee e all’igiene personale, senso di pericolosità legato agli altri esseri umani, obbedienza all’autorità e persino ridotta possibilità di spendere per ristoranti, cinema, teatri, palestre, cure estetiche, vestiario e così via, rappresentano altrettante occasioni per soddisfare le proprie pulsioni senza dover entrare in conflitto con il prossimo ma, anzi, potendo vantarsi di essere buoni e responsabili cittadini. Tuttavia, nulla è più pericoloso per la mente umana che realizzare le proprie fantasie poiché esse, facilmente, si rivelano incubi.
Coloro che sono affetti dalla sindrome del demone meschino possono sembrare soddisfatti dall’epidemia (infatti spesso sposano le previsioni più catastrofiche e disprezzano ogni forma di ottimismo) ma, in realtà, progressivamente precipitano in una misantropia crescente e in un profondo dispetto nei confronti dell’intero genere umano. Leggono con avidità le descrizioni delle condizioni in cui versano i malati intubati e le sofferenze che patiscono, immaginano morti orrende per i giovani che hanno frequentato la movida, sono ossessionati dai macabri cortei di bare della primavera scorsa: in una parola si trovano immersi in un’opprimente atmosfera di morte. L’unico momento di relativa gioia resta per loro il parlare male degli “irresponsabili” (se sono medici, dei colleghi meno pessimisti di loro) e il commentare con sadica soddisfazione “ve lo avevamo detto” ad ogni peggioramento dell’infezione.
La sindrome del demone meschino non risparmia nemmeno i cosiddetti “negazionisti” che, quando appartengono a questa tipologia, non negano l’esistenza di rischi alla salute ma li attribuiscono ad entità malvagie e misteriose (Big Pharma, vaccini, onde elettromagnetiche, 5G, medici rianimatori e così via) fantasticando malattie devastanti e morti orribili per i “covidioti”.
Il terzo tipo di reazioni all’epidemia è quello che, in onore al protagonista della commedia di Molière, chiamerò la “sindrome di Argante”.
“Il malato immaginario” racconta appunto la storia di un ricco ed ignorante borghese, Argante, spaventato ed affascinato dalle malattie e dalla medicina, che, dopo averne patite di tutti i colori per opera di una schiera di medici ciarlatani e avidi, si farà lui stesso medico al termine di una burlesca cerimonia di intronazione.
La sindrome di Argante colpisce coloro che già erano di per loro patofobi e che, con questa epidemia, riescono finalmente a dar libero sfogo a tutte le paure (in fondo, anche se non lo ammetterebbero mai né con gli altri né con sé stessi, questa epidemia è per loro una grande occasione di divertimento). Molti di loro affollano il web ed i social, dove sono sempre alla ricerca di nuovi sintomi e nuovi trattamenti (vitamina D, lattoferrina, clorochina, melatonina e così via).
Costoro ne sanno sempre una più dei medici e non è raro che dispensino consigli, discutano modelli epidemiologici, valutino con preoccupazione le conseguenze long-term della malattia, sempre pronti, beninteso, a pendere dalle labbra di un nuovo luminare o virologo televisivo che li affascini (del resto già Manzoni notava che “non si può spiegare quanto sia grande l'autorità d'un dotto di professione, allorché vuol dimostrare agli altri le cose di cui sono già persuasi”).
Da un punto di vista clinico è importante differenziare questa categoria dal più piccolo gruppo degli ipocondriaci. Mentre i patofobi temono di contrarre il COVID e passano il tempo a studiarlo, gli ipocondriaci sono coloro che, in modo delirante, sono sicuri di averlo già contratto e si sentono andare in disfacimento sotto gli effetti del morbo. Gli ipocondriaci soffrono di una vera e propria psicosi delirante che riguarda il proprio corpo e dovrebbero essere sempre distinti dai patofobi perché, a differenza di questi ultimi, rappresentano un’urgenza psichiatrica. Non c’è dubbio che il trattamento di patofobi e ipocondriaci sia, però, reso oggi quasi impossibile dall’aver noi in buona parte sostituito la diagnosi clinica con quella laboratoristica. Un patofobo o un ipocondriaco asintomatici, che siano però risultati positivi alla ricerca del RNA virale, troveranno nel dato di laboratorio una conferma oggettiva alle proprie fantasie e sarà molto difficile – se non impossibile – convincerli del contrario. Molti dei pazienti che, pur in assenza di sintomi di rilievo, affollano ed intasano gli ospedali in questi giorni fanno probabilmente parte di questo gruppo.
Angosciati, misantropi, patofobi e ipocondriaci esauriscono la psicopatologia connessa all’epidemia di COVID? Certamente no, ci sono altri tipi di cui varrebbe la pena di parlare e, sicuramente, bisognerà perlomeno accennare in futuro a bambini ed anziani. Tuttavia, prima di concludere, vorrei richiamare l’attenzione su una categoria particolarissima, quella di coloro che non sono affetti, da un punto di vista psicologico, dalla pandemia. Si tratta di persone che, in cuor loro, vivono come non esistesse alcuna emergenza; quando, superficialmente, mostrano interesse, lo fanno più per conformismo sociale che per reale convinzione.
Questo gruppo si compone di due distinti sottogruppi: 1) i tifosi; 2) le persone affette da gravi disturbi mentali.
I tifosi sono persone per cui la questione dell’epidemia tende a riassumersi nel conflitto amico/nemico. Dell’epidemia avvertono solo l’occasione per dividersi in fazioni e combattersi ferocemente (anche per acquistare benemerenze presso la propria parte o per ragioni di carriera ed interesse economico). Debbono recitare di essere preoccupati per la salute o la libertà, per l’economia o il servizio sanitario (a seconda della parte scelta), ma, in realtà, l’unica cosa che loro interessa è prevalere. Se per azzardo gli schieramenti si invertissero, costoro non avrebbero nessun problema a seguire la propria fazione, sostenendo l’opposto di quanto avevano sostenuto sino ad un attimo prima.
Anche le persone affette da gravi di disturbi mentali percepiscono molto superficialmente l’epidemia. Questi malati sono spesso troppo presi dal proprio mondo interiore per rendersi davvero conto di quello che succede fuori. Un mio paziente gravemente psicotico era convinto che ogni volta che suonasse un clacson fosse un messaggio inviato a lui per indicargli di compiere o non compiere determinati gesti. Da parecchi mesi questo signore ha incluso il gesto di mettersi o levarsi la mascherina tra i gesti che i clacson gli ordinano: come si vede non si tratta di un nuovo sintomo ma dell’adattamento di uno vecchio alla diversa situazione. In questo caso, e in altri simili, sarebbe clinicamente sbagliato attribuire al COVID qualsiasi responsabilità nei disturbi dei pazienti. Tuttavia, c’è una certa ironia nel fatto che coloro che usano l’epidemia per le proprie guerre politiche, di carriera, di fazione accademica assomiglino così tanto a coloro che sono vittime di un delirio. Qui ci potrebbe essere una lezione da imparare anche per noi.
1) RCP, 2020, “Psychiatrists See Alarming Rise in Patients Needing Urgent and Emergency Care and Forecast a ‘Tsunami’ of MentalIllness”, Royal College of Psychiatrists(15 May), www.rcpsych.ac.uk/…/psychiatrists-see-alarming-rise-in-pati…
2) Nel luglio 2020 veniva pubblicata anche una prima systematic review (Salari et al., 2020, Prevalence of stress, anxiety, depression among the general population during the COVID-19 pandemic: a systematic review and meta-analysis, Globalization and Health16:57, https://doi.org/10.1186/s12992-020-00589-w) seguita da molte altre (al 1 novembre 2020, PubMed ne cita 49) sino all’ultima del 29 ottobre scorso, pubblicata sul J Health Psychol (Arora et al., 2020, The prevalence of psychological consequences of COVID-19: A systematic review and meta-analysis of observational studies. J Health Psychol. 2020 Oct 29:1359105320966639).
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Credo che di non dover o, meglio, poter aggiungere altro, tranne che invitare molti dei miei follower, conoscenti e amici a riconoscersi, purtroppo, in una delle tre descrizioni.
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levysoft · 5 years ago
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Artemis Fowl è una serie di romanzi Fantasy per ragazzi pubblicata per la prima volta nel 2001 dalla Mondadori. Il suo autore, l’irlandese Eoin Colfer, è un genio della narrativa per ragazzi, tanto apprezzato per la sua arguzia da essersi guadagnato l’onore di scrivere E un’altra cosa…, il sesto volume della trilogia Guida Galattica per Autostoppisti, sugli appunti di Douglas Adams.
La saga attualmente conta otto libri, ed è composta dai seguenti titoli:
Artemis Fowl
Artemis Fowl – L’incidente artico
Artemis Fowl – Il Codice Eternity
Artemis Fowl – L’inganno di Opal
Artemis Fowl – La colonia perduta
Artemis Fowl – La trappola del tempo
Artemis Fowl – Il morbo di Atlantide
Artemis Fowl – L’ultimo guardiano
Potete guardare il film di Artemis Fowl accedendo a DISNEY+ sia con un abbonamento annuale (con 2 mesi in omaggio) sia mensile!
Il caso Artemis Fowl
All’uscita di Artemis Fowl, nel 2001, il pubblico target dei romanzi era formato da quei dodicenni che stavano divorando le avventure di Harry Potter. Tra gli 11 e i 13 anni, erano prontissimi a scoprire che la magia poteva nascondersi sotto le radici di qualsiasi albero, e lo strampalato piano del ragazzino protagonista non stupiva nessuno: rubare l’oro dei Leprecauni sembrava proprio un’ottima idea (il Piccolo Popolo della serie, infatti, è dichiaratamente quello della tradizione Irlandese). Quello che affascinava della saga era principalmente il protagonista. Non un ragazzino stupito che guarda il mondo nascosto dietro i suoi occhiali, ma un piccolo genio del crimine che è disposto a fare le ore piccole per decifrare la lingua del Piccolo Popolo e usare le leggi magiche contro di loro. Il dodicenne Artemis Fowl II è miliardario, più intelligente della maggior parte dei suoi avversari: se vogliamo il primo tra i ragazzini Nerd. Come si fa a non amarlo? Le pubblicazioni ad oggi uscite dedicate alla famiglia Fowl sono suddivise fra i primi due libri – che delineano personaggi e trame principali – ed i sei successivi romanzi di approfondimento che portano sempre maggiori dettagli all’attenzione dei lettori.
Artemis Fowl
La saga di Artemis Fowl ha inizio quando il papà di Artemis (Artemis Fowl I, detto Artemis Senior) scompare lasciando il figlio ad occuparsi della tenuta di famiglia e della mamma malata, con l’unica protezione della guardia del corpo Leale, l’omone che lo ha praticamente cresciuto. Per rimettere ordine nelle finanze di famiglia, Artemis ha la splendida idea di derubare il Piccolo Popolo: ma come farlo? Semplice: recuperare un libro chiamato La Bibbia del Popolo per scovarli e poi tendere una trappola, rapire un ostaggio e chiedere un riscatto.
Peccato che l’ostaggio scelto, capitato lì per una serie di sfortunati eventi, non sia la persona più docile del Piccolo Popolo. Il Capitano Spinella Tappo, infatti, è l’elfo agguerrito che si è fatto strada nei ranghi fino a diventare il primo Capitano femmina della Libera Eroica Polizia (LEP) di Cantuccio, la capitale sotterranea e tecnomagica del Piccolo Popolo. Insieme al Comandante Julius Tubero e al centauro Polledro, Spinella Tappo è uno dei personaggi principali della saga.
L’Incidente Artico
Nel secondo libro e capitolo della storia la scena si capovolge. Stavolta sono Spinella, Tubero e Polledro a rapire e interrogare Artemis, sospettato di aver contrabbandato delle pile ai goblin per far funzionare delle armi proibite poiché potenzialmente mortali, le Nasomolle, e quando la squadra di creature magiche scopre che il ragazzino non c’entra niente accetta il suo aiuto nelle indagini. In cambio Artemis chiederà il loro aiuto nel salvataggio di Artemis Fowl Senior, che si scopre vivo ma rapito dalla mafia russa.
Questo volume introduce Opal Koboi, la folletta che ha creato la maggior parte della tecnologia magica, come supercattivo della serie. È un villain tradizionale, in grado di fare cose grandiose ma con il pallino della distruzione degli esseri umani. Un altro personaggio ricorrente che viene ripreso anche nel secondo volume è Bombarda Sterro, un nano cleptomane ricercato negliStrati Inferiori (il mondo magico) che proverà ad infiltrarsi nel mondo umano.
La fortuna dei Fowl
Come tante opere di fantasia, la fortuna di Artemis Fowl è stata in parte slegata dalla storia in sé, per quanto geniale. No, era l’insieme che piaceva ai ragazzini: un conto erano i libri che parlavano di grandi magie e protagonisti in crescita, un conto era misurarsi con Artemis. Artemis Fowl è un ragazzino che supera i suoi tempi: appassionato di tecnologia e di informatica, riesce a rubare la magia, a copiare le tecniche del Piccolo Popolo e a renderle armi proprie. La differenza con la letteratura del periodo, quindi, stava nella concezione del protagonista: non è più il bambino ingenuo che scopre il mondo ma un bambino che senza l’aiuto degli adulti (se non quello del fedele Leale) riesce ad approcciarsi a un mondo più grande di lui e a sconfiggerlo. Nei libri, inoltre, i piccoli lettori erano sfidati a decifrare la vari codici, scritti tra le pagine in caratteri speciali, e a chi non piacciono i codici da decifrare?
Il film
Il film di Kenneth Branagh uscito da qualche giorno su Disney+ è stato una vera e propria scommessa. Il tentativo è stato quello di fondere i primi due libri, aggiungendo pezzi che ricordano vagamente il terzo (nello specifico l’artefatto al centro del film). L’impresa non è riuscita molto bene, poiché come già si è visto con molte opere letterarie, già la trasposizione di un libro in un film solo (o in due, addirittura) risulta difficile, figuriamoci comprimere le informazioni e gli eventi di due libri in appena novantaquattro minuti di girato.
L’accoglienza non è stata calorosa, ma questo era un rischio che tutti erano disposti a correre, pur di portare questi personaggi sul grande schermo. Chissà che non si faccia in futuro un lavoro migliore.
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storiearcheostorie · 2 years ago
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ARCHEOLOGIA / Abitazioni del VI millennio a.C., fornaci, silos, ceramiche e una moneta di Alessandro Magno: il Kurdistan iracheno svela la sua storia più antica
#ARCHEOLOGIA #SCAVI / Abitazioni del VI millennio a.C., fornaci, silos, ceramiche e una moneta di Alessandro Magno: il #Kurdistan iracheno svela la sua storia più antica @LaStatale #UniMi
 Si è conclusa nei giorni scorsi la missione archeologica dell’Università degli Studi di Milano nel Kurdistan iracheno. Un mese e mezzo di ricerche e indagini a tutto campo nei siti di Helawa e Aliawa, condotte da un gruppo interdisciplinare guidato da Luca Peyronel, docente di Archeologia e Storia dell’Arte del Vicino Oriente Antico, del dipartimento di Studi letterari, filologici e linguistici.…
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red-kedi · 3 years ago
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I delitti di Alice. Le indagini del professor Seldom di Guillermo Martìnez Marsilio -  15/04/2021
https://redkedi.it/2021/07/i-delitti-di-alice-le-indagini-del-professor-seldom/
Un giovane matematico argentino, dal nome tanto difficile da risultare impronunciabile, si trova a Oxford per il suo secondo anno di dottorato. È estate e il paesaggio della bella cittadina inglese risplende sotto il sole, tra il fascino dei college antichi e il verde dei chiostri, quando all’improvviso la confraternita intitolata a Lewis Carroll è sconvolta da una serie di misteriosi delitti che ruotano intorno al libro più famoso dello scrittore: Alice nel Paese delle Meraviglie. Per far luce sugli omicidi, il decano della confraternita chiede aiuto al giovane dottorando e al suo mentore e amico, il professor Arthur Seldom. Chi vuole mettere in difficoltà la confraternita? E chi è disposto a macchiarsi di crimini tanto macabri, pur di screditare l’autore di Alice e i suoi adepti? Novelli Holmes e Watson, i due matematici cercano la soluzione, sapientemente nascosta nei diari e negli indovinelli di Carroll, conducendo con garbo e ironia una sofisticata indagine deduttiva, tra paradossi logici, rompicapo e rimandi letterari. Giochi innocenti che un incalzare di colpi di scena trasforma in qualcosa di molto serio, rendendo il lettore complice di un’inchiesta ricca di imprevisti, sorprese e scoperte strabilianti, in una ricerca della verità che molto ricorda il percorso degli eroi di Borges.
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marikabi · 6 years ago
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Like Fishes in the Net (XVII puntata)
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Fèisbuk è innanzitutto un investimento emozionale per gli utenti. Non lo è più per Mark Elliot Zuckerberg, ricchissimo CEO già alla veneranda età di 27 anni. O per lo meno, lo è nella misura in cui sta vivendo l’emozione di essere stra-ricco.
Le nostre emozioni – che postiamo gratis -- si trasformano in moneta sonante (pare 100 dollaroni a cranio, il che moltiplicato per in miliardo e duecento milioni di utenti, fa…) perché una volta depositate nella nostra Bacheca  non ci appartengono più. E non solo perché diventano pubbliche, ma perché sono pubblicate. La differenza è importante.
Un’emozione è pubblica anche se la svelo al bar tra amici, o se la condivido al pranzo del matrimonio di mio cugino o su di un palco ad una convènscion.
Un’emozione è pubblicata quando – una volta registrata – si può recuperare e riutilizzare. Come gli articoli dei giornali, i testi letterari, le canzoni su iTunes. Con la differenza importante che sulle nostre emozioni non c’è il copyright.
Facebook (l’azienda), inoltre, ha deciso che tutto ciò che non è esplicitamente vietato, è permesso, ovverosia, i settaggi delle impostazioni su ciò che deve rimanere in-pubblicato sono per default liberi da restrizioni. In questo modo, Facebook (sempre l’Azienda) ha il database più ricco e profondo di ogni altra nazione.
Quindi, se non ci preoccupiamo di andare a cambiare le impostazioni, ogni nostra informazione è accessibile. Non solo a potenziali stalker (meno male che non ci chiamiamo Charlize, Cameron o Anna Oxa) ma anche a tutte le tentacolari società di marketing che hanno fatto e faranno la fortuna economica di Mark Elliot di cui sopra, utilizzando le nostre emozioni per tarare le pubblicità ed offrire prodotti sempre più personalizzati alle nicchie di utenza.
Più postiamo notizie sulle nostre emozioni e più lievita il conto in banca del ventisettenne lentigginoso, il quale ha tutto l’interesse di far aumentare la quantità di utenti e di post.
Come abbiamo letto sul TIME, fèisbuk non è un fine, ma un mezzo per veicolare, come se fosse un immenso sistema nervoso collettivo che trasmette le sensazioni del mondo. È uno strumento creato per permettere alle persone per fare ciò che amano di più: comunicare. Tutti comunicano, tutto comunica: dall’albero che cade nella foresta disabitata agli ormoni nei vasi linfatici.
Uno degli sviluppi della piattaforma per rendere ancora più semplice la condivisione di sensazioni ed emozioni è aumentarne la fruibilità sugli smartphone, quegli ibridi tra cellulari e microcomputer, ormai indispensabili appendici della nostra vita. Tant’è che Foursquare (letteralmente: Quattro Cantoni)  è nato proprio per taggarci nei luoghi dove ci troviamo al fine di offrirci in tempo reale tutte le opportunità commerciali dei dintorni. Idem l’applicazione built-in “Places”.
I momenti in cui fèisbuk ci ha meravigliato con le sue possibilità di avere tutto sotto controllo (piissima illusione) o di poterci connettere immediatamente con i nostri amici sono quei potenti collanti che lo hanno reso pressoché indispensabile. Non avere fèisbuk a portata di click ci rende ansiosi come aver perso uno dei nostri sensi, come avere un potente raffreddore.
Il think tank di Mark il Rosso ha poi ideato quello che è il passaporto per i siti del mondo: non più login legati alla nostra e-mail, bensì al nostro account “F”. Et voilà, appare pure la nostra fotina ogni qualvolta apriamo un sito della piattaforma “FacebookConnect”. A seconda di ciò che leggiamo o scegliamo su questi siti, ecco che una pubblicità correlata apparirà in pop-up. Una manna anche per i motori di ricerca che hanno aperto una piattaforma all-purpose, come Google (Gmail, GoogleDocs) o Yahoo! . Nel 2010 si sono contati 2 milioni di siti integrati con fèisbuk e nell’ultimo anno si è avanzati al ritmo di 10.000 siti al giorno.
La preoccupazione degli utenti, però, non dovrebbe appuntarsi su questa incredibile invasione della privacy, anche perché nessuno di coloro che sta su fèisbuk se ne importa davvero più di tanto se si continua a postare roba del tipo “Ho mal di pancia. Devono essere state tutte quelle cozze di ieri sera.” Diciamo meglio che le persone vorrebbero avere la possibilità di controllare ciò che viene pubblicato.
E qui casca l’asino! Le operazioni per arrivare a controllare ciò che è visibile sono estremamente complicate ed inoltre quelli di Palo Alto aggiungono diavolerie quasi ogni trimestre. Mi chiedo come la maggior parte della fascia emergente sul social network, quella degli over 60 (che è poi la stessa più appetibile dai mercati, poiché più numerosa e ancora danarosa, in questi tempi di denatalità, crisi, disoccupazione e precariato giovanile), possa controllare le impostazioni cervellotiche sulla privacy di fèisbuk. Esiste, però, anche una App sull’iPhone che ci guida passo passo nel settaggio delle impostazioni sulla privacy di fèisbuk. L’unico problema è che è in inglese e che ogni tanto si deve ripetere la procedura perché a Palo Alto cambiano le impostazioni con frequenza (mica fessi). Secondo voi, GDPR (che ci ha fracassato i maroni, con banner e valanghe di email, con le quali abbiamo capito che la colpa è nostra se ci rubano i dati) ha sistemato le cose? Io penso di no.
Prendere per esempio quella ragazza tedesca che aveva postato un invito alla sua festa di compleanno. Si era dimenticata di settare le impostazioni dell’evento come ‘privato’ e così l’invito ha raggiunto circa 15 mila persone di cui mille e 600 si sono presentate a casa sua e per farle sgomberare è intervenuta la Polizia, fermandone qualcuna, sedando pure qualche rissa e spegnendo un paio di piccoli incendi. Molte ragazze in sandali si sono tagliate i piedi sui cocci si bottiglie rotte. La casa di Thessa (questo il suo nome) è stata transennata. Insomma, un disastro.
In linea di massima, sarebbe opportuno limitare le informazioni personali (età, preferenze, link), evitare di usare le applicazioni che vengono direttamente da fèisbuk (Farmville, Baci, Abbracci, MafiaWars, Poker, etc), non accettare l’amicizia di assoluti sconosciuti, non usare per fèisbuk la stessa password dell’e-mail, del conto in banca o di PayPal. Inoltre, sarebbe utile bloccare la chat, limitare la ricerca pubblica ed impedire che gli amici ti inondino di applicazioni cretine e di inviti ad eventi cui non parteciperai mai e poi mai, e loro lo sanno pure, ma ti invitano lo stesso, porca polenta!
La regola aurea che dovrebbe guidarci sarebbe la seguente: “Facebook (l’azienda) è un business e l’unica cosa che cerca è di fare soldi con le nostre informazioni”.
Abbiamo trovato interessante nella sua semplicità, una lettera che già nel 2010 un Senatore del Minnesota – tale Al Franken – ha inviato ai capi di Facebook (l’Azienda) chiedendo loro di adottare migliori politiche di tutela della privacy, in quanto gli inserzionisti pubblicitari (pagando, of course) possono ottenere da Palo Alto informazioni del tipo e-mail, numero di telefono, data di nascita o reddito presunto, semplicemente basandosi sui dati inseriti nelle impostazioni del profilo, ricavandone – con qualche arguzia anche i dati di una carta di credito da clonare. Il pericolo maggiore, però, è quello che corrono i minori, superficiali sulle regole, e ghiotto boccone pubblicitario (e non solo) per le Aziende.
Non ci è sembrata terrorizzante la nota del Senatore, ma circostanziata e piena di buon senso. Per quanto ivi spiegato, però, un certo timore ci è occorso e siamo andate a nascondere ogni dato (data e luogo di nascita, luogo di residenza, e-mail, preferenze sessuali e politiche) che potesse essere in qualche modo usato o incrociato per capire come spremerci meglio come consumatori. O raggirarci addirittura. In una lettera di presentazione agli inserzionisti (svelata dal TIME ma anche il WallStreetJournal ha dedicato una lunga serie di articoli) si legge: “Facebook vi da l’opportunità unica di scovare le persone nei momenti particolari della loro vita, quando sono più sensibili a mostrare interesse nei vostri prodotti o servizi. È uno strumento potentissimo per gli affari, voi riuscirete ad acquisire nuovi clienti nel momento in cui iniziano o finiscono gli studi, si fidanzano, si sposano o si mettono su famiglia, in quei momenti, cioè, in cui sono più predisposti ad avere bisogno dei vostri prodotti. Riuscirete ad identificare esattamente i vostri potenziali consumatori attraverso coordinate demografiche e geografiche ed avere un mirino di precisione attraverso la sezione ‘Interessi e preferenze.’ “  Insomma, ogni click su ‘mi piace’, su post, commenti, foto o pagine, regala un’informazione preziosa alle aziende che acquistano da Facebook possibilità di accedere al data base più grande del mondo. Più chiaro di così.
C’è, però, un risvolto positivo sulla privacy zoppicante di fèisbuk: le indagini di polizia. Funziona benissimo per scovare i delinquenti (che ora usano chat e skype, meno vulnerabili di una SIM telefonica. Tant’è che anche il nostro premier di dispiace di aver dovuto rinunciare al cellulare). La funzione ‘Places’ combinata con GoogleEarth te li localizza come un videogame. Niente appostamenti, niente travestimenti: “Volante Facebook a Volante Twitter, Volante Twitter rispondete!”
Non solo, ma fèisbuk non è poi ritenuto così virtuale come piazza, perché due tizi agli arresti domiciliari (in provincia di Catania) sono stati incriminati di evasione (seppur virtuale) perché da fèisbuk lanciavano invettive contro le Forze dell’Ordine e mantenevano contatti con i loro sodali di delinquenza. Insomma, la vita su fèisbuk è reale, lo sono anche i reati puniti con la galera (vera, mica virtuale).
Poi, c’è stata quella storia in cui il Comune di Bordighera (capito? Bordighera, in Liguria) è stato sciolto per infiltrazioni mafiose. Pare che gli inquirenti avessero – tra l’altro – scoperto che il Sindaco aveva tra gli amici alcuni ‘ndranghetisti di calibro. Voglio capire i teen agers, che accettano quasi chiunque, ma ad un Sindaco di una cittadina del nord gli viene qualche attimo di riflessione se uno che si chiama – che ne so – Cetto Laqualunque gli chiede l’amicizia. O no?
La privacy non esiste più. Anche perché a noi tutti (mica solo ai poliziotti, agli investigatori o agli avvocati divorzisti) piace da matti ‘guardonare’ nelle vite di chiunque e più è facile reperire fatti e notizie più la tecnologia s’ingegna nel diventare ficcanaso.
Una delle ultime trovate del team di Palo Alto (sono prolifici in ambito di diavolerie, quelli) è il riconoscimento automatico dei volti sulle foto postate. Non è l’atto di taggare qualcuno (che è volontario, ma ci si può tranquillamente s-taggare), bensì è la capacità della tecnologia di leggere le foto e -- meglio dell’effebiai -- identificare gli immortalati. Facebook (l’Azienda) proclama che questa è una gran comodità, ma puzza di violazione della privacy. Il fatto è che a Palo Alto si sono intestarditi a tenere abilitate le opzioni di pubblicizzazione delle info per default, mentre sarebbe più corretto tenerle disabilitate e lasciare agli utenti la scelta di ciò che vogliono o non vogliono condividere. Non possiamo farci nulla, il nostro mondo è cambiato ed occorre ripensare alla nozione di privacy. Siamo un po’ tutti diventati come i VIP, costretti loro malgrado a ritrovarsi sui giornali per la loro inevitabile notorietà. Solo che loro -- oltre a ricavarci gloria ed onori -- ne hanno fatto un mestiere peraltro redditizio. Ma noi comuni mortali?
Una voce controcorrente ci è sembrata quella dello stra-famoso sociologo Zygmunt Bauman. Il vate della modernità e della società liquida ci dice che i social media hanno capovolto il concetto di difesa dei diritti individuali fondamentali per l’autonomia dei singoli. “Quello che ci spaventa al giorno d’oggi non è tanto la possibilità del tradimento o della violazione della privacy, quanto il suo opposto, cioè la prospettiva che tutte le vie d’uscita posano venire bloccate. L’area della privacy si trasforma in una specie di carcere”, dove nessuno vuole sentire di noi e della nostra storia, in una condanna al silenzio mediatico. Una vera e propria ‘morte sociale’ attende tutti i resistenti all’entrata nel cyber-mondo.
A proposito di morte. Il TIME ha riportato la storia di due ragazze australiane intrappolate in una tempesta, le quali invece di chiamare la polizia o la protezione civile, hanno postato il loro stato di emergenza su fèisbuk. Sono state rintracciate e salvate. Di converso, abbiamo letto di quel disastro aereo in Patagonia, nel maggio 2011. Il reporter ci informava afflitto che gli inutili soccorsi (tutti morti) sono stati oltremodo complicati in quanto la zona era senza copertura cellulare. Questi episodi indicano due cose fondamentali: a) ormai le giovani generazioni fanno più affidamento ai canali comunicativi offerti dai social media e b) fèisbuk e le comunicazioni cellulari (quando esistono, ma in Patagonia no, evidentemente) funzionano più dei canali tradizionali anche in casi di emergenza.
Vabbe’, ma che ce ne importa, alla fin fine, di queste pippe sulla pràivasi. Quasi quasi vado a vedere le foto del matrimonio che ha postato il cugino della sorella di mio cognato e fare la conoscenza degli invitati. In automatico.
(Capitoli da un best seller ormai introvabile)
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pier-carlo-universe · 13 days ago
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Nel profondo del bosco: il nuovo thriller di Kendra Elliot arriva in Italia.Un'avvincente caccia al tesoro che svela segreti nascosti nelle foreste dell'Oregon. Recensione di Alessandria today
Kendra Elliot, autrice bestseller con oltre 13 milioni di copie vendute, torna a conquistare i lettori italiani con "Nel profondo del bosco", terzo capitolo della serie adrenalinica "Columbia River".
Kendra Elliot, autrice bestseller con oltre 13 milioni di copie vendute, torna a conquistare i lettori italiani con “Nel profondo del bosco”, terzo capitolo della serie adrenalinica “Columbia River”. Pubblicato da Indomitus Publishing il 19 dicembre 2024, questo thriller intreccia suspense, mistero e una dose di romanticismo, ambientato nello scenario suggestivo del Pacifico…
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lamilanomagazine · 8 months ago
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Torino, la Polizia di Stato ha presentato gli "Scrittori in Divisa" al Salone Internazionale del Libro
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Torino, la Polizia di Stato ha presentato gli "Scrittori in Divisa" al Salone Internazionale del Libro La Polizia di Stato ha presentato Venerdì 10 maggio nella seconda giornata al Salone Internazionale del Libro a Torino gli "Scrittori in Divisa" presso lo stand V194 del Padiglione Oval, oltre alle molteplici attività e dimostrazioni offerte dai poliziotti delle Specialità della Polizia di Stato e dalla Questura di Torino. Nel corner di Poliziamoderna si sono tenuti gli incontri con i poliziotti-scrittori, moderati dai redattori del mensile ufficiale della Polizia di Stato, che hanno presentato  le loro opere letterarie. Ieri, lo stand, ha ricevuto la visita del Ministro dell'Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara e il Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, Il programma della giornata:  Alle ore  11:00, si è aperta con  una serie di incontri, una doppia presentazione sul tema della violenza di genere e sono stati  di scena Salvatore Blasco, vice questore in servizio presso il Compartimento polizia stradale Emilia Romagna, con Amore cieco – Diario di un commissario di polizia (le vicende di una violenza domestica con la voce narrante del protagonista, un commissario calabrese della Squadra mobile che svolge le indagini per venire a capo del reato) e Giorgia Piredda, agente in servizio a Milano, che con il racconto parzialmente autobiografico Naufragare dentro te, narra le vicende di una giovane poliziotta alle prese con le testimonianze di donne vittime di violenza e i suoi tentativi per convincerle a denunciare. La sessione pomeridiana si è aperta  alle ore 16:00 con la presentazione di Scacco matto – Il re è morto nuovo romanzo di Rita Cascella, primo dirigente della questura di Treviso, autrice anche di "La stirpe di Ramfis", che vede al centro della storia le vicende del frizzante commissario Beatrice Pergolesi. In questo nuovo caso si interessa a una nuova indagine che coinvolge una campionessa di scacchi. In chiusura, alle ore  17:00, è stata la volta di Raffaele Iacaruso, vice sovrintendente della Scientifica di Novara, per parlare della sua nuova opera Identikit degli invincibili – Il Grande Torino realizzata con i disegni dell'autore fatti con una semplice penna Bic; con i suoi disegni, Iacaruso racconta la leggenda degli "Invincibili" del Grande Torino che si interrompe il 4 maggio 1949 con il tragico incidente aereo sulla collina di Superga del quale quest'anno ricorre il 75° anniversario, ricordato anche ultimamente nella prima tappa del Giro d'Italia, partito dal capoluogo piemontese, il cui tracciato ha previsto proprio un passaggio sul luogo dello schianto. Presso l'area espositiva della Polizia di Stato, è stato  possibile conoscere meglio la graphic novel Il commissario Mascherpa, prodotto editoriale della rivista Poliziamoderna, ormai giunto al sesto volume, Fuoco di Natale, dove il commissario di Diamante dovrà indagare sull'assassinio di un imprenditore freddato con un colpo di Kalashnikov dopo che la sua fabbrica è stata data alle fiamme, un vero e proprio avvertimento di stampo mafioso. Il fumetto, pensato come veicolo educativo di legalità verso i giovani, è anche uno strumento di solidarietà poiché il ricavato della vendita è destinato al Piano Marco Valerio, un progetto nato per dare sostegno concreto alle cure delle malattie pediatriche gravi e croniche dei figli dei dipendenti della Polizia di Stato. Presso lo stand è stato  possibile acquistare i 6 volumi (La Rosa d'argento, Mare Nero, Banditi, Onorata Sanità e Il ritorno dello scorpione e Fuoco di Natale) oltre a Murky Waters e Big Game, volumi editi in lingua inglese.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Milano indaga
Si è appena conclusa l’iniziativa Milano in giallo e noi vogliamo tracciare una sintetica panoramica degli autori più noti. “Milano come Chicago“: titolava così il 29 novembre 1976 la prima pagina de «La Notte», storico giornale milanese poi chiuso negli anni Novanta. Ecco spiegata la moltiplicazione di libri (e film) gialli e, di conseguenza, di ispettori, detective, commissari che hanno popolato e tuttora investigano nella nostra città.
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In realtà la ‘predisposizione’ di Milano ad essere terreno fertile per indagini criminali risale più indietro nel tempo, a quello che è considerato il padre di questo genere letterario, Augusto de Angelis: noto antifascista e giallista in un’epoca in cui il Minculpop aveva disposto il sequestro “di tutti i romanzi gialli in qualunque tempo stampati e ovunque esistenti in vendita”, innamorato di una donna ebrea, incarcerato e poi picchiato da un fascista: morì in seguito alle ferite riportate a soli 56 anni. Il suo eroe, il commissario De Vincenzi, egregiamente interpretato da Paolo Stoppa in una serie di sceneggiati Rai, opera prevalentemente nella nostra città. 
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Forse anche l’atmosfera, soprattutto invernale, fatta di nebbia e cieli plumbei, ha favorito lo sviluppo di questo tipo di letteratura: un misterioso delitto nella caligine notturna di Palestro apre le pagine di Motivo d’allarme di Eric Ambler, ambientato durante gli anni del ventennio. 
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Al dopoguerra si ispira Dario Crapanzano: “Mario Arrigoni, capocomissario di Porta Venezia (che è come dire arcimilanese, meneghino al quadrato), si muove in una Milano impegnata a ricostruire ma non ancora toccata dalla febbre dal boom, dove insieme a fabbriche e uffici riaprono anche i teatri, come il Piccolo di Strehler; dove le auto sono poche e ci si sposta in tramvai, tutt’al più in Vespa; dove brunch e happy hour non sono stati ancora inventati e al massimo nelle fumose osterie si può mangiare un panino, anzi, un ‘sanguis’, traslitterazione milanese della parola sandwich”. 
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Dal dopoguerra la città si è ingrandita a dismisura, la periferia “ha fagocitato cascine, campi coltivati e borghi storici, e si è ritrovata, senza rendersene conto, una metropoli” (così scrive Michele Turazzi nell’utile volumetto Milano di carta). Sono gli anni del boom economico “di una società approdata al consumismo senza aver davvero capito di essere uscita dalla povertà”, e l’equazione ricchezza = criminalità dà i suoi risultati nella cronaca nera come nelle pagine dei romanzi gialli. Dalla vecchia ligera locale “malavita estrosa e un po’ scalcagnata” che quasi mai uccideva (quella cantata da Jannacci e Gaber, per intenderci) si passa alla delinquenza efferata con cui si trova a combattere l’investigatore Duca Lamberti (protagonista anche di alcuni film) creato dalla veloce penna di Giorgio Scerbanenco. Sono gli anni della famigerata ‘banda Cavallero’ (che ha ispirato il film di Lizzani Banditi a Milano, con Gian Maria Volonté), di Francis Turatello e di Vallanzasca.
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La mala degli anni ’60-70 è descritta da Paolo Roversi in Milano criminale, prequel di Solo il tempo di morire, ambientato tra il 1972 e il 1984, ancora prima della cosiddetta ‘Milano da bere’.
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Al 1978 risale il l’esordio di Renato Olivieri. Ecco come Andrea Camilleri (nella prefazione di Il romanzo poliziesco di Yves Reuter) descrive il suo eroe: “Il commissario Giulio Ambrosio, innamorato stendhalianamente della sua Milano, è un uomo colto, dalle abitudini borghesi, sostanzialmente malinconico”. Ricordiamo anche il bellissimo film I giorni del commissario Ambrosio con Ugo Tognazzi.
“Ma l’eredità maggiore di Scerbanenco si ritrova in tutti quei commissari, vicequestori e detective improvvisati che hanno invaso gli scaffali delle librerie nell’ultimo mezzo secolo, rendendo Milano la città d’elezione per le indagini letterarie nel nostro Paese. Questi investigatori agiscono ovunque, in qualsiasi quartiere di una città che, dal punto di vista del crimine, non conosce pace”. 
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È la Milano degli anni Ottanta quella di Piero Colaprico, il giornalista che ha coniato il termine ‘tangentopoli’ (la sua esperienza in tema di criminalità milanese gli ha dettato il saggio di recente pubblicazione Manager calibro 9), nonché padre, insieme a Pietro Valpreda, del maresciallo Binda “un investigatore che si inserisce perfettamente nella tradizione del giallo. Classico per la meticolosità dei suoi ragionamenti, moderno per la sua abilità nel districarsi nei vari strati sociali di una Milano colma di divergenze, Binda risulta un personaggio con il quale non si può non simpatizzare. Padre e marito modello, imperturbabile, ma con un profondo lato malinconico, quasi dark, che bilancia una certa dose di sana ironia. Un anziano ex carabiniere che vive una seconda giovinezza proprio grazie all’attività di investigatore privato”. 
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Si tratta di un vero proliferare (cui si può offrire solo un rapido cenno), che non sembra attenuarsi, forse perché la narrativa è più vera e accattivante se agganciata al territorio, e la Milano buia, nebbiosa, tentacolare, sovrappopolata ben si presta ad un immaginario di tipo poliziesco. 
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I più recenti: Il mistero di Chinatown di Mario Mazzanti, la prima indagine dell’anatomopatologo Tommy Davis e dell’amico Gualtiero Abisso; La disciplina di Penelope di Gianrico Carofiglio: “La protagonista, brillante magistrato dei tempi che furono, è impegnata in un’investigazione tra le vie di Milano, avvolta nei ricordi e in un intrico da svelare”; a proposito di nebbia, è appena uscito Una giornata di nebbia a Milano di Enrico Vanzina: “È una giornata di nebbia a Milano, una di quelle che sembravano non esistere più, come se fosse uscita da un romanzo di un altro tempo, da una ballata di giorni lontani. Luca Restelli sta andando al giornale per cui lavora, per le pagine di cultura, quelle che non considera nessuno. Non ha ancora quarant’anni, ma anche i suoi gusti sono ‘passati’, come la nebbia di quella mattina: vive di riferimenti letterari e cinematografici, tra insicurezze e un po’ di superbo disprezzo per il mondo indolente e arrivista che lo circonda. All’improvviso arriva una notizia, un omicidio in Corso Vercelli, un uomo è stato ucciso con un colpo di pistola, è stata arrestata una donna. Restelli si propone, la cronaca nera gli è sempre piaciuta. Dopo aver raccontato la città eterna, Vanzina racconta l’altra capitale italiana. Il risultato è un giallo straordinario, elegante, irriverente, geniale e inaspettato”; Nella luce di un’alba più fredda di Hans Tuzzi: nuove indagini per il commissario Norberto Melis; Un colpo al cuore di Piergiorgio Pulixi, ambientato tra la Sardegna e Milano è la storia di “un serial killer che ha deciso di riparare i torti del sistema giudiziario”; e poi le indagini del commissario Caronte di Alessandro Reali. 
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Ambientato sempre a Milano (ma questa volta in estate!) l’ultimo bestseller di Alessandro Robecchi, Flora, di cui abbiamo già parlato: “Storia di un Pigmalione ai tempi della televisione che cerca di convertire la sua pupilla e le masse al culto della poesia, tramite il toccante esempio del surrealista Robert Desnos. Storia di un rapimento sui generis in cui il lettore è dalla parte dei malviventi, e ben presto lo sarà anche la vittima. Scritto in piena pandemia, ne riporta qualche velata eco”.
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Addirittura una magliaia è stata promossa all’invidiabile ruolo di investigatrice: si tratta di Delia, la protagonista dei gialli di Mauro Biagini.
Come dice Turazzi, “la lista è quasi inesauribile”. Per la fortuna di noi appassionati lettori, ci viene da aggiungere...
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abatelunare · 7 years ago
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Di cani pavidi e ingordi
Fra le innumerevoli serie animate che vedonono quale protagonista il pavido e ingordo cane Scooby-Doo, direi che Scooby-Doo! Mystery Incorporated è la più assurda. Si compone di due sole stagioni di ventisei episodi ciascuna. Ed è concepita come uno sceneggiato. A fare da filo rosso che unisce le varie avventure c'è un mistero legato a Crystal Cove, la città dove sono nati e vivono i cinque protagonisti. Lo schema degli episodi è sempre lo stesso: presunto mistero sovrannaturale da risolvere, raccolta degli indizi, spiegazione razionale del mistero. A cambiare, rispetto alle altre serie, è la cornice narrativa in cui sono collocate le varie indagini, e l'interazione fra i protagonisti. Disegno e animazione sono sicuramente buone. E non mancano i siparietti comici ad alleggerire i vari momenti di tensione. Peccato l'inverosimiglianza della vicenda - questa volta sì soprannaturale - che percorre sotterranea - in molto sensi Scooby-Doo! Mystery Incorporated. Gli autori disseminano qua e là numerose citazioni, soprattutto televisive (Twin Peaks in testa) e letterarie (Howard Phillps Lovecraft e Harlan Ellison su tutti). E tirano in ballo la leggenda di Nimiru, il dodicesimo pianeta del sistema solare. (Chi volesse saperne di più potrebbe leggersi i saggi di Zecharia Sitchin). Nel complesso, la serie è gradevole. Ma trovo che la narrazione sia eccessivamente intricata e peschi da troppe fonti. Tanto che si capisce come a un certo punto non abbiano più saputo come concluderla in modo sensato (il finale è fra i più deludenti e banali). Poi c'è anche da dire che io sono indissolubilmente legato ai cartoni animati della mia infanzia. E rimango scettico davanti alle varie riattualizzazioni, sequel o quel che siano. Mi piace ricordarle come erano. Non come sono diventate.
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istruzionedigitale2020 · 5 years ago
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Addio Project Gutenberg?
Se cercate il termine istruzione sul vocabolario capirete che non si tratta solo dell’insegnamento scolastico e questo è il presupposto da cui parte questo post, perché molto spesso, e vale anche da settembre a giugno, tutto parte da un libro. Ora basta aggiungerci affianco l’aggettivo “elettronico” o, ancora meglio, “digitale” e capirete di cosa voglio parlare qui.
Ecco, quello che oggigiorno conosciamo quasi tutti come “ebook” nasce quasi 50 anni fa grazie ad uno scrittore e informatico americano di nome Michael Hart. Egli è stato il fondatore del cosiddetto Project Gutenberg (PG) che, se non sapete di cosa si tratti, è stata la prima iniziativa di biblioteca online completamente gratuita che mira a “rompere le barriere dell'ignoranza e dell'analfabetismo” attraverso una collezione di oltre 60 mila testi per la maggior parte di dominio pubblico (non coperti o decaduti dai vincoli del diritto d’autore), condivisi come file di testo ma anche in altri formati quali HTML, EPUB e Plucker. Una piccola curiosità: il primo ebook caricato è stato la Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti, digitata parola per parola dallo stesso Hart che ne aveva una copia nello zainetto. Da allora volontari da tutto il mondo si unirono a questo progetto.
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Project Gutenberg logo - Fonte: Wikimedia Commons - Autore: Dianakc
Tuttavia, non ho intenzione di dilungarmi troppo su noiosi aneddoti storici poiché, per quanto possa sembrare contraddittorio visto quanto scritto finora, voglio parlare di “attualità”. Sì, attualità, perché il sito del “Progetto Gutenberg” è stato posto sotto sequestro preventivo e oscurato a maggio 2020 dalla Guardia di Finanza in seguito a una disposizione del Tribunale di Roma in merito alle indagini preliminari sui canali Telegram che diffondevano domini contenenti materiale editoriale piratato. E ad oggi, il sito del progetto è ancora irraggiungibile in tutt’Italia. La notizia è riportata da diversi quotidiani quali La Stampa e La Repubblica. Rincresce perciò sapere che questa biblioteca virtuale creata senza scopi di lucro e nel rispetto del copyright sia ora inaccessibile. Dalla sua creazione Project Gutenberg rilascia infatti opere letterarie storicamente significative e di riferimento mondiale: da Omero a Shakespeare, dalla Bibbia a Thomas Hardy. E non solo in lingua inglese! Per quanto limitate, ci sono collezioni di testi anche in italiano (tra cui la Divina Commedia), in francese, in tedesco ed altro ancora.
Non si impara solo a scuola o all'università, ma anche leggendo, per questo Project Gutenberg, attraverso la vastità di grandi classici e altri libri che offre, è una risorsa importante per tutti, studenti e non. L’augurio è quello che il sito venga “scagionato” al più presto e che non ne venga danneggiato.
In attesa di nuovi aggiornamenti ricordiamoci però una cosa che abbiamo capito soprattutto in questo periodo (grazie Covid-19!): esistono sempre molte opportunità specialmente online per imparare.
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Schermate di una libreria - Fonte: Pixabay - Autore: geralt
Irene Bortolossi
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