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F. Montefredini (1881) su La ginestra
Leopardi rinnega tutto, finanche la filosofia propriamente detta, perchè non crede che il nostro pensiere abbia il potere di scoprire i veri universali, ma soltanto di scrutare a posteriori ciò che si attiene più strettamente all'esser nostro, escluso lo scopo finale che ci è chiuso; di cercar non le cause, ma gli effetti della nostra esistenza; e nonpertanto, nel suo modo di vedere tutto sperimentale e pessimista, ammettendo la coscienza e l'intelligenza del nostro misero stato, ne deduce la conseguenza del dovere che hanno gli uomini di stringersi e amare fra loro. Il trionfo di questo sentimento è tanto più intero in quanto sopravvive solo in lui alla morte d'ogni altro sentimento e d'ogni altra credenza.
Tutte le credenze son fole per lui, sia che le annunzii un profeta, sia un filosofo.
La filosofia, quella che discorre per le generali e pretende varcare i limiti dell'esperienza de' fatti, è tanto vana per lui quanto la religione. Il nostro pensiero deve arrestarsi innanzi al mistero universale, non cercare di trovarne la causa nè la spiegazione. Unico conforto, unico bene è l'amore e la carità. Così torna là ond'era partito, facendo del sentimento il solo bene e solo vero consolante dell'esistenza, il sentimento elevato alla sua più pura altezza della carità.
Ma dubito che questa nuova religione della carità elevata a legge generale possa mettere salde radici; dubito che per i più possa aver forza di religione una verità che, se bene tanto evidente, pure è priva del carattere e di una sanzione che gli uomini credono divina, priva sopratutto dell'esca di un premio eterno e del terrore, che è più efficace, d'una eterna pena. Le verità naturali, i magnanimi sentimenti sono stati sempre patrimonio di pochi. Resta il problema se nell'avvenire possano divenire il patrimonio de' più. Ma di questo avvenire non appare ancora indizio. Oggi si vive a un di presso come si è sempre vissuto.
Si fanno anch'oggi guerre atroci come e più che nel passato.
#critica letteraria#d'antan#inattualità#attualità#guerra#amore#1881#ardua religione#fine ultimo#indeterminismo
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Sui vantaggi di non essere ascoltati
Inattuale è innanzitutto quella parola che si rivolge a un pubblico che in nessun caso potrà riceverla. Ma proprio questo definisce il suo rango. Se un libro che si rivolge solo ai suoi lettori deputati è poco interessante e non sopravvive al pubblico cui era diretto, il prezzo di un’opera si misura invece proprio dalla temerarietà con cui interpella coloro che non potranno accettarla. Profezia è il nome di questa speciale temerarietà, destinata a restare inaudita e illeggibile. Ciò non significa che essa conti di essere un giorno – per ora lontano – riconosciuta: un’opera resta viva solo finché vi sono lettori che non possono accettarla. La canonizzazione, che rende obbligatoria la sua accettazione, è infatti la forma per eccellenza del suo deperimento. Solo in quanto mantiene nel tempo una parte di inattualità l’opera può trovare i suoi autentici lettori, cioè quelli che dovranno scontare l’indifferenza o l’avversione degli altri.
L’arte della scrittura non consiste perciò soltanto, com’è stato suggerito, nel dissimulare o lasciare non dette le verità a cui si tiene maggiormente, quanto innanzitutto nella capacità di selezionare il pubblico che non vorrà riceverle. Va da sé che questa selezione non è il frutto di un calcolo o di un progetto, ma solo di una lingua che non concede nulla all’attualità – cioè alle regole che definiscono ciò che si può dire e il modo in cui dirlo. Che sia limpida e ferma – o, come spesso avviene, oscura e balbettante – profetica è in ogni caso quella parola, la cui efficacia è precisamente funzione del suo restare inascoltata.
Giorgio Agamben
13 ottobre 2023
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Verona: Martedì sera al Camploy la poesia di Andrea Zanzotto ispira il Teatro della compagnia Anagoor in 'ECLOGA XI'
Verona: Martedì sera al Camploy la poesia di Andrea Zanzotto ispira il Teatro della compagnia Anagoor in 'ECLOGA XI'. Martedì 27 febbraio, alle 20.45 al Teatro Camploy, la Compagnia Anagoor torna in scena con un progetto teatrale dal linguaggio raffinato ispirato dalla poesia di Andrea Zanzotto. Il Gruppo nella sua produzione artistica è da sempre impegnato a osservare la storia dalla periferia, il rapporto con la tradizione, con la sofferenza per la devastazione e la tenacia nel rinnovare la fiamma di arti solo apparentemente inascoltate, che emerge con forza in questo nuovo incontro con la parola poetica di Andrea Zanzotto con cui condivido il profondo sentire. Lo spettacolo Ecloga XI, dal linguaggio affascinante e ricco di contaminazioni, caratteristiche artistiche del gruppo, parte dai testi del poeta di Pieve di Soligo per far emergere la relazione tra politica, lingua, ambiente naturale e paesaggio attraverso linguaggi diversi, da quelli visivi alla poesia appunto, per raccontare il reale e le sue fratture. Il titolo di questo lavoro allude alla raccolta di versi "IX Ecloghe" che Andrea Zanzotto pubblicò nel 1962. Il poeta sceglieva per modestia di stare un passo indietro a Virgilio e alle dieci ecloghe delle Bucoliche. Il sottotitolo 'un omaggio presuntuoso alla grande ombra di Andrea Zanzotto', richiama quanto Zanzotto stesso fece con Virgilio. Non è un gioco di parole, ma la descrizione perfetta di una relazione complessa e vitale con una tradizione precedente, che stavolta Anagoor intraprende con il poeta di Pieve di Soligo, per realizzare il nuovo spettacolo. Muovendosi tra tecnologia, video e teatro, Anagoor, il pluripremiato collettivo italiano, vincitore del Leone d'Argento per il Teatro alla Biennale Teatro 2018 e di numerosi altri premi in Italia e all'estero, si confronta da anni e con ostinata, ricercata inattualità, con grandi maestri del passato, da Giorgione a Virgilio, fino appunto al poeta Zanzotto. Un lavoro profondo che tra simboli e archetipi conduce a una memoria culturale collettiva. Non solo teatro. In occasione dello spettacolo sarà possibile approfittare di altri due appuntamenti. 'La tragedia della specie'. Installazione video a cura di Anagoor presso Il Meccanico - Grenze Arsenali Fotografici in Via S. Vitale, 2/B, (37129, Verona). Giornate di apertura e orari: 27 febbraio 19 - 20; 2 – 3 marzo ore 10 – 12 e 16 – 19. L'ingresso è gratuito. 'Todos los males' . Esordio cinematografico della compagnia Anagoor (Leone d'argento alla La Biennale di Venezia Teatro 2018) nato da una messinscena dell'opera Gli Inca del Perù di Jean Philippe Rameau per la SAGRA MUSICALE MALATESTIANA di Rimini. Alla proiezione seguirà un incontro con il regista Simone Derai, moderato dal Circolo del Cinema, cui interverranno il docente di lettere Università degli Studi di Verona Massimo Natale e Stefano Soardo, musicista, compositore e Direttore musicale di Fucina. Martedì 5 marzo alle ore 20.45 al Teatro Fucina Machiavelli (ex Mazziano, via Madonna del Terraglio 10 Verona) Biglietti in prevendita: http://www.fucinaculturalemachiavelli.com/.../todos-los.../ Ecloga XI: testi di Andrea Zanzotto con Leda Kreider e Marco Menegoni. Musiche e sound design Mauro Martinuz, drammaturgia Simone Derai, Lisa Gasparotto, regia, scene, luci Simone Dearai con il sostegno di MiC e Regione Emilia-Romagna. Informazioni. Programma completo sul sito www.spettacoloverona.it sulla pagina facebook L'Altro Teatro Verona, sul profilo Instagram L'Altro Teatro Verona.Camploy. Biglietti disponibili da Box Office Verona - via Pallone 16 - tel. 045 80 11 154. Biglietti online disponibili sui circuiti: www.boxol.it/, http://www.boxofficelive.it e www.myarteven.it Il botteghino del Teatro Camploy sarà aperto la sera dello spettacolo a partire dalle ore 20 per l'acquisto dei biglietti.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Venerdì santo: io, feto adulto, mi aggiro più moderna di ogni moderno a pregare dall'orlo postremo di questa età sepolta. La disperata inattualità del Golgota.
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L’articolo che ho scritto per la rivista filosofica Logoi.ph sul numero che si occupa dell’Inattualità, da Nietszche a noi.
#mariapalmieri#maria palmieri#photography#photographer#philosophy#logoi.ph#inattualità#nietzsche#deleuze#sontag
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ripenso spesso (e mi sento spesso come) quella volta che un giorno in cucina con mia madre parlando del mio problema con la depressione lei mi disse che sono io a non voler affrontare la vita perché è più facile darsi per malata e chiudersi in casa che vivere e io dovetti lottare con ogni cellula del mio corpo per resistere alla tentazione di urlare che la depressione mi fa pensare ogni giorno alla morte perché a. non avrebbe capito, b. la cosa l’avrebbe distrutta, c. non avrebbe capito ma l’avrebbe comunque distrutta e quindi rimasi in silenzio e le lasciai credere che aveva ragione e tuttora quando mi capitano ancora crisi di pianto mi rimbombano nella testa le sue parole e mi ritrovo, di nuovo, a lottare ma stavolta per perdonarla anche se lei non pensa di aver detto nulla di sbagliato.
io mi sforzo così tanto per far stare bene gli altri e sacrifico così spesso la mia serenità e la mia salute per garantirmi che le persone che amo non siano ferite in nessun modo, nemmeno da loro stesse, che mi faccio pena. e purtroppo rimango un essere umano con dei bisogni emotivi da soddisfare per il proprio tornaconto, per puro egoismo, e credo sia proprio per questi sacrifici costanti che una piccola, minuscola parte di me sa che da qualche parte sto raccogliendo rancore. e forse è questo piccolo mucchietto di rancore a parlare quando nei momenti in cui sto peggio mi ritrovo a idealizzare il pensiero della morte solo per il piacere che provo nell’immaginare la sofferenza degli altri. mi dà un piacere che può esistere solo nella mia immaginazione perché so che non si concretizzerà mai e so che non è un piacere vero e proprio ma ci sono momenti in cui me lo concedo lo stesso. è un po’ come se mi dicessi sai che c’è, te lo meriti. eccoti questo piacere insulso, rintanati nella tua testa e godi di queste sensazioni che non sentirai mai realmente. godi della loro inattualità, sono tue e solo tue. sono tutte tue.
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Perché quattro?”, domando. “Perché loro si muovevano in squadra . Bravo: si emarginarono loro, non si lasciarono emarginare dagli eventi; e non cercarono di piazzare socialmente la loro libertà impossibile, la loro inattualità: di farcisi una poltrona, magari una poltrona di salotto. Non giocarono alla diversità: erano diversi. Chi apprezza più oggi il lusso dell’autoemarginazione?”. Insomma, tu pensi che questi quattro”, suggerisco, “fossero, più o meno, degli aristocratici”. “Certo. Sennò, come facevano a essere rivoluzionari? Vorrei chiarire che in questi uomini eccezionali la disillusione viene da molto prima. Sapevano da prima che la rivoluzione, in un modo o nell’altro, si sarebbe impietrita perché ogni società ‘rivoluzionata’ cessa a un certo punto, per forza, di essere ‘rivoluzionante’. Eppure loro si muovono con la rivoluzione, perché l’incendio che divampa li illumina; e siccome sono sempre in ansia della propria perfezione, accettano subito l’impegno totale: abitare la battaglia.
#gliaudaci #carmelobene
#robertonicolettiballatibonaffini #liberopensiero #ribelli #filosofia #teatro #musketeers #rebels #politica
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Sulla Contemporaneità
Stonare nel proprio tempo
Quella che propongo è una breve e modesta riflessione sul concetto di contemporaneità, a partire dalla lettura di un intervento di Giorgio Agamben all’università IUAV di Venezia nel 2006.
“Che cos’è il contemporaneo e di chi e di che cosa siamo contemporanei?”
Questo è l’interrogativo, o forse anche la provocazione, da cui inizia l’intervento in questione. Tutt’altro che semplice è pensare ad una possibile risposta. Cosa significa il termine contemporaneo, o meglio, cosa significa tale parola a livello pratico-filosofico? È chiaro che l’utilizzo di tale aggettivo allude a qualcosa che ha in comune con un’altra il medesimo periodo storico: due politici del ‘900; alcuni artisti del ‘400. Oppure ci si può riferire a due eventi che accadono simultaneamente, contemporaneamente appunto. Ma al di là delle comuni definizioni, come ci rapportiamo a tale concetto? Cosa ha chiesto Agamben agli studenti che aveva di fronte?
Egli cita Nietzsche, e le sue Considerazioni intempestive, dalle quali, dice, si denota l’atto con cui l’autore tedesco si distacca dal suo tempo, criticando il male di cui la sua epoca va orgogliosa, ossia la cultura storica a cui è legata. Si tratta di una posizione di inattualità che si sfasa rispetto al tempo a cui appartiene, ed è questo che fa, sottolinea Agamben, il contemporaneo:
“Egli è capace più degli altri a percepire e afferrare il suo tempo”
Una nuova domanda a questo punto sorge spontanea: siamo tutti capaci di essere contemporanei? Il concetto così interpretato si fonda su una relazione del tutto singolare con il proprio tempo storico: una relazione anacronistica o sfasata.
Voglio continuare riagganciandomi a Nietzsche, citando però stavolta un passo di un’altra sua celebre opera, che è Al di là del bene e del male:
“Sono sempre più indotto a credere che il filosofo come uomo necessario del domani o del dopodomani si sia trovato in ogni tempo in contraddizione con il suo oggi”
Ecco forse uno spunto per un’interpretazione più contestualizzabile della contemporaneità, quale entità in rapporto idiosincratico con l’uomo-filosofo, che appartiene al domani e al dopodomani, ma stona con il suo tempo. È necessario un presupposto di terzietà, per accedere e comprendere la contemporaneità: un soggetto che si stacca dal suo tempo per diventare giudice di esso.
Non è però il mio intento addentrarmi in una riflessione puramente filosofica dell’argomento in questione. Ciò non toglie lo spazio ad un ulteriore è più specifico quesito: cosa vuol dire essere contemporanei nel 2022? Sorge consequenzialmente un’altra domanda: cosa comporta essere contemporanei nel 2022?
Oggi tale termine assume un’accezione sicuramente più coercitiva: diciamocelo chiaramente, se non sei al passo coi tempi sei fuori dai giochi. Ancora, se non disponi di un profilo social non sei connesso, e quindi vieni automaticamente tagliato fuori dalla grande piazza del sociale, meglio detta community; se non prendi parte di un movimento dal nome preceduto da un asterisco, non sei politicamente attivo; se avvalori e difendi una tradizione potresti essere accusato di conservatorismo, o addirittura di colonialismo o fascismo, perché ultimamente i paroloni decontestualizzati riempiono d’orgoglio chi ne fa un’arma. Ovviamente non si può nemmeno fare di tutta l’erba un fascio, ma è chiaro che in questo specifico momento storico, non servirsi degli strumenti che la contemporaneità ti offre o che spesso ti impone comporta un bello svantaggio. Per riprendere Agamben, essere contemporanei significa assumere una posizione di distacco critico rispetto all’epoca a cui si appartiene. Ciò implica assumersi però il rischio di rimanere tagliati fuori, ed è lecito a questo punto chiedersi se ne valga davvero la pena.
Emergono da questo sviluppo due concezioni di uomo contemporaneo, e chiedo venia per l’ennesima ripetizione: una più frivola e quotidiana, dettata dalla società attuale, che associa il contemporaneo a colui che è al passo in quanto assiduo fruitore dei mezzi che l’oggi ci mette a disposizione; l’altra, più sottile e meno immediata, figlia di una maggiore consapevolezza della capacità critica dell’uomo in quanto filosofo, ad oggi purtroppo un po’ demodé.
Fonti:
Giorgio Agamben - Che cos’è il contemporaneo?
Friedrich Nietzsche - Al di là del bene e del male
Tommaso Mosole
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Italian girl 1923 André Derain (1880–1954) L’italiana di Derain è molto più del ritratto di una contadina. Il paesaggio idealizzato – poco più che due fasce colorate – e l’abito tradizionale della donna – ormai già desueto all’epoca del dipinto – trasformano il soggetto apparentemente ordinario in qualcosa di trascendente, proprio in virtù della sua estrema inattualità. Così la semplice contadina viene elevata a rappresentante di un intero popolo e diventa incarnazione della tradizione che va oltre le epoche. Valerio Poltrini
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ZIZEC - Inattualità
ZIZEC – Inattualità
Quando Mao parla delle «contraddizioni», usa il termine nel senso semplice di lotta degli opposti, di antagonismi sociali e naturali, non nel senso prettamente dialettico articolato da Hegel. La teoria maoista delle contraddizioni può essere riassunta in quattro punti. Per prima cosa, una contraddizione specifica è quanto definisce principalmente una cosa, rendendola quel che è: non è un errore,…
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Da subito ascoltare Quaderni Di Zoologia Imperfetta è come entrare in un mondo misterioso, luogo immaginifico di sorprese, drammaturgia di un teatro musicale dove si muovono suoni/personaggi seguendo un’apparente sceneggiatura senza capo né coda, ma che alla fine ti lascia un senso compiuto, una coerenza etica ed estetica, come la voglia di tornarci per godere di qualche dettaglio che ti sei perso. Francesco Massaro gioca su quell’imperfezione, lo scarto che sta tra scienza e mito, verità e leggenda, che gli concede la criptozoologia: lì trova quella libertà, quell’energia che permette al suo Bestiario di muoversi come un organismo vitale.
La formazione è nata nel 2015 sulla spinta progettuale e ideale del compianto Gianni Lenoci, mentore di Massaro. Dopo Bestiario Marino e Meccanismi Di Volo l’indagine sul mondo animale continua, ma è subito evidente che suoni come pretesto, lente d’ingrandimento su una contemporaneità complessa e destabilizzante. Attraverso l’animale probabile, vero o fantastico che sia, si prova ad indagare l’uomo d’oggi in due tracce temporalmente sbilanciate, una lunga, l’altra breve, ma parti di una stessa visione. La strada è quella di una libertà espressiva totale ma con periodici approdi ad isole free dove la formazione si ritrova a condividere collettivi ritmicamente marcati e definiti. I flauti di Mariasole De Pascali, la chitarra elettrica di Adolfo La Volpe, le percussioni di Michele Ciccimarra, immersi nel pulviscolo di un’elettronica coerente con il contesto spaziale, non risultano certo dei comprimari, sviluppano un costante e movimentato accavallarsi di idee-suono ora ancestrali, ora radicali. Massaro con le sue ance è affascinato dall’improvvisazione libera, ama timbri netti, ma esprime anche la necessità di definire il contesto creativo con partiture grafiche, come segni tangibili della poetica della formazione. Emerge a tratti come un fantasma sullo sfondo di Quaderni Di Zoologia Imperfetta la voce del poeta Nazim Comunale, parole che volano via, tornano, ampliano il carattere onirico del lavoro, danno spessore alla stratificazione sonora. In definitiva si potrebbe affermare che la forza di Massaro, della sua filosofia musicale che si muove tra libertà, visioni e i romanticismi di un free ampiamente storicizzato, sia quella della sua inattualità. L’essere fuori dai giochi stilistici, uno spiazzante inclassificabile, un grande merito in un panorama fin troppo rassicurante.
(Paolo Carradori)
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«Dedico questo libro ai mani d'Apollonio di Tiana, contemporaneo di Cristo, e a quanto può restare d'Illuminati autentici in questo mondo che se ne va. E per sottolineare la sua inattualità profonda, il suo spiritualismo, la sua inutilità, lo dedico alla anarchia e alla guerra per questo mondo. Lo dedico infine agli Antenati, agli Eroi nel senso antico e ai mani dei Grandi Morti.» (Antonin Artaud, Eliogabalo o l’anarchico incoronato)
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Campagner
di Luigi Campagner, ilsussidiario.net, 27 marzo 2017 Sergio Staino lo ha detto in pubblico, facendo sorridere anche l’interessato, solitamente impassibile, che le vignette di Altan, sono filosofiche, sganciate da un debito immediato alla cronaca. Ed è in forza della loro apparente inattualità che restano poi così attuali. Che si tratti del dilemma interiore di una delle sue donne opulente e…
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Siamo sinceri: parte del fascino della Commedia risiede nella sua inattualità. L’impostazione culturale di Dante è totalmente diversa dalla nostra, per forza di cose, e questo ci affascina. Ma quando Martina si è ritrovato a scrivere la sua parodia, questo si è rivelato essere un problema. Come inserire gli eretici nel suo Inferno? La soluzione è abbastanza… radicale: gli eretici non ci sono. Al loro posto troviamo, puniti esattamente nello stesso modo, gli “infiammabili”, le persone eccessivamente irascibili. Questo Canto, quindi, diventa un naturale prolungamento dell’ottavo (non a caso il nono Canto è quasi totalmente tagliato). L’irascibile per eccellenza, ovviamente, è Paperino. Per placare la sua ira, Topolino e Pippo adottano un altro metodo abbastanza… radicale: chiuderlo a forza in una delle arche in fiamme di quel girone. Viva l’amicizia.
Dieci orrori brutali dall'Inferno di Topolino | Ventenni Paperoni
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“La bellezza di qualcosa che sta per scomparire, ma a cui si crede ciecamente”: per Arnaldo Colasanti l’esercizio critico mette in gioco tutto (sul libro dedicato a Magrelli)
Dopo il silenzio con cui è stato accolto quello precedente sulla poesia di Damiani (La vita comune, Melville 2018), credo che se un libro di critica fondamentale come quello di Arnaldo Colasanti su Valerio Magrelli, Polittico del sangue amaro, Quodlibet, analisi di una sezione del libro Il sangue amaro, passi di nuovo inosservato sia dovuto alla sua inattualità. Infatti bisogna partire da una certezza: per Colasanti conoscenza e vita sono inseparabili, perché la vera vita è quella della mente, di un pensiero in continuo movimento, il che non vuol dire che si muova in uno spazio irenico, ma, al contrario, diventi il luogo dove tutte le accidentalità della vita, l’amara o dolce contingenza che ci modella, conoscenza e vita sono il dato inevitabile originario da cui le parole nascono e a cui ritornano per dargli un senso.
C’è qualcosa di antico nella critica di Colasanti, e non certo per i rimandi culturali: è il senso di trovarsi alla fine di un’epoca, di dover costruire una summa che ha il nitore e la bellezza di qualcosa che sta per scomparire, ma a cui si crede ancora ciecamente, la sua critica potrebbe essere quello di un Porfirio dei nostri tempi: tenere unito il mondo con un sapere commovente, leggere nell’antro delle ninfe un tesoro formato dalle possibilità di comprendere il mondo con tutta la conoscenza possibile, perché quel luogo non esiste, ma va costruito pur nella sua inevitabile precarietà.
Per questo in tutti i suoi libri, quello di Colasanti non è un pensiero definito che precede e cerca conferme nei testi, ma un lavoro che ogni volta ricomincia da capo, muovendosi sulle tracce che ogni autore lascia. Coinvolgere la propria vita nell’esercizio critico è per Colasanti mettere in campo e in gioco tutto ciò che può pensare, mettere in moto una memoria che si collega al presente, e così aprire varchi nel tempo, dare una speranza al futuro. La sua è una erudizione alle volte accanita e disorientante che vuole spiegare perché la poesia è ‘sincera’, penetrando nelle pieghe dei versi, nel sommo artificio di una lingua che si spoglia e si mostra nella sua povertà di fronte al mondo, così come il pensiero che l’ha assediata si placa nella realizzazione di un mosaico che non potrà essere ripetuto.
Se la vita ha un mistero, una sacralità in ciò che non può essere detto, è solo perché l’indicibile è una conquista, la cima raggiunta di un pensiero, non un dono iniziatico, una gnosi indimostrabile, insomma un dilettantismo. E l’indicibile non è l’assoluto, ma la verità: una verità che si declina nei tempi, nelle vite di ognuno e non rimane mai simile a se stessa come il pensiero conduce ed è condotto dai versi.
Da qualche parte Gilson affermava che per raggiungere la verità nella nostra esistenza la vita dovrebbe essere qualcosa di diverso da un debutto: credo che l’opera di Colasanti sia ogni volta lo stupore e l’inevitabile delusione di questo debutto: sia il sogno della vita: le meravigliose corse nel corridoio di Nataša in Guerra e pace.
Non ho parlato del libro in questione: vi si troverà un Valerio Magrelli assai diverso dalla vulgata: Bastino le parole iniziali: “Tutto il male del mondo non è il disordine delle cose, ma il contrario: è l’opprimente ordine che le cose assumono e attraverso cui le cose si dispiegano e sono viste, diventano uno sguardo. La grande devastazione dell’opera di Valerio Magrelli è questo ordine in cui la vita viene definita. Cosa mai possa essere il disordine non è possibile dirlo. Il disordine esprime sempre la vita, eppure, tutto questo, non sa mai come dirlo”.
Paolo Del Colle
L'articolo “La bellezza di qualcosa che sta per scomparire, ma a cui si crede ciecamente”: per Arnaldo Colasanti l’esercizio critico mette in gioco tutto (sul libro dedicato a Magrelli) proviene da Pangea.
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