#guida veloce
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Perché guida veloce, guida sportiva e marketing delle prestazioni sono pericolose e criminogene
La guida sportiva è pericolosa, diseducativa, pericolosamente esaltata nei mezzi di comunicazione di massa e nello sport, con al massimo qualche ipocrita raccomandazione a guidare responsabilmente. La guida sportiva e il marketing delle auto sportive sono responsabili di milioni di morti, letteralmente. Ogni anno nel mondo ci sono circa 1,3 milioni di morti per incidenti stradali, con diverse…
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Bologna, agosto 1980
Le nostre vacanze di quell'estate 1980, in Austria, finirono troppo presto e per colpa mia.
Avevo parcheggiato il camper (in realtà, un vecchio furgone 238 Fiat riadattato dal propretario) in un silo piuttosto distante dal Kunsthistorisches Museum di Vienna, mèta della nostra mattinata culturale. Il costo del parcheggio era diviso in fasce orarie e avevamo fatto i nostri conti sulla durata che avrebbe dovuto avere la visita per spendere il meno possibile. Il Museo risultò però incredibilmente interessante, Dürer, Bruegel, Bosch.... Il tempo passò troppo in fretta e quando ci accorgemmo di stare per entrare nell'orario in cui il balzello del parcheggio ci sarebbe costato un bel po' di scellini, uscimmo in fretta, più di corsa che a passo veloce; è vero che Orazio aveva inscenato una incredibile pantomima alla biglietteria del museo, mostrando il suo libretto universitario e cercando di far capire, un po' in inglese e un po' in pugliese, che, come studenti, dovevamo avere uno sconto, che poi ci fecero, ma avevamo veramente i soldi contati e il costo della vita in Austria era ben più alto che in Italia.
Arrivati appena in tempo al parcheggio, mi misi alla guida cercando di guadagnare l'uscita prima dello scadere dell'orario. Ahimè, così al coperto, e abituato a guidare una Mini, non avevo valutato l'altezza del furgone e, a una curva troppo stretta, feci impuntare il tettino in uno spigolo di cemento sporgente, producendo un gran di rumore e un notevole 'taglio' nella lamiera: accorsero subito un paio di sorveglianti per vedere che cosa fosse successo, passò una mezz'ora o più e ovviamente, all'uscita, fummo costretti a pagare per la salata fascia oraria in cui eravamo rientrati per quei minuti di ritardo.
La cosa più brutta era che il camper, Domenico, il terzo componente del gruppo, lo aveva avuto in prestito da suo cognato, con l'impegno di riportarlo a Firenze entro il 9 o 10 agosto, per consentire a lui e alla famigliola di andarsene in vacanza. Che cosa potevamo fare? Certo non raccontare l'accaduto, a rischio creare dei problemi familiari a Domenico; decidemmo allora, dopo una serie concitata di telefonate in Italia (non c'erano i cellulari!), di rientrare qualche giorno prima, per consentire a un mio amico carrozziere, che avevo rintracciato ancora nella sua officina, di porre rimedio al danno in maniera 'invisibile': avremmo usato i soldi risparmiati dall'accorciarsi della vacanza per pagare il lavoro.
Io fui immediatamente esonerato dalla guida in città ma poi mi alternai con Domenico durante il rientro; eravamo abbastanza abbattuti per l'incidente e per la brutta chiusura della vacanza, e decidemmo, per fare prima, di guidare anche di notte.
Orazio doveva andare a Pisa, con Domenico, per ripartire subito dopo verso la Puglia, dai suoi. Domenico doveva riportare il camper a Firenze, dopo aver accompagnato me nel mio paesello di mare e fatto aggiustare il danno alla carrozzeria del mio amico. Visto il rientro anticipato, Orazio decise di fermarsi qualche giorno da alcuni amici a Bologna, per poi andare da lì in Puglia; i bagagli li aveva con sé e non aveva motivo di ripassare da Pisa.
Il pomeriggio del primo di Agosto, arrivati a Bologna poco dopo le 16:30, parcheggiammo in prossimità della stazione per accompagnare Orazio a consultare gli orari dei treni e a fare la prenotazione e il biglietto per il suo rientro. La stazione, nonostante il periodo dell'anno, non era particolarmente affollata; girellammo un po' per il salone, mentre Orazio era in fila, poi lo accompagnammo col camper nella zona dove abitavano i suoi amici. Senza neppure scendere per salutare i suoi nuovi ospiti, riprendemmo la strada verso casa mia: volevamo arrivare dai miei sul fare della notte.
La cena, finalmente tra le mura familiari, fu veramente ristoratrice, così come gli abbondanti lavacri. La mattina dopo, sabato 2 agosto, Domenico ed io dormimmo fino a tardi; a tavola, all'ora di pranzo, saltata la prima colazione, eravamo famelici.
L'immancabile televisore rumoreggiava in sottofondo, ma non lo ascoltavamo, tutti presi a rispondere alle domande dei miei sulla nostra vacanza; a un certo momento però ci accorgemmo che alla TV parlavano di Bologna, della stazione e ci voltammo meccanicamente per vedere e sentire cosa dicevano. "Eravamo lì ieri pomeriggio...", feci alla mamma, con la bocca piena.
Il silenzio fu poi agghiacciante: capimmo cosa era successo. Un incidente? Un attentato? Decine di morti, centinaia di feriti... Muti, un raggrinzire della pelle... ci prese, stretti, quella commozione che ti fa luccicare gli occhi; e ci fu un pensiero non detto, negli sguardi tra me e Domenico: chissà, forse andando un po' più piano o non viaggiando di notte, saremmo potuti essere lì anche noi, a quell'ora.
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Piloti di Formula 1: edizione rapimento Moro. Ovvero: come reagirebbero i piloti della griglia 2024 a guidare la Renault 4 in cui era stato rapito lo statista Aldo Moro. Leggere a discrezione della propria sensibilità.
Max Verstappen: il tempo di prepararsi un caffè, e Max è già tornato alla base delle BR. L'unico problema è che attacca una pippa di due ore su tutti i problemi della Renault: sospensione fottuta, motore ridicolo, aerodinamica imbarazzante. Poi parte con l'elogio della RB19 mentre cerca in rubrica il numero di Newey, perché senza di lui si rifiuta di far parte del team. La polizia invade il covo delle BR il giorno dopo perché Max stava streammando da lí una gara di sim racing. Prima di essere arrestato, Max riceve un telegramma da Jos che lo insulta perché poteva andare più veloce in curva e risparmiare un paio di secondi durante il rapimento.
Sergio "Checo" Perez: con evidenti difficoltà, dopo un'ora circa Perez è rientrato alla base. Il ritardo è dovuto ad un tamponamento con Kevin Magnussen, che appena ha visto Perez in strada ha rubato un motorino parcheggiato davanti ai un punto SNAI solo per andargli a sbattere contro. La Renault è ammaccata e ha uno sportello distrutto. Aldo Moro è morto a causa di una commozione celebrale a seguito dell'impatto con Magnussen, le BR hanno perso il loro ostaggio e non hanno più modo di ricattare il governo. Tuttavia, Perez viene ugualmente riconfermato come pilota per i prossimi due anni perché "tiene famiglia".
Charles Leclerc: stava andando tutto bene, finchè il motore non ha deciso di andare in panne nel bel mezzo della strada. Charles telefona alla base delle BR lamentando il problema, ma l'unica risposta che ottiene é "We are checking". Inoltre, per qualche motivo la macchina ha le catene e le ruote da neve in primavera. Mentre la macchina è ferma, le passano davanti quattro gatti neri. Charles si mette a piangere e picchiare sul volante gridando "Why am I so unlucky?". Aldo Moro tenta di consolarlo dal bagagliaio. Alla fine è costretto a chiamare un carro attrezzi per ritirare l'auto. Moro viene scoperto nel bagagliaio. Charles viene sottoposto a interrogatorio e viene fuori che era convinto che le BR fossero una sottodivisione della Ferrari in quanto rosse. Riesce a corrompere gli ufficiali con delle confezioni di gelato LEC e se la dà a gambe, a piedi: così è sicuro che non ci siano imprevisti tecnici.
Carlos Sainz: la guida prosegue inizialmente liscia, Carlos spara a volume altissimo Smooth Operator della radio per coprire i lamenti di Moro. Tuttavia, al momento di fare il pieno, un agente segreto delle BR che era appostato alla pompa di benzina per fare sì che nessun estraneo vedesse e riconoscesse il volto di Carlos riempe il serbatoio col diesel invece che la benzina. Le BR sono costrette a chiamare un carro attrezzi e Moro viene scoperto operato nel bagagliaio, a Carlos tocca la galera. Si scopre che l'incidente era programmato per togliere dalle palle Carlos, così che possa subentrare Hamilton.
Lando Norris: ignorando la raccomandazione alla discrezione, Lando si presenta davanti alla casa di Moro sparando a mille i suoi pezzi da DJ dalla radio della Renault. Chiama Moro "muppet" cinque volte e prima di riuscire a mettere a moto la macchina deve calmarsi dal ridere perché "la situa è troppo assurda bro". Arriva alla base senza troppi imprevisti, ma dopo 5 minuti arriva anche la polizia che lo ha facilmente seguito grazie agli giganteschi sticker fluorescenti con il suo logo che Lando ha attaccato alla macchina.
Oscar Piastri: è letteralmente Baby Driver di Edgar Wright. La polizia non lo ferma mai perché c'ha troppo la faccia da bravo ragazzo. Mentre guida taglia la strada a Carlos Sainz che si mette a inseguirlo gridandogli dal finestrino che doveva dargli la precedenza, cabrón. L'inseguimento alla Fast and Furious si interrompe quando alla macchina di Carlos si buca una ruota, Oscar scuote la testa mormorando "Classic Carlos". Moro viene consegnato alla base delle BR senza ulteriori problemi. Dopo questa felice collaborazione, le BR provano ad ingaggiare Oscar per un altro colpo, considerandolo ormai parte della squadra. La sua risposta è una missiva contenente la seguente dichiarazione: I understand that, without my agreement, Brigate Rosse have put out a statement this afternoon that I am driving for them next year. This is wrong and I have not signed a contract with BR for 1979. I will not be driving for BR next year.
Lewis Hamilton: nonostante la manomissione del sedile e del motore da parte dell'ex capo Toto Wolff, Hamilton riesce ad arrivare sotto casa di Moro, che quasi si imbarazza alla presenza del 7 volte campione del mondo britannico e si scusa che lo abbiano scomodato per il rapimento di uno statista qualunque. Insomma, Hamilton meriterebbe come minimo un presidente della repubblica! Ma il britannico sorride educatamente e lo tranquillizza, ringraziandolo per i complimenti e la stima. Viene fermato dalla polizia che lo vede bere al volante, ma il disguido è presto spiegato: si tratta della tequila analcolica di sua produzione, spiega Hamilton con un occhiolino. Ne lascia un paio di bottiglie ai poliziotti insieme a un autografo e va per la sua strada. Tutto sembra andare liscio, finché non incontra ad un incrocio Nico Rosberg. Istintivamente, si lancia in una corsa senza pietà che si conclude con Nico e e Lewis che si tamponano a vicenda. Moro approfitta della confusione per uscire dal bagagliaio e scappare. Appena uscito dall'auto, Nico tenta di intervistare Lewis in una live di TikTok chiedendogli di commentare l'incidente. Lewis se ne va senza dire una parola. Quando fa ritorno alla base delle BR senza Renault e senza Moro, alla richiesta di spiegazioni Lewis scrolla le spalle. Le BR non hanno il coraggio di domandare oltre: lui é Lewis Hamilton, Cavaliere della Corona Britannica e sette volte campione del mondo, e loro non sono un cazzo.
George Russell: il problema maggiore è superare la barriera linguistica, dato che George parla esclusivamente britannico stretto che consiste di espressionj insensate tipo "if and buts, carrots and nuts", "right, what's all this then" e "innit, mate". Dopo avergli fatto un disegnino, George capisce il piano e si reca a casa di Moro. Tutto starebbe andando per il meglio, finché nella visuale di George non si para un muro davvero irresistibile e il pilota britannico non riesce a controllare la tentazione e vi si schianta. In modo apparentemente non correlato, Carlos Sainz esulta per aver vinto una gara di sim racing contro Max Verstappen. L'onorevole Moro ha dato una capocciata contro il bagagliaio e ha apparentemente perso la memoria. Cosa ancora più tragica, adesso parla anche lui in britannico stretto e fa discorsi strani sul restaurare la monarchia in Italia e abolire il caffè a favore del the.
Lance Stroll: abituato al lusso, Lance si rifiuta di guidare una miserrima Renault. Si presenta davanti casa di Moro con un'Aston Marton Valkyrie, regalo di papino. Il bagagliaio in cui Moro viene tenuto prigioniero ha tutti i comfort: é spazioso, rivestito in pelle, c'è l'aria condizionata condizionata e qualche rivista messa a disposizione per ingannare l'attesa. A lavoro finito, l'onorevole Moro dichiara sia stata un'esperienza più rilassante di una crociera, da provare almeno una volta nella vita. Ovviamente la macchina di Lance non passa inosservata e la polizia risale facilmente a lui. Tuttavia, papà Stroll corrompe tutti i giudici con un ammontare di denaro che basterebbe a saldare il debito pubblico italiano e tutti sono felici e contenti. Nel frattempo, inizia a discutere l'acquisizione delle BR così da garantire a Lance il posto fisso. Cosa non si fa per amore di un figlio.
Fernando Alonso: accusato di aver violato tutte le leggi della strada nonché diversi articoli della convenzione di Ginevra con la sua guida, ha rischiato di investire 12 pedoni. Ha passato un numero imprecisato semafori rossi, dato il medio a 5 vigili e guidava a 120 km all'ora per le strade di Roma, almeno secondo quanto sostiene l'accusa. Briatore peró rassicura: Alonso non era al corrente di avere lo statista della Democrazia Cristiana nel bagagliaio. Assolto con formula piena, nel dubbio la colpa va a Nelson Piquet jr. Alonso fa inoltre ricorso al tribunale per accursalo di bias contro gli spagnoli.
Daniel Ricciardo: quel gran simpaticone di Daniel si presenta sotto casa di Moro gridando "Donne! È arrivato l'arrotino!". Lo carica in macchina dopo aver fatto u. paio di battute per alleggerire la situazione e si mette in moto. Alle BR aveva assicurato: un quarto d'ora, venti minuti se c'è traffico, sono da voi. Passa un'ora e mezza e di lui non c'è traccia. È anche vero che gli avevano promesso una Renault 4, però ci sono stati problemi con la gestione dei fondi finanziari e adesso Daniel si muove con una Renault 4CV. Alla base, le BR sono divise: c'è chi dice che Daniel ormai non vale più nulla come pilota e dovrebbero scaricarlo e chi sostiene che sia la Renault 4CV a impedirgli di dare la sua prestazione migliore. Il dibattito dura per altre 3 ore, quando finalmente Daniel arriva, senza Moro. Sono rimasti imbottigliati nel traffico per 2 ore, hanno avuto modo di fare conoscenza e Daniel non se l'é sentita di consegnarlo alla morte. Si sono bevuti un paio di Vodka RedBull ad un bar e poi lo ha riaccompagnato a casa. Le BR sono ancora troppo impegnate a discutere se Daniel sia o meno ancora un grande pilota per interessarsi della situazione Moro.
Yuki Tsunoda: anche a Yuki tocca una Renault 4CV, il modello precedente della Renault 4. Inizialmente c'era timore che, a causa dei tratti somatici tipicamente giapponesi, Yuki potesse facilmente riconosciuto dalla polizia. Ma Yuki inizia a sbraitare e bestemmiare da inizio e fine corsa, strombazzando il clacson contro qualunque macchina gli si pari davanti, e la polizia lo scambia per un veneto qualunque. L'onorevole arriva alla base delle BR traumatizzato dalle volgarità che è stato costretto ad ascoltare e prega la Brigate di ucciderlo il prima possibile.
Pierre Gassly: Pierre si mette alla guida della Renault con l'orgoglio che solo un francese può provare nel guidare una vettura di gallica matrice. Purtroppo la Renault 4 è uno scossone e Pierre impiega 20 minuti per metterla in moto. Mentre si dirige a casa di Moro, intravede il connazionale Estaban Ocon che cammina su un marciapiede. Decide di fare una breve deviazione di percorso e tenta di investire Ocon numerose volte gridando dal finestrino "VOGLIO IL TUO SCALPO". La Renault non rientrerà mai alla base e l'onorevole Moro è sano e salvo. Qualcuno sostiene che Gassly sia ancora da qualche parte a Castelli a inseguire Ocon e che la Renault si alimenti puramente del suo odio e della sua frustrazione. Il suo obiettivo è incidere sulla fronte di Ocon le parole "liked by Pierre Gassly".
Esteban Ocon: anche il suo orgoglio francese dura poco alla guida della Renault e la sua attenzione viene rapita dalla vista del rivale Gassly. Tuttavia, Ocon deve inoltre avere a che fare con un impressionante numero di persone a cui è riuscito a stare sul cazzo negli anni. Quindi, nel bel mezzo dell'insegnamento, devo schivare una serie di bombe carta che gli vengono tirate addosso da Fernando Alonso e Checo Perez. Aldo Moro, che passa di lì per andare a lavoro, sente un improvviso un sfrigolamento di coglioni alla vista di Esteban, e si fa prestare qualche bomba carta da Alonso e Perez. Il giorno dopo, tutt i giornali riportano la notizia di un giovane francese attaccato dall'onorevole Moro, che viene arrestato per aggressione.
Nico Hulkenberg: le BR volevano un pilota di tedesco, che quelli sono fortissimi, ma Schumacher non era disponibile e Vettel non lo potevano permettere, quindi hanno dovuto ripiegare su Nico Hulkenberg, sperando che i geni teutonici facciano qualcosa di buono. Hulkenberg fa un lavoro sorprendente pulito. Moro viene recapitato alla base delle BR senza complicazioni e in perfetto prario. Le Brigate si imbarazzano nell'aver sottovalutato e gli chiedono come mai un pilota della sua caratura non ha mai raggiunto il podio. Una lacrima solitaria scende sulla pallida gota alemanna: é la domanda che si pone Hulkenberg ogni sera, fissando il soffitto della sua camera da letto per ore intere.
Kevin Magnussen: appena individuato Moro, Magnussen gli tira due sberle e lo spinge nel bagagliaio con un calcio. Durante il tragitto verso la base delle BR, causa volutamente tre incidenti e investe un gruppo di ciclisti per aver osato mettersi sulla sua strada. Fa una deviazione e si mette a guidare sui sampietrini, per il gusto di rendere il viaggio più sgradevole a Moro, che viene sballotatto su e giù nel bagagliaio. Per la stessa ragione, frena all'improvviso ogni tre per due. Quando i vigili lo fermano, Magnussen non nega la sua colpevolezza: non batte ciglio mentre i vigili lo privano di tutti i punti della patente, ma prima che possano portarlo in centrale si rimette al volante, guidando a 150 all'ora verso la base delle BR. La Renault 4 a malapena si tiene insieme quando la parcheggia. Magnussen apre il bagagliaio e trascina un Aldo Moro grondante di sangue per un orecchio al cospetto delle BR. A tale vista, le Brigate mettono seriamente in discussione la possibilità di potersi definire terroriste se messe al confronto col pilota danese. Due membri della banda trascinano l'onorevole in infermeria, mentre un terzo chiama di nascosto la polizia, pregando che li venga a salvare dallo psicopatico che hanno accidentalmente ingaggiato. L'onorevole Moro viene portato in salvo, le BR si costituiscono e Kevin Magnussen viene condannato a nove ergastoli.
Valterri Bottas: Bottas aveva chiesto di poter passare a prendere l'onorevole in bici, ma non c'è stato verso di convincere le BR. Bottas si presenta sotto casa di Moro con invidiabile nonchalance, occhiali da sole e braccio fuori dal finestrino. Batte un paio di colpi sulla portiera: come a dire, entra. L'onorevole sarebbe dovuto entrare nel bagagliaio, ma lì Bottas tiene la bici, quindi lo fa sedere davanti con lui. L'onorevole e il pilota piombano in un silenzio imbarazzante. Moro prova a fare conversazione, ma senza successo. Tuttavia, invece di dirigersi alla base delle BR, perché è una bella giornata, Bottas decide di fare una deviazione verso Ostia e andare al mare. Ovviamente, Bottas si dirige verso una spiaggia di nudisti e, appena messo piede sulla sabbia, si disfa di ogni indumento e si tuffa a mare ignudo come mamma lo ha fatto. Aldo Moro, che famosamente si presentava in giacca e cravatta persino in spiaggia, è disgustato da cotale spettacolo e si allontana indignato. Le BR non vedranno mai più nè Aldo Moro, né la loro Renault 4, nè Valterri Bottas, almeno dal vivo, perché anni dopo lo ritroveranno su un calendario a posare nudo.
Zhou Gyanyu: una Renault 4 potrà essere poco chic, ma ci pensa l'outfit griffato di Zhou a restituire charme a questo rapimento che di terroristico ha solo il senso dello stile. La guida sarebbe proseguita senza intoppi se non fosse per il pitstop di 45 minuti alla pompa di benzina. Zhou si era fermato solo per riempire il serbatoio, ma oer qualche ragione dopo mezz'ora la macchina ha una ruota in meno e caccia fumo. Quando finalmente ritorna alla sede delle BR, Zhou tiene una TedTalk sul comunismo di Mao, mentre le Brigate prendono appunti. Zhou sostanzialmente li addita come dilettanti e afferma di aver partecipato al rapimento solo per pietà nei loro confronti. Quando, quattro ore dopo, le Brigate vanno a recupare Moro dal bagagliaio scoprono che è morto di asfissia.
Alex Albon: la Renault di Alex Albon, oltre a ospitare uno statista nel bagagliaio, trasporta tre dei suoi tenerissimi gattini. Alex si scusa con l'onorevole, ma purtroppo quel giorno aveva già confermato una visita dal veterinario e proprio non la puó rimandare: promette di fare il prima possibile. Moro è costretto ad aspettare un paio d'ore parcheggiato in macchina. Alex torna tutto pimpante, informando accuratamente Moro della buona salute dei suoi animali domestici. Durante la conversazione a senso unico, riceve un messaggio da Lily, che gli ricorda dell'appuntamento romantico fissato per quella sera: Alex se n'era proprio scordato! Peró mica puó lasciare i gatti da soli. Chiede quindi a Moro se non gli dispiaccia fare da babysitter ai gatti per una sera. Moro, persona cortese, accetta di buon grado. Alex e Lily passano una splendida serata, rasserenati dalla consapevolezza che i loro animali domestici godono di buona salute. Una volta tornato a casa, Alex ringrazia di cuore l'onorevole Moro e si offre di accompagnarlo a casa per il disturbo. Alex riconsegna la Renault alle BR con tanto di pieno, e alla domanda "E Moro?" risponde "Una persona squisita, vi saluta tanto!"
Logan Sargeant: Sargeant prova a mettere in moto la macchina (che gli era stata fatta trovare parcheggiata davanti casa di Moro per evitare che si schiantasse almeno all'andata), ma compreso che si tratta di un modello con cambio manuale si mette a piangere sul volante. Prova ugualmente a guidarla ma si schianta contro un palazzo a 5 metri da casa dell'onorevole. La polizia arriva nel giro di 20 minuti, recupera Aldo Moro e consola Sargeant.
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Storia Di Musica #309 - Led Zeppelin, Led Zeppelin, 1969
Come iniziare un nuovo anno di storie musicali? Si inizia con la scelta di 4 dischi che portano lo stesso nome dei loro autori, 4 band molto differenti tra loro, alcune famosissime, altre molto di meno (la scoperta di grandi dischi da artisti sconosciuti vorrei fosse una sorta di cardine di tutte le scelte del 2024). La Storia di Musica della prima domenica di gennaio 2024 parte con un modo di dire inglese: Go over like a lead ballon, che significa “è fallito del tutto” perché un lead ballon è un palloncino di piombo che ovviamente non può volare. Leggenda vuole che fu questo detto ad ispirare Keith Moon e John Entwistle, che suggerirono a Jimmy Page il nome per quella che diventerà una delle più formidabili formazioni di sempre: i Led Zeppelin. La storia è piuttosto nota: Page entra nel 1966 negli Yardbirds (già di Eric Clapton) come seconda chitarra di Jeff Beck. La band era già allo sfascio, e Page aveva intenzione di formare una nuova band con Moon ed Entewinstle. I tre con Jeff Beck registrano la storica Beck’s Bolero, registrata nel Maggio del 1966 ma pubblicata come singolo solo mesi più tardi, nel Marzo del 1967, brano fenomenale ma dalla storia travagliatissima, tra cui una intricata questione di diritti d’autore. Page, titolare del nome Yardbirds, prende accordi come leader degli Yardbirds per un mini tour in Scandinavia, ma nessuno dei suoi compagni accetta. Ne trova di altri: convince un session man mago delle tastiere, John Paul Jones, nel progetto, e tramite l’ex cantante degli Yardbirds Chris Dreja (che nel frattempo si è dato alla fotografia) assolda un biondo cantante, Robert Plant, che si porta con sé un batterista un po’ pazzo, John Bonham. È il 1968. Nascono così i Led Zeppelin (scritto così per non confondere il lead “piombo” con il lead “guidare”).
Senza nemmeno un po’ di gavetta registrano in 36 ore, sotto la guida del grande ingegnere del suono e produttore Glys Johns per poco più di 1700 sterline il loro primo, omonimo album per la Atlantic Records (fa più impressione il dato temporale che quello economico, 1700 sterline del 1968 sono 35 mila di adesso). E bastano: Led Zeppelin esce il 12 gennaio 1969 e diviene uno dei 10 album di debutto più belli ed importanti della musica rock. Venderà decine di milioni di dischi e manda in orbita, forse quasi troppo velocemente, il dirigibile più famoso del rock. In copertina mettono l’incidente del dirigibile Zeppelin LZ 129 Hindenburg avvenuto il 6 maggio 1937 nel New Jersey (vicenda leggendaria, su cui aleggia un complotto internazionale e non l’ufficiale incidente aereo). I 4 partono dal furente suono del british blues, ma arrivano dove nessuno si era mai spinto: rifanno due classici del blues, I Can’t Quit You Baby (eccezionale, caldissima e stupenda) e You Shook Me di Willie Dixon, e prendono da Jack Holmes Dazed And Confused (che nei live diverrà infinita con medley di altri classici della Musica del Delta). Per capire il suono Zeppelin e la sua travolgente natura, basta capire come strutturano il suono di una canzone tutto sommato banale come Good Times Bad Times. Your Time Is Gonna Come è quasi corale, come la veloce How Many More Times. Black Mountain Side è uno strumentale acustico in cui Page rincorre la maestria del fingerpicking di Bert Jansch, allora in auge con i superbi Pentagle. Communication Breakdown diviene un altro classico, con il suo stile particolare: parte blues, poi sale con l’intensità della voce di Plant e diviene furiosa ed accesa, e per molti è la nascita dell’hard rock. Gemma dell’album è però Babe I’m Gonna Leave You: presa da Joan Baez, in realtà la canzone, accreditata come traditional, è dalla folksinger inglese Anne Bredon (che fu ricompensata con un cospicuo assegno dalla band una volta risolto il mistero). Plant canta babe come mai nessuno più farà, la canzone ha un intro acustico ma poi esplode nel nuovo suono elettrico e potente, diviene struggente, torbida, assolutamente memorabile.
Questo fu il primo episodio di un modo di “gestire” le ispirazioni da altre canzoni che fece scuola, e si potrebbe aprire un dibattito infinito sulla loro musica. Per alcuni (pochini, va sottolineato) il loro rock blues portato all'estremo, con la chitarra rivoluzionaria di Page (che influenzerà 3 generazioni di chitarristi), il bombardamento ritmico di Bohnam (davvero feroce), l’elegante e mai invasivo tessuto sonoro di Jones (che suona basso e tastiere) e la voce, straordinaria e incantatrice di Plant, non è niente di così innovativo. Per altri (la stragrande maggioranza degli appassionati) il loro suono, le idee, la maestria tecnica dei musicisti e l’alone leggendario che la band riesce a costruire su di sé, li pongono ai vertici assoluti della storia del rock, ne fanno i padri putativi dell’Hard Rock (con i coevi Deep Purple), e la loro genialità è dimostrata dalle future evoluzioni stilistiche e musicali. È innegabile però che per farlo saccheggiarono un po’ dovunque, dal blues del Delta a quello urbano di Chicago, spesso non accreditandolo sui dischi, con picchi assoluti di sorrisetti ironici (tipo il caso di Stairway To Heaven per l’intro uguale ad una canzone degli Spirit, Taurus, caso che finirà addirittura in tribunale con la vittoria di Page e Plant, sebbene lo stesso tribunale ne riconosce le somiglianze). All’epoca era prassi comune raccogliere i semi del blues e riadattarli nel suono, un po’ per convenienze e un po’ perché non esistevano le normative precise e puntuali che esistono oggi sui diritti d’autore (molti altri, tra cui i Rolling Stones, furono protagonisti di episodi analoghi). Il successo dei Led Zeppelin amplificò la questione: il problema fu molte volte la paternità delle musiche, spesso passate come traditional (vedi il caso della canzone della Bredon) e quindi non riconducibili ad un artista detentore dei diritti. In tutti i casi di presunta usurpazione di diritti altrui, hanno sempre pagato i richiedenti ufficiali. Quelli che li accusano di scarsa inventiva, sinceramente non li hanno mai ascoltati: nessuno prima di loro suonava così, probabilmente sono tra le band più imitate in assoluto, saranno centinaia quelli che dopo vorranno suonare come loro. E rivoluzionarono anche altri aspetti del mondo del rock: l'andare in tour, i rapporti con le case discografiche, con i promoter, persino con le radio: ruolo centrale lo ebbe in ciò il loro manager Peter Grant, un gigante di stazza e di potere, passato alla storia anche per i modi tutt'altro che amichevoli con cui convinceva i gestori dei locali o chiunque potesse danneggiare il gruppo a farla finita. Un’ultima curiosità: con il crescente successo, una discendente dei Von Zeppelin citò la band per uso improprio del nome, e per un unico, storico concerto a Copenaghen la band si presentò come The Nobs. Poi però tornarono ad essere quel dirigibile di piombo che volava altissimo.
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La dolce vita: Il punto più alto il punto più fragile.
Oui, Je suis content! È il 1960, Marcello vive uno dei momenti più belli della sua vita di attore e di uomo, inizia cosi, la sua "dolce vita". Tutto scorre veloce, il successo gli piomba addosso e d'improvviso, si ritrova ad essere riconosciuto come il latin lover di fama mondiale, l'attore simbolo italiano da mettere in vetrina. In questo vortice di successo, l'uomo viveva il punto più alto e il punto più fragile della sua vita, Marcello riscopre le sue più tangibili inettitudini e debolezze, ritrovandosi per un momento smarrito, in uno status di felicità incosciente. Vive lo spericolato viaggio di una crisi personale che mette alla prova, la conoscenza il perdono e l'accettazione del suo essere uomo virtuoso, inetto, umano, fragile. Lui, fino ad allora, sentiva di essere in qualche modo sbagliato. Eppure, quella dolce vita la accoglie, complice in causa Federico, che riscopre amico, confidente, complice, anima affine. Fino a quel momento, Marcello non sapeva che nome dare alla filia, alla felice libertà di sentirsi se stesso, senza quel retrogusto amaro del senso di colpa. Federico lo guida, lo ascolta e lo comprende. Gli dice che guardarsi come dentro uno specchio può far certamente paura ma, può essere capace di raccontarti bellezza. Marcello lo ascolta, cresce, evolve, si conosce. È il 1960 e per lui, è un nuovo battesimo. Dal punto più alto lui, ha capito che tanto valeva essere, e che il giusto rifugio dal punto più fragile sarebbe stata la cura della comprensione. Da quel momento tutto ha avuto un sapore diverso, sebbene un uomo non possa conoscersi mai abbastanza, Marcello ha capito di essere solo un uomo libero alla ricerca di se stesso, con la giusta cinica comprensione, con il piu adeguato spirito critico che lo contraddistingueva.
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La Giustizia
"Tutto chiede purezza"
"Dire la Verità", è un privilegio per pochi.
"Essere la Verità" stessa, è ancora più raro.
Appoggiare le nostre Maschere sul comodino e uscire nel Mondo senza bisogno di "nascondere" o "difendere", e senza sviluppare atteggiamenti di sfida, di rabbia, di bisogno di riconoscimento, è salute, è vitalità, è pienezza.
Offrire a se stessi il "permesso" per esprimere il proprio talento, per abbracciare la vita desiderata, per la piena e consapevole realizzazione della missione d'Anima, in coerenza e rispetto con la propria struttura fisica e psichica, è illuminazione.
Chi ama se stesso fin dentro le profondità, chi è onesto, sincero, integro e incorruttibile, non ha necessità di mentire, né di temere ritorsioni.
La Verità in Passato ci ha posto in condizioni "scomode".
Ma ci ha liberato dal dover "fingere" ciò che non eravamo e non potevamo essere, dall'obbligarci a compiacere gli altri, dalla triste e complessa dinamica delle alleanze e delle obbedienze.
Ci ha spogliati dalla "non Vita" che stavamo interpretando con così tanto ardore e inconsapevolezza.
Assecondare una Vita che non ci piace, accomodarci dentro alla "tranquilla" routine e sperare che prima o poi qualcuno venga a salvarci dalla nostra incoerenza, è tremendo.
Sentirsi vittime delle nostre stesse scelte, è velenoso.
Novembre ci invita a "dire la Verità".
Agli Altri in primis, ma soprattutto a noi stessi.
A vuotare il sacco. Fino in fondo.
A rinnovarci nell'onestà e nella trasparenza.
La Verità, espressa con chiarezza e amore, salverà il Mondo. Il nostro e, contestualmente, anche quello di chi ci cammina accanto.
Potrà non essere compresa o accolta con favore.
Ma è la Verità. E come tale apre una serie di ampie possibilità di crescita per tutti.
Basterà concedersi di esprimerla. E tutto cambierà.
Ma non sarà la nostra "parte vittima" a parlare. Sarà il Cuore.
Novembre ci guida all'atto finale delle nostre paure e reticenze.
Chiude "cicli di riverenza", "asservimenti al potere", "vittimismi", "timori di ritorsione", "bisogni di riconoscimento".
Chiude i "ricatti emotivi", gli "inchini", le "finte alleanze".
Rompe il silenzio e l'omertà dei "giusti".
Provoca partenze. Tante partenze.
Frantuma tutto ciò che non è retto dall'Onestà interiore.
Sconvolge.
Apre strade nuove. A volte perdendo nuovamente tutto, ma è un "perdere" voluto, partecipato, anelato.
Non è il "perdere della Vittima".
E' il coraggioso "perdere dell'Eroe" che ha ritrovato dentro se stesso la sua amata Itaca.
E la raggiungerà con tutti i mezzi. Dovesse pure ritrovarsi solo tra le onde del mare in burrasca.
Novembre ci stupirà. Ci lascerà assolutamente attoniti di fronte alla Potenza della nostra nuova Struttura Cristallina.
Ci regalerà attimi mozzafiato.
Ci trascinerà nel vortice del cambiamento repentino, veloce, inaspettato.
Faremo i conti con le subdole "bugie" che ancora ci raccontiamo.
E sarà bello vederle animarsi intorno a noi.
Gli Altri ne saranno la proiezione.
E noi sapremo perfettamente che stiamo guardando il nostro mancato coraggio, le nostre paure, le distorsioni che ancora ci impediscono di "cambiare scena".
E ce ne prenderemo carico. Per la prima volta "senza se e senza ma". Senza puntare il dito all'esterno. Senza distribuire colpe o recriminazioni. Senza aspettarci che l'Altro lo faccia per noi.
Con amore e riconoscenza. Con determinazione e forza d'animo.
Le vedremo danzare nel loro atto finale, le vedremo allontanarsi da noi come stormi di uccelli migratori, le saluteremo con la grazie e l'eleganza di chi sa che presto giungeranno nuove Primavere e nuove opportunità di "cambio direzionale".
Sarà bello e commovente. La Gratitudine inonderà i nostri occhi.
Si chiuderà un'Epoca interiore.
Lo sentiremo. Lo stiamo già sentendo.
Ultimi saluti. Ultimi abbracci.
E' tempo.
Fino ad aprile 2025, il nostro viaggio sarà dedicato a congedare persone e luoghi, ad accomiatare automatismi del Passato, a chiudere con parti di noi esaurite nella funzione evolutiva, a rischiarare la Verità dentro ai nostri passi.
E molto, molto ancora.
Ma un gradino alla volta.
La Terra si prepara all'ennesimo scossone. Stavolta si trascinerà via un bel po' di iniquità di Sistema. Attenti a dove mettete i piedi nei prossimi giorni.
Mirtilla Esmeralda
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Ogni aspetto di te rivela chi sei. Chi sei davvero.
Come parli, come scrivi, come guidi, come mangi, come pensi, come baci. E sottolineo "come", non cosa".
Il problema di molte persone è che pensano serva un laurea in psicologia per capire il prossimo, ma serve solo auto osservazione. Se impari a conoscere te, automaticamente capisci meglio gli altri.
I "come" nella vita di ognuno sono un concentrato di verità. Perché fanno ordine nel caos. Perché spiegano il motivo di una scelta, non l'obiettivo (che di solito è personalità/maschera).
Io per esempio guido in modo veloce, mi piace, mi diverto e mi sento viva, e così penso, così oltretutto decido. Tutto è correlato nelle persone, anche quando pensano di essere imprevedibili o alternative. C'è sempre un nucleo che le guida, consapevoli o no.
Se capisci perché ti piace fare qualcosa capisci ciò che determina. Capisci perché fai quello che fai.
Entri in contatto coi tuoi veri bisogni e impari a soddisfarli in maniera sana (fino a superarli). Ciò ti esclude dalla dipendenza e dalla manipolazione degli altri.
Ricordati sempre che se qualcuno capisce i tuoi bisogni meglio di quanto lo faccia tu con te stesso, ha le chiavi della tua vita.
#consapevolezza#crescita#conosci te stesso#lavoro su di sè#bisogni#crescita interiore#crescita persoanale#società#società malata#svegliatevi#aprite gli occhi#sistema#manipolazioni#verità#se o sè#origini#radici#nucleo#discernimento#responsabilità#auto osservazione
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In pratica (nel nuovo Codice della Strada) sono solo state inasprite le sanzioni per le violazioni reiterate e per quelle più pericolose. Per il resto, a parte l’introduzione di nuovi reati legati ai monopattini, eccetera, è rimasto tutto praticamente come prima.
Erano le sanzioni relative al precedente codice, che erano già molto salate. Ma figurati se qualsiasi governo avrebbe pensato di ridurle.
Magari andava rivisto il limite in autostrada se non altro per veicoli che permettono velocità più alte in sicurezza, senza tante seghe mentali sulla discriminazione tra “ricchi” e “poveri” (le vetture più sicure e performanti costano di più, almeno all’acquisto del nuovo) ma figuriamoci cosa avrebbe combinato l’opposizione.
Quindi alla fine non mi sento di contestare questo nuovo codice della strada. Perché aumenta la multa a chi supera il limite, di oltre 50 km all’ora, in una zona in cui è pericoloso, secondo il codice. Se lo fai non sei un povero lavoratore che viene derubato dallo Stato, ma uno che mette gravemente in pericolo la vita degli altri e quindi è bene che tu venga multato adeguatamente. Ottima la riforma su autovelox, guida sotto effetto di droghe e alcolici, ecc. Quindi alla fine tanta propaganda di sx in cui sono purtroppo caduti in tanti, pure di cdx.
via https://x.com/axe_xx_/status/1859581182897185010
Vero, soprattutto l'effetto grancassa cercato da media e social(-isti) .
Ma questo non si può evitare, altro non gli resta. Da cui il paradosso: quel "figuriamoci cosa avrebbe combinato l’opposizione", va attivamente cercato ! LA DESTRA DI GOVERNO PUO' FAR DI MEGLIO, avere più coraggio.
L'opposizione va stanarla e fatta crescere, facendone emergere l'aspetto REAZIONARIO, IPOCRITA, ANTIMODERNO e alla fine ANTI SICUREZZA più controproducente.
Uscire da ipocrisie retrò tipo come dice, veloce=ricco=pericoloso. Per dar mance alle amm.locali imbelli in deficit di cassa.
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instagram
📝Gli ultimi due disegnini che ho pubblicato nel feed sono stati segnalati. Secondo Instagram violano le sue linee guida in termini di vendita di prodotti illegali (??), quando parlo di cambiamento climatico e inverni troppo caldi e senza neve, e incitamento all'odio (?), quando invece parlo di prendersi il proprio tempo e permettersi di rallentare in una società sempre più veloce.
E voi siete riusciti a trovarli?☕
Questa è una bozza di una cartolina a cui sto lavorando. La fotografa è @tulipanico ��� una personcina che riesce a trovare davvero la bellezza ovunque con i suoi scatti ✨
#vaerjs
#artists on tumblr#illustration#illustrator on tumblr#vaerjs#illustrator#my art#artist support#photographers on tumblr#Instagram
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Pubblichiamo foto ed impressioni dell'Alfista Florian Pfeifer sulla Junior 2024 elettrica dopo averla provata:
Buongiorno, allora chi pensa che l'elettrico sia il futuro e che sia un'ottima invenzione legga qui le vere impressioni vissute ieri da un test drive con la Alfa Romeo Junior Speciale elettrica. Percorso fatto solo autostrada e centro città:
Ma prima di lasciare le impressioni vissute di guida ecco qualcosa sulla vettura, essendo alfista appassionatissimo, avendo posseduto più modelli, sia recenti che vecchi, tra l'altro come ultima il Tonale 1.5 130 CC.
Le mie impressioni della Junior sono in generali buone su linea ed interni. Anche il colore rosso come nel test drive la rende molto bella. E' una SUV piccola e quindi a livello di spazio molto limitata con un allestimento interno della versione Speciale molto accurato, cruscotto ordinato, il tablet multimedia angolato vs. lato guida bello, ma solo un po' complicato da gestire rispetto ad esempio Tonale.
La guida (versione elettrica): la mia prima esperienza con una vettura elettrica è comunque negativa e conferma ciò che sempre saputo e confermato da veri ingegneri nel settore automobilistico e quindi pochi sono gli aspetti positivi:
1) girando nei centri urbani pare abbia avere consumi bassissimi però solo se non si accelera molto, quindi viaggiando a velocità costante.
2) una buona ripresa anche perché il motore elettrico non ha un vero cambio (si va solo o avanti senza marce o indietro oltre alla modalità di parcheggio e neutro.
3) in discesa la batteria si ricarica anche se di poco (ca. 2 km ovvero l'1% su ca. 2 km), ma che vai a perdere già in pianura all'istante, in parole povere un inganno, inoltre la rete di fornimento elettrico in Germania è scarsissima.
A destinazione raggiunta una gran parte delle postazioni erano fuori uso e non solo da ieri, e quindi immaginate chi arriva con 2% di autonomia in un posto tra l'altro mai stato e devi andare in giro a trovare postazioni funzionanti di ricarica elettrica... buona notte a chi poi rimane a piedi. Siamo stati fortunati e molto anche perché stavamo già giocando col pensiero del carroattrezzi.
In autostrada però il motore elettrico è un disastro su tutto ed è assolutamente sconsigliato.
Avevamo (eravamo in due quindi c'è pure la conferma e parere dell'altra persona in questo caso identico) ricevuto la vettura dal concessionario con 106 km, ovvero 36%, di autonomia che sembrerebbe poter bastare a sufficienza per fare un bel giretto e quindi abbiamo scelto una città molto bella da visitare (confluenza del Danubio con l'Inn) a circa 50 km dal concessionario: la città di Passau in Bavaria (Germania), facendo solo autostrada e sapendo che il motore elettrico comunque non si può tirare molto per l'autonomia limitata e per il pericolo che non si possa raggiungere la prossima colonnina di ricarica, abbiamo viaggiato (che poi x un'autostrada senza limiti di velocità in generale ti fa piangere lacrime di dolore x non dover sfruttate l'occasione di viaggiare velocemente) a 110 km orari e siamo rimasti scioccati a dir poco. Con clima e radio accesa abbiamo raggiunto la meta con autonomia residua pari a 0 km e 2% di batteria disponibile che ci ha permesso di raggiungere ancora una postazione di ricarica tra l'altro veloce. Quando la batteria raggiunge il 3% la il motore va in sistema di emergenza ciò ne limita il funzionamento.
Queste stazioni non forniscono ricariche come da pubblicità in 15 minuti raggiungendo l'80% di batteria ma in più di 40 minuti ad un costo spaventoso: 41 Euro x 87% e 352 km di autonomia che come già menzionato prima non sono km di autonomia veri perché al ritorno stessa cosa: per 50 km in autostrada, sempre con autoradio e clima accessi, e visto di autonomia ricaricata superiore che avuto in partenza abbiamo provato con una media superiore ovvero 120 km orari. Risultato: a destinazione arrivati con 63% e 228 km di autonomia (non è uno scherzo) quindi quasi 130 km di autonomia persi su 50 km di strada con media di 120 km orari in autostrada, quindi fatevi un bel calcolo sull'ecologia e tutela dell'ambiente con vetture dotate di motore elettrico nel confronto a vetture con motore endotermico.
Giudizio finale: un disastro ed inganno totale da parte delle case automobilistiche, con l'unico obbiettivo della politica che si possa riconosce è di rallentare il traffico, altro non si riesce a dire anche a livello ambientale dove l'elettrico è in gran lunga più inquinante del motore a combustione, inoltre ammesso già da vari governi, avendo già dovuto ammettere che la corrente elettrica solamente da fonti rinnovabili e pulite praticamente non è possibile, questi sono i fatti reali!
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Le auto elettriche sono auto da città e per chi possiede:
A) un box per il ricovero dell'auto così spazioso da poter installare in sicurezza una colonnina da ricarica da almeno 6 kW e separata dal sistema elettrico domestico,
B) una seconda auto a combustione interna per i gli spostamenti extra urbani. A questo devi aggiungere la pazienza di tenere la vettura ferma per ore ed ore, perché il rendimento di ricarica scema al "riempimento di elettroni" del "serbatoio elettrico", la media è tra l'82% e l'87%, quindi 6*0.87, necessiti di una notte per ricaricare la miseria di 30 kWh, e la bolletta la paga il vicino di casa...
Il consumo autostradale testato di tutte le auto elettriche è spaventoso, ma è normale per una tecnologia nota da sempre; se giri a basso carico puoi consumare anche 18/20 kWh per percorrere 100 km, ma in autostrada devi chiedere di "girare in alto" e non è il terreno per nessun motore elettrico, e lì superi i 30 kWh per 100 chilometri (e deve andarti bene). All'incrementare dello stato di usura della batteria (in cicli continui di carica/scarica normalissimi nell'uso misto) questi numeri vanno a pallino, persone che hanno possesso di ultra costose Tesla dopo 12 mesi iniziano ad avere problemi per riduzione di 1/3 dell'autonomia reale. Se vogliamo dire che sono silenziose, poi, diciamo una balla, perché non lo sono affatto; magari a velocità bassissime, ma appena pigi sull'acceleratore poi ne riparliamo, e non si parli di colonnine, perché ne dovremmo avere centinaia per ogni città e senza discutere di quelle necessarie ogni 100 km in autostrada, e non meno di un centinaio per stazione (in estate ci divertiamo con milioni di auto per le vacanze a far coda ). Negli Stati Uniti, esattamente California, hanno realizzato una stazione di ricarica per la miseria di 80 Tir Tesla Truck, e consumano l'energia di una città di 200 mila abitanti per un solo ciclo di ricarica di Tir... una sola stazione, che funziona a mezzo servizio per mancanza di potenza elettrica necessaria, ma il deserto verso la successiva stazione di ricarica (che ancora non esiste) non verrebbe che attraversato a 1/4 della distanza... buon elettrico.
Ah, a proposito, domandate alle popolazioni che hanno perso acqua potabile (Cile), libertà individuali (Congo), terreni agricoli (Batou e limitrofi in Cina), quanto siano ecologiche le auto elettriche, e domandate agli olandesi (centrali a carbone) quanto siano pulite da ricaricare...
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Oggi ho fatto la prima guida con little brother 2 e mentre spegneva la macchina un semaforo sì e l'altro pure pensavo che il tempo passa davvero troppo veloce e ho nostalgia pure degli omogeneizzati che mi vomitava addosso
Comunque parcheggia già meglio di me 🤙🏻
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30.
Ho letto sta cosa che a Bologna hanno messo il limite di velocità a 30 km/h e naturalmente ci sono vari post di lamento oltre ai vari meme. Qua il limite in città è di 50 km/h e in alcune strade di 30 tipo vicino alle scuole o al centro dove è pieno di pedoni. Beh, se si considera che qua si rispetta il codice della strada, ci si ferma allo stop e prima delle strisce pedonali quando qualcuno è in procinto di attraversare, si può capire che da quel punto di vista forse sono più avanti, infatti oramai sono abituato nonostante non ho l'auto e prendo quella della mia compagna di più d'inverno ed è una cosa che mi spaventa di questo imminente spostamento a CT perché nella mia città si guida come dei folli senza rispettare nessuna segnaletica e spesso a velocità folle in pieno centro urbano, come un pò in tutto il sud, senza contare un uso eccessivo del clacson, cosa che qua non esiste, mai usato. Che l'italiano non ama le regole lo sappiamo, che a rispettarle gli viene l'orticaria è risaputo, ma che a lamentarsi è il primo in classifica. Sembra che questa sia una precauzione per evitare incidenti, che sappiamo dalle cronache essere all'ordine del giorno, ma cosa cambia se il limite è a 50 e non si rispetta comunque? Scommetto che se fosse a 100 lo infrangereste lo stesso solo per il gusto di farlo. Seguire le regole, in questo caso stradali, non è solo un dovere del cittadino ma anche un forte segno di senso civico e se tutti seguissero le leggi non ci sarebbe da preoccuparsi, che so, di attraversare la strada senza il timore di essere stirati anche sulle strisce pedonali. Ovvio che mi sembra un'assurdità però se chi mette le regole arriva a questo estremo vuol dire che ve lo meritate, no? Sicuramente tu che leggi no, ma ci sono persone che quando si siedono al volante gli prende una sorta di pazzia e devono andare veloce, certo sicuramente hanno un auto che gli permette di farlo e si credono grandi piloti, magari giocano a qualche video gioco di auto dove vincono sempre e vanno a 300 km/h ma è un gioco, però non considerano che i piloti girano su percorsi fatti ad hoc senza traffico e pedoni e hanno delle auto apposite per andare ad alte velocità e sono iper allenati per farlo, lui magari la sera prima ha bevuto o non si è svegliato come si deve perché è in ritardo e ha i nervi tesi perché non vuole arrivare tardi a lavoro. Sicuramente c'è un amminchiamento su certe cose e si ignorano altre che magari sono più importanti, come il fatto che vi fottono il paese e non ve ne accorgete perché siete in guerra col vicino, col nero, con l'omosessuale, come se il prossimo sia il nemico e non quello che vi dice che lo è. Molti si credono rivoluzionari o anarchici solo perché non seguono le regole, non è questa la rivoluzione che serve adesso, casomai. Questo è solo un mio punto di vista, perché ho letto da qualche parte che è una sorta di addestramento ad obbedire, sicuro? Lo dico a quel tizio che scrive che hanno iniziato col vaccino e ora i 30 all'ora, poi cosa? Sei cresciuto con l'idea di trovare un lavoro fisso e di passare la tua vita con una donna sola, di fare figli e farli crescere come te, non credi che questo sia già un addomesticamento? Inquararti e diventare un bravo cittadino non lo è? E ripeto non è violando le leggi che diventi rivoluzionario, la rivoluzione la fai quando non vuoi inquadrarti anche se rispetti le leggi, che poi in Italia sei già fuori dal coro se rispetti le regole visto che ognuno se le fa a modo suo.
Va bè vi lascio alla vostra diatriba inutile che vi distoglie dai problemi reali con un brano che calza a pennello del caro Frankie HI-NRG MC che stimo moltissimo.
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Carnica Ultra Trail
Quanto valgono una crosta di pane e due dita d’acqua nel fondo della borraccia? Ingurgito l’ultimo pezzo di pane che Niki tira fuori dallo zaino, verso le due bustine di Oki direttamente nella borraccia quasi vuota e butto giù tutto. Sto zoppicando da circa un ora e il dolore al tibiale sta diventando insopportabile al punto che comincio a pensare che tutto possa naufragare così, a soli 10 km dal traguardo.
Questo “tutto” è iniziato circa tre anni fa, quando Francesco ci chiese di fare una squadra per prendere parte alla 177 K, una corsa a scopo benefico non competitiva di 200 K in quattro tappe, con partenza da San Candido e arrivo a Tarvisio. Alla fine dopo vari rinvii quest’anno sembra essere giunto l’anno buono e così ci iscriviamo, non sapendo naturalmente che qualche settimana prima di partire proprio Francesco si sarebbe infortunato e quindi a portare la croce saremmo stati solo in due, il sottoscritto e Niki.
Il giorno prima della partenza al lavoro mi sento un pò strano, torno a casa mi misuro la febbre: 37,5. Niki è già in viaggio dalla Liguria verso Padova, non gli dico niente e aspetto. La sera mi sembra andare meglio ma la mattina al momento di partire ho ancora febbre, nausea, giramenti di testa. Che facciamo? Gira e rigira decidiamo di partire lo stesso e poi si vedrà, chiedo a Niki di darmi una mano a fare la borsa e lui controlla che tutto il materiale obbligatorio ci sia, per il resto lascia a fare a me, e come vedremo non sarà proprio un ottima idea.. Partenza direzione Tarvisio, dove lasceremo l’auto per prendere un treno delle ferrovie austriache che ci porterà dopo 4 ore e tre cambi a San Candido. Sonnecchio mentre Niki guida, a Tarvisio prendiamo un tè butto giù un aspirina e andiamo verso la stazione dove facciamo subito conoscenza con alcuni tra quelli che diventeranno i nostri compagni di ventura, in particolare una simpatica coppia di Gemona del Friuli e una veterana della 177 k che farà da scopa. Il viaggio passa veloce e per le 17 siamo a San Candido, una splendida località nell’alta Val Pusteria, non troppo lontano dalle tre cime di Lavaredo. L’atmosfera nella base di partenza è molto positiva, tutti si preparano a trascorrere la notte nell’auditorium, con il mio socio ci ricaviamo una specie di stanzetta sul palco con dei pannelli fonoassorbenti, giusto per assicurarci almeno una prima notte di riposo. Visto la tipologia dell’evento decido di assistere al briefing dove Marcello uno degli organizzatori spiega tutto quello che dovremmo fare, ma sopratutto quello che NON dovremmo fare nei prossimi giorni. In realtà mentre parla tutta la mia attenzione è attirata dalle k-bike, delle carrozzine per disabili attrezzate con dei maniglioni per potere essere spinte da quattro persone allo stesso tempo. Infatti alla traversata parteciperanno incredibilmente tre ragazzi disabili anche se seguendo un percorso alternativo al nostro ma ugualmente molto impegnativo sia per loro che per gli “spingitori”.
DAY ONE
Al mattino soliti riti pre partenza, si riempiono le flask, si ricontrolla lo zaino, la giornata sembra essere strepitosa quindi l’umore è alle stelle, io ho riposato e mi sento discretamente bene, quindi.. andiamo. Si parte subito con una bella salita tra gli abeti che ci porta a coprire i primi mille metri di dislivello nel corso dei primi dieci km, abbiamo già sconfinato in Austria e sembra girare tutto bene finché non inizio a sentire la testa girare, ho una forte nausea, inciampo e casco per terra, non so bene come arriviamo fino al rifugio Oberstanserseehutte e qui mi siedo convinto che sia stata una follia partire e che la mia corsa stia già per terminare. Passano tutte le altre squadre e iniziano la salita verso Sella Rosskopfthorl che si staglia di fronte al rifugio mentre io resto li infreddolito con la testa sul tavolo incapace di prendere una decisione. Prendo un tè, ci sciolgo un aspirina, aspetto e dopo un pò decido di provare a proseguire camminando piano. 100, 200, 300 mt di salita e mi sembra di andare un pò meglio, Niki mi raggiunge più andiamo avanti più mi sento di potercela fare, dopo qualche minuto stiamo di nuovo correndo.
I km scorrono veloci, di fronte a noi una cresta verdissima anticipa una discesa tecnica che attraversa un pascolo colorato da un tappeto di fiori gialli e viola in cui ci lanciamo a rotta di collo divertiti come bambini.
Ancora una sella, una malga, un rifugio (qui mi sfilo e dimentico su una panca la mia unica maglia a maniche lunghe) un ultima salita dove dei cavalli pascolano incuranti delle nostre fatiche e poi l’ultima discesa di 15 km che ci porta al primo campo base allestito per la notte.
Siamo tutti molto stanchi ma ancora dignitosamente convinti di quello che stiamo facendo, ceniamo e poco dopo cala il silenzio, ci infiliamo nelle tende in attesa della sveglia alle 4. La notte è fredda, battiamo un pò i denti ma tutto sommato questa resterà una delle migliori nottate passate in tenda.
DAY TWO
E’ ancora buio, un nugolo di frontali si aggira pigramente tra le tende come lucciole assonnate, ci muoviamo cauti parlando sottovoce tra borsoni, zaini e bucato steso in maniera improvvisata. Ritiriamo i gps, prendiamo il panino, facciamo colazione in fretta mentre qualcuno avvisa “Le sacche entro 10 minuti sul furgone!” Il percorso ha subito una variazione quindi per la prima parte seguiremo una traccia diversa balisata per l’occasione all’ultimo momento.
Partiamo molto lenti, così lenti che la scopa ci raggiunge e inizia a pungolarci facendomi un pò innervosire, vuoi per l’ora non proprio adatta al dialogo vuoi perché non vorrei essere così indietro, ma come dice saggiamente il mio socio “Calma, che la giornata è lunga”. Ed infatti più la salita si fa ripida e incerta più riprendiamo le altre squadre, ammiriamo un alba magnifica alle nostre spalle e con il sole che sorge riemerge anche il nostro buon umore, anche perché da più parti ci dicono che questa sarà la tappa più bella di tutte, e che attraverseremo le zone più selvagge del percorso, quelle che piacciono a noi.
Dopo qualche cresta sospesa nel vuoto imbocchiamo un traverso che si snoda a mezza costa in un mare di fiori gialli e piccoli torrenti carichi d’acqua da attraversare.
Ci godiamo questo pezzo corribile che ci porta al rifugio di Hochweisstein, dove ho la pessima idea di chiedere un panino. Mi passano due fette di pane da toast fredde con due sottilette ed una fetta di cetriolo al centro per la modica cifra di 9 euro. Riparto con il panino in gola, il percorso per fortuna è così bello che presto dimentico tutto. In cima alla sella ci aspetta Maja che ci da alcune indicazioni e ci avvisa “se vi è piaciuto fino ad ora vedrete il seguito!”.
Sorpassiamo un rumoroso gregge di pecore e scendiamo in una valle silenziosa, dove dei radi alberi spuntano tra l’erba fresca, l’unico rumore è quello del torrente che ci scorre a fianco. Io e il mio socio siamo a corto di aggettivi, raramente i siamo trovati in posti naturalisticamente così affascinanti, rallentiamo senza nemmeno accorgercene per godere meglio di quanto abbiamo intorno. Andiamo avanti così per diverso tempo, poi la valle risale fino al passo Giramondo e di li di nuovo giù verso una valle aperta dove incrociamo una piccola baita con una simpatica signora che alleva le sue capre rimproverandole amorevolmente in inglese per aver fatto poco latte il giorno prima. Siamo quasi al 40esimo km quindi ci rilassiamo un pò insieme ad un bizzarro trio di brianzoli con cui spesso ci troveremo a condividere pezzi di strada, mangiamo del formaggio fresco che sembra feta e beviamo una radler.
Abbandoniamo a malincuore questo piccolo angolo di paradiso e usando una strada forestale saliamo al lago Volaja, purtroppo il tempo sta cambiando e lo troviamo completamente avvolto nella nebbia, un vero peccato perché essendoci già stato anni fa da ore ne decantavo la bellezza a tutti. Non ci resta che individuare l’attacco del sentiero che ci porterà all’ultima lunga discesa che dopo 6/7 km termina direttamente nel campeggio. Qui facciamo due scoperte, la prima è che la sveglia domani verrà anticipata alle 3,30 e la seconda che la nostra tenda si trova a ridosso di un recinto di alpaca che passeranno la notte a fare un verso sconosciuto a 50 cm dalle nostre orecchie.
A cena ci viene servita dai gestori del camping una minestrina nella quale affondiamo due tre pagnotte creando così una specie di pastone sicuramente poco invitante ma almeno un pò più sostanzioso. Nella notte scoppia un fortissimo temporale, le tende reggono e quando alle tre e mezza ci alziamo è già finito tutto e sopra di noi c’è una stellata bellissima.
DAY THREE
Si parte per quella che è la temutissima terza tappa, 58 km con 4000 metri di dislivello ai quali è stato aggiunto un cancello alle 15,00 a circa metà percorso a causa di un previsto peggioramento del tempo nel pomeriggio.
Il paesaggio di oggi si discosta notevolmente rispetto a quello di ieri, dopo la ormai consueta salitona iniziale che porta al Passo Monte Croce Carnico discendiamo a valle e poi ci addentriamo in una valle rocciosa dove il tempo sembra essersi fermato a qualche milione di anni fa, a parte qualche asino non incrociamo nessuno fino ad un apprezzatissimo ristoro volante dove ci viene offerto del melone fresco insieme a qualche parola di incoraggiamento.
Da qui parte una salita lunga e molto impegnativa per Sella Avostanis, in cima troviamo ancora Maja e Giulio, le scope che ci spiegano un pò i prossimi bivi e ripartiamo subito in discesa verso il lago. Imbocchiamo la deviazione e attacchiamo un single track a mezza costa immerso nel verde più selvaggio che percorriamo in silenzio, Niki davanti e io dietro, ognuno immerso nei suoi pensieri. Siamo l’unica squadra che si è presentata sprovvista di bacchette, quando corriamo da soli il silenzio che ci circonda è assoluto.
Riprendiamo i brianzoli o loro riprendono noi, fatto sta che ci ritroviamo a correre di nuovo assieme in una valle semi-paludosa popolata da immobili e giganteschi yak (che Francesco sostiene essere invece mucche highlander). Un occhiata all’orologio, sono le 14,20 se vogliamo arrivare al cancello entro le tre bisogna spingere. Cominciamo a correre più veloce, 14,30 14,40 c’è ancora una discesa che scendiamo a cannone e 5 minuti allo scadere del tempo siamo a Straninger Alm. Chi arriverà dopo le 15,00 verrà fermato: di fatto siamo le ultime due squadre a passare. A questo punto mancano circa 25 km e abbiamo una finestra di due ore prima che il tempo peggiori, il che significa che dobbiamo cercare di non prendere il temporale almeno finché saremo in quota.
Riempiamo le borracce e ripartiamo subito, la prima parte è una passeggiata, ma quando è il momento di dover attraversare la sella di Aip utilizzando un sentiero esposto che taglia in due dei ghiaioni a 2000 metri di altezza il cielo comincia a farsi sempre più nero e minaccioso. Il percorso è molto lungo e bisogna procedere lentamente e con molta attenzione, a Niki si sta scaricando il tel dove conserva la traccia, traccia che io naturalmente non ho, comincio ad avere qualche timore che cerco di ingannare malamente ammirando quattro aquile che volteggiano sopra le cime. Fortunatamente quasi di colpo si alza un forte vento, che spinge le nuvole cariche di pioggia lontane dalle nostre teste. Il vento diventa così forte che una volta in cresta a fatica ci reggiamo in piedi, con i cappucci alzati avanziamo instabili come dei personaggi dell’Eternauta sempre più stanchi, sempre più sfiniti. Scavalchiamo delle rocce, attraversiamo una macchia di pino mugo ed ecco finalmente che ci appare in alto Passo Pramollo.
Ad aspettarci al termine dell’ennesima salita c’è Marcello, che forse un pò preoccupato ci è venuto incontro in macchina con un termos di tè caldo e dei panini. Ci indica la strada, dobbiamo salire fino agli impianti di risalita che nella sera che sta arrivando hanno un aspetto triste e desolato nonostante la loro modernità. Da qui giù per la pista di sci fino a lago Pramollo e quindi per la strada asfaltata arriviamo in una radura nel bosco dove è stato allestito l’arrivo e il campo base vicino ad una piccola baita. Arriviamo abbastanza provati ben oltre le 12 ore previste, non ci sono docce ma solo un torrente dove darsi una lavata. Ci hanno tenuto la cena in caldo, arrivano le scope, sotto il tendono ci raccontiamo un pò come è andata mentre scoppia di nuovo il temporale. Proviamo ad aspettare ma non accenna a smettere, anzi, sembra piovere sempre più forte. Tutti sono già a dormire ci copriamo alla meno peggio e corriamo verso la nostra tenda dove arriviamo zuppi.. Questa ultima notte in tenda non la dimenticheremo molto facilmente, è già tardi, ogni cosa è umida, fredda, bagnata. Ci avvolgiamo vestiti così come siamo nei sacchi a pelo e cerchiamo di far passare quelle quattro che ci separano dalla sveglia. Resto così immobile ma non riesco a dormire, ascolto la pioggia che batte sul telo e gocciola dentro, conto le ore, l’una le due le tre, le tre e mezza, finalmente è ora di alzarsi. Ieri sera avevo steso i pantaloncini ad asciugare all’arrivo e li ho dimenticati fuori, me li infilo così fradici, tanto tra poco saremo tutti bagnati. Per un attimo spero che venga rimandata la partenza per la pioggia, metto il naso fuori e invece c’è già qualcuno pronto. Dalla tenda al tendone è una palude, abbiamo i piedi fradici, piove fuori, piove dentro, piove dappertutto, eppure i volontari dell’organizzazione sono li pronti, impagabili con i loro pentoloni di caffè e tè caldo, ma sopratutto con i loro sorrisi presi in prestito chissà dove. C’è chi allestisce le k-bike e si assicura che Swami e gli altri ragazzi in carrozzina sia sufficientemente coperti, chi si avvolge in improbabili mantelle e avvolge gli zaini in sacchi delle immondizie recuperati li per li. Io mi limito a riempirmi la borraccia di tè caldo, ho talmente sonno che non riesco a formulare nessun pensiero.
DAY FOUR
Il countdown sotto la pioggia alla partenza non resterà sicuramente memorabile. Non siamo più in tanti, un paio di squadre si sono ritirate, più di qualcuno ha qualche problema fisico, eppure anche oggi si parte, compatti, quasi come un unica squadra ci immergiamo nel buio e nella pioggia decisi a portare a termine anche questa ultima tappa.
Ho sonno e sono stanco, penso che devo solo far passare le prime due ore poi con la luce e il sole forse tutto cambierà. Fortuna vuole che dopo poco smetta di piovere, così ci togliamo i nostri strati e ci ritroviamo a correre prima in un bosco e poi attraverso una forestale che scende in due piccolissimi villaggi austriaci ancora addormentati dove gli unici abitanti sembrano essere mucche e cavalli a zonzo tra le case.
Sogno un caffè ma niente da fare, continuiamo a correre un’altro paio d’ore finché arriviamo ad una malga dove ci fermiamo a riposare. Niki beve una birra, sono solo le dieci ma in fondo siamo in giro già da cinque/sei ore. Da qui in poi ci hanno avvisato che non ci sarà più acqua per i prossimi venti km fino all’arrivo. Riempiamo bene tutte le borracce e ripartiamo, ma subito mi accorgo che quel dolore al piede sinistro che prima era solo un leggero fastidio sta aumentando a dismisura, cerco di ignorarlo ma niente da fare, più cammino più aumenta.
Ad un certo punto non riesco più a correre, soprattutto in discesa inizio a zoppicare. Manca ancora un bel pezzo all’arrivo, in particolare dobbiamo affrontare gli ultimi 600 mt di dislivello del Monte Capin, che sono i più ripidi che si possano immaginare, o forse così ci appaiono ora. In salita riesco ad andare ma appena inizia la discesa niente da fare, chiedo a Niki di dirmi con esattezza quanto manca ma già sapendo che mi mentirà non presto attenzione alla risposta. L’oki inizia a fare effetto, provo a correrci sopra, funziona… da qui è tutta discesa, andiamo giù spediti nonostante abbia iniziato a piovere, 5 km che sembrano un eternità ed ecco le prime case, imbocchiamo una strada asfaltata, non siamo molto lucidi, attraversiamo un cimitero convinti di essere fuori strada mentre in realtà siamo ormai praticamente arrivati, scendiamo sulla ciclabile ed ecco in fondo il gonfiabile, ancora cento metri e tagliamo il traguardo quasi increduli, quattro giorni fa eravamo li che nemmeno sapevamo se partire o meno con 200 km di sentieri davanti a noi ed ora è tutto finito. Arrivano i ragazzi spingendo le k-bike, non si può descrivere l’emozione generale, pianti, abbracci. Andiamo a farci la doccia, apro la borsa non ho più niente di asciutto o pulito, niente con cui asciugarmi, mi arrangio alla meno peggio, Niki mi da una maglietta. Sara la volontaria che ci ha sfamati e rifocillati per quattro giorni ci abbraccia e ci ringrazia mettendoci in imbarazzo per la sua gentilezza, Marcello sembra sollevato dopo quattro giorni di preoccupazioni ora finalmente sorride soddisfatto. Come due ubriachi ci avviamo silenziosamente vero la macchina. Sapevamo fino dal principio che questa non sarebbe stata una corsa come tutte le altre, quello che non sapevamo era che avremmo incontrato delle persone eccezionali, e che la corsa non sarebbe durata solo 4 giorni ma che sarebbe continuata nelle nostre teste per molti altri giorni ancora.
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Ma dell'idoneità psico-fisica di Joe Biden se ne può discutere o è tabù come il sesso fra cugini e ne può parlare solo il Post perché ha il salvacondotto dell'Arci Anziani? I suoi collaboratori lo descrivono reattivo, deciso, veloce (fonte Agenzia Ansa), ma intanto gli limitano gli impegni e lo lasciano dormire fino a tardi nei fine settimana, non si regge in piedi, è confuso, non è lucido come Papa Francesco che ha sei anni in più ma ancora sfreccia sulla sedia a rotelle che pare Verstappen, Biden no, Biden si vede che è sofferente, inciampa, cade, si rialza ma sono tutte micro fratture a cui neanche l'olio di fegato di merluzzo, integratore di vitamina D, può porre rimedio. Non possiamo permetterci un pugile suonato alla guida del mondo libero (certo pure Ron DeSantis ne ha quarantaquattro e pare mi nonno, si presenti Musk, ecco, sì, Musk è bravo a fare il giovane).
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Quel manipolo di "rossi" che soffoca Wikipedia
Chi propone voci storiche contrarie alla vulgata di sinistra è sbattuto fuori senza troppe cerimonie: alla faccia della conclamata neutralità
Catalogare il mondo e metterlo a disposizione dell'umanità, ecco il sogno che Diderot e gli Illuministi volevano realizzare con l'Encyclopédie, un progetto che avrebbe messo in seria discussione il sapere e le autorità tradizionali
Quasi tre secoli dopo, sono le Enciclopedie a capitolare di fronte ad una nuova sfida, altrettanto ambiziosa e ancora più rivoluzionaria, che affida la catalogazione e la diffusione della conoscenza non più a una ristretta élite di dotti intellettuali, ma a una vasta massa di volonterosi dilettanti. Stiamo ovviamente parlando di Wikipedia, l'enciclopedia virtuale in cui si è imbattuto chiunque abbia un minimo di familiarità con Internet. Più simile alla Biblioteca di Babele immaginata da Borges che alla Enciclopedia Treccani elaborata da Gentile, Wikipedia è una delle poche realtà efficienti e gratuite che da oltre un decennio sono un saldo punto di riferimento nel caotico mare magnum della Rete, che ha inghiottito corazzate che sembravano inaffondabili come Second Life o Myspace e progetti simili come l'enciclopedia multimediale della Microsoft Encarta o quella lanciata da Google chiamata Knol e totalmente dimenticata.
Concepita nel 2001 da Jimmy Wales, un utopista smanettone appassionato di Ayn Rand, e da uno scettico dottorando in filosofia all'Università dell'Ohio, Larry Sanger, Wikipedia prende il nome da un termine hawaiano, wiki, che significa veloce; sin dall'inizio si offre come piattaforma di contenuti prodotti e curati da chiunque ne avesse accettato le regole fondamentali, conosciute come i Cinque Pilastri: niente ricerche originali, punto di vista neutrale, verificabilità delle fonti, e due comandamenti che riecheggiano quelli di Steve Jobs: be bold, ovvero «sii audace», e «ignora tutte le regole». In questo caso, la differenza sta nel fine, che non è, come per Apple, il profitto mascherato da raffinatezza, ma la catalogazione e la diffusione di tutto lo scibile umano senza scopo di lucro.
Il successo è immediato, e supera ogni rosea previsione: aperta a tutti e con la neutralità dell'informazione come requisito fondante, Wikipedia si diffonde a macchia d'olio, diventando la prima enciclopedia al mondo per mole di informazioni e lettori, mentre progetti di ben altre ambizioni e solidità innalzano bandiera bianca, come l'Encyclopedia Britannica, che nel 2012 ha rinunciato alla versione cartacea, o la nostra Treccani, che ha addirittura abdicato al suo ruolo guida, rimandando i suoi lettori online ad alcune voci di Wikipedia. Oggi, la libera enciclopedia del web è pubblicata in 285 lingue, comprese quelle morte come il latino, o artificiali come l'esperanto e il klingoniano, noto solo agli aficionados di Star Trek. La sola versione in lingua inglese, se stampata, oggi occuperebbe 2000 volumi come quelli di un'enciclopedia classica, con un indice superiore ai quattro milioni di voci, quasi tutte attendibili, grazie al lavoro costante dei collaboratori e degli amministratori, volontari eletti dalla comunità e preposti al controllo delle singole voci.
Alla storia di questo progetto è dedicato un brillante saggio: Wikipedia, di Emanuele Mastrangelo ed Enrico Petrucci, edito da Bietti (pagg. 394, euro 16). Oltre a descrivere accuratamente la storia di Wikipedia, il libro getta qualche ombra sugli amministratori della versione in italiano, che, invece di essere gelosi custodi della neutralità del sapere, sono zelanti vestali del politicamente corretto.
Come ha provato sulla propria pelle uno degli autori, chi non si conforma alla vulgata resistenziale, anche se è un ricercatore laborioso e affidabile, viene inesorabilmente espulso dalla comunità dei collaboratori italiani. Un piccolo ma agguerrito manipolo di amministratori fa catenaccio contro le forze oscure della reazione in agguato, vigilando contro la pubblicazione di versioni che possano anche lontanamente mettere in dubbio l'egemonia culturale della sinistra, vedi le voci sull'Attentato di via Rasella (derubricato a Fatti di via Rasella), per non parlare della Guerra civile in Italia 1943-45, realtà inconcepibile per chi conosce soltanto la gloriosa ribellione del popolo italiano contro la sanguinaria tirannide.
I gendarmi della memoria agiscono come la psicopolizia descritta da Orwell in 1984, impegnata a riscrivere la storia; ma i nostalgici degli Anni Settanta, che, per fortuna, sopravvivono quasi solo su Internet, non sono gli unici colpevoli, dato che sarebbe facile impegnarsi a contrastarli con successo, come dimostrano i due autori. Purtroppo, anche in Rete, come sui grandi giornali e nelle televisioni nazionali, la cultura, se non è allineata, non interessa quasi a nessuno: è talmente noiosa�.
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