#giuseppe bonura
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Cadavere nel cassonetto, restano in carcere i 4 indagati
Rimangono in carcere i quattro fermati per l’omicidio di Gabriele Maffeo, il 33enne di Biella trovato cadavere sabato sera in un cassonetto dei rifiuti nel rione Chiavazza.     Il gip ha respinto la richiesta di scarcerazione presentata dall’avvocato Cristian Conz per Marina Coda Zabetta e per Alessandro Solina.     L’avvocato Marco Romanello, che difende Giuseppe Bonura e Simone Perra, ha invece…
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mayolfederico · 4 years ago
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venticinque dicembre
Louise Bourgeois   * La serena indifferenza di Dio Chi in dolore gioia e pena immutabile rimane Ben poco dista ormai dalla serena indifferenza di Dio. Angelus Silesius (traduzione di Marco Vannini)   §   Nati il 25 dicembre   Angelus Silesius, poeta e mistico (1624 – 1677) Kid Ory, direttore d’orchestra e musicista (1886 – 1973) Franz Rosenzweig, filosofo (1886 – 1929) Eduard Bargheer,…
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yesiamdrowning · 8 years ago
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buongiornissimooo!1 kaffèee??
Devo ammettere che ogni tanto mi stupisco ancora anche io, e davvero per le cose (forse) più stupide. Comunque la vogliate leggere, anche questa mi va di argomentarvela. Qualche giorno fa, sarà stato inizio aprile, ho letto con inedito interesse un’intervista su un vecchio numero dell’Espresso (#1O del 2O14) a De Sica, neanche a dirlo “figlio” - dal momento che il padre sarebbe alquanto difficile coinvolgerlo in un botta e risposta. Aldilà della facile ironia, l’intervistato, Christian, si è dimostrato un’interlocutore sagace ed erudito: in grado di citare con desueta pertinenza Citto Maselli e Ingrid Bergman, non disdegnando ponti col cinema muto  francese, il tutto con una proprietà linguistica sorprendente e un’onestà intellettuale dirompente. Ecco, vorrei alzere la mano e presentarmi. E non per vantarmi, anzi. Mi chiamo Giorgio e faccio parte della nutrita schiera di intellettuali(ni) che uno come De Sica, uomo-simbolo dei “Cinepanettone” per antonomasia, non se l’è mai filato, e ancora proprio sicuro sicuro che non sia un coglione non lo è. Fattostà che non ci sono articoli recenti o no che ricordi di aver letto con lo stesso interesse e stupore, oserei dire mio malgrado. Non so perché ve lo stia dicendo, forse per vedere l’effetto che fa, su di voi e a me. Forse perché questo avenimento (sia all’apparenza che nei fatti) di poco conto coincide col profondo disgusto che provo ultimamente nei confronti di un modo di scrivere di alcuni colleghi trentenni e, nei casi limite, quarantenni e oltre.
Sono felice di vivere in un paese dove, se uno vuol proporsi con tutta la propria personalità, prima gli viene data (comunque) l’opportunità di farlo ed esporlo e poi si tirano le effettive somme di quello che è il suo merito, il suo talento e se è giusto o meno promuoverlo o lapidarlo. Perfino se ci fossero delle disattenzioni e delle ingiustizie, e ce ne sono, non vorrei che questo metodo di affrontare le cose cambiasse; e per fortuna non sembra intenzionato a farlo. Forse sarebbe più sensato mutasse, migliorasse o perfino sparisse, così da evitarci all’origine lo strazio di una nuova Isabella Santacroce e i problemi d’affitto di Bello Figo. Ma a me piace che una possibbilità sia data proprio a tutti, benché io (e come me altri) ne abbia avuta magari una in meno proprio per dare spazio a caproni conclamati. E’ un po’ ingiusto, ma pure sticazzi, se con questo sistema Ascanio Celestini e Franco Battiato non hanno dovuto fare tripli salti mortali per essere considerati degni d’attenzione almeno una volta, no?
Pagavo il canone Rai già quando non era accorpato alla bolletta della luce, e la cosa è stato oggetto di battute e incazzature con molta gente che si ingegnava per fare l’esatto contrario. E’ che mi piace l’idea di una Tv che non ha bisogno, o almeno non solo o almeno non in passato, di format di bassa risma per dare voce a protagonisti storti, dove viene fatto parlare uno come Ghezzi o Rezza e mi è stato dato modo di sentirli mentre magari il resto del mondo dormiva e la Tv commerciale lo riteneva una follia. Sul crinale tra gli anni Ottanta e i Novanta s'inventano nuovi lemmi, abbreviazioni criptiche, astrazioni di grande efficacia. La parola, già condannata a morte prima della diffusione di internet, si vendica pure se in una forma contorta e sommessa, attraverso i vari Andrea Pazienza, i Giovanni Ferretti o gli Alessandro Bergonzoni - nati dalla genialità neologistica dei furono Flaiano, dei furono Fo o dei furono Guareschi. Poi, nel campo della critica, che come ben sapete è l’aspetto della faccenda che da sempre più mi interessa, questo modo di fare le cose ha dato voce alle interessanti analisi di numerosi critici militanti. Firme controcorrente che, nel corso degli anni, hanno pubblicato articoli e saggi su quella che secondo Giuseppe Bonura è divenuta “l’industria del complimento”, ovvero l’antitesi stessa del concetto di critica. Se infatti, da un lato, il mondo ha accettato con sempre più remissiva tolleranza il vuoto pneumatico di analisi sempre più compiacenti e agiografiche, anche da parte di nomi storici che hanno perso il senso e il gusto del proprio mestiere a favore di un pubblico sempre più infantile e allegrone che dal giornalista Tale vuole leggere ciò che per primo direbbe di ciò che ama (ovvero un gran bene), dall’altra parte, c’è stato dato modo di andare a cercare e godere del lavoro di un Luciano Bianciardi o di un Erri de Luca - ma anche solo di un Vittorio Sgarbi quando non si mette a cantilenare di capre e altri ruminanti per smuovere la manifesta noia televisiva. Tutta gente per me d’esempio, mosche bianche, se si parla di critica musicale soprattutto, e non a caso vista nei peggiori dei modi da molti dei miei conoscenti, fosse solo per il modo di trattare l’italiano volendo esporre quelle che sono le proprie idee, per giuste o sbagliate che poi siano. Un modo che venera la parola, ricerca l’etimo, instaura una distanza didattica tra sé e chi legge che io ritengo giustissima - mentre il lettore medio la reputa snob solo perché non lo mette sullo stesso piano.
Purtroppo però sembro sempre essere, morettianamente parlando (miracolato pure lui da questo modo di fare), destinato a trovarmi bene con la minoranza delle persone mentre la maggioranza se ne va allegramente, tutti mano nella mano, affanculo. E se George Orwell fosse qui non potrebbe neanche dire un “ve l'avevo detto” perché la faccenda sarebbe troppa anche per lui. Tanto la situazione è oramai, almeno all’apparenza, irreversibile e volta  a uno scrivere regredito alle elementari nella quale lo scrittore trentenne e, nei casi più gravi, quarantenne e cinquantenne si pone nei confronti del lettore, anche quello più acerbo e infantile, al suo pari livello e a volte anche al di sotto. Così  abbiamo già avuto il dispiacere di annusare intere interviste assemblate con i messaggi vocali: tante domande, tante risposte: solo che tutto viene frullato e shakerato a piacere, principalmente quello dell'intervistato, che tanto qui siamo tutti amici e, specie se l’intervistato è altolocato, con sovrana noncuranza, spara repliche random e l'intervistatore più che sbobinare deve orientarsi in una selva oscura di battute maledettamente surreali, voli pindarici fuori luogo e botte di ego che nemmeno Savador Dalì. Il risultato che leggete è tipo gli esperimenti poetici del cut-up o del Gruppo '63: e se non ve ne accorgete è solo per via di quel clima di ebete bonarietà da confraternita universitaria dove intervistatore, intervistato e lettore sono come tre amici al bar, senza distinguo alcuno.
Brutalità benaccetta, visto che queste porcherie si leggono e condividono alla luce del sole, alla quale di recente si aggiunge la perdita di facoltà di non ridicolizzarsi conseguente (ipotizzo) all'uso compulsivo di social. Una per tutte: l’utilizzo all’interno di articoli, interviste, recensioni, eccetera, di abbreviazioni ed esasperazioni linguistiche che fino a qualche anno fa appartenevano a pischelli come i dARI e tutti quanti a dargli addosso. Trovare mostruosità come la “K” al posto del “CH” sotto scritti di gente da duemila condivisioni un po’ ovunque o il bestiale “!!1!1″ a sussulto di gente che nel ’87 dava voce in Italia ai Bad Brains (fatevi da soli un calcolo approssimativo dell’età) o vari raddoppi di consonanti, abbreviazioni degne dei Gazosa ed errori di battitura voluti, oramai è all’ordine del giorno. La potenza del linguaggio, che da millenni affascina e fa dannare filosofi e mistici, non è restata immune all'attacco di dottori Stranamore sempre più alienati. Tanto da fare apparire al confronto De Sica come Schopenhauer. Per comunicare, ovvio comunichiamo ancora: ma in modo sempre più volgare, innaturale, caciarone, approssimativo, insieme post e pre-adolescenziale che molti trovano “divertentissssimo”, che dice ma non accresce, infastidisce ma non aggredisce, non cerca contraddittorio, non lo regge, sfugge il pensiero critico e lo banalizza nell’aspetto. E così rotoliamo, bufali post-social(i), verso delle conseguenze che ignoriamo ne vogliamo conoscere: ci penseremo poi, ammesso che ancora si riuscirà a pensare.
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alimoncellontul · 3 years ago
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Che cosa leggo?
Se studi alla facoltá d’italianistica, leggi diversi libri parallelamente. Cosa leggo in novembre?
Giuseppe Bonura: Calvino - perché devo scrivere una tesi sul romanzo Se una notte d’inverno un viaggiatore
Boccaccio: La vita di Dante - perché é un libro di base per tutti chi si occupano della letteratura italiana
Montanelli-Nozza: Garibaldi - per conoscere meglio la storia italiana
Dino Buzzati: Un amore - lo leggo quando viaggio in treno
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gazemoil · 4 years ago
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I 50 MIGLIORI ALBUM DEL 2020
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Il quarto ed ultimo articolo della nostra List Week dedicata alle classifiche musicali di fine anno vede come sempre protagonisti gli album, il classico ed intramontabile lungo formato al quale siamo tanto affezionati. Ecco i nostri 50 Migliori Album del 2020. 
50.  Fleet Foxes - Shore (Anti, 2020)
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VOTO: 70/100
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49. Arca - KiCk i (XL, 2020)
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VOTO: 70/100
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48. Black Thought -  Streams of Thought, Vol. 3: Cane And Abel (Passayunk Productions, 2020)
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VOTO: 70/100
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47. Kelly Lee Owens - Inner Song (Small Town Supersound, 2020)
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VOTO: 70/100
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46. HMLTD - West Of Eden (Lucky Number, 2020)
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VOTO: 70/100
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45. Porridge Radio - Every Bad (Secretly Canadian, 2020)
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VOTO: 70/100
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44. Oneohtrix Point Never - Magic Oneohtrix Point Never (Warp, 2020)
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Psichedelia, elettronica, futurismo, avanguardia e tantissime altre sfumature dentro l'ultimo disco di Oneohtrix Point Never, l'onnivoro progetto di Daniel Lopatin, che durante la pandemia ha deciso di dare forma alla nostalgia per il passato ripercorrendo i suoi ultimi dieci anni di musica e mettendoli dentro Magic Oneohtrix Point Never. Il disco è assemblato per ricordare un programma radio dove le voci spesso si sovrappongono e la continua oscillazione tra un canale ed un altro alla ricerca di un suono decifrabile tra le interferenze talvolta fa emergere dall'etere canzoni da mondi distanti. Non è facile sintetizzare e reinventare un progetto artistico così complesso e borderless che negli anni non si è mai accomodato in nessun genere, ne nell'ambient, né nell'IDM e neppure nell'elettronica progressive, ma Lopatin lo fa in maniera abbastanza accessibile prendendo in prestito elementi dal linguaggio pop e continuando il suo lavoro di ricerca sul suono, scandagliando, trasformando e traducendo. Il risultato è un totale ibrido di influenze diverse. 
Tuttavia non è un disco facile, non manca la sperimentazione, le cacofonie barocche, contrapposte a momenti di totale minimalismo elettronico ipnagogico. Per quanto filosofico ed hippie possa sembrare, l'unico modo per spiegarlo è dicendo che non ci si può addentrare in Magic Oneohtrix Point Never con la testa, bisogna lasciarsi trasportare dal tappeto sonoro di Lopatin e della sua squadra, tra cui notiamo sicuramente Caroline Polachek, fidarsi delle proprie sensazioni ed imbarcarsi nella navicella spaziale che sorvola pianeti marziani e città iper-tecnologiche saccheggiate da una qualche catastrofe causata dall'uomo stesso. Non è tanto strano immaginarsi visioni assurde mentre si ascolta il disco, dato che Lopatin ha usato la fantasia per creare i suoi personaggi ed ambientazioni, talvolta giustificando i testi con storie improbabili, al limite tra la science-fiction e la distopia. Non è però tutto sensazioni e suoni astratti, a volte ci offre qualcosa di più palpabile, seppur non concedendosi troppo alla classica formula-canzone, in momenti come la power ballad No Nightmares con The Weeknd inconfondibile in veste di guest vocal, oppure Long Road Home. 
VOTO: 70/100
di Viviana Bonura
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43. Le sacerdotesse dell’isola del piacere - Alle Onde (V4V / Cloudhead, 2020)
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Alle Onde è il ritorno, quasi in sordina, de Le Sacerdotesse dell’Isola del Piacere, una delle migliori band del sottobosco italiano che da anni tiene accesa la fiaccola dell’emo rock percorrendo una traiettoria tutta in salita, soprattutto dopo il gioiellino Interpretazione dei sogni che attraverso riferimenti letterari da Freud a Kafka ha fatto tornare in vita un immaginario ben preciso per tracciare delle suggestioni e tradurle su un piano emotivo dentro una sfera molto personale. Ed è quello che continuano a fare nel terzo disco, immergendosi dentro altri libri e scrivendo ancora ricordi biografici tra le righe. Questa volta ad ispirarli è il mare e la natura, quello della Woolf, di Shakespeare e di Conrad, quindi elementi tutt’altro che pacifici ed idilliaci, ma tempestosi ed irrequieti, incontrollabili come i tumulti degli esseri umani, ma molto più grandi e permanenti dell’essere umano. Tornano le chitarre tra lo slowcore, l’emo e l’indie rock, gli anni ‘90 dei Dinosaur Jr. e delle band internazionali di oggi che si ispirano a quel sound, ma aumentano le distorsioni e gli assoli - e si vede anche nella durata dei brani. Tutto registrato per la maggior parte in presa diretta con un risultato che può piacere o meno, che non lascia molto spazio per le aggiunte stilistiche, l’innovazione su un piano musicale e compositivo, sulla costruzione del suono, ma gioca tutto al contrario sull’estemporaneità e sulla voglia di fare un disco rock dove la soddisfazione è proprio quella di poterlo suonare con immediatezza. Un disco sicuro non molto nuovo ma che funziona.
VOTO: 70/100
di Viviana Bonura
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42. The Microphones - Microphones in 2020 (P.W. Elverum & Sun, 2020)
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VOTO: 70/100
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41. King Krule - Man Alive! (True Panther, 2020)
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VOTO: 70/100
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40. Taylor Swift - folklore (Republic, 2020)
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VOTO: 70/100
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39. Run the Jewels - RTJ4 (Jewel Runners / BMG, 2020)
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VOTO: 70/100
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38. Pinegrove - Marigold (Rough Trade, 2020)
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VOTO: 70/100
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37. Kevin Morby - Sundowner (Dead Oceans, 2020)
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VOTO: 70/100
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36. Deftones - Ohms (Reprise, 2020)
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VOTO: 70/100
ascolta 
35. Oliver Tree - Ugly Is Beautiful (Atlantic, 2020)
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VOTO: 70/100
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34. The Weeknd - After Hours (XO / Republic, 2020)
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VOTO: 70/100
ascolta 
33. Dua Lipa - Future Nostagia (Warner, 2020)
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VOTO: 70/100
ascolta 
32. Wilma Archer - A Western Circular (Domino, 2020)
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VOTO: 75/100
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31. Holy Fuck - Deleter (Last Gang, 2020)
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A distanza di quattro anni dal loro ultimo album tornano gli Holy Fuck, una band sui generis a cui piace giocare secondo le proprie regole, unendo la tensione del rock e dell’elettronica in melodie estatiche su cui lasciare danzare l’inconscio. Il loro quinto e squisito ritorno si chiama Deleter, un disco di nove tracce fatto di mimesi elettronica distorta e punk, realizzata senza l’ausilio di computer ed altre moderne tecnologie, ma solo da strumenti reali come loro tradizione. Proprio per questo particolare gusto nell’approccio musicale, il disco sfugge agli schemi ed è estremamente liberatorio da ascoltare. Prende in prestito dai paesaggi musicali astratti della micro-house e dal mondo del clubbing, ma li spezza con chitarre elettriche e batterie che pur essendo fortemente elaborate in post-produzione mantengono quel carattere estraneo alla musica che stiamo sentendo, e per questo il risultato è accattivante.
VOTO: 75/100 
di Viviana Bonura
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30. Blu & Exile - Miles (Fat Beats, 2020)
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VOTO: 75/100
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29. Ichiko Aoba - アダンの風 (Windswept Adan) (Hermine, 2020)
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VOTO: 75/100
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28. Fontaines D.C. - A Hero’s Death (Partisan, 2020)
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VOTO: 75/100
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27. Colapesce & Dimartino - I Mortali (Sony Music, 2020)
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VOTO: 75/100
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26. Slow Pulp - Moveys (Winspear, 2020)
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VOTO: 75/100 
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25. Pufuleti - Catarsi Awa Maxibon (La Tempesta Dischi, 2020)
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Pufuleti, nome d’arte di Giuseppe Licata, ad ogni ascolto mi sembra sempre di più il fratello perduto di Slowthai. I punti in comune ci sono: immigrato, voce fuori dal coro, liriche irregolari, flow stralunato e atmosfere un tantino surreali da farti sentire a disagio ma anche farti spuntare un ghigno d’approvazione in viso. Di origini siciliane, ma trapiantato in Germania da piccolo, con Catarsi Awa Maxibon è al secondo disco in studio sotto il nome Pufuleti, ma è attivo nella scena rap tedesca da più di una decade come Joe Space.
Forse è anche per l’esperienza del rap in un’altra lingua che quando Pufuleti decide di impadronirsi dell’italiano lo fa con un’approccio del tutto anticonvenzionale - oltre a non porsi problemi nel mischiarlo con tedesco e inglese. Nelle dieci tracce hip-hop un pò lo-fi del suo secondo disco infilza rime assurde ed ogni tanto pure oscene, dal fascino sgangherato e spigoloso, su basi che omaggiano la vecchia scuola americana ma in cui risuonano anche tutti quegli elementi bizzarri e freschi della nuova ondata alternativa italiana, grazie pure ai continui esilaranti riferimenti alle televendite fine anni ‘90 e inizio 2000 che ci piacciono tanto. Catarsi Awa Maxibon è fantastico perchè è assurdo, delirante, geniale nell’adozione di nuove vie semantiche “che diventano ricerca affannosa di un assurdo che dia senso alle piccole cose”. Certe atmosfere visionarie e un pò malate sono impossibili da ignorare, e questo fin dal primo ascolto che si rivela subito dirompente ed inarrestabile grazie alle tracce dalla breve durata cucite come un pezzo unico di una trasmissione televisiva.
VOTO: 75/100
di Viviana Bonura
recensione - ascolta
24. Helena Deland - Someone New (Luminelle, 2020)
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VOTO: 75/100
ascolta
23. Thundercat - It Is What It Is (Brainfeeder, 2020)
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VOTO: 75/100
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22. Touchè Amore - Lament (Epitaph, 2020)
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VOTO: 75/100
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21. Hayley Williams - Petals For Armor (Atlantic, 2020)
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Con Petals For Armor Hayley Williams debutta da solista senza i Paramore, band storica dalla fama leggendaria e storia travagliata da vicende personali che la frontwoman non ha sempre trovato modo di affrontare e canalizzare. Il suo primo disco è il risultato artistico di un lavoro profondo e personale di ricanalizzazione. A volte bisogna proprio ripartire dall'inizio, anche da adulti, ed è quello che ha fatto la Williams concettualmente, facendosi custode dell'esperienza artistica di quindici anni di carriera per diventare la custode della sé più giovane e bambina, quella che ha assimilato modelli di affettività tossici senza volerlo e li ha riproposti nella sua vita sentimentale che ad un certo punto è diventata di dominio pubblico. Scava nei suoi traumi per la prima volta da sola ed utilizza la musica per parlare alla sé del passato e ricostruire la Hayley del presente. I brani sono pieni di riferimenti autobiografici, abitati da atmosfere paranoiche, rabbie tranquille, erotismo e femminilità, metamorfosi che passano attraverso stati contorti e mostruosi, prendendo la forma dei propri demoni per poterli esorcizzare. Musicalmente sperimenta con un pop ed un rock raffinato tra St. Vincent ed i Radiohead, l'elettronica ed il jazz.
VOTO: 75/100
di Viviana Bonura
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20. Grimes - Miss Anthropocene (4AD, 2020)
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Specialmente in questi ultimi anni Grimes, nome d’arte di Claire Bucher, ha vissuto in un mondo tutto suo. La producer, cantante e multistrumentista è sempre stata un personaggio sui generis, ma con una vita privata che ultimamente si lega sempre di più a quella pubblica è inevitabile che la sua personalità fuori dagli schemi si scontri con i canoni dell’essere una figura sotto ai riflettori, dunque confrontarsi con l’essere messa in discussione, ma ancora di più per il suo stile di vita e delle idee davvero bizzarre, spesso per gli altri non comprensibili. Ed è su questo precario e non ben definito equilibrio tra l’essere visionari e l’avere una fantasia piuttosto spiccata che nasce l’album più importante della sua carriera, Miss Anthropocene. Invece di rispondere al fuoco incrociato che l’ha vista protagonista di polemiche e critiche ha deciso di allontanarsi ancora di più dalla mondanità costruendo un universo inventato parecchio più inquietante e contorto di quello reale, dove il disastro climatico si intreccia a malvagie divinità aliene che desiderano soggiogare l’essere umano e mandare il mondo in rovina. La parte strumentale è quasi ambiziosa tanto quanto il concept - ma al contrario di quest’ultimo funziona sicuramente meglio ed è eseguito con più chiarezza - e vede Grimes ampliare ancora la sua palette sonora, rivelando una raffinata e lineare evoluzione del suo interesse di vecchia data verso la nostalgia della cultura rave e l’allettante musica pop dalle varie parti del mondo. I territori esplorati sono davvero tantissimi e l’eclettismo dell’artista è il punto forte di un disco che nel bene e nel male si è conquistato il diritto di guidarci verso le nuove rotte della musica pop.
VOTO: 75/100
di Viviana Bonura
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19. Lido Pimienta - Miss Colombia (Anti, 2020)
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VOTO: 75/100
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18. R.A.P Ferreira - Purple Moonlight Pages (Ruby Yatch, 2020)
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VOTO: 80/100
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17. Phoebe Bridgers - The Punisher (Dead Oceans, 2020)
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VOTO: 80/100
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16. Shabaka and The Ancestors - We Are Sent Here By History (Impulse! Records, 2020)
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VOTO: 80/100
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15. Ghemon - Scritto Nelle Stelle (Carosello Records, 2020)
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Hit dopo hit, ma senza rinunciare all’identità, in Scritto Nelle Stelle si sente tutta la ricerca nel suono fatta da Gianluca Picariello, in arte Ghemon, negli ultimi anni per conciliare il pop con l’hip-hop, l’Italia con le influenze della black music. La formula perfetta si trova in mezzo, giocando sul modern soul e l’rnb in un contesto pop raffinato e a volte vagamente pop-funk, a metà tra l’elettronico ed il suonato, con un risultato dalla grande musicalità - anche nei momenti in cui si sente la sua formazione hip-hop - un groove costante ed un cantato super caldo. Gioca ancora con le rime e la tecnica, ma il contesto è più rilassato, luminoso, frizzante e sembra che anche le riflessioni di Ghemon abbiano trovato riconciliazione e liberazione dentro questo sound ibrido dalle vibrazioni buone che gira attorno al mainstream, ma lo rielabora in chiave artistica con decisioni da musicista che tiene gli occhi aperti sul panorama internazionale piuttosto che da hitmaker come possono fare i colleghi Ghali o Achille Lauro, o ancora da fenomeno indie sulle righe di Carl Brave o Franco126. Scritto Nelle Stelle è un disco con un sound personale, che in Italia in questo momento ha pochi termini di paragone, vario ed omogeneo allo stesso tempo. Ghemon unisce gli opposti con stile - e non vediamo l’ora di sentirlo a Sanremo per la seconda volta.
VOTO: 80/100
di Viviana Bonura
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14. Fiona Apple - Fetch the Bolt Cutters (Epic Records, 2020)
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Fiona Apple è una di quelle che scrive canzoni perché ne ha bisogno per vivere e sopra ci ha costruito un’intera carriera senza farsi distrarre dalle attenzioni dell’industria discografica, anche a costo di essere guardata male e boicottata da tutti.  Il suo quinto album, Fetch The Bolt Cutters, arrivato dopo ben otto anni di attesa testimonia che le cose non sono cambiate perché quel fuoco brucia ancora ed è il fuoco di chi è nato per fare musica. Non si può non parlare tuttavia di evoluzione artistica, perché se le motivazioni che spingono la Apple a fare musica sono sempre le stesse, di certo non si può dire lo stesso per le modalità. Adesso c’è anche la maturità di un’artista che nel suo continuo sperimentare, scavare e ricercare le soluzioni meno ovvie, vedere dove nessun altro guarda, mette in tavola la propria anima adulta ma non invecchiata con una visceralità spiazzante. La Apple ripercorre il proprio vissuto, dall’infanzia fino all’età adulta, con la consapevolezza di chi sa che l’obiettivo finale non è l’assoluto controllo o la comprensione delle cose, per questo non perde i modi di fare di chi ha ancora da scoprire, da cadere e da imparare giocando o facendosi male e di riflesso la vivacità compositiva della musica è impressionate. La Apple ci dice che la parola “equilibrio” può significare cose ben diverse da persona a persona e lei lo ha trovato dentro un sottile spazio di convivenza dove all’interno ci saranno sempre e comunque i traumi terribili del suo passato e problemi di salute mentale con cui fare continuamente i conti, insieme ad un desiderio bruciante di vita. La vita e la morte, infondo, sono cose che si possono provare allo stesso tempo dentro alcune emozioni ed in questo Fetch The Bolt Cutters è assolutamente un trionfo.
VOTO: 80/100 
di Viviana Bonura   ascolta
13. clipping. - Visions Of Bodies Being Burned (Sub Pop, 2020)
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VOTO: 80/100
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12. Sevdaliza - Shabrang (Twisted Elegance, 2020)
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VOTO: 80/100
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11.  Charli xcx - how i’m feeling now (Asylum, 2020)
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Nel bel mezzo della pandemia ed a pochi mesi di distanza dal suo ultimo ed acclamatissimo disco, la regina - indiscussa - del nuovo pop Charli XCX ci ha raccontato come se la stava passando con una raccolta di undici tracce messe insieme di fretta e furia, neanche del tutto finite, che spiegano perfettamente come ci si sente ad essere presi alla sprovvista. how i’m feeling now è stato un fulmine a ciel sereno un pò come tutta la situazione che abbiamo vissuto, un progetto per nulla confezionato che incapsula il recente passato musicale dell’artista attraverso getti d’ispirazione istintivi suggestionati dalla sua sfera emotiva in una situazione di isolamento ed alienazione. Il risultato è davvero eccentrico e spigoloso, molto personale e riflessivo, ma al contempo bello per intrattenersi con del buon pop d’avanguardia. Vanta tra le produzioni quelle di Dylan Brady (100 gecs) che satura ancora di più tutto l’universo accelerato di Charli, fondendo il bubblegum pop della prima con l’elettronica sperimentale del secondo.
VOTO: 80/100
di Viviana Bonura
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10. Idles - Ultra Mono (Partisan, 2020)
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VOTO: 80/100
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09. Adrianne Lenker - songs (4AD, 2020)
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Non sempre la semplicità corrisponde alla facilità e songs di Adrianne Lenker - frontwoman dei Big Thief - ne è la testimonianza. Il suo è un disco semplice fino all’osso, solo voce e chitarra acustica, ma non è spoglio, perché dentro la cantautrice e musicista esplora, anzi distilla, i temi dell’amore e della perdita, inteso sia come lutto sia come fine di una relazione, con disarmante e struggente frontalità, nella più totale e vulnerabile sincerità. Un dolore palpabile, sulle corde gentilmente accarezzate della sua chitarra, dentro la voce naturalmente comunicativa e dal timbro indimenticabile, nella scrittura vivida e presente dei brani guidata dal suo modo intuitivo di esprimere le emozioni e la spiritualità. Sembra tutto fatto senza sforzo, ma sedersi su una sedia e registrarsi senza interruzioni ed omissioni, lasciarsi trasportare, fare i conti con sé stessi e guarirsi è tutto fuorché ordinario e lo si capisce in momenti come la conclusiva my angel o come che raggiungono picchi emotivi altissimi. Il suono della pioggia, lo scricchiolio delle sedie, i respiri, sono tutti i segni di un qualcosa che non si nasconde, di un qualcosa di integrale e di integro. La Lenker ci fa vedere tutto e ci fa immaginare. Le montagne sulle quali si è appartata per scrivere il disco, il freddo della rugiada, le passeggiate, i colori, i letti di morte, la solitudine, lo sguardo della donna di cui è innamorata, l’esitazione dentro un accordo preso un secondo dopo. Fare un disco che sembra un disco con così pochi elementi non è cosa facile, ma la Lenker ci è riuscita. Le canzoni di songs hanno tutto il potenziale per potersi evolvere e diventare cavalli di battaglia indie-rock dei Big Thief, ma anche così sono finite, complete e bellissime. 
VOTO: 80/100
di Viviana Bonura
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08. Yves Tumor - Heaven To A Tortured Mind (Warp, 2020)
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Un’altra personalità che ha intenzione di riscrivere le coordinate del pop a modo suo è il misterioso Yves Tumor che emergendo dalle viscere scure del post-industrial e della musica noise completa la sua metamorfosi in falena affascinante dell’rnb e dell’art rock, abbandonando i detriti sperimentali da brivido e lavorando invece sulla sua sorprendente capacità nel rendere orecchiabile ed armonico qualcosa di fondamentalmente dissonante e pure disturbante. S’illumina di una trasognata attitudine pop il nuovo disco Heaven To A Tortured Mind, senza tradire il bisogno di essere fluido e trasgressivo, ma sicuramente meno dilagante e disorientante. Lui è un artista che avevamo già intuito essere sulla buona strada per il successo col disco precedente, ma stavolta stupisce davvero per la maturità. Astratto, ma ora anche molto più concreto, Heaven To A Tortured Mind trova l’occasione per schiacciare l’occhio a sensualità jazz e psichedeliche, regalandoci ballate al buio trasversali.
VOTO: 80/100
di Viviana Bonura
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07. The Strokes - The New Abnormal (RCA, 2020)
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Quella degli Strokes è una carriera leggendaria e lo sappiamo benissimo tutti. Per una band che ha influenzato in maniera indelebile il primo decennio degli anni duemila ed ha vissuto quasi tutto il successivo sopra le spalle dei loro brani immortali non deve essere stato facile ritornare con un nuovo disco inedito. Più volte abbiamo creduto che l’intenzione di Casablancas fosse quella di continuare a fare musica con il suo side-project The Voidz e che con gli Strokes non ci fosse più la scintilla di un tempo - vedi il ritorno a mani basse con l’EP Future Present Past del 2016 - ma a smentirci, fortunatamente, c’è The New Abnormal dove la band è animata da un’energia tutta nuova. Con la produzione di Rick Rubin il disco riesce a spingere alcuni limiti della band ed offrire delle tracce stravaganti, creative e dalle strane scelte, al contempo ritrova quel brio chiassoso dei primi lavori che ne sporca i suoni e riporta alle origini del loro rock da garage. I riferimenti agli anni ‘80 ci sono, dalla copertina fino ai rimandi musicali, ma The New Abnormal non è un disco vecchio o prevedibile, anzi estremamente orecchiabile, classico ed audace. Sì, gli Strokes continuano ad essere rilevanti anche vent’anni dopo.
VOTO: 80/100
di Viviana Bonura
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06. Against All Logic - 2017-2019 (Other People, 2020)
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Anche questo per Nicolas Jaar sembra essere un anno d’oro. Il poliedrico produttore americano-cileno vive un periodo particolarmente prolifico e la musica registrata sotto lo pseudonimo Against All Logic è interessante tanto quanto quella con il suo nome di nascita, se non di più. Tanto è vero che a finire sulla nostra lista non c’è Cenizas, ma 2017-2019 che segue l’eccellente disco di due anni fa in cui si avventura sui territori meno battuti della musica techno con un approccio innovativo fuori dal comune. Quello di 2017-2019 è un suono distorto e duro che fa da controparte all’avvolgente e calda musica house del debutto, ma è ugualmente eccentrica ed ambiziosa. Il mix è ipnotico, caotico ma incredibilmente diretto, le successioni dei brani sono fluide ed i ritmi sempre serrati, centrati su bassi profondi spesso al limite della trama sonora, strane percussioni e melodie accattivanti.
VOTO: 80/100
di Viviana Bonura
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05. Moses Sumney - græ (Jagjaguwar,2020)
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L’arioso e tentacolare secondo disco della gemma dell’art-pop Moses Sumney è un tripudio di sfumature emotive e musicali. Diviso in due parti (la prima uscita in versione digitale all’inizio dell’anno) esplora gli spazi grigi - “grey areas” - tra la musica, le parole e soprattutto nell’individuo, mettendo in discussione la nostra esistenza binaria. Momenti strumentali organici che spaziano dal jazz al soul si susseguono elevando il linguaggio del disco e schiarendone le ombre, insieme a distorsioni elettroniche ed arrangiamenti sperimentali che ne intrecciano la traiettoria. Anche questa volta il collante è la splendida ed anamorfica voce dell’artista, intenta a spezzarci letteralmente il cuore. Sebbene la paura della solitudine di Sumney definisca ancora gran parte dell'album, il suo abbracciare questi spazi di mezzo apre nuove possibilità di auto-determinazione e attualizzazione. Spirituale, sperimentale, vivido e dolce sono le parole per descrivere græ.
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VOTO: 80/100
di Viviana Bonura
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04. Rina Sawayama - SAWAYAMA (Dirty Hit, 2020)
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E’ davvero un coraggioso nuovo mondo quello che si sta creando la musica pop negli ultimi anni e Rina Sawayama vi sta contribuendo a pieno, mostrandoci esattamente come nel suo debutto SAWAYAMA. Sempre a fianco dell’alchimista del pop Clarence Clarity che si è occupato delle produzioni i due riescono a definire con chiarezza la direzione artistica del disco. Estremamente contemporaneo, contaminato e stiloso, incorpora elementi del teen pop dei primi anni 2000 à la Christina Aguilera con le sue evoluzioni bubblegum molto più moderne ed elettroniche, ed ancora il nu-metal dei Deftones coi ritmi club. Sembra fin troppo ambizioso ed eccessivo, ma SAWAYAMA unisce con entusiasmante maestria suoni aggressivi ed altri decisamente più inoffensivi facendo tesoro dell’eredità culturale dell’artista e contemporaneamente esplorando i temi dell’identità, sentimenti personali e filosofie più in generale sul mondo. E’ un disco importante perchè si posiziona con prepotenza nelle cerchie del pop pur avendo un’anima estremamente anticonvenzionale, strana e piena di giustapposizioni.
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VOTO: 80/100
di Viviana Bonura
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03. Lucio Corsi - Cosa faremo da grandi? (Sugar Music Italia, 2020)
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C’era una volta il cantautorato narrativo e Lucio Corsi lo ha preso e rispolverato con grazia. E’ una ninna nanna di nove ballate per adulti Cosa faremo da grandi: “Perché nemmeno da vecchi si sa cosa faremo da grandi”. L’album è ricco di storie senza tempo e personaggi semi fiabeschi, fuori dagli schemi della società odierna. Il cantautore maremmano fa da eccentrico narratore in questo dolce album con tante nuove storie raccontate in versi di canzoni oniriche. Le melodie serene e allietanti dei brani di Cosa faremo da grandi? non sono un manifesto del sound attuale, ma nel complesso l’album è molto originale grazie alle parole ricercate all’immaginario che le storie suscitano. La ricerca e gli arrangiamenti valorizzano il fatto che l’album sia un puzzle di figure semplice e pure come i disegni dei bambini. E’ un lavoro che nasce nel 2020, ma potrebbe essere traslato indietro nel tempo o collocato in un’Italia futura: il suo essere senza tempo lo rende eccentrico e speciale.
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VOTO: 85/100
di Agnese Centineo
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02. Laura Marling - Song For Our Daughter (Chrysalis / Partisan, 2020)
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Giunta al settimo album in studio a soli trent’anni, la cantautrice e musicista Laura Marling continua a volare sotto i radar del grande successo, probabilmente perché durante la sua carriera è riuscita a far sembrare semplicissime cose molto più complesse ed intricate, giungendo ad una maturità artistica notevole per la sua età. Song For Our Daughter conferma la natura taciturna dell’autrice, anzi risparmia moltissimi elementi a favore di una semplicità che fa emergere solo l’essenziale, premiandone la scelta coraggiosa con un risultato che lo colloca tra i suoi lavori più completi. E’ un disco che si pone poeticamente come un dialogo con una figlia immaginaria, ma che in realtà è una lettera a cuore aperto alla sè più giovane, quella di una volta. Come se avesse vissuto chissà quante vite o la sua anima fosse davvero vecchia, la Marling compensa alla mancanza di sperimentazione e strumentali assolutamente non protagoniste con una delle scritture più belle di quest’anno. Apparentemente troppo delicato e sottile, Song For Our Daughter è invece un disco robusto capace di mantenere viva l’attenzione con storie toccanti piene di colpi e riflessioni inaspettate, cantate dall’elegantissima voce senza tempo di un’autrice la quale statura viene spesso paragonata a quella della leggendaria Joni Mitchell. Chissà se allora la sua avventura diventerà un classico.
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VOTO: 85/100
di Viviana Bonura
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01. Perfume Genius - Set My Heart On Fire Immediately (Matador, 2020)
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Il quinto album di Mike Hadreas, in arte Perfume Genius, si destreggia fluido tra melodie sublimi e dissonanze cupe con la delicatezza di uno degli artisti più sensibili degli ultimi anni, abbracciando le gioie ed i dolori del corpo umano e le sue innumerevoli ed intangibili aspirazioni. Hadreas ha dimostrato durante tutta la sua carriera come ogni disco è capace di rappresentare una metamorfosi - artistica e personale - e Set My Heart On Fire Immediately non fa eccezione. Come No Shape mantiene una sensibilità rock ed un riguardo verso l’orecchiabilità in funzione della radio, mentre come Too Bright alterna struggente momenti di tenerezza ed alienazione, mettendo in circolo dramma, emozioni, piacere e sofferenze in maniera meno intricata e sicuramente più risolta. Gli arrangiamenti sono vivi, così come le sue parole. Quella di Perfume Genius è una musica estremamente intima e liberatoria, una musica che colpisce perché nella sua vulnerabilità è capace di umanizzare qualsiasi esperienza. L’artista è riuscito a teatralizzare in musica un travagliato percorso e dopo aver imparato a trascendere dal corpo umano ne ha finalmente abbracciato la sua essenza concreta.
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VOTO: 85/100
di Viviana Bonura
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MENZIONE A:
Mac Miller - Circles (Warner Records, 2020)
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Nicolas Jaar - Cenizas (Other People, 2020)
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Soft Kill - Dead Kids, R.I.P. City (Soft Kill, 2020)
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Emma Ruth Rundle & Thou - May Our Chambers Be Full (Sacred Bones, 2020)
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Empress Of - I’m Your Impress Of (Terrible, 2020)
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edizionimedusa · 4 years ago
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Un maestro della cultura popolare, ma sempre coltissimo e molto addentro alla dinamica costruttiva dei miti letterari moderni, come Francis Lacassin – Medusa ha pubblicato il libro sull’origine di Maigret (La vera nascita di Maigret), ancora su Il senso di Simenon per la fuga, su Tarzan (Il ritorno di Tarzan – non poteva sottrarsi ai #vampiri. E infatti scrive la prefazione a questa raccolta di alcuni racconti “template” del genere: Il Vampiro, o il sangue che vince la morte.
Guy de Maupassant, Théophile Gautier, Alexandre Dumas, Léon Bloy e Claude Klotz con un grottesco (ce n’è bisogno?) vampiro che finisce per donare il sangue a un ospedale, è la fine post-moderna del vampiro, ci ragguagliano sullo stato di salute del mito creato in era post-romantica. Al cui confronto le serie tv sull’argomento sono pallide imitazione (non è che le hanno già succhiato il sangue prima di andare in onda?) e parodie involontarie.
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sinapsinews · 5 years ago
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[Palermo] Boss mafiosi Bonura e Sansone ai domiciliari. Orlando "41-bis è migliore forma di prevenzione sanitaria" "Al di là del comprensibile smarrimento che la notizia ha creato nei familiari delle vittime di mafia, non si può non sottolineare che il trasferimento ai domiciliari per ieri per il Boss Francesco Bonura e oggi per Giuseppe Sansone appare una palese contraddizione dei motivi stessi per cui sarebbe stato disposto.
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pangeanews · 5 years ago
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“Ti amerò sempre e non posso farci niente”. Adriana Ivancich, la ragazza che fece impazzire Hemingway
Furono tutti piuttosto ingenerosi con lei. Nella Cronologia al ‘Meridiano’ Mondadori che raduna Tutti i racconti di Hemingway, la Pivano è sbrigativa. Ammette che nel 1948, in Italia, accade l’incontro: EH va a caccia di pernici, è dicembre, nella tenuta friulana del conte Federico Kechler. “Lì incontra Adriana Ivancich, diciannovenne, aristocratica e cattolica; si invaghisce di lei”. Ora: Hemingway nel ’48 ha 49 anni, è alla quarta moglie – Mary Welsh – sposata due anni prima, “s’invaghisce” di una ragazza italiana di 19 anni, veneziana, discendente di una famiglia di armatori, e nessuno s’infervora? Fatto è che la Pivano cita qua e là la Ivancich – censendo anche un viaggio all’Avana da EH – come una figura a margine, una figurante di carta. Sottilmente crudele l’Album Hemingway pubblicato da Mondadori nel 1988 sotto la tutela di Masolino d’Amico. Ovviamente, si marca l’amore – platonico, per lo più – tra lo scrittore in anni e la nobile giovine – “Che Papa amasse a modo suo la giovinetta fu lui stesso a dichiararlo a più riprese a vari corrispondenti oltre Adriana, cui indirizzò lettere appassionate”. Non ci si trattiene dallo sgarbo, tuttavia: “Di Adriana apprezzò anche, o si autoconvinse che apprezzava, il talento, fino al punto da imporre a Scribners di usare per le copertine di Di là dal fiume e fra gli alberi e Il vecchio e il mare certi suoi goffi disegni, che gli editori fecero correggere a dei professionisti”. Adriana, con spavalda bellezza, ricorda il primo incontro con Hemingway così: “Questo è dunque Hemingway, di cui tutta Venezia parla. Un vecchio: fronte tagliata da due rughe profonde, baffi dritti sopra le labbra. Le labbra hanno una piega a un lato, scanzonata, gli occhi sono vivi e penetranti: forse non è proprio vecchio. E anche se è importante, ha l’aria simpatica”. Come si sa, Hemingway ottiene il Nobel per la letteratura nel 1954, “per la maestria nell’arte narrativa, dimostrata recentemente in Il vecchio e il mare…”. Negli anni in cui frequenta la giovane veneziana Hemingway scrive il suo romanzo (ingiustamente) più noto, grazie a cui arriva all’ambito Nobel; ed è a lei che fa immaginare la copertina… Direi che questo non è un amore superficiale, bensì plateale.
*
Di Hemingway e di Adriana Ivancich si è sempre saputo (leggi qui), così come dell’amicizia con il fratello di lei, Gianfranco Ivancich: in un articolo sul “Guardian” del 30 marzo 2012, in cui si recepisce la scoperta del carteggio tra EH e Gianfranco Ivancich, Alison Flood ricorda che “la sorella Adriana è nota per aver ispirato l’estremo periodo creativo di Hemingway che fiorisce con la scrittura de Il vecchio e il mare”. La figura di Adriana, ormai, è messa in piena luce grazie al libro di Andrea Di Robilant, Autunno a Venezia. Hemingway e l’ultima musa, pubblicato lo scorso anno dall’editore Corbaccio.
*
Marginalizzata dai biografi di Hemingway – per lo più dimenticata, come è ovvio, nelle memorie di Mary Welsh, pubblicate nel 1976 con il perentorio titolo How it Was – la Ivancich ha raccontato la sua versione dei fatti in un libro luminoso e casto, La torre bianca, pubblicato da Mondadori nel 1980. Non capisco perché – se non supponendo ostacoli da parte degli eredi – questo libro, di indubbie qualità letterarie, non sia più ristampato da quel dì e siano sempre altri – pur titolatissimi – a raccontare di lei e di lui, ‘Papa’. Non è facile trovare quel libro di memorie neanche in biblioteca: l’ho scovato, in consultazione, alla ‘Gambalunghiana’ di Rimini, nel fondo creato da Giuseppe Bonura. Ho ricalcato alcuni passi, che mi sembrano significativi.
*
La copertina della prima edizione americana di “The Old Man and the Sea” disegnata dalla Ivancich
Qui Adriana e Hemingway, che si frequentano finché lui conquista il Nobel, sono a Parigi:
“Se togli i bambini in carrozzella, ogni uomo che passa – se ti conoscesse e non è stupido – si fermerebbe. Si fermerebbe e verrebbe a chiederti di sposarlo. Anch’io, benché sia stupido, mi fermerei subito… Vivrei per farti felice. Fino all’ultimo dei miei giorni…”. Ecco… la valanga si sta staccando dal monte. Sta per precipitare e tutto sta per finire. Era così bello, e sta per finire. “Adriana. Ti chiederei di sposarmi se… se non sapessi che mi diresti di no”. Il mio sangue ricomincia a scorrere. Allungo la mano, prendo il bicchiere. Bevo uno, due sorsi. La valanga non si è staccata. Fuori c’è ancora il sole. Oltre la vetrata la gente passa e ripassa, ecco un altro artista, un’altra francese… “Andiamo”, dico e mi alzo. Si alza. Mi guarda. Lo guardo, gli sorrido, dico: “Andiamo lungo la Senna. Andiamo a gettare nella Senna quelle parole…”.
*
“La torre bianca” è la casa cubana di Hemingway, la Finca Vigía. Lì i due, Adriana e EH, sigillano un patto. Lavoreranno insieme, ciascuno dando ispirazione all’altro: il cinquantenne grave di fama e la ventenne luminosa di nobiltà.
“Il critico più severo che abbia incontrato sei tu, partner. Non per i libri, per il mio carattere. Non perdi mai un’occasione per sparare. E fai quasi sempre centro, General Marti”.
“Oh Papa, ma tu sai…”
“So che abbiamo deciso di essere onesti uno con l’altro. Onesti vuol dire anche severi….”. fece di nuovo qualche passo su e giù per la stanza, ritornò vicino a me, incrociò le braccia dietro la schiena. “La Torre Bianca. Qui, con onestà e autodisciplina lavoriamo, indipendenti, eppure uniti. Per il meglio e per il peggio, partner. Ho pensato di costituire una società, The White Tower Incorporation. Che ne dici?”.
Nelle ipotesi da istrione, Hemingway si figura che nella “Torre Bianca” abitino lui e Adriana. Come ‘soci’ della ‘White Tower Inc.’ ci saranno Marlene Dietrich, “una gran donna”, Ingrid Bergman, “un’attrice estremamente sensibile”, Ava Gardner, “nice tough girl”, Gary Cooper e forse Orson Welles. Al di là degli scherzi, stimolato da Adriana EH scrive Il vecchio e il mare; sedotto da lui, lei disegna e scrive il suo libro di poesie, Ho guardato il cielo e la terra, pubblicato nel 1953 da Mondadori.
*
A proposito della pubblicazione con Mondadori. Adriana, bella e spavalda, ha 23 anni e fa a spallate in un mondo letterario piuttosto vile, coordinato da maschi. In un cammeo, Montale non fa una bella figura. La Ivancich vuole inviare il suo fascio di poesie a Mondadori. Allora pensa di rivolgersi a Montale. D’altronde, aveva un debito da riscuotere. “Un giorno a Venezia mi aveva pregato di fargli un grande favore: doveva scrivere un articolo su Ernest Hemingway, ma in quel periodo Hemingway rifiutava di essere intervistato. Se riuscivo a procurargli un appuntamento, ‘mi sarebbe stato grato per tutta la vita’ aveva detto. Non era stato facile persuadere Papa, ma ci ero riuscita… Telefonai dunque a Montale che mi invitò a casa sua e sorbendo una tazza di tè gli raccontai che ero venuta a Milano per mostrare le mie poesie ad Alberto Mondadori ma che non riuscivo mai a parlargli perché era sempre in riunione, chissà se poteva provare lui per me, conoscendolo bene…”. Naturalmente, Montale dice che va bene e non fa nulla. Adriana si scoccia. “Erano passati i giorni e avendo stabilito che non era affatto vero che Montale mi sarebbe stato ‘grato per tutta la vita’, che era inutile e umiliante prolungare oltre quell’attesa, avevo cominciato a fare la valigia”. Poi, fa da sola. E fa meglio. Va in Mondadori, indossando un adatto paio di scarpe con il tacco, dice di essere attesa da Alberto in persona, irrompe nell’ufficio, gli lascia il manoscritto. L’editore – affascinato dalle poesie o dalla ventata di giovinezza dell’audace – decide di pubblicare il manoscritto.
*
Al di là delle memorie di Adriana, sbucano alcune lettere. Eloquenti. Questa è scritta da Hemingway a Cuba, il 27 luglio del 1950:
“Mia cara Adriana, ti amerò sempre e non posso farci niente. Ma se è meglio per te non lo scriverò mai in una lettera né mai te lo dirò. Cercherò soltanto di servirti bene e di esserti di buona compagnia quando ci incontriamo. È un programma piuttosto difficile, ma puoi contare su di me per la sua assoluta attuazione. Nessuno può controllare ciò che ha nel cuore, se ha un cuore. Ma io posso controllare le mie parole e le mie azioni e questo posso offrirti come assoluta promessa se la vuoi.
Senza di te mi sento solo. Così solo che alle volte non riesco a sopportarlo. Ma se su questo non c’è nulla da fare, non c’è nulla da fare. Lavoro sodo ma dopo il lavoro mi sento due volte solo. Sul mare mi manchi così tanto che non riesco a sopportarlo. Questi sono i problemi con i quali non voglio più annoiarti. Voglio che tu abbia una bella vita felice e che tu faccia tutto ciò che vuoi fare e che nessun problema mio sia mai un handicap per te, mai. Mister Papa”.
*
Nel libro, la Ivancich parla anche delle violente depressioni di Hemingway. “La vena si era inaridita, intorno a lui era il vuoto”. Adriana riempì quel vuoto, nel quale Hemingway rientrò poco dopo. Quando si salutano l’ultima volta, a Venezia “due lacrime brillano sospese nei suoi occhi”. La percezione, forse, di una vita abortita, è insostenibile. “La gente è sempre gelosa di quelli che sono felici, dice. Si gira verso la finestra. Siamo di nuovo lontani. Oltre la finestra la luce che sta per tramontare ha tinto il Canale di rosa. La sua figura sembra più scura e massiccia, contro quel rosa. ‘Forse sarebbe stato meglio che non ti avessi incontrato’”.
*
Hemingway si uccide, disarmato al vuoto, nel 1961. Due anni dopo Adriana si sposa con il conte Rudolph von Rex, da cui ha due figli. Intorno a lei e a lui, Papa, sono sempre levitati i pettegolezzi. Nel 1983, tre anni dopo aver pubblicato La torre bianca, Adriana Ivancich mette fine ai pettegolezzi impiccandosi. (d.b.)
*In copertina: Ernest Hemingway con Adriana Ivancich; i due si conoscono nel dicembre del 1948
L'articolo “Ti amerò sempre e non posso farci niente”. Adriana Ivancich, la ragazza che fece impazzire Hemingway proviene da Pangea.
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pastrufazio · 12 years ago
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Ma prima di andare in montagna...
... occorre dare ancora uno sguardo, malinconico, a cosa lasciamo:
Per Gadda la verità è incompiutezza dell’uomo e del mondo. L’eroismo consiste nel cercare la verità, punto e basta. La pretesa di afferrarla e di mostrarla all’inclita e al colto, per Gadda è un atto sommamente mistificante, che lascia volentieri fare agli scrittori di mezza tacca e ai tribuni di qualsivoglia tribuna.
Sono le parole di un grande critico, Giuseppe Bonura, sul numero 309, 3 giugno 1973, del settimanale “Sette Giorni”, un intervento dal titolo Carlo Emilio Gadda. Angoscia e riti della borghesia. Insieme a queste altre:
Gadda va alla ricerca, in ogni sua opera, delle cause e delle “concause” (come egli diceva) che cospirano contro la felicità dell’uomo. E se non scopre la verità ultima, che il suo corposo laicismo rifiutava, scopre nondimeno un'altra verità: l’ingiustizia sociale.
Ecco, il punto: proprio non vuole farsi largo nelle zucche che popolano questo angolino di mondo, la consapevolezza della propria e dell’altrui incompiutezza; di tutto ciò che appare come frutto del nostro affanno e della nostra cura, proprio non vuole farsi spazio e al suo posto appare l’immenso nulla che avvolge e mistifica la mancanza di ogni verità estetica e morale. Per questo si va in montagna.
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gazemoil · 4 years ago
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RECENSIONE: Pufuleti - Catarsi Awa Maxibon (La Tempesta Dischi, 2020)
di Viviana Bonura
Pufuleti, nome d’arte di Giuseppe Licata, ad ogni ascolto mi sembra sempre di più il fratello perduto di Slowthai. I punti in comune ci sono: immigrato, voce fuori dal coro, liriche irregolari, flow stralunato e atmosfere un tantino surreali da farti sentire a disagio ma anche farti spuntare un ghigno d’approvazione in viso. Di origini siciliane, ma trapiantato in Germania da piccolo, con Catarsi Awa Maxibon è al secondo disco in studio sotto il nome Pufuleti, ma è attivo nella scena rap tedesca da più di una decade come Joe Space. 
Forse è anche per l’esperienza del rap in un’altra lingua che quando Pufuleti decide di impadronirsi dell’italiano lo fa con un’approccio del tutto anticonvenzionale - oltre a non porsi problemi nel mischiarlo con tedesco e inglese. Nelle dieci tracce hip-hop un pò lo-fi del suo secondo disco infilza rime assurde ed ogni tanto pure oscene, dal fascino sgangherato e spigoloso, su basi che omaggiano la vecchia scuola americana ma in cui risuonano anche tutti quegli elementi bizzarri e freschi della nuova ondata alternativa italiana, grazie pure ai continui esilaranti riferimenti alle televendite fine anni '90 e inizio 2000 che ci piacciono tanto. Catarsi Awa Maxibon è fantastico perchè è assurdo, delirante, geniale nell’adozione di nuove vie semantiche “che diventano ricerca affannosa di un assurdo che dia senso alle piccole cose”. Certe atmosfere visionarie e un pò malate sono impossibili da ignorare, e questo fin dal primo ascolto che si rivela subito dirompente ed inarrestabile grazie alle tracce dalla breve durata cucite come un pezzo unico di una trasmissione televisiva.
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TRACCE MIGLIORI: BBC Cocau; Montecore; Post piscina 99
TRACCE PEGGIORI: Sparacogna
VOTO: 75/100
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edizionimedusa · 6 years ago
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edizionimedusa · 7 years ago
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Cecilia Bello Minciacchi sul “Manifesto-Alias” del 3 settembre segnala la raccolta di saggi dedicati a Georges Simenon Il senso di Simenon per la fuga, con interventi di Giuseppe Bonura, Francis Lacassin, Robert J. Courtine, Ralph Messac. Di Francis Lacassin, sempre dedicato al grande scrittore francese Medusa ha pubblicato La vera nascita di Maigret.
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edizionimedusa · 7 years ago
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Dopo il libro di Lacassin La vera nascita di Maigret, questa volta a introdurci nel mondo di Simenon sono Bonura, Courtine, Messac, Mauriac, Paulhan, Henri Miller, Gide, che descrivono Il senso della fuga di Georges Simenon.
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gazemoil · 4 years ago
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I 20 MIGLIORI ALBUM ITALIANI DEL 2020
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Il 2020 ha fatto abbastanza schifo di suo, diciamocelo, quindi abbiamo deciso in via straordinaria di risparmiarvi - e di risparmiarci - le peggiori uscite musicali dell’anno. A sostituire il nostro appuntamento con le bruttezze discografiche c’è una nuova lista tutta italiana che crediamo potere adottare anche in futuro nella nostra List Week annuale. Ecco i nostri 20 Migliori Album Italiani del 2020.
20. Diodato - Che vita meravigliosa (Carosello Records, 2020)
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VOTO: 65/100
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19. Birthh - WHOA (Carosello Records, 2020)
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VOTO: 65/100
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18. Populous - W (La Tempesta Dischi, 2020)
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VOTO: 65/100
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17. Tutti Fenomeni - Merce Funebre (42 Records, 2020)
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VOTO: 65/100
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16. Lorenzo Senni - Scacco Matto (Warp Records, 2020)
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VOTO: 70/100
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15. Bipuntato - Maltempo (Bipuntato, 2020)
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VOTO: 70/100
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14.  Rareş - Curriculum Vitae (Needn’t, 2020)
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VOTO: 70/100
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13. Generic Animal - Presto (La Tempesta Dischi, 2020)
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VOTO: 70/100
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12. Chester Gorilla - Chester Gorilla (Vasto Records, 2020)
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VOTO: 70/100
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11. Brunori Sas - Cip (Universal Music Italy, 2020)
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VOTO: 70/100
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10. Dardust - S.A.D. Storms and Drugs (Sony Music Italy, 2020)
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VOTO: 70/100
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09. Godblesscomputers - The Islands (La Tempesta Dischi, 2020)
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VOTO: 70/100
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08. See Maw - A Luci Spente (Undamento, 2020)
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Figlio perduto di Cosmo e di Venerus, il produttore milanese See Maw - all’anagrafe Simone Sacchi - ha unito le sonorità elettroniche ballabili del primo con l’rnb del secondo, tutto seguendo le traiettorie pop e a tratti anche della trap italiana più melodica, vedi il brano Venerdì. A Luci Spente, il suo debutto, parte con Nella Mia Testa e a Luci Spente, brani dai ritmi serrati e bassi da discoteca che spingono al massimo l’elettronica minimale, e poi si rilassa nella metà alternando sonorità più pop ed intime, vedi Di Notte e A Picco, e concludendo ritornando alle pulsazioni sintetiche ma ancora più cupe di Con Gli Occhi Chiusi. A legare l’intero progetto un’atmosfera notturna e seducente e la scrittura personale, un gusto ricercato, ma anche molto di tendenza e fresco, affidandosi appunto alla strada che progetti come quello di Cosmo hanno ampiamente spianato. Impossibile non immergersi e stare fermi mentre si ascolta il disco, che pensa ai synth ma anche alle chitarre, ai testi facili canticchiabili ma anche alle parti strumentali più ipnotiche. See Maw non sbaglia - quasi - nulla e fa tutto da solo, azzecca la tracklist e punta sulla versatilità e sull’essenzialità. Un’interessantissima nuova proposta. 
VOTO: 70/100
di Viviana Bonura
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07. Mecna - Mentre Nessuno Guarda (Virgin Records / Universal, 2020)
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VOTO: 70/100
di Viviana Bonura
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06. Le Sacerdotesse dell’Isola del Piacere - Alle Onde (V4V / Cloudhead, 2020)
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Alle Onde è il ritorno, quasi in sordina, de Le Sacerdotesse dell’Isola del Piacere, una delle migliori band del sottobosco italiano che da anni tiene accesa la fiaccola dell’emo rock percorrendo una traiettoria tutta in salita, soprattutto dopo il gioiellino Interpretazione dei sogni che attraverso riferimenti letterari da Freud a Kafka ha fatto tornare in vita un immaginario ben preciso per tracciare delle suggestioni e tradurle su un piano emotivo dentro una sfera molto personale. Ed è quello che continuano a fare nel terzo disco, immergendosi dentro altri libri e scrivendo ancora ricordi biografici tra le righe. Questa volta ad ispirarli è il mare e la natura, quello della Woolf, di Shakespeare e di Conrad, quindi elementi tutt’altro che pacifici ed idilliaci, ma tempestosi ed irrequieti, incontrollabili come i tumulti degli esseri umani, ma molto più grandi e permanenti dell’essere umano. Tornano le chitarre tra lo slowcore, l’emo e l’indie rock, gli anni ‘90 dei Dinosaur Jr. e delle band internazionali di oggi che si ispirano a quel sound, ma aumentano le distorsioni e gli assoli - e si vede anche nella durata dei brani. Tutto registrato per la maggior parte in presa diretta con un risultato che può piacere o meno, che non lascia molto spazio per le aggiunte stilistiche, l’innovazione su un piano musicale e compositivo, sulla costruzione del suono, ma gioca tutto al contrario sull’estemporaneità e sulla voglia di fare un disco rock dove la soddisfazione è proprio quella di poterlo suonare con immediatezza. Un disco sicuro non molto nuovo ma che funziona.
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VOTO: 70/100
di Viviana Bonura
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05. Calibro 35 - MOMENTUM (Records Kicks, 2020)
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VOTO: 75/100
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04. Colapesce & Dimartino - I Mortali (Sony Music, 2020)
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VOTO: 75/100
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03. Pufuleti - Catarsi Awa Maxibon (La Tempesta Dischi, 2020)
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Pufuleti, nome d’arte di Giuseppe Licata, ad ogni ascolto mi sembra sempre di più il fratello perduto di Slowthai. I punti in comune ci sono: immigrato, voce fuori dal coro, liriche irregolari, flow stralunato e atmosfere un tantino surreali da farti sentire a disagio ma anche farti spuntare un ghigno d’approvazione in viso. Di origini siciliane, ma trapiantato in Germania da piccolo, con Catarsi Awa Maxibon è al secondo disco in studio sotto il nome Pufuleti, ma è attivo nella scena rap tedesca da più di una decade come Joe Space.
Forse è anche per l’esperienza del rap in un’altra lingua che quando Pufuleti decide di impadronirsi dell’italiano lo fa con un’approccio del tutto anticonvenzionale - oltre a non porsi problemi nel mischiarlo con tedesco e inglese. Nelle dieci tracce hip-hop un pò lo-fi del suo secondo disco infilza rime assurde ed ogni tanto pure oscene, dal fascino sgangherato e spigoloso, su basi che omaggiano la vecchia scuola americana ma in cui risuonano anche tutti quegli elementi bizzarri e freschi della nuova ondata alternativa italiana, grazie pure ai continui esilaranti riferimenti alle televendite fine anni ‘90 e inizio 2000 che ci piacciono tanto. Catarsi Awa Maxibon è fantastico perchè è assurdo, delirante, geniale nell’adozione di nuove vie semantiche “che diventano ricerca affannosa di un assurdo che dia senso alle piccole cose”. Certe atmosfere visionarie e un pò malate sono impossibili da ignorare, e questo fin dal primo ascolto che si rivela subito dirompente ed inarrestabile grazie alle tracce dalla breve durata cucite come un pezzo unico di una trasmissione televisiva.
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VOTO: 75/100
di Viviana Bonura
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02. Ghemon - Scritto Nelle Stelle (Carosello Records, 2020)
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Hit dopo hit, ma senza rinunciare all’identità, in Scritto Nelle Stelle si sente tutta la ricerca nel suono fatta da Gianluca Picariello, in arte Ghemon, negli ultimi anni per conciliare il pop con l’hip-hop, l’Italia con le influenze della black music. La formula perfetta si trova in mezzo, giocando sul modern soul e l’rnb in un contesto pop raffinato e a volte vagamente pop-funk, a metà tra l’elettronico ed il suonato, con un risultato dalla grande musicalità - anche nei momenti in cui si sente la sua formazione hip-hop - un groove costante ed un cantato super caldo. Gioca ancora con le rime e la tecnica, ma il contesto è più rilassato, luminoso, frizzante e sembra che anche le riflessioni di Ghemon abbiano trovato riconciliazione e liberazione dentro questo sound ibrido dalle vibrazioni buone che gira attorno al mainstream, ma lo rielabora in chiave artistica con decisioni da musicista che tiene gli occhi aperti sul panorama internazionale piuttosto che da hitmaker come possono fare i colleghi Ghali o Achille Lauro, o ancora da fenomeno indie sulle righe di Carl Brave o Franco126. Scritto Nelle Stelle è un disco con un sound personale, che in Italia in questo momento ha pochi termini di paragone, vario ed omogeneo allo stesso tempo. Ghemon unisce gli opposti con stile - e non vediamo l’ora di sentirlo a Sanremo per la seconda volta.
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VOTO: 80/100
di Viviana Bonura
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01. Lucio Corsi - Cosa faremo da grandi? (Sugar Music Italy, 2020)
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C’era una volta il cantautorato narrativo e Lucio Corsi lo ha preso e rispolverato con grazia. E’ una ninna nanna di nove ballate per adulti Cosa faremo da grandi: “Perché nemmeno da vecchi si sa cosa faremo da grandi”. L’album è ricco di storie senza tempo e personaggi semi fiabeschi, fuori dagli schemi della società odierna. Il cantautore maremmano fa da eccentrico narratore in questo dolce album con tante nuove storie raccontate in versi di canzoni oniriche. Le melodie serene e allietanti dei brani di Cosa faremo da grandi? non sono un manifesto del sound attuale, ma nel complesso l’album è molto originale grazie alle parole ricercate all’immaginario che le storie suscitano. La ricerca e gli arrangiamenti valorizzano il fatto che l’album sia un puzzle di figure semplice e pure come i disegni dei bambini. E’ un lavoro che nasce nel 2020, ma potrebbe essere traslato indietro nel tempo o collocato in un’Italia futura: il suo essere senza tempo lo rende eccentrico e speciale.
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VOTO: 85/100
di Agnese Centineo
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edizionimedusa · 11 years ago
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La casa è un simbolo della condizione sociale: la via, il quartiere, la città o la periferia sono altrettante etichettee appiccicate con un mastice indelebile. Ed è, anche questo, un elemento che ha favorito e favorisce la speculazione edilizia, insieme con l’incessante aumento dei costi, collegato immediatamente agli altissimi, quasi incredibili livelli raggiunti dai prezzi delle aree fabbricabili.
È Walter Tobagi che scriveva così nel 1973 a corredo del romanzo di Giuseppe Bonura, Morte di un senatore, pubblicato allora in una collana ideata da Raffaele Crovi. Il romanzo, come scrive e documenta Goffredo Fofi nella prefazione dell’edizione del romanzo del 2011, sta insieme ad altri scritti e film che documentano il sacco paesaggistico e urbano subito dal nostro paese e, in misura diversa, anche da altri. Ogni copia di Morte di un senatore aveva una fascetta pubblicitaria con la scritta «i fuorilegge dell’edilizia»! Lascio le evidenze e le concordanze con il tempo presente ai lettori; può bastare ricordare che l’imbroglio edilizio, ora che è scoppiato e speriamo non si riprenda più nelle forme passate (ma non si devono nutrire eccessive speranze in merito) ha assunto negli anni dimensioni, se possibile, maggiori di quelle descritte da Tobagi e raccontate da Bonura.
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edizionimedusa · 11 years ago
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Cinque anni fa moriva Giuseppe Bonura. Non un semplice critico militante, non uno stroncatore di professione, ma un esempio di onestà intellettuale e amore per le lettere che la nostra attuale depressione stenta a comprendere come possa essere vissuto e abbia potuto scrivere. Innumerevoli i suoi romanzi racconti e recensioni che hanno fatto del quotidiano lavoro del giornalista culturale il breviario di una devozione alla scrittura che pochi oggi possono rivendicare come cifra della loro professione. I suoi libri nel catalogo «Edizioni Medusa». Lo ricordo come colui che ha letto le mie prime recensioni, apparse su “Avvenire”, dove ha sempre lavorato, con affetto e sollecitudine rare.
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