#giulio regeni
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Bravo al-Sisi, era ora. Ora aspettiamo di sapere la verità su Giulio Regeni. Fai pure con comodo.
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Per te, per i tuoi cari, per chi combatte al vostro fianco
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Ne parliamo anche noi, e continueremo a farlo.
Stamattina nuova udienza del processo ai 4 ufficiali accusati del sequestro, tortura e uccisione di Giulio Regeni. Processo di cui ormai parlano solo Report, Marco Damilano e Articolo 21.
#veritapergiulioregeni
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Pino Corrias
Siamo tutti trascritti nella carta dei vini e dei segreti. Ci scelgono a loro comodo i buoni e i cattivi. Il potere o il malandrino. La legge o il ricattatore. È la definitiva rivelazione della banda milanese di Equalize che ha generato un soprassalto non del tutto inatteso, a dire il vero, vista la tradizione di spiati e di spioni che vantiamo, dai tempi dell’Ufficio affari riservati di Federico Umberto D’Amato, cuoco d’alto rango di trame e dossier. Fino al Tiger Team di Giuliano Tavaroli che spiava per conto di Telecom durante il regno di Tronchetti Provera. E ai pedinamenti informatici di magistrati e giornalisti organizzati da Pio Pompa, ai tempi dell’indimenticato generale Pollari, plenipotenziario dei nostri Servizi segreti in piena epopea berlusconiana.
Ma questa volta, dopo i clamori dell’hacker siciliano che passeggiava nei data-base del Ministero di Giustizia, dopo le gesta del bancario con le sue 6 mila intrusioni nelle vite degli altri, la nuova e onnipotente banda di spioni appena scoperta a Milano, capace di entrare e uscire 52 mila volte dagli archivi ultrasegreti (?) del Viminale, si trascina un sacco di domande al seguito e almeno una definitiva verità.
Prima domanda. Ma se è così facile bucare l’ombra che ogni cittadino di questo Paese si porta dietro – ombra e impronte che conducono a relazioni, amicizie, numeri di telefono, foto, video, conversazioni, amanti, conti bancari – com’è che gli evasori parziali, semi parziali, totali, la fanno sempre franca? Com’è che all’appello del nostro vivere comune mancano sempre da 80 a 100 miliardi, imboscati sotto al materasso dell’evasione fiscale di un tassista, di un finanziere, di quei gioiellieri che guadagnano sempre meno dei loro vetrinisti?
E poi. Se basta un click, una password e un paio di investigatori infedeli per entrare al Quirinale, negli archivi della Polizia e dei Servizi segreti, come fossero il Bingo sotto casa, com’è che non sappiamo ancora nulla (o quasi) dei cento misteri che assediano la nostra storia nazionale, dalle stragi d’altro secolo, alla scomparsa di Emanuela Orlandi, dal depistaggio su via D’Amelio alla sparizione dell’agenda rossa di Borsellino. O quanto fosse coinvolta l’Università di Cambridge nella trappola in cui cadde Giulio Regeni. E ancora: quante stragi di migranti sono stata nascoste dentro le acque del Mediterraneo? E quanto vale in miliardi di euro e intese sovranazionali il nostro traffico internazionale di armamenti e software, visto che, secondo Costituzione, dovremmo ripudiare la guerra anziché alimentarla?
Altra domanda. È giustificato l’allarme, anzi il panico che risuona nelle parole degli investigatori che hanno dettato: “Siamo di fronte a un attacco alla democrazia”? Certo che sì. Hanno appena scoperto che una manciata di ricattatori custodiva 800 mila dossier rastrellati in qualche anno di infiltrazioni, astutamente nascosti non proprio nella grotta di Ali Babà, ma dietro le guglie del Duomo di Milano, da dove i quaranta ladroni si impadronivano delle vite private di tutti, dagli gnomi del mondo dello spettacolo ai capitani di industria e finanza, dalle fidanzate di qualche pupone con il cuore in affanno alle massime cariche dello Stato, figli compresi.
E ancora di più è giustificato l’allarme per la permeabilità – clamorosa e conclamata – del mondo che ci siamo costruiti accanto, anzi sopra, sotto, ovunque, quello della Infosfera che custodisce per intero la storia di ognuno di noi, basta saperla pescare tra i miliardi di byte che sono diventati la nostra aura, invisibile solo per chi non ha lo strumento adatto per vedere.
L’ultima rivelazione di questa storia è che siamo sempre di più nelle mani di chiunque. Dei buoni, veri o presunti, e dei cattivi. Quelli che risolvono gli omicidi interrogando le tracce digitali di cellulari e telecamere che gli assassini si lasciano dietro. E quelli che gli omicidi, virtuali fino a un certo punto, li architettano a pagamento, seminando ricatti e incendi reputazionali. E che dunque viviamo consensualmente sottoposti ai titolari dell’ordine che quotidianamente perlustrano la nostra convivenza, la campionano, se del caso la indagano in difesa di quelle regole comuni che chiamiamo democrazia. E insieme viviamo sottomessi ai bucanieri che quell’ordine e quella convivenza la vogliono forzare, violare, dissolvere per appiccare l’incendio dei ricatti, in cambio di soldi, potere, carriere, interessi politici, vendette personali. Per ordine di una cosca che maneggia appalti o uomini politici. O per la banalissima curiosità di un impiegato che dal desk di una oscura filale bancaria di Bisceglie si toglie lo sfizio di guardare tra le lenzuola contabili di suoceri, vicini di casa, capiufficio, e di altri migliaia di perfetti sconosciuti compresi quelli che abitano nei rotocalchi o nelle stanze dei palazzi del potere.
Ora il governo emette sirene d’allarme. Promette “strette legislative”. Minaccia “pene più severe”. Garantisce che a contrasto dei ricattatori infedeli basterà migliorare i controlli per arginare e le incursioni illegali e proteggere le vite.
Ma è davvero così semplice? La verità è che abbiamo trasformato il nostro villaggio globale in un clamoroso paese di specchi. Specchi dotati di memoria perpetua. La memoria del silicio. Che è la definitiva stregoneria di cui parla Yuval Harari nel suo ultimo libro Nexus, dedicato non solo ai rischi della futura Intelligenza artificiale, ma anche a quelli della attualissima stupidità umana del tempo presente. E degli strumenti digitali talmente pervasivi da rendere la privacy una chimera così lontana, così irraggiungibile, che per maneggiarla l’abbiamo dovuta trasformare in una nuova religione, buona per essere violata ogni volta che serve.
Il solitario filosofo Guy Debord scoprì a metà dell’altro secolo che avremmo vissuto in una permanente “Società dello Spettacolo” governata sempre di più dal segreto, il segreto remoto del potere. Custodito dal perpetuo intrattenimento allestito per distrarci. Non poteva immaginare quanto ci saremmo spinti oltre. E che quel segreto un tempo esclusivo, si sarebbe dislocato nell’ovunque della Rete a portata di algoritmo. Saranno i buoni o i cattivi a scegliere quale segreto rivelare, quello del tassista evasore, del latitante in fuga o del ministro corrotto? Sì, è vero, mai come ora la democrazia è in pericolo. Segreti e ricatti sono la dieta preferita dalle democrature. E i complici, più ingenui che colpevoli, siamo tutti noi che abbiamo appeso le nostre vite dentro alle vetrine illuminate della Rete. Credendoci protetti dal buio che invece abbiamo dissolto.
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Nella quinta puntata della prima stagione di "Call my agent", Stefano Accorsi (interpretando se stesso) recita con il braccialetto giallo "Verità per Giulio Regeni".
Piccoli segnali pieni di significato.
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A second trial of four members of the Egyptian security forces accused of murdering an Italian student in 2016 has opened in Rome.
The four Egyptians, who have denied the charges, will be tried in absentia.
Giulio Regeni, 28, was studying for a doctorate at Cambridge University when he went missing while on a research trip in Egypt.
Days later, his mutilated body was found in a ditch near Cairo. An autopsy later revealed he had been tortured.
The case strained relations between Italy and Egypt, with Rome repeatedly accusing Cairo of blocking attempts at securing justice for Mr Regeni's death.
The four security officials were first due to go on trial in absentia in October 2021, but that the trial was suspended due to concerns prosecutors had been unable to track them down to issue the charges.
In September, Italy's constitutional court ruled that the case could go ahead in the defendants' absence.
Mr Regeni's parents, Claudio and Paola, and his sister, Irene, attended the start of the trial on Tuesday.
Holding yellow roses, they unfurled a matching yellow banner outside the courthouse, which reads: "Truth for Giulio Regeni". They told Italian media that they had been waiting for this day for eight years.
Giulio Regeni was abducted on 25 January 2016 while carrying out research for his PhD at Cambridge University on Egypt's independent trade unions - a politically controversial topic in Egypt.
His body was discovered days later, on 3 February, in a ditch by a road connecting Cairo to Alexandria.
His mother told the Italian parliament in 2018 that her son's body was so disfigured that she was only able to identify him by the tip of his nose. Prosecutors said he sustained injuries that showed he was beaten with "kicks, fists, sticks and clubs", and that he died from a broken neck.
Trial of Egyptians for Italian student's murder suspended
Egypt tried to cover up student murder, Italy says
Egypt 'suspends' investigation into Cambridge student's murder
Italian and Egyptian prosecutors originally investigated the case together, but reached opposing conclusions.
Egyptian authorities said Mr Regeni's murder was the work of criminal gangsters, and suggested various other explanations for his death, including a car accident, failed drug deal, botched robbery, and even a gay crime of passion.
They also denied any state involvement in Mr Regeni's disappearance or death.
But prosecutors in Rome concluded that the Egyptian national security agency was behind the murder.
The four security officials accused of Mr Regeni's kidnap, torture and killing are Gen Tariq Sabir, Col Usham Helmi, Col Athar Kamel Mohamed Ibrahim and Maj Magdi Ibrahim Abdelal Sharif.
Maj Sharif rejects a further allegation of conspiring to inflict aggravated injuries and murder. He allegedly ordered informants to spy on Mr Regeni, who was then arrested at a metro station and tortured for several days.
Egypt dropped its own investigation in 2020, citing "insufficient evidence".
The murder sparked widespread outrage in Italy and a diplomatic row between the two nations, with Italian prosecutors accusing Egyptian officials of trying to mislead the investigation and the Italian ambassador recalled.
In December 2020, the European Parliament passed a resolution that noted "with grave concern that the case of Giulio Regeni is not an isolated incident, but that it occurred within a context of torture, death in custody and enforced disappearances across Egypt in recent years".
A year later, Liz Truss, Britain's foreign secretary at the time, said the UK would "continue to support the pursuit of justice for Mr Regeni".
In January, Mr Regeni's Cambridge college, Girton, unveiled a plaque to mark eight years since his murder.
The trial continues.
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ok forum discussion did doyoung include the "truth for giulio regeni" poster on purpose in his most recent instagram post? explain your reasoning in no more than 15 lines
#and reply to 3 other students' answers#me making this post as if any one of you knew what it's about
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Tanto lo avevano scempiato nel corpo, che la madre lo riconobbe dalla punta del naso. Gli avevano inciso lettere sulla pelle, spento sigarette addosso, rotto sette costole, tutte le ossa delle mani e dei piedi. Massacrato e torturato per giorni con ogni mezzo a disposizione fino a renderlo irriconoscibile. Ammazzato come un animale al macello con un colpo sferrato al collo. A volte ci dimentichiamo cosa ha passato Giulio Regeni. È umano, succede quando passano anni da una tragedia. Ma è bene ricordarlo, vividamente e chiaramente. Perché ad oggi le bestie che devastarono un ragazzo nostro connazionale che poteva essere fratello e figlio di tanti di noi, non hanno pagato con neppure un giorno di carcere. Difesi strenuamente e con ogni mezzo da altri assassini, che li nascondono e rendono impossibile una giustizia per un ragazzo che oggi avrebbe compiuto trentacinque anni. Giustizia per lui, per la famiglia e per tutto il nostro Paese, vergognosamente preso per il naso da chi sta nascondendo macellai senza onore, pavidi e codardi. Alla famiglia un grande abbraccio Allo stato la richiesta di sempre #giustiziapergiulioregeni #boicottaegitto (Leonardo Cecchi) https://www.instagram.com/p/CncVl4pLiFa/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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Giulio Regeni è stato descritto da un testimone, un ex detenuto palestinese, come ammanettato, bendato e "sfinito dalla tortura". Questa testimonianza è stata presentata durante l'udienza del processo a Roma contro quattro agenti dei servizi segreti egiziani accusati della sua morte. Gli imputati sono il generale Tariq Sabir, i colonnelli Athar Kamal e Uhsam Helmi, e il maggiore Magdi Ibrahim Abdel Sharif. Nel corso dell'udienza, è stata mostrata una registrazione video dell'ex detenuto, realizzata da Al Jazeera. L'uomo ha raccontato di aver visto Regeni il 29 gennaio 2016, quattro giorni dopo la sua scomparsa, mentre veniva condotto attraverso il carcere. Descrive Regeni ammanettato con le mani dietro la schiena e con gli occhi bendati, vestito con una maglietta bianca e pantaloni blu scuro. Successivamente, l'ha visto uscire dall'interrogatorio completamente sfinito, tra due carcerieri. Il testimone ha anche fornito dettagli sull'interrogatorio, sottolineando che gli agenti utilizzavano l'arabo e il dialetto egiziano. Ha riferito che i carcerieri ponevano domande insistenti a Regeni, come “Dove hai imparato a superare le tecniche per affrontare l’interrogatorio?” e “Dove hai conseguito il corso anti interrogatorio?”. Non è chiaro se Regeni abbia risposto, ma il testimone ha notato che gli agenti apparivano nervosi e lo torturavano usando scosse elettriche. Oltre ai carcerieri, c'erano ufficiali non conosciuti e un dottore specializzato in psicologia. L’ex detenuto ha condiviso anche la sua personale esperienza nel centro di detenzione degli apparati egiziani, descrivendo l'isolamento completo: "I miei familiari non sapevano nulla di me, non c’era nessun contatto col mondo esterno". Ha paragonato la sua detenzione a quella di un sepolcro, sottolineando l'assenza di spiegazioni sul suo sequestro e la successiva liberazione. Queste rivelazioni aggiungono ulteriore gravità al caso di Giulio Regeni, la cui uccisione ha suscitato proteste e richieste di giustizia a livello internazionale.
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Matteo Renzi testimonia nell’ambito del processo per la morte di Giulio Regeni
La versione di Matteo Renzi al processo di Giulio Regeni appare in contrasto con le testimonianze dell’allora ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni. “Vengo informato il 31 gennaio dalla Farnesina e mi dissero che qualcosa era accaduto qualcosa di grave a un nostro ricercatore. Se mi fosse stato chiaro da subito avremmo potuto attuare qualcosa in più ma il comportamento della Farnesina è stato legittimo. Noi mettiamo in campo tutti i nostri strumenti perché c’era crescente preoccupazione da parte degli apparati che, come è fisiologico, erano già a conoscenza della vicenda. Se dal 26 al 31 gennaio 2016 la Farnesina ha ritenuto di tenere bassa una vicenda così complessa avrà fatto una sua valutazione, conosceva i rapporti con Al Sisi. Poi il 31, quando lo sento, era molto pessimista”. È la dichiarazione, come testimone, del senatore di Italia Viva ed ex premier Matteo Renzi nell’ambito del processo per la morte di Giulio Regeni. Le domande all’ex premier sono state formulate dal procuratore di Roma, Francesco Lo Voi. Il giallo sulle date – Una versione già data da Renzi che nel 2020 apparve in contrasto con le testimonianze dell’allora ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, dell’allora Segretario Generale della Farnesina, Elisabetta Belloni. Ed è per questo che Alessandra Ballerini, legale dei genitori di Giulio Regeni, prima dell’udienza del processo a carico di quattro 007 egiziani accusati del sequestro e dell’omicidio di Regeni ha detto prima dell’udienza: “È una udienza importante: Renzi e Minniti ci racconteranno quando e come hanno saputo, cosa hanno fatto allora e dopo per avere verità e giustizia per Giulio. Sarebbe bello avere chiarezza da Renzi sulle date anche se è stato detto che se avesse saputo dal 31 gennaio del 2016 avrebbe potuto salvarlo”. Gentiloni alla commissione aveva dichiarato che l’ambasciatore in Egitto fu informato il 25 gennaio e il diplomatico si attivò il giorno dopo. Tra il 26 gennaio e il 2 febbraio “numerosi passi” furono fatti, la struttura della Farnesina informò Gentiloni il 26 gennaio. Belloni nella sua audizione ricorda che Massari informò immediatamente il referente dell’intelligence. La denuncia da parte dell’ambasciata viene formalizzata tra il 26 e il 27 gennaio. Sono giornate e nottate in cui tutti i possibili referenti istituzionali e di intelligence vengono sollecitati dall’ambasciatore per avere notizie: tutti negano. Gentiloni il 31 gennaio interloquisce con il suo omologo egiziano e parte la nota ufficiale sulla sparizione del ricercatore. Durante l’audizione il presidente della Commissione Erasmo Palazzotto aveva chiesto all’ex presidente del Consiglio Renzi come mai lui ebbe notizia della scomparsa di Giulio Regeni solo il 31 gennaio, se a quella data, la Farnesina si era già attivata da 5 giorni. “Io dico la verità ne venni a sapere solo il 31 gennaio”. “Se ci fosse stata allerta rossa nulla avrebbe impedito all’ambasciatore di chiamarmi, aveva il mio numero di cellulare – afferma l’ex premier Matteo Renzi – Io – aggiunge – con l’ambasciatore parlo il 31, non prima e lo chiamo io, e lui mi dice che è una vicenda drammatica e temeva epilogo drammatico. In questa vicenda l’Italia è voluta andare fino in fondo e non ha fatto come gli inglesi che, a mio avviso, non hanno detto tutta la verità e mi riferisco all’università inglese che avrebbe dovuto collaborare di più. Io chiesi all’allora primo ministro Teresa May massima collaborazione. L’Italia non poteva fare di più, non abbiamo messo le relazioni diplomatiche davanti alla morte di un cittadino italiano ed è chiaro che la morte di Giulio Regeni è avvenuta per mano egiziana”. “Quando accade questo delitto efferato noi reagimmo arrivando al richiamo dell’ambasciatore. Io dopo la tragica vicenda di Giulio incontrai Al Sisi al G20 in Cina il 6 settembre del 2016. Lo incontrai per esprimere delusione. In quell’occasione Al Sisi mi chiese di rimandare l’ambasciatore italiano in Egitto ed io gli risposi di no e gli dissi subito che non avremmo mai accettato verità di comodo. A marzo del 2016 l’Egitto ci diede una verità di comodo che noi respingemmo” ha poi detto Renzi. Minniti – Dopo Renzi è stato il momento della testimonianza Marco Minniti, all’epoca dei fatti sottosegretario alla Presidenza del Consigli e all’autorità delegata per la sicurezza: “Ho avuto la sensazione che la banda di finti rapinatori fatti ritrovare uccisi fu un modo per darci una finta verità, un metodo già usato con altri stranieri uccisi in Egitto che aveva funzionato. Un francese fu massacrato di botte in commissariato e la magistratura francese accettò la versione fornita dal Cairo. Noi invece mettemmo in chiaro che non avremmo accettato azioni di depistaggio” ha affermato. Per il teste il depistaggio, messo in atto dopo il suo primo incontro con Al Sisi l’8 marzo del 2016, “fu un modo per coprire i Servizi egiziani e vista la mancanza di collaborazione decidemmo di richiamare l’ambasciatore. Siamo un grande Paese e un grande Paese non dimentica i propri cittadini che muoiono all’estero. Fui avvisato dopo alcuni giorni perché in Egitto sono frequenti i ‘fermi non ufficiai’ì di cittadini stranieri. Il mio convincimento è che sono stati gli apparati egiziani ad uccidere Giulio e gli imputati sono i responsabili”. Read the full article
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Oh, ma...
...e il granchio blu? Le minacce della mafia a Ccalderoli? Di Maio, dove sarà mai? E dell'omicidio di Giulio Regeni si sa niente? E Zelenski, cammina ancora con le sue gambe?
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È in fase di realizzazione un documentario sulla storia di Giulio Regeni
La regia di Simone Manetti, con la consulenza di Alessandra Ballerini, prodotto da Mario Mazzarotto per Movimento Film. Simone Manetti dall’inizio del processo sta filmando tutte le udienze e seguendo in aula i genitori di Giulio, Paola Deffendi e Claudio Regeni e l’Avvocata Alessandra Ballerini, che, con il supporto del ‘popolo giallo’ e della ‘scorta mediatica’ stanno cercando di ottenere una…
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