#giochi di strada
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pier-carlo-universe · 19 days ago
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Il fascino senza tempo delle biglie: quando il gioco era per strada. Recensione di Alessandria today
C’era un tempo in cui le strade, i cortili e le piazze si trasformavano in campi di gioco e il suono delle risate dei bambini si mescolava al rumore delle biglie che rotolavano sulla terra battuta. Le biglie di vetro, colorate e luminose, erano il simbolo di un'epoca in cui il gioco era fatto di abilità, strategia e, soprattutto, di socialità.
C’era un tempo in cui le strade, i cortili e le piazze si trasformavano in campi di gioco e il suono delle risate dei bambini si mescolava al rumore delle biglie che rotolavano sulla terra battuta. Le biglie di vetro, colorate e luminose, erano il simbolo di un’epoca in cui il gioco era fatto di abilità, strategia e, soprattutto, di socialità. Le regole di un gioco semplice ma…
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raccontidialiantis · 4 months ago
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Smettila!
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Adesso basta flirtare con gli altri uomini di nascosto, con chiunque ti faccia un complimento! Mi fai sentire umiliato, mi fai dannare. Chiunque vorrebbe saltarti addosso solo a un tuo cenno, non lo capisci? O invece lo capisci sin troppo bene! Maledetta ossessione che sei, per me. Perché sei una femmina lussuriosa dentro: io ti conosco benissimo e mi preoccupo. 
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Pubblicamente, al lavoro o nelle occasioni ufficiali in società, tu semplicemente interpreti a perfezione una parte: quella della professionista compassata e seria. Sembri quasi una puritana dall’etica impeccabile e dai rapporti interpersonali cortesi ma molto distaccati. Appari formale, fredda e dall’aspetto algido, distante e sembri addirittura un po’ timorosa di eccessive confidenze. 
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Chi ti osserva professionalmente direbbe che sei una donna sobria, discreta. Ti sanno molto devota, la cattolica praticante che mostra di scandalizzarsi per qualsiasi parola un po’ colorita o espressione appena volgare. Infine, quando siamo in mezzo agli altri, con te non si può neppure accennare a cose di sesso: non si fa, non sta bene. Assumi immediatamente un’espressione inorridita, scandalizzata e cambi subito discorso.
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Arrossisci, addirittura. “Un altro po’ di tè?” Che attrice straordinaria e spudorata! Ma a letto con me invece ti scateni. Ti trasformi completamente e potresti assolutamente dare delle lezioni - e che lezioni! - a un’attrice porno. Te lo vieni a cercare, me lo impugni, te ne impadronisci e ci giochi, ti piace. Lo brami, lo succhi e lo lecchi. Con gran gusto e perizia tecnica, te lo ficchi in due secondi tutto in gola.
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Sei una vera maestra dell’arte. Mi svuoti letteralmente i testicoli. Hai la perfidia negli occhi, mentre ti fai scopare. Mi vuoi, desideri il cazzo più di ogni cosa. Sei una porca magistrale, laureata cum laude. Potresti battere in strada, per la perizia con cui maneggi il cazzo e ne tiri fuori tanta sborra. E ti piace assaporarla, giocarci. Troia schifosa e sporchissima.
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Sei tu quella che conduce i giochi. Vuoi che ti sbatta il cazzo sul viso più volte, a umiliarti. E devo farlo chiamandoti troia e puttana. Si: sei inequivocabilmente una grandissima porca. Quanto mi piace, questo tuo lato! Sul letto, mi ti apri davanti all’improvviso, ti fai vedere da me ovunque, sul corpo: senza alcun pudore e socchiudendo gli occhi gemi contenta.
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Il tuo culo, la tua passera e la tua bocca parlano chiaro e dicono soltanto: “penetrami, fammi godere.” Ti piace da impazzire essere osservata, desiderata, toccata, violata. Con prepotenza ti piace ancora di più. Sei assatanata di sesso: in casa vuoi il mio cazzo sempre e ovunque: in ogni momento, quando siamo soli. Mi vuoi a qualsiasi ora del giorno, se siamo a casa.
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Vuoi che il tuo seno sia adorato e subito dopo leccato, assaggiato, strizzato, odorato, massaggiato. Cerchi di continuo l’uccello. Ne esigi tantissimo. Ami il lusso e gli agi. Ti approfitti della tua bellezza mozzafiato, perché sai che farei di tutto per te, per farti star bene, comoda e viziata. 
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Gli anglosassoni direbbero che sei una “high maintenance woman.” Entrando in camera da letto, come percepisco il tuo sguardo carico di libidine maliziosa, se ti vedo mezza nuda già capisco cosa ti passa per la mente. Non ti resisto e mi precipito su di te. 
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Compiaciuta di essere una femmina bellissima, sensuale e in missione segreta per conto del Dio Eros, mi sussurri all’orecchio dov’è che lo vuoi, dove e come desideri essere adorata, baciata e leccata. A lungo. Mi spompi, ne vuoi sempre di più. Sono pazzo di gelosia, per te: mi piaci da morire, mi sei entrata nel sangue. Ti voglio di continuo.
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Che tu sia dannata, donna: non flirtare, non guardare, non rispondere, non dare confidenza, non sorridere. Capisco che è impossibile, ma fammetelo almeno dire. Sii solo mia, non tradirmi. Mi tradisci? Non ti basto? Dimmelo sinceramente, sgualdrina: tu sei la mia croce e delizia. E non ridere, troia. Senza il tuo profumo in giro per casa io morirei. Ama me e nessun altro. Perché io voglio te e basta. 
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Sei una mia vera e propria fissazione. Porto sempre in tasca con me un tuo paio di slip sporchi. Sono schiavo del tuo odore intimo. Adesso tu starai zitta e sopporterai queste sberle. Voglio vedere il tuo bel culo bianco latteo diventare rosso fuoco. E sentirti implorare pietà, piangere di dolore. Dovrai pur espiare, per tutta la gelosia che mi provochi. 
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Devo pur controllarti, in qualche modo, contenere la carica erotica che spandi attorno a te con non so quanta incoscienza e nonchalance. Sopporta, fallo perché mi ami. E perché... oh, per la miseria: che vera troia sei! Ti vedo che sorridi di nascosto e sembri soddisfatta, mentre ti mordi le labbra e fai finta di sentirti umiliata, ferita nell’onore, arrabbiata. 
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Maledetta: ti piace, essere sculacciata allora, eh? Dio: mi farai impazzire. Sei la mia dolcissima e assolutamente perfida puttana. Dai: ora usa la tua bocca nel modo che sai. Perché ti piace un sacco usarla così e sei capace di compiere veri e propri capolavori di acrobazia, con la tua lingua. Che spero tu usi solo con me. Dai, sbrigati. Succhia forte, puttana e fammiti sborrare dentro. Perché mi urgi e io ti amo troppo.
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RDA
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ilsalvagocce · 4 months ago
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Ho la tosse di un cane che abbaia nella notte. Ieri pomeriggio, di ritorno dal dottore sito nel mio paesin d'origine, son passata da mio padre, a distanza, ma da mio padre comunque. L'ho trovato in cucina ad armeggiare, pacifico, armi con mio padre son lettere vane, con un'otre grande come il mio torace, mai vista, metà laccata nera metà nuda terracotta, enigmatica e paradigmatica.
– Babbo, è il vaso di Pandora?
– No, è per le olive in salamoia! Me l'ha prestato Raffaele!
dice tutto fiero di amicizia, di sapori in fieri e di quell'essere padroni di nutrimento, come imparare a far l'uovo in tegamino a nove anni.
Sul pavimento qualche rametto duro di finocchietto selvatico tagliato via, saltato via, profumo di arance nell'aria. Guardo dentro l'otre buia: tripudio di aromi tra le olive nere lucide come gli occhi suoi col guizzo, ebbri di mescolìo, di tempo da attendere, di raccolta di finocchio nei fossi, quelli nella strada per Arcevia, prima che cali la notte.
– Prendi questi rimasti!, metto bastoncini in tasca
– Prendi le nocciole, le ho tostate!, manciata di gusci nell'altra.
Io nella sciarpa tutt'avvolta son uscita con le tasche di nocciole e finocchietto che sballonzolavano sui fianchi, rataclat ratatlac come i giochi scambiati da piccoli. Nel vaso di Pandora di mio padre mi sa che è proprio la speranza che si aggira, e pure a otre aperta. Mica la speranza che deve vincere la paura, più quella che da bambino non sai nominare, eppure la sai più di tutti, e infinita.
Fossimo stati piccoli assieme, saremmo stati ottimi amici, penso tutta sicura e salda come la terra cotta, come i greppi prima che faccia buio, mentre a casa tiro fuori dalle tasche i miei preziosi, stecchetti verdi e sassetti al forno.
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susieporta · 1 year ago
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[Lei s’innamorò come s’ innamorano sempre le donne intelligenti:
come un’ idiota]
La zia Daniela s’innamorò come s’innamorano sempre le donne intelligenti: come un’idiota. Lo aveva visto arrivare un mattino, le spalle erette e il passo sereno, e aveva pensato: «Quest’uomo si crede Dio». Ma dopo averlo sentito raccontare storie di mondi lontani e di passioni sconosciute, si innamorò di lui e delle sue braccia come se non parlasse latino sin da bambina, non avesse studiato logica e non avesse sorpreso mezza città imitando i giochi poetici di Góngora e di suor Juana Inés de la Cruz come chi risponde ad una filastrocca durante la ricreazione. Era tanto colta che nessun uomo voleva mettersi con lei, per quanto avesse occhi di miele e labbra di rugiada, per quanto il suo corpo solleticasse l’immaginazione risvegliando il desiderio di vederlo nudo, per quanto fosse bella come la Madonna del Rosario. Gli uomini avevano paura di amarla, perché c’era qualcosa nella sua intelligenza che suggeriva sempre un disprezzo per il sesso opposto e le sue ricchezze.
Ma quell’uomo che nulla sapeva di lei e dei suoi libri le si accostò come a chiunque altra. Allora la zia Daniela lo dotò di un’intelligenza abbagliante, una virtù angelica e un talento d’artista. Il suo cervello lo guardò in tanti modi che in capo a dodici giorni credette di conoscere cento uomini.
Lo amò convinta che Dio possa aggirarsi tra i mortali, abbandonata con tutta se stessa ai desideri e alle stramberie di un uomo che non aveva mai avuto intenzione di rimanere e non aveva mai capito neppure uno di tutti i poemi che Daniela aveva voluto leggergli per spiegare il suo amore.
Un giorno così com’era venuto, se ne andò senza neppure salutare. Non ci fu allora in tutta l’intelligenza della zia Daniela una sola scintilla in grado di spiegarle ciò che era successo.
Ipnotizzata da un dolore senza nome né destino, diventò la più stupide delle stupide. Perderlo fu un dolore lungo come l’insonnia, una vecchiaia di secoli, l’inferno.
Per pochi giorni di luce, per un indizio, per gli occhi d’acciaio e di supplica che le aveva prestato una notte, la zia Daniela sotterrò la voglia di vivere e cominciò a perdere lo splendore della pelle, la forza delle gambe, l’intensità della fronte e delle viscere.
Nel giro di tre mesi divenne quasi cieca, le crebbe una gobba sulla schiena e dovette succedere qualcosa anche al suo termostato interno, perché, nonostante indossasse anche in pieno sole calze e cappotto, batteva i denti dal freddo come se vivesse al centro stesso dell’inverno. La portavano fuori a prendere aria come un canarino. Le mettevano accanto frutta e biscotti da becchettare, ma sua madre si portava via il piatto intatto mentre Daniela rimaneva muta, nonostante gli sforzi che tutti facevano per distrarla.
All’inizio la invitavano in strada, per vedere se, guardando i colombi e osservando la gente che andava e veniva, qualcosa in lei cominciasse a dare segni di attaccamento alla vita. Provarono di tutto. Sua madre se la portò in Spagna e le fece girare tutti i locali sivigliani di flamenco senza ottenere da lei nulla più di una lacrima, una sera in cui il cantante era allegro. La mattina seguente inviò un telegramma a suo marito:«Comincia a migliorare, ha pianto un secondo». Era diventata come un arbusto secco, andava dove la portavano e appena poteva si lasciava cadere sul letto come se avesse lavorato ventiquattr’ore di seguito in una piantagione di cotone. Alla fine non ebbe più forze che per gettarsi su una sedia a dire a sua madre:«Ti prego, andiamocene a casa».
Quando tornarono, la zia Daniela camminava a stento, e da allora non volle più alzarsi dal letto. Non voleva neppure lavarsi, né pettinarsi, né fare pipì. Un mattino non riuscì neppure ad aprire gli occhi.
«E’ morta!», sentì esclamare intorno a sé, e non trovò la forza di negarlo.
Qualcuno suggerì a sua madre che un tale comportamento fosse un ricatto, un modo di vendicarsi degli altri, una posa da bambina viziata che, se di colpo avesse perso la tranquillità di una casa sua e la pappa pronta, si sarebbe data da fare per guarire da un giorno all’altro. Sua madre fece lo sforzo di crederci e seguì il consiglio di abbandonarla sul portone della cattedrale. La lasciarono lì una notte con la speranza di vederla tornare, affamata e furiosa, com’era stata un tempo. La terza notte la raccolsero dal portone e la portarono in ospedale tra le lacrime di tutta la famiglia.
All’ospedale andò a farle visita la sua amica Elidé, una giovane dalla pelle luminosa che parlava senza posa e che sosteneva di saper curare il mal d’amore. Chiese che le permettessero di prendersi cura dell’anima e dello stomaco di quella naufraga. Era una creatura allegra e attiva. Ascoltarono il suo parere. Secondo lei, l’errore nella cura della sua intelligente amica consisteva nel consiglio di dimenticare. Dimenticare era una cosa impossibile. Quel che bisognava fare era imbrigliare i suoi ricordi perché non la uccidessero, perché la obbligassero a continuare a vivere.
I genitori ascoltarono la ragazza con la stessa indifferenza che ormai suscitava in loro qualsiasi tentativo di curare la figlia. Davano per scontato che non sarebbe servito a nulla, ma autorizzarono il tentativo come se non avessero ancora perso la speranza, che ormai avevano perso.
Le misero a dormire nella stessa stanza. Passando davanti a quella porta, in qualsiasi momento, si udiva l’infaticabile voce di Elidé parlare dell’argomento con la stessa ostinazione con la quale un medico veglia un moribondo. Non stava zitta un minuto. Non le dava tregua. Un giorno dopo l’altro, una settimana dopo l’altra.
«Come hai detto che erano le sue mani?», chiedeva.
Se la zia Daniela non rispondeva, Elidé l’attaccava su un altro fronte.
«Aveva gli occhi verdi? Castani? Grandi?».
«Piccoli», rispose la zia Daniela, aprendo bocca per la prima volta dopo un mese.
«Piccoli e torbidi?», domandò Elidé.
«Piccoli e fieri», rispose la zia Daniela, e ricadde nel suo mutismo per un altro mese.
«Era sicuramente del Leone. Sono così, i Leoni», diceva la sua amica tirando fuori un libro sui segni zodiacali. Le leggeva tutte le nefandezze che un Leone può commettere. «E poi sono bugiardi. Ma tu non devi lasciarti andare, sei un Toro: sono forti le donne del Toro».
«Di bugie sì che ne ha dette», le rispose Daniela una sera.
«Quali? Non te ne scordare! Perché il mondo non è tanto grande da non incontrarlo mai più, e allora gli ricorderai le sue parole: una per una, quelle che ti ha detto e quelle che ha fatto dire a te».
«Non voglio umiliarmi».
«Sarai tu a umiliare lui. Sarebbe troppo facile, seminare parole e poi filarsela».
«Le sue parole mi hanno illuminata!», lo difese la zia Daniela.
«Si vede, come ti hanno illuminata!», diceva la sua amica, arrivate a questo punto.
Dopo tre mesi ininterrotti di parole la fece mangiare come Dio comanda. Non si rese neppure conto di come fosse successo. L’aveva portata a fare una passeggiata in giardino. Teneva sottobraccio una cesta con frutta, pane, burro, formaggio e tè. Stese una tovaglia sull’erba, tirò fuori la roba e continuò a parlare mettendosi a mangiare senza offrirle nulla.
«Gli piaceva l’uva», disse l’ammalata.
«Capisco che ti manchi».
«Sì» disse la zia Daniela, portandosi alla bocca un grappolo d’uva. «Baciava divinamente. E aveva la pelle morbida, sulla schiena e sulla pancia».
«E com’era… sai di che cosa parlo», disse l’amica, come se avesse sempre saputo che cosa la torturava.
«Non te lo dico», rispose Daniela ridendo per la prima volta dopo mesi. Mangiò poi pane e burro, formaggio e tè.
«Bello?», chiese Elidé.
«Sì», rispose l’ammalata, ricominciando a essere se stessa.
Una sera scesero a cena. La zia Daniela indossava un vestito nuovo e aveva i capelli lucidi e puliti, finalmente liberi dalla treccia polverosa che non si era pettinata per tanto tempo.
Venti giorni più tardi, le due ragazze avevano ripassato tutti i ricordi da cima a fondo, fino a renderli banali. Tutto ciò che la zia Daniela aveva cercato di dimenticare, sforzandosi di non pensarci, a furia di ripeterlo divenne per lei indegno di ricordo. Castigò il suo buon senso sentendosi raccontare una dopo l’altra le centoventimila sciocchezze che l’avevano resa felice e disgraziata.
«Ormai non desidero più neppure vendicarmi», disse un mattino a Elidé. «Sono stufa marcia di questa storia».
«Come? Non mi ridiventare intelligente, adesso», disse Elidé. «Questa è sempre stata una questione di ragione offuscata: non vorrai trasformarla in qualcosa di lucido? Non sprecarla, ci manca la parte migliore: dobbiamo ancora andare a cercare quell’uomo in Europa e in Africa, in Sudamerica e in India, dobbiamo trovarlo e fare un baccano tale da giustificare i nostri viaggi. Dobbiamo ancora visitare la Galleria Pitti, vedere Firenze, innamorarci a Venezia, gettare una moneta nella Fontana di Trevi. Non vogliamo inseguire quell’uomo che ti ha fatto innamorare come un’imbecille e poi se n’è andato?».
Avevamo progettato di girare il mondo in cerca del colpevole, e questa storia che la vendetta non fosse più imprescindibile nella cura della sua amica era stata un brutto colpo per Elidé. Dovevano perdersi per l’India e il Marocco, la Bolivia e il Congo, Vienna e soprattutto l’Italia. Non aveva mai pensato di trasformarla in un essere razionale dopo averla vista paralizzata e quasi pazza quattro mesi prima.
«Dobbiamo andare a cercarlo. Non mi diventare intelligente prima del tempo», le diceva.
«E’ arrivato ieri», le rispose la zia Daniela un giorno.
«Come lo sai?»
«L’ho visto. Ha bussato al mio balcone come una volta».
«E che cosa hai provato?»
«Niente».
«E che cosa ti ha detto?»
«Tutto».
«E che cosa gli hai risposto?»
«Ho chiuso la finestra».
«E adesso?», domandò la terapista.
«Gli assenti si sbagliano sempre».
Ángeles Mastretta
[racconto tratto dal libro “Donne dagli occhi grandi”]
*traduzione di Gina Maneri
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occhietti · 7 months ago
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Sei salvo quando non hai tutti i giorni voglia di scappare da dove sei.
Sei salvo quando staresti bene con quello che hai, ma non rinunci a desiderare qualche cosa di più.
Sei salvo quando, la cosa che desideri, non è una "cosa".
Sei salvo quando possono prenderti in giro quanto vogliono. Anzi, più lo fanno e più ti danno la carica.
Sei salvo quando hai qualcosa da perdere, ma giochi lo stesso, perché ti sai concentrare su quello che ancora puoi vincere.
Sei salvo quando ridi.
Sei salvo quando ti incazzi ancora, se vedi qualcosa di sbagliato.
Sei salvo quando hai ancora motivi per mettere il vestito buono e uscire.
Sei salvo quando se c’è da ballare balli, anche se quando balli fai ridere.
Sei salvo quando dici più spesso “m’importa” che “chi se ne frega”.
Sei salvo quando saluti qualcuno per strada anche senza conoscerlo.
Sei salvo quando canti.
Sei salvo quando hai ancora posti da vedere, e ancora almeno un buco dove tornare.
Sei salvo quando fermi la macchina solo per uscire e guardare il tramonto.
Sei salvo quando lasci ancora che un libro o un film o una canzone ti scombinino le cose.
Sei salvo quando non ti dimentichi mai, che sei un piccolo stupido puntino buttato lì in un libro di miliardi di pagine.
Sei salvo quando non ti dimentichi mai, che anche un puntino può cambiare, se non tutto il libro, almeno una frase.
E, a volte, perfino tutta la storia.
- Enrico Galiano
Arte digitale tolgak21
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ragazza-whintigale · 10 months ago
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𝑫𝒂𝒓𝒌! 𝑺𝒐𝒓𝒓𝒆𝒏𝒈𝒂𝒊𝒍 𝑺𝒊𝒃𝒃𝒍𝒊𝒏𝒈𝒔 𝒙 𝒓𝒆𝒂𝒅𝒆𝒓
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𝔒𝔭𝔢𝔯𝔞 ➵ Fourth Wing
𝔄𝔳𝔳𝔢𝔯𝔱𝔢𝔫𝔷𝔢 ➵ Comportamento Yandere, prigionia, restrizioni, rapimento, inganno, manipolazione emotiva, squilibrio di potere a danni di Mc, utilizzo di soprannomi da animali, tortura, utilizzo di Veleni, utilizzo implicito di Droga, contenuto Lgbt,
𝔓𝔞𝔯𝔬𝔩𝔢 ➵ 2119
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In realtà (Nome) non ricordava nemmeno come avesse attirato la loro attenzione. Sapeva solo che Brennan e Mira avevano iniziato quella catena di eventi e che tra i tre Violet è sicuramente quella meno pericolosa.
Aveva notato i troppi sensi di colpa di Violet causati dal trattamento duro che avevano i fratelli nei confronti della (Colore) - non che le avessero fatto così tanto male… all’inizio - e che (Nome) utilizza contro la più giovane dei figli del generale Sorrengail. Poi ha giocato con l’innocente convinzione che aveva notato negli occhi di Violet, quella secondo cui (Nome) non sapesse mentire così astutamente per riuscire a sfuggire ai due Sorrengail più grandi, soprattutto quando non c'erano uno dei due a farle capire i giochi della loro piccola volpe.
Ma ancora, Violet era più piccola persino di (Nome), quindi era crudele qualsiasi di questi comportamenti, anche quando erano fatti per puro terrore e disperazione. Mira gli avrebbe impartito una bella lezione nel caso avesse anche solo capito che (Nome) stesse manipolando la sorellina e Brennan avrebbe ottenuto solo un riscontro psicologico da (Nome) e una buona lezione per la giovane Violet. Violet era davvero troppo piccola e troppo fragile per riuscire a stare al passo con quella caccia folle.
Tuttavia agli occhi inesperti di un ignaro spettatore Violet poteva sembrare la compagnia preferita della (Colore). È sempre stato più facile parlare con lei e convincerla a rilasciare la morsa e il periodo solo con lei era sicuramente uno dei più belli da quando era stata reclusa dai suoi fratelli. Anche quando era sicura che Mira e Brennan la stessero istruendo non è mai riuscita ad avere un vero controllo su (Nome).
Anche se il momento in cui Violet è partita per Basgiath, era davvero il suo preferito. Nessuno le avrebbe fatto cambiare idea. L’anno e mezzo di libertà era un lusso, lo sapeva fin troppo bene. Nessuno avrebbe impedito alle due sorelle di ritrovarla, era questione di tempo.
(Nome) se ne era andata e nessuno aveva cercato di fermarla. Era felice di questo. Il Generale Lilith Sorrengail l’aveva guardata andarsene con i pochi effetti personali che possedeva e a cui si era affezionata e le aveva detto di fare attenzione. A cosa esattamente? Brennan è morto e dubitava seriamente potesse resuscitare, Mira era nell’ala est, e Violet è stata mandata a morire a Basgiath. (Nome) non credeva minimamente che lei potesse farcela, ne era certa. È sempre stata l’anello debole dei tre.
(Nome) se ne andò per la sua strada e così fece Lilith. (Nome) non la reputava necessariamente una cattiva madre. Certo non aveva mai mostrato nulla se non disprezzo e severità nei suoi occhi, ma questo non la rendeva una cattiva madre. Aveva solo i suoi motivi e il fatto che avesse cercato di allontanarla dai suoi figli ha solo alzato il livello di stima di (Nome) - anche quando l’aveva definita un inutile passata mento -. Attraversò per quella che sperava essere vivamente l’ultima volta il cortile sorvolato da draghi con i loro cavalieri. (Nome) era terrorizzata da quegli esseri e prima se ne fosse andata meglio era.
Se qualcuno avrebbe potuto guardarlo dall’estero lo avrebbe ritenuto in un certo senso era ironico. Lei che era terrorizzata dai Draghi, era stata tenuta segregata da persone che in un modo o nell’altro sarebbero diventati cavalieri. Ma in definitiva se ne andò. Raggiunse il primo paesino disperso nelle foreste, un posto dove nessuno avrebbe potuto trovarla così facilmente. Il primo periodo è stato duro, adattarsi ai nuovi ritmi eppure la piacevole sensazione di libertà era qualcosa di impagabile.
È quasi un peccato che questa libertà durerà così poco.
Le sue gambe facevano male mentre correva. Sperava di aver visto male. Sperava vivamente che quel cavaliere non fosse Mira che la stava cercando. Sperava che avesse sbagliato a sentire il nome della persona che quel cavaliere stava cercando. Sperava che fosse tutto un mucchio di coincidenze e che lei non fosse Mira. Perché se veramente fosse Mira magari c’era anche Violet e (Nome) non voleva tornare con loro. Continuava a sperare ma continuava comunque a correre. Se mai sperare non fosse servito almeno sarebbe stata lontana dal villaggio. Corse. Corse. Corse. Corse e Corse. Respirare non poteva essergli più doloroso e difficile di così. Doveva trovare un posto che a rigor di logica fosse difficile da raggiungere per un drago e impensabile per Mira.
Un ruggito freni l’aria e un vento anomalo si alzo. (Nome) maledì la sua scarsa forma fisica e la sua troppa sicurezza nel rimanere così allungo nello stesso luogo. Non voleva fermarsi eppure quando il grande drago atterrò sul suolo erboso a quasi 20 metri da lei non ha avuto altra scelta. Crollo sull’erba verde e si trascinó il più lontano possibile. I polmoni bruciavano come mai prima d’ora e semplicemente non sapeva se sarebbe riuscita a sopravvivere di questo passo. Vide dal drago scendere la figura di Violet. Le sue pelli da volo erano in perfetto condizioni e sul suo viso nessuna traccia di sudore. Ma d’altronde era (Nome) ad aver corso fino ad adesso, a lei è bastato solo restare in groppa del suo drago. Rimosse dagli occhi gli occhiali protettivi così da poter vedere la figura tremante della sua astuta volpe. (Nome) si trascinò con le proprie mani più lontano possibile da lei. Era stanca e forse tremante tuttavia l’adrenalina scorreva ancora vivace nel suo organismo e questo le grida di andarsene il prima possibile. Si voltò dalla parte opposta da cui stava arrivando Violet per correre il più lontano possibile. Mentre correva (Nome) si illuse di avere una possibilità. Una volta raggiunta la foresta solo Violet poteva seguirla, a patto che volessero che (Nome) vivesse.
Certo, la foresta sarebbe stata la scelta migliore, anzi l’unica, tuttavia alla foresta non arrivò mai per potersi riparare. Un’altro drago atterrò davanti a lei. Una serie di scaglie riflettenti specchiano il suo riflesso malmesso e terrorizzato. Era la prima volta che sentiva questo genere di terrore, ma era anche la prima volta che aveva a che fare con dei draghi in modo così ravvicinato.
Dal drago non scese nessuno.
❝ Grazie Andarna, sei arrivata giusto in tempo. ❞ Oh! Forse (Nome) aveva capito. (Nome) non conosce le dinamiche tra cavalieri e draghi, non ha mai avuto bisogno di conoscerle, tuttavia non ci voleva un genio per capire che anche quel drago fosse suo, insieme al bestione nero con cui aveva avuto un incontro ravvicinato prima. ❝ (Nome), finalmente ti abbiamo trovata. Non immagini nemmeno quanto eravamo preoccupate per te. ❞ (Nome) non vedeva come dovessero preoccuparsi per lei. Lei era felice in quel posto senza di loro, lei è stata felice in tutto l’arco dell’anno e mezzo in cui non era più imprigionata. Ma non si voltò per dirglielo, in realtà i suoi occhi erano ancora fissi sul drago dalle scaglie lucide. No, forse era solo concentrata sul suo riflesso pietoso.
Si sentì sbattere un’altro di ali e Violet con entusiasmo attirò l’attenzione del cavaliere prima di urlare qualcosa che aveva fatto salire il vomito. ❝ La Volpe è qui! ❞ Personalmente era un soprannome che odiava. Glielo aveva dato Brennan quando una delle prime volte che ha cercato di scappare utilizzando Violet. Da una giocosa presa in giro è diventato il suo soprannome di quando non volevano parlare direttamente di lei. O quando sapevano che potevano infastidirla per qualche comportamento subdolo - In particolare Mira -
(Nome) in ultimo scatto, a sorpresa di tutti, persino di se stessa, si alzó in piedi pronta a correre in qualsiasi direzione fosse libera. Si sentiva ancora speranzosa, forse con molta fortuna potrebbe ancora raggiungere il bosco. Mosse solo alcuni passi prima di essere trascinata di nuovo a terra, al suo posto. Due braccia l’avvolsero stretta. ❝ Dove pensi di andare, astuta volpe. È da un po’ che non ci vediamo e ancora di più che non passiamo del tempo insieme. ❞ Mira… Si irrigidì nel suo abbraccio. L’ultima volta che la vide la salutó quasi a stente - che di per se le sembrava davvero impossibile - aveva solo deciso di avere una qualche discussione con il Generale Lilith per poi accompagnare Violet a Basgiath e poi non le vide più entrambe.
❝ Mira fai attenzione non vedi che è terrorizzata. ❞ Un’altra voce di aggiunse alla conversazione. Una voce fottutamente familiare. Una di quelle voci che appartengono a persone morte. ❝ I morti non hanno diritto in questa discussione.❞ La presa di Mira, durante la dubbia discussione, si allentó. (Nome) avrebbe potuto scappare. Certo, quello era il suo pensiero che sfumó con lo stupore e il paio di stivali da volo posizionati di fronte a lei. Chiunque fosse - anche se sapeva benissimo chi fosse - ora è di fronte a lei e (Nome) non aveva la benché minima voglia di alzare lo sguardo per affrontarlo. Lui si inginocchiò di fronte a lei, le alzó il viso con due dita sotto il mento.
❝ Ehy piccola volpe, è da tanto che non ci vediamo. Sei contenta di vedermi? ❞ Il volto di Brennan era adornato da un gentile sorriso mentre le parlava eppure il viso della ragazza era stretto in una espressione di puro terrore e incredulità.
Lei ovviamente sapeva che era lui, tuttavia niente le avrebbe impedito di negare fino all’ultimo. ❝ No… ❞ La domanda di Brennan non imponeva una risposta, ed in effetti non gli ha risposto. ❝ no, no, no, no, no, no, no, no, no!❞ (Nome) scosse il capo in continuazione, da un lato all’altro reggendosela con le mani. ❝ Questo non possibile… ❞
Brennan si è intenerito nel vedere (Nome) bisbigliare e scervellare per capire come lui potesse essere qui, l’insieme dei draghi, della fuga e della loro presenza, le impedivano di ragionare come si deve. Tutto quello che la sua mente le dice era di nascondersi e scappare. ❝ Chi si offre a trasportarla fino ad Aretia? ❞ Mira la teneva ancora stretta per impedirle di scappare, conosceva troppo bene (Nome) per sapere che potrebbe essere capace di scappare fino all’ultimo istante. Intanto si tirò in piedi insieme alla sua confusa volpe. ❝ Dimentichi che salirà mai con noi su un drago, annesso che uno dei nostri draghi si offra di portarla. ❞ Brennan si sfregò il mento pensando ad un modo per trasportare la povera ragazza.
❝ …Forse ho modo… ❞ Violet parlò ma (Nome) non ebbe il coraggio di ascoltare. Stavano parlando di trasporta, (Nome) e draghi tutto nella medesima frase. Non voleva sapere cosa le avrebbero fatto.
Chiuse gli occhi (Colore) mentre vedeva Violet avvicinarsi e sentiva Mira stringerla per tenerla ferma. Poteva ricordare poco altro, oltre alla lotta e alle preghiere per farli fermare. Un liquido le veniva spinto in bocca a forza, un gusto amaro e dolce al medesimo istante. La testa aveva iniziato a girarle e le parole insieme alle preghiere le venivano a meno, mentre loro la reggevano nel suo stato traballante. Basta. È crollata a terra e poi l’oscurità.
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(Nome) si è ritrovata ad Aretia. Non sapeva come, ma sapeva che niente sarebbe cambiato da prima.
Brennan era rimasto quello più intelligente. Nessuna fuga sarebbe stata possibile con lui o comunque non sarebbe arrivata molto lontano a meno che lui non lo avesse deciso. (Nome) ha tentato una fuga il minuto successivo ad aver scoperto di essere tornata, le aveva lasciato proseguire la sua fuga. Almeno fino a quando (Nome) stessa non si era accorta di essere finita in un cortile pieno Cadetti in allenamento con i rispettivi draghi. Il terrore fu abbastanza da farla tornare indietro nei suoi passi fino a Brennan fin troppo divertito dal suo terrore. L’avrebbe trascinata in spalla come fosse un peso morto e rimproverando cautamente la (Colore). Si sentiva un cucciolo o una bambina in queste situazioni, ma se si impegnava abbastanza sarebbe riuscita ad ignorarlo. Ma l’imbarazzo di vederlo flarlo di fronte ai cadetti di Aretia mentre passavano per i corridoi era qualcosa con cui non sarebbe mai riuscita a convivere nemmeno dopo mesi.
Mira era invece quella ferrea e implacabile dei tre, come lo era sempre stata. Per lei non esisteva punizione che non fosse applicabile alla loro piccola volpe tremante e disobbediente. Reclusione forzata al buio e l'essenziale per sopravvivere, Privazione di ‘privilegi’ come li avrebbe chiamati lei ed infine nei casi più gravi si arriva a leggere fratture o distorsione. Quando piangeva, urlava e implorava perché il dolore finisse, Mira la rassicurava semplicemente dicendole che era per il suo bene. Ma credeva che tutto questo fosse per il loro piacere più che il suo bene. Anche se la parte peggiore è cercare di capire quando la stesse mettendo alla prova o se avesse davvero intenzione di attuarle. Appena ne ebbe l’occasione fu lei ad offrirsi di ristabilire le regole vecchie ed aggiungerne di nuove. Nuovo posto, nuove regole.
Ed infine Violet… Violet era decisamente e irrimediabilmente cambiata. Essere diventata un cavaliere in quel maledetto college, l’aveva cambiata, in peggio se possibile. Non era più l’anello debole dietro cui nascondersi e che avrebbe ammorbidito anche se di poco le sue punizioni. Non era più quella che le avrebbe tolto le catene e le avrebbe dato un sorso d’acqua in più. No… ora è diventato uno strano mix dei due. Tra il genio di Brennan e l’ implacabilità di Mira. Avrebbe stretto la presa per farla desistere da una fuga mentre la riporta dentro con tenere rassicurazioni. Avrebbe offerto la sua disponibilità dopo che Mira avesse finito, rammaricandosi di non aver mai agito al meglio prima e successivamente le avrebbe raccontato di come, a Basgiath, avesse avvelenato i suoi avversari, per poi fare lo stesso con lei. Ora si era trovata ad implorare pietà piu a Violet che a Brennan e Mira. Non poteva dire di potersi nascondere dietro di loro, ma non erano più i più pericolosi.
Ora come ora è più in gabbia di prima.
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Questo era solo il primo di una piccola saga di 5 post sulla famiglia Sorrengail :3.
Nessuno dei capitoli sarà correlato al precedente. Potrete leggerli in che ordine volte e decidere quali leggere e quali no ( Attualmente sono in lavorazione )
BRENNAN ♡ MIRA ♡ VIOLET ♡ LILITH
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winckler · 2 months ago
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Qui stava il torto, qui l’inveterato errore: credere che d’altro non vi fosse acquisto che d’amore. Oh le frotte di maschere giulive oh le comitive musicanti nei quartieri gentili… Alla notte altre musiche rimanda la terrazza più alta e di nuovo fiorita si dilunga la strada fuori porta? Ma venga, a ora tarda, venga un’ora di vero fuoco un’ora tra me e voi, ma scoppi infine la sacrosanta rissa, maschere, e i vostri fini giochi di deturpato amore: nell’esatto modo mio di non dovuto amore e dissipato, gente, vi brucerò.
— Vittorio Sereni
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mezzopieno-news · 2 months ago
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LE SCARPE DISMESSE DEI POSTINI DIVENTANO PARCHI GIOCHI PER I BAMBINI
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Le scarpe dei portalettere di tutta Italia non saranno più buttate ma diventeranno il pavimento assorbente antiurto delle aree gioco per i bambini.
L’idea è nata da alcuni dipendenti delle Poste Italiane, per riciclare le calzature ormai dismesse degli addetti del recapito che ogni giorno percorrono molta strada per consegnare la posta. Al Centro di distribuzione di Ancona, collettore dei centri di tutta Italia, sono arrivati i primi camion con migliaia di scarpe usate pronte ad intraprendere una nuova vita che a regime porterà al riciclo di oltre 25000 paia di scarpe ogni anno. “Insieme ai miei colleghi sono felice di contribuire ad un’attività di riciclo così utile – dichiara Micheal Tuzzi, portalettere ad Ancona – Sapere che le nostre vecchie scarpe diventeranno il pavimento di qualche parco giochi per bambini è straordinario: guidiamo mezzi green, rispettiamo direttive molto rigorose sulla raccolta differenziata e vedere con i nostri occhi il frutto dell’attività di riciclo alla quale partecipiamo con tanto entusiasmo ci rende orgogliosi”.
L’operazione di trasformazione delle scarpe avviene mediante la separazione dei diversi componenti che diventano materiale morbido antitrauma destinato ai parchi giochi o asili per bambini. Per 5.500 chilogrammi di calzature possono essere realizzati 50 metri quadri di pavimentazione. Le Poste Italiane includeranno a breve in questo progetto anche i caschi dei portalettere e le divise usate. Il progetto “Scarpa vecchia fa buon gioco” è nato nel contesto del programma delle Poste per implementare gli obiettivi di sostenibilità promossi dalle Nazioni Unite.
___________________
Fonte: Poste Italiane; foto di Pollinations
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VERIFICATO ALLA FONTE Guarda il protocollo di Fact checking delle notizie di Mezzopieno
BUONE NOTIZIE CAMBIANO IL MONDO Firma la petizione per avere più informazione positiva in giornali e telegiornali
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ma-pi-ma · 1 year ago
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Gatto che giochi per strada
come se fosse il tuo letto
invidio la sorte che è tua
ché neppure sorte si chiama.
Buon servo di leggi fatali
che reggono i sassi e le genti
hai istinti generali
senti solo quel che vuoi sentire
felice perché sei come sei
il tuo nulla è tutto tuo
io mi vedo e non mi ho
mi conosco e non sono io.
Fernando Pessoa
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be-appy-71 · 3 months ago
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Ho fatto l'amore con te in ogni luogo.
Dentro un metrò...
Dentro a un bar...
Dentro un bagno pubblico...
Al ristorante...
Per la strada...
A una mostra d'arte...
Tra i mercatini di giochi e giocattoli...
Perfino sopra la torre Eiffel!
Nella mia mente, io e te, abbiamo fatto l'amore ovunque...
Ma tu nemmeno lo sai... ♠️🔥
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pier-carlo-universe · 26 days ago
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Rimpalli – Teodoro Lorenzo. Un viaggio nella memoria attraverso il gioco e la crescita. Recensione di Alessandria today
Il romanzo Rimpalli di Teodoro Lorenzo è una finestra su un’epoca passata, un affresco vivido dell’infanzia e dell’adolescenza, dove il calcio da strada diventa metafora della vita e della crescita personale
📖 Autore: Teodoro Lorenzo📖 Casa editrice: Voglino Editrice📖 Genere: Narrativa contemporanea📖 Valutazione: ⭐⭐⭐⭐⭐ Il romanzo Rimpalli di Teodoro Lorenzo è una finestra su un’epoca passata, un affresco vivido dell’infanzia e dell’adolescenza, dove il calcio da strada diventa metafora della vita e della crescita personale. Il racconto si sviluppa attorno a un gruppo di ragazzi che, attraverso il…
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diceriadelluntore · 6 months ago
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Storia Di Musica #342 - The Corrs, Home, 2005
Le Storie musicali di band di fratelli e sorelle ci portano in Irlanda, per una band che tra fine anni '90 e inizi 2000 fu molto popolare. The Corrs, come suggerisce il nome, sono una band di tre sorelle e un fratello, i Corr appunto. La loro storia è molto particolare e si lega a quella di un film del 1991, divenuto di culto, ambientato a Dublino, da dove provengono i nostri. The Commitments, diretto da Alan Parker, racconta la storia di Jimmy Rabbitte e del suo tentativo di mettere su una band di soul e rhythm'n'blues a Dublino, The Commitments, appunto. Il film, che è anche uno spaccato dell'isola prima della travolgente trasformazione avvenuta negli ultimi decenni, fu trampolino di lancio di una serie di attori\cantanti che dopo il film si lanciarono in carriere musicali. E tra loro c'erano i fratelli Corr. Jim Corr suonava in una band con John Hughes, che curava per Parker le selezioni dei musicisti. Hughes non sapeva che Jim avesse tre sorelle musiciste, Caroline, Sharon e Andrea, con cui si presenta i provini. Andrea ottiene una parte di recitazione con battute (è Sharon, la sorella minore di Jimmy), gli altri tre fanno da comparse, ma Hughes dopo le riprese chiede di poter diventare il loro manager. Diventano una band, dove suonano diversi strumenti, anche quelli tradizionali irlandesi. Il primo grande trampolino di lancio è l'esibizione, nel 1994, per i Mondiali di Calcio di USA 94, seguita due anni dopo per la cerimonia d'Apertuna dei Giochi Olimpici di Atlanta '96. Vanno in tour a supporto di Celine Dion, mentre il loro primo disco, Forgiven, Not Forgotten, che comprende sia brani strumentali di musica tradizionali che canzoni pop rock, svetta nelle classifiche di mezzo mondo, diventando uno dei dischi d'esordio di artisti irlandesi più di successo di ogni tempo. Nel 1997 successo per Talk On Corners, partecipano al Pavarotti And Friends a Modena e ricevono nel 1999 un Brit Award come Miglior Band Internazionale, registrando persino un MTV Unplugged, che vende milioni di copie. Il successivo disco, In Blue, prodotto da Robert John "Mutt" Lange, li consacra star internazionali: il singolo Breathless va in classifica in mezzo mondo, come Radio, l'album è il terzo disco con le maggiori vendita della Storia delle Classifiche musicali d'Irlanda dopo il The Best Of 1980-1990 degli U2 e Be Nere Now degli Oasis. Sono nominati ai Grammy Awards. Registrano un altro disco dal vivo, VH1 Presents: The Coors Live In Dublin, con ospiti Bono che duetta con loro in When The Stars Go Blue di Bryan Adams (un gioiellino) e Summer Wine di Nancy Sinatra e Ronnie Wood dei Rolling Stones che suona la chitarra in Little Wing, cover del classico di Jimi Hendrix e in Ruby Tuesday. Succede però una fatto doloroso: Jean, la madre dei fratelli Corr, muore in attesa di un trapianto di fegato all'ospedale di Newcastle, in Gran Bretagna.
E proprio alla madre, e alla loro terra, è dedicato questo disco, Home, che esce nel 2005. L'album precedente, Borrowed Heaven, già aveva riaperto la strada del folk nella loro musica, che nei dischi di successo internazionale si era un po' persa, ma in questo disco si ritorna alle origini. In scaletta 12 pezzi, divisi tra strumentali tradizionali di musica celtica irlandese, come Haste To The Wedding, che è il brano principe del ballo Céilí, uno scritto da Sharon Corr, Old Hag e due cantati in lingua gaelica dalla bellissima voce di Andrea, Buachaill ón Éirne (che vuol dire Ragazzo di Erne) e Bríd Óg Ní Mháille, Bridget O'Malley, che probabilmente è una riedizione ottocentesca di un antico canto dedicato a santa Brigida d'Irlanda. Ancora più emozionate è la parte di canti tradizionali cantati in inglese: My Lagan Love è uno dei primi traditional scoperti da Joseph Campbell, che agli inizi del 1900 intraprese un percorso di ricerca e traduzione dei canti tradizionali, musicati e riportati sugli spartiti da Herbert Hughes; la meravigliosa Spancil Hill è invece un traditional, probabilmente scozzese, che venne riadattato dai migranti irlandesi in America, dove divenne molto famosa nella zona dei Monti Appalachi: lo spancil era un modo di legare le zampe dei capi di bestiame per non farli scappare durante le fiere. Dolcissime sono Peggy Gordon e la bellissima Black Is the Color, conosciuta anche come Black Is the Color Of My True Love's Hair, brani che raccontano il carattere forte e deciso delle donne di quei posti. The Moorlough Shore è una delle più famose ballate irlandesi: è la storia di un giovane, innamorato della sua terra e di una ragazza, che però rifiuta le sue avances perché ama già un marinaio. Aspetterà il suo vero amore per sette anni. Frustrato, il ragazzo lascia la casa della sua infanzia e salpa, continuando a elogiare la ragazza che ama e che vive a Moorlough Shore. Sulla sua melodia, durante gli anni della Rivoluzione dell'Indipendenza irlandese (negli anni Dieci del 1900) i rivoluzionari cantarono The Foggy Dew, il principe dei brani di libertà irlandese. Completano la scaletta tre cover di brani moderni: Heart Like A Wheel, successo di Kate & Anna McGarrigle, poi ripreso da tanti artisti (la versione più famosa di Linda Ronstand), Old Town del leader dei Thin Lizzy Phil Lynott e un brano, Dimming Of The Day, scritto da Richard e Linda Thompson per un loro disco del 1975, Pour Down Like Silver. La musica è arrangiata con delicatezza, agli strumenti moderni sono affiancati i tin whistle, il Bodhrán (che è il tamburello irlandese) e una sezioni archi, che è sempre stato un marchio di fabbrica della musica Corrs. Spicca la voce, brillante e squillante di Andrea Corr, emozionante in più di un passaggio. Il disco, che non è di successo come i precedenti, ha comunque successo in patria, In Australia e sorprendentemente in Francia, dove vende 100 mila copie.
Andrea Corr, che ha recitato anche in altri film, tra cui Evita con Madonna e da protagonista una semisconosciuta commedia canadese, The Boys From County Clare, tenterà, con scarso successo, anche la carriera solista, con Ten Feet High. I Corrs continuano a suonare e a pubblicare materiale (l'ultimo disco del 2017) ma non hanno più raggiunto il successo dei dischi pop, nè la delicatezza, e la bellezza, del disco di oggi, un bellissimo esempio di variazioni "moderne" ai classici tradizionali della cultura delle isole britanniche, un grande tesoro culturale.
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gcorvetti · 6 months ago
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Sa, sa, prova...
Sono di nuovo online, eh si, mi sono trasferito due sabati fa nel nuovo appartamentino, in quei giorni sono anche passato dal provider dritto al negozio per chiedere una connessione ma il tecnico è venuto oggi, ho passato la settimana comunque a pulire e sistemare casa anche se ancora non ho finito di portare cose. Lei, Maarja, vuole che le libero il tavolo in soggiorno, quello che era il mio laboratorio tra stampante 3D e giochi da tavolo, vedrò di fare entrare anche parte di quel tavolo (che è in effetti grande) in qualche modo in questo mini appartamento che però vi dirò mi piace tanto, ci sto bene.
Non posto foto per privacy e poi non sono il tipo, lo sapete, però è molto simpatico anche se ha un ambiente unico cucina-soggiorno, alla fine costa poco 300€ + bollette, che però non arrivano oltre i 120 d'inverno per via del riscaldamento h24; altra fantasticheria è la posizione, sono a 10/15 minuti a piedi da tutto, il lavoro, il centro, la piscina, ho un mini market a 10m, basta che attraverso la strada. Ho detto piscina perchè penso di iniziare ad andarci visto che nuotare mi piace molto ma non lo faccio da anni. La settimana che è passata è stata lunga e faticosa a lavoro, soprattutto domenica con ste pulizie di fondo, sono caduto un istante dopo aver poggiato il pesante grill sul frigo basso, ho impattato la caviglia col frigo e sono finito di culo a terra, risultato ho l'osso grande (perché se non erro è stata fatta male la traduzione dal greco ed è uscito osso sacro) che ancora mi fa male, l'interno dell'avanbraccio un pò escoriato e la caviglia con un buchetto (niente di che non mi fa neanche male in confronto all'osso), avrò preso lo spigolo.
Per il resto non sto male e penso che il peggio sia passato, devo solo tracciare una nuova rotta e prendere il largo.
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susieporta · 9 months ago
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Qualche estate fa tornavo dalla spiaggia di Arma piangendo per strada.
Mi sono sentita chiamare, almeno due volte; mi sono girata. C’era qualcuno su un furgoncino bianco.
⁃ Sei tu, vero? - mi ha detto.
Mi sono avvicinata per guardare meglio e ho riconosciuto uno del mio paese, più grande di me di 5, 6 anni, che non ricordavo più di aver frequentato da ragazza, nel modo in cui frequentavamo chiunque sostasse sul muretto dietro la sala giochi. L’ultima volta dovevo averlo visto nel ‘96 e ricordavo che mi era molto simpatico.
⁃ Ciao, - ho detto raggiungendo il furgone: solo ciao, il suo nome non mi veniva.
Mi sono asciugata di corsa le lacrime e d’istinto ho sciolto i capelli, ma erano sudati e crespi di sale, sarebbe stato meglio tenerli legati; pensavo, ma guarda tu se in questo stato devo incontrare uno che non vedo da decenni, uno che devo fermarmi per forza. Mi sentivo brutta e per questo colpevole. Chissà se è solo femminile il senso di colpa di essere esteticamente deludenti.
- Di’ la verità, te lo ricordi, il mio nome? - ha detto lui.
L’ho fissato annebbiata, ma quando ha messo su quella faccia piena di imbarazzo mi è tornato di colpo in mente il soprannome con cui lo prendevo in giro. Appena l’ho pronunciato lui è scoppiato a ridere.
Mi ha chiesto dei miei romanzi, gli ho chiesto del suo lavoro. Aveva la fede, un figlio a casa e uno prossimo alla nascita, che adesso avrà quasi sei anni. Abbiamo chiacchierato per una decina di minuti.
Prima di andare ho detto: - Ma come hai fatto a riconoscermi, a ricordarti?
⁃ Rosella, - ha risposto. - Nessuno può dimenticarsi di te.
Ecco, penso che ogni volta che siamo tristi e piangiamo e ci sentiamo orribili da ogni punto di vista dovremmo incontrare per caso qualcuno che ci dica che siamo indimenticabili. Sarebbe un mondo più giusto.
(Post del 2020. Lo ripropongo come un buon augurio collettivo).
Rossella Postorino
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canesenzafissadimora · 6 months ago
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E un giorno ti svegli stupita e di colpo ti accorgi
Che non sono più quei fantastici giorni all'asilo
Di giochi, di amici e se ti guardi attorno non scorgi
Le cose consuete, ma un vago e indistinto profilo
E un giorno cammini per strada e ad un tratto comprendi
Che non sei la stessa che andava al mattino alla scuola
Che il mondo là fuori ti aspetta e tu quasi ti arrendi
Capendo che a battito a battito è l'età che s'invola
E tuo padre ti sembra più vecchio e ogni giorno si fa più lontano
Non racconta più favole e ormai, non ti prende per mano
Sembra che non capisca i tuoi sogni sempre tesi fra realtà e sperare
E sospesi fra voglie alternate di andare e restare
Di andare e restare
E un giorno ripensi alla casa e non è più la stessa
In cui lento il tempo sciupavi quand'eri bambina
In cui ogni oggetto era un simbolo ed una promessa
Di cose incredibili e di caffellatte in cucina
E la stanza coi poster sul muro ed i dischi graffiati
Persi in mezzo ai tuoi libri e regali che neanche ricordi
Sembra quasi il racconto di tanti momenti passati
Come il piano studiato e lasciato anni fa su due accordi
E tuo padre ti sembra annoiato e ogni volta si fa più distratto
Non inventa più giochi e con te sta perdendo il contatto
E tua madre lontana e presente sui tuoi sogni ha da fare e da dire
Ma può darsi non riesca a sapere che sogni gestire
Che sogni gestire
Poi un giorno in un libro o in un bar si farà tutto chiaro
Capirai che altra gente si è fatta le stesse domande
Che non c'è solo il dolce ad attenderti ma molto d'amaro
E non è senza un prezzo salato diventare grande
I tuoi dischi, i tuoi poster saranno per sempre scordati
Lascerai sorridendo svanire i tuoi miti felici
Come oggetti di bimba, lontani ed impolverati
Troverai nuove strade, altri scopi ed avrai nuovi amici
Sentirai che tuo padre ti è uguale
Lo vedrai un po' folle, un po' saggio
Nello spendere sempre ugualmente paura e coraggio
La paura e il coraggio di vivere
Come un peso che ognuno ha portato
La paura e il coraggio di dire: "Io ho sempre tentato"
Io ho sempre tentato...
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Francesco Guccini - E un giorno...
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libero-de-mente · 5 months ago
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Il mio amico Holter
Da ieri, e per 24 ore, ho un nuovo amico.
Uno di quelli che come ti vede ti si appiccica addosso.
Dove vado io, viene anche lui. Ovunque.
Siamo inseparabili.
Quando la Prof. Inf. OTA ASA OSS e Signorina Rottenmeier me lo ha "presentato" mi ha dato un ordine. Ca-te-go-ri-co.
Se l'amico Holter comincia a soffiare, con un piccolo fischio, non mi devo muovere. Fermo proprio.
Per me, neurodivergente, questo ordine è diventato perentorio.
Così da ieri, ogni quarto d'ora, io mi blocco.
Un po' come se stessi giocando a "un, due, tre, stella!" o, se vogliamo modernizzarci, come se fossi in una scena di Squid Game con Younghee.
Da questo mio rapporto intimo, con l'amico Holter, ho appreso che se sei mancino devi calcolare bene le tempistiche dei 15 minuti, in modo da evitare le seguenti situazioni che durano circa trenta secondi, ma che diventano un'eternità:
- Salutare un amico, dall'altro lato della strada, con il braccio sinistro alzato. Perché poi, per via della circolazione compromessa, devi aprire e chiudere il pugno alla disperata ricerca di fermare "le formiche". Così passa la gente e tra un "Hasta la victoria" e un "Povero KomunistaH!" rischi pure di litigare con degli sconosciuti.
- Prelevare il biglietto al casello autostradale. Potresti scoprire le nuove tendenza e novità nel campo di maledizioni e blasfemia, da parte degli automobilisti in colonna dietro di te.
- Prendere lo scontrino alla cassa di un supermercato, mentre con la mano destra reggi le borse. Se dovesse capitare in un supermercato, quello delle grandi marche, potresti cavartela con poco. In un discount verresti preso a male parole, iniziando dalla cassiera. Che al pit-stop di un bolide di Formula 1 se la prendono più comoda di una cassa del discount vicino casa.
- Scrivere sui sociallllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllll.
- Dare una carezza innocente a una persona, dopo dieci secondi diventa molestia.
- Alzare il volume della televisione, in 30 secondi si raggiungono picchi di decibel da concerto degli Iron Maiden. Non lo sapevo.
- Bere birra. Dal bere un sorso all'alcolismo esplicito è un attimo.
- Assumere gocce per dormire, da una notte serena a due giorni di coma sonnolento è un attimo.
- Petting. Sul più bello ti fermi, così de botto. "Non ti piaccio più?!", è la prima fase che ti senti dire. "Ecco lo sapevo, ne hai un'altra", la seconda. Poi rimediare è dura.
- Giocare col gatto. Quando giochi con un gatto la tua velocità è fondamentale per la sopravvivenza delle tue dita. Sappiate che sto scrivendo questo post con una sola mano.
- Suonare a un videocitofono, potresti sentire nuove imprecazioni anche in questo caso.
Tra poche ore saluterò il mio amico Holter, un po' mi mancherà. Perché in fondo una vita con ripartenze è meglio di una monotona e scontata.
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