#gialli d’autore
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pier-carlo-universe · 3 days ago
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L’eredità dei vinti di Maurizio A. Familiari: un thriller veneziano tra esplosioni, segreti e ferite invisibili. Recensione di Alessandria today
Autore: Maurizio Antonio FamiliariAnno di pubblicazione: 2024Genere: Thriller investigativoValutazione: ★★★★☆ (4,3 su 5 – 78 voti) Recensione:Una tranquilla mattina di marzo, Piazza San Marco a Venezia si trasforma in un inferno: un uomo si fa esplodere davanti al Caffè Florian. Un’immagine potente, disturbante, che apre le danze di un’indagine ricca di tensione e mistero, orchestrata da un…
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divulgatoriseriali · 4 months ago
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delitti di provincia: i misteri di alleghe
I Misteri di Alleghe sono una serie di eventi tragici e inquietanti avvenuti tra gli anni ’30 e ’40, che videro il piccolo borgo di montagna protagonista di una scia di morti sospette, ufficialmente archiviate come suicidi ma avvolte da un alone di dubbio e mistero. Un intreccio di passioni, segreti di famiglia e ipotesi mai confermate, che sembra emergere dalle acque gelide del lago di Alleghe,…
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stilouniverse · 9 months ago
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"Giallo come il golfo da Tellaro a Portovenere". 12 racconti gialli per 12 mesi, Gammarò/Oltre Edizioni
A cura di Beppe Mecconi AA.VV. Simona Albano, Massimo Ansaldo, Marco Della Croce, Alessandro Ebuli, Patrizia Fiaschi,  Maria Grazia Innocenti, Vanessa Isoppo, Beppe Mecconi, Corrado Pelagotti, Susanna Raule, Marco Usano Introduzione di Marco Buticchi Gammarò/Oltre  Dodici luoghi in cerca d’autore, dodici mesi in cerca di voce. Ma anche dodici penne che hanno dipinto nelle varie sfumature…
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personal-reporter · 2 years ago
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Giardini d’autore 2023 a Rimini
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Giardini d’Autore torna con  il secondo appuntamento del 2023, in programma sabato 16 e domenica 17 settembre, a Piazza sull’Acqua a Rimini. La mostra partirà da Castel Sismondo, cuore della manifestazione, fino ad arrivare a tutta l’area circostante tra il Bosco dei Nomi, La Piazza dei Sogni, L’Arena Francesca da Rimini fino alle porte del meraviglioso giardino del Part. Saranno due giornate  tra collezioni botaniche, natura, design, arte, artigianato, sapori e frutti con la presenza di vivaisti provenienti da tutta Italia e dall’estero con proposte uniche per giardini e terrazzi. Il fascino di settembre condurrà il pubblico in uno spazio dai sapori rassicuranti e dai profumi inebrianti delle salvie in fiore, dei rosmarini, dei frutti antichi, degli agrumi, dell’uva, delle rose e delle ortensie autunnali tra i colori più belli della natura: l’arancio delle zucche ornamentali, i rossi, i gialli e i verdi dei peperoncini provenienti da tutto il mondo, le sfumature vivaci di echinacee, aster, dalie, aceri, amaranti e ninfee insieme alle tonalità ambrate delle graminacee nel pieno del loro splendore. L’autunno è la stagione per scegliere le piante adatte a colorare i giardini lungo l’inverno, oltre che per progettare, piantare e acquistare le piante, i bulbi e i semi che popoleranno i terrazzi delle case e nel programma sono presenti più di cinquanta appuntamenti, corsi e workshop molti dei quali tenuti proprio dai vivaisti a cui chiedere preziosi consigli. Il cuore della manifestazione abbraccerà Castel Sismondo e il Teatro Galli con la Piazza Giardino, dove saranno presenti i vivaisti con le collezioni botaniche, per poi arrivare al Giardino delle Meraviglie, da sempre lo spazio dedicato agli artigiani e al design, e alla Giardini Farm, il mercato a km 0 che troverà spazio nella Piazza dei Sogni fino ad arrivare alla Giardini Kids per i piccoli giardinieri di oggi e futuri giardinieri di domani, firmato in collaborazione con il Gruppo Hera. La bellezza prenderà vita nelle opere degli artisti ed artigiani, nei laboratori di decorazione e negli appuntamenti ideati dalle menti e dalle mani che da sempre contribuiscono a rendere unico questo appuntamento. Inoltre Giardini d’Autore in questa edizione autunnale si farà anche portavoce del fatto che Rimini è candidata a Capitale Italiana della Cultura 2026, come dimostrazione dell’importante crescita della città e del territorio della Romagna. Coordinata dal manager culturale Paolo Verri insieme alle direttrici artistiche Francesca Bertoglio e Cristina Carlini, la candidatura di Rimini racconta di un percorso di partecipazione, confronto, raccolta di idee e di spunti provenienti da molteplici mondi della città, dagli stakeholder agli operatori culturali, dai giovani artisti alle associazioni culturali e ai cittadini riminesi. Tra gli appuntamenti di questa edizione ci sarà l’incontro dedicato al ruolo delle donne nella green economy e il progetto Res in Terra che presenterà a Giardini d’Autore la performance Flores Simul frutto di un’importante collaborazione con l’Istituto Oncologico Romagnolo, insieme a Meri Monaldi, titolare della Maison du Reflet, per un evento dal vivo incentrato sulla creazione di eccentriche acconciature floreali realizzate su donne che hanno a che fare con il percorso oncologico tra  pazienti, operatrici sanitarie, infermiere, psicologhe, volontari impegnati nel supporto ai pazienti, tutti insieme per dimostrare che si può essere portatrici di arte e bellezza anche a contatto con la malattia. Read the full article
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Horowitz: "I gialli piacciono perché svelano la verità"
Si diverte a scombinare le carte, gioca con il ruolo dei personaggi il maestro del giallo inglese Anthony Horowitz che entra come co-protagonista nella nuova serie inaugurata da Detective in cerca d’autore. Con il libro, pubblicato da Nero Rizzoli nella traduzione di Francesca Campisi, è arrivato a Mantova nel terzo giorno del Festivaletteratura. “Ci sono detective vampiri, robot, sulla sedia a…
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tempi-dispari · 2 years ago
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Les Longs Adieux, suggestioni cyberpunk
New Wave, electropop, synth pop, dark, cantautorato d’autore, hard rock… prendete tutto questo, miscelatelo ed otterrete indicativamente i Les Longs Adieux e il loro Piccolo dizionario di parole fraintese. The Cult, Cure, Bauhaus, ma anche Battiato, Matia Bazar, e post punk. Un mix davvero eterogeneo e per questo assolutamente interessante. Il sound dei nostri è ascrivibile a grandi linee nella dark wave. Ma sono limiti troppo astringenti. L’omaggio agli anni ottanta è palese, tuttavia si tratta di un omaggio.
I Les Longs Adieux non cercano di riportare in auge sonorità che non avrebbero molto senso allo stato attuale. Ne mostrano l’evoluzione, non ipotetica quanto reale. Il miscelarsi con altre realtà è un passo indispensabile alla sopravvivenza artistica. E i nostri lo hanno ben capito. Rimangono coerenti con l’oscurità, i suoni elettronici, i synth portandoli in un contesto contemporaneo. E la miscela offre spunti davvero stimolanti. A tenere unito il disco ci pensa la voce femminile.
Nocchiera in un mare nero di pece, tra onde di sentimenti e pantano di rammarico. Tutto in italiano, anche se in certuni frangenti, alternato all’inglese. Battiato insegna. Scelta più che azzeccata e consona. Fare un track by track descrivendo l’andamento dei brani è difficile. Le suggestioni, i cambi all’interno dei brani sono talmente tanti che servirebbero pagine per poterli descrivere. Senza contare che si rovinerebbe il gusto dell’ascolto.
Non rimane quindi che analizzare le sensazioni, del tutto personali, che possono trasmettere. L’immagine che emerge ascoltando il disco in una stanza buia, è quella di una città futurista. Un mix tra Blade Runner, il primo, e il secondo Tron. Il tutto calato in una pentola di oscurità. Le luci al neon colorate non fanno altro che evidenziare il distacco con i vicoli bui. Qui, tra rifiuti e relitti umani, cammina la nostra protagonista. Capelli corti, gialli, irti. Impermeabile dal taglio classico su minigonna di pelle, una maglietta bianca. Un paio di bretelle nere. Anfibi alti e pesanti. Mani in tasca. Passo sicuro.
Sguardo dritto davanti a sé. Non è un personaggio disperato. È sicura. Orgogliosa. Nella sua testa le canzoni passano come racconti di attimi di vita. Ed ecco Calesse. Il ricordo di una relazione chiusa perché dimostratasi effimera. Il brano si apre con una batteria dai suoni secchi sulla quale poggia un arpeggio degno dei migliori Cure degli inizi. Le tastiere entrano come tappeto poco invadente ma presente. Il ritmo incalza. La nostra protagonista si sta avvicinando alla via principale. Luci forti le colpiscono gli occhi.
Si tuffa nel fiume di persone che anima il marciapiede. Negli occhi ancora le immagini dell’ultima discussione. Un sorriso sarcastico le segna la bocca. A farla muovere agilmente tra il marasma di esseri umani è il solo chi chitarra uscito direttamente da una band hard rock. Entra in un locale superaffollato. Una cassa dritta accompagna il suo ingresso. Luci basse. Neon. Folla che balla, parla, sghignazza, beve. Il synth disegna la melodia che la segue. Ancora sprazzi di vita vissuti. Emergono grazie alla chitarra, levatrice di pensieri scomodi. La melodia della voce dà forma ai suoi pensieri.
Cammina tra spintoni e spallate. Improvvisamente un volto. Sembra conosciuto. Basso e chitarra all’unisono segnano il contorno della figura. Il cantato diventa inglese. È l’immagine di un’altra vita. Torna in strada. Di nuovo folla. Una folata di profumo si poggia come sale su una ferita aperta. Una voce narrante, maschile, racconta la storia di una donna problematica, persa in se stessa. Allunga il passo nella speranza di lasciare indietro quelle immagini. La musica incalza. Tiene il tempo dell’andatura. Quasi corre. Ancora la voce narrante che racconta la morte della protagonista della canzone.
Da qui in poi il disco sembra cambiare intensità. Diventa più umorale, come una lama affilata che gioca sulla pelle. La corsa non si ferma. Il ritmo della musica si alza. Incalza, spinge ad un passo veloce. Alla ricerca di un riferimento. Un ricordo che possa far tornare la calma. La chitarra si lancia in un a solo lancinante. Note iterate, distorte. Quasi a cercare di spingere la lama a tagliare l’epidermide. La stanchezza si fa sentire. La nostra rallenta. Si poggia ad un palo per riprendere fiato. La morsa allo stomaco si è placata. Ha però lasciato uno strascico di rimpianti. I suoni diventano più leggeri. La cappa sembra essere meno fitta. Resta solo la chitarra a ricordare la corsa con note dissonanti.
Lentamente il respiro torna normale. Riprende il percorso. Decide di sedersi su una panchina poco distante. Nessuna protezione per gli occhi. La luce degli schermi acceca. Si sforza, adatta lo sguardo e osserva. Osserva la città che le scorre davanti. Gira lentamente lo sguardo e vede la sua vecchia scuola. Ricorda gli studi, la voglia di avere delle riposte, da ovunque potessero arrivare. Si vede giovane, piena di vita, senza sonno, senza stanchezza. Improvvisamente si vede riflessa nel finestrino di una macchina che le passa davanti. Lo specchio della memoria si rompe. Resta immobile sul solo di chitarra.
Con Goccia dopo goccia è la tristezza del ricordo ad avanzare. I ritmi rallentano. Il basso prendere il comando della melodia. La batteria è percussiva. La chitarra disegna fantasmi nell’aria. In quanto tali non sono immagini melodiche. La voce resta evocativa fino a diventare narrativa. Si riappropria del filo dei suoni pensieri, ma non riesce a fermare la malinconia. La sicurezza iniziale inizia a vacillare. Attorno non ci sono più semplici palazzi, vie o piazze. Ci sono ricordi, frangenti di vita, persone conosciute e poi perse. Amici scomparsi. Scelte sbagliate per alternative discutibili. Ora guarda in basso mentre cammina.
Si alza una brezza, lieve, costante. I synth sono i suoi pensieri che escono e fluttuano nell’aria facendosi vividi. Si sente stretta in una morsa. Assieme ai ricordi anche lei è tornata indietro nel tempo. Ha vent’anni o poco meno. Cerca e aspetta la vita. Risolleva lo sguardo. Si guarda attorno come stesse cercando di ritrovarsi. Lo fa guardandosi le mani. Ricordando cosa ha patito e superato. Lo sguardo si fa nuovamente dritto. Si ricompone. Richiude i cassetti della memoria. La nostalgia c’è e rimarrà, pensa. Non rimane che conviverci e andare vanti.
Concludendo. Un disco davvero molto suggestivo. Fatto di numerosissimi chiaro scuro, richiami, immagini. Non è un lavoro tecnico nel senso tradizionale. Lo è in quanto riesce a trasportare l’ascoltatore in un modo che, seppur conosciuto, risulta nuovo perché osservato da un altro punto di vista. Con altri occhi. Il rivivere certi passaggi della vita può affrancarci da essi. Questo pare dire il disco. Sta solo a noi se accettare la sfida o meno.
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levysoft · 4 years ago
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Dal ghost writing a Life in Hell: tutte le paure di Groening
Nasce nel 1954 a Portland, in Oregon, terzo di cinque figli. Fin dalla più tenera età, ha una passione per il disegno in cui però non si rivela poi così bravo, tanto da essere scoraggiato dai suoi stessi insegnanti. Complice forse il padre, anch’egli scrittore e disegnatore, e la sua stessa forza di volontà, il giovane Matt Groening non si arrende e porta avanti questa passione.
Tuttavia, sceglie un percorso di studi ben diverso da questo suo interesse: si laurea in Matematica e Fisica all’Evergreen State College di Olympia, a Washington, anche se più per dovere che per reale interesse. Una volta uscito dal sistema scolastico, fa i lavori più disparati, passando per un impianto di trattamento dei rifiuti fognari, un negozio di dischi e finendo per fare il ghost writer per un regista hollywoodiano.
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Forse non tutti sono a conoscenza del fatto che ben prima de I Simpson, Matt Groening disegnava un’altra piccola famiglia disfunzionale. Se all’inizio erano brevi strisce fotocopiate e distribuite in un angolo del negozio di dischi in cui lavorava, divenne ben presto popolare tra gli amanti della cultura underground. Fu proprio grazie a questa fama che riuscì a convincere il Los Angeles Reader a fargli pubblicare una striscia con cadenza settimanale, fino ad arrivare a essere pubblicata anche a livello mondiale.
Life in Hell, questo il titolo dell’opera, ha come protagonisti dei conigli antropomorfi e una strana coppia di gemelli amanti. In queste vignette, Matt Groening infonde tutta la preoccupazione, le ansie e il senso di inquietudine che lo attanagliavano negli anni ’70, quando ancora non riusciva ad avere un lavoro stabile. Il protagonista Binky è affiancato dalla sua ragazza, Sheba, e dal figlio illegittimo del primo, Bongo, con un solo orecchio. I tre dividono la scena con Akbar e Jeff, una coppia di amanti pressoché identici.
La nascita de I Simpson
Fu grazie alla popolarità sempre crescente di Life in Hell che Matt Groening venne contattato dal produttore James L. Brooks per ingaggiarlo per creare un adattamento televisivo sul canale Fox. Forse però, non tutti sanno che i Simpson nacquero proprio in quell’occasione, totalmente per caso e sul momento. Groening infatti stava aspettando di fare il suo ingresso nell’ufficio di Brooks per parlare di Life in Hell. Il creatore dei gialli però, fu colto dal dubbio che avrebbe dovuto cedere tutti i diritti d’autore delle strisce e decise quindi di proporre un’idea nuova e totalmente diversa dalla sua prima creazione.
Fece un veloce schizzo di questa famiglia disfunzionale dandogli i nomi dei propri famigliari. Come ammesso da lui stesso successivamente, non si sentiva poi così creativo in quel momento. Fatta eccezione per Bart, tutti i personaggi principali de I Simpson prendono il nome da persone realmente esistite. Abbiamo quindi Marge e Homer dagli stessi genitori di Matt Groening, Lisa e Maggie dalle sorelle minori dell’autore e Patty, la sorella maggiore. Lo stesso sergente Wincester, nella versione originale vanta il cognome da nubile della madre di Groening, Wiggum.
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Non volendo però inserire altri nomi di famigliari, decise di non utilizzare il suo nome o quello del fratello, optando quindi per Bart, che non è altro che un anagramma di brat, monello. Inoltre, uscì anche dalla stanza quando venne deciso il nome del nonno Simpson, ma per uno scherzo del destino, quello che venne scelto, Abrahm, era anche quello di suo nonno.
La perfetta famiglia disfunzionale venne così creata. Matt Groening li riempì di così tanti difetti, allontanandoli totalmente dalle perfette famiglie delle serie televisive di quel tempo. Questa particolarità però, non fece che aumentare l’interesse di James L. Brooks, che decise di affidargli la produzione dei cortometraggi da inserire nel suo programma.
Nonostante la famiglia dei Simpson fosse disegnata in un modo alquanto rozzo, dato che gli animatori avevano solo ricalcato i bozzetti di Groening, la serie di corti ebbe abbastanza successo da far pensare a Brooks di poterli sfruttare in modo diverso. Secondo una delle innumerevoli leggende che gravitano attorno a I Simpson, fu durante una festa di Natale che Brooks si convinse cavalcare il successo dei cortometraggi, trasformandoli in una vera e propria serie. La sua intenzione era risollevare l’animazione televisiva, persuadendo la Fox a mandare in prima serata i Simpson.
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Tuttavia, i responsabili di Fox non erano totalmente certi che una serie di questo tipo potesse reggere per mezz’ora, ma Brooks riuscì a convincerli a lasciargli la totale autonomia nello sviluppo della serie. Un accordo che ha fruttato al canale un grande successo, tanto da meritarsi un Emmy e il titolo di serie animata più longeva della televisione.
Gialle curiosità e ispirazioni
Una delle curiosità che più affascinano dei Simpson è senza dubbio quella inerente al colore della pelle degli abitanti di Springfield. Ci sono diverse dicerie a riguardo e una tra queste è che Matt Groening volesse un colore che spiccasse subito all’occhio dello spettatore e che, trovandolo inusuale, si sarebbe quindi fermato sul canale per capire se fosse un problema di sintonizzazione della propria televisione. L’ipotesi più accreditata però, è quella di renderli estremamente riconoscibili e d’impatto per chiunque facesse zapping tra i vari canali. Sapevate inoltre che tutti i personaggi hanno quattro dita, tranne Dio e Gesù?
Un’altra delle curiosità che riguardano la nascita dei Simpson e della loro caratterizzazione come li conosciamo noi oggi, riguarda una delle frasi anzi, dei versi più celebri di uno dei protagonisti: Homer. Lo stesso storico doppiatore del capofamiglia, Dan Castellaneta, racconta come sia nata l’esclamazione di frustrazione “D’oh!”. Dato che sul copione questo suono era definito solo come annoyed grunt (un verso infastidito), Castellaneta chiese spiegazioni a Groening, che però gli diede carta bianca su come realizzarlo.
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Il doppiatore quindi, decise di ispirarsi all’esclamazione tipica di uno dei personaggi ricorrenti dei film di Stanlio e Ollio che guardava da bambino. Lo scozzese Jimmy Finlayson, l’attore che lo interpretava, aveva dovuto sostituire l’esclamazione damn (dannazione) quando il proprio personaggio veniva infastidito, con un d’oooh prolungato, dato che all’epoca era impensabile pronunciare quella parola. A Groening l’idea piacque, ma per renderla ancora più efficace in termini televisivi, suggerì di accorciarla.
Come predire il futuro con I Simpson, gli anni ’90 e Futurama
Se c’è un alone di assurdità e mistero che permea la serie animata più longeva della televisione, è grazie a questa improbabile quanto accurata capacità di predire il futuro. Molte sono le “profezie” azzeccate da Matt Groening e dai suoi autori, e molti non riescono effettivamente come sia possibile.
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Il creatore dei gialli però, ha svelato che in realtà non c’è un vero e proprio sforzo per azzardare le ipotesi sul futuro. Come anche confermato dall’autore Al Jean, si tratta per lo più di un nutrito gruppo di persone intelligenti e molto attente a ciò che succede, che affidano alcuni avvenimenti della storia a quelli più improbabili ed imprevedibili che potrebbero mai accadere nella realtà, finendo così per azzeccarne qualcuna! Ma come specificato, non tutto è un salto nel vuoto: ad esempio, riguardo alla presidenza di Trump, basta ricordare che già nel 1999 ne parlava lui stesso della possibilità di correre come potus.
I Simpson però non sono l’unica serie animata di successo di Matt Groening. Infatti, verso la metà degli anni ’90, l’emittente Fox decise che era giunto il momento di creare un’altra serie animata, affidandosi ancora una volta all’autore. Assieme a David X. Cohen, il produttore decise di puntare questa volta su una serie futuristica, nonostante questo richiedesse delle competenze in campo fantascientifico per realizzarla.
Cominciò quindi la ricerca di informazioni, che consisteva prevalentemente nel passare una grande quantità di tempo tra libri, film e serie tv di fantascienza. Questa viene definita da Groening stesso come la peggiore esperienza della sua vita da adulto. E come successe per I Simpson, la Fox non ne fu subito entusiasta, trovando i temi trattati non adatti per la rete. Matt decise quindi di autoprodursi il primo episodio, Pilota spaziale 3000, che convinse il canale televisivo ad approvarla, seppur con qualche remora. Fu solo con la creazione dell’episodio Io, coinquilino e dopo alcune trattative, che Groening ottenne l’indipendenza anche per Futurama.
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L’avvento di Netflix e Disincanto
Se I Simpson e Futurama hanno conquistato il pubblico e la critica, non si può dire la stessa cosa di Disincanto, l’ultima delle opere di Matt Groening. La serie è la sua prima produzione ad apparire direttamente su un servizio streaming, Netflix. Il colosso americano, nel 2017 aveva chiesto a Groening di creare un nuovo serial, affidandosi totalmente al suo stile di animazione, per mandarlo poi in onda un anno più tardi. A differenza delle altre due produzioni, Disincanto ha un punto di vista prettamente femminile e più che a far ridere, cerca di far riflettere lo spettatore su importanti temi di vita quotidiana affrontati dalla protagonista Tiabeanie.
Ambientato in un medioevo fantasy, Disincanto è riuscito a far parlare di sé anche grazie a molti easter egg in riferimento a Futurama che Groening ha inserito. Forse però, queste piccole chicche nascoste si sono rivelate un po’ troppe, per essere considerate da tutti un mero omaggio all’altra opera. Pur non essendoci alcuna conferma da parte degli autori, alcuni fan infatti hanno ipotizzato che Futurama e Disincanto siano parte dello stesso universo. Gli avvenimenti della nuova serie potrebbero avere luogo sia prima delle avventure di Philip J. Fry e dei suoi amici, sia in un futuro ancora più lontano e subito dopo un’ipotetica distruzione mondiale che ha riportato al medioevo il globo.
L’epoca dei Rock-Bottom Remainders
Staccandoci dalle creazioni fumettistiche e disegnate di Matt Groening, vi lasciamo un’ultima chicca sul creatore de I Simpson e Futurama. Forse non tutti sanno che l’autore fa parte di un gruppo musicale rock composto da famosi autori di libri e scrittori di quotidiani in lingua inglese: i Rock-Bottom Remainders. La band vanta tra i suoi componenti nomi illustri come ad esempio Stephen King e Maya Angelou, e furono fondati da Kathi Kamen Goldmarkall’inizio degli anni ’90.
La Goldmark era una musicista che di giorno lavorava in un’editoria e l’idea le venne quando, accompagnando uno scrittore in giro, pensò di creare un gruppo musicale letterario. Il progetto andò in porto nel 1992, quando i Rock-Bottom Remainders suonarono alla convention dell’American Booksellers Association ad Anaheim, in California, e prendono il loro nome da quelle copie rimaste invendute che vengono cedute a prezzi ridotti.
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Dopo aver ripercorso i punti salienti della sua carriera, possiamo dire che Matt Groening è stato uno dei personaggi più influenti nell’animazione della televisione americana e mondiale, sdoganando così i cartoni irriverenti e politicamente scorretti, spianando un po’ la strada a creazioni come I Griffin e Bob’s Burgers.
Non ci resta quindi che augurargli un giallissimo buon compleanno!
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sayitaliano · 7 years ago
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In libreria ...e in biblioteca Vocab
libreria (negozio di libri) - bookstore
magazzino - store
presentazione di un libro - book launch
finire un libro - to finish a book
libraio - bookseller
compratore - buyer
comprare - to buy
vendere - to sell
cercare - to look (for)
leggere - to read
annusare - to smell
consigliati (da leggere) - to read (book the workers suggest you to read)
sedersi - to sit down
scaffale - shelf
bancone - counter
libro - book
un libro intonso - an unread book
frontespizio - frontispiece, title page
malloppo (colloquial) - bundle, huge heavy book
volume - book, volume
tiratura (numbers of copies) - circulation
copia - issue, copy, edition
tiratura limitata - limited edition
segnalibro - bookmark
rilegatura - binding
tascabile - pocket-sized, paperback
romanzo - novel
letteratura - literature
bestseller - bestseller
autore - author
romanzi d’autore / i classici - classic novels
saggistica - literary essays
genere - genre
non fiction - non-fiction literature
fiction - fiction literature
fantascienza (genere fantascientifico) - science fiction
fantasy - fantasy
storia (genere storico) - history
genere biografico (biografia) - biography
gialli / thriller - thriller
anime - anime
fumetto - comic book
romanzo a fumetti - graphic novel
poesia - poetry
musica - music
viaggi - travel
cucina - cuisine
animali e piante (giardinaggio) - animals & plants (gardening)
sport & motori - sports & motorsports
bambini - kids
scuola - school
filosofia e religione - philosophy and religion
architettura & design - architecture & design
fotografia - photography
stranieri - foreigner (original language)
passatempo, svago - pastime (games)
informatica - informatics
cancelleria - writing materials
vocabolari - vocabularies
Stavo cercando l’ultimo libro di Zafòn - I’m serching for the last Zafòn’s book
Posso ordinare un libro? - Can I order a book?
Vorrei sapere se il libro che ho ordinato è arrivato - I’d like to know if the book I ordered has arrived yet
Mi piacciono molto i gialli, che libro mi consiglia? - I like thrillers, which book do you suggest me to read?
Dove posso trovare i libri di fantascienza? | Nell’ultimo scaffale a sinistra, laggiù. - Where can I find science fiction books? | In the last shelf on the left, over there.
Devo finire di studiare questo malloppo - I have to finish studying this bundle
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biblioteca - library
topo di biblioteca - bookworm
bibliotecario - librarian
tessera della biblioteca - library card
studiare - to study
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talesofabookaddict · 7 years ago
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Crime fiction: Millennium
Titolo saga – Millennium Trilogy
Episodi – Uomini che odiano le donne; La ragazza che giocava con il fuoco; La regina dei castelli di carta.
Autore – Stieg Larsson
Lingua originale - Svedese
Stieg Larsson nasce come giornalista, per questo conserva nei suoi lavori il tipico stile degli autori di articoli o critiche: è preciso, ordinato, segue con facilità l’ordine cronologico e logico degli eventi, non si lascia sfuggire neanche un dettaglio. Personalmente, penso che sia proprio grazie alle sue abilità di critico letterario e giornalista che riesce ad affrontare tre storie così complesse senza rovinarne nessuna, senza dimenticare nulla e senza fare confusione. Non ho letto molti gialli così complessi, con trame tanto intrecciate e scritti con una tale capacità di dare a tutto un senso. I tre libri raccontano tre storie diverse, tre crimini diversi: Larsson riesce non solo a dare al tutto una grande coerenza, ma anche a fare si che il primo e l’ultimo libro, seppure siano presumibilmente stati scritti in un lasso di tempo abbastanza lungo, siano strettamente collegati nello stile, nello sviluppo dei personaggi e per quanto riguarda la storyline di fondo. Purtroppo, l’autore di questa splendida trilogia è morto nel 2004, prima che i libri venissero pubblicati. Per questa ragione, la serie che lui aveva immaginato essere composta da dieci libri non è mai stata portata a termine, anche se esistono diverse speculazioni su una possibile battaglia legale per i diritti d’autore che impedirebbe la pubblicazione del quarto e quinto episodio. Questi ultimi, sono di fatto reperibili in libreria, ma non sono gli originali, sono bensì stati fatti scrivere da un altro autore svedese, David Lagercrants. Tale scelta, è stata largamente criticata dalla compagna di Larsson in più di un’occasione. Io non ho mai sentito la necessità di leggerli e trovo anzi di cattivo gusto la scelta della casa editrice di continuare questa saga; inoltre avendo Lagercrants dichiarato di non amare parecchi dei personaggi originali, e che gli sarebbe piaciuto apportare delle modifiche all’idea iniziale di Larsson, temo che questi libri potrebbero rovinarmi il bel ricordo che ho della storia. Per queste ragioni, e per il fatto che i primi tre libri non necessitano di un finale diverso da quello che già trovano alla fine di “La regina dei castelli di carta”, io consiglio di fermarsi al terzo episodio.  
Come probabilmente è già chiaro a chiunque, ci sono molte cose che adoro di questa trilogia, la prima fra tutte sono sicuramente i personaggi. Nonostante, fin dalle prime pagine, sembri chiaro che il protagonista della storia sia Mikael Blomkvist, il giornalista (e scrittore) che a me fa pensare all’autore del libro, la protagonista è in realtà Lisbeth Salander, la ragazza a cui sono dedicati due dei tre titoli della saga (uno solo in lingua originale). Lisbeth è un personaggio complesso, a differenza di Mikael che, pur essendo un uomo di successo, estremamente affascinante, e che non fa nessuna fatica a portarsi a letto chi vuole, è in realtà parecchio banale e prevedibile. Lisbeth è un po’ il suo contrario, ha un passato estremamente difficile, che riemerge man a mano che si continua a leggere, ed è socialmente disturbata. È uno dei personaggi femminili più intelligenti che abbia avuto il piacere di incontrare nei libri che ho letto. È una hacker dalla memoria fotografica e che capisce la matematica meglio di quanto non capisca le persone, è mascolina, rompe stereotipi e risponde a tono a chiunque faccia un commento poco carino sul suo modo di essere. È apertamente bisessuale, cosa che per qualcuno che non ha interesse per il tema è probabilmente irrilevante, ma che a me ha lasciato piacevolmente sorpresa.  Ha un carattere vendicativo e forse all’apparenza quasi cattivo, ma si rivela alla fine una persona in grado di amare e voler bene a modo suo. Il concetto di “giustizia” di Lisbeth lo si scopre man a mano che si legge, e non coincide con quello di molti altri. Insieme, lei e Mikael collaborano alla soluzione di piccoli e grandi misteri, smascherando impostori, uomini cattivi, assassini e cercando di difendersi dalla crudeltà del mondo e degli esseri che incontrano sulla propria strada, rischiando di farsi male, soffrendo, e proteggendosi a vicenda. La loro è una storia d’amore che va oltre, tanto da sconfinare nella più bella delle storie di rispetto e amicizia, di voglia di salvare e proteggere l’altro da tutto il male, un amore tenero ma che non lascia spazio a parole dolci o gesti d’affetto.
Una cosa  che risulta molto chiara nel leggere Larsson, sono i temi che vuole portare avanti: fin dal primo libro (Uomini che odiano le donne - Män som hatar kvinnor) è evidente che gli argomenti che ci tiene affrontare in questa saga siano femminicidio, stupro, violenza sulle donne, e che scelga spesso Lisbeth come portavoce di messaggi importanti riguardo questi temi, ma senza lasciare che sia lei l’unica figura femminista del suo romanzo. Ad accompagnarla c’è soprattutto quella di Erika Berger, amante di Mikael e spesso in competizione con Lisbeth. Questa è un’altra donna libera e forte, un capo capace, che ottiene sempre più potere con l’avanzare della storia, conservando una dolcezza insolita e spesso nascosta, che non ci viene istintivo associare al genere femminile. Infine, nell’ultimo libro incontriamo donne in polizia, nei servizi segreti, che lavorano come guardie del corpo. Alle donne è quindi dedicata una posizione di grande potere in tutta la saga, da Lisbeth che scandisce il ritmo della storia, alle vittime delle macabre storie raccontate. La violenza sulle donne è infatti il motore vero e proprio della saga, il filo conduttore che ci porta da un libro all’altro passando per stupri, minacce, omicidi e prostituzione.
Per quanto riguarda i tre episodi separatamente, il primo volume è un po’ più “indipendente” dal resto rispetto al secondo (La ragazza che giocava con il fuoco - Flickan som lekte med elden) e il terzo (La regina dei castelli di carta -Luftslottet som sprängdes), che sono decisamente più legati tra loro. Le storie sono decine, i personaggi forse centinaia, le indagini si intrecciano e accavallano e prevedere come sarebbe andata a finire o cosa sarebbe successo nel libro successivo per me è stato impossibile. Ho riletto tutta la saga due volte, ed è una storia così complessa che alla seconda lettura ho scoperto dettagli e indizi che non avevo notato, nonostante sapessi già come sarebbe finita la storia. Leggendo parecchi libri di crime fiction, galli o thriller, solitamente non faccio troppa fatica a capire, o almeno intuire, chi è il colpevole; con Larsson, salvo qualche eccezione, non ne sono stata assolutamente in grado e pagina dopo pagina mi sono fatta prendere di sorpresa.
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pangeanews · 5 years ago
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L’epopea di “Pulp Libri”: quando il romanzo era rock. Francesco Consiglio dialoga con Fabio Zucchella e Umberto Rossi
La parola scritta tracima, inonda il web, ci fa affogare dentro fiumi di parole, migliaia di blog letterari, milioni di utenti social che scrivono, scrivono, scrivono. Tutti scrivono e l’editoria è in crisi. Sempre meno gente legge i giornali cartacei: gente anziana o di età matura. E quanto alle riviste letterarie, chi si ricorda di essersi recato in edicola a comprarne una? Credetemi, siamo in pochi, anche perché quel tipo di riviste non ha mai potuto godere di una distribuzione capillare. Ieri, all’edicola sotto casa, ho contato sedici riviste di gossip e due letterarie: L’indice dei Libri e La Lettura, la testata culturale del Corriere della Sera. Anche la rivista Poesia, fondata nel 1988 da Nicola Crocetti (80 anni questo mese), abbandona le edicole. Finita sotto il controllo della Feltrinelli, verrà distribuita nelle librerie.
Ciò significa che di letteratura si scrive poco? Nient’affatto. I migranti della scrittura hanno trovato i porti aperti del web e sono sbarcati a frotte: giornalisti licenziati o in cassa integrazione, critici senza lavoro, poeti senza lettori, aspiranti scrittori rifiutati perfino dalla Pizza&Fichi Editrice, ma anche tanti appassionati (mi ci metto anch’io, scrittore perennemente in cerca di uno ius soli letterario). Il web accoglie tutti, viva il web!
Oggi per Pangea ho intervistato Fabio Zucchella, caporedattore di una mitica rivista letteraria, Pulp Libri, e Umberto Rossi, uno degli articolisti più attivi e colti della redazione.
Pulp Libri apparve in edicola nell’aprile 1996, nata come inserto di Rumore, una delle più importanti riviste italiane di cultura musicale, e i suoi primi collaboratori provenivano dal mondo dei critici e degli appassionati del rock e della musica alternativa. Fin dalla grafica, Pulp Libri era un unicum, almeno in Italia, poiché richiamava alla mente riviste statunitensi di letteratura popolare che trattavano di fantascienza, racconti polizieschi, western, guerra e splatter. Tuttavia, non fu mai univocamente dedicata al genere pulp, ma, numero dopo numero, provò a indagare l’intero fenomeno della scrittura, dal classico al fumetto, dalle canzoni d’autore alle sceneggiature cinematografiche.
Marco Lanterna, ne Il caleidoscopio infelice. Note sulla letteratura di fine libro, ha scritto che Pulp Libri si connotava per “l’assolutezza critica (cioè l’assenza di calcolo o tornaconto), l’anarchia metodologica, il convincimento che si debba combattere per l’idea, anziché lasciar perdere secondo comode nenie fataliste, fosse solo per una questione di stile, di condotta, di etica”.
La versione cartacea ha cessato di esistere con il numero 104, nel luglio del 2013, dopo 17 anni di uscite bimestrali regolari. Oggi è pubblicata on line (www.pulplibri.it).
Pulp Fiction è un film del 1994 diretto da Quentin Tarantino. Pulp Libri nasce nel 1996. Suppongo che il titolo sia un omaggio al regista statunitense…
Zucchella: No, no. Quel nome non è stato un omaggio in particolare a Tarantino.
Ops, senti il glu glu dell’intervistatore? Colpito e affondato. Vorrei però capire se la rivista mirava a spingere scrittori legati a quel tipo di poetica comunque legata a Tarantino: storie sensazionali con venature grottesche, scrittura epidermica, un forte carattere di divertissement citazionistico.
Zucchella: Da lettore accanito dei Gialli Mondadori o di Urania, da parecchio tempo sapevo benissimo cosa fosse la vera pulp fiction, e il citazionismo postmoderno l’avevo già metabolizzato tramite Barthelme o Barth. Tuttavia, ci piaceva l’idea della “polpa della letteratura” da addentare e da gustare anche cruda, grezza (raw power…), quindi senza particolari mediazioni paludate. Da lettori (certo, un po’ specializzati) per lettori. Volevamo parlare degli autori che ci piacevano, all’epoca spesso dimenticati dall’editoria, degli eterodossi, dei cani sciolti, di quelli confinati nel ghetto delle riviste da edicola, perché pensavamo che in mezzo a quella cosiddetta spazzatura ci fossero cose molto interessanti. Per questo ci accusarono anche di snobismo.
Rossi: Spesso mi chiedevano per quale rivista scrivessi, e quando rispondevo Pulp Libri qualcuno storceva la bocca e rispondeva: “Ma a me non piace il Pulp!”, ovviamente pensando a Tarantino. In realtà la rivista parlava di tutto e il contrario di tutto. È vero che andavamo a trattare gli scrittori trascurati o ignorati o dimenticati sia dall’editoria che dalle pagine culturali dei grandi quotidiani, che già allora correvano appresso alle mode o erano impegnati in scambi di favori. Scrissi due articoli piuttosto sostanziosi su Steve Erickson e John Hawkes, che non sono mai stati autori di moda. E poi c’era sempre l’attenzione per le piccole, anche piccolissime case editrici, che per questo ci si erano affezionate. E poi in ogni numero c’era la rubrica di Renzo Paris che rileggeva i classici; non ci facevamo scappare neanche quelli…
Molti autori che scrivevano per Rumore, cominciarono a scrivere recensioni librarie con lo stile e l’approccio con il quale scrivevano quelle dei dischi. Il target di riferimento erano gli appassionati di rock che occasionalmente leggevano romanzi?
Zucchella: L’idea fu dell’editore di Rumore (e prima ancora di Rockerilla), Claudio Sorge, che mise in piedi una piccola redazione guidata da Claudio Galuzzi e coadiuvata inizialmente da me e da Marco Denti. Da tempo tutti, a vario titolo, scrivevamo di musica, avevamo un passato più o meno anche punk. Sapevamo che il lettore di Rumore sicuramente leggeva romanzi e guardava film: così provammo per un paio di numeri, se non ricordo male, con un inserto di libri e l’esperimento ebbe molto successo. Le cose partirono così. Dopo un paio di anni purtroppo Galuzzi venne improvvisamente a mancare, e il timone passò in mano al sottoscritto. In seguito la redazione comprese Claudia Bonadonna e Marco Philopat. L’approccio diciamo così ‘pop’ era complessivo, quindi riguardava anche il progetto grafico, realizzato da Giacomo Spazio. Poi naturalmente con il passare degli anni la rivista è cambiata (si è evoluta?), ma senza mai perdere di vista la sua natura essenzialmente “pratica”: un bimestrale da edicola che potesse fornire una guida ragionata e affidabile ai libri, a certi libri, cercando di presentare autori o filoni che ritenevo interessanti.
Rossi: Devo aggiungere che la rivista s’era fatta conoscere. S’era fatta un nome. Nel periodo in cui la versione a stampa non esisteva più e quella online ancora non era stata attivata mi capitava ogni tanto di incontrare persone, fisicamente o su Facebook, che dopo un po’, quando mi facevo sfuggire che facevo il critico letterario, mi chiedevano dubbiosi: ‘Ma non sarai mica quell’Umberto Rossi di Pulp?’. Mi resi conto allora che le nostre cose erano lette, e con attenzione. Pensa che ci sono diversi affezionati lettori che hanno la serie completa della rivista, e altri aficionados che, nel periodo in cui feci le funzioni di caporedattore, ci scrivevano per chiederci dove potevano trovare i numeri che gli mancavano. Quando con Gallo facemmo partire la pagina Facebook di Pulp che poi si sarebbe trasformata nella versione online attualmente in attività, non faticammo affatto a convincere gli uffici stampa a mandarci le copie per le recensioni. Erano tutti contentissimi che la rivista fosse tornata. E tutti la conoscevano. Tra gli addetti stampa Pulp Libri era una presenza familiare e tutto sommato rispettata. Specialmente negli uffici stampa della piccola editoria.
Una giovane redazione è un crocevia di speranze, illusioni, utopie e voglia di emergere. Ricordi qualche nome importante che ha scritto su Pulp e successivamente si è affermato come scrittore e come giornalista?
Zucchella: ‘Giovane’ non più di tanto, visto che quasi tutti avevamo superato abbondantemente la trentina. Per quel che riguarda speranze etc, non ti saprei dire: quasi nessuno di noi era un professionista; hanno collaborato soprattutto lettori, certo molto forti e un po’ ‘particolari’, che nella vita facevano altre cose: insegnanti, medici, fotografi, bibliotecari, traduttori, librai, pubblicitari, ricercatori universitari. Inevitabilmente non sono mancati personaggi (pochissimi, per fortuna) in cerca di visibilità e di appigli per costruirsi una carriera, ma sono stati più o meno cordialmente messi alla porta. Tra i collaboratori ci sono stati anche dei professionisti, con i quali c’erano (e ci sono) rapporti personali di stima: ad esempio Severino Cesari, Giuseppe Culicchia, Valerio Evangelisti, Paco Ignacio Taibo, Paul Virilio, Carlo Lucarelli, Niccolò Ammaniti, Tiziano Scarpa sono i primi che mi vengono in mente. Roberto Saviano, il Saviano pre-Gomorra, è stato un collaboratore molto presente e propositivo.
Rossi: Alla lista di mestieri elencati da Fabio andrebbero aggiunti anche un dirigente della sanità regionale e un tecnico di una ASL. Era un’umanità assai variegata quella che collaborava, anche se guardiamo solamente a chi scrisse per la rivista per anni, e non occasionalmente. Volendo riassumere, i collaboratori di Pulp si dividevano grosso modo in quattro gruppi: c’erano gli scrittori e i poeti; c’erano gli operatori dell’editoria (traduttori, editor, talent scout, etc.); c’erano quelli, come me e altri, di formazione accademica, con una laurea in lettere o lingue e letterature straniere in tasca; e c’erano i lettori forti se non fortissimi. E per me proprio la compresenza di queste tipologie così differenziate di recensori faceva della rivista qualcosa di unico.
Un vostro collaboratore mi ha detto: “Se anche massacravi un libro, ma argomentando la tua valutazione negativa, Zucchella non si faceva problemi a pubblicarla. Mai successo che un pezzo venisse respinto perché si osava criticare qualche nome illustre”. Eravate così fuori dal giro da non temere nessuno?
Zucchella: Sinceramente la questione di essere o meno nel giro – o di volerci entrare – non si è mai posta, almeno per il sottoscritto e per molti dei collaboratori. La stroncatura di per sé non mi interessava più di tanto, alla fin fine preferivo usare quello spazio per recensire un buon libro (o che comunque ritenevo tale). Ovviamente la rivista non era così ingenua né sprovveduta, certe storture del sistema erano un po’ sotto gli occhi di tutti, anche degli involontari addetti ai lavori come noi (ad esempio, credo che l’unica recensione negativa a un libro di Baricco la si poté leggere sul New York Times, a firma di Nick Tosches). Per qualche anno sulla rivista c’è stata una seguitissima rubrica intitolata “I ritratti dell’editoria italiana”. Daniele Brolli è sempre stato particolarmente lucido – o feroce, a seconda dei punti di vista – nel descrivere certi tic ‘culturali’, un certo mondo (o demi-monde) popolato di editori, agenti, autori, giornalisti, editor. Naturalmente i suoi “Ritratti” hanno causato problemi, sia a lui che a me. Ma era inevitabile.
Rossi: Di Brolli mi piace ricordare la sua serie di elzeviri sulla Pivano. Come ha detto Fabio, feroci. E secondo me, tutto sommato, giustamente. Comunque, se uno va a leggere un numero scelto a caso di Pulp Libri scoprirà che di stroncature non ne uscivano poi molte. Si cercava sempre di valorizzare il libro per quello che valeva; non si sparava il cannone per antipatie o per guerra di bande, come capita altrove. Diciamo anche che, dando spazio a chi veniva deliberatamente ignorato dalle pagine culturali e dalle rubriche mediatiche monopolizzate dalle grandi case editrici, di fatto operavamo, implicitamente, una critica all’andazzo del sistema. Questo non va trascurato.
Con il gran numero, sempre crescente, di book influencer, le miriadi di blog e un accesso sempre più facile ai palcoscenici del web, scrivere recensioni librarie è diventato un campo minato. Se stronchi un autore mezzo conosciuto, i suoi aficionados ti scatenano addosso una shit storm.
Zucchella: Da questo punto di vista seguo poco il web, e spesso vedo cose che eufemisticamente non mi piacciono granché. Di ciò di cui mi parli non so praticamente nulla – anche se mi pare il corrispettivo, ingigantito, di quello che accadeva vent’anni fa. Presumo sia l’inevitabile corollario dell’information overload connaturato alla rete, e della sua accessibilità.
Rossi: Quando facemmo ripartire Pulp Libri in forma digitale nell’estate del 2017 io mi misi d’impegno a contattare i vecchi collaboratori. M’ero segnato i nomi dei recensori su un quaderno, prendendoli da vecchi numeri della rivista, e li cercai caparbiamente con Google. Alcuni accettarono di tornare a scrivere e ancora scrivono per la rivista online; altri avevano mollato completamente libri ed editoria, per cui declinarono. Qualcuno, come Fabio Donalisio, lavorava per un’altra rivista. Alcuni mi dissero che ormai s’erano fatti il blog, che le case editrici i libri glieli mandavano comunque per le recensioni, e grazie per averli chiamati. Ecco, questo dei blog è stato il grande cambiamento, e non sempre da disprezzare. Ci sono blog validi, come ad esempio quello di Tommaso Pincio. Poi ci sono gli influencer: quelli che postano su Instagram la foto del libro con una composizione più o meno artistica intorno. E non siamo neanche sicuri che l’abbiano letto davvero. Tutte queste modalità nuove di fare critica (sempre che critica si possa chiamare, e non sia semplicemente pubblicità fai-da-te) hanno cambiato il quadro della situazione. Non è solo questione di essere attaccati dai tifosi del dato scrittore se lo valuti negativamente, o dai seguaci del blogger se contesti qualche sua esternazione; il problema è che ora c’è una grossa concorrenza derivante da questi nuovi canali di comunicazione, che in certi casi sono tenuti in gran considerazione dagli uffici stampa…
Tra tanti giovani, c’era Renzo Paris; che a tutti gli effetti potremmo definire il Grande Vecchio di Pulp. Come c’era finito?
Zucchella: Paris fu un contatto di Galuzzi, se non ricordo male. Obiettivo della sua rubrica (“Il tempo ritrovato”) era quello di togliere un po’ di polvere dai Sepolcri Imbiancati della Letteratura, di far rivivere l’attualità di certi classici.
Rossi: Fu Renzo a dirmi, un paio d’anni fa, che su Pulp Libri si recensivano i libri come fossero dischi. Diciamo che lui costituiva un contrappeso allo stile talvolta dadaista e talvolta rockettaro, di alcuni recensori. Come ha detto giustamente Fabio, lui rileggeva i classici. Ma non solo. All’inizio della collaborazione aveva destato interesse un libro che Renzo aveva scritto allora dove cercava di fare una panoramica della letteratura italiana del 2000, nel quale aveva trattato anche nomi e tendenze nuove. Insomma, Renzo teneva d’occhio anche i giovani leoni. E devo dire di aver letto ben pochi articoli su Houllebecq come quello che Renzo fece uscire su Pulp. La classe non è acqua.
Secondo te avrebbe senso oggi un ritorno di Pulp in versione cartacea?
Zucchella: Le condizioni sono drasticamente cambiate rispetto a 25 anni fa, com’è ovvio, sotto tutti i punti di vista. Cambiate molto in peggio, se possibile. Comunque penso di sì, avrebbe un senso.
Rossi: La vedo difficile. Stanno chiudendo le edicole. Parafrasando Bianciardi, la vita è agra per tutte le riviste. Per me la via giusta è quella della rivista online, magari gestita in modo più adeguato ai tempi. Pulp Libri sul web avrebbe ancora molto da dire e da fare, e per questo spero che continui a vivere. Ma per farlo deve giocare meglio la partita sui social, che piaccia o non piaccia sono uno spazio che va presidiato. Mi auguro che si comprenda questo.
Francesco Consiglio
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Delitti di lago 4, intervista con Ambretta Sampietro
Ambretta Sampietro ha curato la nuova edizione di Delitti di lago 4, antologia di gialli periodicamente edita da Morellini Editore. Nota a magine: i diritti d’autore deivanti dalla vendita del libro saranno devoluti alla Onlus La Gemma Rara, che si occupa di diagnostica e studio delle malattie genetiche rare. Come è forse inevitabile per un’antologia … Leggi tutto L'articolo... Per il contenuto completo visitate il sito https://ift.tt/1tIiUMZ
da Quotidiano Piemontese - Home Page https://ift.tt/2A7Cqx5 via Adriano Montanaro - Alessandria
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pier-carlo-universe · 5 days ago
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Delitti d’arte di Christian Monti – Il secondo caso dell’ispettore Baroni, tra crimine e capolavori nell’ombra. Recensione di Alessandria today
Informazioni bibliografiche:Autore: Christian MontiTitolo: Delitti d’arte: Il secondo caso dell’ispettore BaroniData di pubblicazione: 6 luglio 2024Editore: Gilgamesh EdizioniGenere: Giallo, Thriller investigativoSerie: I gialli Gilgamesh Edizioni (n. 38)Valutazione: ★★★★☆ (4,1 su 5 – 176 voti) Recensione: Nel cuore silenzioso di una Mantova notturna e inquietante, si consuma un delitto che…
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atomheartmagazine · 5 years ago
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Cahiers du Cinéma, si è dimessa l'intera redazione
Di seguito la traduzione del comunicato stampa trasmesso dalla redazione dei “Cahiers du Cinéma” che ha deciso di dimettersi dalla rivista dopo che un gruppo di azionisti composto da otto produttori ha acquistato la testata.
(Traduzione a cura di Valentina Cognini per NPC – Nuovo Progetto Cinema)
“La redazione ha deciso di lasciare i Cahiers du Cinéma. I giornalisti fanno appello alla clausola di cessione, clausola di coscienza che protegge i diritti dei giornalisti nel caso di cambiamento di proprietario.
Il nuovo gruppo di azionisti è composto da otto produttori. Ciò pone un serio problema di conflitto di interessi per una rivista di critica come la nostra. Infatti, qualsiasi articolo che tratterà dei film di questi produttori potrà essere sospettato di compiacenza.
La nuova carta di indipendenza presentata dagli azionari è stata già contraddetta dagli attacchi della stampa. Ci è stato comunicato che la rivista avrebbe dovuto “ricentrarsi sul cinema francese”.
La nomina di direttrice generale della delegata della SRF (Société des Réalisateurs de Films), Julie Lethipu, alimenta inoltre la paura dell’influenza e dell’infiltrazione dell’industria del cinema francese.  
Ci è stato detto che la rivista diventerà “conviviale” e “chic”, ma i Cahiers du Cinéma non sono mai stati né uno né l’altro, contrariamente a ciò che pensano i nostri azionisti. I Cahiers sono sempre stati una rivista di critica impegnata, che non ha esitato a prendere posizioni. Il nostro articolo più importante è “Une certaine tendance du cinéma français” (1954) scritto da Francois Truffaut che criticava aspramente la borghesia di una parte del cinema francese. Rendere i Cahiers una vetrina per la promozione del cinema d’autore francese significherebbe quindi snaturare il nostro lavoro.
Il nuovo gruppo di azionisti è composto da uomini d’affari, vicini a quelli di potere. I Cahiers du Cinéma però si sono schierati contro il processo mediatico dei gilet gialli, contro le riforme dell’università (un esempio: il caso Parcoursup) e della cultura (Passculture). Abbiamo rimesso in questione la legittimità del nostro ministro della cultura, che si è congratulata pubblicamente per la vendita dei Cahiers du Cinéma. E anche questi investitori hanno chiari interessi economici che ci pongono dei seri interrogativi.
Quindi, in un momento in cui l’intera industria della stampa è stata letteralmente venduta ai grandi investitori della telecomunicazione e in cui i dirigenti di Meetic, Free e BFM “giocano” a fare i “business angels”, noi rifiutiamo tale concentrazione di testate una volta considerate libere nelle mani degli stessi”
– La Redazione dei Cahiers du Cinéma
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enricocassi · 7 years ago
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Vezza d’Alba presenta la 37a edizione della sua fiera, dedicata alle eccellenze gastronomiche e al folklore del territorio roerino.
Ritorna la sagra autunnale con un programma ricco di incontri culturali, spettacoli, mostre, divertimento e degustazioni
Quest’anno, le novità saranno la caccia al tesoro e la ricerca simulata del tartufo nella Tartufaia didattica di Valtesio.
La cena d’autore
Presentazione di piatti della gastronomia roerina con abbinamento di tartufo e vini.
Il vino… dai vignaioli…….. il tartufo…. dai trifolao
Menù
Aperitivo con salciccia di Bra, nocciole arrostite al rosmarino e spuma di salame cotto
Antipasti
Vitellone battuto al coltello, crema di peperoni gialli e rossi
Cotechino in crosta di patate ai porri, fonduta
Primo
Risotto mantecato alla toma di Bra tenero
Secondo
Faraona disossata farcita alla salciccia, cipollotti glassati all’amaro d’erbe
Dolci
Panna cotta al miele d’acacia
Piccola composta di pere al vino rosso e cannella.
http://ift.tt/eA8V8J
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redazionecultura · 8 years ago
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sede: Galleria 33 (Arezzo); cura: Tiziana Tommei.
Un progetto inedito quello proposto, in cui le componenti proprie della fotografia dell’autore, quali equilibrio, misura e sintesi, trovano piena forma nella pura astrazione. Un’indagine lenticolare, che registra dettagli, texture e struttura di superfici, oggetti e materiali.
Essenzialità, rigore, minimalismo, geometria e astrazione. I progetti fotografici realizzati da Luca Cacioli negli anni, sebbene ben distinti tra loro, sono accomunati dalla medesima matrice di ricerca: la forma. Quest’ultima non intesa quale mezzo, ossia con valore strumentale rispetto all’espressione, ma come espressione essa stessa. Dal primo lavoro, “Confini”, passando per “Surrealismo”, “Notturni Urbani” e “Details”, fino a giungere a “La nuvola” e ad “[A – stràt –to]” quello che emerge è un percorso ordinato, che muove in sottrazione. Questo, non tanto in termini quantitativi, quanto di restituzione di elementi che, seppur realistici, si staccano dalla realtà intesa come trasposizione diretta di un oggetto di natura. Il fotografo, infatti, non solo è attratto in misura crescente da elementi architettonico-urbanistici e industriali, ma li osserva e li viviseziona, lasciando emergere il lato meno realistico e figurativo, e quindi, più propriamente, astratto. In “[A – stràt – to]” non è più tanto interessato a comporre un’immagine ben costruita (Surrealismo) o a tagliare spazi e strutture, valorizzandone le geometrie (Notturni urbani) e neanche a focalizzarsi su dettagli specifici (Details), quanto a mettere in luce ogni dettaglio di superficie, rendendo protagonista la texture. Il colore, la materia e le linee, insieme alle componenti fisiche che costituiscono quest’ultima, fino ad ogni millimetrico elemento, vengono fissati in luogo dell’oggetto fotografato. Questo progetto è imperniato sull’osservazione e registrazione chimico-chirurgica dell’oggetto scelto, che perde in virtù dello scatto stesso lo status si soggetto. Procedendo a ritroso fino a “Confini”, non si può non soffermarsi su talune associazioni: l’elemento antropico ed artificiale, che al tempo si frapponeva tra l’uomo e il paesaggio, oggi viene eletto ad assoluto protagonista della scena, fino ad essere indagato nella sua consistenza e area di sviluppo. Singolare è la libertà di lettura e, di conseguenza, d’immaginazione, che il fotografo lascia al riguardante attraverso questa serie: le coordinate di orientamento, al pari dell’immagine evocata, sono ad appannaggio dell’osservatore. Forme piene, che colmano lo sguardo, attraverso la negazione dell’inessenziale, come della diretta e immediata riconoscibilità della figura ripresa. Hanno un perimetro fisico su carta, ma non hanno confini in sé: si estendono oltre la cornice, si espandono. Il movimento è per questo doppio: in profondità nella materia, multidirezionale sulla superficie. Il processo che determinano non attiene a qualsivoglia interrogativi sull’entità dell’oggetto, ma induce piuttosto ad un atteggiamento di contemplazione prolungata.
Luca Cacioli è nato ad Arezzo nel 1991. Studia Architettura all’Università di Firenze e in seguito decide di dedicarsi alla sua passione, la fotografia. Si iscrive alla LABA – Libera Accademia di Belle Arti e avvia la collaborazione con uno studio fotografico. Si confronta con professionisti del settore, studia e frequenta corsi; partecipa a premi e festival. Il suo esordio espositivo avviene nell’ambito di “Fotoconfronti Off 2014”, mostra fotografica a cura del CIFA – Centro Italiano della Fotografia d’Autore a Bibbiena, Arezzo. L’anno dopo ha luogo la mostra fotografica personale “Confini” presso Photoclub La Chimera ad Arezzo. A seguire è in mostra con Galleria 33 ad Arezzo, attraverso l’open call “White Cube 33” e nell’omonimo group show. Successivamente è a Pietrasanta, dove viene presentato tra gli artisti trattati da Galleria 33. L’opera “Frammenti” del ciclo “Surrealismo” viene pubblicata sulla copertina del magazine di design “D’A” (anno XXVI n. 4/15 – Ott/Dic 2015). Nello stesso anno viene selezionato con la serie “Confine” nel progetto “TU-35” ed espone presso il Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci a Prato. Subito dopo è in mostra al Museo Piaggio a Pontedera nella collettiva “Creactivity”. Partecipa inoltre a “Piccole fotografie da collezione”, mostra itinerante a cura di Serena del Soldato organizzata da LABottega. Nel 2016 è coinvolto da Galleria 33 nell’asta di beneficenza “La strada di Mattoni gialli” per “GoldForKids”, progetto di Fondazione Umberto Veronesi. Torna a esporre il progetto “Confine” ad Arezzo presso We52100 e a Firenze alla Tethis Gallery. Presenta una prima selezione della serie “Details” ad Arezzo in occasione dell’apertura dello Studio di Architettura Zurli; con lo stesso progetto partecipa a “Fotoconfronti Off 2016” a Bibbiena, a cura di CIFA e, successivamente, presenta una seconda selezione in una personale a cura di Tiziana Tommei presso Vineria al 10 ad Arezzo. A Luglio partecipa alla mostra “Terracomunica” a Gubbio. Ad ottobre è tra i 50 artisti selezionati per “Artes – Xmq of pit, ready for the mosh!” ed espone ad ArtVerona Art Project Fair. Nello stesso mese prende parte alla collettiva “Mostra Multiforme” allestita a Palazzo Bastogi, Firenze. Alla fine del 2016 espone il progetto “Notturni Urbani” ad “Arezzo e fotografia” – biennale internazionale di fotografia e nella collettiva “Facci Caso” ad Arezzo. A gennaio 2017 con “Oltre i tuoi occhi” è in mostra al Circolo artistico. A marzo espone “Surrealismo” in “L’oggetto e l’immagine” a cura di Angela Sanna presso Filarete Art Studio a Empoli. Vive e lavora ad Arezzo.
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Luca Cacioli. A-stràt-to sede: Galleria 33 (Arezzo); cura: Tiziana Tommei. Un progetto inedito quello proposto, in cui le componenti proprie della fotografia dell'autore, quali equilibrio, misura e sintesi, trovano piena forma nella pura astrazione.
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pier-carlo-universe · 28 days ago
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Marco Lugli entra in Indomitus Publishing: una nuova casa per il commissario Gelsomino
Marco Lugli entra in Indomitus Publishing: una nuova casa per il commissario Gelsomino
Marco Lugli entra in Indomitus Publishing: una nuova casa per il commissario Gelsomino Marco Lugli, autore noto nel panorama del thriller e del giallo italiano, entra ufficialmente a far parte della squadra di Indomitus Publishing. Dopo il successo ottenuto nel self-publishing, la collaborazione con Indomitus rappresenta un nuovo capitolo per l’autore e per la sua saga. La casa editrice…
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