#filosofia per non filosofi
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pier-carlo-universe · 25 days ago
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Al caffè degli esistenzialisti di Sarah Bakewell: Un viaggio tra filosofia, libertà e Parigi. Recensione di Alessandria today
Esplorare il mondo dell’esistenzialismo in compagnia di Sartre, de Beauvoir, Camus e altri grandi pensatori
Esplorare il mondo dell’esistenzialismo in compagnia di Sartre, de Beauvoir, Camus e altri grandi pensatori Recensione Al caffè degli esistenzialisti. Libertà, Essere e Cocktail di Sarah Bakewell è un’opera che invita il lettore a esplorare il mondo dell’esistenzialismo, una delle correnti filosofiche più influenti del XX secolo, attraverso una prospettiva intima e coinvolgente. Bakewell, con…
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rivoluzionaria · 2 years ago
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Jorge Luis Borges sosteneva che gli antichi greci furono i primi a pensare, ci hanno dato la poesia, la scienza, la filosofia razionale, che tutta la cultura a noi pervenuta nel corso dei secoli derivi dai greci.
I filosofi greci distinguevano l’amore in 12 tipologie diverse a seconda delle diverse emozioni umane e sfumature del sentimento:
Agape (αγάπη)
Agape è l’amore incondizionato, anche non ricambiato. Va al di là delle forze umane, è un amore puro e senza alcuna aspettativa. Viene utilizzato nei vangeli e nella religione.
Eros (έρως)
Eros è la tipologia di amore più conosciuta. Dio greco della fertilità, il suo tipo di amore rappresenta quello passionale, il desiderio carnale. Veniva definito in termini di irrazionalità, perché il desiderio ardente avrebbe potuto portare alla follia.
Philia (φιλία)
Philia indica un tipo di amicizia profonda. Amicizia come vincolo di fiducia e lealtà, come fondamenta di un rapporto solido e suggellato dalla bellezza della condivisione. Amare ed essere amati.
Storge (στοργή)
Storge è l’amore nei confronti della famiglia o dei parenti, tipico dei consanguinei, deriva da “stergo” che significa amare teneramente.
Philautia (φιλαυτία)
Philautia è l’amore per sé stessi, l’amor proprio, fonte di perfezionamento e benevolenza è definito come forma di egoismo positivo.
Mania (μανία)
Mania associato all’amore è il desiderio incondizionato di amare e possedere, l’amore tossico che vive (apparentemente) solo attraverso il possesso di ciò che brama, il partner come oggetto del desiderio. Distruttivo.
Charis (χάρις)
Charis è forse la tipologia d’amore più ambita tanto quanto appagante: idilliaco. Entrambi i partner si amano allo stesso modo, sia fisicamente che spiritualmente.
Himeros (ἵμερος)
Himeros è l’amore che arde di desiderio fisico, impulsivo, irrefrenabile, l’amore folle. Desiderio carnale, non ascolta ragioni e va appagato nell’immediato.
Anteros (αντέρως)
Anteros, fratello di Eros (si narra fossero inseparabili) è l’amore corrisposto con il rispettivo coniuge/compagno e indica la stabilità sentimentale.
Pragma (πρᾶγμα)
Pragma è associato all’amore maturo di lunga data, ma anche al compromesso e alla pazienza. Fare uno sforzo per dare amore piuttosto che solo per riceverlo.
Pothos (Πόθος)
Pothos è la personificazione del rimpianto e del senso di nostalgia che si prova quando una persona amata è lontana. È anche identificato con l’amore adolescenziale, l’infatuazione, il desiderio prima dell’incontro.
Thelema (θέλημα)
Thelema è l’amore nei confronti di ciò che si fa, il proprio lavoro, il piacere di fare qualcosa, il desiderio voler fare e non è rivolto quindi ad una persona.
— manuela g.
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arreton · 7 months ago
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Ma sul serio, quale sadomasochistico desiderio ci spinge ancora a voler essere membri attivi di questa società? E con membri attivi intendo cazzi tesi che si agitano a voler essere per forza qualcosa, a far parte di qualcosa, a rientrare in una qualche categoria. Essere un membro della società è faticoso. Prima lo ammettiamo, prima ce ne rendiamo conto e prima ci liberiamo dalla necessità di dover essere un cazzo teso perché no, non siamo all'altezza: il cazzo non si tende manco per sbaglio. Abbiamo voglia poi di prendere antidepressivi e affidarci a psicoterapie a volte anche abbastanza dubbie. Non siamo all'altezza degli standard che ci siamo prefissati: siamo dei cazzetti mosci tristi e piagnucoloni. Basta, amen. Ma tornando alla fatica e soprattutto tornando alla società: francamente viene l'ansia solo a guardarla. Se sei una donna devi essere fragile ma con le palle, emancipata a forza che mi chiedo dove inizia l'emancipazione e finisce la sottomissione perché a me pare solo che cambia il padrone ma sempre a novanta stiamo messe; se sei un maschio devi essere maschio, femmina, etero, bi, con i muscoli ma che ti piacciono i gattini, spolverare e cucinare, però devi essere pure stronzo, uno stronzo dal cuore d'oro che ti fai curare perché io sono la tua crocerossina però ehi non ti ci abituare! Sbracciati e curami pure tu, diventa dottore. E in tutto questo non ho parlato delle dinamiche che si attivano nei social: fai delle foto e devi essere un content creator; pubblichi cibo e devi essere un food influencer; pubblichi foto di tette e devi farti onlyfans; ti trucchi e devi essere una di quelle che sponsorizza ecc ecc ecc. E questo solo nei rapporti tra comune gente mortale, tra cazzetti mosci insomma! Nel mondo del lavoro le cose forse vanno pure peggio: lauree, master, dottorati, attestati, diplomi di vario tipo alternando cucina, scrittura di codici, filosofia. Ok, il mondo è bello perché vario ma sembra solo un accumulo di escrementi cacati dal capitalismo il cui obiettivo è solo rendersi sempre più impossibile. Ma come tutti i belli e dannati, più è impossibile più ci piace perché ci piace soffrire, e poi ci lamentiamo perché siamo dei depressi malati ansia. Qual è la soluzione a tutto questo? E che ne so. Lascio ai filosofi contemporanei l'arduo compito di trovarci una via d'uscita. Per quel che mi riguarda ho le energie talmente contate che non ho voglia né tempo di entrare in questo circolo vizioso. Se l'uomo è stato pensato fino ad ora come un essere sociale, che ha bisogno della società bene, ha talmente esasperato questo bisogno che adesso la società è diventata solo un sinonimo di sofferenza.
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questouomono · 8 months ago
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Questo uomo no, #137 - Quello che parla dei libri che non ha letto per dimostrare di non sapere le cose di cui parla
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Mi scuso in anticipo per la parentesi molto personale, ma certe cose fanno davvero troppo ridere e credo sia giusto farne esempio utile a più persone possibile.
Di per sé il tipo di maschilista di cui parlo non sarebbe un soggetto nuovo, rappresenta l'ennesima versione di ignorante che merita un posto nella Armata delle Tenebre. Però in questo caso mi ha molto colpito che l'ignoranza venisse proprio da una categoria alla quale appartengo: quella di chi lavora in filosofia. In più (ignoranza al quadrato?) parlando di un libro che affronta argomenti di filosofia: il mio ultimo.
Il soggetto in questione - non importa il nome come non importa il titolo del mio libro, tanto è una scenetta che puntualmente si ripete a ogni libro che tratti di problemi di genere commentato da chi lavora con la filosofia - si produce su un social in un primo commento che già da solo, secondo la nota "Lewis' Law", giustifica l'esistenza del libro stesso:
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Ovviamente non mi sento colpevole affatto, visto che descrivo semplicemente chi sono secondo concetti assolutamente non colpevolizzanti - se li si conosce e li si sa usare. Non vorrei citarmi addosso di nuovo, ma qui si legge evidentemente una coda di paglia enorme, resa rogo fiammeggiante dalla maschia immagine di un Platone intento a prendermi a pugni. Almeno forse mi riterrebbe degno dei suoi colpi; uno che scrive usando i concetti in questo modo probabilmente a Platone farebbe tanto schifo da non volerlo toccare manco per menarlo.
Ma il meglio deve ancora venire: sollecitato da un suo "amico" sui social, il nostro lascia la prova che il libro di cui parla non l'ha letto, o se l'ha letto ha capito cose che non erano nel libro ma già nella sua testa:
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Basta anche solo leggere la quarta di copertina o le bandelle del mio libro per rendersi conto che lamento proprio (tra le altre cose) il fatto che i filosofi hanno sempre messo molto poco, nel loro lavoro, del loro corpo sessuato. In più, Butler praticamente non la cito manco per sbaglio; essendo una post-strutturalista, forse "costruttivista" come viene detto ma certo non fenomenologa come lo sono io, non "uso" in nessun modo il suo pensiero.
Poi vabbè, tutta la pomposa storiella su ideologia e religione rientra nella solita retorica ignorante "antigender" che come vedete è stata ben assimilata senza un briciolo di ricerca o di critica anche da chi ha una cattedra universitaria in filosofia (sì, il soggetto autore delle parole sopra riportate rientra in questa nobile categoria).
Ah, per chi se lo chiedesse: sì, il commento in cui si invoca la pistola (di altro "amico" suo di social) sarebbe da querela, ma già non ho tempo da perdere con gli ignoranti, figuriamoci con i loro amici.
Il problema non è essere d'accordo o no con quello che scrivo eh, figuriamoci. Intravedo un problema più grande nell'essere un cattedratico di filosofia e professare maschilismo ignorante senza neanche rendersene conto. Che è esattamente uno degli argomenti del mio ultimo libro.
Non posso che ringraziare pubblicamente l'autore di questa involontaria ma utile dimostrazione di quanto sostengo. Aggiungo che no, questo uomo no.
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ilsalvagocce · 1 year ago
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Stamattina ho incontrato per caso il mio prof di filosofia del liceo. 
Si ricordava - Ballarini, Francesca!, dall'altra parte del piazzale mi evoca, con le sue bustine di dolcetti in mano - della nostra classe "estrosa" (dixit), la tesina su Chagall, su Raffaella Carrà, su 2001 Odissea nello spazio, col videoregistratore che entrava nell'aula dell'esame. Ridevo, che avessimo piazzato una bandiera eccentrica senza volerlo, il primo anno delle tesine ispirate per la maturità. 
Soffrivamo i suoi compiti in classe, eppure lui, adorabile, ce li riproponeva a crocette da 100 domande, così imparavamo, sì, ma a memoria. Erano inferno, non uscivamo di casa per studiare, solo filosofia tralasciando il resto, materia feroce da assemblea di classe, ridotto a esercizio matematico e nient'afflato, come potevi spiegarglielo?, lui convinto, continuava a credere nelle mille crocette. 
Che strana commistione tutt'ora, quest'uomo scapecciato, tenero, interessato e preparato sui suoi ex alunni, ci enumera senza passi falsi, vorrei abbracciarlo e assieme spiattellare che Lo sa? non ricordo un fico di Kant. 
Mi chiede cosa faccio anzi lo sa bene, ci cerca in internet, le vedo le cose che fai, e ora e ora su cosa lavori? mi mostra i pacchetti, meringhe e spaccasassi per i parenti di Milano, passa di palo in frasca, il pensiero corre come un tomo di filosofi vocianti, mi parla dei prèsidi passati, del liceo ora, degli extra corsi a scuola — tu facevi teatro vero? Ah, le crocette sisi, le faccio ancora, vi preparano per il futuro.
E poi mi ricordo di tua mamma, dice —  guarda un po' lontano, ma ci fa sempre, son io che guardo lontano, mentre lui guarda lontano, 
La ricordo bene, si faceva sentire, era una presenza vivida, fa cenno da solo di sì con la testa, approva, critica, autocritica chi lo sa 
(di sicuro ricorda le noie, penso io, il dibattito, il fuoco appassionato di mamma, quanto poteva aver portato la nostra ragione in classe)
La ricordo bene
(così la capacità di dire, di cercare il giusto, difficile spiegarne la teoria, tutta pratica, un po' di maieutica, più rivoluzionaria) 
Guarda lontano — è lì la sua pratica, il ricordo di lei nel mondo, qualsiasi
Scuote i capelli — e in me intanto risale il fuoco del se sa, se non lo sa, 
Beh quando ti capita me la saluti?
mamma rappresentante dei genitori, dalle elementari al liceo, croce e delizia, ispirazione e desperazione, figurati per quegli anni di crocette
Mamma non c'è più, dall'anno scorso, sorrido mentre lo dico perché provo a non farmi rompere la voce 
che invece si spacca come un fico maturo, 
sbrodola, ma mi riprendo, ci metto una fetta di pane:
Ma sono felice che se la ricordi così!
Certo, lui guarda in basso, guarda su, preme le labbra per me, sorride
fulgida filosofia senza crocette.
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t-annhauser · 1 year ago
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ἡ μὲν ὅπως ἔστιν τε καὶ ὡς οὐκ ἔστι μὴ εἶναι
Ho trovato un modo di parlare di filosofia che mi soddisfa, quindi, nonostante gli scarsi risultati di pubblico, continuerò nel mio racconto quasi più per tenermi compagnia che per insegnare qualcosa agli altri. Disegno molto in questo periodo, è la mia nuova passione, ma la filosofia mi fa sempre da sottofondo, perché è questo il bello: se non ci si aspetta da lei la salvezza, ma solo la compagnia dei filosofi, allora tutto diventa più leggero e non ci sente traditi dalla verità. Ovviamente siamo eterni, non ci salverà la filosofia, siamo già salvi da sempre (non ci credi perché sei uno sporco relativista? Tanto meglio, se sei uno sporco relativista allora relativizzati pure tu e non rompere le palle).
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gregor-samsung · 2 years ago
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“ «Vi era una donna allora in Alessandria — narra la Storia ecclesiastica del contemporaneo Socrate [Scolastico], avvocato alla corte costantinopolitana — il cui nome era Ipazia. Costei era figlia di Teone, filosofo in Alessandria, ed era giunta a un tale culmine di sapienza da superare di gran lunga tutti i filosofi della sua cerchia, ricevere in eredità (diadochè) l'insegnamento della scuola platonica derivante da Plotino, esporre a un libero uditorio tutte le discipline filosofiche [...]. Da ogni parte accorrevano a lei quanti volevano filosofare.» Ipazia «aveva raggiunto un tale vertice d'efficacia nell'insegnamento, ed era così giusta e saggia e così straordinariamente bella e attraente» che gli allievi s'invaghivano di lei, si legge in Suida, il lessico bizantino del X secolo, nel lungo articolo intitolato Ipazia, o della faziosità degli Alessandrini. Le notizie di Suida derivano da due narrazioni, oggi perdute, del tempo di Giustiniano: quella, vera o presunta, di Esichio di Mileto e la Vita di Isidoro, ultimo sacerdote del tempio di Serapide, composta dall'ultimo scolarca dell'Accademia di Atene, il neoplatonico Damascio; di questa ci restano assai scarni frammenti. È presumibile sia la prima a dichiarare che Ipazia, «essendo per natura più dotata del padre, non si fermò agli insegnamenti tecnico-matematici praticati da lui ma si diede alla filosofia vera e propria, e con valore: pur essendo donna ella indossava il tribon [il mantello dei predicatori cinici] e andava per le vie del centro della città a spiegare pubblicamente a chiunque volesse ascoltarla Platone, Aristotele o qualcun altro dei filosofi.» “
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Brano tratto da Ipazia, l’intellettuale, saggio di Silvia Ronchey raccolto in:
AA. VV., Roma al femminile, a cura di Augusto Fraschetti, Laterza (collana Storia e Società), 1994¹; pp. 214-15.
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blackrosesnymph · 9 months ago
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Abbiamo dato alle necessità di equilibri accademici la priorità sul progresso della filosofia come scienza, iniziato a tollerare di chiamare filosofi sempre i professori per il fatto di avere una cattedra, mai gli studenti per il fatto di essere geniali. Se sei un genio diventi professore e se sei un professore automaticamente sei un genio. Dove sarebbe oggi la scienza se il controllo fra pari nella comunità scientifica funzionasse così?
Un insieme di persone che non tollerano che la genialità possa esserci dove loro non la vedono, dove loro non la controllano.
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crazy-so-na-sega · 1 year ago
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Filosofi che hanno cambiato opinione
Solo dopo la morte di Platone, il suo padre spirituale, Aristotele lascia l'Accademia di Atene e si trasferisce in Asia Minore. E solo lì (con la sicurezza conferita dalla distanza?) ha il coraggio di rinnegare per la prima volta la teoria del suo grande maestro, la teoria in seno alla quale è cresciuto dall'età di diciassette anni per i vent'anni successivi. Platone ha completamente sbagliato, sostiene Aristotele. Non ha senso parlare di "idee" astratte che non abbiamo la capacità di vedere o percepire. Ogni nostro tentativo di discutere ciò che è oltre la nostra esperienza è destinato a fallire. Di conseguenza la filosofia deve limitarsi all'indagine di ciò che è alla portata dei nostri sensi, già di per sé argomento che suscita grande meraviglia. "Addio dunque idee platoniche, perché non avete più significato di una canzoncina, la la la" scrive Aristotele. E' una frase talmente rozza e decisa, che subito sorge la domanda:
Quand'è accaduto questo stravolgimento totale delle sue idee? Che il dubbio sia germogliato in lui già durante gli studi all'accademia, e lui abbia taciuto per non offendere l'onore del suo padre spirituale, o forse è stata la morte di Platone, la liberazione dalla sua ombra pesante, a permettere la svolta del pensiero? Ci sono state delle fasi intermedie sulla strada per la grande eresia, o una mattina Aristotele si è svegliato a casa sua, nella città portuale di Asso, ha guardato le concrete barche dei pescatori, le tangibili reti per i pesci, e all'improvviso ha capito tutto? E un'altra domanda, per la quale, naturalmente, non abbiamo né mai avremo una risposta univoca: cosa sarebbe accaduto se Platone fosse vissuto molto, molto più a lungo? Aristotele si sarebbe alzato una sera, di fronte a tutti gli allievi, per affrontare il suo padre spirituale faccia a faccia?
Eshkol Nevo
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valentina-lauricella · 10 months ago
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"[…] il pensiero leopardiano si costruisce faticosamente, di giorno in giorno, di rimando in rimando; e vive in quei grovigli, in un andirivieni tendenzialmente interminabile e comunque interminato. Non abbiamo innanzi a noi un oggetto soddisfatto di sé, preciso e chiuso su se stesso come un sonetto; ma un maestoso caos: vivo, inquieto, che cerca di estendersi sino ai confini dell’universo per riportarne una mappa accurata, munita di commento e note: perché l’esplorazione operata da Leopardi è esplorazione di filologo; la sua acribia è acribia di filologo. Con un filo di ironia potremmo apparentare anche il suo scetticismo e relativismo alla cautela con la quale il filologo contempla i risultati del proprio lavoro: consapevole che per quanto accuratamente abbia condotto l’indagine non pu�� aver tenuto conto di tutte le variabili; sicché il lavoro rimane sempre aperto, provvisorio: un eterno preludio pronto ad agganciare una divagazione, ad accogliere una smentita o una contraddizione. Probabilmente è proprio questa insolente apertura a sconcertare e irritare i filosofi. E tutti noi, in fondo, che avremmo bisogno di rigirare fra le mani un oggetto chiaro e ben tornito e invece siamo costretti ad addentarci in un territorio pieno di insidie e praticamente inesplorabile."
Ma l'intelletto umano è capace di contenere al tempo stesso opinioni e dogmi dirittamente fra se contrarii, e di contenerli conoscendone la scambievole, inconciliabile contrarietà. (Zibaldone, 3151)
In questo secolo, stante la filosofia, e stante la liaison che hanno acquistata tutte le cognizioni tra loro, ogni menomo soggetto facilissimamente diviene vastissimo. Tanto più è necessario, volendo pur fare un libro, che uno sappia limitarsi, che attenda diligentemente a circoscrivere il proprio argomento, sì nell'idea de' lettori, e sì massimamente nella propria intenzione; e che si faccia un dovere di non trapassare i termini stabilitisi. (Zibaldone, 4484)
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lunamarish · 2 years ago
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Sisifo, il re di Efira, era famoso nella mitologia greca per la sua ingegnosità; era infatti così intelligente da ingannare la morte due volte, facendo arrabbiare gli dèi. Questi si vendicarono condannando Sisifo a un tormento eterno negli inferi: doveva far rotolare un enorme masso fino alla cima di una collina. Quando arrivava in cima, il masso rotolava di nuovo verso il basso e lui doveva ricominciare tutto da capo, all’infinito.
Al giorno d’oggi, qualsiasi compito che combini tedio, lotta, stress e inutilità può essere definito un “supplizio di Sisifo”. Pensate ai cosiddetti duct-taper, cioè quelli che lavorano per un servizio clienti e che hanno il compito di trattare con persone arrabbiate tutto il giorno, mentre intanto le condizioni che creano questa aggressività dei clienti non cambiano mai.  [...] Si potrebbe anche affermare che tutta la vita è un supplizio di Sisifo: mangiamo per avere di nuovo fame e facciamo la doccia per sporcarci di nuovo, giorno dopo giorno, fino alla fine.  
Assurdo, non è vero? Albert Camus, filosofo e padre di un’intera scuola di pensiero chiamata assurdismo, la pensava così. Nel suo libro del 1942, Il mito di Sisifo, Camus individua in Sisifo l’icona dell’assurdo, notando che “il suo disprezzo per gli dèi, il suo odio per la morte e la sua passione per la vita gli valsero quella pena indicibile in cui tutto l’essere è proteso verso il non realizzare nulla”. Se questo non vi fa venire voglia di accendervi una sigaretta senza filtro, non so cosa possa farlo. 
Sarebbe facile concludere che una visione assurdista della vita escluda la felicità e porti chiunque abbia un po’ di buon senso a disperare per la propria esistenza. Eppure, nel suo libro, Camus conclude che “bisogna immaginare Sisifo felice”. Può sembrare impossibile, ma in realtà questa svolta inaspettata nella filosofia della vita e della felicità di Camus può aiutarvi a cambiare prospettiva e a vedere le vostre lotte quotidiane in modo nuovo e più equanime.  
La sofferenza infinita e l’infelicità sono intese come temi dominanti della vita nelle filosofie d’oriente e d’occidente. La prima nobile verità del buddismo è che la vita è sofferenza. Allo stesso modo, il filosofo cristiano del diciassettesimo secolo, Blaise Pascal, scrisse della nostra “costante infelicità” e dei futili sforzi per combatterla: “Gli esseri umani cercano il riposo lottando contro le difficoltà; e quando le hanno vinte, il riposo diventa insopportabile”. In entrambe le tradizioni, la felicità non è che una breve interruzione del triste ritmo della vita.
[...continua]
Articolo completo qui Come trovare la gioia in una vita degna di Sisifo di Arthur C. Brooks, 19/03/2023                                                                                   
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annalisalanci · 1 year ago
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La filosofia dell'esoterismo
La filosofia dell'esoterismo
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La filosofia dell'esoterismo
La psicologia esoterica, condivide gran parte del terreno della filosofia. Essa è un diverso progetto di verità che ritrova la sua peculiarità all'interno delle filosofie che hanno animato l'esoterismo, ma anche soprattutto vuole ricostruire un rapporto oltre che con il passato della filosofia, in cui il <<discorso>> sulla psiche era appunto di pertinenza filosofica e non scientifica, anche con il presente della filosofia. 
Tra le filosofie contemporanee in cui la psicologia esoterica può trovare il suo innesto, abbiamo quella particolare forma di esistenzialismo formulata da Heidegger e dai filosofi che hanno portato avanti il suo pensiero. Fu lo stesso Heidegger ad offrire un nuovo terreno di sviluppo alla metafisica e un senso nuovo alla filosofia come discorso sull'essere e sull'esistere relativo in particolare alla posizione dell'uomo rispetto all'uno e all'altro ambito. 
L'uomo come <<esserci>>, presenza nel mondo, diventa, infatti, la cosa unica, dove questa distinzione è annullata per realizzare il mistero umano in cui l'essere non può essere distinto dal suo <<ci>>. Nei vangeli della rivoluzione scientifica abbiamo inseguito il paradosso si un soggetto puro separato dal suo mondo che poteva diventare un oggetto di studio, un soggetto sopra e un mondo sotto. 
L'uomo esiste perchè partecipe dell'essere, ma esiste anche in quanto presente nel mondo e non possiamo immaginarci altrimenti. Essere e mondo diventano quindi nell'uomo cosa unica, l'esserci (il dasein). 
E' sotto questa luce che la psicologia esoterica trova il suo riferimento filosofico, poiché ogni scienza si propone di conoscere l'ente e niente altro, essa non si chiede che cosa sia questo niente altro, il niente. L'esperienza del niente non è però un'esperienza <<comprensibile>>, ma piuttosto emotiva dell'uomo percorso dall'angoscia: essa è un'emozione, un'esperienza psichica e per certi versi un'esperienza mistica di enso contrario quando si fa pura, quando cioè l'angoscia come esperienza del nulla si fa così profonda da non consentire all'ente di apparire e di significare, l'abisso contro l'assoluto, non coglibile razionalmente, ma solo attraverso il sentimento: l'anima ha però la capacità di illuminare l'ente, essa ha in sé la luce che rende possibile la rivelazione dell'ente dal niente in quanto ente per l'essere esistenziale dell'uomo. Il niente quindi è la condizione per cui l'ente si svela ad un essere aperto alle cose. Per vedere le cose occorre che siano illuminate, l'apertura dell'uomo alle cose è questa luce. 
La verità, in greco a-l'éteia (non-nascondimento), è manifestazione , svelatezza, tutta la Cabala è un'interpretazione simbolica di questo svelarsi del non manifesto (ain soph aur). Appare appunto lampante che se c'è un non-nascondimento esiste anche un <<nascondimento>> (léte) che sta dietro alla manifestazione. 
Alla verità come manifestazione si contrappone la non verità del nascondimento, cioè l'immanifesto, e la non verità come errore. 
Se la verità è non-nascondimento, il nascondimento appare essenziale alla verità, proprio come l'immanifesto alla manifestazione, nell'albero cabalistico. Esso è in realtà quell'orizzonte cui volgono lo sguardo il misticismo, la Cabala e la stessa magia che si riferiscono a questa fonte sotterranea, che come nascondimento precede ogni svelamento, il mistero che precede il disvelarsi del manifesto. 
Una psicologia esoterica che voglia dirsi tale deve riportare l'attenzione dell'anima sul mistero, senza tuttavia distoglierla completamente dall'ente manifesto, ma trovando invece un equilibrio ideale, come abbiamo visto per esempio parlando dell'ecospiritualità. Per fare questo l'anima come presenza nel mondo, ha bisogno innanzitutto di comprendersi e di conoscersi, prima di andare ad esplorare i rapporti con il circostante, e quindi necessita di un modello della psiche che sarà naturalmente esotericamente orientato. 
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mariaceciliacamozzi · 2 years ago
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Jorge Luis Borges sosteneva che gli antichi greci furono i primi a pensare, ci hanno dato la poesia, la scienza, la filosofia razionale, che tutta la cultura a noi pervenuta nel corso dei secoli derivi dai greci.
I filosofi greci distinguevano l’amore in 12 tipologie diverse a seconda delle diverse emozioni umane e sfumature del sentimento:
Agape (αγάπη) - Agape è l’amore incondizionato, anche non ricambiato. Va al di là delle forze umane, è un amore puro e senza alcuna aspettativa. Viene utilizzato nei vangeli e nella religione.
Eros (έρως) - Eros è la tipologia di amore più conosciuta. Dio greco della fertilità, il suo tipo di amore rappresenta quello passionale, il desiderio carnale. Veniva definito in termini di irrazionalità, perché il desiderio ardente avrebbe potuto portare alla follia.
Philia (φιλία) - Philia indica un tipo di amicizia profonda. Amicizia come vincolo di fiducia e lealtà, come fondamenta di un rapporto solido e suggellato dalla bellezza della condivisione. Amare ed essere amati.
Storge (στοργή) - Storge è l’amore nei confronti della famiglia o dei parenti, tipico dei consanguinei, deriva da “stergo” che significa amare teneramente.
Philautia (φιλαυτία) - Philautia è l’amore per sé stessi, l’amor proprio, fonte di perfezionamento e benevolenza è definito come forma di egoismo positivo.
Mania (μανία) - Mania associato all’amore è il desiderio incondizionato di amare e possedere, l’amore tossico che vive (apparentemente) solo attraverso il possesso di ciò che brama, il partner come oggetto del desiderio. Distruttivo.
Charis (χάρις) - Charis è forse la tipologia d’amore più ambita tanto quanto appagante: idilliaco. Entrambi i partner si amano allo stesso modo, sia fisicamente che spiritualmente.
Himeros (ἵμερος) - Himeros è l’amore che arde di desiderio fisico, impulsivo, irrefrenabile, l’amore folle. Desiderio carnale, non ascolta ragioni e va appagato nell’immediato.
Anteros (αντέρως) - Anteros, fratello di Eros (si narra fossero inseparabili) è l’amore corrisposto con il rispettivo coniuge/compagno e indica la stabilità sentimentale.
Pragma (πρᾶγμα) - Pragma è associato all’amore maturo di lunga data, ma anche al compromesso e alla pazienza. Fare uno sforzo per dare amore piuttosto che solo per riceverlo.
Pothos (Πόθος) - Pothos è la personificazione del rimpianto e del senso di nostalgia che si prova quando una persona amata è lontana. È anche identificato con l’amore adolescenziale, l’infatuazione, il desiderio prima dell’incontro.
Thelema (θέλημα) - Thelema è l’amore nei confronti di ciò che si fa, il proprio lavoro, il piacere di fare qualcosa, il desiderio voler fare e non è rivolto quindi ad una persona.
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sisif-o · 2 years ago
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stavo uscendo per andare a lavoro e avevo deciso di portarmi il mito di sisifo per dargli una terza rilettura, con l'obiettivo di focalizzarmi su tutti i riferimenti ad altri filosofi che ho sempre saltato non conoscendone il pensiero
l'idea era quella di prendere il manuale di filosofia del liceo e utilizzarlo per colmare le lacune, ma a quanto pare l'ho perso oppure non l'ho proprio mai comprato
quindi ho perso 10 minuti buoni alla ricerca del manuale, per poi finire sui vecchi quadernoni degli appunti del liceo
sfogliarli è stato angosciante, un misto di disillusione dal sapor di ferro
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daimonclub · 2 years ago
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Il mistero della bellezza
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La pietà di Michelangelo Il mistero della bellezza, un articolo che cerca di indagare il fenomeno della bellezza attraverso alcuni brevi testi e diverse riflessioni di vari autori. Fair is foul, and foul is fair: Hover through the fog and filthy air. William Shakespeare È vero, è vero senza errore, è certo è verissimo: ciò che è in alto è come ciò che è in basso, e ciò che è in basso è come ciò che è in alto, per fare il miracolo della cosa unica. Ermete Trismegisto Beauty is truth, truth beauty, that is all Ye know on earth, and all ye need to know to be a perfect stupid. Carl William Brown Se tutte le nostre donne dovessero diventare belle come la Venere dei Medici, per un certo periodo noi ne saremmo incantati; ma presto cominceremmo a desiderare qualcosa di diverso e, ottenuto questo, vorremmo vedere accentuarsi certe caratteristiche che modifichino i criteri vigenti. Charles Darwin Chiedete a un rospo cos’è la bellezza, il bello assoluto, il kalòn. Vi risponderà che è la sua femmina, con i suoi due grossi occhi rotondi sporgenti dalla piccola testa, la gola larga e piatta, il ventre giallo, il dorso bruno. Interrogate un negro della Guinea: il bello è per lui una pelle nera, oleosa, gli occhi infossati, il naso schiacciato. Interrogate il diavolo: vi dirà che la bellezza è un paio di corna, quattro artigli e una coda. Consultate infine i filosofi: vi risponderanno con argomenti senza capo né coda; han bisogno di qualcosa conforme all’archetipo del bello in sé, al kalòn. Assistevo un giorno a una tragedia, seduto accanto a un filosofo. "Quant’è bella!", diceva. "Cosa ci trovate di bello?" domandai. "Il fatto," rispose, "che l’autore ha raggiunto il suo scopo." L’indomani egli prese una medicina che gli fece bene. "Essa ha raggiunto il suo scopo," gli dissi, "ecco una bella medicina!" Capì che non si può dire che una medicina è bella e che per attribuire a qualcosa il carattere della bellezza bisogna che susciti in noi ammirazione e piacere. Convenne che quella tragedia gli aveva ispirato questi due sentimenti e che in ciò stava il kalòn, il bello. Facemmo un viaggio in Inghilterra: vi si rappresentava la stessa tragedia, perfettamente tradotta, ma qua faceva sbadigliare gli spettatori. "Oh, oh," disse, "il kalòn non è lo stesso per gli inglesi e per i francesi." Concluse, dopo molte riflessioni, che il bello è assai relativo, così come quel che è decente in Giappone è indecente a Roma e quel che è di moda a Parigi non lo è a Pechino; e così si risparmiò la pena di comporre un lungo trattato sul bello. Voltaire, Dizionario Filosofico
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Volto di donna La bellezza non è una qualità delle cose stesse: essa esiste soltanto nella mente che le contempla, e ogni mente percepisce una diversa bellezza. È persino possibile che una persona percepisca una bruttezza là dove un'altra prova un senso di bellezza: ogni individuo dovrebbe accontentarsi del suo sentimento personale, senza pretendere di regolare quello degli altri. La ricerca della bellezza reale o della bruttezza reale è altrettanto feconda quanto la pretesa di determinare ciò che è realmente dolce o ciò che è realmente amaro. Secondo la disposizione degli organi lo stesso oggetto può essere tanto dolce che amaro; e la sentenza ha giustamente stabilito che è inutile disputare sui gusti. È naturalissimo, e persino necessario, l'estendere questo assioma al gusto dello spirito, oltre che al gusto corporeo. Così il senso comune, il quale così spesso è in disaccordo con la filosofia, e specialmente con la filosofia scettica, si è ritrovato, una volta tanto, in accordo con essa nel pronunciare la stessa sentenza. David Hume, Della regola del gusto. Quando dico che la bellezza sconvolge, lo dico letteralmente, cioè mi riferisco anche ad aspetti psicopatologici. Conoscerete senz’altro la sindrome di Stendhal, che consiste nel fatto che alcune persone, di fronte a opere d’arte, sono a tal punto sconvolte da avere attacchi di panico, cioè da essere in una condizione di non padronanza di sé. La bellezza quindi non è una cosa tranquilla, la bellezza è qualcosa che ti sorprende. Ma come definire la bellezza? Tommaso d’Aquino dice in latino «pulchrum est quod visum placet», cioè "bello è ciò che quando lo guardi ti piace": tutto qua. Kant, invece, scrive che la bellezza è qualcosa che è senza concetto e senza scopo: vale a dire che, secondo Kant, la bellezza non può essere soggetta ad alcuna forma di teorizzazione – si coglie solo "intuitivamente" – e che essa è (anche questo è molto importante) “senza scopo” – perché la bellezza si inserisce nella categoria della inutilità. Thomas Mann per parlare di bellezza utilizza il verbo tedesco durchstechen, la bellezza "trafigge": qui si riconosce qualcosa di affine all’amore, infatti anche l’amore "trafigge". Bellezza e amore sono accomunati dall’avere la caratteristica di colpire.
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Bellezza della natura L’uomo si trova in una condizione di dipendenza dalla bellezza, in cui tu non sei soggetto ma sei colui che patisce. E anche l’amore, al pari della bellezza, si inserisce nella dimensione della inutilità. Perché quando ogni scopo funziona come anello per raggiungere un altro scopo forma una "cattiva infinità, ossia l’infinità negativa, non essendo che la negazione del finito il quale però torna a nascere di nuovo e quindi non è superato". E allora ci vuole qualcosa di inutile per dare un senso alla nostra vita – e cosa c’è di inutile nella nostra vita, che non ha bisogno di rimandare ad altro, che è significativo e pieno di senso? Io conosco solo l’amore e la bellezza, che sono due dimensioni inutili, ma proprio perché inutili sfuggono alla catena dell’utilità, entro cui ogni cosa rimanda ad altro per il suo significato. Umberto Galimberti, il Mistero della Bellezza Sintetizzando, secondo il filosofo Nicola Abbagnano si possono distinguere cinque concetti fondamentali del Bello, e precisamente: 1) il Bello come manifestazione del bene; 2) il Bello come manifestazione del vero; 3) il Bello come simmetria; 4) il Bello come perfezione sensibile; 5) il Bello come perfezione espressiva. La prima concezione è propria di Platone e poi di Plotino dove assume carattere teologico e mistico; la seconda è sviluppata nell'età romantica, per esempio in Hegel per il quale bellezza e verità sono la stessa cosa. Il concetto del Bello come simmetria è presente in Aristotele, che lo tramanda anche alla filosofia medioevale e al Rinascimento; la quarta concezione invece è quella con cui nasce e si afferma l'Estetica, per esempio in Baumgarten (Aesthetica, 1750), e l'ultima accezione rappresenta un completamento di questa in quanto si considera il Bello come espressione riuscita e quindi arte. Il bello richiama talvolta anche il concetto di bene. Se in generale Bene indica tutto ciò che ha valore, pregio e dignità, in filosofia tale concetto si presenta secondo due prospettive, una metafisico-oggettivistica, il Bene è la realtà perfetta e suprema, e una soggettivistica, secondo cui il Bene è ciò che si desidera e piace. La prima teoria è tipica del mondo antico e medioevale (Platone, Aristotele, Plotino e Tommaso), che parlano del Bene come fonte della verità, del bello, del conoscibile, Bene come Dio, etc.; la seconda del pensiero moderno e contemporaneo che definisce il bene solo in relazione al soggetto che lo vuole, e ciò sia in senso relativistico, sia come in Kant che parla del bene voluto da una volontà buona, cioè guidata da una legge universale. Alcune filosofie contemporanee infatti preferiscono parlare del valore anzichè del Bello, considerando il valore come una realtà assoluta ed ultima, e si inscrivono nella stessa concezione tradizionale del bene. Carl William Brown
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Bellezza del corpo Leggendo un libretto del filosofo Maurizio Ferraris sulla bellezza, scopriamo ancora varie cose interessanti. A Boston esiste, dal 1993, it MOBA (Museum of Bad Arts), un museo di "brutte arti" che organizza mostre, conferenze, sviluppando un'idea semplice ma efficace: prendi un po' di croste e le chiami con it loro nome. L'operazione non riesce sino in fondo, alcune opere non sono poi cosi male, e nel complesso si ha l'impressione che la percentuale di arte brutta non sia significativamente superiore a quella presente in molti musei di belle arti, antiche e moderne. Ma quello che importa e che il MOBA ironizza su un dogma verso cui il senso comune contemporaneo in materia d'arte tocca il massimo consenso. Cioe sulla tesi secondo cui la bellezza non e piu l'obiettivo fondamentale di quelle che una volta si chiamavano "belle arti", per distinguerle dalle arti utili. È un fenomeno che viene da lontano, e risale almeno al Romanticismo, caratterizzato da Hegel (al quale i romantici non piacevano affatto) come un predominio del contenuto sulla forma, come una disarmonia prestabilita e fortemente voluta. E non a caso nel 1853 un hegeliano, Rosenkranz, scrisse Estetica del brutto, cogliendo lo spirito dell'epoca (senza dimenticare poi che, in una tradizione che dai greci porta a Hume e a Voltaire, e viene contraddetta solo da teorie fortemente normative come il classicismo di Winckelmann, appare chiaro che la bellezza, in quanto qualità antropologica, reca in sé sempre un tratto ineliminabile di storicità e di relatività). Ovvio, per qualche decennio, tra Otto e Novecento, ci fu ancora qualche visitatore impreparato che di fronte a croste o a capolavori gridava "Brutto! Brutto!", ma oggi la verità è radicalmente diversa, e di fronte a quelle stesse croste o a capolavori si mormora "Bello! Bello!", non perché li si consideri belli, ma per far capire - in una maniera un po' contorta - che non si è di quelli che ritengono che un'opera d'arte debba essere bella. All'origine di tutto questo, sul piano dei costumi di massa, è ovviamente Duchamp: prendi un orinatoio, o uno scolabottiglie (curioso strumento, d'altra parte) o una ruota di bicicletta, lo esponi in un ambiente adatto (galleria, museo), gli dai un titolo e lo firmi, e lì realizzi la meravigliosa transustanziazione concettuale per cui un oggetto comune diventa un'opera d'arte. Da questo punto di vista, schivare la bellezza è centrale per evitare che qualche incompetente possa pensare che il miracolo dipenda dall'azione di proprietà estetiche, e non dall'invenzione concettuale. Già, le "proprietà estetiche", ossia, sempre nel parlar comune, le proprietà legate alla bellezza, nelle espressioni "chirurgia estetica", "istituto di estetica", "migliorare l'estetica" di un boiler (o magari di un orinatoio adibito a usi ordinari).
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Articolo sul bello e la bellezza Che fine fanno le proprietà estetiche, nel momento in cui l'arte sembra essere tutta concettuale, e infischiarsene della bellezza? E, questione subordinata e minore, che fine fa l'estetica, intesa come dottrina filosofica che si occupa del bello e dell'arte, nella convinzione, ormai non più garantita, che i due termini abbiano molto in comune? Il bello, se così possiamo dire, è però che l'estetica non è affatto morta, anzi, è in condizioni di salute molto migliori rispetto a qualche anno fa. Da una parte, trova nuovi campi di applicazione (per esempio l'universo dei consumi di massa e del web) e nuovi strumenti di indagine (come / nelle ricerche della neuroestetica). Dall'altra, ritrova significati che con il tempo si erano persi, per esempio l'idea che l'estetica non si occupi solo di arte ma anche di percezione (aísthesis, da cui il nome "estetica"). Come è possibile? Probabilmente, la diagnosi secondo cui la bellezza non conta sottovaluta due circostanze. La prima è che i discorsi sulla sparizione della bellezza vengono regolarmente costruiti su un tipo di arte, quella visiva, che è estremamente anomala. Perché proprio l'arte visiva ha subito più direttamente l'impatto della riproducibilità tecnica dell'arte, che ha sollevato gli artisti da obblighi rappresentativi che favorivano la maestria tecnica, anche se non necessariamente la bellezza. Poi, in modo crescente, c'è stata la producibilità tecnica delle opere, ossia il fatto che tra creare un'applicazione per un telefonino e produrre un'opera non c'è alcuna differenza di fondo. Il risultato è che la manualità non conta più niente in arti in cui, in precedenza, costituiva un elemento decisivo. E chiaro che qui abbiamo a che fare con un radicale cambio di registro, che viceversa non si è prodotto in altre arti, in cui la manualità non aveva sin dall'inizio alcuna importanza (per esempio, nella letteratura) o che sin dal loro sorgere sono state caratterizzate da una fortissima componente di riproducibilità e producibilità tecnica, come il cinema e le sue evoluzioni digitali. Questa trasformazione, però, non ha affatto comportato la scomparsa dell'estetica nel suo senso tradizionale di filosofia dell'arte, sia perché si tratta di spiegare la grandissima dose di concettualità delle arti visive, sia perché si tratta di fare i conti con gli sviluppi dell'opera d'arte nell'epoca della sua diffusione di massa e della sua producibilità tecnica. Ma accanto a questo c'è un secondo elemento forse anche più interessante, e cioè il fatto che non è per niente vero che la bellezza sia scomparsa. Se dal MOBA passiamo alla moda, nessuno si sentirebbe imbarazzato a dire che un abito è brutto, o bello, e d'altra parte non ci vuol molto per vedere quanto i giudizi estetici abbiano a che fare con una delle caratteristiche fondamentali dell'essere umano, il piacere e il dispiacere che viene provocato in noi dal semplice presentarsi sensibile di cose o di persone. Questo lo aveva visto bene Kant, e il ritorno a una estetica come aísthesis, come teoria della sensibilità, ha il merito di ricordarcelo.
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Sant'Agostino e il diavolo La bellezza ha lasciato alcune opere, ed è migrata altrove, trasferendosi, per così dire all'ambiente naturale (il paesaggio e la sua tutela) e culturale, incominciando dagli immediati dintorni dell'arte, come i musei, per venire ai vini, ai cibi, alla cura del corpo. E l'estetizzazione del mondo di cui tanto si è parlato ai tempi del postmoderno, ma è anche qualcosa di più, e cioè la consapevolezza del fatto che la sensibilità ci mette in contatto con una sfera reale e inemendabile (se il vino sa di tappo, sa di tappo, e non c'è sortilegio concettuale che tenga), insegnandoci che il mondo non è semplicemente come ce lo dipingiamo, o ce lo dipingono. Senza dimenticare poi che la bellezza può decidere della felicità delle persone come tutta una letteratura sull'amore e i sentimenti, che abbiamo cercato di antologizzare, dimostra con larghezza. Il nocciolo di questo aspetto lo ha colto bene Stendhal: "la bellezza è una promessa di felicità". Questa frase sposta il dibattito dalle sfere somme, e dai paragoni fuori luogo, al nocciolo della faccenda, dicendoci che la bellezza non è una entità magniloquente, bensì una proprietà terziaria (cioè espressiva) connessa a oggetti, opere, eventi e soprattutto persone: c'è qualcosa nel mondo che si stacca dalla nebulosa delle cose circostanti perché esprime qualcosa, e in particolare una promessa, quella di renderci felici. La promessa potrà non essere mantenuta per intero (ed è ciò che accade il più delle volte, il che spiega perché la bellezza ha una qualche parentela con l'inganno e addirittura con il pericolo, come in Rilke e in Fitzgerald), oppure potrà durare troppo poco (ed è per questo che la bellezza è legata alla malinconia e alla caducità, come nei versi di Baudelaire), ma intanto importa che in quel preciso punto del mondo ci sia una promessa di quel genere, che si rivolge proprio a noi. La bellezza, dunque, importa. Ma bisogna evitare l'eccesso inverso rispetto alla squalificazione novecentesca. L'idea di Dostoevskij secondo cui la bellezza salverà il mondo è in ultima analisi tutt'altro che benigna: non date né scienza né pane al mondo, dategli lustrini e veline, e che si accontenti. Insomma, si sente il vento, non tanto della follia, quanto piuttosto dello stupore a poco prezzo e del raggiro che pagheremo caro. Un rischio collaterale di questa frase così immodesta (perché veniva da uno scrittore, dunque da un professionista della bellezza) è inoltre di fare odiare la bellezza, e di farle preferire il brutto per il brutto. Il che, fra l'altro, è storicamente avvenuto. Non appena un artista, un critico, un filosofo, si sono infuriati con l'idea che la bellezza avesse la meglio sulla giustizia e sull'umanità, il primo gesto è stato per l'appunto teorizzare, o purtroppo anche realizzare, opere brutte, che non fornicassero con l'estetismo, che ci mettessero sotto gli occhi i dolori del mondo, senza redimerli, ossia lasciandoli brutti, anzi, aggiungendo bruttezza a bruttezza. E poi, già che ci siamo, si è provveduto a riempire il mondo di case brutte, di calzoni a zampa, di panini alla piastra, e ovviamente di opere che meriterebbero di finire al MOBA. Maurizio Ferraris, Bellezza Comunque possiamo aggiungere che sulle categorie estetiche del bello si è proprio detto tutto e il contrario di tutto, come sulle altre questioni del resto. Ad esempio, Edmund Burke, filosofo e politico irlandese del XVIII secolo, ha elaborato una particolare teoria del bello e del sublime nel suo saggio del 1757 intitolato: A Philosophical Enquiry into the Origin of Our Ideas of the Sublime and Beautiful ( Un'indagine filosofica sull'origine delle nostre idee del sublime e del bello). Secondo Burke, il bello e il sublime sono due concetti estetici distinti. Il bello si riferisce a ciò che è piacevole alla vista e all'udito, e che suscita una sensazione di armonia e proporzione. Burke ha descritto il bello come "ciò che è formato in modo tale da suscitare la semplice approvazione dello spirito". Egli ha sostenuto che il bello è un concetto universale, che può essere apprezzato da tutti gli esseri umani indipendentemente dalla loro cultura o dalla loro esperienza. Read the full article
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rideretremando · 1 year ago
Text
"Insegnare filosofia a scuola non può essere la semplice presentazione della storia del pensiero dei filosofi, anche se ritengo che pochi tra i colleghi si limitino a fare solo ed esclusivamente storia della filosofia. Gli studenti vanno provocati a “pensare con la propria testa”, a riflettere, a criticare, ad argomentare, a dire il “perché” e il “per me”. Vanno aiutati a imparare a domandare e a essere protagonisti delle loro domande."
GIAN PAOLO TERRAVECCHIA
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