#fegato malato
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Lettera di Natale di Franco Arminio
Natale e i giorni che lo circondano sono una spina feroce per i dolenti. Il Natale dei vecchi nelle case di cure, il Natale dei carcerati, il Natale negli ospedali. Ma questi giorni sono feroci anche per chi sta a casa e ha la stanza del figlio vuota, il figlio morto a Natale diventa un ferro rovente che ti rovista il cuore. Il Natale di chi sta a casa e sente che è passato troppo tempo e non hai più venti anni e nemmeno quaranta. Il Natale dei bambini circondati da merci più che da da persone, il Natale degli scapoli, quelli che quando tornano a casa la sera sentono il vento che fischia dietro la porta e non ti viene voglia di spostare un bicchiere, di lavare un piatto. Il Natale degli amori sgretolati, delle diffidenze, delle bugie che diciamo agli altri e a noi stessi. Il miserabile Natale di chi ha successo e ne vuole avere ancora di più, il Natale dei delinquenti che prima o poi saranno scoperti, il Natale di chi è stato lasciato e di chi non è stato mai trovato, il Natale del fegato malato, del dente guasto, il Natale degli occhi gonfi, il Natale delle rughe, dei capelli caduti, il Natale di chi non si ama più e di chi non ha amato mai.
Una festa così dovrebbe essere una grande occasione di federare le nostre ferite, dovrebbe essere la festa della verità su chi siamo e su chi vorremmo diventare, da soli e assieme agli altri. E invece abbiamo delegato il nostro dolore ai dolciumi, come se un torrone potesse essere l’avvocato della nostra ansia, un panettone il muro contro l’angoscia.Natale dovrebbe essere il tempo della poesia. La poesia al posto della tombola, la terna di Leopardi, la quintina di Dante. La poesia serve a spiegare la disperazione e a far fiorire la gioia, tutte e due le cose assieme. La poesia serve a lasciare un poco di vuoto dentro di noi, serve a tenere spazio per il ritorno dei miracoli.Nella giostra orrenda delle merci ci siamo dimenticati che in fondo Natale è la festa dei miracoli.
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4 anni.
Oggi cade l'anniversario della chiusura totale all'alcol, si sono quattro anni che non tocco alcol, neanche una goccia, solo acqua, niente bevande gassate o cavolate zuccherate, acqua e basta. Cosa è cambiato? Tanto, tantissimo. Per iniziare il mio fisico mi ha ringraziato, fegato in testa, il cuore ha smesso di darmi fastidio, le turbe psichiche sono scomparse. Un paio di anni fa ho fatto le analisi del sangue e la dottoressa mi ha detto che sono sanissimo, con stupore perché in Estonia gli uomini di 50 anni stanno con un piede nella fossa per via dell'alcol, ricordo che Jack mi diceva "Anticonformista al massimo, eh?", forse, ma non ho smesso per differenziarmi dalla massa, cosa che ho sempre fatto nella mia vita, ma per uscire da una dipendenza che mi stava distruggendo lentamente, infatti vi consiglio vivamente di smettere, da ex alcolizzato, anche il bicchiere ogni tanto, l'etanolo (la molecola che vi sballa) fa parte del gruppo 1 dei cancerogeni insieme ad amianto e naftalina (e tanti altri), voi ingerireste palline di naftalina ogni tanto? Beh no, allora perché bere. Certo ognuno fa quello che vuole nella sua vita, ci mancherebbe, ma io ho deciso che non sarà l'alcol ad uccidermi.
Mentre ieri scendevo verso casa di Spock pensavo ad un video che ho visto di Silvestrin, che parlava di Kanye West, Enrico che parla di West, ma il video era interessante (come sempre), perché il tizio che nonostante il successo non lo vedo molto in linea con la musica, ma è una mia visione, sta temporeggiando per fare uscire il suo album, il dilemma è se lanciarlo sulle piattaforme streaming o farlo anticipare per un mese solo per l'acquisto, che c'è di strano direte voi, nel video il VJ sottolinea una frase detta dal rapper "I canali di streaming sono il male" BOOM. Il tizio non sarà il più bravo musicista o rapparo del mondo, ma di sicuro sa vendersi e se dice una cosa del genere potrebbe creare non poco scompiglio nel mondo del mainstream, l'unica cosa che Enrico mette di suo sul piatto è che West avrebbe dovuto chiamare "alle armi" altri artisti, in modo da sovvertire questo sistema oramai malato e poco propenso a pagare gli artisti. Ad un certo punto nella mia mente mi è scattato come un campanello e mi è venuto in mente di aprire un altro blog, sempre qua, dove parlo solo di musica, così da differenziare i miei post-delirio da quelli musicali, non so ci sto ancora pensando, però potrebbe essere una bella cosa, alla fine non parlerei di quello che sapete già e non posterei la musica che volete ascoltare, darei le miei opinioni e vi farei ascoltare cose che non sapete neanche che esistono, vediamo. Tipo
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In alternativa potrei aprire un blog dove posto foto di me nudo, tanto è una prassi normale oramai 😂😂 naturalmente non lo farei mai 😂.
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Il metodo di Max Gerson e le cliniche a cui rivolgersi per combattere il cancro e altre malattie in maniera naturale
("Se solo avessimo saputo" è un documentario presente all’interno del libro "Guarire con il metodo Gerson", scritto da Charlotte Gerson).
Il metodo di Max Gerson è un trattamento naturale che attiva la straordinaria capacità del corpo di autoguarirsi attraverso una dieta vegetariana equilibrata, succhi di frutta freschi, integratori naturali e l’utilizzo di clisteri di caffè.
Il sistema immunitario, attivandosi, è in grado infatti di guarire malattie considerate pressochè incurabili come artriti, allergie, epatiti, lupus, emicranie, malattie cardiache o altre di tipo degenerativo, sino alla cura stessa del cancro.
Il dottor Gerson ha sviluppato il suo metodo nel 1930, sperimentandolo inizialmente su sè stesso per guarire le emicranie debilitanti che lo affliggevano. Col tempo Gerson si accorse sempre più dell’importanza della sua scoperta, comprendendo che le cause della maggior parte delle malattie degenerative erano riconducibili ad un elevato tasso di tossicità all’interno dell’organismo unitamente a diverse carenze nutrizionali.
Così giunse alla conclusione che fornendo al corpo tutta la dose di enzimi, minerali e sostanze nutritive di cui necessitava, attraverso una dieta vegetariana bilanciata comprendente soprattutto abbondanti succhi di frutta freschi, si ripristinava la capacità del corpo di auto-guarirsi, ovvero di auto-disintossicarsi.
Di fatti, i succhi ottenuti dalle spremute di frutta e ortaggi, rigorosamente crudi, forniscono il modo più semplice ed efficace per attivare tale ripristino, poichè contenenti quegli elementi nutritivi più facili da digerire e assimilare.
La dieta di Gerson, interamente biologica e vegetariana, è stata creata per essere ricca di vitamine, minerali, enzimi e micro-nutrienti, ma povera di sodio, grassi e proteine.
Per comprendere al meglio in cosa può consistere lascio a voi tutti un esempio tipico di schema giornaliero rispettato dai pazienti che la seguono:
- tre pasti completi vegetariani al giorno, comprendenti frutta biologica, verdura e cereali integrali (un pasto tipico deve comprendere insalate, verdure crude o cotte, patate al forno, e almeno una zuppa di Ippocrate);
- una decina di bicchieri di succo fresco di carota/mela (crude) e di verdure a foglie verdi preparati ogni ora;
- spuntini di frutta fresca da consumare a proprio piacimento in aggiunta alla normale dieta.
I supplementi di integratori naturali, invece, sono compresi nel metodo di Gerson a seconda dei casi specifici, e vengono forniti in quantità terapeutiche per guarire svariate malattie. Eccoli di seguito elencati:
- ascorbato di potassio;
- soluzione di Lugol (Iodio 5% – Ioduro di potassio 10% – Acqua distillata 85%)
- vitamina B-12;
- ormoni tiroidei;
- enzimi pancreatici.
Sull’utilizzo di clisteri di caffè, infine, secondo Gerson questi risultano essere il metodo principale di disintossicazione dei tessuti e del sangue per i malati di cancro, i quali possono richiedere sino a 5 clisteri di caffè al giorno.
La figlia di Max Gerson, Charlotte spiega la necessità del loro impiego affermando che "nel momento in cui il paziente entra nel pieno della terapia del metodo Gerson, l’effetto combinato del cibo, dei succhi di frutta e degli integratori induce il sistema immunitario ad attaccare e disintegrare il tessuto tumorale, oltre che ad attivarsi per eliminare le tossine accumulate nei tessuti del corpo. Questa grande procedura di pulizia comporta il rischio di sovraccaricare e avvelenare il fegato, un importantissimo organo di disintossicazione, il quale, in un malato di cancro, è già danneggiato e debilitato."
Per questo i clisteri di caffè sono essenziali: assistono il fegato nell’eliminazione di residui tossici dal corpo.
Concludendo, è di fondamentale importanza precisare che il metodo terapeutico di Max Gerson non può essere rivolto a tutti. I pazienti devono essere in grado di mangiare, bere ed evacuare normalmente. Ad esempio chi ha subito un trapianto d’organi, una metastasi cerebrale o danni renali gravi, o chi possiede pacemaker, difficilmente potrà mai sottoporsi ad una simile terapia.
Per ogni tipo di informazione consiglio di visitare il sito internet ufficiale del Gerson Institute).
Le cliniche di Max Gerson a cui rivolgersi sono due: una in Europa, a Budapest (Ungheria), l’altra in Centro-America, a Playas de Tijuna (Messico).
Per informazioni sulle disponibilità della clinica in Ungheria (Gerson Health Centre) è possibile inviare una e-mail a [email protected], chiamare il numero +36.30.6426.341, oppure visitare il sito web: http://gersontherapy.eu/therapy/gerson_therapy
Mentre per la clinica in Messico (Clinica Nutricion y Vida) i contatti sono i seguenti: e-mail [email protected], numero telefonico +52.664.631.8534 e sito web http://www.clinicanutricionyvida.com/
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In Emilia Romagna, a Modena, si scrive una nuova pagina della trapiantologia italiana e non solo
In Emilia Romagna, a Modena, si scrive una nuova pagina della trapiantologia italiana e non solo. Per la prima volta in Italia e tra i primi tre casi al mondo è stato eseguito un trapianto di fegato con tecnica robotica mini-invasiva. Dopo l'America, con la Washington University St. Louis, e il Portogallo, a Lisbona, l'esperienza di Modena si colloca dunque ai vertici internazionali: a ricevere il nuovo fegato un uomo di 66 anni, affetto da un tumore, dimesso dall'ospedale dopo quattro giorni dall'intervento e che ora sta bene. Questa mattina in Regione a Bologna in conferenza stampa sono stati illustrati i dettagli dell'intervento, avvenuto lo scorso 20 febbraio presso il reparto di Chirurgia Oncologica, Epatobiliopancreatica e Trapianti di Fegato del Policlinico diretto da Fabrizio Di Benedetto, professore ordinario dell'Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, che lo ha eseguito con la sua équipe chirurgica. Presenti all'incontro, oltre allo stesso Di Benedetto, l'assessore regionale alle Politiche per la salute, Raffaele Donini, il direttore generale dell'Azienda Ospedaliero-Universitaria di Modena, Claudio Vagnini, il rettore dell'Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Carlo Adolfo Porro, e il sindaco di Modena, Gian Carlo Muzzarelli. La tecnica utilizzata, spiegata da Di Benedetto, permette di eseguire l'epatectomia ad addome chiuso, garantendo la stessa sicurezza e il controllo vascolare; una volta completata la rimozione del fegato malato, si esegue una piccola incisione di 10 centimetri attorno all'ombelico per rimuoverlo e alloggiare il nuovo fegato donato. Una tecnica da cui è atteso il raggiungimento degli stessi standard di efficacia di quella tradizionale a cielo aperto, con un miglioramento della ripresa post-chirurgica e una diminuzione generale delle complicanze, dimostrata dalla chirurgia del fegato mini-invasiva, e una riduzione della degenza ospedaliera. Un'importante innovazione nella cura per i pazienti che hanno bisogno di un trapianto al fegato e un significativo traguardo per la comunità trapiantologica italiana. "Un risultato straordinario, che conferma l'eccellenza della rete trapiantologica e della sanità pubblica dell'Emilia-Romagna- sottolinea Donini-. Ancora una volta la nostra regione, grazie alle sue strutture e strumentazioni all'avanguardia e soprattutto grazie a professionisti di altissima competenza ed esperienza, si pone ai vertici nazionali e internazionali. Non possiamo che essere orgogliosi per il traguardo raggiunto, che apre nuove prospettive di intervento e cura per tanti malati, non solo dell'Emilia-Romagna. Grazie di cuore e complimenti al professor Di Benedetto, a tutta la sua équipe, al Policlinico di Modena e al Centro riferimento trapianti della regione, che coordina con ottimi risultati l'intera rete territoriale. Non è un caso che nel 2023 in Emilia-Romagna siano stati eseguiti complessivamente 585 trapianti, il numero più alto di sempre". "Il trapianto di fegato- spiega il professor Di Benedetto- è uno degli interventi più complessi della chirurgia addominale, poiché unisce una tecnica avanzata nel contesto della gravità clinica del paziente. Si tratta infatti spesso di pazienti affetti da malattie del fegato come la cirrosi, che ne condizionano la normale qualità di vita, con scompensi frequenti e ricoveri ospedalieri ripetuti, e a volte complicate da tumore del fegato. L'approccio mini-invasivo è maturato all'interno di un programma di attività chirurgica robotica oncologica decennale, con all'attivo oltre cinquecento interventi per patologia del fegato, vie biliari e pancreas. A differenza del trapianto di rene robotico- aggiunge il professore- per il quale esiste già un'esperienza validata a livello internazionale che dimostra un beneficio della tecnica mini-invasiva nei pazienti obesi, la pagina del trapianto di fegato mini-invasivo è ancora tutta da scrivere. Tuttavia, il consolidamento della tecnica e la sua diffusione permetteranno nel tempo di incrementarne la fattibilità e l'indicazione". "Desidero ringraziare- chiude Di Benedetto- il direttore generale dell'Azienda Ospedaliero- Universitaria di Modena, Claudio Vagnini, per il sostegno dimostrato negli anni ai progetti di innovazione in chirurgia, il magnifico rettore, Carlo Adolfo Porro, che ha promosso lo sviluppo della formazione universitaria dei giovani chirurghi, il professor Massimo Girardis, direttore dell'Anestesia e Rianimazione e tutto il gruppo anestesiologico che ha permesso l'evoluzione delle tecniche chirurgiche tramite una moderna assistenza anestesiologica. Infine, ringrazio l'équipe chirurgica con cui ho eseguito il trapianto, il professor Stefano Di Sandro e il dottor Paolo Magistri, tutta l'équipe dei medici, chirurghi ed infermieri che quotidianamente ha lavorato per realizzare questa grande innovazione e che ha permesso l'evoluzione del centro in questi anni". La Regione Emilia-Romagna ha sostenuto il sodalizio tra chirurgia dei trapianti e tecnologia robotica, finanziando i programmi dell'Azienda Ospedaliero-Universitaria di Modena come il prelievo di fegato e rene da donatore vivente con tecnologia robotica e il trapianto di rene robotico. Questa importante innovazione si inserisce in un contesto di grande crescita della comunità trapiantologia regionale e italiana. Dati nazionali trapianti di fegato 2023 Secondo i dati del Centro Nazionale Trapianti, in Italia sono circa 950 i pazienti in attesa di ricevere un trapianto di fegato, con un tempo d'attesa medio di 4,6 mesi, variabile da 2 giorni in condizioni di urgenza clinica, fino a 1,7 anni. Nel 2023 sono stati eseguiti 1.696 trapianti di fegato adulto e pediatrico, di cui 39 da donatore vivente, confermando l'Italia come primo Paese europeo per questa tipologia di intervento davanti alla Spagna, che fino a qualche anno fa era leader in Europa per la donazione e il trapianto d'organo. Lo scorso anno il Centro Trapianti di Modena è stato il secondo centro italiano per numero di trapianti di fegato con 150 pazienti trapiantati, di cui nove da donatore vivente, dopo Torino Città della Salute.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Ars Longa Vita Brevis
Ars longa, vita brevis. Aforismi sulla medicina Ars longa vita brevis. Aforismi sulla salute, la malattia, i medici e la morte. Introduzione della prima versione del libro scritto nel 2001 da C.W. Brown Il medico che è pure filosofo, è simile agli Dei. Tutte le qualità del buon filosofo devono trovarsi anche nel medico: disinteresse, contegno dignitoso, modestia, cognizione delle cose utili e necessarie, serietà, giudizio sereno, purezza di vita, affrancamento dalla superstizione, divina superiorità dello spirito. Ippocrate I primari in genere guadagnano molto bene, ma da bravi professionisti non tutti si accontentano, infatti in Toscana nel 2001 cinque di loro sono stati arrestati per corruzione! Carl William Brown La malattia è il medico al quale prestiamo più attenzione; alla gentilezza, alla conoscenza, facciamo solo promesse; al dolore obbediamo. Marcel Proust Nessuno dei mortali trascorrerà mai la vita incolume del tutto da pene, paga sempre alla vita ciascuno il suo prezzo. Eschilo La salute non è tutto, ma senza salute tutto è niente. Arthur Schopenhauer Un medico coscienzioso deve morire con il malato se non possono guarire insieme. Eugène Ionesco Nel momento in cui ci si chiede il significato ed il valore della vita, si è malati. Sigmund Freud La salute supera tutti gli altri beni esterni, a tal punto, che davvero un mendicante sano è più felice di un re ammalato. Arthur Schopenhauer Anno 2001. Avete mai sentito un medico affermare di aver sbagliato? No! Allora leggete i dati forniti dal Tribunale per i diritti del malato che si basano su 30 mila schede e parlano del 18 per cento di sospetti errori diagnostici e terapeutici nell'area ortopedica, del 13 per cento per la chirurgia generale, l'11 per cento per l'ostetricia e la ginecologia ed il 10 per cento nell'area oncologica. Carl William Brown Quando penso ad una malattia, non è per trovarvi rimedio, ma, invece, per prevenirla. Louis Pasteur Il medico vede l’uomo in tutta la sua debolezza, l’avvocato in tutta la sua cattiveria, il teologo in tutta la sua stupidità. Arthur Schopenhauer Anche i medici prima di essere dei professionisti della salute, della malattia e della parcella sono degli uomini e si sa a volte gli uomini si comportano in maniera stupida. Carl William Brown Ci sono due grazie, di cui è priva la maggioranza degli uomini e di cui essi non apprezzano il valore: la salute e il tempo libero. Il Corano Tutti sono abbastanza forti da sopportare i mali altrui. La Rochefoucauld Mangia poco a pranzo e meno ancora a cena, che la salute di tutto il corpo si costruisce nel laboratorio dello stomaco. Miguel de Cervantes Bisognerebbe prendersi cura della salute come si prende cura del divertimento, allora non si sarebbe mai malati. François Gervais Nessuno dei mortali trascorrerà mai la vita incolume del tutto da pene, paga sempre alla vita ciascuno il suo prezzo. Eschilo L'uomo non muore per il fatto di essersi ammalato, ma gli capita di ammalarsi perché fondamentalmente deve morire. Umberto Galimberti La mattina quando vi alzate, fate un sorriso al vostro cuore, al vostro stomaco, ai vostri polmoni, al vostro fegato. Dopo tutto, molto dipende da loro. Thich Nath Hanh Se si riuscisse a dare a ciascuno la giusta dose di nutrimento ed esercizio fisico avremmo trovato la strada per la salute. Ippocrate Chi è in buona salute è ricco senza saperlo. Proverbio francese Un tempo ci si ammalava, se andava bene si vedeva un dottore, magari uno stregone e poi si moriva, oggi è tutto cambiato; ci si ammala, si vedono decine e decine di dottori, magari uno stregone e poi si muore più incazzati di prima. Carl William Brown Tratto dal libro Ars Longa Vita Brevis, aforismi sulla salute, la malattia, i medici e la morte. In attesa della nuova versione di questo libro, potete anche leggere il seguente articolo presente nel blog, ovvero Emergenze sanitarie in Italia. C'è anche una pagina Facebook dedicata a queste tematiche, dove potete trovare materiale interessante, è questa https://www.facebook.com/medicidibase The World of English offers you some very interesting quotes, aphorisms and thoughts on Medicine and doctors! Di medici ne ho conosciuti parecchi, visto che da sempre il mio corpo ha fatto i capricci! Non sono però mai riuscito a comunicare bene con loro, anche se la mia preparazione non è delle più scarse! Anzi! Ma non è questo il vero nocciolo della questione! Anni fa mi recai a pagamento da un famoso otorinolaringoiatra, un chirurgo abilissimo che mi chiese come mai avessi aspettato così a lungo a decidere di farmi operare, la mia lapidaria risposta fù, - ars longa, vita brevis - e così dopo alcuni mesi entrai nell' ospedale in cui un giovane allievo potè cimentarsi nell'arte che stava via via apprendendo! Sono passati ormai alcuni anni, il famoso chirurgo è morto di tumore già da tempo ed io non mi attarderò troppo a lungo dal raggiungerlo. Ecco, quì iniziamo ad avvicinarci già di più alla tematica fondamentale del mio lamento! Ascolta caro erede! Il mestiere del medico, la sua figura che nel momento in cui nasce si identifica e si mescola con quella dello stregone, del mago, del sacerdote rituale, del potente imperatore! Mi ricorda il mitico Paracelso, nato nel cuore della Svizzera in una località tenebrosa, il ponte del diavolo, Teufelsbrucke, che fu allo stesso tempo medico, naturalista e filosofo, uno studioso in grado di interpretare i segreti e i mali dell'uomo come una parte del tutto universale. Ma anche i famosi dottori, furbi e pasticcioni di Molière, capaci solo di svuotare il corpo in un modo o nell'altro, con salassi di sangue e grandi purghe! E poi ancora i grandi medici dell'ottocento, epoca in cui nascono le figure grandiose del "medico condotto" e del medico di famiglia" e dove il concetto della scienza al servizio dell'uomo imponeva al medico di immedesimarsi nel ruolo irrinunciabile di operatore sociale. In un Galateo del Medico apparso nel 1873 si legge infatti: "Il medico si aggira e vive in mezzo al popolo; è depositario di suoi dolori e di sue speranze e anche a non volerlo diviene democratico d'indole". Una professione da amare insomma! "Si sente spesso affermare che la medicina è una scienza. Così non è. La medicina non è una scienza, è una pratica basata su scienze che opera in un mondo di valori." E' in altri termini una tecnica, dotata di un proprio sapere che differisce dalle altre tecniche perché il suo oggetto è un soggetto: l'uomo. E soprattutto, non è solo scienza. Nell'arte della cura infatti la tecnologia è una grande risorsa, ma l'uomo deve restare il suo fine ultimo, o primo. Così si esprime Giorgio Cosmacini nel suo libro il Mestiere di medico riportando in primo piano anche quella che è la nostra idea, la professione del medico è un'arte e come tale non può essere troppo distante da tutte le altre arti, e poiché l'arte è vita, purtroppo alla fine si trova a doversela vedere anche con la morte, con il dolore, con le ingiustizie! Così ci vengono alla mente gli ambienti poco allegri di alcuni ospedali e di alcuni ambulatori, dove ormai si fa sempre più fatica a vedere l'arte della professione e la sua umanità, e si assiste invece al triondo della tecnica, della tecnologia, della farmacologia e del business. Sempre più spesso la persona umana viene alienata e diventa sempre più macchina essa stessa, destinata ad essere rottamata per far fronte alle sempre nuove e incombenti esigenze della produzione. Il tempo è sempre più avido, e le sempre più cose che sappiamo ci fanno amaramente rendere conto che quelle che invece ignoriamo sono sempre ancora di più, e così la nostra angoscia invece di diminuire aumenta di pari passo con l'aumentare degli esami specialistici! La mia tesi di laurea consisteva in uno studio sull'opera e sull'umorismo di un autore ungherese, George Mikes, che però aveva sempre scritto in inglese. Leggendo tutti i suoi libri e molti altri testi sulla comicità e sull'umorismo ho scoperto che il riso fa buon sangue, aiuta a curare oltre che il nostro spirito anche il nostro corpo e così, senza citare troppe fonti, aumenta le difese del nostro sistemza immunitario e ci aiuta a combattere meglio le malattie. Da ciò devo dedurre che dovrei iniziare a ridere ora e assolutamente non smettere mai se non per necessità, alcuni minuti dopo il fatale e tragico evento della mia morte. In pratica dovrei diventare più positivo! Il massimo dell'umorismo nero insomma. Tuttavia esce in questi giorni in videocassetta la storia vera del medico con la vocazione del clown che credeva nella risata come terapia. Robin Williams è il protagonista di Patch Adams, una commedia di grande successo e campione d'incassi negli Stati Uniti. Una cosa è certa, i medici che ho sempre visto nei nostri ospedali sono tutti molto seri e spesso sembrano anche tristi, per cui un po' di allegria, e di buon spirito non farà di certo male alla nostra sanità! Per fortuna non sono il solo a pensarlo, infatti ci sono già degli animatori che si aggirano per le nostre strutture, soprattutto negli ospedali dove sono ricoverati i bambini, cercando di alleviare le sofferenze di una condizione poco piacevole con una ventata di sano e divertente buon umore!
Citazioni, massime, aforismi sui medici Quando il male fa la sua comparsa qualsiasi persona si tramuta in un paziente e si trasforma improvvisamente in un povero bambino, diventa più debole, più indifeso e comincia ad aver paura. A questo punto non è raro vedere nel proprio medico, una figura materna, o paterna e sviluppare nei suoi confronti tutte le aspettative e le speranze di chi ha un estremo bisogno di aiuto. Il più delle volte questo fenomeno è attenutato perché magari le patologie sono curabili e pochi incontri con il nostro salvatore ci liberano da tutte le nostre fobie, ma quando la malattia è incurabile, beh, lì il discorso cambia, e si fa molto più complesso. In questa situazione il medico talvolta non può fare più di tanto, e non importa se sia un medico di famiglia, uno specialista, un grande professore universitario e direttore di un efficiente dipartimento clinico o un giovane medico senza frontiere che opera in uno dei più disagiati luoghi della terra! A questo punto la tecnica non serve più a molto, e l'unica cosa che rimane a fronteggiare la drammatica situazione è la nostra umanità, magari aiutata da qualche fiala di morfina o da qualche altro efficace e indispensabile rimedio. L'ospedale del futuro, dicono, non può permettersi di dedicarsi solo alla cura dei malati. Un ospedale moderno deve saper curare i malati, ma deve anche prendersi cura dei sani e, in particolare, deve convincersi che la cura dei malati e la ricerca sono due aspetti strettamente collegati alla terapia e alla prevenzione. Già la prevenzione, la cultura, la scuola, l'informazione e la pratica delle cose! Talvolta i soldi della ricerca quando ci sono si perdono nei rivoli melmosi della burocrazia o delle clientele e qualche abile imprenditore della medicina o della politica ogni tanto si suicida perché non regge il peso delle sue malefatte e di tutte le buone cose che avrebbe potuto fare per il suo prossimo e che invece per il suo stupido ed ottuso egoismo non ha fatto. E di nuovo ci giunge così l'idea della morte e con lei anche le tristi immagini della povertà, dell'ingiustizia, della sconfitta, del non sapere e della nostra ignoranza. Nel frattempo tuttavia la genetica avanza, la ricerca avanza, la tecnologia avanza, ma ahimè anche le malattie però si danno da fare e per non parlare del sud del mondo citerò solo la Russia, dove la diffusione dell'Hiv ha fatto si che i sieropositivi e i malati passassero dai 130.000 del dicembre 1999 ai 300.000 della fine del 2000. Un tasso di crescita che ha pochi eguali nel mondo e che farà si che a questo ritmo, entro due o tre anni, i casi potrebbero toccare il milione di unità. Certo rispetto alla strage del continente sub-sahariano che ospita il 70% dei 34 milioni di malati nel mondo, queste cifre sembrano ridicole, ma bisogna tuttavia considerare che i dati ufficiali, secondo molte organizzazioni non governative, andrebbero moltiplicati per dieci! E ogni tanto, durante questo lavoro, anzi direi spesso, mi venivano in mente le parole di Ippocrate, e le simpatiche figure di qualche dottore o di qualche dottoressa; devo inoltre aggiungere che in una situazione di tormento reale questa forma di conforto virtuale mi ha anche dato una certa melanconica forza che mi ha assistito nella realizzazione di questa raccolta e di questa introduzione. "La vita è breve, l'arte è lunga, l'occasione è fugace, l'esperienza è fallace, il giudizio è difficile. Bisogna che non solo il medico sia pronto a fare da sé le cose che debbono essere fatte, ma anche il malato, gli astanti, le cose esterne". Già, "Dai tempi di Ippocrate infatti, l'aforisma è stato il veicolo letterario della classe medica... L'aforisma rimane l'indiscusso contributo del medico alla letteratura". Questa è la frase di Howard Fabing che precede l'introduzione di Massimo Baldini al libro di Ippocrate Aforismi e Giuramento ed è da questa frase che partirò. Di tutte le opere di Ippocrate, gli Aforismi hanno goduto di maggior fortuna e sono in assoluto l'opera medica che ha avuto più edizioni e più commenti. "Fino al principio dell'Ottocento, ha scritto Vegetti, gli aforismi erano considerati la Bibbia del Medico", e quindi anche se oggigiorno le cose sono notevolmente cambiate penso che non sia poi così fuori luogo dar vita ad una raccolta letteraria di aforismi che non pretenda ovviamente di condensare delle verità mediche o scientifiche, ma che in ogni caso cerchi comunque di stimolare il dialogo, la riflessione e la comunicazione tra tutti gli uomini, sani e malati, medici e pazienti! Certo, è fuor di dubbio che tutti gli operatori della sanità oggigiorno ritengono di svolgere una professione tecnico scientifica ormai completamente separata da quella filosofia naturalistica che pose le basi per il suo futuro sviluppo e non si sognano nemmeno lontanamente di assimilarsi a dei filosofi che, consapevoli delle nuove teorie del caos, si pongono con umiltà a scrutare la complessa stupidità della nostra realtà. Ed è proprio anche per questo che sto scrivendo questo libro, alla ricerca di equità, giustizia, solidarietà, rispetto, riflessione ed un po' di divertimento! Certo i filosofi non fanno i soldi e i medici? Alcuni anni fa il movimento studenti distribuì un questionario nelle facoltà di medicina! Tra le altre vi era una domanda secca: "Perché hai scelto di fare Medicina?". La risposta più frequente fu: "per far soldi". E il medico dicevo, il medico cerca di far soldi e in molti casi forse ci riesce! Ma a me questo interessa poco, io voglio che il medico si senta di nuovo anche un antico filosofo e non perda quindi il piacere di comunicare e di spiegare la sua arte a tutti in modo tale che si possa raggiungere un "compromesso" tra l'avanguardia della ricerca medica e l'umanizzazione del rapporto medico-paziente, ottenendo così la formazione ottimale del "complete physician" ed un maggior rispetto del diritto alla salute di tutti gli esseri umani. Ho sempre letto molto, e ci tengo a restare informato, ma questo non mi ha salvato, e nemmeno tutta la scienza e la tecnica dell'umanità alla fine potrà impedire il tragi-comico evolversi degli eventi. Per questo ho trovato conforto in un paio di libri scritti da un medico, un certo Paolo Cornaglia Ferraris, un "medicus medicorum" come leggo sulla copertina del libro che illustra i simpatici disegni di un lupo in camice bianco, e di una pecora con un pigiama a righe verdino. Ecco, in questa mia introduzione ora voglio fare un omaggio al buon senso e all'onestà, e perciò riporterò alcuni brevi passaggi tratti da questi due testi, cogliendo anche l'occasione per salutarne l'autore.
Dignità di morire in Italia "Chi persegue interessi che nulla hanno a che fare con quelli dei malati e con quelli di una professione dignitosa e nobilissima, capisca finalmente che il nostro lavoro di assistenza e di ricerca medica non è fatto per sottoscrivere compromessi di basso profilo. E' un grave danno che i malati si riducano a essere numeri in pigiama e accettino ricatti nel silenzio. Il mio invito anche a loro è quello di parlare, di partecipare, di scrivere. Scopo del libro è sempre stato quello di dar voce alla maggioranza silenziosa, perché i camici e i pigiami non si trovino più su fronti contrapposti." Queste frasi sono tratte dalla premessa alla seconda edizione di Camici e Pigiami, le colpe dei medici nel disastro della sanità italiana, dell'autore sopracitato e guarda caso combaciano proprio con l'intento della mia raccolta, che cercherà tra le altre cose di essere non solo divertente o irriverente, ma anche e soprattutto artistica ed umana. Anch'io da tempo insegno, ma non all'università, sono solo un professore di scuola superiore, e visto che anch'io tra i miei colleghi di più alto rango, si fa per dire, ho riscontrato un certo senso di superiorità, e una scarsa predisposizione al dialogo e alla diffusione delle opere altrui, vorrei citare ancora alcune frasi di Cornaglia-Ferraris. "Se provate a cercare un professore ordinario nelle ore di lavoro all'interno della cinta universitaria, potreste restare delusi. La presenza fisica di costoro, infatti è opzionale per tutti i docenti di prima fascia. E' una situazione analoga a quella pomeridiana per i magistrati nei vari tribunali….In una grande città padana il direttore dell'Istituto di Pediatria nel 1997 si è presentato in sede solo 92 volte, passando la restante parte dell'anno tra commissioni ministeriali, congressi sponsorizzati dalle varie ditte farmaceutiche e alimentari, nelle più amene zone del mondo. Nello stesso policlinico, il suo corrispondente primario ospedaliero ha dovuto invece assicurare alla Asl 37,5 ore settimanali di lavoro controllato dal timbro del cartellino-orologio... Nessuno bada più a tale assenteismo, ormai più che sfacciato. Come il docente padano, infatti, si comportano la maggioranza degli accademici "potenti" e non solo a medicina. La cattedra di prima fascia è diventata da decenni non lo strumento per insegnare, ma quello per fare gli affari propri, finalmente senza che nessuno possa avere niente da ridire. E' il premio di una carriera fatta di umiliazioni, servilismi, sotterfugi, alleanze e tradimenti. Tutto, fuorché una struttura dedicata all'insegnamento e alla formazione dei giovani studenti in medicina." (Op. cit. pag. 34-35) Già, forse quel medico di fama con cui volevo scambiare due parole non ha potuto proprio visitarmi perché aveva un gran da fare. Read the full article
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Tumori tecnica chirurgica trasforma fegato malato in due sani
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La steatosi epatica non alcolica, ossia il fegato grasso dovuto ad eccessi alimentari e sovrappeso, non è più solo un problema degli adulti: oggi ne soffrono tanti bambini e ragazzi
#fegato grazzo#fegato malato#fegato grasso#malattie fegato#steatoosi epatica#steatosi epatica#genitori#guidagenitori
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"Lou ed io suonavamo insieme, diventammo migliori amici, e poi compagni, abbiamo viaggiato, ascoltato e criticato il lavoro dell’altro, studiato cose insieme (la caccia alle farfalle, la meditazione, andare in kayak). Facevamo battute ridicole; smesso di fumare 20 volte; combattuto; imparato a trattenere il fiato sott’acqua; andati in Africa; abbiamo cantato arie d’opera in ascensore; fatto amicizia con persone improbabili; ci siamo seguiti in tour quando è stato possibile; abbiamo avuto una dolcissima cagnolina che suonava il piano; condiviso una casa che era diversa dai nostri rispettivi appartamenti; abbiamo protetto e amato l’altro. Andavamo spesso a vedere arte, musica, spettacoli, teatro e ho osservato come amava e apprezzava altri artisti e musicisti. Era sempre così generoso. Sapeva come fosse difficile l’ambiente. Amavamo la nostra vita nel West Village e i nostri amici; e, in tutto ciò, abbiamo sempre fatto tutto nel miglior modo che ci riuscisse.
Come molte coppie, ognuno di noi ha costruito un modo d’essere: strategie, e a volte compromessi, che ci hanno permesso di essere parte di una coppia. A volte abbiamo perso un po’ di più di quello che eravamo capaci di dare, o abbiamo ceduto un po’ troppo, o ci siamo sentiti abbandonati. A volte ci siamo davvero arrabbiati. Ma anche quando ero fuori di me, non ero mai annoiata. Abbiamo imparato a perdonarci l’un l’altro. E in qualche modo, per 21 anni, abbiamo intrecciato le nostre menti e i nostri cuori, insieme. Era la primavera del 2008. Stavo camminando per strada, in California, mi sentivo abbattuta e parlavo al cellullare con Lou. “Ci sono tante cose che non ho mai fatto e che volevo fare” gli ho detto.
“Come cosa, per esempio?”
“Non so, non ho mai imparato il tedesco, non ho mai studiato fisica, non mi sono mai sposata”
“Perché non ci sposiamo?” mi ha chiesto. “Ci incontriamo a metà strada. Arrivo in Colorado. Che ne dici di domani?”
“Uhm … non pensi che domani sia un po’ troppo presto?”
“No, non lo penso”.
E così il giorno dopo ci siamo incontrati a Boulder, in Colorado, e ci siamo sposati nel giardino di un amico di sabato, indossando i nostri normali vestiti da sabato, e sebbene dovessi fare uno spettacolo subito dopo la cerimonia, per Lou andava bene. (I musicisti che si sposano è come quando si sposano due avvocati. Quando dici ���accidenti devo lavorare in studio fino alle tre di notte” o cancelli tutti i tuoi appuntamenti per chiudere il caso, sai esattamente cosa significhi e non fai necessariamente dei salti di gioia).
Suppongo ci siano molti modi di sposarsi. Alcune persone sposano qualcuno che conoscono a malapena, cosa che può anche funzionare. Quando sposi quello che è anche il tuo migliore amico da diversi anni, dovrebbe esserci un altro nome per chiamare la cosa. Ma la cosa che mi ha sorpreso di più nello sposarmi è come si alteri il tempo. E anche come in qualche modo aggiunga una tenerezza che era, in qualche modo, completamente nuova. Per parafrasare il grande Willie Nelson: “Il 90% delle persone in questo modo finisce con la persona sbagliata, ed è questo che fa ancora andare gli juke box”. Lo Jukebok di Lou era pieno di amore e di molte altre cose: bellezza, dolore, storia, coraggio, mistero.
Lou era malato da due anni a questa parte: prima per il trattamento con interferone, una serie di iniezioni ignobili ma spesso efficaci per trattare l’epatite C che è equipaggiata con una bella serie di fastidiosi effetti collaterali. Poi è subentrato un cancro al fegato, che si andava a sommare a una forma di diabete in stato avanzato. Abbiamo ottenuto buoni risultati in ospedale. Lui ha imparato tutto quanto su queste malattie e sui rispettivi trattamenti. Ha continuato a fare Tai Chi ogni giorno per due ore più fotografie, libri, registrazioni, la sua trasmissione radiofonica con Hal Willner e molti altri progetti. Ha amato i suoi amici, e ha chiamato, mandati messaggi, email quando non poteva essere con loro. Abbiamo cercato di comprendere e applicare gli insegnamenti che il nostro maestro Mingyur Rinpoche impartiva; specialmente quelli più difficili come “devi imparare a padroneggiare l’abilità di sentirti triste senza in realtà essere triste”.
La scorsa primavera, all’ultimo minuto, ha ricevuto un trapianto di fegato che sembrava aver funzionato completamente e ha riguadagnato istantaneamente la salute e l’energia. Poi anche quello ha cominciato a funzionare male, e non c’era via di scampo. Quando il dottore ha detto: “E’ finita. Non ci sono più opzioni”, l’unica parte che Lou ha sentito era “opzioni”. Non si è dato per vinto fino all’ultima mezz’ora della sua vita, quando improvvisamente lo ha accettato: all’improvviso e completamente.
Eravamo a casa. Lo avevo portato via dall’ospedale qualche giorno prima. E anche se era molto debole, ha insistito per uscire fuori nella luce accecante del mattino.
Come persone use alla meditazione, eravamo preparati per questo: come muovere l’energia dalla pancia fino al cuore e poi spingerla fuori dalla testa. Non ho mai visto un’espressione così piena di meraviglia come quella di Lou quando è morto. Le sue mani stavano facendo la forma 21 del Tai Chi, quella dell’acqua che scorre. I suoi occhi erano spalancati. Stavo tenendo tra le braccia la persona che amavo più di ogni altra cosa al mondo e le parlavo mentre moriva. Il suo cuore ha smesso di battere. Non aveva paura. Ero riuscita a camminare con lui fino alla fine del mondo. La vita – così bella, dolorosa e spettacolare – non può dare qualcosa più di questo. E la morte? Penso che lo scopo della morte sia la realizzazione dell’amore."
Laurie Anderson
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DUE FEGATI SANI DA UNO MALATO: PISA PRIMA AL MONDO
Un intervento chirurgico mai realizzato al mondo e che apre a una nuova tecnica per salvare i fegati colpiti da tumori maligni.
A Pisa, una paziente oncologica con fegato intaccato da 35 lesioni metastatiche e un tumore al colon, è stata salvata generando due fegati sani a partire da uno malato: una tecnica eseguita per la prima volta dal team del dottor Lucio Urbani dell'Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana. L’innovativa strategia chirurgica, finora mai messa in atto in nessun ospedale del mondo, ha consentito di rimuovere tutte le lesioni che si presentavano in due parti distinte dell'organo malato e di sanarlo in due fasi successive con la separazione del fegato e il suo sdoppiamento. L'intervento si è suddiviso in due fasi, la prima per la bipartizione del fegato, sanandone una parte e facendola ricrescere; nella seconda fase, nel corso della quale le funzioni vitali della paziente sono state assicurate dalla parte risanata, i medici hanno bonificato l'altro lobo malato.
L’operazione è il frutto di anni di ricerche e di pratica e permette di curare pazienti giudicati inoperabili per le estese diffusione delle metastasi, sfruttando la capacità rigenerativa del fegato. La paziente ha potuto con questa operazione rimuovere le cellule tumorali che diversamente non avrebbero potuto essere asportate ed in caso di recidiva della malattia, avrà la possibilità di poter beneficiare di ulteriori trattamenti chirurgici grazie alla presenza dei due fegati.
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Fonte: Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana - 30 ottobre 2021
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Il paziente – fanno sapere dall’Azienda ospedaliera di Padova – è un uomo di 47 anni affetto da multiple metastasi epatiche causate da un tumore del colon, e ritenuto inizialmente inoperabile. A rendere possibile l’intervento è stata la scelta di utilizzare una tecnica sperimentale definita Rapid, che consente la donazione da vivente con bassissimi rischi per il donatore. La procedura si divide in due fasi. Nella prima il team di chirurghi, coordinato da Cillo, ha prelevato il lobo sinistro del fegato del donatore, una struttura che rappresenta solamente il 20% della massa epatica totale, impiantandola al posto di quella del paziente. Una procedura di per sé rivoluzionaria, perché fino ad oggi il trapianto da vivente veniva realizzato utilizzando almeno il 60-65% del fegato del donatore, con rischi evidentemente maggiori per la sua salute. La vena che garantisce l’afflusso di sangue alla parte destra del fegato è stata quindi occlusa, deviando tutto il flusso di sangue, ricco di fattori di rigenerazione, alla parte sinistra appena impiantata. Il fegato destro malato è stato lasciato in sede per aiutare l’organo trapiantato a svolgere le sue funzioni. E nel frattempo la porzione sana ha iniziato a rigenerarsi, aumentando velocemente di volume. Dopo due settimane il paziente è stato sottoposto a una Tac per verificare le dimensioni raggiunte dalla porzione di fegato sana, e avendo constatato che l’organo aveva raggiunto più del doppio del volume iniziale, ed era quindi in grado di sostenere la vita del paziente, i medici di Padova hanno dato il via libera per la seconda fase dell’intervento: la rimozione del fegato metastatico. L’intervento è stato realizzato interamente con tecnica mini-invasiva, e si è rivelato un successo: il paziente – spiega l’azienda ospedaliera di Padova – è tornato a casa e oggi ha ripreso le sue normali attività.
miracoli di qualità
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𝗠𝗘𝗥𝗖𝗬 𝗕𝗥𝗢𝗪𝗡: 𝗜𝗟 𝗣𝗥𝗜𝗠𝗢 𝗩𝗔𝗠𝗣𝗜𝗥𝗢 𝗔𝗠𝗘𝗥𝗜𝗖𝗔𝗡𝗢
Chissà che cosa passò nella mente degli uomini che il 17/03/1892 varcarono la soglia del cimitero di Exeter, Rhode Island, con l'obiettivo di esumare i corpi di Olive, Elize e Mercy Brown. Immagino che fossero terrorizzati, seppur motivati dalla fede cristiana che li aveva spinti fin lì; in fondo, dal loro punto di vista, l' abominevole azione che erano in procinto di compiere serviva a salvare una vita: quella di Edwin, figlio di Olive e fratello di Elize e Mercy.
Egli era da tempo malato di tisi, la stessa patologia che, nel giro di una manciata di anni, si era portata via entrambe le sorelle e la madre. La coincidenza non era passata inosservata ai membri della piccola comunità di Exeter, che in essa avevano scorto lo zampino del Male. La convinzione che una delle tre defunte, sotto forma di vampiro, si fosse presa la briga di spargere il morbo all'interno dell'onesta famiglia dei Brown, era finita col diventare una tetra certezza. Così, dopo non poche pressioni, George Brown, padre di Edwin, aveva autorizzato l'esumazione delle defunte.
La macabra operazione era avvenuta sotto gli occhi degli abitanti e del medico del paese. I corpi di Olive e di Elize presentavano tutti i segni tipici della decomposizione: furono così rapidamente riposti nel luogo da cui erano stati strappati. Quello di Mercy, però, appariva fin troppo ben conservato; le unghie e i capelli erano cresciuti e, particolare agghiacciante, l'area intorno alla bocca presentava evidenti tracce di sangue.
Oggi la scienza può spiegare tutti questi fenomeni senza necessariamente associarli al paranormale ma, agli occhi degli abitanti di Exeter, la salma di Mercy dovette rappresentare un'inequivocabile conferma di ciò che già sospettavano. Procedettero quindi a ficcarle un paletto nel petto, le asportarono il cuore ed il fegato e, dopo averli ridotti in cenere, li mescolarono a un tonico che avrebbe dovuto guarire il povero Edwin.
Il tonico naturalmente non funzionò: Edwin si spense a distanza di poche settimane. Ma il mito di Mercy Brown, primo vampiro d'America, permane fino ai giorni nostri.
Art by Carlyn Beccia
𝗦𝗲 𝘃𝗼𝗹𝗲𝘁𝗲 𝘀𝗰𝗼𝗽𝗿𝗶𝗿𝗲 𝗮𝗹𝘁𝗿𝗲 𝘀𝘁𝗼𝗿𝗶𝗲 𝗶𝗻𝗾𝘂𝗶𝗲𝘁𝗮𝗻𝘁𝗶 𝗮𝗺𝗯𝗶𝗲𝗻𝘁𝗮𝘁𝗲 𝗻𝗲𝗹𝗹’𝗔𝗺𝗲𝗿𝗶𝗰𝗮 𝗱𝗶 𝗳𝗶𝗻𝗲 𝗢𝘁𝘁𝗼𝗰𝗲𝗻𝘁𝗼, 𝗽𝗼𝘁𝗲𝘁𝗲 𝗮𝗰𝗾𝘂𝗶𝘀𝘁𝗮𝗿𝗲 𝗶𝗹 𝗹𝗶𝗯𝗿𝗼 𝗜 𝗠𝗶𝘀𝘁𝗲𝗿𝗶 𝗱𝗲𝗹 𝗙𝗮𝗿 𝗪𝗲𝘀𝘁, 𝗰𝗵𝗲 𝘁𝗿𝗼𝘃𝗮𝘁𝗲 𝗮 𝗾𝘂𝗲𝘀𝘁𝗼 𝗹𝗶𝗻𝗸: https://amzn.to/3Qd9yFr
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Curati che è meglio
Stamane ero già online nel pc del lavoro 10 minuti prima dell’orario e ho trovato questo commento su un commento di una discussione che stavo facendo sui generi che tanto è in auge adesso, il mio commento è derivato dai miei pensieri ed espone la mia preoccupazione sulla questione della parola “persone” nel primo articolo della carta dei diritti umani. La mia risposta è stata diretta e incazzata, non ho avuto risposta. non capisco perché le persone a random leggono una cosa, non la capiscono e pensano subito che tu sei malato o che dovresti appunto farti curare. Penso che ci sia oramai un corto circuito collettivo che attraverso i social prende forma in frasi assurde come quella, ci sono persone che non hanno un cazzo da fare e sentenziano solo perché hanno una connessione e un account e non perché hanno qualcosa da dire che possa essere quanto meno interessante, non dico che devono scrivere pensieri filosofici alti, ma un minimo di contegno. Come si fa a giudicare una persone se neanche la si conosce, solo per una frase scritta; io non giudico, non mi interessa, non voglio perdere tempo con persone che non hanno niente da condividere con me se non il loro fegato marcio perché non hanno una vita come quella di un film, oppure perché la vita non gli ha dato quello che volevano, come se è la vita a darti e non tu a conquistartelo con tenacia perché lo vuoi. Questo aspetto l’ho notato molto in tantissimi italiani, aspettano che gli piove qualcosa in testa, sembra un pò come “madonna che silenzio c’è stasera” dove il grande Nuti o vinceva al totocalcio o andava in Perù e non ricordo l’ultima opzione, ma tutte cose che non hanno a che fare con lo sforzo di imparare o di darsi da fare, poi si lamentano come se avessero tutte le disgrazie del mondo loro perché ogni minima cosa è buona per fermarsi e non fare niente. Io sono un terrone e mi sono sentito dire più di una volta che sono atipico, soprattutto al nord, perché mi davo da fare e volevo fare, a Catania il lavoro non mancava bastava accontentarsi di uno stipendio in nero e basso, ma io volevo di più e sono andato via. Non so neanche io cosa fa la tipa del commento, ma non la giudico perché non la conosco neanche, infatti il mio commento era attinente a quello che ha scritto lei, come non giudico mai per l’aspetto una persona, che colpa ne ha uno se è grasso/basso/alto/magro/stempiato/pelato ecc ecc. Anche quella cosa del boiler challenge che sembra sia sfumata, fortunatamente, mi è capitato di andare a letto con una donna in carne e devo dire che a parte la questione estetica il resto è uguale, anche con una definita brutta dagli altri, perché la mia filosofia è guardare attraverso l’aspetto se c’è della sostanza, in questi due casi che ho sopracitato erano delle donne molto intelligenti ed era bello parlare con loro, va bè una è anche cantante lirica quindi si parlava di musica, si era anche pensato di fare qualcosa, ma quando lei mi propose un lavoro e capii che lo faceva solo perché si era innamorata, chiusi il rapporto, per me era sesso e poi sapeva bene che ho famiglia. Sono sulla strada buona, ma sono solo, questo la dice lunga su come si vive quando la si pensa fuori dal coro, come dice il detto meglio solo che male accompagnato e onestamente preferisco così. Spero che i ragazzi facciano una vita come si deve e che mi pensino ogni tanto positivamente spero.
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Memorie dal Sottosuolo- Fedor Dostoejevskij
·"Sono un uomo malato. Sono un uomo maligno. Non sono un uomo attraente. Credo che mi faccia male il fegato. Del resto, non me ne intendo un'acca della mia malattia e non so con certezza che cosa mi faccia male. Non mi curo e non mi sono curato mai, sebbene la medicina e i dottori li rispetti. Inoltre sono anche superstizioso all'estremo; bè, almeno abbastanza da rispettare la medicina ( Sono ufficialmente istruito per non essere superstizioso, ma sono superstizioso). Nossignori, non mi voglio curare per malignità. Voi altri questo, di sicuro , non lo vorrete capire. Ebbene io lo capisco. S'intende che non saprei spiegarvi a chi precisamente io faccia dispetto in questo caso con la mia malignità, so benissimo che anche ai dottori non posso in nessuna maniera " fargliela" col non curarmi da loro, so meglio d'ogni altro che con tutto questo danneggio unicamente e solo me stesso e nessun altro. Ma tuttavia, se non mi curo, è per malignità! Se mi fa male il fegato, ebbene, mi faccia ancora più male!”
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Un bambino predestinato nell'Amore/1
In questo triduo pasquale ci facciamo accompagnare sul Calvario, sino alla Risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo, da un piccolo bambino di nome Antonio Terranova. Salito al Cielo a soli otto anni, Antonio ci insegna a camminare dietro a Gesù: Colui che ha amato sino a condividerne la Passione e morte sulla sua pelle, diventando così Luce e Pane di vita per tutti, proprio come Gesù.
di Costanza Signorelli (01-04-2021)
Quando alle ore 12:10 di mercoledì 14 luglio 2004 Antonio Terranova venne al mondo, presso l’ospedale civico di Palermo, mamma Monica e papà Giuseppe non potevano sapere che quel piccolo frugoletto era stato scelto da Dio Padre sin dall’Eternità per un progetto d’amore meraviglioso.
Eppure i segni di una particolare predilezione del Cielo iniziarono sin da subito, nascosti nella semplicità e nelle delicatezze della vita, proprio come piace fare a Dio con i suoi piccoli.
“Quando nacque Antonio – racconta mamma Monica - mi ricordo che la stanza si riempì subito di persone: nonne, zii, suoceri, amici di ogni tipo…. C’era veramente una gran folla di gente, che andava e veniva ad ogni ora, e stranamente nessuno dell’ospedale la allontanava, tanto che io ne rimasi meravigliata. Sembrava nato il Bambinello”.
Antonio era un bimbo sano e paffutello, con i capelli biondi e gli occhi verdi, color della speranza. Da subito manifesta un carattere solare, Antonio infatti è sempre allegro e sorridente e ama molto stare in compagnia del prossimo: “Sin da piccolissimo ci riempiva la casa di persone. E quando arrivavo all’asilo a prenderlo, quasi sempre lui si era già accordato con qualche genitore affinché il loro figlio venisse a casa nostra. Aveva un modo di fare così entusiasmante e coinvolgente che nessuno sapeva resistergli”.
Non era un caso poi che mamma Monica scoprisse che Antonio si andava a scegliere i bambini più bisognosi o quelli che lui percepiva essere in difficoltà: aveva un autentico fiuto per il prossimo, era come se sapesse leggere nei cuori.
Questo suo dono era ancora più evidente quando lo si vedeva in relazione con le persone adulte: “Antonio non aveva quella sorta di egocentrismo tipico dei bambini e poche volte l'ho visto fare un capriccio. Sapeva ascoltare tutti, grandi e piccoli, e in tutti lasciava un segno. Ricordo che una volta, quando già era malato, un dottore mi disse: “Non è possibile che io stia parlando con un bambino di sei anni e mezzo!" era incredulo che un bimbo di quell'età potesse fare certe domande e ascoltare con tranquillità certe spiegazioni”. Antonio, infatti, volle sapere tutto sul suo male e i medici si trovarono costretti ad informarlo su ogni cosa ottenendo in cambio la sua collaborazione e gratitudine.
GESÙ IN PERSONA COME MAESTRO
Quanto al rapporto con Dio, Antonio crebbe piuttosto a digiuno: “In quel tempo - continua Monica - la nostra famiglia non frequentava la Chiesa, eravamo la classica famiglia che va a Messa quando ci sono matrimoni e funerali”. Ma questo non impedì a Gesù di conquistarsi il cuore del suo bambino e di plasmarlo a sua immagine ancor prima che ciò fosse visibile e comprensibile al mondo, a partire dai suoi stessi famigliari.
Solo a posteriori i suoi genitori compresero che certe cose che loro figlio diceva o faceva avevano una ragione molto più profonda di quella che loro potessero immaginare. Come quel giorno in cui il bimbetto, che ancora non era malato, camminava così assorto nei suoi pensieri, che alla mamma venne spontaneo domandargli a cosa stesse pensando di tanto importante. Antonio la guardò con i suoi occhioni limpidi e d'improvviso le disse: “Mamma, ma come fanno le persone che non credono in Gesù?”.
La mamma rimase di sasso e non seppe cosa rispondere, anche perché, il rapporto con Dio, era l’ultimo dei suoi pensieri in quel momento. Non era così, però, per il suo piccolo figlioletto, che Gesù in persona stava, segretamente preparando ad una speciale missione, attraverso lo Spirito Santo.
E poiché al Maestro piace rendersi presente nella comunione tra i fratelli – “Li inviò a due a due avanti a sé” (Lc 10,1) – non fece mancare ad Antonio il dono di un’anima che gli fosse quasi gemella nel cammino di fede. Alla scuola elementare infatti, Antonio ebbe per maestra una donna profondamente cattolica che, poco dopo aver preso in carico la sua classe, si trovò ad affrontare la terza recidiva di un tumore maligno. La sua grandissima fede unita alla Croce, che ella aveva deciso di abbracciare con amore, fecero sì che Ina (così si chiamava) avesse l’urgenza di comunicare ai bambini un solido rapporto con il Cielo ed un concreto senso della Vita Eterna.
“Spesso trovavo sui quaderni di Antonio la scritta “Ina ti amo”, “Ina ti voglio tanto bene”, Antonio aveva un legame tutto speciale con lei e lo capii davvero quando partì per il Cielo”. Quando infatti Ina seppe che per Antonio non vi erano più umane speranze di guarigione, lei che aveva lottato per anni come un leone contro il suo male, confidò ad una collega: “Se Antonio sta andando, devo andare prima io: devo essere io ad accoglierlo in Cielo!". E così accadde. “Noi volevamo tener nascosta la sua morte ad Antonio – spiega la mamma- per non pesarlo di questa ennesima sofferenza, ma un bel giorno scoprimmo che Antonio, inspiegabilmente, sapeva già sapeva tutto”.
LA MISSIONE HA INIZIO
Il 21 Maggio del 2011, all’improvviso, si scopre il peggio: Antonio ha 10 cm di massa tumorale in un fegato cirrotico e gravemente compromesso. La situazione è così grave che i medici parlano di pochi mesi di vita, forse due. Non solo, il piccolo necessita di un trapianto di fegato immediato, ma le aspettative di vita sono così basse che l’ospedale non vuole nemmeno inserirlo nella lista d’attesa dei trapianti.
“Nonostante non potessi dirmi una credente praticante - continua la mamma - la prima cosa che pensai nell’istante in cui ci comunicarono di Antonio, fu: “Allora Dio non esiste”. Mi venne d’improvviso questo pensiero, che subito venne scacciato da un secondo pensiero: “Dio esiste e l’unica cosa che posso fare è sperare in Lui”. Non so spiegare nemmeno io cosa mi accadde, ma è come se dentro di me scattò qualcosa che mi donò una grande speranza. Quando ci trovammo davanti al medico, mi uscirono queste parole: "Dottore lei ha fede?". Lui mi rispose: "No, ho visto morire troppe persone per avere fede". Io lo guardai e gli dissi: "Io invece sì. Lei deve mettere mio figlio in lista d'attesa e mio figlio ce la farà".
Ciò che accadde poi fu qualcosa di prodigioso: in poco tempo trovarono un fegato perfettamente compatibile con quello di Antonio ed il chirurgo stesso rimase sbalordito di come il trapianto riuscì alla perfezione, con una semplicità che mai si sarebbe immaginato. Questa fu una prima grande grazia perché, sebbene l’operazione non guarì la malattia, che presto si ripresentò con una diffusa metastasi ai polmoni, essa regalò ad Antonio un anno in più di vita: “Il Signore ci ha donato la grazia del tempo. Così noi abbiamo avuto tempo per comprendere, tempo per fare un profondo cammino di fede, tempo per passare dal rifiuto totale, al momento in cui alzando gli occhi al Cielo dissi: "Signore io umanamente, come mamma, desidero che mio figlio resti con me e guarisca, ma se la Tua volontà non è questa, fai Tu, perché Tu sai ciò che io non so".
IL GETSEMANI DI ANTONIO
All'inizio Antonio prese la malattia quasi per gioco, riceveva molte visite e regali e lui, tutto sommato, stava ancora bene. Poi le cose cambiarono drasticamente. Il tempo trascorso in ospedale iniziò ad essere quasi continuo, tanto che un giorno guardando fuori dalla finestra Antonio lanciò un grido, che però non partiva dalla bocca, ma dal profondo del cuore: "Io cosa ci faccio qua? Io dovrei essere a scuola, a giocare con gli altri bambini. Perché sono qui?".
Per il bambino inizia un periodo breve, ma durissimo. “Ricoverati all’Ismett (Centro Trapianti) - racconta la mamma - ogni mattina dovevamo scendere nella stanza dove tutti i bambini facevano i prelievi del sangue: fu per lui un’esperienza veramente traumatica. Ciò che più lo straziava era sentire ogni volta le urla dei bambini che piangevano disperati: “Mamma vai a consolarli, ti prego non farli piangere!”, mi supplicava per quei piccoli, noncurante che, di li a poco, sarebbe toccato a lui”.
Ogni mattina si consumava una tragedia, sino a che un giorno Antonio non ce la fece più, prese in mano il Crocifisso di San Benedetto, lo strinse forte forte tra le mani, e iniziò a gridare: “Gesù dove sei? Sei tu che mi devi aiutare! Io ho sempre creduto in te, ma se ora tu non mi aiuti, io a te non ci credo più”. Tutto questo avveniva sotto gli occhi disperati degli infermieri e dei parenti che non riuscivamo più a calmarlo.
(CONTINUA...)
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31 mar 2021 16:40
“MA SE CONTANO SOLO I GIOCATORI, PERCHÉ CERTI ALLENATORI GUADAGNANO TANTO?” - ARRIGO SACCHI COMPIE 75 ANNI E SI SCAGLIA CONTRO I RISULTATISTI ALLEGRI E CAPELLO - "SIAMO RIMASTI AGLI ANNI 60-70. VALE QUELLO CHE MI DISSE PELÉ A EURO 2000: 'AVETE BRAVI GIOCATORI, MA VI RIFIUTATE DI GIOCARE'”. IL RAMMARICO PER USA ’94, L’ELIMINAZIONE A EURO ’96 (“COLPA MIA. NON ERO SUL PEZZO COME UNA VOLTA”) – "BERLUSCONI MI VOLEVA A MONZA, CON VILLA E MAGGIORDOMO" – MINA, VAN BASTEN, I TUNNEL DI CAPELLO, I CONSIGLI A GUARDIOLA - VIDEO
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Luigi Garlando per "la Gazzetta dello Sport"
Tra i bagolari, i lecci e le querce secolari del suo giardino, Arrigo Sacchi si sente un ragazzo. Domani l'allenatore italiano, che più ha inciso nella storia del calcio, compie 75 anni.
Com' era il primo Arrigo?
«Magrolino, figlio della paura. Durante la guerra mio padre pilotava gli aerei siluranti a pelo d'acqua. Gli sparavano le navi dal basso e i caccia dall'alto. Se n'è salvato uno su cento. Mia madre era la Reginetta di Maiano Monti, perché non si voleva spostare dalla frazione dov' era nata. Abitavamo davanti alla casa natale di Vincenzo Monti. Mi sgridava perché da bambino tifavo per l'Ungheria di Puskas: "Arrigo, sono tutti comunisti!" Ma giocano bene, mamma».
Bambino interista, giusto?
«A 14 anni ero all'Appiani per Padova-Inter, novembre '60. Uno spettatore da dietro mi tirò giù il berretto sugli occhi. Primo anno del Mago. Era partito fortissimo: 5 gol all'Atalanta e al Vicenza, 6 all'Udinese... Attaccava sempre, come in Spagna. Attaccò anche a Padova dopo essere passato in vantaggio. Il Padova di Rocco passò la metà campo 5 volte, segnò 2 gol e prese un palo. Il giorno dopo Brera e colleghi gli tolsero la pelle: sprovveduto, minus habens tattico... "Ah sì? Questo volete? E io ve lo do". In quello stesso mese si fece comprare Balleri dal Toro, lo mise dietro e sterzò verso il calcio all'italiana».
Che giovane calciatore era?
«Gli amici mi chiamavano Angelillo, mi piaceva. Gli ho visto fare un gol assurdo a Bologna, dalla linea di fondo. Ho cominciato in attacco, poi una poco gloriosa ritirata: ala destra, mediano, terzino... Quando Pivatelli, pochi mesi dopo aver vinto la Coppa Campioni col Milan a Wembley, mi mise in panchina, ho smesso. Al Baracca Lugo, da numero 4, marcai Capello, 10 della Spal».
Come andò?
«Nel primo tempo mi fece due tunnel a chiamata. Annunciava: "tunnel!" e me la faceva passare tra le gambe. Nell'intervallo giurai: se lo rifà, picchio...»
L'inizio di un amore... Ora le fa i tunnel in tv con Allegri.
«Guardi, con 27 anni di stress mi sono pagato la serenità assoluta oggi. Loro sono bravissimi, io non provo nessun fastidio. Ho solo un paio di dubbi. Dicono che mettono al centro il giocatore. Ma se lo mettono in campo così com' è, non gli vogliono poi tanto bene. Io cercavo di migliorare il giocatore attraverso il gioco. Forse gli volevo più bene io».
Il secondo dubbio?
«Ma se contano solo i giocatori, perché certi allenatori guadagnano così tanto?».
Beatles o Rolling Stones?
«Preferivo gli italiani: Modugno, Mina che venne a cantare nel cinema di Fusignano, dove è cresciuta Lara Saint Paul. Suo padre era del mio paese. Ricordo i ragazzi in piazza attorno alla Jaguar E-Type di Little Tony, quella di Diabolik».
Ha fatto la Contestazione?
«L'ho subita. A 19-20 anni ho sostituito mio padre che aveva grossi problemi al fegato e ha passato 9 mesi in ospedale a Bologna. Era il socio di maggioranza di una fabbrica di scarpe. Allora le condizioni di lavoro erano davvero dure. Le operaie addette alle vulcanizzate lavoravano mezze nude a 70-80 gradi di temperatura».
L'amore?
«A Cesenatico, nel locale di Giorgio Ghezzi, "Il peccato veniale". La Giovanna era bellissima, l'ho vista, ho fatto il cretino e pochi mesi dopo ci siamo sposati. Aveva 22 anni».
Nel '76, a 30 anni, prima panchina fuori Fusignano
«Ad Alfonsine avevano picchiato quasi tutti gli allenatori precedenti. Io partii male, poi bene, poi male, poi bene... Comunque non mi picchiarono. Avevo preso il patentino a Ravenna da un maestro mica male: Silvio Piola. Mi dissi: se non faccio il salto a fine stagione, smetto. Arrivò l'offerta del Bellaria, in quarta serie».
Nell'86, a 40 anni, da allenatore del Parma, ha fatto innamorare Berlusconi. Lo sente? «Ogni tanto. Una delle ultime volte mi ha detto: "Arrigo, venga a fare il direttore tecnico al Monza. Le do una villa e un maggiordomo..." No, grazie, presidente: è tardi. Sono contento che stia meglio».
Anche Galliani.
«Adriano mi ha fatto spaventare. Mi ha detto che era asintomatico. Qualche giorno dopo mi ha scritto che aveva sempre la febbre, poi ha smesso di rispondermi. Finalmente, una mattina, mi sono arrivate tre faccine gialle con il cuore, tre bacini. Un grande dirigente».
Scelga un momento solo di Milan che la lega a Galliani.
«Per me quattro anni sono stati un momento solo».
Si aspetta gli auguri di compleanno da Van Basten?
«A Natale me li ha fatti. Ricordo Rijkaard seduto sugli scalini del Bernabeu che portavano al campo. Era immerso nel fumo della sua sigaretta, preoccupatissimo, pochi minuti prima del Clasico . Lui allenatore del Barcellona, io direttore tecnico del Real Madrid. Lo calmai: "Tranquillo, Frank. Vincete facile, non siamo competitivi". Florentino Perez ascoltò e mi chiese: "Ma lei sta con noi o con loro?". Il Barça vinse 3-0».
Nel '96, a 50 anni, con l'eliminazione dall'Europeo, finiva la sua Italia
«Colpa mia, contro la Repubblica Ceca ci misi un quarto d'ora a fare la sostituzione dopo l'espulsione di Apolloni. E loro segnarono il 2-1. Non ero sul pezzo come una volta. Non ero già più quello di prima».
In quei giorni ci fu un sollevamento popolare a favore di Cesare Maldini. Tirava un'aria che in parte tira anche oggi: nostalgia di un calcio più semplice e più italiano.
«Siamo rimasti agli Anni 60-70. Vale quello che mi disse Pelé a Euro 2000: "Avete bravi giocatori, ma vi rifiutate di giocare". Un anno fa rigiocammo la finale del '94. Franco Baresi si sfogò: "Mister, nessuno ricorda più la nostra Nazionale. Eppure perdemmo in finale ai rigori, in un torneo massacrante.
Mai una squadra europea era arrivata così vicina a un Mondiale fuori dall'Europa". Ha ragione. La sofferenza di quei ragazzi fu un'impresa etica. Meritavano un riconoscimento di Stato come altri: una nomina a cavaliere, commendatore... A Pasadena c'erano un sacco di politici. Avessimo vinto, sarebbero tornati in aereo e noi a nuoto. Resta il mio più grande rammarico».
Quale?
«Non essere riuscito a far capire quanto vale il merito. Vincere non basta, devi meritarlo».
Un errore tornare al Milan nella stagione '96-97?
«Pensavano di curare un malato grave con l'aspirina. Mancava il gruppo, lo spirito di squadra e perciò mancava tutto. Sbagliai anch' io. Avrei dovuto fare come a Parma nel 2001».
Cioè?
«Ritrovare gli uomini prima dei giocatori. Al primo giorno dissi: "Oggi niente allenamento. Sedetevi sul prato e ognuno mi spieghi perché tanti bravi giocatori faticano a vincere". Parlarono tutti. Thuram, Cannavaro, Buffon... Pareggio a San Siro con l'Inter, pareggio con Lecce su errore di Buffon che venne a chiedermi scusa. Alla terza, vittoria a Verona. Ma lì mi spaventai: non provai la minima gioia. Come bere un bicchiere d'acqua. Ero vuoto. Ero arrivato. Telefonai a mia moglie: "Torno a casa. Smetto"».
Chi guarda per divertirsi?
«Il Bayern gioca bene, anche il Manchester City da quando ha ripreso a pressare. Guardiola mi chiamò a novembre, nel momento più critico. Glielo dissi: "Non pressi più". Pep migliora i campionati in cui gioca, perché trasmette conoscenze e coraggio. Come faceva il mio Milan. Infatti in quegli anni vincevano in Europa anche le altre italiane. Negli ultimi 10 anni non ha vinto nessuno.
Atalanta e Milan sono le squadre che giocano meglio. Ammiravo già Pioli, ma non aveva mai trasmesso un'identità così forte a una sua squadra. Lo Spezia, con l'Atalanta, fa il pressing più sistematico. Nessuno ha 11 uomini sempre attivi come Gasperini. Conte è sulla strada giusta, si vede che si sforza e lotta contro qualche vecchia abitudine».
Sacchi, teme la morte?
«Non è un pensiero che mi pressa. Neppure la malattia, neppure il Covid. Faccio quel che devo per evitarlo, a giorni mi vaccino. Curo l'alimentazione e la buona forma. Ogni giorno mountain-bike o passeggiata o cyclette se fa freddo. Tre volte a settimana palestra per addominali e qualche peso. Non sono più in grado di sfidare Davids a chi si tira su più volte alla sbarra con un braccio solo, ma a volte esagero ancora... Un giorno gliel'ho spiegato a Berlusconi: "Presidente, io sono del partito del melius abundare quam deficere".
Lui rispose: "Anch' io, Arrigo. Io e lei siamo uguali". È vero, mi ordinò di conquistare il mondo con un Milan quinto in Italia. Gli altri ridevano, a me stava bene. Avevo la sua visione. Ho la salute, il tempo per fare tante cose, due nipotine dolcissime e un nipote che a 3 anni corre più di Forrest Gump. Ha i capelli rossi. Un mediano. Gliel'ho detto: con 27 anni di stress mi sono guadagnato una bella serenità».
E Dio?
«Lo prego ogni sera, vado in chiesa. So di avere qualcosa da farmi perdonare. E non è il gioco. Vorrei solo avere più fede. Non riesco a credere che possa esserci qualcosa dopo la vita. Ma mi auguro di sbagliarmi». Dicono che badi al merito. «Speriamo. Almeno lui». Buon compleanno, Arrigo.
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Elle-di, una guarigione integrata
Tempo di lettura: 4 min
Mai come in questo momento, di stravolgimento di ciò che conoscevamo come “normalità,” c’è la necessità di prendersi cura di se stessi e del proprio stato di salute generale. Vi presentiamo qui un’esperienza concreta, in cui una donna ha affrontato alcune disfunzioni psico-fisiche indotte tra le altre cose dall'ansia e dallo stress quotidiano, attraverso la riflessologia, l’osteopatia, la nutripuntura, e lo yoga, riportando così la sua vita in uno stato di armonia e di benessere.
"Entro per la prima volta nel centro di medicina integrata Elle-di a febbraio del 2019. Nella vita insegno yoga e la mia visita da Elle-di si è avvenuta per proporre le mie classi nel centro. L’incontro va a buon fine ed inizio ad insegnare e frequentare gli spazi e l’ambiente medico.
Mi confronto con il Dottor Pacilio, medico fisiatra, reumatologo, con 40 anni di esperienza alle spalle che mi illustra la filosofia del Team, conosco Marco Casagrande, fisioterapista e Osteopata. E, a giro, entro in contatto con molti dei professionisti che operano al Centro. La Dottoressa Giannarini, allergologa, il Prof. Lombardi, otorino, il Prof. Strollo, endocrinologo, conosco la Psicotrepeuta Stefania Cardellicchio. Le logopediste, le Dottoresse Cardinale e Russo, la psicomotricità Huber. Mi intrattengo con la nutrizionista Laura Russo e con l’estetologa Rosa Casilli.
Credo davvero di averli conosciuti tutti. Tutte persone, e professionisti, disponibili, gentili e soprattutto capaci. Mi trovo bene e mi incuriosisco. Mi avvicino quindi, ma solo successivamente, alla medicina “complementare, integrata”. Non avevo ancora capito cosa c’era di diverso rispetto a tutti gli altri centri medici sul territorio. Medicina integrata vuol dire, in soldoni, che la medicina “ufficiale” va d’accordo con le discipline riconosciute come “olistiche”. Ed è in questo campo, nell’oriente, che avvengono gli incontri che più di tutti restano nel mio percorso di guarigione e crescita da Elle-di.
Il primo incontro
è stato con Francesca Fischietto, multi-riflessologa facciale e plantare. Erano anni che volevo provare, mi interesso a lei, alla disciplina e decido di tuffarmi, di provare. Come dicevo prima, mi sono presentata al centro senza nessuna patologia diagnosticata, ma, credo come tutti, soffrivo di alcuni disturbi con cui stavo imparando a convivere. Ed ecco: Riflusso gastrico, coliti, problemi con il glutine, e qualche ciste ovarica, mestruazioni irregolari. Tutto nella norma, mi sembrava, avevo accettato di poterci convivere.
Inizio a frequentare il centro una volta a settimana e a sottopormi a trattamenti di riflessologia plantare e facciale. Non si è trattato di un semplice incontro fisico con l’operatrice, di un massaggio ai piedi, ma di una vera e propria esperienza. E posso dire che già dopo il primo trattamento ho iniziato a sentire una nuova vitalità nel mio corpo. Con curiosità ho continuato ad affidarmi all’esperienza di chi ne sa più di me e iniziamo a lavorare sulle zone riflesse e sul carico anche emotivo che gli organi portano su di se. In particolare fegato ed intestino. Lavorare sul fegato per esempio, per me, è significato fare i conti con la mia rabbia. Stimolare l’intestino, è significato osservare la mia emotività. Questo duplice lavoro mente-corpo, tipico della medicina olistica-complementare, mi ha permesso in meno di 8 sedute di purificarmi, di ritrovare il mio equilibrio psico fisico e di essere inconsapevolmente pronta per la seconda parte del mio percorso.
L’incontro con la nutripuntura.
Durante un Openday di medicina integrata ad Agosto del 2019 incontro Nicoletta Berlingeri. L’incontro che mi ha cambiato la vita. Nicoletta è una Naturopata, una delle poche nutripuntrici italiane.
Mi dice “Conosci la nutripuntura? Ti va di vedere cosa fa? Vuoi fare qualche test?”. “Perché no?”, mi dico.
Iniziamo allora con un test kinesiologico, poi un test di calligrafia. Nel giro di quattro domande e due test Nicoletta capisce il miei punti deboli in quel momento. Mi propone un primo processo di cambiamento legato sulla sessualità, legato al maschile e al femminile.
Non capivo, ma sentivo che ero sulla strada giusta. Per me lavorare sulla sessualità è significato lavorare sui condizionamenti; su tutte le conseguenze che porta non vivere il sentire in modo sano e osservare le somatizzazioni che accumuliamo quando non siamo liberi di vivere il nostro essere. È significato sanare le ferite emotive legate all’infanzia attraverso un lavoro sul corpo, con il corpo, attraverso il corpo e grazie alla mente.
Mi suggerisce quindi una sequenza di nutri ed inizio il primo ciclo per un mese. Dopo un mese, mi sento cambiata, non so bene descrivere come, ma la mia vita cambia piega. Nelle relazioni, nel lavoro, del quotidiano. Con il tempo il ciclo mestruale inizia a sincronizzarsi con il ciclo lunare, mestruazioni in luna piena, ovulazione in luna nuova. Non potevo crederci. Procedo e andiamo con una secondo protocollo. Affrontiamo la gastrite lavorando sul nutrimento, a partire da quello infantile, altro ciclo di nutri e scopro che il grano non mi fa più male quanto prima e sparisce l’acne di cui soffrivo da 15 anni.
C’è da dire che detta così può sembrare una storiella di magia e miracoli, non è assolutamente così, c’è stato molto impegno e soprattutto costanza sulla guarigione o come dice la medicina cinese, “processo di cambiamento”. Non è stato un “prenditi questa pasticca per tre giorni e addio”. Ma “incontriamoci oggi, domani mi dici come va, poi fra una settimana ci risentiamo e se serve aggiustiamo il tiro, poi vediamoci tra tre settimane e valutiamo”.
Il mio corpo è stato guidato nel suo viaggio dalla magnifiche luci dell’esperienza di Nicoletta verso il suo unico ed individuale processo di evoluzione.
Conosco dunque, e nel frattempo, Daniela Scordino,
il mio terzo incontro.
Un fiore di loto che con conoscenza e capacità mi ha accompagnata, e tutt’ora mia accompagna, nel liberare le tensioni nel corpo. Daniela è un’osteopata, e la contatto la prima volta per un dolore al braccio. Iniziamo con la cranio-sacrale. Mi fido, il suo tocco è morbido ma deciso, sa dove deve andare.
Mi tratta ed è stata un’esperienza bellissima, intensa, e ne ho sentito da subito i benefici. Il dolore al braccio era legato alla gruppo spalla, clavicola, torace. Mi tratta altre una, due volte nel giro di tre mesi e poi scopro che oltre ad essere fisioterapista ed osteopata, Daniela ha anche il terzo livello di Reiki.
Mi interessa tantissimo, voglio provare. Decidiamo di comune accordo che il trattamento poteva oscillare dall’osteopatia ad un livello più sottile a seconda delle necessità. Questa integrazione ha portato i trattamenti di Daniela ad avere un impatto decisamente prorompente su gli squilibri che di tanto in tanto mi caricavo addosso. Anche qui sono uscite tematiche simili a quelle problematiche che stavo affrontando con la nutripuntura, ma che necessitavano anche di un intervento manuale. Le ho potute osservare quindi anche da un’altra angolazione, con una consapevolezza rinnovata.
Ora so che non si guarisce in un giorno e soprattutto che non si guarisce un organo decontestualizzandolo, e che non si può approcciare al corpo se non osservandolo per quello che è: un SISTEMA INTEGRATO. Come tale è necessario e vitale approcciare all’essere allo stesso modo: integrandone le varie parti.
È importante inoltre specificare che l’efficacia dei trattamenti dipende anche dalla sensibilità dell’operatore che incontra la disponibilità del paziente alla fiducia e alla guarigione. Questo perché possiamo realmente guarire quando ci togliamo di dosso lo status da “malato” e smettiamo di identificarci con la malattia.
”Guai a quel medico che cura il corpo senza aver curato la mente, giacché da essa tutto discende” diceva Socrate citato da Platone. Io ero pronta a guarire con entrambi, corpo e mente. Ora, a distanza di un anno dall’aver messo piede nel centro ho cambiato radicalmente il mio modo di vivere.
Nonostante avessi già intrapreso questo percorso con lo Yoga e la bioenergetica, aver avuto la possibilità di integrare queste discipline ad altre ha accelerato di molto il mio processo di guarigione, e soprattutto di crescita personale. Certo, mi capita talvolta di avere mal di stomaco, o la colite, ma non dura più di 24 ore, ora so perché mi vengono e come mandarli via in modo naturale.
Sto imparando piano piano a diventare il medico di me stessa e questo lo devo alle persone dietro al camice che ho avuto la fortuna ed il piacere di incontrare da Elle-di."
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