#disparità sanitarie
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Sanità in fuga: il costo della mobilità dei pazienti e la sfida per le cure locali
Differenze regionali e strategie per ridurre i costi: il peso di 3 miliardi sulla sanità italiana
Differenze regionali e strategie per ridurre i costi: il peso di 3 miliardi sulla sanità italiana Il fenomeno della mobilità sanitaria, che vede molti pazienti spostarsi dalle regioni meridionali verso quelle settentrionali per ottenere cure migliori, rappresenta una delle principali criticità del sistema sanitario italiano. Questo flusso di pazienti costa al sistema sanitario circa 3 miliardi…
#accesso alle cure#Alessandria today#assistenza medica#assistenza sanitaria di qualità.#costi sanitari#cure a domicilio#cure locali#cure sotto casa#Diritto alla Salute#disparità regionali#disparità sanitarie#flusso di pazienti#Google News#Governo italiano#Investimenti Sanitari#italianewsmedia.com#manovra economica#Manovra finanziaria#medicina di prossimità#Medicina territoriale#mobilità sanitaria#nord italia#ospedali di comunità#ospedali eccellenti#Pazienti#Pier Carlo Lava#qualità delle cure#riduzione delle spese#risorse ospedaliere#sanità equa
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Da anni, nel dibattito politico italiano, è presente una retorica meridionalista che, in ultima analisi, tende a deresponsabilizzare le classi dirigenti regionali e locali rispetto ai profondi divari creatisi tra le diverse aree del Paese e all’effettivo utilizzo delle risorse. Questa narrazione spesso tende a mascherare i consistenti trasferimenti di risorse tra le aree del Paese, che hanno caratterizzato la politica centralista promossa dai vari schieramenti politici e che ha risposto, peraltro, correttamente, al nostro dettato costituzionale.
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Napoli, Casa delle Culture e dell'Accoglienza delle persone LGBTQI+: rinnovato l'accordo col Comune
Napoli, Casa delle Culture e dell'Accoglienza delle persone LGBTQI+: rinnovato l'accordo col Comune. È stato rinnovato l'accordo triennale tra Comune di Napoli e l'Associazione Antinoo Arcigay Napoli per la gestione, in compartecipazione, della Casa delle Culture e dell'Accoglienza delle persone LGBTQI+, sita in Napoli a Via P.co Carelli n. 8/c. La Casa delle Culture e dell'Accoglienza delle persone LGBTQI+ garantisce supporto psicologico e legale, accompagnamento ai servizi socio-sanitari, uno spazio dedicato all'orientamento e alla formazione al lavoro, protezione e accoglienza temporanea alle persone LGBTQI+ in condizione di fragilità socio-abitativa. "Prosegue la preziosa e proficua sinergia tra l'Amministrazione comunale e l'Associazione Antinoo Arcigay Napoli - ha dichiarato L'Assessore allo Sport e alle Pari Opportunità, Emanuela Ferrante - che, insieme, portano avanti l'attività di Casa delle Culture e dell'Accoglienza delle persone LGBTQI+. Abbiamo registrato un bilancio davvero positivo in termini di accoglienza, assistenza e tutela garantita alle persone LGBTQI+ vittime di violenza domestica o in condizioni di disagio economico. Sono fiera di poter dire che Napoli si distingue, ancora una volta, per essere una città inclusiva e schierata dalla parte delle persone vittime di disparità di trattamento e violenza a causa del proprio orientamento sessuale o della propria identità di genere." La Casa delle Culture e dell'Accoglienza delle persone LGBTQI+ è un progetto che nasce dalla collaborazione tra il Comune di Napoli e l'Associazione Antinoo Arcigay Napoli che, in qualità di capofila, opera insieme ai seguenti enti partner: A.P.S. Le Maree Napoli, Associazione Transessuale Napoli, Centro Sinapsi, Arci Mediterraneo Impresa Sociale SRL, Organizzazione di Volontariato Pride Vesuvio Rainbow, A.S.D. Pochos Napoli 2012, O.D.V. Agedo Nazionale, Famiglie Arcobaleno Associazione Genitori Omosessuali, Cooperativa Sociale Dedalus e Nefresh Onlus – Psicologi e Psicoterapeuti associati per la persona e le famiglie, con il supporto del Nuovo Teatro Sanità e dell'Ordine degli psicologi della Regione Campania. ... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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L'aspettativa di vita in Italia e nel mondo dopo il Covid
Qual è l'aspettativa di vita in Italia e nel mondo dopo il Covid? La risposta è in una nuova ricerca che ha definito la pandemia l'evento più grave degli ultimi cinquant'anni, guerre e disastri naturali compresi. Il risultato dello studio è stato una brusca inversione di tendenza rispetto agli ultimi anni. Pandemia da Covid: un vero e proprio tsunami Lo studio pubblicato su The Lancet, appartenente al programma di ricerca Global Burden of Disease Study, è considerato il bilancio più completo dell'impatto che la pandemia da Covid, vero e proprio tsunami, ha avuto finora sulla salute umana. I suoi dati sono aggiornati al 2021 e comprendono, per quanto riguarda le morti in eccesso causate dalla pandemia, non solo i decessi provocati direttamente dal Covid 19 ma anche quelli provocati indirettamente dal virus a causa di cure mancate per la paralisi dei servizi sanitari. La ricerca mette in relazione l'impatto avuto dal Covid con l'aspettativa di vita negli ultimi 70 anni. La pandemia da Covid 19 ha causato, tra il 2020 e il 2021, la morte di 16 milioni di persone in tutto il mondo. Un evento devastante che però non ha cancellato i progressi fatti, per quanto riguarda l'aspettativa di vita, a partire dal 1950. In questo lasso di tempo, infatti, l'aspettativa di vita è aumentata di quasi 23 anni. L'aspettativa di vita in Italia e nel mondo dopo il Covid Di contro, dal 2019 al 2021, il Covid ha ridotto di 1,6 anni l'aspettativa di vita globale. Secondo il co-primo autore del lavoro Austin E. Schumacher, dell'Institute for Health Metrics and Evaluation (Ihme) dell'università di Washington negli Usa "Durante la pandemia l'aspettativa di vita è diminuita nell'84% dei Paesi e territori, dimostrando il potenziale effetto devastante dei nuovi agenti patogeni". Mentre "tra i bambini minori di 5 anni i tassi di mortalità sono scesi del 7% dal 2019 al 2021, con mezzo milione di decessi in meno" nel periodo considerato, "nelle fasce d'età sopra i 15 anni - continua Schumacher - la mortalità è aumentata del 22% per i maschi e del 17% fra le donne", calcolano i ricercatori dell'Ihme. In particolare, "tra gli anziani la mortalità è cresciuta in un modo mai visto negli ultimi 70 anni". Secondo i ricercatori dell'Hime, Città del Messico, Perù e Bolivia sono alcune delle aree del pianeta in cui si è registrato un maggior calo dell'aspettativa di vita dal 2019 al 2021. La Giordania e il Nicaragua, invece, hanno riportato un elevato eccesso di mortalità in tutte le fasce d'età, causato dalla pandemia, che nelle analisi precedenti non era stato evidenziato. In Sudafrica, le province di KwaZulu-Natal e Limpopo hanno avuto tassi di mortalità in eccesso adeguati all'età tra i più alti e il maggior calo dell'aspettativa di vita in pandemia. Barbados, Nuova Zelanda e Antigua e Barbuda sono indicate, invece, come alcune delle zone con eccessi di mortalità più bassi. Prepararsi alla prossima pandemia Nonostante il pesante tributo in termini di vite umane pagato con la pandemia, i progressi fatti in 72 anni sono stati incredibili. La mortalità infantile, soprattutto, continua a calare a livello globale. Ci sono zone del mondo, come l'Asia meridionale o l'Africa sub-sahariana, in cui persiste ancora. Su quali debbano essere le priorità del prossimo futuro Hmwe Hmwe Kyu dell'Ihme, co-primo autore dell'articolo, ha le idee chiare: consolidare i successi raggiunti, prepararci alla prossima pandemia e affrontare le grandi disparità sanitarie tra i Paesi. In copertina foto di Luisella Planeta LOVE PEACE 💛💙 da Pixabay Read the full article
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I POVERI MUOIONO PRIMA
I comunisti e i problemi di oggi
Il caos sanitario in Italia
L'Unione Sovietica non spende in proporzione, per la tutela della salute, più dell'Italia. Spende come noi (e come la Cecoslovacchia, e come l'Inghilterra) il 4 per cento del proprio reddito nazionale. Perché, allora, i risultati sono diversi? Perché il nostro sistema sanitario a differenza degli altri paesi che spendono quanto noi, è in preda al caos continuo? In Italia, si giunge all'assurda situazione in cui i cittadini, in particolare i lavoratori, vengono defraudati della loro salute e costretti a vivere in condizioni ambientali spesso morbigene; vengono poi taglieggati nei loro guadagni con prelievi, per le pensioni e per le mutue, che sono percentualmente i più alti del mondo; e vengono infine curati male (spesso queste cure sono interrotte del tutto, per il dissesto delle mutue), ed appena escono dalla produzione ricevono pensioni minime di 12.000 o di 19.500 lire al mese, pensioni medie di 22.000 lire. La percentuale del salario prelevata per l'assicurazione contro le malattie, per esempio, è cresciuta continuamente in Italia, come mostrano i seguenti dati relativi ai lavoratori dell'industria:
Anno Contributi percentuali per le mutue 1943 4,70 1946 5,00 1955 6,93 1963 8,81 1966 12,61
Ma quale beneficio traggono i lavoratori, dal fatto che ogni 100 lire di salario versano 12,61 lire (tramite le trattenute padronali) per l'assistenza di malattia? L'assistenza è forse migliorata di tre volte, quanto cioè sono aumentati i contributi pagati dai lavoratori? La verità è che in Italia, dove l'estensione dell'assistenza sanitaria è avvenuta sotto la spinta di lotte sindacali e politiche, è sempre mancata da parte delle classi dirigenti ogni volontà di riforma in questo campo. Sono perciò in vigore norme assistenziali sperequatrici e complicate, carenze assai ampie di attrezzature e di servizi che suscitano profondo malcontento tra i lavoratori. Numerose categorie hanno diritto ad un'assistenza incompleta, vi sono differenze tra agricoltura e industria, ed i lavoratori autonomi (coltivatori diretti, artigiani, commercianti) hanno mutue che forniscono solo una parte delle cure. La molteplicità e la dispersione degli Enti, i diversi trattamenti all'interno dello stesso Ente, perfino la suddivisione delle malattie e dell'individuo malato in vari sottogruppi (malattia comune, tubercolosi, malattia professionale, malattia mentale: per ognuna una diversa istituzione!) provocano un'incertezza del diritto di accesso alle cure, oltre che una dispersione di mezzi e di attrezzature. Anche le indennità economiche dovute ai lavoratori in caso di malattia sono insufficienti, e presentano carenze, limiti temporali, disparità, condizioni contributive difficili da rispettare, tanto che il lavoratore rischia spesso di vedere decurtato il salario o di perdere le indennità proprio quando, essendo ammalato, si fanno maggiori le sue esigenze. Non esiste, più in generale, un << sistema sanitario >>, bensì una serie di istituzioni statali, parastatali, comunali e semipubbliche prive di collegamenti fra di loro. La prevenzione ambientale (quando esiste) è affidata allo Stato oppure ai Comuni. I ricoveri ospedalieri dipendono dalle Opere Pie e per alcune malattie dagli Enti assicurativi: la tubercolosi dall'INPS, gli infortuni sul lavoro dall'INAIL. Le attività ambulatoriali sono collegate alle mutue, oppure ai Comuni per gli iscritti negli elenchi dei poveri, e spesso dipendono da ambulatori privati. Le cure domiciliari sono prestate da medici convenzionati, che non sono né statali né liberi professionisti. Il pronto soccorso ed il trasporto dei malati è effettuato dalla Croce Rossa. I servizi sanitari di fabbrica dipendono quasi sempre direttamente dai padroni, e così via. Fra queste repubbliche autonome (o monarchie) alle quali è affidata la salute degli italiani, esistono barriere, separazioni talmente nette da non consentire alcun coordinamento, da divenire spesso ostilità, concorrenza, duplicazione di servizi. Vasti settori dell'assistenza restano peraltro quasi del tutto scoperti, come la tutela dell'infanzia, come la protezione sanitaria e sociale per gli anziani, come la prevenzione nei luoghi di lavoro, come il ricovero ospedaliero in vaste zone del Mezzogiorno e delle isole.
Continua...
Testo di Giovanni Berlinguer, 1968
-A cura della Sezione centrale stampa e propaganda del PCI
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la Sanità e le disparità di trattamento - di Massimo Maniscalco
“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo ed interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti[1]”. La Riforma Sanitaria (Legge 28\12\1978, numero 833), istituendo il Servizio Sanitario Nazionale[2], ha esteso l’obbligo dello Stato di assicurare le prestazioni sanitarie e farmaceutiche a tutta la popolazione passando ad un Sistema sociale…
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Promuoviamo volentieri questa iniziativa AIOM:
LGBT and cancer
I mercoledì dell’oncologia
Webinar Non ECM, 13 settembre 2023
dalle 17.00 alle 18.15
Link per l'iscrizione al Webinar gratuito:
https://www.aiom.it/eventi-aiom/2023-merc-lgbt-and-cancer/
"A partire dalle giornate dell’etica 2022, AIOM si è concentrata sulla tematica di oncologia e differenze di sesso e identità di genere, per affrontare con sempre maggior consapevolezza le sfide future contro ogni tipo di disparità e in favore dell’equità nei trattamenti e nelle diagnosi indipendentemente dal sesso, dall’orientamento sessuale e dal genere in cui ci si identifica. Questo impegno è scaturito nella pubblicazione della nostra review della letteratura, delle due survey agli operatori sanitari ed alle persone transgender/non-binary e a breve delle raccomandazioni AIOM su questo tema. Ma l’impegno non è finito e nuove progettualità sono in cantiere!"
#AIOM #oncologia #cancro #tumore #LGBTI #Amigay
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A causa dell'inflazione, gli italiani tornano a risparmiare
Gli italiani di fronte all’incertezza rispolverano le loro storiche abitudini e tornano a risparmiare o, almeno, a desiderare di risparmiare. Ce lo racconta Valentina Quaglietti, senior project manager di Nomisma che nel suo intervento “Il paradigma dei nuovi modelli di consumo alimentari”, al convegno dedicato al mondo pane e pasticceria, organizzato da Puratos, in collaborazione con Mark Up, sottolinea come da un lato le possibilità di spesa siano già diminuite a causa dell’inflazione; e dall’altro che il 2023 per il 39% si annuncia più difficile e complicato del 2022, mentre per il 32% sarà più facile arrivare a fine mese rispetto all’anno precedente. Nell’incertezza dunque si risparmia, un risparmio senza troppe rinunce per il 54%, che però focalizzandosi sul Sud Italia scende al 48%. I motivi? Per il 38% vale il “non si sa mai”, per il 23% gli imprevisti possono sempre accadere mentre specchio del nostro tempo è quell’11% che pensa alle spese familiari future come l’università per i figli o i badanti per i genitori, e il 7% per eventuali spese sanitarie future. Risparmiare però non è tranquillizzante, infatti, per un italiano su due è motivo di ansia e stress e per uno su quattro il timore è di non riuscire a mettere da parte nulla nell’anno in corso. Il problema è dove tagliare, il peso dell’energia si fa sentire e così, per il 54%, si punta a ridurre i consumi di gas e elettricità, ma anche al taglio del fuoricasa con il 52% che ridurrà i consumi in bar e ristoranti, il 48% dirà addio alla shopping therapy e comprerà meno abbigliamento e accessori, e il 41% taglierà su viaggi e vacanze. Andando a guardare il carrello della spesa, vediamo che la strategia di risparmio che va per la maggiore è quella antispreco, che vale per il 58% e per il 51%, invece, si fa la cernita di sconti e promozioni, si passa al 45% per trovare chi rinuncia a qualcosa e il 40%, rincara la dose, limitando allo stretto necessario i propri acquisti. Primi prezzi o comunque il prezzo più basso conquistano il 34%. Sul versante gdo, vediamo che l’inflazione si fa sentire per cui salgono i fatturati con un +6,6% ma scendono i volumi (-6%), l’Italia è seconda solo al Regno Unito che registra un -6,9% mentre il risultato migliore, seppure sempre con segno meno, lo ottiene la Francia con un -2,8%. La media del +6,6% italiana però ha al suo interno parecchie disparità, rimanendo sempre al paragone tra 2021 e 2022, vediamo che ad aumentare di più è stato il mondo del confezionato con un +7,6%, a seguire i freschi con un 6%. Cosa finisce nel carrello? Offerte e promozioni sono sicuramente uno stimolo importante per il 39%, molto meno i prodotti a basso costo o di primo prezzo che interessano solo il 16%; invece, l’origine italiana piace al 38% e il 19% guarda anche la tracciabilità della filiera, la sostenibilità è importante per il 33% e arriva al 35% per i clienti del Sud Per quanto riguarda la scelta del negozio, se il 38% sceglie in base ad offerte e promozioni e sono quelli che si definiscono cherry pickers, più fedeli al volantino che all’insegna, un quasi analogo numero (37%) invece sceglie in base alla comodità. Interessante il 28%, che seleziona il negozio in base alla sua sostenibilità, un numero che sale al 34% per il Sud e le isole, anche il packaging (sostenibile) dei prodotti in vendita ha il suo fascino per il 25% e la sostenibilità tout court dell’insegna attira il 20% della popolazione del Sud che si riduce al 17% guardando al panorama italiano. Dalla ricerca di Nomisma sembra che la via della sostenibilità sia un must per il consumatore, lo si evince sia dalla sua propensione al risparmio che passa soprattutto dalle strategie antispreco sia dall’attenzione che pone sia nella scelta del prodotto sia in quella dell’insegna, d’altra parte, l’attenzione al prezzo e alle offerte non sono affatto disdegnate, anzi. Alla gdo non resta che porre sempre più attenzione ai propri costi di gestione, tagliare le inefficienze e bilanciare l’offerta per renderla sostenibile sia in termini economici sia in quelli eco-ambientali. Read the full article
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Salute: persone LGBT, studio svizzero mostra disparità
Salute: persone LGBT, studio svizzero mostra disparità
Persone LGBT: Confederazione svizzera, salute, un rapporto mostra disparità sanitarie. Salute: uno studio mostra che in Svizzera le persone lesbiche, gay, bisessuali o trans – LGBT sono svantaggiate in ambito sanitario, in particolare per la la salute psichica e sessuale e il consumo di sostanze. Il Consiglio federale ha deciso quindi di indagare sul modo per raggiungere queste persone, e nella…
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Piergiorgio Welby, a volte morire è un diritto Quindici anni fa è morto Piergiorgio Welby. Sì, uso il verbo più crudo che c’è, perché la morte non sempre è improvvisa, cruenta, temuta. A volte morire è una liberazione, una vittoria contro il dolore e non una resa. A volte morire è un diritto. E quando parliamo di eutanasia, questo diritto non sta in contrapposizione con quello alla vita, i due piani sono diversi. L’obbligo delle istituzioni di proteggere la vita non porta con sé un dovere di vivere che si antepone all’autodeterminazione di ciascunə, soprattutto se parliamo di vite colme di dolore, sofferenza, mali che chiunque di noi tenterebbe di rifuggire. Il diritto alla vita deve essere affermato con la lotta alle guerre, con la protezione dallo sfruttamento sul lavoro, con la contrarietà alla pena di morte, con il contrasto al femminicidio e in tutte le altre casistiche in cui chi perde la vita (esseri umani eh, non cellule) non ha in alcun modo prestato il suo consenso. Qui sta la differenza sostanziale. Come si fa a parlare genericamente di “diritto alla vita” se quella di cui malatə irreversibili parlano non è la stessa vita che intende chi ribatte con la fede o con l’inviolabilità del corpo? Welby, affetto da distrofia muscolare, nei suoi scritti chiese più volte di interrompere i trattamenti che lo aiutavano a respirare artificialmente: “morire mi fa orrore, ma ciò che mi è rimasto non è più vita. Il mio corpo non è più mio. È lì squadernato davanti a medici, assistenti, parenti”. Squadernato. La prima volta che lessi questa parola – parecchi anni fa, scrivendo la tesi di laurea – rimasi immobile per qualche minuto. Chi mai userebbe un aggettivo così per parlare delle proprie gambe, del proprio viso, delle proprie mani? Squadernato. Perché si oggettifica, non appartiene più a nessuno, se non al dibattito scientifico e politico cui è appesa la propria esistenza. Squadernato. Fermo. Passivo. Disponibile a essere tutt’altro rispetto a come vorrebbe chi lo abita. Ecco cosa mi viene in mente quando coloro che si oppongono all’eutanasia usano l’argomento dell’indisponibilità della vita. Indisponibilità dovrebbe essere quella di ogni paziente di farsi carico della fede e della morale di terze persone. E invece è un dito dietro cui nascondere l’incapacità politica di trovare argomenti più forti dell’autodeterminazione senza tirare in campo il sacro o il terrore, o entrambi. Tre anni dopo la sentenza della Corte Costituzionale relativa al caso Cappato e Antoniani (Dj Fabo), la scorsa settimana finalmente è iniziata la discussione generale in aula per una legge sull’eutanasia. In realtà l’hanno chiamata “morte volontaria medicalmente assistita”, per non spaventare quellə che appena sentono “eutanasia” pensano che siamo nazistə. Il ddl ha subìto modifiche a più riprese rispetto al testo iniziale, tra queste c’è stata un’apertura alle destre e all’obiezione di coscienza per i sanitari. In questo modo potranno crearsi grosse lacune e disparità nell’accesso a un diritto, nonostante venga specificato – come per la legge 194 sull’aborto costantemente disattesa – che gli enti ospedalieri pubblici dovranno comunque assicurare l’espletamento delle procedure richieste dal/dalla paziente. Nel dibattito in aula, l’On. Varchi di Fratelli d’Italia ci fa sapere che dopo questa legge si potrebbe sfociare nello “sbarazzarsi – dice proprio così – di anziani e disabili”. Nel testo però sono descritte chiaramente le condizioni per l’accesso all’eutanasia: patologia irreversibile e prognosi infausta, che causi sofferenze fisiche e psicologiche; paziente tenutə in vita da trattamenti sanitari di sostegno vitale, la cui assenza condurrebbe alla morte; di maggiore età, capace di intendere e di volere e adeguatamente informatə. Non è che approvata la legge facciamo fuori – per usare il linguaggio gangsta di Varchi – gli over 75 e chiunque non rispetti i criteri abilisti di ciò che è “normale”. Anche Forza Italia solleva dubbi con la voce dell’On. Bagnasco (a volte, nomen omen) secondo cui la vera compassione “consiste nell’accogliere il malato, nel sostenerlo nelle difficoltà, nell’offrirgli affetto, attenzioni e i mezzi sanitari e psicologici per alleviare la sofferenza“. Tutto questo c’è già. C’è e non basta. Ma non lo dico io, lo dice chiunque si sia fatto portavoce della battaglia per l’eutanasia da decenni, persone che l’On. in questione definisce “trappole emotive”. Anche Welby fu una trappola emotiva? Pochi mesi dopo la sua morte, il Consiglio Episcopale Permanente scrisse che chi è favorevole all’eutanasia maschera l’interruzione di una vita con l’umana pietà. Cattolici, teoricamente compassionevoli per eccellenza, associano l’empatia a una maschera, a una scusa qualunque per coprire la cattiveria di un omicidio. Facciamo un patto, allora, se questo consente a chi lo vuole di morire con dignità. Facciamo che siamo noi il cattivo della storia, non ci interessa andare all’inferno… Mi spiace solo che – se mai dovesse esistere – di sicuro ci rincontreremo lì. https://twitter.com/ElianaCocca
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Nella ripresa si sta creando una disparità di trattamento. Lei ha scritto che mentre i privati per sopravvivere si arrabattano per riaprire tra mille costi, troppi uffici pubblici non addetti ai servizi di prima linea restano chiusi. È logico che i lavoratori dei due comparti abbiano lo stesso trattamento salariale?
Ovviamente no. Logica vorrebbe che dove il lavoro deve restare sospeso per ragioni sanitarie, scatti il meccanismo dell’“ammortizzatore” nel settore pubblico come in quello privato: cioè una copertura assicurativa che garantisce tre quarti o quattro quinti del reddito. Nel settore pubblico, invece, nonostante che un meccanismo di questo genere sia previsto dall’articolo 33 del Testo Unico n. 165/2001, questo non accade. E la cosa inaccettabile è che per eludere la questione si usi proprio la finzione dello smart working: la finzione che in realtà nel settore pubblico il lavoro non sia mai stato sospeso.
Pietro Ichino
Quando i privilegi diventano diritti.
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Divieto di importazione della nicotina in Australia
In Australia, questa settimana, il Dipartimento della Salute ha proposto di bloccare l'importazione di nicotina per il vaping.Una condanna a morte per centinaia di migliaia di vapers e fumatori australiani. Molti vapers torneranno a fumare e ai fumatori verrà negato l'accesso a un legittimo aiuto per smettere. I vapers che tentano di importare nicotina dal 1 ° luglio riceveranno una multa di 220.000 dollari australiani! Il disegno di legge segue il solco del disprezzo incontrollato dei governi per le crescenti prove scientifiche.Nega, di fatto, ai fumatori australiani l'accesso al vaping, il più popolare ed efficace aiuto per smettere di fumare al mondo. Questo è un colpo crudele per le comunità emarginate e svantaggiate dell'Australia che hanno tassi di fumo molto più alti e un successo nella cessazione più basso rispetto al resto della comunità. Gli alti prezzi delle sigarette in Australia, dai 18 euro (29 dollari australiani) ai quasi 30 euro (50 dollari australiani), provocano un grave stress finanziario nella popolazione. Lo svapo è più economico del 90% rispetto al fumo e può ridurre le disparità sanitarie e finanziarie. Read the full article
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Garantire l'accesso ai vaccini anche alle popolazioni povere
Vaccini: “Da quelli per il Covid a quelli per l’Hpv sono enormi le disuguaglianze nell’accesso”. Il Dg Tedros: “Questo nuovo rapporto mostra che le dinamiche del libero mercato stanno privando alcune delle persone più povere e vulnerabili del mondo del diritto ai vaccini. L'OMS chiede i cambiamenti tanto necessari al mercato globale dei vaccini per salvare vite umane, prevenire le malattie e prepararsi per future crisi". Il nuovo report dell’Oms. “La distribuzione iniqua non è esclusiva dei vaccini COVID-19, con i paesi più poveri che lottano costantemente per accedere ai vaccini richiesti dai paesi più ricchi”. È quanto denuncia l’Oms nel suo rapport ‘Global Vaccine Market 2022”. Ma non solo Covid il vaccino contro il papillomavirus umano (HPV) che contrasta il cancro cervicale per esempio è stato introdotto solo nel 41% dei paesi a basso reddito, anche se rappresentano gran parte del carico di malattia, rispetto all'83% dei paesi ad alto reddito. E c’è anche il profitto che diviene un ostacolo all'accesso al vaccino. “Mentre i prezzi tendono a essere graduati in base al reddito, le disparità di prezzo vedono i paesi a reddito medio pagare tanto - o anche di più - di quelli più ricchi per diversi prodotti vaccinali”, scrive l’Oms. "Il diritto alla salute include il diritto ai vaccini", ha affermato il dott. Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell'OMS. "Eppure questo nuovo rapporto mostra che le dinamiche del libero mercato stanno privando alcune delle persone più povere e vulnerabili del mondo di tale diritto. L'OMS chiede i cambiamenti tanto necessari al mercato globale dei vaccini per salvare vite umane, prevenire le malattie e prepararsi per future crisi". Nel 2021 sono state fornite circa 16 miliardi di dosi di vaccino, per un valore di 141 miliardi di dollari, quasi tre volte il volume di mercato del 2019 (5,8 miliardi) e quasi tre volte e mezzo il valore di mercato del 2019 (38 miliardi di dollari). L'aumento è stato guidato principalmente dai vaccini COVID-19, che “mostrano l'incredibile potenziale di come la produzione di vaccini può essere aumentata in risposta alle esigenze sanitarie”. Sebbene la capacità di produzione in tutto il mondo sia aumentata, rimane però altamente concentrata. Dieci produttori da soli forniscono il 70% delle dosi di vaccino (escluso COVID-19). Molti dei primi 20 vaccini più utilizzati (come quelli contenenti PCV, HPV, morbillo e rosolia) attualmente dipendono principalmente da due fornitori. “Questa base manifatturiera concentrata – segnala l’Oms - comporta il rischio di carenze e l'insicurezza dell'approvvigionamento regionale. Nel 2021, le regioni dell'Africa e del Mediterraneo orientale dipendevano da produttori con sede altrove per il 90% dei vaccini acquistati. I monopoli radicati della proprietà intellettuale e il trasferimento limitato di tecnologia limitano ulteriormente la capacità di costruire e utilizzare la capacità manifatturiera locale”. E ancora: “La salute dei mercati preoccupa anche per molti dei vaccini comunemente necessari per le emergenze, come contro il colera, il tifo, il vaiolo/vaiolo delle scimmie, l'Ebola, la malattia meningococcica, dove la domanda aumenta con focolai ed è quindi meno prevedibile. Il continuo investimento limitato in questi vaccini potrebbe essere devastante per la vita delle persone. Il rapporto evidenzia le opportunità per un maggiore allineamento dello sviluppo, produzione e distribuzione del vaccino con un'agenda di salute pubblica, verso il raggiungimento degli obiettivi dell'Agenda 2030 per l'immunizzazione (IA2030) e l'informazione sugli sforzi di prevenzione, preparazione e risposta alla pandemia”. “Il COVID-19 – evidenzia il rapporto - ha dimostrato che i vaccini possono essere sviluppati e distribuiti rapidamente, con un processo della durata media di dieci anni ma mai inferiore a quattro anni, compresso a 11 mesi. La pandemia ha anche messo in luce la necessità di riconoscere i vaccini come un bene pubblico fondamentale ed economicamente vantaggioso piuttosto che una merce”. Per guidare un'azione ambiziosa per fornire un accesso equo ai vaccini, il rapporto invita i governi ad agire su: piani di immunizzazione chiari e investimenti più aggressivi e una supervisione più forte dello sviluppo, produzione e distribuzione dei vaccini; poli regionali di ricerca e produzione; e regole preliminari per la collaborazione del governo in tempi di scarsità su questioni come la distribuzione dei vaccini, la proprietà intellettuale e la circolazione di input e beni. Le azioni consigliate per l'industria includono: concentrare gli sforzi di ricerca sui patogeni prioritari dell'OMS, garantire la trasparenza, facilitare il trasferimento di tecnologia e impegnarsi in specifiche misure di allocazione basate sull'equità. Le organizzazioni e i partner internazionali dovrebbero dare la priorità agli obiettivi dell'Agenda 2030 per l'immunizzazione, sostenere le iniziative guidate dai paesi e spingere per l'applicazione di risoluzioni sulla trasparenza del mercato. 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Articolo 5 del Decreto Lupi del 2014, Decreto Minniti del 2017 sulla sicurezza urbana, circolare Salvini del 1° Settembre 2018[1]. Tre provvedimenti che sono parte di un unico disegno, con interpreti diversi, che ha il duplice obiettivo di colpire qualunque autonomia sociale e di costruire popolazioni nemiche o da assistere, lasciando intatto il quadro strutturale dei problemi e delle disuguaglianze di accesso alla casa e delle politiche sociali e abitative assenti.
L’ossessione per la sicurezza e la tutela della proprietà privata a prescindere produce paura e povertà, non ha confini né di razza né di colore e non risolve alcun problema. Una volta aperta la diga dell’ordine pubblico, del decoro, della pulizia sociale, della legalità formale, si sa da dove si comincia a colpire (immigrati, neri, rom), ma non si sa dove si finisce. Prima o poi, anche altre parti della popolazione diventeranno oggetto di quelle politiche di repressione, in cui a prevalere è una sola idea: pulire la città e sterilizzare lo spazio pubblico da tutte quelle presenze ed attività considerate indecorose, allontanando la ‘brutta gente’, gli appartenenti alle rinnovate classi pericolose. Persone senza tetto, ambulanti, parcheggiatori senza permesso, artisti di strada, persone che chiedono l’elemosina, occupanti di abitazioni, immigrati presenti nello spazio pubblico o ospiti del sistema di accoglienza sono stati costruiti come soggetti problematici per l’ordine pubblico, da controllare.
Miseria della politica, ingiustizia sociale
Da questo cambiamento di paradigma politico e culturale bisogna muovere per comprendere cosa è avvenuto nel rapporto tra istituzioni e povertà nell’ultimo decennio. Nel dispiegamento della crisi economica in corso dal 2008, la politica ha scelto in maniera ampiamente maggioritaria di colpire chi veniva già investito dai cambiamenti in corso, accompagnando i processi di impoverimento materiale con processi di impoverimento politico ed istituzionale. Alla miseria economica crescente per una parte della popolazione si è associata la miseria crescente della politica, sempre più disinteressata a cambiare le tendenze in corso. E questo è accaduto mentre si sono approfondite le disuguaglianze economiche e sociali, perché non è vero che tutti si impoveriscono. Come ha scritto l’Istituto nazionale di statistica nell’indagine “Condizioni di vita, reddito e carico fiscale delle famiglie” pubblicata il 6 Dicembre 2017, mentre tra il 2016 e l’anno precedente si è verificata una “significativa e diffusa crescita del reddito disponibile e del potere d’acquisto delle famiglie”, si è registrato, contemporaneamente, “un aumento della disuguaglianza economica e del rischio di povertà o esclusione sociale”. Dunque, in sintesi: più ricchezza complessiva ma più distanze economiche e, dunque, più poveri, più persone e famiglie a rischio di povertà.
È, questa, una tendenza chiarissima a livello italiano ed internazionale. È quella tendenza che una serie di studiosi e studiose hanno chiamato Robin Hood al contrario: un insieme di meccanismi economici, politici e finanziari di redistribuzione della ricchezza. Però, una redistribuzione dal basso verso l’alto. Togliere ai poveri, impoverendoli sempre più, per dare ai ricchi, rendendoli, così, non solo sempre più ricchi, ma anche sempre più forti. Si scrive “impoverimento” e “disuguaglianza”, si legge ingiustizia sociale ed economica. Laddove, con riferimento alla distribuzione dei redditi individuali equivalenti, il 20% più povero della popolazione dispone solo del 6,3% delle risorse totali, mentre il 20% più ricco possiede quasi il 40% del reddito totale, di cosa parliamo se non di ingiustizia?
La composizione della povertà
Per questo è necessario soffermarsi sul nesso povertà-disuguaglianze e farlo non solo in termini individuali, cioè guardando a redditi e consumi, ma anche in termini collettivi, cioè guardando ai servizi pubblici disponibili, la cui forza o debolezza influenza molto la vita di chi ha redditi più bassi della media.
Può essere utile, allora, mettere in fila anche altri dati. Ad esempio, quelli sull’accesso alle prestazioni sanitarie nei centri di analisi convenzionati, caratterizzati da tempo nelle regioni meridionali dal fatto che ad un certo punto dell’anno le agevolazioni con i ticket si bloccano e tutte le analisi si pagano a prezzo pieno. E i dati sulle politiche abitative pubbliche, praticamente azzerate dalla fine degli anni ’80. E poi ci sono i dati sulle remunerazioni del lavoro. Oltre alle condizioni del pubblico impiego non precario e di una parte delle imprese private, la situazione è molto difficile: sono conosciute le reali condizioni di lavoro e le basse remunerazioni di commesse, badanti, camerieri, addetti ai supermercati, lavoro ambulante e di tanti lavoratori e tante lavoratrici autonome.
Quali sono le popolazioni maggiormente esposte? Al di là di tutte le retoriche populiste e razziste, i dati dell’Istat del 2017 dicono chele aree più a rischio sono le famiglie a basso reddito con stranieri e quelle di anziane sole e giovani disoccupati. In questi tre casi, il rischio di povertà o esclusione riguarda circa la metà delle persone, mentre il valore medio nazionale è 28,7%. Dunque, le famiglie proletarie immigrate e quelle di anziani soli con pensioni basse e disoccupati giovani sono le più esposte all’impoverimento. Questo quadro si aggrava, poi, per le famiglie con più di 5 componenti e in Italia meridionale e nelle Isole. Il rischio di povertà in queste aree d’Italia è molto più alto della media, interessando in maniera rilevante, qui, anche le famiglie a basso reddito di italiani.
Contro l’ideologia della sicurezza imparare dai movimenti per l’abitare
E le alternative dove sono? Ad esempio, a chi viene sgomberato o subisce il sequestro della merce o dell’attrezzatura per lavorare come ambulante quale possibilità diversa viene proposta? Nessuna. Ai processi di impoverimento si risponde da anni con polizia, vigili urbani e retoriche sicuritarie. Nei discorsi pubblici e dell’azione politica ed amministrativa sono scomparsi gli obiettivi dell’uguaglianza e della giustizia. È rimasto solo lo spazio per l’ossessione per la sicurezza, la quale costruisce una strada senza uscita, che, in un circolo vizioso, chiede sempre più polizia, sempre più controllo, sempre più repressione, all’infinito.
Al contrario, le politiche dovrebbero intervenire per rimediare alla tendenza. Soprattutto per affrontare la deriva della disuguaglianza. È chiaro dai dati presentati che non è sufficiente sostenere la cosiddetta crescita economica. Anzi, la crescita si sta traducendo in un meccanismo che accentua le disuguaglianze. Sono necessari interventi che redistribuiscono la ricchezza ma nel senso della giustizia sociale, dunque dall’alto verso il basso, dalle aree ricche a quelle povere ed impoverite. E, insieme, c’è il tema della questione salariale: come è possibile che tante famiglie, specialmente di immigrati, percepiscano redditi tanto bassi da farle vivere in povertà o a rischio grave di povertà?
Redistribuzione dei redditi e messa in discussione del lavoro povero sono due ambiti da affrontare con politiche pubbliche e azioni sindacali, che rifiutino l’idea che la società italiana debba divenire sempre più una società di diseguali, cioè una società sempre più ingiusta.
Queste politiche possono muovere dal riconoscimento delle capacità di organizzazione delle stesse persone in povertà. È un esempio chiaro quello di chi vive in occupazioni. Invece di penalizzare questa parte della popolazione, come ha fatto l’articolo 5 del Decreto Lupi nel 2014 e annuncia il Ministro dell’Interno Matteo Salvini citando esplicitamente il Decreto Minniti, si può riconoscere, anche dal punto di vista istituzionale, la ricchezza di queste esperienze e le proposte che esse avanzano.
Una parte della popolazione ha cercato nelle pratiche collettive dei movimenti per l’abitare un’alternativa all’isolamento. L’autorganizzazione di politiche per la casa, anche attraverso il riutilizzo di immobili vuoti, ha proposto soluzioni concrete a parti della società che non possono aspettare. Una parte della popolazione colpita dalla crisi economico-finanziaria e dell’abitare si è organizzata in diverse città italiane per cercare alternative collettive, socializzando la propria condizione e la conoscenza dei problemi abitativi. I movimenti per l’abitare in Italia, come altri movimenti internazionali contro debito e indebitamento, hanno affermato, e continuano ad affermare, la centralità dei bisogni sociali nelle politiche pubbliche, indicando una prospettiva di trasformazione fondata sull’uguaglianza e non sull’incremento delle disparità, dei lavori poveri e delle persone e famiglie senza casa. Essi hanno indicato una prospettiva di giustizia sociale, radicalmente alternativa a quella basata sul nesso indebitamento-povertà-bisogni/diritti sociali negati. La difesa di queste esperienze, in presenza di una esplicita politica repressiva, sarà necessaria non solo per tutelare le persone che vi vivono, ma il diritto di tutte e tutti noi a vivere la propria autonomia sociale, liberi e libere dalla repressione o dalle elemosine di Stato.
Gennaro Avallone
da Effimera
Note.
[1]Il decreto Lupi fu convertito con la legge 80/2014 avente ad oggetto “misure urgenti per l’emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 2015”: http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2014/05/27/14G00092/sg. Il decreto Minniti è diventato legge 48/2017, con “disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città”: http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2017/04/21/17G00060/sg. La circolare Salvini è stata firmata il 1° settembre 2018 dal dottor Matteo Piantedosi, capo gabinetto: http://www.interno.gov.it/sites/default/files/circolare_2018_0059445.pdf.
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Rapporto Censis: l'incertezza sul futuro
Il Rapporto Censis 2023 fotografa le incertezze degli italiani. Il Quarto Rapporto Censis-Tendercapital sulla "Sostenibilità sociale e la rinnovata sfida del welfare italiano" presentato in Senato, infatti, ha raccolto le opinioni, i comportamenti e i valori degli italiani chiamati a misurarsi con nuove ristrettezze e crisi globali. Dall'indagine emerge che il welfare potrà tornare a erogare servizi universalistici essenziali, ammortizzare disparità eccessive e supportare le persone solo con il ritorno del lavoro quale fonte primaria di opportunità di ascesa reddituale e sociale. Rapporto Censis: le preoccupazioni degli italiani L'84,9% degli italiani dichiara di intravedere incertezza e insicurezza. Allarma il blocco della mobilità sociale, che per il 58,6% dei cittadini farà aumentare le disparità sociali. Per il 43,3%, nella società italiana ci saranno meno equità e giustizia sociale; il 36,9% teme minore attenzione ai diritti dei lavoratori. Il rialzo dei prezzi catalizza le paure degli italiani. Il 75,4% degli occupati è convinto che non avrà aumenti delle entrate familiari nel prossimo anno, mentre il 73,9% degli italiani pensa che dovrà ridimensionare le spese. La reazione alla minaccia dell'inflazione porta l'86,9% a essere favorevole a indicizzare retribuzioni, salari e stipendi all'aumento dei prezzi, tornando alla scala mobile. Prezzi più alti poi, si traducono in minor consumo di beni e servizi a parità di reddito, così il 59,7% degli italiani è convinto che dovrà ridurre le spese per scarpe e abbigliamento, il 62,3% quelle per vacanze, viaggi e tempo libero, mentre il 41,7% pensa che dovrà rinunciare a cure o visite mediche a pagamento intero, con risorse proprie. Tuttavia, nel 2022 redditi e spese per consumi delle famiglie hanno tenuto bene. Infatti, il reddito lordo disponibile delle famiglie consumatrici è rimasto invariato nel confronto tra I-III trimestre 2021 e gli stessi trimestri del 2022, con un -0,3% reale. Gli italiani e il welfare pubblico Dal Quarto Rapporto Censis-Tendercapital emerge come il risparmio delle famiglie, nel confronto tra i primi nove mesi del 2022 e quelli del 2021, abbia subìto una contrazione drastica in termini nominali (-292 miliardi di euro) e reali (-11,3%). Il cash, invece, è aumentato nominalmente di 36 miliardi di euro, subendo però una riduzione reale del 3,8%. Sono 7,5 milioni le persone appartenenti a famiglie le cui entrate coprono appena le uscite e aumentano, rispetto al 2010, sia i lavoratori in povertà assoluta (erano il 3% del totale) sia in povertà relativa (erano il 7%). Il welfare pubblico stenta sempre più: il 67,3% degli italiani, nei dodici mesi precedenti l'intervista, per avere prestazioni sanitarie si è dovuto rivolgere al privato. Così solo il 40,4% è soddisfatto del funzionamento del Servizio Sanitario Nazionale della sua Regione, mentre nel 2019 era il 55%. Salario minimo e reddito di cittadinanza Il 90,4% degli italiani, con percentuali trasversali a redditi, condizione professionale, età e titolo di studio, si dichiara favorevole a fissare una retribuzione minima per legge. Riguardo al reddito di cittadinanza, il 65,1% degli italiani lo reputa uno strumento per aiutare persone in difficoltà; al contempo, il 73,2% è convinto che tale strumento disincentiva le persone a lavorare, mentre oltre l'88% ritiene che i soldi pubblici dovrebbero servire a incentivare la ricerca del lavoro. Secondo il Presidente del Censis, Giuseppe De Rita, "la nostra società è segnata da un elemento cruciale: la paura dell'incertezza futura. È quel che più condiziona le aspettative e spesso fa vedere la realtà più nera di quanto sia. Purtroppo, l'inflazione, la guerra, la crisi energetica hanno generato problemi e, tuttavia, sinora la sostenibilità sociale in Italia ha tenuto bene. Il rischio reale è per il futuro prossimo di continuare a galleggiare per paura e, in questa situazione, la cosa peggiore è affidarsi all'opinionismo, piuttosto che ragionare sulla chimica reale della nostra società". Per il Presidente di Tendercapital, Moreno Zani, "i dati del Quarto Rapporto Censis-Tendercapital sulla sostenibilità sociale e il welfare italiano evidenziano in maniera chiara le difficoltà che oggi incontrano i due pilastri del modello sociale italiano, le famiglie e lo Stato. Crescono, infatti, le ristrettezze economiche di molti nuclei familiari e, nonostante nel 2022 abbiano tenuto bene sia il reddito sia le spese per i consumi, occorre prendere atto di una severa contrazione del loro risparmio. Una situazione di instabilità, insomma, che genera incertezza e preoccupazione per il futuro, ma anche la convinzione che si può lavorare per un nuovo welfare inclusivo, prospero e sostenibile". In copertina foto di Alexa da Pixabay Read the full article
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