#davvero: non so che dicono se non 'ma io lavoro per non stare con te'
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So talmente stupidi (affectionate) che so fantastici!
#sanremo#colapesce dimartino#ancora non riesco a sentire seriamente la loro canzone#davvero: non so che dicono se non 'ma io lavoro per non stare con te'#non ascolto la prima strofa aspettando questa frase e poi appena la dicono schiatto a ride e perdo il filo del discorso
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Giorno 335, lettera a me stessa.
Vedo le foto delle persone laureate sulla pagina Instagram della mia università e mi sento un macigno sul cuore, mi sembra sempre di più un traguardo inarrivabile e lontano anni luce da me, mi manca l'aria, e mi chiedo: lo voglio davvero? Perché sembra così difficile? Perché mi sento così inadeguata e incapace? Pressione, ansia, aspettative. Cerco di rimanere focalizzata sul volermi togliere questo peso ma sono bloccata; ricevo telefonate, messaggi, amici che mi spronano, immagino le sensazioni che si provano in quel momento, cerco di proiettarmi già lì ma niente, le mani non si muovono. Giorno dopo giorno sempre la stessa routine, sbagliata, non voglio stare così ma non ho la forza di cambiare le cose. Vorrei cavarmela da sola ma non mi sembra fattibile. Non voglio parlarne con nessuno perché so quali risposte riceverei, è una sfida solo con me stessa ma non mi sembra di volerla accettare perché non mi sento all'altezza, mi sembra di essere a metà dell'opera da secoli e forse di aver anche sbagliato tutto finora. È davvero così miserabile voler solo fare un lavoro tranquillo che ti dia il giusto per vivere? Bisogna davvero sempre e solo puntare a cose sempre più ambiziose e remunerative? Perché diamo tutta questa importanza ai soldi? Non si dice più che i soldi non fanno la felicità? Sono stanca di sentirmi influenzata dagli altri a pensare che se non hai più soldi degli altri allora non puoi essere felice. Se la vita da adulti è tutta un rincorrere le cose quotidiane per non fare crollare tutto allora non so se mi sento effettivamente pronta per questo, mi sento stanca già ora di star dietro a tutto, sistemi una cosa e te ne scivolano cinque dalle mani. Fai una lavatrice e ne hai già altre due che ti aspettano, lavi i piatti e ti ritrovi il lavandino già pieno nonostante sei da sola, paghi l'affitto tranquilla e in un battito di ciglia sei già al mese dopo e devi ripagare. Vorrei solo poter respirare per un po' senza avere tutti questi pensieri che si intrecciano nella mia testa. Vorrei solo tornare a lavorare e avere un motivo per alzarmi dal letto ogni giorno; mettere le cuffiette e camminare e ballare e cantare ignorando il mondo che mi circonda, a sentire addosso gli occhi della gente che mi guarda perplessa, a sorridere dal nulla alle persone che incontro, ad accarezzare i cani che mi si avvicinano, a spottare i gatti che si aggirano furtivi in città, a sentirmi dire dai clienti che sono gentile e professionale, a dire il mio nome alle signore che mi dicono che sono carina, a ridere per le sciocchezze senza pesi sul cuore.
Tieni duro Soph, so che è difficile rimanere sui giusti binari ogni giorno, ma ne hai le capacità anche se spesso non te ne rendi conto, devi solo respirare e affrontare le cose un gradino alla volta. Credo in te, anche se a volte non te lo dimostro abbastanza. Siamo io e te, da sempre e per sempre. Cercherò di sostenerti di più e di proteggerti dai pensieri intrusivi, dalle critiche di chi non crede in te, dai sensi di colpa e dal senso di inadeguatezza. Tutto andrà come deve andare, com'è giusto che sia.
Tutti a bordo, perché il capitano ha deciso che questa nave non farà più ritorno al porto di partenza. Nella sua rotta ci saranno sicuramente mostri marini, tempeste, paesaggi meravigliosi, persone incredibili, sirene spietate, tanto alcol e traditori, ma non temete! Il capitano saprà gestire ogni situazione con il suo fascino coraggio, la sua ciurma e il suo ammaliante segreto 🗝️
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Pedro ma tu sei un Maestro? No, non ho mai creduto ai Maestri di terra. I Maestri veri stanno in cielo e soprattutto non insegnano nulla ma diventano esempio. Diciamo che sono più simile ad un panino al prosciutto o ad un pane e marmellata.
Perché alcune persone hanno paura di lavorare con te? Perché non mi conoscono. Perché spiattello loro le cose come stanno senza giri di parole. Perché da me si arriva quando si vuole cambiare davvero e non quando ci si vuol raccontare stronzate. Ecco, sono poco incline ai procacciatori di scuse e a chi non è disposto a tutto per cambiare.
È vero che sei molto duro? Dipende dai casi. Una pietra non la puoi spaccare con una piuma, così come non puoi accarezzare una piuma con una pietra. Ogni persona è un mondo a parte. Ogni caso va trattato in un modo specifico. Quello che è certo è che so essere duro e delicato. Dipende dai casi.
Credi che ci siano casi impossibili da risolvere? No. Credo che ci siano persone che non credono abbastanza di potersi far aiutare e che traggano vantaggio dalle loro litanie di vittime.
Come si aiuta davvero una persona? Con l’amore. Che non vuol dire buonismo. Ma significa che per aiutarti non sono io ad entrare nel tuo inferno ma sei tu che devi sviluppare la forza di raggiungere la luce per uscire da lì.
Cosa pensi delle professioni olistiche di oggi? Mercato del pesce di Palermo. Tanti operatori ma pochissima competenza. Poi ci sono anche le eccezioni ma sono appunto eccezioni.
Perché dici questo? Perché in due giorni “diventi” qualcosa. Chi diventa esperto di tarocchi ma non ha ancora capito la differenza tra Torre e Maison Dieu, chi diventa super professionista di Psicogenealogia ma non sa cosa sia un Nodo di Gordio o una Sindrome di Ulisse, chi Canalizza A cazzo, chi ti aiuta a scoprire lo scopo di vita ma lavora dal paninaro per mantenersi, chi crede che ci siano formazioni serie a 20 euro, chi si inventa qualcosa. Che cazzo! La gente si affida. Io non tollero questa porcheria. Non tollero la mancanza di percorso di studio seri. Dico solo che chi fa questo non è un professionista ma un prendiculo per soldi! Se volete davvero aiutare il prossimo mettetevi nella condizione di essere molto preparati, perché questi non sono lavori che si improvvisano e neppure che si inventano perché ve li ha suggeriti all’orecchio la Madonna e neppure che si imparano in 3 giorni. E lo dico con l’autorevolezza del mio ruolo di professionista. Sono 20 anni che pur essendo affermato continuo a formarmi. Formatevi seriamente! E ci vanno anni per farlo.
Perché è difficile oggi creare rapporti affettivi sani? Perché non ci si ama autonomamente. Non esiste educazione affettiva. Diciamo di amare tutti ma non amiamo neppure noi. Una persona che si ama non può stare neppure 30 secondi in una storia disfunzionale.
Cosa pensi delle Fiamme Gemelle? La scusa spirituale per non ammettere che si è dipendenti affettivi.
Perché sei sempre così diretto? Perché sono ME, non devo recitare il ruolo di Padre Pio o di Madre Teresa. Sono una persona. Vera. E i veri dicono ciò che pensano anche quando questo dà fastidio agli altri.
Ti ritieni detentore della verità? Si, della mia verità. Ognuno ha la propria. Se poi parliamo di lavoro, allora sulla mia professione non sopporto le opinioni basate sul nulla. L’opinione puoi averla quando hai competenza. Altrimenti diventa chiacchiera da bar degli amici, che non serve a nessuno.
Cosa pensi degli Uomini? Se equilibrati sono eccellenti. Il grande problema degli uomini oggi è che hanno paura della loro femmina interiore, ed è per questo che fuggono dalle emozioni.
Cosa pensi delle Donne? Sono femminista. Sarei troppo di parte. Diciamo che amo le Donne perché amo la mia donna interiore. Vorrei le Donne al potere e sono certo che avremmo un mondo migliore. Attenzione: non donne che vestono i panni dell’uomo e ammazzano la propria femminilità (vedi Merkel) ma Donne che si sentono bene ad essere Donne. Credo tanto nelle Donne.
E dei bambini cosa mi dici? I bambini vanno lasciati come sono. Non dobbiamo creare adulti in miniatura. Bisogna deresponsabilizzarli.
Riportarli alla natura e all’arte. Dai bambini puoi solo imparare. Farli sporcare. Fargli mettere le mani in bocca. Basta con le cazzo di paturnie di genitori frustrati: e non fare questo e non fare quello e ti prendi le malattie e ti fai male. Eccheccazzo! Se siete frustrati fatevi aiutare e non rompete il cazzo ai vostri figli!
Cosa pensi del momento attuale? Se sei felice creerai. Se sei infelice non farai un cazzo e piagnucolerai. Ma i felici lo erano anche prima di questo momento così come gli infelici.
Che consiglio vuoi dare? Siate felici per davvero. Fate meno parole e più fatti. Il mondo cerca chi FA. Una casa non si costruisce con le parole ma sporcandosi le mani. Allora sporcatevi. Toglietevi di dosso la finta pulizia di chi non fa mai un cazzo. Siate selvaggi. (di Pedro Martinez)
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Condivido tutto, specialmente il rapporto malsano che la gente ha coi Maestri terreni, la Fiamme Gemelle e la faccenda della Casa Dio!
#maestri#spiritualità#pulizia interiore#pedro martinez#citazioni#tarocchi#verità#consaepvolezza#lavoro su di sè#conosci te stesso#femminile#maschile#bambini#responsabilità#scelta#discernimento#uomini#donne#figli#educazione#libertà#liberazioni#emozioni#ottusi#anime gemelle#frustrazioni#zombie#società#società malata#sistema
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domenica mia madre mi ha chiamata.
dopo il solito small talk, con esitazione e paura, mi ha sussurrato: "lo sai che è uscita una nuova terapia?"
No mamma, non lo so, ma c'è stato Ectrims due giorni fa, ne hanno parlato al TG?
sì
E cos'hanno detto?
che questo farmaco nuovo ferma la malattia per sempre, le persone che lo prendono è come se non la avessero
(ma io come faccio a dirti che non guarisco mai? l'unica cosa che posso dirti è) Ah, davvero? Sai come si chiama?
sì sì l'ho segnato, aspetta, si chiama... ocrelizumab
Mà l'ocrelizumab è vecchio di anni, non è un nuovo farmaco.
sì ma hanno detto che... hanno usato un termine specifico... arresta? no... blocca le... no... poi ti mando un link, ma tu come mai non lo fai?
Perché per ora vediamo come va con il Mavenclad, mà.
vabbè ma hanno detto che è come se la malattia non esistesse più!
(ma io come te lo dico, come te lo dico, mamma scusami, non l'ho fatto di proposito ad ammalarmi, scusa vado al sole quante volte vuoi, scusa tornassi indietro se potessi non mi ammalerei, ti chiedo scusa) Sì, conosco molte persone che lo stanno facendo e stanno alla grande, per fortuna. Peccato per gli effetti collaterali.
ah, sono tanti?
Sì, il Mavenclad è uno dei migliori sotto quel profilo.
ma tu non hai avuto più niente da settembre?
(sì, ho dovuto fare tre grammi di cortisone a luglio, non ti dico il casino per trovare un infermiere, e pensa che lavoro pure in ospedale!) No, sto bene.
io non ti voglio chiedere per non disturbarti e innervosirti
(scusa scusa scusa scusa scusa non volevo ammalarmi scusa non è colpa mia ma scusami non pensarci mai più non voglio impensierirti non voglio darti più peso di quello che già porti scusa scusa scusa) Ma chiaramente ci pensi, quindi perché non chiedermelo? Sono contenta se ti posso tranquillizzare.
perché non sei tu a dover tranquillizzare me deve essere il contrario e invece io sono così debole perché non doveva succedere a te potevano toccarmi tutto ma non mia figlia tutti mi dicono che starai bene e tutti dicono cazzate (sì) Sì, mà. Vedremo come andrà.
ma tu stai bene? non hai più sintomi?
(sto benissimo) Sto benissimo!
me lo dici se ti viene qualcosa?
(col cazzo) Certo, mà.
io sto pregando tanto che non ti succeda più niente
(preghi lo stesso dio che mi ha fatta ammalare?) Dai, speriamo che vada tutto bene. (sono fiduciosa) Sono fiduciosa.
tu non sei madre, non puoi capire come mi sento
(hai ragione, hai ragione e ti chiedo scusa per darti ancora questo pensiero) Hai ragione. Ma ho la presunzione di ritenermi l'unica persona che può tranquillizzarti a dovere.
ma io non ti voglio chiedere
Ma l'unico modo per stare tutti tranquilli è farlo.
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Ho passato i miei ultimi 13 anni a "studiare". L'ho messo tra le virgolette perché non è che ho sempre studiato, sono sempre stata quella tipa della classe un po' scatenata, quella che "è intelligente ma non si applica", sono stata definita con dei voti tra il cinque e l'otto con di fianco scritto questa frase: "superficiale nello studio".
Sono uscita dalle medie con l'otto, non meritato, convinta di poter fare il culo a tutti al liceo.
Sono stata bocciata in seconda superiore perché non avevo voglia e perché i miei compagni mi chiamavano sacchetto della spazzatura, solo perché mi vestivo larga con il solo intento di coprire lo schifo che c'era sotto.
Dalla seconda superiore(2.0) ho deciso di mettermi sotto, di studiare. Non tanto per me, quanto per i voti(perché noi siamo voti e basta), per non avere rotture dai miei e per poter uscire dalle superiori.
Ho fatto la terza e la quarta in dad, andavo molto bene a scuola, certo, copiavo come tutti ma anche quando siamo tornati in presenza andavo molto bene. Ero un 7/8.
Della terza e della quarta mi ricordo poco e niente, poiché "superficiale nello studio".
Quest'anno sono arrivata in quinta con la sola voglia di uscire da sta scuola di merda. Il mio professore di italiano vorrebbe che uscissi con un bel voto perché sono cresciuta davvero tanto in questi anni, sia a livello umano che a livello scolastico.(dubito)
Quest'anno, comunque, vorrei studiare per me stessa, per arricchirmi, per capire che cazzo voglio fare della mia vita.
Eppure non sto facendo molto per arricchirmi, prendo appunti quando mi prende bene, sennò mi faccio fare i grattini dalla mia amica(a volte mi addormento), ma poi quando ho una verifica o un'interrogazione studio, anche abbastanza bene. Sono sempre un 6/7/8.
Ho scoperto che stando attenti in classe, si capiscono il doppio delle cose ed è più facile, eppure, non sempre lo sono. Ecco diciamo che voglio sopravvivere ma io non riesco a farlo, è una lotta e non so lottare contro me stessa, non so obbligarmi a stare attenta, a prendere appunti, a stare ferma e a non andare in giro per i corridoi. Infatti guarda a caso per i professori sono quella che sta sempre fuori.
Dicevo, ho dedicato questi infiniti anni ad "uno studio matto e disperatissimo", come diceva il mio Leopardi, arriverò a fine anno, farò la maturità e poi andrò all'università. Quindi altri 5 anni di studio. Finiti questi cinque anni di studio, forse sarò una psicologa, però dovrò fare i master, quindi altri anni. Inizierò a lavorare a 30 anni se va così male, magari troverò l'amore della mia vita e farò dei figli, quindi interromperò il lavoro per un breve periodo e poi rinizieró, io e mio marito avremo un sacco di spese, tipo mutuo, università dei figli, casa al mare, tasse, assicurazioni. E così arriverò ai 60 e capirò di essermi goduta poco la vita, i miei figli ormai cresciuti e mio marito ormai vecchio e poco attraente, magari lavorerà ancora.
Allora arriveremo ai 70, entrambi con una pensione decente e decideremo di goderci gli ultimi anni di vita magari recuperando i momenti perduti. Ma poi magari succederà qualcosa a lui o a me e quindi sarà sempre peggio.
Arriverò ai novanta, se va bene e se smetto di fumare, e forse i miei figli dovranno curarmi.
Poi morirò, così, a caso.
Tutto questo ragionamento caotico per dire che tutti dicono "goditi la vita", "la vita è breve" ma quando te la godi la vita se è una corsa contro il tempo? A ottant'anni? No dai grazie.
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Oggi non parlerò di cosplay, e non scriverò in inglese, cosa che purtroppo farà floppare questo post malissimo, di un blog già morto perché quest’anno la voglia di continuarlo è stata pari allo zero assoluto. Difatti ho intenzione di resettarlo completamente e farlo diventare il mio angolino sicuro di sfogo. Lasciare questo come primo post. Perciò cominciamo con il discorsone. Vi è mai capitato di sentire questa frase? “I panni sporchi si lavano in casa. “ Io un’infinità. Tanto che nella mia infanzia ero fermamente convinta che fosse una regola della società, da tenere segreta e ben custodita. I panni sporchi si lavano in casa. Quello che non ti dicono, da piccolo, è che se nascondi troppa polvere sotto il tappeto alla fine diventa una montagna. Ed è così che è cominciata. Se vi aspettate tutti i dettagli della mia vita mi dispiace, dovrete tirare fuori un po’ di p*lle e venirmele a chiedere. Non ho nulla da nascondere, se chiedete vi verrà risposto. D’altronde sto facendo questo post sia per sfogarmi che per , magari, aiutare qualcun’altro. Posso dire sommariamente che c’è un motivo se non menziono spesso mio padre, che mia madre ed io abbiamo iniziato ad avere un rapporto semi civile adesso, che molte cose nella mia vita mi hanno portata spesso a chiudermi in me stessa, o a buttarmi a capofitto in decisioni sbagliate, oltre che a sentirmi sempre un peso per il prossimo. In sostanza: prendete un bello shacker, mixatelo, ed avrete un bel margarita alla depressione. Qual’è il problema? Semplice, non volevo ammetterlo con me stessa. O, almeno, non fino in fondo. Sono sempre stata convinta, in cuor mio, di essere uscita abbastanza bene da ogni situazione. O che, comunque, avrei faticato di meno ad andare avanti se avessi mentito a me stessa, e così ho fatto. Purtroppo non per un giorno, questa cosa è stata perpetrata per anni. Anni in cui mi trascinavo avanti, senza sapere bene il perché. Anni in cui mi sentivo una fallita, inutile, sola, sbagliata e che se fossi scomparsa dal mondo sarebbe stato meglio. E non vi mentirò, quella sensazione non svanisce una bella mattina con il canto degli uccellini che ti svegliano dopo un sonno ristoratore da tutta la merda. Ancora mi sento così, diciamo solo che abbiamo iniziato a spazzare quella polvere sotto al tappeto con uno spazzolino. Ma, al contempo (perché sono gemelli e YEY ho una doppia personalità [?] ... Oh, dai, concedetemi almeno la battuta.), mi buttavo a capofitto sul lavoro, o in progetti che iniziavo per tenermi la mente impegnata. Per crearmi dei bei ricordi, per ribellarmi dal mio stesso essere che mi diceva che ero 0, ripetendosi in cacofonia con delle voci esterne che non riuscivo a scacciare. Anche questo lo faccio tutt’ora. E odio che i piani si scombinino, in quel caso. Non vi nego che questo mi ha portato a sbagliare, con molte persone. (E delle volte mi ha salvato da certe altre.) Qual’è il punto? Il punto della questione è “semplice”, vorrei aiutare chi si ritrova davanti una testina di minchia come me, o dare una pacchetta alla testina di minchia come me e dire “Ehy, lo so, non sembra. Mi prenderai per stupida, o solo una che ti vuole sbolognare presto perché non crede che hai un vero problema. Ma è vero, cazzo. C’è una luce in fondo al tunnel. E’ piccola, sembra quasi inarrivabile. Dovrai alzare le chiappe da quel letto/sedia proprio come ti dicevano se vuoi averla. Ma, ehy, ne sono riuscita a vedere uno spiraglio e... Non è L’eden, ma cazzo se è meglio di questo schifo.” Per chi cerca di aiutare: Se la testina è come me, non proponete soluzioni estreme al problema. Molte persone, forse, si offenderanno. Me lo hanno detto in tantissimi negli anni. “Vai via da quella casa” “Dagli un pugno” “Reagisci” “Chiama la polizia” “Fregatene e ---*continuare a parlare del problema*” Sembra la soluzione più ovvia e logica, e non dico di non farlo per nulla: è un vostro consiglio da amici. Ed in molti, molti casi può essere giusto. Quel che succede però nel momento della crisi è violento e fa un male boia. La soluzione PER ME, e che sono riuscite a carpirla solo le mie amicizie più strette, è parlare a voce. Devo sfogarmi, anche piangendo sapendo che c’è qualcuno all’altro capo del telefono che mi ascolta solo singhiozzare in silenzio. Pian piano riesco a calmarmi, ad aprirmi... E parlare anche di qualcosa di divertente quando la situazione si è appena sbollentata, esterna al problema principale, mi aiuta. A voi amici aiutanti non vi mentirò: le testine sono snervanti. Perché per un completo check del “lo facciamo stare meglio” avranno bisogno di contatto continuo, anche fuori dalla situazione di crisi. Basta poco, un meme, un messaggio ogni tanto, parlare relativamente di cagate... Ma sappiate che se non sono loro i primi a cercarvi, non lo fanno apposta. Noi testine ci sentiamo di troppo. Un peso. Delle volte tentiamo di non mostrare i disagi fino al crollo massimo. Non forzate troppo la conversazione, ma non abbandonateci. E soprattutto non traditeci. Nel mio caso... le seconde possibilità non sono contemplate. Si diventa come fantasmi, perché se vi abbiamo lasciato avvicinare e dopo ci scaglierete contro pietre, con quelle pietre ci costruiremo un muro per tenervi fuori, come se non foste mai esistiti. E per quelli che rispondono con:-E’ solo un momento, passerà -Sei solo un po’ tragico -Stai provando sul serio ad essere felice? -Prova a cambiare il tuo stile di vita -E’ tutto nella tua testa, sei tu che decidi -Sei tu che non vuoi stare meglio, è colpa tua. -C’è chi sta peggio. -Non ti servono i farmaci! Esagerato/a ....Abbiamo detto di non mentire, no? Bene. Allora sappiate che delle volte, se non si ha nulla di utile o intelligente da dire, è meglio tacere. Peace and love. Per le testine: Ciao, anche tu qui nel girone della cacca? Bene ma non benissimo. Anche a te non mentirò, è uno sbatti di quello potente. Ma proprio potente. Il mio tipo di depressione era quello disordinato: Avevo camera che era una giungla. Sistemavo le minime cose e mi sembrava di aver fatto tanto, faticavo come se avessi fatto tanto, ed invece non riuscivo a fare un cazzo di niente. Certo, fuori in casa aiutavo tranquillamente, facendo brillare anche una stanza intera. Ma la mia stanza? Pf. Non solo. Mi sono chiusa in me stessa, e mi sono al contempo sempre affidata agli altri. Mostravo una faccia sorridente, da piccola mutavo anche il mio carattere per provare a farmi accettare. Poi ho capito che fa schifo. Così, verso le medie, ho provato ad essere asociale. Spoiler:fa schifissimo anche quello. Ho donato tutta me stessa alle persone, ma indoviniamo? E’ pericolosissimo e FA SCHIFO ANCHE QUELLO YUHUUUU. Perciò, come si può fare? Semplice: ammettiamo di avere bisogno di aiuto. Ci sembrerà un crimine gravissimo, che gli altri ci possano prendere per vittimisti, perché abbiamo osato disturbarli, esternare che stiamo male. Perché ce lo insegnano da bambini che stare male è una brutta cosa e va nascosta. Ma non è così. E’ normale. E’ DAVVERO normale. E chiedere aiuto non è sbagliato. Chiedere aiuto è davvero la soluzione. I vostri amici/parenti/san crispini non ci credono? Lo so, non è facile. Ma se in fondo, molto in fondo, vi vogliono bene lo capiranno che state dicendo la verità. Soffro di tricotillomania da quando avevo 8 anni. Fortunatamente non in maniera grave, mi tolgo giusto un po’ le sopracciglia. Mia madre lo sapeva, e non ci ha mai dato troppo peso. Fino a due mesi fa, quando in una delle crisi ha visto proprio il gesto, a cui prima non aveva mai fatto, volontariamente o non. Ha visto che era un mio modo per autolesionarmi. Si, mi faceva scaricare lo stress,come mangiare le unghie può essere per qualcun’altro, ma non era sano. Ora? Ora ho una cura di prova. Sto un pochino meglio. La mia camera sta prendendo una forma carina. Pulire ancora mi pesa (forse sono un po’ disordinata anche nell’animo) ma riesco a dormire di più, a mangiare meglio, a svegliarmi la mattina. (WAH) La cosa più importante per me, però, è che io e mia madre riusciamo ad avere un contatto umano, fisico e non, senza che implichi il litigio o i soldi. Riesce a non guardarmi più solo con disprezzo, ma ad apprezzare tutto ciò che non vedeva prima perché ero sommersa da questa coltre nera di schifo, ed io che percepivo da lei quella negatività e rigetto che mi faceva ancora più male. Sono solo due mesi, sono ancora all’inizio. Lo spiraglio non è ancora abbastanza grande per farmi passare, è piccolo come una mandorla. Ma ho iniziato, e voglio continuare. Non mi basta un assaggio, voglio tutta la fottuta torta, cazzo. Non so se ci riuscirò, delle volte mi sento ancora giù.. E ad i miei amici ancora fatico a chiedere aiuto se non nei momenti di stremo. Ma non è una cosa che va fatta di fretta. Un passo alla volta, piano piano. E non importa se vorrai esternarlo come ho fatto io o meno. Decidi tu dove vuoi lavarli i tuoi panni sporchi <3
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Stanotte ho fatto un sogno.
Ho sognato di essere miliardaria. E ho sognato anche te. Un giorno, anche se tu non sei mai stato davvero innamorato di me, decido che dovevo lasciarti un segno che rimanesse sulla tua pelle, sul tuo cuore e nella tua mente, per tutta la vita. Così, mi fermo a riflettere parecchio tempo, su come potessi fare ciò. Finché non prendo una decisione. Vado a casa tua con una busta da lettera con quattro cose al suo interno: due paia di chiavi e due foglietti piegati. Ti chiedo di uscire dal portone perché ho qualcosa da darti, e ti osservo mentre, stranito, apri quella busta. Una chiave di una porta, una chiave di una macchina, un contratto di lavoro e un biglietto firmato da me. Tu sei incredulo. Ti ho regalato la casa dei tuoi sogni, la macchina che hai sempre desiderato, un lavoro che può farti vivere senza rinunciare a niente e infine, quel biglietto. Lo leggi a voce alta: "Mi sono chiesta spesso cosa sia l'amore. Come si dimostri. Molti dicono che l'amore sia l'impegno che ci metti, e lo credo anche io. Ma non è solo questo. Altri lo descrivono come follia, come la ragione di ogni essere, ma anche come qualcosa che sa distruggere senza pietà. Io credo che l'amore sia tutto questo: tutte le parole con cui lo descriviamo, gli appartengono tutte. Però amore non significa stare per forza con una persona, ed io ti amo anche se non stiamo insieme e a malapena siamo amici. Questo regalo non è un modo per cercare di comprarti, perché so che non hai prezzo. Ma per farti capire quanto sia smisurato e incontrollabile quello che sento per te. Perché non importa che tu stia con me, ma desidero con tutto il cuore che la tua vita sia quella che non avresti mai immaginato di vivere e che tu stia bene sempre, con quel bellissimo sorriso sempre stampato sul tuo viso. Amore non è possessione, è lasciarti libero, volerti solo vedere felice."
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no in realtà sono italian* e di sinistra è solo che mi sembri davvero fuori luogo. non è che tutti gli americani sono stupidi perché ne hai di stupidi nell’inbox che non sanno come funziona la corte suprema, & dark humor is a thing che peraltro secondo me difenderesti se stessimo parlando di sfottò per stereotipi regionali italiani. quindi.
carissim* genio, e chi ti dice che difendo gli sfottò regionali italiani?
parli con una a cui DANNO FASTIDIO LE BATTUTE SULLA POLENTA A PELLE e a cui fanno ribrezzo il 99% degli sfottò regionali in generale perché so vecchi, non fanno ridere e specialmente nel clima attuale non servono a un cazzo di niente. ma stai male che pensi che giustifico la roba che fondamentalmente prima comincia bene e poi finisce con la terronia? no, car*, a me le battute regionali per stereotipi fanno cagare. mi fanno cagare quelle sui napoletani ladri (e al liceo non vuoi sapere quanto mi rompevano perché gli dicevo che non erano divertenti ooooh wait a moment HO MEZZA FAMIGLIA CHE ABITA A NAPOLI), mi fanno cagare quelle sui milanesi imbruttiti che se la tirano, mi fanno cagare quelle sui siciliani mafiosi e chi più ne ha più ne metta. quindi leviamoci immediatamente di mezzo sta presunzione perché proprio non esiste. SECONDO TE LI DIFENDEREI, un cazzo. ci posso stare in una situazione dove siamo tutti a fare battute pessime senza offenderci ma in generale mi fanno cagare.
punto due: ari-carissim*, in usa ci sta il 18% di analfabeti.
che sono sessanta milioni di persone.
la gente nella mia inbox in teoria avrebbe studiato perché la userbase di tumblr non è gente che non ha fatto il college.
e ho gente che non sa della corte suprema. ho fatto un anno di tutoraggio gratis a studenti americani che andavano in un’università da 20k dollari all’anno e non sapevano manco che in inglese esistevano le preposizioni e non è la cosa peggiore che mi sono sentita dire, e vedo in continuazione uscite di gente di sx americana cosiddetta progressista che sono fondamentalmente classismo e se non arrivi a capire che facendo le battutine idiote sull’incesto in alabama fanno i danni perché la gente soggetto delle cosiddette battutine poi pensa che a washington/ny/la/posti *progressisti* non gliene sbatte un cazzo dei loro problemi e poi vota trump (e tbh come dargli torto, visto che la sx americana si sbatte il cazzo dei problemi di questa specifica categoria sociale da almeno almeno fine degli anni ‘70 ma se parliamo dei poveri in alabama ti posso tranquillamente dire che la sx americana non se ne è mai sbattuta manco per niente ma sia mai), quindi scusa tanto se mi urta vedere che persone che si dicono di sx poi se ne sbattono della gente di cui dovrebbero preoccuparsi solo perché lmao incesti lmao poveri bianchi ignoranti razzisti e poi piangono la mattina che scoprono che tutto il sud e il midwest che fino all’altro giorno chiamano backwards senza battere ciglio votano trump. ma va. e visto che a me l’idea di trump 2020 fa anche orrore, pardon se ogni tanto faccio il cazzo di post che vede solo la gente che mi segue che tanto al 99% la pensa come me quindi è fondamentalmente inutile.
lmao. ma io sono fuori luogo quando dico roba sulla quale mi sono documentata per metà della mia vita per interesse e non per altri motivi che al 99% non la sanno tre quarti degli ammmmericani non interessati e manco vado a dirla a loro allo stesso modo in cui è fuori luogo uno italoamericano che pensa che al capone era un benefattore?
anon per piacere, esci da tumblr e vai a farti un’iniezione di vita reale perché non è che se questi devono fare le battute sceme per i loro **regionalismi** (che non sono regionalismi - n’hai capito che è una questione infinitamente più complicata) uno che sa da dove vengono i regionalismi in questione allora li deve automaticamente trovare divertenti.
also: qui non stiamo a parlà di dark humor. stiamo a parlare di una cazzo di situazione in cui tre secoli di sistema sociale classista abbestia in cui la gente con i soldi pagava per fare si che le scuole pubbliche fossero di basso livello e andava a intimidire i genitori di non mandare i figli a scuola oltre le elementari perché poi sia mai che non volessero fare lo stesso mestiere dimmerda portava a una percentuale non bassa di gente che campava in situazioni che neanche nei peggiori porcili, non so se ci siamo capiti, e sti cazzo di incesti succedevano in percentuali alte perché la gente che non andava a scuola e non concepiva di poter fare altro nella vita che il lavoro da schifo in questione poi non se ne andava da casa e stando in isolamento indovina che succede, non è divertente manco per un cazzo. e non è dark humor fatto da locali che vogliono fa le battute per sdrammatizzare o rielaborare, solitamente è fatto da gente che lì non ci abita e non sa un cazzo delle circostanze o del perché esiste sto cazzo di stereotipo.
ma scusa tanto se a vede le battute sull’alabama messe sopra la fanart presaperilculo della ship incest mi gira lo stomaco.
btw, visto che non ci stiamo capendo, metto le foto di sto famoso libro sotto il cut così rendo l’idea:
(questo era come la tizia stuprata dal padre e suo figlio campavano negli anni 80 quando li aveva intervistati sto giornalista, ma lol dark humor amrite? sadie era la madre, fred era il padre)
e per tornare agli incesti e alla storia del sapone:
ah.
regionalismi.
dark humor.
anon per piacere bella che sei di sinistra ma vedo che sei di sx quanto gli americani di sx che tanto finché facciamo dark humor sulla gente più sfigata di noi facendo finta che è privilegiata va tutto bene.
godspeed ma scusa se dopo sta roba non mi pare proprio divertentissimo.
ciaone.
#io boh ma anvedi le cose che devo leggere#cristoddio#MA POI NON L'HO TAGGATO#NON ERA IN RISPOSTA A NESSUNO#MA POSSO DIRE QUELLO CHE CAZZO ME PARE SUL MIO DI BLOG O CHE#mica ho cercato la lite gesuddio#aho rega non ce la potete fa proprio eh#va bene va bene va bene in verità#Anonymous#ask post
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eppure pensavo che sarebbe stato il primo lunedì senza trappole nel mio cammino, senza ostacoli, senza il rischio di precipitare, di cadere, di sbucciarsi le ginocchia, di farsi male sul serio. sono in camera. ho ancora indosso il pigiama, e ho gli angoli della bocca sporchi di latte. una vespa ronza davanti ai miei occhi. così mi appare: un punto nero fosforescente, che percepisco peloso, un corpo minuto, che occupa poco spazio ma che in quello spazio moltiplica in suoi pochi centimetri all’infinito. la vespa ronza, ronza. si avvicina ai libri della libreria. fugge da me, a dirla breve. a me gli animali che possono attaccarmi fanno paura. non sono abituato. ho vissuto la maggior parte della mia vita fuori dalle campagne, fuori dalla natura. nella culla dei soggiorni delle case in cui mi sono trasferito prima con entrambi i genitori, poi con una sola madre. cresciuto da una sola madre. il padre, assente. sparito dalla circolazione. a volte mi chiama per farmi gli auguri. è sempre il giorno sbagliato. gli dico, papà, questo non è il mio compleanno. sorride. posso vedere il ghigno al di là della cornetta. quel ghigno malefico con cui accompagna un saluto imbarazzato quando mi vede per strada. il ghigno di una persona che non ha voglia di vedermi. che saltava i weekend dedicati a lui. ha fatto male alla mamma. per me esiste solo la mamma. ha dovuto crescermi da solo, e mi lasciava nell’ambiente sicuro della sala. davanti a una televisione a vedere in loop i cartoni animati. a gambe incrociate, sul pavimento. il freddo pavimento. a stringere le dita dei piedi e ciondolare avanti e indietro. fuggo anch’io dalla vespa. lei fugge da me, io fuggo da lei. non ci conosciamo, siamo spaventati. io socchiudo la porta, sorreggo le spalle sul muro lì vicino, aspetto qualche secondo, sospiro, rientro. la vespa è sparita. la vespa non c’è. avrà avuto il tempo di scappare, questi cinque o dieci secondi saranno stati abbastanza per ritrovare la via di casa. eppure è strano. dieci secondo. così poco. così. poco. controllo dietro ai libri, controllo dietro agli specchi, agli armadi, controllo sotto il letto, sotto le coperte, penso ma dove si sarà cacciata, io so che sei qua, non farmi paura, per favore, non farmi scherzi. dicono che una vespa che sparisce sia un brutto segno. forse ha avuto il tempo, qualche attimo per riposarsi e poi via, verso il cielo. che animale intelligente. così furbo. non darebbe a vedere...eppure. ho cercato su google. le vespe si nascondono ovunque, nelle scatole che colleziono copiose nel mio appartamento. un altro trasferimento. dieci anni dopo. dieci case dopo. questa l’undicesima. ho comprato una torta. ho messo sopra undici candeline. le ho spente con un bel soffio. ho portato le scatole su dalle scale. mi sono lasciato con la fidanzata. la casa, la casa...era sua. non c’era modo di stare assieme. incompatibilità. non possiamo stare assieme, davide, non ora. scusami. non siamo compatibili. c’è qualcosa, in te...non posso farmi inghiottire dalla tua oscurità, scusami. devi scacciarla da solo. ci faremmo divorare in due. non posso far sì che questo mostro faccia due vittime. non posso sacrificarmi con te. non posso proprio. dopo tutto quello che ho sacrificato, nella vita. devo cercare di appigliarmi a quel poco di felicità che mi rimane, capisci? ho discusso la sua opinione. ho fatto finta che non ci fosse un accidente di oscurità in me, nella mia vita. ho detto una bugia. no sofia...io sto bene...basterebbe solo un attimo, un po’ di tempo, poi le cose si rimetterebbero in sesto...ti ricordi i primi mesi, che andava tutto bene...ero sempre sorridente, non c’era una cosa fuori posto...poi ho preso scatole e scatoloni. non ho lasciato niente, da sofia. non uno spazzolino, non una pentola. ho cacciato tutto nelle scatole. non c’era un amico a portarmi via la roba, così ho chiamato un tizio che fa il trasloco delle case. è venuto di sopra, da sofia, con me. lei stava con le mani sui fianchi, ci guardava in silenzio, imbarazzata. poi è andata da un’altra parte, in un’altra stanza, a fare altro. fingeva di fare altro, pur di non dover assistere a questa scena penosa. io prendevo e portavo le scatole col ragazzo. non volevo fargli fare tutto da solo. no, questa lasciala a me, gli dicevo. e mi guardavo la punta delle scarpe con uno sguardo da cane bastonato. la vespa. ho letto su internet che nidificano ovunque. ho controllato dietro gli armadi, dietro gli specchi, sotto le coperte, sotto al letto. l’ho fatto per giorni. nulla che potesse farmi sospettare che fosse rimasta qui da me per davvero. è solo una mia paranoia. ma avevo così paura. ci pensavo così spesso. e vedi un po’ se non ho guardato bene...ci sono armadi troppo grandi per poterli spostare da solo...e quell’interstizio tra la camera da letto e il bagno? se è abbastanza furba...potrebbe essersi ficcata lì. vivevo col terrore. una notte l’ho sognata. la vespa, proprio lei, sfuggente, ora però grande, cresciuta, già adulta, troppo adulta, così adulta dall’essere a ridosso della vecchiaia, disgustosa, mefitica, e mi guardava con due grandi occhi da essere umano ma con un’espressività crudele da cartone animato. si avvicinava lentamente col pungiglione e mi diceva: ora vedi un po��� che ti succede! e poi mi svegliavo. è una premonizione. questo sogno dice qualcosa. succederà, presto o tardi. la vespa si sveglierà dal caldo torpore del suo nascondiglio. farà dei cuccioli, prolifereranno in questa casa. più ne avrò paura, più prolifereranno. con gli incubi funziona così. più ne hai paura, più proliferano. più hai paura, più procreano tra di loro, generano altre paure. paure ancor più orrende, deformi, vomitevoli. lo dico al mio coinquilino, il mio coinquilino debosciato. ho paura che mi prenda per matto. gli dico: paolo, penso ci sia una vespa, qui in giro. è entrata per un attimo in camera, e io sono uscito dalla camera, sempre per un attimo, perché lo sai, ho paura...rientro, e non c’è più. non è che ha nidificato? forse dovremmo controllare. forse sei un cagasotto, mi dice lui. e avrà ragione. sono un cagasotto. ma l’incubo mi consuma, accarezza la realtà nei sogni, e nei sogni il pungiglione mi accarezza la pelle, la stuzzica, forgia i nomi delle mie paure sull’epidermide. non si conficca mai, no: è un avvertimento. può succedere, se non stai attento. può essere che la vespa ci sia davvero, se non stai all’erta. se non fai attenzione, può essere che la vespa, adulta nella sua deformità, raggiunga il tuo misero corpo umano coi suoi figli e figliocci. può essere che usino la tua carne come terreno di allenamento per apprendere le loro abilità di difesa. un occhio ovunque, davide. un occhio alle spalle. stai attento. ma l’incubo, più ne hai paura, più si moltiplica. allora potrebbe essere ovunque, dietro alla porta, a casa di sofia. un giorno bisognerà chiamare sofia, e dirle che la vespa potrebbe essere finita persino a casa sua. non si sa mai. le vespe seguono percorsi inimmaginabili. dopo due settimane di terrore torno a casa dal lavoro. succede quello che ho sempre temuto. vado in cucina, prendo un bicchiere dal lavello e sotto al lavandino, vicino ai tubi di scarico, lo vedo. per la prima volta, nella mia vita, coi miei nudi occhi. non mi era mai accaduto. beh, a voler essere onesto nei giorni precedenti ne avevo già fatto una conoscenza esteriore su youtube, per documentarmi. per prepararmi. ora era così, a un passo e mezzo da me, reale. come quando vedi un amico che hai solo conosciuto online. un impasto di legno a forma di sfera. una struttura assimilabile a quella di una stazione spaziale aliena, se dovessimo immaginarne una. deforme e spaventoso come me lo immaginavo. un buco sull’estremità superiore, perché possano uscire e rientrare. un lavoro certosino di creature ignobili. caccio un urlo. fuggo dal mio coinquilino. sono in lacrime, ansimo. riesco a malapena a parlarne. paolo, ma l’hai visto?! tu sei tutto il giorno a casa, e non mi hai detto niente?! sì, davide. certo che l’ho visto. che problema c’è. ma come che problema c’è?! abbiamo un cazzo di nido di vespe in casa, e tu pensi non ci sia nessun problema?! oh, dio, davide. si vede che non hai mai vissuto in campagna. che sarà mai. al massimo entrano...poi escono, dal buco dell’estremità...questa è la natura. vorresti interrompere il corso della natura, davide? e se mi pungono? e se ti pungono, davide? qual è il problema? ti faranno male. imparerai a conviverci, come tu imparerai a convivere con loro. e poi io non le ho mai viste. tu le hai mai viste, in giro? probabilmente volevano lasciarci un regalino, tutto qua. non si faranno vedere, te lo assicuro. oh, beh...se credi che questa sia l’opzione migliore...ti darò corda. ecco, bravo. dio, stai tranquillo. sei sempre così nervoso. non capisco che cazzo ti prende, davvero. sì, forse ho ecceduto. scusami. l’incubo. col terrore si convive. ho paura che possano volare sopra il mio naso di notte, ma io. ora sono confortato. io. ora penso che non potrebbero farmi così male. certe volte sogno di accarezzare il nido. immagino le vespe felici, la madre che porta ai pargoletti il cibo quotidiano, mi si scalda il cuore. e pensare che le volevo bruciare...volevo chiamare i vigili del fuoco...ma quanto sono esagerato. non so proprio controllarmi. passano i giorni. vado e torno dal lavoro con una mente ebete, non mi sembra di vivere: la realtà mi sembra irreale. il nido sta prendendo più spazio. non vediamo mai le vespe, no, ma certe volte sotto il nostro sguardo il nido cresce lentamente, con un movimento che sembra virtuale, come quello delle nuvole quando c’è troppo poco vento: la sfera legnosa si gonfia di una frazione micragnosa di un millimetro, prende una fetta piccola piccola dello spazio ma abbastanza grande perché noi ce ne possiamo accorgere. non ce ne preoccupiamo troppo. abbiamo imparato a convivere col nido, non importa più nulla. io ho paura, sì, ma è come una gamba monca per uno zoppo. impari a vivere come se fosse il grado zero della tua esistenza. non c’è vita prima del nido, non c’è vita oltre il nido. non se ne parla, di dargli fuoco, non ci penso nemmeno a cambiare casa. la sofferenza è come il cerchio di fuoco che deve attraversare l’asino prima degli applausi dal pubblico pagante. vale la pena di qualche notte insonne. del terrore degli occhi imenotteri che ti guardano nel buio, appollaiati nell’alto del mobilio, che aspettano un momento di insicurezza, quello in cui ti coglie il sonno, per attaccare. il nido non può morire. il nido sono io, il nido siamo noi: cancellarlo equivarrebbe a cancellarci. il nido cresce, cresce. occupa porzioni della nostra cucina sempre più sostanziose. quasi non possiamo muoverci. il nido cresce, a un certo punto torno dal lavoro e non posso aprire la porta. il nido ha preso la casa. è sua, ora. chiavi in mano. l’abbiamo venduta al nido. contratto e tutto il resto. firmata. scatoloni, suoi. spazzolini, coperte, affar suo. è tutto-tutto-tutto suo. non voglio più vederne niente. nell’incubo hai proliferato e ora puoi goderti tutto. hai vinto tu, e la mia vita ormai dipende dalla tua enormità. succhi via ogni mia linfa vitale, e io la cedo volentieri, tuo schiavo. la mia esistenza è donata alla tua crescita. e avrò paura quanto vuoi, perché tu possa crescere. mamma, papà, sofia, non c’è sofia che tenga. il nido, gigante, mi costringe all’addio. non posso entrare, anche volessi. occupa tutto lo spazio. nessun ultimo saluto alle mie mura quotidiane, che avevo conosciuto da così poco ma già erano entrate nel mio cuore. scendo le scale di corsa, aggrappandomi ai pantaloni eleganti dell’ufficio. sono già fuori. da lontano vedo il nido. straborda dalle finestre, la sua imponenza è ormai evidente a qualsiasi passante. si fa strada un piccolo piacere perverso, in me. il piacere di farla finita. chiamo i vigili. salve, in cosa possiamo esserle utili? c’è un nido, in casa mia, è molto grande. è davvero molto grande. dovreste mandare tutti gli uomini che avete lì in stazione, perché ce n’è davvero bisogno. non so nemmeno come ci si possa disfare, di una roba del genere. non so come spiegarvelo. è gigantesco. ok, arriviamo subito. non c’è spazio per entrambi. non c’è spazio per uno solo. o vivi tu, e io mi dimezzo, o muoriamo entrambi. così ho scelto. e la paura, quella piccola, deliziosa paura...quella paura di amare, e i pomeriggi ciondolanti davanti alla tivù, da piccolo...tutta polvere ammucchiata negli angoli di casa tua. sono sul ponte. mi lancio.
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* “Quindi sei quasi al termine, no?”
Così mi ha detto sorridendo cassiera del supermercato stamattina.
Nooo, volevo scoppiarle a piangere su una spalla, noooo signora, noooo, il termine è ancora lontanissimo, prima di marzo qua non si vedrà niente e sono una balenaaaa.
E invece sorridendo le ho risposto che partorirò a marzo e lo so che non si direbbe perché ho un pancione enorme. Lei, imbarazzata, ha balbettato che spesso i vestiti premaman fanno sembrare la pancia più grande. Poi mi ha chiesto, come fanno tutti qui, se è il primo. E io cerco di prenderlo come un complimento, perché magari dimostro di essere una giovincella mentre dieci giorni fa ho compiuto 35 anni.
Cosa è successo dall’ultima volta che ho scritto
L’ultima volta che ho scritto un post sul blog ero in partenza per l’Australia. Era un post stile il vecchio blog su Splinder di un tempo: passo di qui, mi sfogo, e me ne vado, come se questi anni non fossero passati mai dietro gli steccati degli amori tuoi (per chi non coglie, qui).
E avevo voglia di parlare d’altro, adesso, qui sopra, perché mi immagino che stare a sentire una che parla di quanto le cresce la panza non sia il massimo del divertimento (O no? Mio marito invece è elettrizzato ogni volta che gli racconto di quanti centimetri cresce. Non potreste imparare tutti a fingere l’entusiasmo come lui?).
E mi aspetto da un momento all’altro il cazziatone di Gordon.
Ma credo che un aggiornamento sia necessario, perché il precedente post era così disperato e i commenti sotto così teneri che lasciare le cose in sospeso sarebbe di grande maleducazione.
Dunque: cosa è successo dall’ultima volta che ho scritto?
E’ successo che siamo partiti. Abbiamo fatto una sosta in Qatar, mi hanno messo su una sedia a rotelle in aeroporto e mi sono vergognata come una ladra. C’è da dire che mentre mi vergognavo come una ladra ho anche riflettuto su quanto sia difficile da accettare di dipendere da qualcun altro e di non poter mai veramente guardare qualcuno fisso negli occhi con astio. Sul tema (persone in sedia a rotelle) per motivi personali sono molto sensibile e non voglio cavarmela con qualche frase di circostanza, però se non ci pensate spesso, fatelo adesso e guardatevi le gambe: è una fortuna e non un merito che funzionino. Quando tutte le cose non vanno e vi dicono “Pensa alla salute!“, non prendetelo per un commento leggero ma come un vero imperativo: bisogna pensare alla salute e ringraziare di stare bene. Punto.
In Italia a metà del quinto mese mi avevano diagnosticato una lievissima forma di diabete gestazionale perché ai medici non sembrava vero che tra le dieci sfighe più divertenti della gravidanza a me ne fossero capitate solo nove, quindi hanno pensato bene di rimediare aggiungendo anche questo carico da novanta.
L’aggettivo “lievissima” non è lì per caso, ma è il preciso grado medico con cui questa forma di diabete mi è stata diagnosticata.
Ho maledetto tutti i miei avi (“Ah, ma me la pagherete non appena ci vedremo!”) e la mia eccessiva bocca buona e poi ho scoperto che il diabete gestazionale (per chi, come me fino a due mesi fa, non sa cosa sia è una forma di diabete che compare in gravidanza, nel 99% dei casi sparisce con il parto. Capita ad una donna su sette – e quella donna dovevo naturalmente essere io – e averlo è un segnale: il bambino potrebbe essere a rischio di malattie dovute al metabolismo come obesità e diabete. Se tenuto a bada in gravidanza con una dieta specifica, si limitano i danni e spesso si eliminano proprio) ha cause molto varie: specifiche etnie come sud-est asiatico e ispanica, obesità, familiarità ed età superiore ai 40 anni.
Ora io non sono del sud est asiatico né sudamericana, non sono obesa, nessuno nella mia famiglia fino al tredicesimo grado di parentela ha il diabete e ho appena compiuto 35 anni.
“Quindi??? Come si spiega?“, ho chiesto con sguardo torvo alla ginecologa.
E lei con il suo inimitabile savoir faire ferrarese ha risposto: “Ehhh. Ti è stà sfigà!“.
E a quanto pare in quella categoria ci rientro pienamente.
Ma l’ho presa bene.
Quindi cos’è successo dopo avermi detto “Sì, hai il diabete gestazionale”?
Mi hanno fatto visitare dal centro diabetico dell’ospedale, mi hanno affidato un aggeggino elettronico, delle strisce di carta sensibile e una specie di penna e mi hanno spiegato come pungermi le dita con la penna, inserire la striscia nell’aggeggino e leggere il risultato del livello di glicemia.
Il kit è così composto: quello più grosso è il misuratore della glicemia, quello snello è la penna con cui pungersi le dita e la striscetta è quella che si tocca con la goccia di sangue che dice al misuratore il livello del glucosio nel sangue. Così è se ho capito tutto giusto.
Il giorno dopo mi hanno mandato dalla dietologa che mi ha stipulato una dieta per evitare i picchi di glicemia.
La dietologa (il cui lavoro pensavo consistesse nel far dimagrire le persone) mi ha ampiamente cazziata per aver perso peso in gravidanza. “Ma non è colpa mia! Io mangio! E le assicuro che mangerei pure di più! E’ che non posso mangiare niente!!!” ho piagnucolato io. E lei ha preso la dieta che mi aveva appena consegnato e ha iniziato ad aggiungere commenti come “ben condito con olio extravergine d’oliva” o “con molto parmigiano”. E le ho voluto un po’ di bene.
Quell’attributo “lievissima” mi permetteva, secondo i medici, di misurare la glicemia solo una volta al giorno.
E così sono partita dall’Italia con le mie due valigie (ehm, veramente una sola perché avevamo fatto male i conti dei chili. “Amore, vuoi pesarle?” – “No no, sono sicuro che siano 90 chili in tutto” aveva risposto l’Orso prima di arrivare a Venezia e scoprire che i chili in tutto erano CENTOSETTE), il certificato medico e il kit per controllare la glicemia una volta al giorno.
E un chilo e mezzo di speranza che in Australia avessero altri parametri e mi dicessero: “Ma va, quelle sono pippe che si fanno gli italiani, qui sei a posto, va e mangiati un hamburger con le patatine fritte e ci vediamo al parto! See ya!“.
Questa era la midwife dei miei sogni.
Cosa mi sono lasciata alle spalle
In Italia ho lasciato le mie amiche alle prese con vari problemi di vita e lavoro, abbastanza gravi al punto che nessuna prestava particolare attenzione alla mia gravidanza. Ed è stata una fortuna che tra tutte, io (con – ricordiamolo – tutte e dieci le sfighe della donna incinta) venissi considerata “quella che stava bene” perché non avrei sopportato le mie amiche più care a controllarmi la pancia tutti i giorni.
Purtroppo però in Italia c’era anche un sacco di altra gente e tutti si sono sentiti in dovere di dire la propria sul mio stato interessante.
Col tempo ci si fa il callo e si capisce che non lo fanno per cattiveria.
Il fatto è che quando hai a che fare con un evento di vita “pubblico” come laurea, matrimonio e gravidanza, le persone sanno solo quello di te. E quindi per fare conversazione tirano fuori l’argomento. A seconda del grado di confidenza e sensibilità, in modo più o meno maldestro.
Pensavo che questa consapevolezza (non è cattiveria, lo dicono solo per fare conversazione perché non hanno altri temi) acquisita da anni mi avesse reso più zen davanti ai commenti altrui.
E invece ho scoperto di non sopportare proprio queste incursioni non autorizzate nel mio privato.
Ma perché proprio a me? Insomma, entro su Facebook ogni otto mesi, ho aspettato di essere al quarto (in alcuni casi anche al quinto) mese prima di dare la notizia non dico solo agli amici, ma pure ai miei fratelli (ed ho un rapporto molto stretto con entrambi), non divulgo sui social le foto col pancione e soprattutto non ho mai chiesto pareri a nessuno.
Ma invece chissà com’è o come non è, TUTTI si sono sentiti in dovere di elargirmene.
Questo momento di saggezza ha come testimonial il Genio delle tartarughe.
Ecco quindi in pacco promozionale natalizio le migliori citazioni.
Anzi, le in- ci –n- tazioni.
Siccome meritano un’attenta analisi, ecco il mio pensiero su ognuna di esse. (Poi alla fine vi dico i veri autori).
Ma dai? Oh, grazie, davvero, se non me l’avessi detto tu non me ne sarei mai accorta. Ma dici sul serio?
Ecco, lo so da sola che non è una malattia. Questa frase vorrebbe spingere la donna gravida a fare esattamente le stesse identiche cose di prima, con l’unica differenza della pancia.
Sono consapevole che là fuori ci siano un sacco di donne incinte che non hanno alcun problema a fare le maratone e le scalate in montagna, io purtroppo, però, non sono una di queste.
Perché a gravidanza appena iniziata mi hanno detto “Stia a riposo” e non come consiglio generico, ma come imperativo medico, e dopo due mesi mi hanno detto di evitare: percorsi lunghi in macchina, buche, biciclette e rapporti sessuali. Dopo altri due mesi mi hanno detto che mi era vietato anche stendermi a pancia in su e saltare.
Ho trascorso settimane in cui ogni mattina l’unico posto dove andavo era l’ospedale (ho visto nell’ordine: ginecologa, tantissime infermiere dei prelievi, neurologo, cardiologa, ostetrica, altri ginecologi – un totale di otto diversi, e non per volere mio o perché fossi schizzinosa -, diabetologa, dietologa, medico di base specializzato in ginecologia, ostetrica australiana, dentista, vario personale medico incaricato di informare, prevenire, aiutare, fare le ecografie etc… ) e ad ottobre ho fatto dieci giorni consecutivi in ospedale tutte le sacrosante mattine.
Mi hanno trovato problemi fuori dall’utero, alla placenta, al sangue… e mi devo sentire dire “Beh, ma non comportarti da malata, la gravidanza non è mica una malattia“!?
Ma per piacere, non sarà stata una malattia per te, non sarà una malattia per tante donne ma visto che frequento spessissimo gli ospedali, mi manca il fiato se sto in piedi più di venti minuti, non posso fare attività fisica per ordine medico, devo pungermi le dita quattro volte al giorno, mangiare solo cibi prestabiliti sei, e assumere cinque diversi tipi di integratori in momenti diversi della giornata, beh, scusa se un po’ sfigata mi ci sento e se non prendo e vado a saltare alla corda dopo 5 chilometri di corsa.
(E tutto questo lo dico da persona miracolosamente SANA, che non ha mai avuto problemi seri di salute prima e che spera che tutto questo una volta partorito sia solo un ricordo).
Magari prima di sparare frasi così pressapochiste informatevi sulla salute della persona che avete davanti.
Reazione mia: sorriso e “Sì, non è una malattia ma io l’ospedale così spesso non l’avevo mai visto“.
Che domanda cretina. “Che sia sano” è stata la mia risposta, ma secondo te con tutte le scadenze quotidiane di medicinali e altre palle a cui devo stare dietro, il sesso del nascituro mi preme? La mia priorità è fare in modo che esca sano, ed è per questo che sto attenta a tutte queste cose.
E allora insistono: “Eh ma qualche preferenza ce l’avrai…”
Reazione: “Preferisco che sia sano. O sana. O sani. O sane. E che sia bello come la mamma e intelligente come il papà o bella come il papà e intelligente come la mamma“.
Ah ah ah ah ah.
Dunque, io mi vanto sempre del fatto che non ho avuto traumi grossi nella vita: i miei genitori stanno assieme da 40 anni, sono in salute, non ci sono stati lutti in famiglia quando ero bambina, sono sana (o almeno così credevo, prima della gravidanza), vado d’accordo con i miei fratelli, e ho un gruppetto di amiche solidamente costruito e mantenuto negli anni. Sono sposata con la persona che ho iniziato a frequentare più di nove anni fa, sono disoccupata ma per fortuna non ho l’ansia di arrivare a fine mese, ho studiato quello che mi piaceva, spesso sto simpatica alla gente.
Detto questo, veramente il parto sarà il momento più orribile della mia vita?
Ah sì?
A dodici anni il ragazzo di cui ero follemente innamorata mi ha fatto ubriacare per approfittarsene, per questo per ben sei anni non sono riuscita ad avere nessun tipo di relazione con ragazzi (tutto sotto controllo per me adesso e a lui, beh, la vita l’ha rimborsato con gli interessi).
A sedici anni sono stata seguita per giorni da un maniaco (riconosciuto come tale in città, quindi non stalkerava solo me, eh) che aspettava che uscissi dal bar dove lavoravo e facessi i duecento metri di strada a piedi prima che mi venissero a prendere. Un giorno si è presentato anche nel prato davanti a casa mia (abitavo a 15 km dal bar) e mi ha spinta e strattonata per convincermi ad andare dietro il cespuglio con lui. Sono scappata via, ho preso correndo il telefono dentro la borsa e ho implorato mamma di uscire e venirmi incontro.
Più avanti sono stata fidanzata ufficialmente e serissimamente per tre anni con un bravissimo ragazzo buono e caro, sogno di ogni mamma di figlia femmina, che in realtà era un mentitore seriale. Aveva inventato una doppia vita ma quando (dopo due anni) non ce l’ha più fatta a fingere, ha confessato e a me è crollato il mondo addosso. Perché io ci avevo creduto.
Dopo un anno sono finita in una relazione cupa con un manipolatore che un po’ alla volta mi ha tagliata fuori da tutto quello che mi rendeva felice, mi ha levato affetti, amicizie, passioni (ce la ricordiamo ancora “Scegli o me o il blog“!?) mentre continuava felicemente a incontrare a cadenza settimanale la sua ex. Era pure un tirchio di prima categoria. Sono dimagrita di dieci chili nel periodo in cui stavamo assieme, e all’apice della follia mi ha pure chiesto se volessi andare a convivere: io, lui e l’ex. (Anche lui lautamente rimborsato dal fatto che ora è sposato proprio con l’ex).
Nel frattempo avevo come unico coinquilino un ragazzo marocchino che in una notte di troppo alcol mi ha confessato la passata vita da marinaio e di aver ammazzato delle persone, e che per questo motivo era scappato dal Marocco.
Quando ho deciso di andarmene si è arrabbiato così tanto che ha iniziato a picchiare il mio ragazzo dell’epoca e io ho dovuto chiamare la polizia perché mi sono spaventata a morte quando si sono avvicinati pericolosamente al cassetto dei coltelli, con tutto il condominio che si affacciava dalle scale per vedere cosa stesse succedendo, visto che io continuavo a piangere e urlare.
Sono stata derubata cinque volte. Una di queste pure delle chiavi di casa quando abitavo in Francia. Ho aspettato sulla panchina che la notte finisse per bussare a casa dei padroni di casa e chiedere umilmente di poter salire al mio appartamento.
In Cappadocia tre ragazzi che ospitavano tramite il Couchsurfing me e la mia coinquilina, con la scusa di farci vedere il paesaggio ci hanno portato in macchina di notte in montagna su un sentiero sterrato non illuminato, lontano da ogni centro abitato, e tutti e tre avevano una bottiglia di vodka pura a testa. Ci hanno provato e solo il muro della paura e la bontà divina ha fatto in modo che tornassimo a casa sane e salve e che loro si scusassero dell’ardire.
Sono svenuta mentre mi trovavo da sola a casa in Svezia, dopo pochi mesi che ci eravamo trasferiti. Ho perso i sensi e mi sono accasciata al suolo lentamente, per mia grandissima e baciata fortuna, perché l’Orso era in Italia e se avessi sbattuto la testa mi avrebbero trovato dopo tre giorni.
Mi sono persa, di notte, in Svezia, in periferia, sotto la neve che cadeva, con il cellulare scarico, senza parlare lo svedese e nessuno voleva aiutarmi.
La mia nonna preferita è morta il giorno del mio compleanno. Nessuno ha voluto dirmelo, così io non sono riuscita ad arrivare in Italia in tempo per il funerale.
Ho avuto per due anni una classe di ventisette alunni di cui tredici avevano delle diagnosi gravi e vari problemi comportamentali. Sono sopravvissuta senza fare un esaurimento, ma uno degli ultimi giorni un alunno (alto due metri, dalla stazza imponente) ha minacciato il mio collega (basso e mingherlino) spingendolo al muro con violenza. Per difenderlo mi sono messa in mezzo. Per legge non si possono toccare i ragazzi e quindi ho cercato solo di allargare la distanza tra me e loro e di parare i colpi. E’ arrivata la polizia e dopo le due settimane canoniche di sospensione siamo stati obbligati a reintegrarlo in classe.
Ho avuto un attacco di panico, da sola, in casa, in Svezia, dopo aver dato le dimissioni. Mi è mancato il respiro e non riuscivo più a muovere neanche un muscolo. L’Orso stava tornando da una trasferta e mi ha trovata a terra, incapace di parlare.
No, certo, però è il parto l’esperienza più orribile che mi possa capitare.
Reazione: Mavaccagher.
Bene, per fortuna che sei arrivato tu a spiegarmi la vita, perché la sessione di due con la nutrizionista, la visita con la diabetologa, il piano medico stilato apposta per me con la dieta dall’ospedale, la sessione di quattro ore con la nutrizionista specializzata in diabete gestazionale evidentemente sono tutte delle sciocchezze e perdite di tempo. Perché tanto, basta mangiarne un boccone o berne un pochino che tanto male non fa.
Reazione: “Sì, invece sarà proprio questo boccone a farmi male. E se non ci credi, puoi tranquillamente leggere le sei pagine di dieta dettagliata su misura che mi porto appresso”.
E sai cosa c’hai avuto? Un grande, grandissimo, enorme culo. Io no, perché se supero i 45 grammi di carboidrati a pasto il mio corpo non riesce a spezzare il glucosio e questo potrebbe dare dei problemi al nascituro, e come credo immaginerai, non è un rischio che voglia correre.
Reazione: “Beata te!”
E quali sarebbero? Non posso bere, non posso mangiare niente che non sia proteine, non posso muovermi, non posso neanche fare l’amore.
Reazione: ���Ahahahahahahah!”
Meglio se non commento proprio e passo direttamente alla reazione.
Reazione: “Ma vai a quel Paese!”
Ogni volta che siamo a Milano io ho i miei piccoli rituali. C’è un autobus che prendo sempre, una strada che mi piace percorrere, un bar in particolare dove mi piace andare a prendere il caffè, dei negozi dove mi piace entrare a bighellonare. Ogni volta cerco di inserire qualcosa che non ho ancora visto: un museo, una chiesa…
E così, a fine settembre ci trovavamo a Milano e io di giorno avevo fatto i miei bravi due forse tre chilometri a piedi, per andare nel mio solito bar (e prendere un cappuccino decaffeinato stavolta) e a vedere (senza speranza alcuna di trovare la taglia balena) i soliti negozi. Come sempre.
Quando sono tornata a casa dall’Orso ero dolorante.
Ma come!? Ho trascorso tutta la serata a spiegare che avevo fatto esattamente le stesse cose di sempre, addirittura più lentamente, com’era possibile che mi facesse male il nervo sciatico? (Anche questa grande scoperta della gravidanza, io manco sapevo dove abitasse il nervo sciatico, PRIMA) Com’era possibile? Interrogavo con veemenza l’Orso. E lui ad un certo punto ha sorriso, mi ha abbracciata e mi ha detto: “Non è colpa tua“.
E io me lo ripeto come un mantra tutte le volte che mi trovano qualcosa che non va o che mi fa rientrare in quella piccolissima percentuale di donne che ha una particolare sfiga in gravidanza… non è colpa mia. Punto.
Soluzione:
Oscar Wilde: mia suocera; Virginia Woolf: chiunque; Ennio Flaiano: amica storica; Gualtiero Marchesi: chiunque; Oriana Fallaci: mia madre; Carlo Cracco: amiche che hanno già partorito; Jim Morrison: sempre mia madre; Bob Marley: mio marito.
Ma ecco, vedo che non sono l’unica…
Come mi sono organizzata
La settimana scorsa questo amabile oggettino qui sopra rappresentato mi ha svelato un’amara verità.
La mia circonferenza giro ombelico è di UN METRO.
E con questa panza, signori miei, non sono mai stata in vita mia.
Ho quindi delle difficoltà a muovermi, girarmi, farmi spazio in treno…
Così mi sono attrezzata: abbiamo preso un appartamento con l’ascensore. Poi mi sono iscritta al servizio di spesa a domicilio di due supermercati. Ce ne sarebbe pure uno sotto casa ma è caro e poi dovrei portarmi le buste da sola, ma stiamo scherzando?
Ho liquidato i sensi di colpa per l’ambiente con il fatto che il fattorino del supermercato fa parecchie consegne in un giorno, quindi il suo consumo di carburante e incremento del traffico sono comunque ridotti rispetto alle venti macchine private che si muoverebbero per la città per fare la spesa… giusto?
In questo mio stato ingombrante mi ritrovo anche da sola, perché l’Orso è dovuto partire per una trasferta imprevista di un paio di settimane, domani tornerà ma dopo pochi giorni dovrà ripartire per un mese.
In Italia le nostre famiglie sono tutte in allarme: “Non puoi stare da sola all’ottavo mese!” è la frase che ho sentito ripetere più spesso negli ultimi tempi.
Innanzitutto, io non sono da sola: ho una bambina dentro la pancia!
Poi: c’è l’ambulatorio medico a cinquanta metri, e la fermata dell’autobus per l’ospedale dietro casa.
A proposito, appena arrivata ho subito preso contatti con l’ospedale dove, dopo lunghissime e approfondite ricerche, avevo scelto di partorire e lì mi ha visitato una midwife (ostetrica è la traduzione, ma sarebbe una via di mezzo tra una ginecologa e un’ostetrica, dal momento che per esercitare deve farsi 13 anni di università). Dopo aver guardato i miei esami italiani, mi ha chiesto: “E così hai il diabete gestazionale, eh?”. Eh sì, ma una forma lievissima, mi sono affrettata a specificare. “Bene, noi qui diamo per buoni i tuoi esami italiani, ci fidiamo, non c’è bisogno di rifarli. Quindi lunedì vieni a fare la sessione informativa sul diabete gestazionale”.
Ma come!? Ma non dovevate essere tutti scialli qui? Ma questo non era il momento in cui mi mettevi in mano una sausage pie e un fish and chips e mi dicevi cià, ci vediamo in spiaggia?
E quindi malvolentieri sono andata a questo incontro di quattro ore in cui ci hanno spiegato (a me e altre cinque fortunelle) come si usa un nuovo aggeggino che fa le stesse cose di quello che mi avevano dato in Italia e che tipo di dieta seguire per evitare che il livello di glicemia si alzi troppo.
E ta dà, invece di misurare una volta sola, qui devo misurarlo QUATTRO volte al giorno.
Mi sono sentita come in quel racconto di Buzzati su quel paziente che finisce in clinica per sbaglio e poi viene spostato con una scusa o con un’altra al piano inferiore, dove si trovano i malati più gravi, e continuamente viene spostato al piano successivo… e lui si dispera e non sa più come spiegare che non ha niente, che è tutto un errore ma i medici lo prendono per pazzo… Ecco. Uguale.
Poi, per evitare di trasformarmi in divano (anche perché chi mi rialza, poi!?) mi sono iscritta a vari corsi di yoga premaman e pilates premaman. Il dottore mi ha detto che non posso mantenere la stessa posizione a lungo, non posso sdraiarmi e non posso saltare e che – per l’amor di Dio – devo smettere immediatamente appena noto che qualcosa mi fa male o mi affatica.
Praticamente il mio sogno di persona pigra trasformato in realtà: vado in palestra ma appena non c’ho voglia dico “Non me la sento” e tutti sono comprensivi e fanno sì con la testa senza giudicarmi, anzi, preoccupandosi pure!
A chi non fa tenerezza una balena esausta?
A livello pratico in casa ho messo tutte le tazze e i piatti a portata di braccio e ogni tre metri c’è una sedia, perché, purtroppo, a fare qualsiasi cosa mi stanco molto. (E infatti questo post lo sto scrivendo dal 5 novembre).
Ma perché vuoi stare da sola quando potrebbe venire qualcuno della tua famiglia dall’Italia?
Perché!?
Perché?
Perché quel qualcuno sarebbe stato mia suocera. (Con cui vado molto d’accordo, sia chiaro, ma un mese è proprio luuuuungo.)
A cosa penso / What have you done?
L’altro giorno mentre stavo in vasca (perché una delle gioie che non mi hanno levato è il bagno – sì, per quanto debba farlo in acqua tiepida e senza getti diretti alla pancia- ) è partita questa canzone natalizia che inizia chiedendo in modo impertinente: “And so this is Christmas, and what have you done?“.
E io ho pensato che pochi giorni fa ho compiuto 35 anni. Quest’anno ho abitato in Spagna, Inghilterra, Cile, Italia e Australia. Mi sono abilitata e sono rimasta incinta.
A 16 anni se me l’avessero chiesto: “Dove ti vedi a 35 anni? Cosa farai a 35 anni?” avrei risposto qualcosa come “In viaggio, in giro per il mondo” oppure altri giorni avrei risposto “Sposata con un uomo che amo e mi ama e con dei figli”.
Non avrei mai pensato che sarei riuscita a realizzare tutte e due.
Buon Natale!
(A chi non fa tenerezza una balena esausta in versione natalizia?)
So, you are nearly due, huh?* * "Quindi sei quasi al termine, no?" Così mi ha detto sorridendo cassiera del supermercato stamattina.
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E sono partita.
La prima, la seconda, la terza. E non ho alcuna voglia di fermarmi.
Una volta che cominci, è come una dipendenza, non riesci a fermarti.
Posso vantarmi di spendere soldi per crescere e non per tagliarmi le ali da sola.
La mia dipendenza è questa, amo viaggiare.
Per quanto io ami la mia terra, la mia città, il mio mare, la mia gente, la mia famiglia, non riesco a stare bene quando torno a casa.
Ogni volta che torno, mi assale il passato, i ricordi mi tormentano.
Chi ha vissuto davvero il primo amore, sa a cosa mi riferisco.
Era bello sentirsi vivi. Sapere che, anche se tutto il mondo se ne frega di te, li fuori c’è una persona che ti pensa, che ti ama, che ti vuole davvero. È bello, ti fa sentire parte di qualcosa. Ti fa sentire leggera, ti fa sentire quelle famose farfalle nello stomaco. Ti fa essere la persona più gentile del mondo, tutto ad un tratto sei sorridente perché qualcuno ti da attenzioni, piccola anima fragile. Quelle attenzioni che hai sempre cercato. E non è una persona qualunque, è una persona che tu hai scelto.
Ho sempre pensato che il karma esista. Adesso, l’arco di tempo in cui agisca non lo so, attendo.
È passato un anno da quando mi hai lasciata.
Sto bene, anche se non me lo chiedi. E no, non spero in un tuo ritorno.
Il mio lavoro non mi permette di avere relazioni di lunghe durate, ma neanche di averne. Passo molto tempo in villaggio, conosco molte persone da ogni parte del mondo, sono sempre sorridente, ci credi? Il mio sorriso non è collegato a nessuna persona, io sono davvero felice.
Una volta ho pensato di aver trovato una persona che potevo amare. Poi mi sono accorta che a tratti, mi ricordava te: un passato triste, per certi aspetti. Tutti hanno uno scheletro nell’armadio. C’è chi ne ha più di uno.
Non intendo compararla a te, perché siete due persone diverse e distinte. Ma c’è una cosa che ho notato: il comportamento possessivo. Non capisco se è un fattore collegato all’aver paura di perdere una persona o è solo l’esagerazione della gelosia. Ma è terribile. In un modo o nell’altro, la persona vittima di questo sfogo, si allontana e cambia nei confronti di chi è geloso, se è una persona sveglia, che reagisce, che non ha ancora “il prosciutto sugli occhi”. Modo di dire per chi è bendato dall’amore, non riesce a vedere la realtà perché si illude di qualcosa che non è.
Nell’ultimo anno, ci sono state volte in cui ho cercato, elemosinato un po’ d’amore. Ci sono giorni in cui mi sono sentita sola, triste. Giorni in cui ho voluto qualcuno che mi amasse, qualcuno da amare. Qualcuno con cui condividere tutto, come facevo con te.
Tardi mi resi conto di ciò che valevo.
Come dicevo, ho conosciuto tante persone nei villaggi. E di conseguenza molte persone mi hanno conosciuta. Sai la partenza è il momento più brutto del loro soggiorno, del mio lavoro. È triste dire addio, arrivederci, a chi hai raccontato vita, esperienze, a persone con cui hai condiviso settimane a divertirti tra beach volley, un drink, bocce ed altre attività. In villaggio puoi decidere chi essere, puoi inventarti un personaggio da interpretare o puoi semplicemente essere te stesso, il vero e profondo te. Io ho deciso di essere onesta, guarda caso, non cambio mai. E alla partenza, quando si dicono le ultime parole che ti resteranno impresse, molti mi hanno detto di apprezzarmi, molti mi hanno detto di non cambiare mai, perché persone come me non ne hanno mai conosciute. Molti mi hanno detto che il futuro è rose e fiori per me, perché me lo merito, non può essere altrimenti. Mi sento onorata, mi emozionano queste loro confessioni. Persone con cui condivido qualche settimana arrivano a capirmi, a volermi bene per ciò che sono senza volermi diversa. Persone che ti lasciano l’indirizzo, persone con cui scambi i nickname sui social. Si formano relazioni davvero vere, certe volte.
E grazie a queste esperienze ho capito che io da sola ce la faccio. A fare tutto, nella vita.
Non esiste obiettivo che io non possa raggiungere, è solo colpa mia fin ora se non ho ottenuto ciò che meritavo, per paura di fallire, di non essere abbastanza, era un limite che mi ponevo. Un limite che da adesso in poi non esisterà più. Gente con molta più esperienza di vita, di lavoro, mi ha dato responsabilità che non pensavo di meritare, e quando sono arrivata a fine settimana ero contenta nel vedere che da sola ce la facevo. Quanti pianti, quanti complessi… e invece, io sono eroina. Ho avuto bisogno di persone che credessero in me affinché io potessi credere in me stessa.
Sono felice quando leggo il mio nome su tripadvisor, quando leggo i commenti dei miei ospiti. Mi sento voluta bene, mi sento speciale.
Ho scritto varie cose, tu sai, è il mio modo di sfogarmi. Non lo so perché continuo a scriverti, così. Nulla di personale, non mi attendo che tu torna, non credo che tu lo faccia e onestamente sto bene sola. Ho ritrovato la pace interiore e, oddio, credo che non mi riconosceresti. Non hai idea di come le esperienze che ho fatto possano cambiarti. Ci credi che sono responsabile miniclub nel mio lavoro? Sono stata anche responsabile diurna, prima che restassi sola. Sono felice di chi sono oggi, davvero.
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Capitolo 1 (parte A): Nicol
Era una mattina del giugno 1994, mi ero sposata solo un mese prima, mio marito era un gentil uomo, lo amavo, lui amava me. Ero laureata in storia dell’arte, lavoravo in una famosa galleria di Amsterdam, insomma, tutto perfetto, anche se io sapevo che qualcosa non andava, anche se non sapevo esattamente cosa. Avevo conosciuto Antonio (mio marito) all’università, lui studiava psicologia, ero stata subito affascinata da lui, non credo sia stato amore a prima vista, anzi, io credo che l’amore a prima vista non esista. Tra me e Antonio c’è sempre stata una grande affinità sin da subito.
“Sono stata bene con te…” Antonio mi guardava dritta negli occhi, i sui occhi castani e profondi, facevano trasparire la sua immensa intelligenza e il suo grande amore che provava per tutti, credo che Antonio si la persona migliore che conosca, con lui mi sento al sicuro, con lui mi sento a casa, è la prima volta che mi sento così, mi sono sempre sentita inadeguata, non so bene il perché, so solo che Antonio mi fa stare bene e credo di provare qualcosa per lui. “Nicol, anche io sono stato molto bene, mi piacerebbe rivederti” Oddio, Antonio vuole rivedermi, non mi sono mai sentita così, ora capisco cosa vuol dire sentire le farfalle nello stomaco “Antonio anche io vorrei rivederti” e proprio mentre pronunciavo queste parole ho sentito le sue labbra sfiorare le mie.
Già.. il nostro primo appuntamento è stato fantastico, Antonio era davvero adorabile. Stando con lui mi sono finalmente sentita a mio agio con me stessa, non so il perché di questo disagio, so solo che c’era, che è sparito, ma che è ritornato, più forte, più asfissiante, ho fatto di tutto per colmare il mio vuoto, dal sesso sfrenata, all’auto lesionismo fino alla metanfetamina. Avevo solo venticinque anni, ero sposata da un mese, avevo un marito dolcissimo, un lavoro, una casa, ma allora perché mi sentivo così male, perché non riuscivo a essere felice, tutti mi invidiavano, tutti dicevano che avevo una vita perfetta, anche mia madre, quella brutta stronza di mia madre. Quella mattina volevo solo starmene a letto e piangere e piangere ancora, non volevo parlare ne con Antonio ne con nessun altro, il motivo era semplice, avevo un ritardo, quindi per accertarmi di non essere incinta comprai un test di gravidanza e lo usai, ma purtroppo uno dei miei più grandi incubi si era avverato, ero risultata positiva a quel cazzo di test, non riuscivo a crederci, la mia vita faceva già schifo, non potevo avere un figlio, non volevo avere un figlio, non volevo… La cosa più difficile è stato dirlo ad Antonio
“Nicol, perché piangi?”. Ero in un mare di lacrime, l’ultima cosa che volevo fare era era parlare con qualcuno, anzi, l’ultima cosa che volevo fare era parlare con quello stronzo, era tutta colpa sua e della sua strana voglia di fare sesso senza preservativo. “Vuoi saperlo davvero?” “Nicol, io ti amo, puoi dirmi tutto”. Mio marito è molto cattolico, anche troppo cattolico, quindi sarebbe stato felice di avere un figlio, allora perché non gli e lo volevo dire? Forse perché ero io quella che non vuole un figlio, è tutta colpa mia, è sempre colpa mia, sono un inutile pezzo di merda, basta farmi tutti questi film mentali, devo dirglielo… “Antonio, io, io, i-o, i-i-io, sono incinta…” nel mentre che pronuncio queste parole una lacrima scende nel mio viso.
Lui era così felice, e io ero solo un ingrata triste, gli ho urlato di uscire dalla stanza. Sarei dovuta essere felice, ma il solo pensiero di un bambino che mi usciva dalla vagina mi faceva ribrezzo, anzi solo il pensiero di sapere che avevo una vagina mi faceva ribrezzo. Passarono 10 mesi da quel tragico e orribile giorno, quel bastardo di mio marito mi costrinse a tenere il bambino, ormai non lo chiamavo neanche più per nome, lo odiavo, lo odiavo a morte. Chiamammo il bambino Francesco, odiavo anche quel bambino, mi ricordava continuamente la mia vagina e il fato che fossi una donna, e in quei mesi un unica domanda invase la mia mente: “e se in realtà fossi un uomo intrappolato in un corpo di una donna”. Una chiamata interruppe i miei pensieri, era Sebastiano, il mio collega super figo, mi aveva chiamato per chiedermi se potevo passare a casa sua per aiutarlo con una cosa di lavoro, lui era nuovo, ma non so cosa ci fosse di difficile nel fare da guida in un museo, forse voleva semplicemente provarci con me, avevo notato che durane il lavoro provava a filtrare, ma ero troppo impegnata ad essere triste per notarlo, ma in quel momento non volevo farmi scappare l’occasione di divertirmi e di mandare a fanculo la mia vita di merda e quello stronzo di Antonio, così decisi di andare a casa sua, ma prima passai da uno spacciatore e comprai una pillola di metanfetamina e la presi, avevo bisogno di un piccolo aiutino per divertirmi, subito dopo andai a casa di Sebastiano. “Ei Nicol, benvenuta nella mia casa”. Iniziammo a parlare, mi ricordo ancora quello che ci siamo detti come se fosse ieri: “Sebastiano, hai propio un bella casa”. “Cara, la mia casa non sarà mai bella quanto te!”. Non so cosa mi prese in quel momento, forse era colpa della metanfetamina, comunque le saltai addosso e inizia a baciarlo, mi tolsi la maglietta e il reggiseno, inizia a sfilarli i pantaloni “Aspetta, Nicol, in questo momento non ho dei preservativi con me”. “Seba, tranquillo, mettimi a novanta e scopami…”. Lui lo fece, me lo infilo, era una bella sensazione, molti dicono che il sesso sotto metanfetamina fa schifo, ma io credo che quello sia stato il sesso migliore della mia vita, Sebastiano venne dentro di me dopo sete minuti, io non ero ancora venuta, quindi Sebastiano si mise a masturbarmi, infilo due delle sue grosse e possenti dita dentro la mia vagina, e proprio in quel momento, propio mentre lui infilava le sue dita dentro di me capì una cosa, la mia vagina mi faceva schifo, e non perché fossi etero, mi faceva schifo perché ero transgender, io ero un uomo, in quel momento, mentre l’uomo più bello che avessi mai visto mi masturbava, capì di essere transgender.
Le parti scritte con un carattere diverso sono flashback.
Si consiglia la lettura a un pubblico con un età maggiore di 14 anni
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TAG 100 DOMANDE
1. Nome? Giulia 2. Soprannome? Stella 3. Altezza? 1.63 (la misura perfetta ;;) ) 4. Colore occhi? azzurro/grigio strano 5. Colore capelli? castano brutto 6. Hobby? Cantare 7. Lavoro dei sogni? Vorrei fare la psicologa o l’attrice! 8. Sogno nel cassetto? Saper scrivere canzoni 9. Hai degli animali domestici? Certo, un cane e 5 gatti 10. Che genere di musica ascolti? Qualsiasi cosa che abbia un bel significato e non sia troppo lamentosa... 11. Mai stato innamorato/a? Si 12. Relazione più lunga mai avuta? 9 mesi 13. Hai mai pianto per amore? Chi non ha? 14. Piercing? Nei miei sogni sono sempre piena! 15. Tatuaggi? 0 su 0 16. Fumi? NO. 17. Ti sei mai ubriacato/a! Si, una volta!! 18. Ti piace cantare? Tantissimo. 19 . Serie TV preferita? Orphan black, Il trono di spade 20. Cibo preferito? ////// ci penso e vi rispondo dopo 21. Canzone a cui sei legato/a? Comethru, Knees e Lie to me. 22. Pizza o pasta? Pizza 23. Che genere di persone odi? Quelle che si organizzano all’ultimo e che cambiano idea completamente un’ora prima dell’appuntamento. Quelle che dicono di fare una cosa e non la fanno MAI neanche sotto tortura, e po si LAMENTANO. Le persone che non fanno niente e si lamentano in generale. 24. Che genere di persona sei? In teoria dovrebbero rispondere gli altri… credo? In ogni caso sono molto timida all’inizio. 25. Meglio rimorsi o rimpianti? Rimorsi. 26. Preferisci i baci o gli abbracci? Abbracci^^ 27. Delusione più grande? 28. Si è avverato il tuo sogno? No, non so ancora scrivere canzoni xD 29. Difetto più grande? Non mi piace quando mi dicono cosa devo fare 30. Pregio migliore? Ehmmm, la buona volontà? 31. Ti piaci? Si, devo solo perdere quei 5 chili di troppo 32. Mare o montagna? Montagna 33. Segno zodiacale? Scorpione eheheh 34. Di cosa hai paura? Non mi viene in mente nulla… fino a poco tempo fa avevo paura della solitudine durante il momento del bisogno. 35. Hai un amico/a a cui tieni molto? Perché? Si, ne ho 2. Il primo mi sta accanto da quando avevo 13 anni, l’altro mi ha davvero cambiato la vita in meglio. 36. Cosa ti attrae in una persona? Le spalle, le labbra e poi LA VOCE. 37. Che qualità credi di avere? eHM…..passo 38. Credi nell'amore a distanza? Dipende 39. Credi al “per sempre”? No. 40. Hai mai dato un bacio a qualcuno del tuo stesso sesso? No, ma ho “rischiato”! ahahahah 41. Se potessi cambiare qualcosa del tuo passato, cosa cambieresti? Niente. Ora sono esattamente dove devo stare. 42. Ricordo più bello? Troppo 43. Ricordo più brutto? Difficile 44. Quando hai dato il tuo primo bacio? giugno dell’anno scorso 45. A che età la prima volta? La MIA a 17 anni 46. Di cosa ti sei pentito/a? Di essere andata contro le mie volontà, a volte 47. Che scuola frequenti/hai frequentato? Il liceo linguistico, a settembre faccio il 5 48. Sei felice? Si 49. Cosa cambieresti di te? Il fisico 50. Ti piace viaggiare? Si 51. Cosa conta in una relazione? Fiducia, condivisione, affinità, RISPETTO 52. Come mai su Tumblr? Il posto dove ci sono le cose scritte più belle di internet del 200′? 53. Credi in Dio? no.. 54. Hai mai rubato qualcosa? Si, ma NON è STATO FATTO INTENZIONALMENTE 55. Blog preferiti? Sono qui da un giorno…. nessuno ancora 56. Da quanto hai Tumblr? Un giorno AHAHHAHAHA 57. Hai fatto amicizia con qualcuno qui su Tumblr? Non ancora 58. Ultimo messaggio inviato? “quanto ci mettete a scrivere le canzoni?” 59. Ti manca qualcuno? Ora come ora, no 60. Di cosa vai fiero/a? di essere una persona solitaria 61. Cosa non rifaresti mai? lo stage in germania 62. Desiderio più grande? Riuscire davvero ad aiutare le persone 63. Hai mai tinto i capelli? No purtroppo 64. Film preferito? Io prima di te 65. Attore preferito? Will smith/ Emilia clark 66. Qual è la più grande pazzia che hai fatto? Ho chiesto di uscire ad uno lol, vita noiosa 67. Hai perso un amico/a di recente? No 68. Cosa ti piace fare nel tempo libero? Canto e netflix? 69. Disegni? NO non sono capace ma mi rilassa 70. Estate o inverno? inverno tutta la vita 71. Libro preferito? La coscienza di zeno 72. Citazione preferita? “It’s alright to not be fine on your own” 73. Hai un posto speciale? No 74. Sai mantenere i segreti? Si dai 75. L'ultima volta che hai pianto? 3 giorni fa YOOOO 76. Pratichi qualche sport? No 77. Sei mai stato/a ad un concerto? Sono stato a vedere Rancore quel genio cazzo. (e Michele bravi) 78. Che genere di persone detesti? Sempre quelle di prima… XD 79. Preferisci stare da solo/a o in compagnia? Dipende… la maggior parte delle volte da sola 80. estroverso/a o introverso/a? introversa 81. Oggetto importante per te? Non so 82. Qual è la persona a cui tieni di più? Podrik 83. Persona ideale? Muscolosa o comunque con un fisico “Possente”(?) xD, con la voce profonda più che si può e che sia disposta ad ascoltarmi e a farmi ridere tanto. 84. Credi in te? Si. 85. Cosa credi che pensino gli altri di te? Non capiscono che sono cambiata. 86. Ti ritieni fortunato/a? Si 87. Ti ritieni soddisfatto/a della tua vita? Lo sarò tra poco, per ora… al 70% 88. Posto più bello mai visto? IL PARCO DI DUBLINO 89. Parli un'altra lingua? francese, inglese e ci provo col tedesco 90. A cosa pensi in questo momento? A podrik xD 91. Suoni qualche strumento? Suonavo il pianoforte e il flauto, ora non ho più pratica 92. hai fratelli/sorelle? Vai d'accordo con loro? Ho una sorella e ho iniziato ad andarci d’accordo da poco 93. Ti vorresti sposare? Si 94. Tipo di persona che ami? Gentile, per niente ossessiva e gelosa il giusto, con il quale si può parlare senza litigare furiosamente e alla quale posso dire tutto 95. Ti sei mai dichiarato/a a qualcuno? Si…. se un obbligo vale. 96. Hai mai scritto una lettera a qualcuno? No 97. Hai mai mentito a qualcuno per il suo bene? Si 98. Hai mai tradito? No 99. Sei mai stato/a tradito/a? No 100. Scrivi la prima cosa che ti viene in mente. Queste domande erano più difficili del previsto
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Weekend a Milano (Skam Italia)
Okay, prima di tutto un post in italiano per raccogliere le idee ed i ricordi. Ho sentito tramite altre persone che Rocco, povera stella, era quasi nervoso quanto noi pre-convention... Non so te Rocco ma io davvero, ho dormito malissimo la notte prima e non son riuscita a mangiare in modo decente finché non son tornata a casa la sera del 27, il mio livello d’ansia era proprio al massimo.
Per cui in realtà non ho granché da raccontare, anche perché non avevo né i M&G con Rocco o Fede né la pizzata post convention. Di panel sono riuscita a seguirne solo 3: quello di Randy Harrison (che avendo, ai tempi, visto QAF mi ha fatto molto piacere sentire), Nathaniel Buzolic (che ormai s’è trasformato in un vero e proprio pastore/predicatore e quando parte con i suoi pipponi religiosi fa quasi paura) ed il primo con tutti gli attori di Skam Italia. Se v’interessa sapere qualcosa su quelli di Randy e Nathaniel mandatemi pure ask, ora mi concentro su quello di Skam. In cui hanno detto veramente poco perché sono stati messi in crisi dalla prima domanda X°D Che era quella di rito un po’ a tutte le Con, di qualsiasi fandom siano: aneddoti divertenti / interessanti rispetto a ciò che è capitato sul set. Probabilmente avevano lo stesso problema di Randy, che ha aggirato la domanda dicendo “ne son successe di cose, ma tutte dal rating troppo altro per essere discusse qui” (VM18, insomma)... Alla fine Ludovico c’ha raccontato di come la scena dove Elia fa il caffé sulla griglia fosse stata girata a luglio ma Francesco eroicamente continuava ad andare avanti nonostante continuasse a finirgli il sudore negli occhi. Poi han chiesto a Federico come stava Martino dopo la rissa e lui ha risposto che sta bene, Martino è forte e l’ha superata in fretta (e Ludo era tipo “ma sì, che vuoi che sia, è un po’ de sangue”) ma il problema è Niccolò. Al che pure Rocco è incalzato concordando che Niccolò non l’ha presa bene (grazie, non avevamo dubbi) ma che l’amore tra lui e Martino è forte abbastanza da superare qualsiasi ostacolo. C’è poi stata la domanda su dove andrebbero in vacanza insieme, e han detto “Molise”, poi han cercato di farsi invitare da Francesco in Abruzzo, ed hanno aggiunto che hanno una vaga intenzione di fare una L’ultima altra domanda che ricordo è a Federico: se immaginava che Skam sarebbe stata una serie ‘rivoluzionaria’. Ha risposto che durante le riprese della S2 i ritmi erano troppo serrati perché si accorgesse di qualsiasi cosa, ma poi quando sono andati a vedere le prime 5 puntate della seconda stagione da Ludovico Bessegato ha capito la validità e l’importanza del prodotto. Se ce ne sono state altre, invito chi c’era a ricordarmele ;D Altri aneddoti che mi sono stati riportati: - Il girato di Lips On You era molto più lungo, LudoBesse ce ne ha fatto vedere solo una minuscola parte (dateci i director’s cut ç_ç !!) - A Fede piacciono gli Eugenio in Via di Gioia ( @madeforgardens che me ne ha fatto innamorare con i suoi edit capirà quanto sia fondamentale per me questa informazione), oltre ad altri artisti italiani che però non ricordo - Anche per Rocco la S2 è stata molto importante e c’è molto di lui nella scena di Minuto Per Minuto (ha ringraziato Federico e LudoBesse per averlo messo a suo agio abbastanza da mostrarsi così) e che le scene “up” erano più difficili per lui, perché dovevano essere ESAGERATAMENTE allegre (e LudoBesse continuava a gridargli di sorridere di più X°D)
I momenti più imbarazzanti della giornata sono stati tutti con Tersigni: - gli faccio una domanda e lui dopo avermi risposto mi fa “guarda che c’hai il rossetto sui denti” il che mi fa stare a bocca chiusa a passare la lingua sui denti per quasi tutta la durata del M&G, grazie Ludo - gli racconto di come fossi finita in un Whatsapp dove c’avevano tutte tipo 14 anni e potevano quindi essere praticamente mie figlie, e ne son dovuta uscire anche perché facevano discorsi sui ragazzi del cast che mi mettevano a disagio e mi facevano accapponare un po’ la pelle perché siccome son tutti più giovani di me io li vedo un po’ come dei fratelli e lui se ne esce con una cosa del tipo “non c’è bisogno che me li riporti” (ma te pare, Ludo?) - gli pesto un piede mentre procedo a tentoni verso lui e Federico per la foto doppia. Okay, ora son nero su bianco mi sento meglio e posso raccontare del M&G con Ludovico che nonostante le figuracce sono stati i soldi meglio spesi per la convention: - Come potete aspettarvi è stato un amore e s’è assicurato che TUTTE facessimo almeno una domanda. - Dopo aver saputo che c’erano due ragazze straniere al M&G ha cercato di stemperare un po’ l’accento e tenere un vocabolario più vicino all’italiano standard - Gli ho chiesto com’è stato lavorare a Tutto Può Succedere ed ha detto che essendo una produzione Rai s’è trovato in una macchina di produzione molto più grande e strutturata che non quella di Skam e che è stata un’esperienza straordinaria e molto arricchente soprattutto per aver lavorato con Pietro Sermonti e Matilde De Angelis. - Le admin della sua fanpage gli han chiesto di raccontare com’è stato girare il corto Aggrappati a me e c’ha detto che c’è voluto un lavorone per conquistare la fiducia di Miriam (la bambina che interpretava Alice) e che aveva un caratterino niente male (avreste dovuto vederlo, glielo si leggeva negli occhi quanto ci si è affezionato, awww <3 ) che a volte ascoltava più lui che sua madre. - Skam Og l’ha visto soltanto di recente, per non farsi influenzare troppo dall’interpretazione di Marlon. C’ha messo molto di suo e di com’era e le cazzate che faceva a 17 anni (ah, ecco sì, questo era venuto fuori anche durante i panel!) e di un suo caro amico che è di quelli che puoi non vedere per mesi ma che quando reincontri e come se non vi foste mai divisi. - Gli piace fare Tai-Chi (c’era una ragazza cinese che sta imparando l’italiano) ed ha anche menzionato un libro cinese che ha letto non tanto tempo fa ma non ricordo il titolo - C’ha raccontato dell’incubo dei piani sequenza, della pressione di dover far bene perché se sbagli rovini il lavoro magari perfetto di tutti gli altri e si deve rifar tutto da capo e della scena in cui corrono verso il bus nella prima puntata. C’era il cameraman sopra al quod che li riprendeva e che loro dovevano rincorrere ma siccome lui e Franz facevano scatti da centrometristi finivano sempre per andar troppo veloce. I cassonetti erano pieni di pesce in decomposizione ed ogni volta che dovevano riprendere fiato per rifare la scena (che avranno rifatto una dozzina di volte prima che andasse bene a Bessegato). E da quando escono di casa a quando prendono il bus ci son due scene (mi pare di aver capito che il piano sequenza inizia da quando loro scappano dal poliziotto giù per la strada) e l’hanno ripresa in due serate differenti ma nella seconda si è messa a piovere... Hanno comunque deciso di tenerla così. - Il che l’ha portato a collegarsi a L’estate addosso dove s’è preso un cazziatone da Muccino (ed era talmente stanco/imbarazzato che è scoppiato a piangere) perché avevano cambiato la shooting schedule e quando l’hanno chiamato sul set lui le sue battute non le sapeva e continuava a dover far rigirare tutto quanto da capo. (che poi ti fa le sue imitazioni dell’accento di Besse e di Muccino ed è fantastico X°D) - GioEva > GioSofi - Sta lavorando ad un nuovo progetto, ma non c’ha potuto dare alcun dettaglio al riguardo. Ha soltanto menzionato che ci tiene ad essere molto immersivo e a dare tutto se stesso quando lavora a qualcosa di nuovo e quindi per esempio quando ha saputo che avrebbe dovuto dedicare tot tempo a Skam s’è totalmente immerso in quanto necessario per dare la migliore performance, instaurando anche una bella amicizia con il resto del cast. Naturalmente, dopo la S2, quella con Federico è diventata ancora più forte. Anche per questo ha smesso di usare Instagram, per il momento. - Questo dettaglio è venuto già fuori su Internet ma vabbé: ‘Garau, con la u: è sardo’ è stata una battuta improvvisata. - C’ha chiesto cosa facevamo nella vita e gli ho detto che faccio l’insegnante d’inglese freelance ed ora vado 3 mesi in Messico e poi un anno in Russia da settembre e m’ha fatto i complimenti e m’ha chiesto di tenere alto il nome dell’Italia <3
So che c’era anche @cmssmith al M&G (grazie per avermi fatto compagnia durante le code <3 )... Tu ricordi altro? Altre cose random: - io che procedo a tentoni verso Federico e Rocco, dicendogli chiaramente “scusate, devo procedere a tentoni che non vedo niente” e loro “non ti preoccupare, ti guidiamo noi”. - Federico adorabile che t’abbraccia sia quando lo saluti che quando te ne vai (e tra due photoshoot e l’autografo+selfie siamo arrivati a quota 6 abbracci) - Nessuno dei due stranito dal mio istinto di baciare la guancia se qualcuno mi si avvicina a più di un tot (io sono più da stretta di mano e cordiali baci sulle guance), grazie ragazzi - Federico che dice alla ragazza seduta al suo tavolo degli autografi che lui non ce la può fare a tagliare, non è nella sua natura. - Entrambi che mi ringraziano per avergli scritto delle lettere e mi dicono “ma no” quando gli dico che l’ho fatto perché li volevo ringraziare ma senza rubargli troppo tempo (e Federico che ha fatto il gesto suo con le mani, tesoro) - Federico che dà abbracci caldi e solidi e Rocco che te li dà soffici e freschi. Non so come spiegare, abbracciare Fede ti fa sentire al sicuro ed abbracciare Rocco ti fa sentire legger* - Né Federico né Rocco che ce la possono fare con il mio telefono che scatta foto quando gli pare a lui: https://www.instagram.com/akiraphoenix14/
#fandom vibes#skam italia#if anybody is interested I will translate it in English#written on desktop and I apologize it comes out weird on mobile
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The one where Fabrizio goes to Milan
(le parti in corsivo che troverete nella storia sono pezzi di canzoni, nello specifico “Senza averti qui” degli 883 e “Finalmente tu” di Fiorello)
Quattro amici che citofonano giù
Da mercoledì non ti si vede più
Hanno aperto un posto strano, un disco pub
Perché non si va? Perché non si va?
Il rumore del campanello risuonò nell'appartamento per l'ennesima volta, costringendo Ermal ad alzarsi dal divano e trascinarsi fino alla porta.
Non aveva voglia di vedere nessuno, non aveva voglia di parlare con nessuno, ma sentiva le voci dei suoi amici bisbigliare sul pianerottolo da almeno un quarto d'ora e avevano già suonato il campanello almeno una decina di volte.
Se non avesse aperto la porta per fargli vedere che era ancora vivo, non se ne sarebbero mai andati.
Buttò un'occhiata attraverso lo spioncino, vedendo Andrea e Marco che parlottavano tra loro e Dino e Roberto che ogni tanto di scambiavano uno sguardo preoccupato.
Prese un respiro profondo e aprì la porta.
Andrea e Marco si zittirono all'improvviso, mentre Ermal li guardava scocciato e diceva: "Che volete?"
"Non rispondevi al telefono" disse Andrea, come se bastasse a giustificare la loro presenza davanti alla sua porta.
"Lo so. Non mi va di parlare" rispose Ermal.
"Ermal, che succede? È quasi una settimana che non ti fai sentire" disse Roberto.
Ermal sospirò.
In realtà, nemmeno lui sapeva bene cosa stesse succedendo.
Tutto ciò che sapeva, era che aveva litigato con Fabrizio e da quel momento non si erano più sentiti.
Ermal aveva provato a chiamarlo, a mandargli messaggi, ma Fabrizio non aveva mai risposto e a un certo punto Ermal si era chiuso in sé stesso, spaventato dal fatto che forse Fabrizio avesse intenzione di chiudere definitivamente la loro storia.
Ammesso che potesse essere considerata tale.
Non avevano mai stabilito dei confini nel loro rapporto, non si erano mai detti esplicitamente che erano una coppia.
C'era semplicemente stato un momento in cui avevano smesso di essere amici, un momento in cui i baci sulla guancia si erano spostati un po' più in là ed erano finiti sulla bocca, un momento in cui avevano iniziato a sentire la voglia di togliersi i vestiti e di toccare la pelle dell'altro. Però, nessuno dei due ne aveva mai parlato. Avevano semplicemente abbracciato quel cambiamento senza dire nulla.
Quindi, a conti fatti, Ermal aveva paura che Fabrizio chiudesse qualcosa che forse nemmeno esisteva.
"Sono solo un po' stanco. Mi sa che sto covando qualcosa" mentì Ermal. Poi, vedendo che all'appello mancava il suo batterista, aggiunse: "Emiliano?"
"Ha l'influenza" rispose Dino.
"Ecco, mi sa che l'ho presa pure io. Quindi grazie per essere passati, non sto morendo ma credo sia meglio se ve ne andate. Non vorrei attaccarvi qualcosa" disse Ermal.
Marco appoggiò una mano sulla porta, per impedire a Ermal di chiuderla, e disse: "Senti, io non so che ti sia successo in questi giorni, ma è ovvio che il problema non è l'influenza. Quindi hai due possibilità: puoi stare a casa e piangerti addosso, oppure puoi uscire con noi a bere qualcosa. Non devi nemmeno parlare o dirci cosa succede, se non ti va. Ma magari uscire un po' ti aiuterà a non pensare a qualunque cosa sia la causa del tuo pessimo umore."
Ermal sbuffò.
Non aveva voglia di uscire, ma restare chiuso in casa non era sicuramente la soluzione ai suoi problemi. E, per quanto gli costasse ammetterlo, sapeva che Marco aveva ragione.
Stare con la sua band lo faceva sempre sentire meglio, anche quando andava tutto storto.
"D'accorto. Andiamo."
Senza troppa voglia ordiniamo un drink.
Io che penso: "Che cos'è che faccio qui?"
Gli altri che mi guardano e si chiedono:
"Che cosa non va? Che cosa non va?"
Senza averti qui
senza problemi, senza limiti
non è così bello come dicono.
Il locale che gli altri avevano scelto, era a qualche isolato da casa di Ermal.
Era aperto da un paio di settimane e l'inaugurazione era stata pubblicizzata parecchio, con volantini e manifesti sparsi per tutta la città, al punto che più volte Marco aveva detto che avrebbero dovuto assolutamente andarci, giusto per vedere che posto fosse.
Ermal era stato d'accordo con quell'idea fin da subito, curioso di vedere nuovi posti, eppure quella sera - con l'umore sotto le scarpe e nessuna voglia di parlare con i suoi amici - Ermal non riusciva a vedere nessun lato positivo in quella serata. Nemmeno andare in un nuovo locale sembrava interessargli.
Si sedettero a un tavolo in fondo alla sala - il più lontano possibile dalla porta, per evitare che la gente riconoscesse Ermal e lo disturbassero per tutta la sera - e ordinarono da bere.
Ermal aveva ordinato svogliatamente la prima birra che aveva trovato sul menu, senza nemmeno preoccuparsi di leggere le pagine successive, mentre i suoi amici continuavano a fissarlo a metà tra il curioso e il preoccupato.
Nessuno di loro stava insistendo per sapere che problema avesse, ma Ermal riusciva a sentire tutte le domande che vorticavano nelle loro teste.
Cos'ha Ermal?
Perché non parla?
Perché è sparito per giorni, senza dare una spiegazione?
E una parte di Ermal avrebbe davvero voluto parlare con loro e spiegare quale fosse il problema, per quale motivo si fosse chiuso in sé stesso. Ma dall'altra parte, non sapeva come fare.
Non aveva idea di come spiegare ai suoi amici, quelli che lo conoscevano da una vita, che si era innamorato di qualcuno, che aveva vissuto per mesi una storia clandestina e che ora stava male perché non capiva se quella storia esisteva ancora o no.
Non sapeva come fare a dirglielo, non tanto perché aveva paura di come avrebbero reagito - beh, un po' effettivamente aveva paura anche di quello - ma più che altro perché non voleva che pensassero che non si era fidato abbastanza di loro da confessare subito che si era innamorato di Fabrizio.
La fiducia non c'entrava. Ermal si fidava della sua band più di quanto si fidasse di sé stesso.
Non sapeva spiegarsi per quale motivo avesse tenuto nascosto quello che c'era tra lui e Fabrizio, ma l'aveva fatto e ora sembrava essere passato troppo tempo per iniziare a sfogarsi su quella faccenda.
Sospirò rendendosi conto che in quel momento, l'unica cosa che lo avrebbe fatto sentire meglio era Fabrizio.
Ma Fabrizio non c'era, e forse non ci sarebbe stato più.
Le immagini della discussione avvenuta qualche giorno prima - durante una delle solite visite a Roma, che Ermal mascherava come viaggi di lavoro ma che in realtà di lavoro avevano ben poco - occuparono improvvisamente la mente di Ermal, ricordandogli tutte le cose che si erano detti e soprattutto ricordandogli l'espressione delusa di Fabrizio mentre gli diceva di andarsene da casa sua.
Ermal non ricordava nemmeno come fosse iniziato tutto.
Ricordava solo di aver fatto una battuta sul fatto che con Silvia aveva sempre dovuto fare attenzione a cosa diceva e a cosa faceva, perché la loro era una relazione seria e stabile e ogni parola o azione rischiava di creare un effetto domino senza fine, mentre con Fabrizio era tutto più semplice perché tra loro non c'era quel tipo di rapporto. Ricordava che Fabrizio, seduto accanto a lui sul divano, si era irrigidito e aveva chiesto cosa intendesse dire e lui aveva detto che la loro non era una relazione fissa, che non avevano obblighi l'uno verso l'altro e che quindi non sentiva il bisogno di preoccuparsi per ogni singola cosa che usciva dalla sua bocca.
Col senno di poi, Ermal non poteva fare a meno di pensare che se si fosse preoccupato di più di ciò che usciva dalla sua bocca, non si sarebbe ritrovato in quella situazione.
Ricordava bene il volto di Fabrizio, lo sguardo scuro, la mascella contratta e la nota di delusione e rabbia mentre gli diceva che forse avevano una visione diversa di ciò che c'era tra loro e che forse era il caso che Ermal se ne andasse, perché lui voleva rimanere solo.
Quello era stato il momento in cui Ermal aveva capito che in realtà con Fabrizio avrebbe voluto tutto ciò che aveva sempre temuto della sua relazione con Silvia.
Con Fabrizio avrebbe voluto la relazione fissa, avrebbe voluto sentire la necessità di ponderare le parole, avrebbe voluto avere dei limiti.
Avrebbe voluto quel tipo di rapporto che aveva avuto con Silvia, ma con lei aveva sempre sentito troppo stretto, quasi soffocante.
Con Fabrizio, ne era certo, non sarebbe stato soffocante.
Suoni e immagini dal video-jukebox
Questo posto non mi piace neanche un po'
Forse non è il posto, forse sono io
quello che non va, quello che non va.
E voi perché fate quelle facce lì?
Lo so che non ci si comporta così,
che dovrei essere un po' di compagnia
non è colpa mia, non è colpa mia.
Ermal tirò giù un altro sorso di birra, sperando che servisse a fargli sembrare quella serata più sopportabile.
Non riusciva a trovare niente che gli piacesse in quel locale.
La musica era troppo alta, le immagini che passavano nel televisore appeso sopra al bancone non erano sincronizzate alle canzoni che si sentivano provenire dalle casse, la sala non era abbastanza illuminata e il gruppo di studenti seduti nel tavolo accanto al loro faceva un gran casino.
Che poi, a pensarci bene, la colpa non era nemmeno del locale. Non era poi così diverso dai posti che frequentava di solito, dai posti che gli erano sempre piaciuti.
Era lui quello che aveva un problema, quella sera. Era lui quello che non sopportava niente di tutto ciò che gli stava intorno, non era colpa del posto.
Sollevò lo sguardo, incrociando quello di Andrea - seduto di fronte a lui - che lo fissava preoccupato.
"Che c'è?" chiese Ermal scocciato.
Andrea si strinse nelle spalle. "Niente. Sono solo preoccupato per te."
"Sto bene, non ho niente che non va" rispose Ermal, avvicinando di nuovo la bottiglia alla bocca e tirando giù un ultimo sorso.
"Sappiamo tutti e due che non è vero" disse Andrea.
Ermal sbuffò, attirando l'attenzione degli altri che fino a quel momento avevano parlottato tra loro, e disse: "So che non sono di compagnia stasera. Mi dispiace."
"Ermal, onestamente non ci interessa se sei di compagnia o no. Non ci interessa nemmeno sapere perché stai così, se non ce lo vuoi dire. Però siamo preoccupati" disse Dino, dandogli una pacca sulla spalla.
Ermal rimase in silenzio per un attimo, indeciso su come comportarsi.
Forse quello era il momento giusto per dire tutta la verità, per sfogarsi e per raccontare ai suoi amici per quale motivo stesse così male.
Senza averti qui
senza problemi, senza limiti
non è così bello come dicono.
Senza averti qui
non è che ci si senta liberi.
Non ti passa, dura ore un attimo.
"Ho litigato con Fabrizio, qualche giorno fa, e dopo lui ha smesso di rispondere alle mie chiamate e ai miei messaggi" disse Ermal.
Gli altri si scambiarono un'occhiata, poi Marco disse: "Probabilmente ce l'ha ancora con te. Chissà quale cazzata è uscita dalla tua bocca."
Marco l'aveva detto con ironia, cercando di far capire a Ermal che non era poi così grave se Fabrizio non voleva parlargli, che forse aveva semplicemente bisogno di tempo.
Ma Ermal non poté fare a meno di annuire e dire: "Già, magari è così. Magari non mi parlerà più."
"Non è solo quello il problema, vero?" disse Andrea.
Ermal lo guardò mentre un sorriso amaro gli incurvava le labbra. "È così palese?"
"Diciamo che abbiamo sempre sospettato che non foste solo amici" rispose Andrea.
"Non lo so nemmeno io cosa siamo. Non abbiamo mai dato un'etichetta a quello che c'era tra noi, pensavamo solo a goderci del tempo insieme. E io pensavo che a Fabrizio andasse bene, di solito è lui quello che non vuole definire le cose."
" È per questo che avete litigato?" chiese Roberto.
"Non lo so" rispose Ermal sbuffando. Poi aggiunse: "Mi sembrava che le cose tra noi andassero bene anche così, senza definizioni, senza etichette, con il nostro rapporto senza limitazioni. Forse per Fabrizio non era così e forse ormai non lo è più nemmeno per me. Non è poi così bello non avere dei limiti, non ti fa sentire libero come sembrerebbe."
In quel momento, Ermal i limiti li avrebbe voluti eccome.
Avrebbe voluto sentirsi in dovere di non sorridere troppo alla cameriera che aveva preso le loro ordinazioni.
Avrebbe voluto sentirsi obbligato a indossare una maglietta in particolare solo perché piaceva a Fabrizio, invece di mettere la prima cosa che aveva pescato dall'armadio.
Avrebbe voluto avere la certezza che non sarebbe tornato a casa da solo e che quella notte, anche se gli fosse venuta improvvisamente l'ispirazione per un nuovo pezzo, non avrebbe potuto mettersi a suonare perché avrebbe rischiato di svegliare l'uomo che dormiva nel suo letto.
Ermal li voleva quei limiti. Li voleva per il semplice fatto che averli avrebbe significato che Fabrizio era insieme a lui.
"Ok, ora senti che facciamo" iniziò Marco. "Ordiniamo un'altra birra, chiacchieriamo ancora un po' e poi ce ne andiamo a dormire. E tu domani chiami Fabrizio. E se non ti risponde, vai a Roma e ci parli di persona."
Ermal sorrise.
In fondo il piano di Marco non era poi tanto male ed Ermal non aveva alcun problema ad andare a Roma, se c'era anche solo una piccola possibilità che Fabrizio decidesse finalmente di parlargli di nuovo.
Quello che ancora non sapeva, era che non sarebbe stato necessario.
***
Cadono dall'orologio i battiti
e non finiscono.
Mi dividono da quegli immensi attimi
rinchiusi nelle braccia tue.
Corrono manovre incomprensibili
che poi si perdono
nel telefono quegli occhi tuoi invisibili
ancora più distante tu
Fabrizio sbuffò controllando l'ora sul cellulare per l'ennesima volta.
Era arrivato a Milano da quasi un'ora e la prima cosa che aveva fatto era stata andare a casa di Ermal.
Doveva vederlo, doveva parlargli, doveva scusarsi per ciò che era successo tra loro e spiegargli perché aveva reagito in quel modo.
Ermal però non era in casa, e così Fabrizio aveva inviato immediatamente un messaggio a Marco per chiedergli se sapesse dove fosse.
E poi aveva aspettato.
Ma ora i minuti continuavano a passare e Marco continuava a non rispondere.
Fabrizio si sedette a terra, proprio accanto alla porta dell'appartamento di Ermal, e si prese la testa tra le mani.
Era stanco e sentiva la testa pulsare dolorosamente, ma non gli importava. L'unica cosa che contava in quel momento era vedere Ermal e vista la mancata risposta di Marco, rimanere lì era l'unica cosa che potesse fare.
Prima o poi sarebbe tornato a casa, no?
Sbloccò lo schermo del telefono, aprendo WhatsApp e controllando se Marco avesse almeno visualizzato il messaggio.
Risposta negativa, le lineette sul messaggio non erano ancora diventate blu.
Poco più in basso, c'era la chat di Ermal.
Fabrizio rimase a fissare per qualche minuto la sua foto profilo - una delle tante foto bellissime che gli venivano scattate durante i concerti - e poi spostò lo sguardo sull'ultimo messaggio della chat.
Ermal gli aveva scritto messaggi ogni giorno, da quando avevano litigato.
Nella maggior parte gli chiedeva semplicemente di rispondere alle sue chiamate, diceva che voleva parlargli, chiarire. Ma quell'ultimo messaggio - inviato quella mattina - era diverso da tutti i precedenti.
Suonava come un addio, come l'ultimo tentativo di salvare ciò che c'era tra loro, come se Ermal avesse perso definitivamente le speranze di salvare il loro rapporto e volesse farglielo sapere. Ed era stato quel messaggio a spingere Fabrizio a mettersi in viaggio per Milano.
Lui ed Ermal avevano litigato, questo era vero, e Fabrizio si sentiva ancora ferito per ciò che era successo, ma mai - nemmeno per un istante - aveva pensato di buttare via la loro storia.
Si era arrabbiato e aveva avuto bisogno di tempo per calmarsi, ecco perché non aveva risposto alle sue chiamate e ai suoi messaggi. Ma questo non significava che volesse lasciar perdere tutto.
Ma tu dove sei?
Ogni giorno più difficile
il tempo senza te
Ma tu tornerai, io posso già distinguere
più vicini ormai, io sento i passi tuoi.
Fabrizio sospirò rimettendosi il telefono in tasca.
Si sentiva un idiota per aver reagito in quel modo, per aver mandato via Ermal da casa sua, ma in quel momento era ferito e aveva agito di impulso.
Le cose tra lui ed Ermal erano cambiate così velocemente e in modo così naturale, che quasi non se ne erano accorti. Non c'era stato bisogno di parole, di discorsi su quanto ciò che provavano fosse diverso dall'affetto fraterno di cui parlavano davanti alle telecamere. Avevano semplicemente vissuto ogni attimo insieme senza pensare a cosa sarebbe successo dopo, senza pensare al fatto che forse prima o poi sarebbe stato il caso di parlare di ciò che stava succedendo tra loro.
E così alla fine, a forza di rimandare continuamente, non ne avevano mai parlato.
Razionalmente, Fabrizio capiva perché Ermal pensasse certe cose. Capiva perché Ermal vedesse ciò che c'era tra loro come una cosa senza impegno.
Ma non poteva evitare di sentirsi ferito quando aveva capito che Ermal non sentiva obblighi verso di lui. Perché lui invece li sentiva.
Ed era felice di sentirli.
Ecco perché, quella sera, gli aveva detto di andarsene. Ecco perché non aveva risposto alle sue chiamate e ai suoi messaggi.
Era ferito.
Ora che però sentiva Ermal allontanarsi sempre di più, quello che sentiva passava in secondo piano. L'unica cosa che voleva era che Ermal capisse che senza di lui non poteva stare e che avrebbe accettato qualsiasi rapporto Ermal volesse, purché lui non se ne andasse dalla sua vita.
Chiuse gli occhi, mentre finalmente sentiva il dolore alla testa affievolirsi, e fu in quel momento che lo sentì.
Il portone del palazzo che si apriva, qualcuno che cercava di richiuderlo - con scarsi risultati, visto che era rotto dal almeno un mese e nessuno si era preso l'impegno di chiamare l'amministratore di condominio per avvisarlo - e poi dei passi sulle scale.
Non dei passi qualsiasi.
Fabrizio spalancò gli occhi di colpo, riconoscendo all'istante il rumore di quei passi e aspettando di vedere Ermal sbucare dalle scale da un momento all'altra.
E poi finalmente tu
tirar tardi sotto casa
e di corsa sulle scale insieme a te
Un minuto ancora e poi uno sguardo tra di noi
Voglio guardare addormentarsi gli occhi tuoi.
Quando Ermal arrivò sul pianerottolo e vide Fabrizio seduto accanto alla sua porta, il tempo sembrò fermarsi.
Fabrizio si alzò in piedi lentamente, come se avesse paura che un movimento brusco avrebbe fatto scappare via Ermal, e rimase a fissarlo per un tempo che a entrambi sembrò infinito.
"Ciao" trovò il coraggio di dire a un certo punto.
Ermal aveva gli occhi lucidi e lo sguardo fisso su di lui. Sembrava che volesse dire tantissime cose, ma che allo stesso tempo non riuscisse a pronunciare nemmeno una sillaba.
Si schiarì la voce e poi rispose: "Ciao."
Avrebbe voluto chiedergli perché era lì, perché non aveva risposto ai suoi messaggi, perché l'aveva mandato via da casa sua quella sera, ma ogni parola gli era rimasta incastrata in gola.
"Scusa se sono piombato qui all'improvviso, ma ho pensato che sarebbe stato meglio parlare di persona" disse Fabrizio.
Ermal annuì, mentre una sensazione di panico si diffondeva rapidamente in lui.
Parlare di persona? Parlare di cosa?
Forse Fabrizio voleva davvero dirgli che tra loro era finita e aveva preferito evitare di farlo al telefono.
Tirò fuori le chiavi dalla tasca e, cercando di non far notare a Fabrizio quanto gli stessero tremando le mani, aprì la porta e gli fece cenno di entrare in casa.
Chiuse la porta dietro di sé e sospirò.
In un modo o nell'altro, quella situazione si sarebbe risolta.
Il fatto era che Ermal temeva che non si sarebbe risolta nel migliore nei modi, o perlomeno non nel modo in cui avrebbe voluto lui.
Corrono dell'orologio i battiti
che mi riportano
per un attimo a ricordare i fremiti
Irraggiungibile realtà.
Ma tu dove sei?
Ogni giorno più difficile
il tempo senza te
Ma tu tornerai, io posso già distinguere
più vicini ormai, io sento i passi tuoi.
Ermal rimase per un attimo a fissare Fabrizio che entrava nel salotto e si guardava intorno, incerto su come comportarsi.
Nella sua mente fecero capolino tutti i ricordi dei bei momenti passati insieme.
La vittoria a Sanremo, il Forum, l'Eurovision, il loro primo bacio, la prima volta che avevano fatto l'amore...
Ogni istante era marchiato a fuoco nella sua memoria e in quel momento lo stava tormentando, quasi a volergli dire che Fabrizio lo avrebbe lasciato e che non avrebbe più vissuto nessuno di quei momenti.
Tutti quei momenti a Ermal sembravano così lontani che quasi aveva l'impressione di non averli vissuti davvero, e allo stesso tempo li ricordava così vividamente da sentire ancora quelle emozioni sulla propria pelle.
E in quel momento, l'unica cosa che avrebbe voluto fare davvero era rivivere quei momenti, sentire di nuovo la pelle di Fabrizio sulla sua, le sue labbra e le sue mani addosso, la sua voce che gli sussurrava all'orecchio. Invece si ritrovava a fissare Fabrizio in trepidante attesa, spaventato di sentire per quale motivo si fosse presentato a casa sua.
"Ti posso offrire qualcosa?" chiese Ermal, cercando di comportarsi da bravo padrone di casa, mentre attraversava il salotto e andava verso la cucina.
Fabrizio lo fermò prendendolo delicatamente per un braccio. "Dobbiamo parlare."
Ermal annuì, tenendo lo sguardo basso, e attese che Fabrizio continuasse a parlare.
"Pensavi davvero le cose che hai scritto?"
"Quali cose?" chiese Ermal. Gli aveva scritto un sacco di messaggi negli ultimi giorni, nemmeno li ricordava tutti.
Fabrizio prese il cellulare e, dopo aver aperto la chat di Ermal, lesse l'ultimo messaggio: "Scusa se ti sto disturbando, prometto che non lo farò più. Mi sembra evidente che non mi vuoi parlare, quindi questo sarà l'ultimo messaggio che ti manderò. Voglio solo che tu sappia che mi dispiace per quello che è successo. Non so di preciso quale delle cose che ho detto ti abbia fatto scattare in quel modo e perché, ma mi dispiace. Sei una delle persone a cui tengo di più al mondo e sai che non farei mai nulla per farti del male. Proprio per questo, credo sia meglio per entrambi che io smetta di cercarti. Quindi ciao, Bizio. E scusami."
Ermal spostò lo sguardo, cercando di non far notare a Fabrizio gli occhi lucidi.
Ricordava ogni parola di quel messaggio, ma più di tutto ricordava come il suo cuore si era spezzato a ogni parola.
"Allora, le pensi davvero queste cose?" chiese Fabrizio con la voce leggermente incrinata.
Ermal annuì. Le pensava davvero, per quando facesse male.
Non avrebbe mai voluto che Fabrizio si allontanasse da lui, ma non voleva nemmeno che stesse male per colpa sua o che si sentisse ferito da qualcosa che lui aveva detto. Quindi forse era davvero meglio per entrambi restare separati.
Fabrizio si sfregò gli occhi, cercando di impedire a una lacrima di scorrergli sulla guancia, poi disse: "Sai perché ho reagito così, quel giorno? Perché ho pensato di esserci dentro più di te, in questa storia. E ho avuto paura. Ho avuto paura perché non sono abituato a queste cose, perché io di solito non mi faccio trascinare dai sentimenti così tanto e mi spaventava l'idea che tu non fossi sulla mia stessa lunghezza d'onda. Ecco perché ti ho mandato via, ecco perché non ho risposto alle tue chiamate e ai tuoi messaggi. Poi mi hai scritto questo e la paura che tu non provassi le stesse cose è sparita, è stata sostituita dalla paura che tu ti allontanassi per sempre."
Ermal continuava a tenere lo sguardo il più lontano possibile da Fabrizio, ma fu costretto a riportarlo su di lui quando si sentì sollevare il meno con due dita.
Fabrizio gli prese il viso tra le mani e sorrise dolcemente. "Non voglio che ti allontani da me."
Ermal, ormai incapace di dire qualsiasi cosa, si limitò ad avvicinarsi a lui e stringergli i fianchi, mentre appoggiava la fronte sulla sua spalla e permetteva finalmente alle lacrime di uscire dai suoi occhi.
Fabrizio lo strinse a sé, sussurrandogli all'orecchio che sarebbe andato tutto bene.
Quando Ermal risollevò la testa, fu automatico per entrambi cercare le labbra dell'altro e unirsi in un bacio disperato. Un bacio in cui era racchiusa tutta la sofferenza dei giorni passati, tutto ciò che provavano l'uno per l'altro.
E poi finalmente tu
tirar tardi sotto casa
e di corsa sulle scale insieme a te.
Un minuto ancora e poi uno sguardo tra di noi
voglio guardare addormentarsi gli occhi tuoi
gli occhi tuoi, gli occhi tuoi.
Non era passato molto tempo dall'ultima volta che avevano fatto l'amore, eppure per entrambi sembrava passata una vita.
Quella notte fecero le cose con calma, come se si stessero scoprendo per la prima volta.
Si presero tutto il tempo necessario di sfiorare il corpo dell'altro, di farlo gemere e sospirare sotto le proprie mani, di assaporare la loro pelle.
Si presero tutto il tempo necessario per amarsi, per dirsi senza bisogno di parole quando avessero bisogno l'uno dell'altro.
Quando si ritrovarono entrambi ansimanti, aggrovigliati nelle lenzuola e con gli ultimi strascichi dell'orgasmo a offuscare il loro cervello, Ermal si voltò verso Fabrizio e disse: "Ti amo."
Non aveva nemmeno avuto bisogno di pensarci.
Quelle due parole erano sempre state dentro di lui - anche quando lui aveva creduto che la loro fosse una storiella passeggera, senza importanza - ma non aveva mai avuto il coraggio di dirle, spaventato da un sentimento troppo grande.
Fabrizio ricambiò lo sguardo mordendosi il labbro inferiore, nel tentativo di nascondere un sorriso che premeva per illuminagli il volto.
"Davvero?" chiese incredulo.
Ermal annuì. "Ti amo praticamente da sempre, solo che non me ne ero mai reso conto davvero."
"Ti amo anch'io" rispose Fabrizio.
Poi attirò Ermal a sé, facendogli posare la testa sul suo petto, e lo fissò mentre le sue palpebre si chiudevano lentamente.
Lo guardò dormire per qualche minuto, poi chiuse gli occhi a sua volta, stremato dalla stanchezza accumulata nei giorni passati - in cui non aveva chiuso occhio - e dal viaggio in macchina di qualche ora prima.
L'ultima cosa a cui pensò, prima di abbandonarsi definitivamente a un sonno profondo, fu che avrebbe voluto guardare Ermal dormire accanto a lui per sempre. E per la prima volta, quel pensiero sembrava avvicinarsi alla realtà.
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DF - All’università Episodio 9 Guida
- Risultato negativo / Risultato neutro + Risultato positivo / o + Significa che il mio Lov’o’metro con quel personaggio è al massimo, ciò vuol dire che il risultato può essere sia neutro che positivo.
Punti Azione: 900 - 1.000 massimo
Illustrazioni: 3 in totale. E’ possibile prendere 1 illustrazione per giocata. Se volete l’illustrazione con la vostra crush bisogna avere il lov’o’metro più alto con lui/lei, con il colpo di fulmine.
La zia: Si trova dopo la sessione di studio con Morgan, in biblioteca.
Soldi: - 155 $ vestito lungo con pizzo: Priya - 160 $ pantaloni e bretelle: Nath/Castiel - 155 $ vestito charleston : Hyun/Rayan
~ E’ Lunedì mattina e dobbiamo andare a lezione.
Kim: A. Grazie Kim. / B. Chi te l’ha detto? +
A. Mi nascondi qualcosa, Kim? / B. Stai mentendo molto male, lo sai. -
~ Uscite dalla palestra.
A. (Invio un messaggio a Rosa.) B. (Vedo se Chani è disponibile.)
Se scegliete A.
Rosa: A. Ahahah sì, esatto. / B. Beh… avrei preferito che non lo sapesse…
A. E poi, ho capito che faceva di tutto per evitarmi. / B. Sinceramente non ne voglio sapere nulla. / C. Non so che cosa stia tramando.
A. Non hai degli effetti nefasti dovuti alla gravidanza? B. il bebè sta bene? + C. Non siete stressati per l’arrivo del bebè?
Se scegliete B.
Chani: A. Sei troppo dura con te stessa. Ti assicuro che è magnifico. / B. Bisogna farti esporre, Chani! Non ti rendi conto del tuo talento! C. Peccato, avrei voluto vederlo un po’ più da vicino. +
A. Questa ragazza… ti piace? / B. E’ davvero un bel quadro! /
A. Hmm… è… particolare! Mi devo abituare! B. E’ troppo salato… hai fatto cadere la saliera nella zuppa? +
~ Tornate in camera.
Yeleen: A. Devo chiamare la stampa perché un “mi dispiace” è uscito dalla bocca di Yeleen? / B. Apprezzo, grazie. +
~ Andiamo a studiare con Morgan.
Morgan: A. E’ un peccato, non vuoi suonarmi qualcosa? / B. Hai già fatto sentire qualcosa ad Alexy? +
A. Coraggio! La vita è una. + B. E’ forse un po’ presto? - C. E’ così importante per te, da presentarlo alla tua famiglia? /
~ E’ ora di parlare con Clementina.
Hyun: A. Che significa, beh? Clementina è piuttosto gentile con te. / B. E allora, cosa è successo? + C. Forse non avresti dovuto parlare per me.
Yeleen: A. Non sono affari tuoi…- B. Ero al bar, Clementina voleva farmi una proposta. /
A. Ma certo, so cos’è una festa di beneficienza. / B. Caspita, le persone pagano per venire alla serata? /
Hyun: A. Sei sicuro? È già un po’ che non li vedi, non sarà troppo lungo per te? So quanto sono importanti per te. + B. Anch’io pensavo di dire di sì! /
Nina: A. Dimmi… stai meglio? Non ci siamo più riviste dopo il fattaccio, ero in pensiero per te. + B. Magari, potresti darci qualche idea, se ne hai! /
A. Grazie Nina, senza il tuo aiuto e senza la tua offerta, non ce l’avremmo fatta. + B. Sì, non è male! Ma se penso che dovrò aiutarti per il resto dell’anno a fare i compiti in più di quello che devo studiare io… sono già distrutta. /
Castiel: A. Già… molto meglio. Grazie di nuovo per l’ultima volta. / B. Era un po’ di tempo fa, ho avuto il tempo di riprendermi. C. Una Bella Addormentata nel bosco che sviene a causa delle stress in piena lezione di Sviluppo Personale, non sono sicura che la storia sia così nella fiaba. +
A. Nel caso in cui non avessi impegni, non so… potrebbe essere divertente. B. E’ una richiesta della mia datrice di lavoro. Vuole persone che abbiano una certa notorietà… l’ per lì la cosa mi ha fatto ridere, ma chissà, potrebbe interessarti davvero? / C. Preferirei essere accompagnata, allora ti propongo… /
Se scegliete C: A. No! È solo un invito a passare la serata con me, t-tutto qua. Non c’entra niente con un “appuntamento romantico”. / B. Perché no? +
~ Direzione casa di Rosa
Rosalya: A. Beh ecco, sto cercando una tenuta speciale, credo che tu potresti aiutarmi. B. Sì, va tutto bene. Ma prima di tutto, tu come stai? +
Clementina: A. Ha fatto vedere ai camerieri come si fa? - B. E’ vero che non sembrano molto svegli… +
Chani e Priya: A. Beh ecco… Mi mettete un po’ con le spalle al muro. Io… B. Sì, entrate. Non siete mica tipe da mettere a soqquadro il locale!+
Castiel: A. Sono sicura che, in realtà, vai pazzo per questo tipo di serate mondane. + B. E’ stato carino da parte tua venire! C’è già molta gente dentro. Gli ultimi invitati non dovrebbero tardare, ci vediamo dopo. - C. Allora spero che il rinfresco non ti deluderà. /
Yeleen: A. Non lo è infatti. È solo che ho pensato che sarebbe stato carino da parte mia stare al gioco, visto che sono io che mi sono occupata dell’organizzazione. / B. Non ho bisogno dei tuoi commenti negativi. Gli altri mi hanno fatto i complimenti, quindi la cosa funziona! -
A. Yeleen non c’entra niente con la scelta del tema. / B. Ah davvero? A proposito Yeleen, mi chiedevo… come ti è venuta questa idea? +
Priya: A. Mi fa piacere che siate diventate amiche, tu e Chani. È da tanto? + B. spero che non avrò problemi per averti lasciata entrare. / C. Sono sorpresa di vederti con Chani… vi siete messe insieme? -
A. Non lo so… non mi ci vedo ad andare a parlare con questa gente per cercare di “vendermi”. / B. Sì! Hai ragione, farò il massimo. Vado a parlare con loro. / C. Hmmm… preferirei passare la serata a parlare con te. +
Rayan: A. Lo dicono tutti, ma non so se lo dicono per farmi piacere, o se è vero. - B. è vero, sono davvero orgogliosa del lavoro che abbiamo fatto. / C. Sì! Ormai sono pronta ad organizzare tutte le serate dei dintorni a tempo di record! +
Castiel: A. Ve la cavate benissimo senza di me. / B. E affrontare le fan che ti danno la caccia? No, grazie! - C. Non mi dispiacerebbe. +
Se scegliete B: A. Immagino che debba essere piuttosto lusinghiero per te. B. Sì hai ragione, io le trovo ridicole, ma divertenti. -
Ambra: A. Perché? Cosa è successo? / B. Hai fatto bene a venire, così ti distrai un po’. + C. Non sapevo che eravate amici.
Se scegliete A: A. la modella che si lamenta è un vecchio clichè. B. perché? Credevo fosse un mestiere che fa sognare. C. Posso immaginarlo… +
Nath: A. Nath?! Pensavo che cercassi in tutti i modi di evitarmi. + B. Come hai fatto ad entrare nel bar? E’ una serata privata. C. Che cosa ci fai qui. /
A. Ti sbagli, sto molto bene. Al contrario, saresti dovuto andare via da tempo. - B. Sì, non saresti dovuto andare via e lasciarmi nella confusione più totale, sapendo che stavo male dopo ciò che era successo. / C. Hai preso la tua decisione. Comunque, ti capisco. +
Finale con Rayan e Hyun:
Rayan: A. Si vede che c’è qualcosa che non va. Sei venuto fino a qui per parlarmi, quindi fallo! + B. Prendi il tuo tempo… /
A. Comincia ad essere assurdo, sembrerebbe che hai appena commesso un omicidio! Cosa succede? B. C’entro io? Non abbiamo fatto niente di male… non capisco… qualcuno ci ha sentiti mentre ci davamo del tu? C. Parlami… /
A. Cosa? Ma…? Cosa? Tu… ti piacciono gli uomini? B. Devo digerire la notizia. Tu e Hyun…? Vi siete baciati?! Com’è possibile?! Qualche settimana fa vi sopportavate appena. E Hyun?! No, conosco Hyun, non è possibile. /
Hyun: A. Per questo sei venuto qui? Per congratularti con me? / B. Grazie Hyun… sei molto genitile… + C. Senza il tuo aiuto, non sarei riuscita ad organizzare niente. /
A. Anche tu mi piaci! B. Ascolta, Hyun… io… io so cosa è successo questa sera… con il professor Zaidi. C. Hyun… non sembri stare bene… sei sicuro che volevi dirmi solo questo? +
A. Ma aspetta Hyun, questo tipo di cose non accadono per caso… sembrerebbe che sia successo contro la tua volontà, ma bisogna essere due per scambiarsi un bacio. Sei attratto da lui? + B. Perché vuoi lasciare la città? Vi siete baciati, basta, succede! Passiamo ad altro. C.M-ma… ti piacciono i maschi? /
A. Ascoltate, non mi sento affatto a mio agio, preferisco uscire… vi lascio parlare, almeno sarete tranquilli qui. B. (sono rimasta in silenzio aspettando la risposta di Rayan.) (Verso illustrazione)
Se scegliete B: A. Tu non mi devi niente, noi non stiamo insieme. Ma non posso. (Ho lasciato la sua mano, ho preso il telefono e sono uscita di corsa dalla stanza.) B. (Mi sono avvicinata e gli ho dato un bacio sulla guancia.) (verso illustrazione)
Se scegliete B: A. I-io… forse ho capito di cosa stai parlando… e non posso. Mi dispiace… devo uscire da qui, ho bisogno d’aria. (Ho preso il telefono dal letto e sono uscita correndo.) B. io… (Non riesco più a riflettere… e allo stesso tempo… penso di non avere nulla da perdere. Ho baciato Rayan…) (illustrazione Hyun e Rayan)
Finale con Castiel e Nath:
A. Mmm, non lo so… visto quello che è successo poco fa, non sono sicura di aver voglia di farvi entrare. B. Dai, entrate… +
A. Grazie… apprezzo lo sforzo. Sono sorpresa di vedervi insieme. / B. Tutto questo non sembra così sincero al 100%
A. Davvero? Sembra che vi stiate prendendo gioco di me… B. Grazie… /
A. (Sta andando troppo veloce.) Scusa, non posso! B. (Mi avvicinai al suo viso…) (verso illustrazione)
A. Siete completamente fuori di testa! Devo uscire da qui! (Ho preso il mio telefono e sono uscita a tutta velocità.) B. (Ho guardato Nathaniel… prima di mettere le mie mani intorno al collo di Castiel per baciarlo.) (illustrazione) C. (Ho sorriso nervosamente.) Mi state prendendo in giro?
Finale Chani e Priya:
Chani: A. Ti piace Priya? B. Ti piaccio? C. Sai che puoi dirmi tutto Chani! Ti ascolto. /
A. Entra Priya. / B. (Ho fatto un segno con la testa a Chani, come per chiederle se desiderava entrasse o no.) C. Chani è qui… vuoi entrare?
A. Ho il diritto di parlare con lui. B. Si, so già cosa vuoi dire… ma avevo bisogno di saperne di più sulla faccenda dell’altra volta. C. si…? /
Priya: A. Quindi ti piacciamo tutte e due? B. E quindi ora che succede? / C. Non ci credo che ci stai dicendo questo! Non è possibile che tu abbia voglia di stare con due persone contemporaneamente.
A.Si, si ti autorizzo (Si avvicina un po’ di più… una delle sue ciocche incollata alle sue labbra ci separa.) (verso illustrazione) B. stai giocando ad un gioco pericoloso, e né Chani né io meritiamo questo.
A. (Ho ricambiato il bacio.) (illustrazione) B. N-no… non posso, mi dispiace, siamo amici.
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