#così vero serena
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Io 🤝🏼 Serena Rossi
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-Ti amo -disse il Piccolo Principe.
-Anch’io ti voglio bene -rispose la rosa.
-Non è la stessa cosa -replicò lui...- Amare significa avere la piena fiducia che ci sarai sempre, qualunque cosa accada. Non perché mi devi qualcosa, non per un possesso egoista, ma per esserci, in una compagnia silenziosa.
Amare è sapere che il tempo, le tempeste o i miei inverni non ti cambieranno. Dare amore non consuma l’amore, anzi, lo moltiplica. Il modo per restituire tanto amore è aprire il cuore e lasciarsi amare.
-Ho capito -disse la rosa.
-Non capirlo, vivilo -aggiunse il Piccolo Principe.
Questa riflessione tratta da Il Piccolo Principe di Antoine De Saint-Exupéry ci invita a riflettere sul vero significato dell’amore. Il dialogo tra il Piccolo Principe e la rosa sottolinea l’importanza della fiducia, della presenza silenziosa e dell’amore incondizionato, immutabile nel tempo e nelle difficoltà.
Il Piccolo Principe spiega che amare non riguarda il possesso, ma essere presenti senza aspettarsi nulla in cambio. Significa accettare l’altro così com’è, senza volerlo cambiare, e restare nei momenti di calma e di tempesta. Inoltre, dare amore non lo esaurisce, ma lo fa crescere. La reciprocità nasce quando si apre il cuore e si permette all’altro di amarci.
La rosa, inizialmente, sembra capire le parole del Piccolo Principe, ma lui la invita a non limitarsi a comprenderle, bensì a viverle pienamente. Questo insegnamento ci spinge a sperimentare l’amore in modo autentico e profondo, al di là delle parole.
L’amore vero si fonda su una donazione disinteressata, sull’accettazione reciproca e sulla condivisione emotiva. È un invito a vivere l’amore nella sua pienezza, con il cuore aperto e la mente serena.
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Allora, io adesso lo scrivo così è vero: oggi parlando con il tipo è uscito fuori che durante le ferie potremmo andare in toscana 4/5 giorni e questa cosa mi elettrizza e agita allo stesso tempo e poi se si va se ne andrebbero 800/1000 euro circa a persona e io ho sempre pensato che per le ferie i soldi vanno spesi perché se non hai spese grandi durante l'anno è giusto spendere durante le ferie, ma io con poco più di 1000 euro ci ho comprato la bici elettrica che si spera duri qualche anno. E poi ho sempre fatto viaggi spendendo meno di 1000 euro quindi ok facciamo questo esperimento? Sì. Ultima cosa: facciamo "progetti" a breve termine e questa cosa mi piace tantissimo perché ho scoperto che mi rende serena perché ad esempio questa cosa delle ferie in teoria vuol dire che tra un mese e mezzo lui mi vede ancora insieme a sé. Quante cose nuove sto sperimentando.
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«E poi? Come è andata a finire la storia di voi due?»
«Niente, non l’ho più vista.
Lei ha fatto le sue scelte, io le mie.
Però, ogni tanto mi capita di pensarla e qualche volta ancora la stringo, la bacio,
ci faccio l’amore...»
«Ma se l'hai voluta tu. Dicevi che non eri pronto. Adesso che senso ha pensare a lei?»
«Accidenti, amico, hai mai provato l’amore?
Ti è mai capitato di guardare una donna e sentirti tremare, vederla sorridere e pensare che stai assistendo ad una sorta di visione celestiale? Ti è mai capitato di toccarla e sentire i polpastrelli che ti si infuocano di desiderio. Baciarla e pensare che la sua lingua è l’unica al mondo che si intrecci così perfettamente con la tua?
Dimmi, ti è mai capitato?»
«No, a dire il vero, no»
«Ecco. Tu provalo l'amore.
Poi mi dici se te lo scordi più».♠️🔥
Serena Santorelli
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Dieci anni
Esattamente dieci anni fa..
quella mattina mi ha svegliata un sogno che non dimenticherò mai.
C'era mia madre fuori "da quel letto", in piedi, vestita davanti agli armadi che sistemava,come a volte la vedevo quando andavo da lei, e io li che la guardavo incredula ma serena, lei stava bene. Nel sogno non si è mai voltata, ma non importa io percepivo tranquillità e anche quando mi sono svegliata non ero né allarmata né spaventata.
Io abitavo nella stessa palazzina dove vivevano i miei, al piano di sopra.
Mia madre si è ammalata alla fine del 2011 di Sla (quando pronuncio quella siglia, mi manca l'aria) degenerata alla velocità della luce.
Preparo me e i bambini.
Scendo da mio padre, mia madre è lì in quel letto, sembra abbia 200 anni.
Mio padre dice che non va bene, che
"oggi non ci siamo, è peggio degli altri giorni"
Mia madre è sempre stata in casa, con tutta l'attrezzatura,ha passato all'inizio dei periodi in una clinica per riabilitazione, quando ancora riusciva ad alimentarsi da sola, poi arrivata quella polmonite ab ingestis,e da lì il delirio. Che non sto manco a raccontare.
Ho portato i bambini dal padre, che allora aveva un bar a Milano. Così per distrarli un attimo, fanno colazione.
Intorno alle 11:30, mi chiama mia sorella, non capivo cosa dicesse, aveva la voce rotta dal pianto,confusa, diceva
"forse la mamma è morta", quel forse, perché lei sperava non fosse vero.
Ho preso i bambini e siamo tornati a casa.
Mia madre in quel sogno, mi aveva salutata.
L'unica volta che pianto per tutta la notte è stato quando gliel'hanno diagnosticata lei era ancora in piedi e autonoma al 100%,aveva avuto episodi di cadute strane e aveva cominciato a parlare un po' male ,si pensava ad ischemia...
ricordo la sua reazione, non reazione. Quel silenzio...
La sua vitalità, la sua energia di sempre, la sua leggerezza, i suoi sorrisi sempre e comunque ,non esistevano più.
Io lo so per certo, che si non avrebbe certo voluto morire, ma chi lo vuole. Ma so anche con certezza che la morte in quella situazione è stata la sua liberazione. Lo so davvero. La conoscevo bene mia madre.
Era intrappolata in un corpo inerme, la cosa più brutta che potesse accadere, data la sua famosa paura di rimanere senza respiro(anche la mia da sempre) , era quella appunto di rimanere attaccata ad un respiratore con ossigeno anche, questo non doveva accadere.
Io non ho sofferto la sua morte, e questa cosa ha stupito tanto davvero anche me. Forse perché vivere le malattie incurabili e le sofferenze così, è già una specie di morte.
(Questo non significa che io non abbia paura, io ho una fottuta paura di tutto ormai)
Quindi stamattina mi sono svegliata così, come dieci anni a questa parte.
È proprio vero che le persone che mancano a volte sono più presenti di qualsiasi presenza.
Ciao Ma,sono sicura che il mio saluto ti arriva anche oggi. ❤️
Mio padre, il migliore di sempre ❤️
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C'è che noi, nella storia, siamo dalla parte del riscatto, loro dall'altra. Da noi, niente va perduto, nessun gesto, nessuno sparo, pur uguale al loro, m'intendi? Uguale al loro, va perduto, tutto servirà se non a liberare noi e a liberare i nostri figli, a costruire un'umanità senza più rabbia, serena, in cui si possa non essere cattivi. L'altra è la parte dei gesti perduti, degli inutili furori, perduti e inutili anche vincessero, perché non fanno storia, non servono a liberare ma a ripetere e perpetuare quel furore e quell'odio, finché dopo altri venti o cento o mille anni si tornerebbe così, noi e loro, a combattere con lo stesso odio anonimo negli occhi e pur sempre, forse senza saperlo, noi per redimercene, loro per restarne schiavi.
Questo è il significato della lotta, il significato vero, totale, al di là dei vari significati ufficiali. Una spinta di riscatto umano, elementare, anonimo, da tutte le nostre umiliazioni: per l'operaio dal suo sfruttamento, per il contadino dalla sua ignoranza, per il piccolo borghese dalle sue inibizioni, per il paria dalla sua corruzione. Io credo che il nostro lavoro politico sia questo, utilizzare anche la nostra miseria umana, utilizzarla contro se stessa, per la nostra redenzione, così come i fascisti utilizzano la miseria per perpetuare la miseria, e l'uomo contro l'uomo.
- Italo Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno
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Spero che
in un'altra vita
la tua ti sia più docile
Dove non devi preoccuparti se fare questo o quello
Non devi sforzarti di capire se un cosa è giusta o è sbagliata
Non ti viene imposto niente
Che ti sia più soffice
In grado di attutire le tue cadute, quelle cadute che succedono per causa tua e quelle che ti causano gli altri
Che ti sia più serena
In grado di
in cambio di tutti i tuoi sacrifici,
ricompensarti con risate sincere e frequenti
Come quelle che ti fai con me, anche se non così spesso
Che ti sia più libera
Perché so com'è il tuo spirito ma non puoi mai tirarlo fuori
Che la vita ti permetta di fare delle scelte, quelle scelte per cui ti ho dato il mio "si"
Quelle scelte che devono partire da dentro, che devono conoscere il coraggio
Per una vita dove c'è solo pace e anche se ci sono problemi, superarli con l'amore
Amore vero,
quello che, secondo me,
non hai mai conosciuto
Che la vita sia
Tua
Mamma
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~ Lettera a me stessa ~
Come va? Bene, vero?
Lo immaginavo.
Ma so che non è così, che in questo momento ti fa male respirare.
Ce la puoi fare.
Ce l'hai già fatta altre volte. Perciò ripetitelo spesso. Agli errori a cui non c'è rimedio, puoi opporti solo con la forza. Forza d'animo. Tanta.
Conta solo su te stessa. Già lo fai, ma se puoi fallo di più.
Mostrati intera anche se sei a pezzi. Mostrati sicura anche se tremi. Mostrati serena anche se piangeresti volentieri tutte le tue lacrime.
Non guardarti indietro, non ci puoi tornare, non puoi rimediare. Guarda avanti. Ma nemmeno troppo avanti, altrimenti ti avvilisci. Guarda a oggi, a domani. Ogni giorno è già un traguardo.
Smettila di avere paura, ne hai avuta tanta, troppa. Smettila di essere fragile, ti sei incrinata in ogni direzione ormai. Smettila di non sentirti abbastanza, non è vero mai. Non soffrire più. Non sanguinare più. E se devi crollare, fallo quando nessuno ti vede.
Ti senti sola, lo so, ma sola non sei. Hai una grande responsabilità. Anzi due. Solo questo conta. Ripetilo. Solo questo.
Tutto il resto viene dopo e, solo, se ce la fai.
Ascoltati. E a presto.
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Diabolik: rubare è umano, spiegare è diaboliko
Diabolik, il primo film della trilogia dei Manetti Bros con Luca Marinelli, Miriam Leone e Valerio Mastandrea.
Diabolik: Miriam Leone e Luca Marinelli in una scena del film
C'era grande attesa, da parte mia, per la prima trasposizione cinematografica moderna di Diabolik, la storica creatura fumettistica delle sorelle Giussani per Astorina, dopo il cult pop del 1968 di Mario Bava con John Phillip Law, Marisa Mell e Michel Piccoli. La pesante eredità - tanto cartacea quanto audiovisiva - è stata presa dai Manetti Bros. e dal trio Luca Marinelli, Miriam Leone e Valerio Mastandrea e il risultato viaggia a metà strada. Una strada buia e tempestosa come quelle della pellicola.
Ricostruzione fumettistica
Diabolik: una scena del film
Uno dei pregi del film è la ricostruzione puntuale e dettagliata delle location fittizie anni '60 del fumetto - dalla capitale Clerville al centro montanaro Bellair, dove si svolge il prologo del film, fino alla città costiera di Ghenf - ma anche dei costumi e del trucco e parrucco dei personaggi, a metà tra il caratterista e il sopra le righe. Tutto sullo schermo trasuda pagine fumettistiche trasposte in versione live action, come se prendessero vita per dipingere una serie di vignette in sequenza, grazie anche all'aver girato in location come Bologna e Trieste per restituire un certo tipo di paesaggio urbano particolare, unico nel suo genere, comprese le automobili che sfrecciano tra le strade buie e tempestose.
La caratterizzazione dei personaggi - dal glaciale Diabolik di Luca Marinelli alla seducente Eva Kant di Miriam Leone fino al tutto d'un pezzo Ginko di Valerio Mastandrea - viaggia invece a binari alterni, a volte con una recitazione eccessiva, a volte fin troppo impassibile. Ma - nonostante il film si intitoli Diabolik - come ben sappiamo dai fumetti e dal famoso numero 3 a cui i Manetti Bros. si sono ispirati - non esiste Re del Terrore senza Eva Kant e a emergere nel film sono soprattutto le figure femminili più che quelle maschili.
Women power
Diabolik: Miriam Leone in un'immagine
Il film utilizza i personaggi - soprattutto quelli femminili che risultano quasi più rilevanti di quelli maschili rubando la scena - per parlare di tematiche femministe anche litteram ed estremamente (e tristemente) attuali. A fare una miglior figura di fronte al pubblico sono infatti Eva di Miriam Leone e la Elisabeth di Serena Rossi, due donne soggiogate in modo diverso dal protagonista ma che allo stesso tempo riescono ad emanciparsi. Eva è infatuata dal Re del Terrore ma rimane indipendente, lucida, calcolatrice: una femme fatale a tutti gli effetti. Elisabeth invece è totalmente perduta nelle proprie ansie e nelle proprie ossessioni, quasi fosse prigioniera nella grande casa dove vive: ad aspettare che il suo amato Walter torni a casa, che la guardi intensamente, che le dia quelle attenzioni che tanto anela, finendo preda del proprio esaurimento nervoso. Un esaurimento nato però da un vero e proprio abuso emotivo da parte dell'uomo. Una tematica sottile ma interessante da inserire proprio in questo film e nel nostro contemporaneo.
Diabolik: Luca Marinelli in una sequenza
Allo stesso tempo anche le due figure maschili dovrebbero restituire il concetto di Doppio, ma non riescono fino in fondo: Diabolik e Ginko dovrebbero rappresentare due facce della stessa medaglia, lo yin e lo yang, il buio e la luce che si alternano e si mescolano, che non avrebbero senso di esistere l'uno senza l'altro, ma questo non arriva appieno allo spettatore, a causa di un'interpretazione un po' ingessata nelle atmosfere degli anni '60 e nei propri abiti da parte dei due attori. Il vero "doppio" di Diabolik risulta così Giorgio (Alessandro Roja), che rappresenta la Legge e allo stesso tempo colui che viene soggiogato e ingannato da Lady Kant.
Spiegami quel colpo di scena
Diabolik: Valerio Mastandrea nei panni dell'Ispettore Ginko
Però quell'atmosfera è meravigliosamente restituita dai Manetti Bros. grazie anche agli omaggi al cinema classico, in primis quello di Alfred Hitchcock, con alcune inquadrature e alcuni movimenti di macchina che sono volti a mostrare il lato più thriller e noir della vicenda attraverso manierismi tecnici, dettagli e primi piani, e la colonna sonora di Pivio e Aldo De Scalzi è la ciliegina sulla torta. A livello narrativo il susseguirsi degli eventi, che partono con un bell'inseguimento e con un prologo avvincente, diviene man mano più elementare man mano che la pellicola scorre sul grande schermo: un insieme di causa ed effetto a volte troppo semplicistico, pensato quasi per un target che ha bisogno di molte spiegazioni su ciò che sta vedendo, anche a livello cronologico, compresi i colpi di scena della trama abbastanza prevedibili. Un cinecomic "troppo italiano", insomma, eppure l'atmosfera che ci restituisce il film è talmente "ferma nel tempo", quasi magica, che si perdonare gli scivoloni di sceneggiatura e recitazione, e la classicità di questo Diabolik anno 2021 eppure così 1960, che vediamo come un omaggio a una storia antica eppure senza tempo. Una storia di furti, omicidi, amori strozzati e passioni travolgenti.
Conclusioni
In conclusione in questo Diabolik dei Manetti Bros. si può osservare come sia evidente che i registi abbiano voluto omaggiare un certo cinema classico e allo stesso tempo la controparte cartacea originaria, cercando di catturarla sul grande schermo soprattutto attraverso una ricostruzione attenta nelle scenografie, nei costumi, nel trucco, nelle inquadrature e nei dettagli. Emergono maggiormente i personaggi femminili rispetto a quelli maschili, portando alla luce la tematica dell’abuso emotivo e dell’emancipazione femminile. il film si fa perdonare qualche scivolone nella sceneggiatura un po’ troppo elementare nel susseguirsi di causa-effetto degli eventi.
Perché ci piace 👍🏻
L’atmosfera fumettistica e degli anni ’60 fortemente curata tra scenografie, costumi e trucco.
La regia che omaggia grandi classici del genere thriller e noir come Hitchcock.
L’emergere dei personaggi femminili e della tematica dell’abuso emotivo.
Cosa non va 👎🏻
i personaggi maschili, un po’ troppo ingessati nei propri ruoli.
Alcuni scivoloni nella sceneggiatura e nel susseguirsi dei colpi di scena, abbastanza prevedibili con qualche spiegone di troppo.
#diabolik#diabolik lovers#manetti bros.#miriam leone#valerio mastandrea#luca marinelli#movie review#review#recensione
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- E poi, come è andata a finire la storia tra voi due?
-- Niente, non l’ho più vista. Lei ha fatto le sue scelte, io le mie. Però, ogni tanto mi capita di pensarla e qualche volta ancora la stringo, la bacio, ci faccio l’amore.
- Ma se l'hai voluta tu. Dicevi che non eri pronto. Adesso che senso ha pensare a lei?
-- Accidenti, amico, hai mai provato l’amore? Ti è mai capitato di guardare una donna e sentirti tremare, vederla sorridere e pensare che stai assistendo ad una sorta di visione celestiale? Ti è mai capitato di toccarla e sentire i polpastrelli che ti si infuocano di desiderio. Baciarla e pensare che la sua lingua è l’unica al mondo che si intrecci così perfettamente con la tua? Dimmi, ti è mai capitato?
- No, a dire il vero, no...
-- Ecco, tu provalo l'amore, poi mi dici se te lo scordi più...
(Serena Santorelli)
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- E poi, come è andata a finire la storia tra voi due?
-- Niente, non l’ho più vista. Lei ha fatto le sue scelte, io le mie. Però, ogni tanto mi capita di pensarla e qualche volta ancora la stringo, la bacio, ci faccio l’amore.
- Ma se l'hai voluta tu. Dicevi che non eri pronto. Adesso che senso ha pensare a lei?
-- Accidenti, amico, hai mai provato l’amore? Ti è mai capitato di guardare una donna e sentirti tremare, vederla sorridere e pensare che stai assistendo ad una sorta di visione celestiale? Ti è mai capitato di toccarla e sentire i polpastrelli che ti si infuocano di desiderio. Baciarla e pensare che la sua lingua è l’unica al mondo che si intrecci così perfettamente con la tua? Dimmi, ti è mai capitato?
- No, a dire il vero, no...
-- Ecco, tu provalo l'amore, poi mi dici se te lo scordi più...
Serena Santorelli
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Domenico Cuomo il protetto di tumblr.it
Cioè capito è partito tutto da qui 😭😭😭😭😭😭😭😭😭😭😭😭😭
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Ieri sera mi ha chiamata all'improvviso e mi ha detto "scendi ti porto in un posto". Dopo una strada tutta curve, siamo arrivati nei pressi di una casa abbandonata, in un punto che dominava tutta la città dall'alto. Lui conosceva il modo per aprire il cancello e per raggiungere un terrazzino piastrellato, da cui guardare la città illuminata, dall'alto, nel silenzio più assoluto.
Mi sono emozionata perché, mentre mi stavo preparando, mi è balenata nella testa Le Luci della Città di Coez e la ascoltavo aspettandolo.
Siamo allineati, siamo dove dovremmo essere. E lo avvertiamo ogni volta che ci guardiamo, che ci sfioriamo. A volte, ci pizzichiamo per capire se stiamo sognando perché non ci sembra vero.
Una cosa così pulita, così bella, così serena. Capitata proprio a noi.
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“ (D) I giornali hanno ricordato che il nazismo sognava l'uso generalizzato della t.v. e che solo la guerra distolse le energie tecniche ed economiche dal progetto. La t.v. nacque così, con una signorina tedesca impiegata delle Poste, Ursula Patschke, che [la sera del 22 marzo 1935] apparve in video e annunciò ai dieci apparecchi «ricevitori» esistenti a Berlino che tutto era pronto per «far scendere nei cuori dei camerati del popolo l'immagine del Fürher». Non le sembra un anniversario imbarazzante? Ha sottolineato che la t.v. è nata come strumento di consenso e di dominio.
(R) Nella Germania nazista, come lei diceva, la televisione non fu diffusa su larga scala. Perché la televisione, a differenza della radio, ha bisogno che i ripetitori siano a vista, ha bisogno di grandi impianti e forti investimenti. I francofortesi, quando parlano di masse e «media», non si riferiscono quasi mai alla televisione, bensì alla radio e alle adunate oceaniche. Sono fuggiti da paesi fascisti e nazisti, per cui studiano soprattutto i mezzi impiegati davvero da quelle dittature: Hitler e Mussolini avevano usato ampiamente, oltre alla radio, il cinema di fiction e il documentario. Basti pensare a film come «Scipione l'africano» o a documentari come quelli di Leni Riefenstahl. Sì, la potenza dei media è stata intuita e sfruttata anzitutto dai regimi autoritari e gerarchizzati. La prima stazione radiofonica del mondo è stata quella del Vaticano. I francofortesi, però, non sono come il Karl Popper degli ultimi anni, che ha già mangiato, digerito e rifiutato la televisione. Vengono da un'esperienza tutta radiofonica. Eppure già la radio appare loro uno spauracchio terribile, un'inedita possibilità di massificazione. D'altronde era vero: prima della radio un predicatore, poniamo il Savonarola, poteva essere ascoltato al massimo da qualche migliaio di persone. Non c'era, tecnicamente, possibilità di maggiore "audience". Ora si è passati a milioni; in alcuni casi (come le Olimpiadi o lo sbarco sulla luna) addirittura a miliardi. Tenga conto, per di più, che a metà degli anni cinquanta la radio da noi era ancora un lusso. Ricordo che sotto casa nostra abitava una vecchietta che per tutta la vita, e inutilmente, ha desiderato di possedere un apparecchio radiofonico. A metà degli anni cinquanta arriva anche la televisione, un «medium» che d'improvviso irrompe e agisce con presa inaudita. S'immagini un paese d'inverno: alle cinque è buio, i bar sono chiusi, la gente è a casa... La televisione crea veramente il villaggio globale. All'improvviso dà a tutti la possibilità di entrare dovunque: nelle case di lusso come alla Scala. E all'improvviso Agnelli e un contadino lucano vedono lo stesso telegiornale. Nella gerarchia del mezzo televisivo basta essere utenti per essere uguali agli altri. Personaggi totalmente sconosciuti, poi, diventano idoli all'improvviso. Con due o tre puntate di «Lascia o raddoppia» Mike Bongiorno diventa una star. E si conquista il saggio semiologico di un autore sofisticato come Umberto Eco. “
Domenico De Masi, Ozio creativo. Conversazione con Maria Serena Palieri, Ediesse (collana Interventi), Roma, 1997¹; pp. 49-50.
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L'altra sera ho saputo che una vecchia amica di mia mamma ha avuto un pesante peggioramento di salute ed è stata ricoverata. E mentre ne parlavamo mia mamma mi ha detto "mi dispiace di dirti queste cose, che sono cose tristi, ti rovino la serata". E santa polenta mamma, chissenefrega della mia serata, la tua amica sta male, si vede che hai pure pianto, ti pare che non me ne devi parlare? Non le ho detto così, ma siccome avevamo appena parlato del fatto che questa donna ha poche amicizie intime e anche col fratello non ha un gran rapporto e vive sola e probabilmente da quando ha saputo di avere un grave problema di salute pochi mesi fa si è ancora di più chiusa in se stessa, ecco, proprio perché avevamo appena detto tutto questo, ho detto qualcosa tipo la vita è fatta per condividere il bello ma anche il brutto, perché le cose brutte se te le tieni dentro diventano sempre più pesanti e sempre più difficili da tirare fuori.
E ora, quatto giorni dopo, abbiamo saputo che questa signora ha chiesto di essere portata a casa ieri sera e questa mattina è morta sul suo divano. E mentre ne parlavamo cercavo di confortare mia mamma dicendo che la sua amica non si era arresa, ma aveva dimostrato anzi una grande forza di volontà, talmente forte da essere riuscita a decidere di morire alle sue condizioni, a casa propria, e di fronte a mesi di probabile sofferenza fisica e soprattutto psicologica, per come si era prospettata la sua situazione di salute, aveva detto "basta, così no". E per chi resta è sicuramente una sofferenza, ma rispettare questo genere di decisione è qualcosa che dobbiamo riuscire a fare, anche per rendere onore a chi la prende in piena coscienza, come è stato in questo caso (mia mamma mi diceva che nelle ultime telefonate la sua amica le dichiarava "se va così, per me c'è solo la Svizzera", intendendo ovviamente l'eutanasia).
E non so quanto ci sia di vero in quello che ho detto, è vero che lo penso, ma non so se la situazione di questa donna potesse prendere una direzione diversa, come speravamo fino a poco tempo fa. Non so se davvero sia stata questione di forza o debolezza o semplicemente di natura, senza alcuna implicazione di intenzionalità. Non so quanto avrebbe potuto aiutarla la terapia che aveva appena cominciato, quanto tempo le avrebbe potuto donare in più. Magari tanto, magari poco, ma forse per lei sarebbe stato troppo, se non avesse potuto passarlo a vivere come ha sempre vissuto, con autonomia e indipendenza.
Non so, scrivo per mettere in fila i pensieri. Non so in effetti quanto sia stata serena, quanto si sia sentita sola, quanto spaventata e quanto determinata. Non lo so io e forse, proprio perché non si apriva più molto nemmeno con le sue amiche o i suoi familiari, non lo sanno nemmeno altri. Forse non lo sa e non l'avrebbe potuto sapere nessuno, considerato che le cure non sono garanzie di successo e le sfighe sono sempre dietro l'angolo. Posso sperarlo per lei e mentire il più possibile per mia mamma. Posso cercare di parlarne e già forse è qualcosa.
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La prima intimità
Eravamo lì, sdraiati nel mio letto. Faceva particolarmente caldo, quindi ho deciso di chiudere finestra e porta e mettere l’aria condizionata. Tutto intorno a noi si stava raffreddando, sentivo l’aria più fresca, eppure noi eravamo così caldi. Avvinghiati l’uno all’altro, lui che mi teneva stretta anche mentre dormiva, era diventato la mia coperta. Sentivo sul mio collo il suo fiato caldo e il suo respiro era diventata una melodia bellissima: soave, leggera e a tratti si faceva più pesante. Sono una ballerina, qualsiasi suono che sento è un ritmo diverso, diciamo una scusa per inventarci sopra una coreografia. Il suo respiro, a ritmo alternato, era diventata la mia musica preferita: sognavo di ballare con un vestito leggiadro, bianco, lungo, che seguisse tutti i miei movimenti. Lo guardavo dormire e ancora non capivo cosa avesse avuto di speciale rispetto agli altri ragazzi incontrati quegli anni, per farmi addirittura cambiare le date degli esami e, credetemi, sono una secchiona: niente e nessuno ci è mai riuscito. Quel ragazzo dagli occhi verdi, stava diventando il mio “ne vale la pena”. In realtà, non è vero che ha gli occhi verdi, a lui piace dire così. Ha degli occhi veramente unici: da una parte quel verde fa ricordare le colline toscane, quelle curate, in cui tutti vorremmo trascorrerci delle ore davanti a un bel vino rosso (decorosamente toscano), regalandoti spensieratezza e tranquillità. Dall’altra parte, quando prende un po’ più di sole, insieme al verde, escono delle sfumature cristalline che ti ricordano il mare. Non un mare qualsiasi, ma quello cristallino, color smeraldo, forse paragonabile a quello sardo. Questo color cristallino ti permette di lasciarti cullare dal suo dinamismo, ti dà sicurezza e al contempo non puoi non lasciarti trasportare dal ritmo delle sue onde. Il mare però è anche turbolento quando agitato, di fronte a una tempesta indomabile, non puoi fare altro che aspettare che il flusso diminuisca. Ancora. Nei suoi occhi puoi scorgere anche un po’ di ambra, colore rarissimo da trovare negli occhi di una persona. Questo colore così giallastro che ti ricorda il sole: una presenza calda, piacevole, di cui tutti abbiamo bisogno. Lui forse è tutto questo per me: è entrato nella mia vita come una tempesta che sconvolge tutto, eppure non mi sono mai sentita cosi tranquilla e protetta come oggi. Forse, è troppo presto per dire di avere bisogno di lui, però sicuramente sento che averlo accanto mi rende più sorridente, più serena.
È incredibile come tutti questi pensieri mi siano venuti mentre lui sta dormendo, decorosamente ad occhi chiusi. Nonostante sia rilassato, lì fermo immobile, senza lasciarmi un attimo, riesco a scorgere le sue rughette. Rughe che sicuramente in parte sono di espressione, ma dall’altra sono un po’ di vecchiaia. Succede a prendersi uno di 10 anni più grande. Ma posso dire che le trovo anche sexy? Quelle rughe sinonimo del suo grande sapere, della sua enorme saggezza che ogni volta mi impressiona. Ha una cultura che, quando lo senti parlare, hai quasi paura a stargli accanto. Questo suo enorme sapere che farebbe sentire stupidi chiunque, anche tra i più secchioncelli. Questo suo enorme sapere che ti rende piccolo piccolo quando sei con lui e ti fa capire quanto una persona così nella tua vita non può fare altro che arricchirti e migliorarti.
Non appena ho sentito il suo sospiro farsi sempre più pesante, volevo provare ad alzarmi: aveva il braccio sotto di me, perchè non voleva lasciarmi. Non voleva che i nostri corpi fossero distanti nemmeno un cm, come se avesse avuto paura che al suo risveglio, io non fossi accanto a lui. Come se fosse, quello che stavamo costruendo insieme, quell’inizio (spero) della “nostra” storia, fosse un bellissimo sogno. Però, non potevo permettere che questa sua paura gli facesse giocare il braccio. Allora, ho provato ad alzarmi, delicatamente, senza far rumore, addirittura avevo smesso anche di respirare per paura che potesse sentire un fiato ancora più caldo sul suo collo. E niente, si è svegliato per prendermi con sé, girarmi con lui dall’altra parte e cambiare posizione. Ormai si era svegliato per colpa mia, non potevo essere responsabile della sua insonnia. Allora, nel posare delicatamente le mie labbra sulla sua pelle calda nonostante il condizionatore segnasse 18 gradi, gli accarezzavo la mano. Ed eccolo lì tempo due minuti ed era già crollato. Di nuovo. Per paura di risvegliarlo, stavo ferma, respiravo a mala pena. Ho smesso anche di fargli i grattini, di accarezzargli la mano per paura di dargli noia. Non so bene cosa stava sognando, però, non ho fatto in tempo a smettere che lui cercava la mia mano. Non so bene spiegarvelo, ma mi ha fatto impressione: io e lui, attaccati come le patelle, smesso di accarezzargli una mano, lui la rimuove come se avesse sentito la mia mancanza. Io riinizio subito, incredula, a sfiorargli delicatamente la mano. “No dai, è uno degli spasmi che si fanno durante il sonno” mi dicevo. Convinta di questa tesi, smetto di fargli i grattini. e invece, la mia tesi era sbagliata: lo spasmo c’è stato di nuovo. e così, altre due o tre volte. Esterrefatta di come un ragazzo così uomo dall’esterno, avesse bisogno di cosi tante coccole anche durante il sonno. Un ragazzo che si definisce come “spirito libero”, che non vuole incatenarsi, che però inconsciamente aveva bisogno di una mano che lo accarezzasse, come se questo gli regalasse tranquillità e sicurezza - due cose che, in realtà, forse non aveva bisogno. Almeno, io ero convinta di quello.
Lui ha qualcosa di speciale, non so bene ancora cosa. Ma lo ha, sento che lo ha, sento che è diverso. E questa sua diversità mi fa paura, perchè credo che stia iniziando a piacermi. e seriamente anche.
Il titolo di questo racconto è la “prima intimità” perchè credo che dormire con una persona a cui tieni in modo particolare, sia un vero senso di intimità. Sei povero, indifeso, debole, esposto a tutti i pericoli. Eppure non te ne frega, perchè ti fidi della persona che è lì con te, ti lasci cullare, ti lasci proteggere. è un’altra forma di intimità rispetto a quelle che verrebbero in mente nel momento in cui si legge questa parola, ma forse anche più importante, più forte, più travolgente.
Ho paura di questa tempesta. Ho paura della tempesta che sta portando dentro di me. Sarò capace di domarla? O meglio, sarò capace essere abbastanza forte da resistere a tutto? Sarò abbastanza per un qualcuno così?
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