#comunità militare
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pier-carlo-universe · 3 days ago
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Virgo Fidelis: I Carabinieri Celebrano la Patrona dell’Arma e Ricordano la Battaglia di Culqualber e la Giornata dell’Orfano. Una giornata di memoria e valori alla Cattedrale di Alessandria
Alessandria, 21 novembre 2024 – Questa mattina, la Cattedrale di Alessandria ha accolto i Carabinieri della provincia per una cerimonia solenne dedicata alla Virgo Fidelis, Patrona dell’Arma, e per commemorare l’83° anniversario della Battaglia di Culqual
Alessandria, 21 novembre 2024 – Questa mattina, la Cattedrale di Alessandria ha accolto i Carabinieri della provincia per una cerimonia solenne dedicata alla Virgo Fidelis, Patrona dell’Arma, e per commemorare l’83° anniversario della Battaglia di Culqualber e la Giornata dell’Orfano. La Cerimonia e i Suoi Protagonisti La celebrazione religiosa è stata officiata dal Vescovo di Alessandria, S.E.…
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kon-igi · 1 year ago
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STORIA LUNGA, MI SPIACE.
Stasera mi è tornata in mente una persona appartenente al mio passato, forse perché ieri ho finito la nuova serie di Zerocalcare o forse per il soggetto del video.
Nella nostra compagnia c'era un tizio un po' particolare, che si aggregava a noi quando facevamo una partita di giochi di ruolo o quando, semplicemente, si usciva a bighellonare senza far nulla di socialmente produttivo.
Si chiamava Paolo ed era un ragazzo solo, con un padre che faceva massacranti turni in fabbrica e una madre sempre in comunità psichiatrica.
Non era affatto una cima ma si presentò quando stavamo cercando comparse per un cortometraggio molto trash con alieni e motociclisti che si menavano... ma quello merita un racconto a parte.
Paolo era molto ingenuo, ai limiti del caso sociale, e mi spiace dire che purtroppo era considerato da molti una specie di mascotte, da perculare quando faceva una delle sue solite uscite o da consolare quando andava in crisi perché non trombava (nessuno trombava ma credo che lui intuisse qualcosa del suo futuro).
Io poi cominciai l'università e quando tornavo vedevo solo una piccola manciata di amici, gli unici che mi sono resistiti accanto fino a oggi, e Paolo diventòquindi una figura di contorno, una di quelle comparse della vita frenetica di un giovane sulla soglia dell'età adulta, meritevoli solo di un cenno con la testa o di un 'oi...' sussurrato mentre ci si incrocia di corsa.
Un giorno successe una cosa che a distanza di 30 anni, dentro di me, non riesco ancora a perdonarmi... o meglio, che avrei voluto (o dovuto) fare e che invece non feci, una leggerezza con cui forse mi colpevolizzo in modo martireo ma che sento magari lo avrebbe reso diverso da quello che poi diventò.
Lo incontrai nel negozio di giochi di ruolo e di videogames che aveva appena aperto un nostro amico e con fare bambinesco mi tirò fuori un'agendina a fisarmonica, una di quelle con le due estremità magnetiche che si chiudevano a guscio di conchiglia
Guarda! - disse - Questa è l'agendina su cui voglio scrivere il numero di telefono di tutti i miei amici! Dai, dammi il tuo numero così lo scrivo!
Io tergiversai perché sapevo che mi avrebbe chiamato in continuazione per chiedermi di uscire, un accollo che ok in compagnia ma che da solo proprio non mi sentivo di prendere.
E feci una cosa orribile: gli diedi un numero sbagliato.
La parte nobile di me pensava che era la cosa giusta da fare, visto che da lì a poco sarei partito per il militare e che non potevo permettere che lui chiamasse i miei genitori agli orari più disparati (i cellulari erano una roba che allora usavano solo gli stronzi incravattati e pasturati a coca)... la realtà era che lo volevo scaricare perché dovevo andare avanti per la mia vita, finire il militare, cominciare a lavorare, magari a Parma, e farmi una famiglia con la mia nuova morosa (che infatti rimase incinta un anno dopo ma io per famiglia intendevo solo noi due... vabbe').
Partii quindi per il servizio di leva, prima a Fano per il corso addestramento reclute e poi a Bologna nel reparto comando supporti tattici nucleo NBCR (quelli con le tute gialle che se li vedi arrivare nei film soncazzi). E di Paolo persi completamente memoria.
Durante una licenza medica a Viareggio (un mese prima mi ero beccato una forma encefalica di morbillo insieme a tipo 200 commilitoni) stavo facendo uno dei primi LAN party a Doom, la principale fonte di guadagno del mio amico che nel suo negozio aveva messo quattro computer in rete e faceva le centinaia di mila lire al giorno.
Mentre stavo cercando di decapitare con la motosega un dodicenne che era solito farsi le seghe sui manga hentai mi sentii battere sulla spalla ma il boato dei fucili a canne mozze nelle cuffie che indossavo probabilmente coprì la voce che mi chiamava.
Un altro battere sulla spalla, più forte, al quale risposi con un pacato 'NON È IL MOMENTO DI ROMPERE I COGLIONI!', forse detto con voce un po' troppo alta ma tra le cuffie e l'adrenalina davvero il bon ton era stato sciacquonato via e correva veloce giù per le fogne verso il mare.
A quel punto, improvvisamente, cominciai a uccidere tutti gli avversari, uno dietro l'altro... bam! BAM! BAM! BAAAAM! MORITE STRONZI!... un attimo - pensai - troppo facile... gli avversari erano tutti immobili in mezzo all'arena del deathmatch, senza sparare un solo colpo.
Distolsi lo sguardo dallo schermo e fissai i tre tizi con cui stavo giocando: erano a bocca aperta con occhi sgranati e stavano fissando terrorizzati qualcosa che, evidentemente, stava succedendo dietro di me.
Feci ruoteare lentamente la sedia girevole da gamer, con la musica di Doom che ancora mi incalzava i timpani e notai tre cose in rapida successione: gli spostamenti d'aria che fino a poco prima mi raffreddavano la schiena sudata non erano prodotti dal ventaglio di una tizia col cosplay di Lamù (come mi sarebbe tanto piaciuto con la fantasia) ma da un paio di anfibi chiodati che come per magia erano sospesi in aria e scalciavano in direzione della mia faccia; la seconda era che dentro gli anfibi c'era un tizio vestito con jeans attillati, maglietta con croce celtica, bomber pieno di spillette rubate in qualche museo della Waffen-SS e capelli rigorosamente rasati... e la terza, per mia fortuna, che il tizio era trattenuto per le braccia dal proprietario del negozio e da qualche adolescente diventato muscoloso a forza di portare in giro mazzi di Magic da 20 chili l'uno.
Io guardavo come ipnotizzato le strisce nere di lucido da scarpe che il tizio lasciava sulla moquette del negozio mentre scalciava e si agitava per raggiungermi con le pedate e l'unica cosa che pensavo era 'Ma chi cazzo si mette così tanto lucido sulle scarpe da lasciare i segni a terra?'
Poi mi ricordai delle cuffie e quando me le tolsi, fu anche peggio.
Una voce che stentavo a riconoscere mi stava urlando 'FROCIO PEZZO DI MERDA COMUNISTA! LO SAI CHI STAI IGNORANDO? EH?! LO SAI?! IO SONO IL PORTABANDIERA DELLA...' e qua disse una parola che nelle sue intenzioni doveva suonare molto arianamente germanica ma che venne fuori come fanno parlare i turisti tirolesi nei film dei Vanzina.
La cosa divertente è che io in quel periodo una rissa non me la sarei mai fatta scappare e chiunque altro lo avrei percosso ripetutamente con una gamba la tavolo che avrei svitato silenziosamente mentre facevo di sì con la testa con sguardo compìto e invece quella volta restai completamente immobile.
Vidi portare Paolo fuori dal negozio a forza, senza nemmeno riuscire a chiudere un po' di più la mascella.
E poi non sentii mai più parlare di lui.
Fino a Marzo di quest'anno, quando - non chiedetemi perché... forse per lo stesso motivo che mi spinge a girovagare con street view nei luoghi che un tempo mi resero quello che sono - cercai Paolo B. su facebook e trovai il suo profilo, aperto al pubblico.
Ho impiegato parecchi giorni a liberarmi del senso di vuoto e di tristezza che mi venne non nel leggere quello che scriveva (poche frasi sgrammaticate e sconclusionate) ma nel vedere le foto che postava.
Paolo aveva migliaia di foto tutte pressoché uguali... un selfie ogni mattina con faccia seria e la testa ancora appoggiata sul cuscino, labbra leggermente dischiuse e un espressione che nel suo povero immaginario doveva essere da duro.
Migliaia di foto a ritroso nel tempo e tutte con un solo like.
Il suo.
Ci credete se vi dico che mi sono messo a piangere?
Per me non era un bel periodo e in una parte molto spinosa e dolorosa del mio cuore mi sono detto che, forse, se gli avessi dato il mio numero di telefono oggi sarebbe stato una persona felice, circondato dall'amore dei suoi amici e magari con una donna accanto.
E invece sentivo di averlo lasciato scivolare via dalla vita di tutti noi che stavamo andando avanti, senza nemmeno fare il gesto di tendere la mano.
Vabbe'... ve lo volevo raccontare perché, razionalmente, ero riuscito a farmene una ragione ma poi Zerocalcare ha rigirato il coltello in quella succitata parte spinosa e dolorosa del mio cuore.
Zerocalcare e forse quel video che ho fatto alla lucciola che stasera è rimasta incastrata dentro la zanzariera della camera, a brillare inutilmente per richiamare altre lucciole che mai avrebbe potuto raggiungere.
Quella lucciola poi l'ho liberata... ma avrei voluto liberare anche Paolo.
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abr · 2 months ago
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Due missili di precisione sparati da un caccia, un F35 ha detto la sicurezza libanese, hanno colpito un edificio residenziale di Beirut: in un ambiente ricavato sottoterra c'erano il capo militare di Hezbollah - e stretto confidente di Hassan Nasrallah - Ibrahim Aqil e i suoi comandanti. Secondo l'esercito israeliano, sono rimasti tutti uccisi, almeno dieci oltre Aqil.
Israele si è tolto i guanti anche con Hezbollah.
Aqil, che secondo l'Idf aveva preso il posto di Shukr eliminato in luglio come capo di stato maggiore, era appena stato dimesso dall'ospedale dopo che il suo cercapersone era esploso ferendolo martedì scorso.
La giornata è stata particolarmente difficile per le comunità del Golan e dei territori del nord di Israele, che fin dalla mattina sono stati bersagliati da almeno 200 razzi lanciati dal Libano. La cittadina di Metulla, al confine, è stata centrata con missili Flak, prodotti in Iran: lo stesso tipo di quello che in luglio ha ucciso 12 tra bambini e adolescenti drusi a Majdal Shams. Nel 350mo giorno di guerra, la metà delle case di Metulla è danneggiata dai razzi. 
via Ansa https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2024/09/20/raid-israeliano-su-beirut-decapitata-lala-militare-di-hezbollah_20f3b9b7-eecb-4f64-bee6-a13b7083f1b8.html
200 razzi al giorno sui civili sarebbe resistenza, l'omicidio mirato di un capo terrorista è escalation intollerabile stiamo calmi serve moderazione?! Cambiate pusher.
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b0ringasfuck · 19 days ago
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Invasioni di campo largo
Quando leggo di Trump che dice "Kamala invaderà il medio oriente" per un secondo mi viene da leggerla un po' come la profezia della vittoria di Harris.
Cioè, è ovvio che i democratici continueranno la solita politica estera di merda. Ma pure Trump lo farebbe.
Un paese che può scegliere solo tra una politica conservatrice e una ultra conservatrice ha un solo sbocco per la crescita: una politica coloniale (militare e finanziaria).
Poi mi ricordo che Trump può dire quel cazzo che vuole e poi fare le stesse cose di cui accusava l'avversario perchè ormai la maggioranza dell'elettorato dei paesi occidentali si divide in gente che pensa che le politiche liberali siano progressiste (la ex "sinistra"), gente nazista e gente che semplicemente s'è rotta i coglioni.
Il declino ancora più rapido dell'Europa... l'adesione alla stessa politica americana senza potersi permettere di avere una politica coloniale della stessa scala degli americani.
Ma continuiamo a farci del male e pensare che il nostro riscatto stia nel essere bianchi, cristiani e con il sangue di Giulio Cesare nelle vene mentre le politiche fiscali sono sempre più inique, le opportunità di riscatto sociale tramite l'educazione si restringono, si taglia il welfare, si restringono le libertà di dissenso, protesta e sciopero, si pagano un cazzo insegnanti, medici, ricercatori che dopo essere stati formati a spese della comunità scappano, creiamo ancora più nero con una forza lavoro sempre più ricattabile...
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lupo64sblog · 3 months ago
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Stralcio del discorso di Robert Kennedy Jr, sulla guerra in Ucraina tenuto 3 giorni fa.
Voglio dire una parola sulla guerra in Ucraina. Il complesso militare-industriale ci ha fornito quella nota giustificazione da fumetto come ha fatto per ogni guerra: che questo è un nobile sforzo per fermare un super criminale, Vladimir Putin, che ha invaso l’Ucraina e per contrastare la sua marcia, simile a quella di Hitler, in tutta Europa.
In effetti, la piccola Ucraina è la delegata di una lotta geopolitica avviata dalle ambizioni dei neoconservatori statunitensi per l’egemonia globale americana. Non sto scusando Putin per aver invaso l’Ucraina. Aveva altre opzioni, ma la guerra era una risposta prevedibile della Russia. Lo spericolato progetto neocon di estendere la NATO per circondare la Russia è un atto ostile. I media creduloni raramente spiegano agli americani che ci siamo allontanati unilateralmente da due trattati intermedi sulle armi nucleari con la Russia e poi abbiamo messo sistemi missilistici nucleari in Romania e Polonia.
Questo è un atto ostile e ostile, e la Casa Bianca di Biden ha ripetutamente respinto l’offerta della Russia di risolvere pacificamente questa guerra. La guerra in Ucraina è iniziata nel 2014, quando le agenzie statunitensi hanno rovesciato il governo democraticamente eletto dell’Ucraina e hanno installato un governo filo-occidentale scelto da loro. Hanno lanciato una guerra civile mortale contro i russi etnici in Ucraina. Nel 2019, l’America si è allontanata da un trattato di pace, l’accordo di Minsk, negoziato tra la Russia e l’Ucraina dalle nazioni europee. E poi, nell’aprile del 2022, volevano la guerra. Nell’aprile 2022, il presidente Biden ha inviato Boris Johnson in Ucraina per costringere il presidente Zelensky a strappare un accordo di pace che lui e i russi avevano già firmato. I russi stavano ritirando le truppe da Kiev, Donbass e Luhansk. E quell’accordo di pace avrebbe portato la pace nella regione e avrebbe permesso a Donbass e Luhansk di rimanere parte dell’Ucraina.
Il presidente Biden ha dichiarato quel mese che il suo obiettivo nella guerra era il cambio di regime in Russia. Il suo segretario alla difesa, Lloyd Austin, spiegò contemporaneamente che lo scopo dell’America nella guerra era quello di esaurire l’esercito russo e di degradare la sua capacità di combattere in qualsiasi altra parte del mondo. Questi obiettivi, naturalmente, non avevano nulla a che fare con ciò che dicevano agli americani sulla protezione della sovranità dell’Ucraina.
L’Ucraina è una vittima in questa guerra, ed è vittima dell’Occidente… sia della Russia che dell’Occidente. Da allora, abbiamo costretto Zelenskyy a strappare l’accordo, abbiamo sperperato il fiore della gioventù ucraina. Sono morti ben 600.000 bambini ucraini e oltre 100.000 bambini russi, per i quali tutti noi dovremmo essere in lutto. E le infrastrutture dell’Ucraina sono distrutte.
La guerra è stata un disastro anche per il nostro paese. Abbiamo già perso quasi 200 miliardi di dollari. E questi sono dollari di cui c’è un disperato bisogno, con le nostre comunità che soffrono in tutto il nostro paese. Il sabotaggio del gasdotto Nord Stream e le sanzioni hanno distrutto la base industriale europea, che costituisce il baluardo della sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Una Germania forte con un’industria forte è un deterrente molto, molto più forte per la Russia di una Germania che è deindustrializzata e trasformata in una semplice estensione di una base militare statunitense.
Abbiamo spinto la Russia in una disastrosa alleanza con Cina e Iran. Siamo più vicini all’orlo della guerra nucleare che in qualsiasi altro momento dal 1962. E i neoconservatori della Casa Bianca non sembrano preoccuparsi affatto. La nostra autorità morale e la nostra economia sono nel tremare, e la guerra ha dato origine all’emergere dei BRICS, che ora minaccia di sostituire il dollaro come valuta di riserva globale.
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passaggioalboscoedizioni · 4 days ago
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⚠️ NOVITÀ IN LIBRERIA ⚠️
In collaborazione con Institut Iliade
Frédéric Éparvier
SPARTA E L’IDEA SPARTANA
Dalle origini al declino
A molti secoli dalla sua fine, il nome di Sparta evoca ancora il ricordo di una gloria militare senza pari e di un esempio insuperato di austera virtù. Il coraggio dei suoi guerrieri, la vita frugale, il senso dello Stato e la disciplina quotidiana dei suoi cittadini erano i tratti distintivi di una Comunità organica che sembrava disprezzare il lusso e la banalità, incarnando una verticalità essenziale che ha lasciato un segno indelebile.
Possiamo ancora trarre degli insegnamenti da questa città guerriera, oppure i suoi precetti sono diventati troppo impegnativi per il mondo moderno? Per rispondere alle tante domande che accompagnano l’analisi di questa Civiltà così discussa, Frédéric Éparvier ripercorre la storia di Sparta dalle origini alla sua caduta, illustrando le ragioni del suo periodo d’oro e le cause del suo declino.
Uno viaggio straordinario e appassionato – frutto di uno studio accurato e versatile – nella perenne grandezza delle radici europee.
INFO & ORDINI:
www.passaggioalbosco.it
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crazy-so-na-sega · 7 months ago
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LACONICO
la-cò-ni-co
SIGNIFICATO Della Laconia, regione di Sparta; dei Laconi, degli Spartani; di persona poco loquace, che si esprime in modo essenziale; conciso, essenziale
ETIMOLOGIA voce dotta, recuperata dal latino Laconicus, dal greco Lakonikós ���proprio dei Laconi’.
«Ho ottenuto solo qualche riscontro laconico.» Il carattere del popolo spartano è estremamente sfaccettato e attraente, e ha un nitore unico: difficilmente una comunità entra nella lingua, col suo nome, avendo un insieme di attributi così chiari, coerenti e incisivi. Ma togliamo un velo: questo è possibile solo in virtù della sfocatura nella percezione di un popolo infinitamente lontano nel tempo, di cui non resta praticamente traccia se non nella materia più resistente lavorata dagli esseri umani: il racconto.
Sappiamo che la gente di Sparta viveva in maniera spartana: che questa frase abbia un senso chiaro, in primo luogo, è bizzarro, in secondo luogo testimonia l’impressione storica che questo popolo ha lasciato. C’è severità, nel modo d’essere spartano, sobrietà austera, rigore, durezza, sia nella dimensione morale e di condotta di vita, sia nella dimensione estetica — premesse di un’efficienza militare che si fa stile di vita.
La considerazione dei caratteri tipici di chi abitava il luogo non è rimasta monolitica attraverso i secoli, e non è chiaro quando e quanto ci sia continuità rispetto a ciò che si pensava di loro in antichità. Ciò che è certo è che l’aggettivo ‘laconico’, che propriamente significa ‘della Laconia’, cioè della regione di Sparta, nel Peloponneso meridionale, a partire dal Cinquecento in italiano ha selezionato i propri significati su un campo estremamente specifico: la concisione nel parlare.
È chiaro: nell’eterna contrapposizione abbiamo da un lato il popolo di Atene, dedito a filosofare e a discutere nelle assemblee — una ciarla continua, pietra miliare dell’Occidente ma per un certo metro sempre ciarla. Dall’altro quello di Sparta, fattivo, concreto, che non si perde in chiacchiere, non si dilunga: s’è mai vista una genìa di militari fanatici che si diffonda in discorsi prolissi, in sbrodolature e svolazzi? C’è però un però.
L’aggettivo ‘laconico’ è piuttosto laconico: ci racconta solo una tendenza all’essenzialità nel parlare, una scarsa loquacità. È un significato vasto, che resta non tagliato: in particolare non ci dice niente sulle sue ragioni di questa manifestazione di parole in scarso numero — ragioni che possono essere le più varie e opposte.
Posso dare risposte laconiche quando temo di tradirmi e non voglio rovinare una sorpresa; ci dà risposte laconiche la figlia quando le chiediamo com’è andata a scuola, com’è andata la serata; è laconico l’idraulico a cui ci rivolgiamo da trent’anni; laconica la critica secca; l’amministrazione dirama una circolare laconica che fa intendere ciò che deve a chi deve intenderla; ed è laconico il commento della persona sotto indagine intervistata dai giornali.
Non resta fissata necessariamente un’essenzialità spartana, nel laconico. Ci può essere delicata riservatezza, inclinazione caratteriale, calcolo, freddezza, imbarazzo — non proprio il modo laconico di essere di un Rambo greco del V secolo a.C. che ci immaginiamo.
Testo originale pubblicato su: https://unaparolaalgiorno.it/significato/laconico
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questione di stirpe.
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schizografia · 1 year ago
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Un altro silenzio
Mentre i media dedicano tutto il loro spazio alla guerra in Ucraina e a Gaza e contano, come sembra amino fare, i morti palestinesi e israeliani, ucraini e russi, un altro popolo è stato ancora una volta ignorato: gli armeni, costretti per non essere sterminati a lasciare il paese dove vivevano. Dopo l’offensiva militare del settembre 1923 da parte degli Azeri, il Nagorno-Karabakh o Repubblica dell’Artsakh, come lo chiamavano i suoi abitanti armeni, non esiste più. Come è già avvenuto molte volte in questa regione, i confini verranno nuovamente disegnati e intere popolazioni decimate e spostate in nome della pulizia etnica. Quando alla fine della Prima guerra mondiale la Federazione transcaucasica, che era stato creata nel 1917 da armeni, azeri e georgiani, venne dissolta e il territorio conquistato dai russi, il Nagorno-Karabakh, benché fosse popolato per il 98% da armeni, fu assegnato da Stalin non alla repubblica socialista sovietica armena, ma a quella azera. Di qui, dopo lo scioglimento dell’Unione Sovietica, i conflitti che hanno avuto il loro triste esito in questi giorni. Occorre riflettere sul destino di questo popolo che ha subito come gli ebrei un genocidio e di cui non si parla, benché sia forse la più antica comunità cristiana e occupi per questo uno dei quattro quartieri in cui si divide la città vecchia di Gerusalemme. Esso ci è vicino, forse più vicino degli altri di cui invece si parla. Ciò che sta avvenendo nel Nagorno-Karabakh ci riguarda e ci mette in questione e per questo preferiamo ignorarlo.
14 novembre 2023
Giorgio Agamben
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gregor-samsung · 1 year ago
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“ C’era un brutto clima. Da mesi i complottisti e gli ambientalisti, che spesso sono la stessa cosa, insistevano a dire che la causa di tutti quei tumori erano le armi che si sparavano al Poligono ed eravamo nervosi, militari e cittadinanza. Qualcuno in paese aveva dato retta alle voci sull’utilizzo dell’uranio impoverito e un magistrato aveva aperto un’inchiesta, facendo tirar su dalla terra salme vecchie addirittura di dieci anni. Colpa delle denunce dei veterinari della ASL, che erano venuti per fare le analisi agli animali e invece che sulla salute delle pecore avevano raccolto informazioni su quella dei pastori. Sono venuti anche a casa nostra a parlare con mio marito devastato dalla chemio, chiedendogli di tutto senza rispetto, dove pascolava, e quanto vicino era al Poligono, e dove macellava e un sacco di altre domande che con le pecore non c’entravano niente. Quando lo dissi al Colonnello lui stette al telefono per più di un’ora con qualcuno a Roma e quello è stato l’unico caso in cui gli ho sentito alzare la voce. Quando ha chiuso la telefonata mi ha detto: «Vede signora cosa succede quando uno vuole fare il dottore e non passa l’esame di ammissione a medicina? Finisce a fare il veterinario, visitando le persone come se fossero animali e gli animali come se fossero persone. Ciascuno dovrebbe fare solo il servizio di cui è incaricato». Lo capivo benissimo. In un posto dove si lavora già con fatica, dove i militari dicono che non c’è niente, il ministro della Difesa dice che è tutto regolare e la gente che ci vive non ha nulla di cui lamentarsi, perché la parola di un veterinario deve valere di più? Parlavano di uranio impoverito, ma eravamo noi a essere stati impoveriti per anni, prima che aprissero la base militare e dessero lavoro a mezza comunità. Lo capisce anche un bambino che se ti metti ad aprire le tombe dicendo che si muore per colpa del Poligono metti a rischio l’economia di una provincia. “
Michela Murgia, Tre ciotole. Rituali per un anno di crisi, Mondadori, maggio 2023¹; pp. 76-77.
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mezzopieno-news · 7 months ago
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6 STATI AFRICANI TRA I PRIMI 10 AL MONDO PER CRESCITA
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Secondo le ultime prospettive semestrali del Fondo Monetario Internazionale, l’economia globale dovrebbe crescere del 3,2% nel 2024. Diversi Paesi in via di sviluppo hanno prospettive di crescita notevolmente migliori della media mondiale, guidando un riscatto per numerose aree del mondo finora più in difficoltà.
Sebbene il dato della crescita del Prodotto Interno Lordo sia un’indicazione parziale della condizione di una nazione, i Paesi con forti prospettive di crescita tendono anche ad avere un progressivo miglioramento delle condizioni di vita dei propri abitanti e incremento delle condizioni sociali. Il paese con la previsione più elevata di crescita del PIL nel 2024 è la Guyana. Il FMI prevede che l’economia del Paese sudamericano si espanderà del 33,9% quest’anno. Questo boom economico è dovuto principalmente alla scoperta di un enorme giacimento di petrolio nel 2015. Nel continente africano il Niger registra il tasso di crescita più alto, pari al 10,4%. La crescita è guidata delle esportazioni di petrolio attraverso un nuovo oleodotto dopo il graduale ritorno alla normalità e la revoca delle sanzioni imposte al Niger dopo un colpo di stato militare nel luglio 2023 da parte della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale. Il FMI indica inoltre un forte potenziale di crescita quest’anno per diverse nazioni africane tra cui Senegal (8,3%), Libia (7,8%) e Ruanda (6,9%). Altri paesi asiatici con forti prospettive di crescita nel 2024 includono la Mongolia (6,5%), il Tagikistan (6,5%) e le Filippine (6,2%).
___________________
Fonte: Ufficio studi Mezzopieno – Guarda altri grafici
Fondo Monetario Internazionale
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soldan56 · 1 year ago
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Mercoledì scorso e oggi pomeriggio, si sono svolte due partecipate iniziative per per la Palestina!
Sono ormai due settimane che la città palestinese di Gaza è assediata dall’esercito israeliano.
Mentre si attende l’avvio di un’offensiva di terra, giorno e notte continuano i bombardamenti.
Sono stati colpiti ospedali, università, luoghi di culto ed edifici residenziali.
Si tratta di un lembo di terra dove vivono più di due milioni di persone, la metà delle quali al momento ha dovuto spostarsi più a sud per cercare riparo.
Non c’è possibilità di un’operazione militare senza colpire indiscriminatamente i civili.
Al momento si contano più di 5.000 morti e il triplo di feriti, un bilancio purtroppo destinato a crescere nei prossimi giorni.
Nel frattempo, sono state bloccate le forniture di elettricità, carburante e cibo perché, è bene ricordarlo, a Gaza tutto quello che entra ed esce – comprese le persone – viene deciso da Israele.
Le conseguenze di questo assedio sono catastrofiche, un’emergenza umanitaria riconosciuta anche dall’ONU.
Questo Israele lo sa, come lo sanno anche i governi occidentali che stanno avallando quella che è a tutti gli effetti una rappresaglia contro il popolo palestinese.
In molti, già rifugiati espulsi dalle loro terre, temono di perdere anche questa casa e non vogliono essere dislocati in Egitto.
Crediamo sia importante prendere parola per fermare questo massacro di civili.
Diciamo no all’attacco israeliano nella Striscia di Gaza perché crediamo che solo una soluzione politica possa essere utile a gettare le basi per una pacifica convivenza fra palestinesi e israeliani.
Troppo a lungo la voce dei primi è stata ignorata, troppo a lungo abbiamo taciuto davanti al colonialismo dei secondi.
Per questo, come cittadin* come umani che si sono mobilitati in queste ultime settimane anche nella città di Rimini, lanciamo una manifestazione pubblica per Sabato 28 ottobre 2023 con ritrovo alle ore 15 alla Stazione FS per chiedere la fine immediata dei bombardamenti su Gaza e l’apertura incondizionata dei valichi di accesso alla Striscia per il transito di tutti i beni necessari alla popolazione.
Ci vediamo Sabato!
“Guardando alla genesi dello Stato di Israele, le 𝙖𝙣𝙖𝙡𝙞𝙨𝙞 𝙞𝙣𝙩𝙚𝙧𝙨𝙚𝙯𝙞𝙤𝙣𝙖𝙡𝙞 da tempo ci permettono di comprendere come chi subisce un’oppressione non sia per questo estraneo all’agire a sua volta oppressione verso altri.
Facciamo tesoro del bagaglio di concetti critici che il 𝙛𝙚𝙢𝙢𝙞𝙣𝙞𝙨𝙢𝙤 𝙙𝙚𝙘𝙤𝙡𝙤𝙣𝙞𝙖𝙡𝙚, 𝙘𝙤𝙢𝙪𝙣𝙞𝙩𝙖𝙧𝙞𝙤 e 𝙖𝙣𝙩𝙞𝙧𝙖𝙯𝙯𝙞𝙨𝙩𝙖 ci mette a disposizione per prendere posizione contro il genocidio in atto in queste ore, e ci uniamo alla forza del movimento femminista internazionale per schierarci al fianco della comunità e della diaspora palestinese sotto attacco.
Siamo corpi-territori: un’altra «arte» di abitare la terra è possibile e non c’è comunità umana e non umana per cui questo non debba essere un diritto.”
Da @capovolteedizioni
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pier-carlo-universe · 1 month ago
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Il Sabato Nero di Roma: La Tragedia del 16 Ottobre 1943 nel Ghetto EbraicoUn giorno di terrore e deportazione che ha segnato per sempre la storia della comunità ebraica romana
Roma: Il 16 ottobre 1943 è una data che rimane impressa nella memoria collettiva come il "sabato nero" di Roma. In piena Seconda Guerra Mondiale, con l'occupazione nazista della città, le truppe tedesche eseguirono una delle più terribili operazioni contr
Roma: Il 16 ottobre 1943 è una data che rimane impressa nella memoria collettiva come il “sabato nero” di Roma. In piena Seconda Guerra Mondiale, con l’occupazione nazista della città, le truppe tedesche eseguirono una delle più terribili operazioni contro la comunità ebraica italiana. Quel sabato, all’alba, i soldati delle SS rastrellarono il ghetto ebraico di Roma e altri quartieri della città,…
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archivio-disattivato · 1 year ago
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L’attacco da Gaza ci ha terrorizzato, ma dobbiamo interrogarci sul suo contesto
Fonte: +972Magazine, 7 ottobre 2023.
Il 7 ottobre 2023 resterà, con ogni probabilità, nella storia: Hamas ha dato il via, dalla Striscia di Gaza, a un attacco a sorpresa senza precedenti sul territorio di Israele, con il lancio di migliaia di razzi e vari blitz di terra su insediamenti civili e strutture militari israeliane in prossimità della Striscia. Nel corso di queste azioni sono stati uccisi almeno 1200 israeliani e 130 sono stati presi in ostaggio, mentre sarebbero circa 1.500 i miliziani di Hamas uccisi. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha annunciato una durissima rappresaglia, presentandola alla cittadinanza come “guerra” e mobilitando migliaia di riservisti, mentre il Ministro della Difesa, Yoav Gallant, ha annunciato un “assedio totale” su Gaza, definendo i militanti palestinesi come “animali umani” con cui è impossibile trattare. Attualmente la Striscia di Gaza, in cui vivono più di due milioni di persone, è senza forniture di elettricità, acqua e medicinali, ed è sotto il fuoco israeliano: finora sono almeno 950 i palestinesi uccisi e 5000 i feriti. Tra i numerosi articoli letti in questi giorni, abbiamo scelto di ripubblicare e tradurre quello che segue: è stato scritto da Haggai Matar, israeliano, obiettore di coscienza, giornalista pluripremiato e direttore esecutivo di 972 – Advancement of Citizen Journalism, un’associazione senza scopo di lucro impegnata per i diritti umani, la democrazia, la giustizia sociale e la fine dell’occupazione israeliana. Contrariamente all’opinione di molti connazionali, ma anche di molti media e politici occidentali, l’autore ricorda che l’attacco guidato da Hamas è radicato in una lunga storia di oppressione subita dai palestinesi sotto il regime israeliano di occupazione militare. Se, da una parte, partecipa al dolore e all’angoscia della sua comunità sotto attacco, dall’altra parte, Matar invita a riflettere sul contesto e sul fatto che gli israeliani stiano vivendo in questi giorni quello che i palestinesi vivono da decenni, privati non solo della prospettiva di libertà e indipendenza politica, ma anche della mera possibilità di vivere in modo degno. In controtendenza rispetto alle voci di odio e vendetta, che invocano la distruzione totale di Gaza e chiudono a qualsiasi negoziato con Hamas e col fronte palestinese, l’autore invoca la necessità di perseguire una pace giusta e duratura. Non esiste una soluzione militare al conflitto israelo-palestinese e l’uso della violenza contro i civili è, in ogni circostanza, una violazione del diritto internazionale umanitario. L’unica soluzione, afferma l’autore in conclusione, è quella di “porre fine all’apartheid, all’occupazione e all’assedio e lavorare per un futuro basato sulla giustizia e sull’uguaglianza per tutte e tutti noi”.
di Haggai Matar
Il 7 ottobre è stata una giornata terribile. Dopo esserci svegliati con le sirene aeree, sotto una raffica di centinaia di razzi lanciati sulle città israeliane, abbiamo saputo dell’attacco senza precedenti dei militanti palestinesi provenienti da Gaza alle città israeliane confinanti con la Striscia.
Le prime notizie – in continuo aggiornamento – parlano di almeno 700 israeliani uccisi e di centinaia di feriti, oltre ai molti rapiti portati a Gaza. Nel frattempo, l’esercito israeliano ha già avviato la propria offensiva sulla Striscia sotto assedio, con la mobilitazione delle truppe lungo la recinzione e attacchi aerei che, finora, hanno ucciso e ferito centinaia di palestinesi. Il terrore delle persone che vedono militanti armati nelle loro strade e nelle loro case, o la vista di aerei da combattimento e carri armati in avvicinamento, è inimmaginabile. Gli attacchi contro i civili sono crimini di guerra e il mio cuore va alle vittime e alle loro famiglie.
Però, contrariamente a quanto dicono molti israeliani, e nonostante l’esercito israeliano sia stato chiaramente colto del tutto alla sprovvista da questa invasione, non si tratta di un attacco “unilaterale” o “non provocato”. La paura che gli israeliani provano in questo momento, me compreso, è solo una parte di ciò che i palestinesi provano quotidianamente sotto il regime militare decennale in Cisgiordania e sotto l’assedio e i ripetuti attacchi a Gaza da parte di Israele. Le reazioni che sentiamo oggi da molti israeliani – che chiedono di “radere al suolo Gaza”, perché “questi sono selvaggi, non persone con cui si può negoziare”, “stanno assassinando intere famiglie”, “non ci sono margini di discussione con queste persone” – sono esattamente quelle che ho ascoltato innumerevoli volte dai palestinesi sotto occupazione riguardo agli israeliani.
L’attentato di questa mattina ha anche contesti più recenti. Uno di questi è l’orizzonte incombente di un accordo di normalizzazione dei rapporti tra Arabia Saudita e Israele. Per anni, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha sostenuto che la pace può essere raggiunta senza parlare con i palestinesi e senza fare loro alcuna concessione. Gli Accordi di Abramo hanno privato i palestinesi di una delle loro ultime carte di scambio e basi di sostegno: la solidarietà dei governi arabi, nonostante tale solidarietà sia stata a lungo discutibile. L’elevata probabilità di perdere forse il più importante degli stati arabi potrebbe aver contribuito a spingere Hamas al limite.
Nel frattempo, i commentatori avvertono da settimane che le recenti escalation nella Cisgiordania occupata stanno conducendo a sviluppi pericolosi. Nell’ultimo anno sono stati uccisi più palestinesi e israeliani che in qualsiasi altro anno dalla Seconda Intifada dei primi anni 2000. L’esercito israeliano effettua regolarmente raid nelle città palestinesi e nei campi profughi. Il governo di estrema destra sta dando mano libera ai coloni per creare nuovi insediamenti illegali e lanciare operazioni di vera e propria pulizia etnica in città e villaggi palestinesi, con i soldati che scortano i coloni mentre uccidono o mutilano i palestinesi che cercano di difendere le loro case. Nel mezzo delle festività, gli ebrei estremisti stanno sfidando l’accordo in vigore sull’accesso al Monte del Tempio/Moschea di Al-Aqsa a Gerusalemme, sostenuti da politici che condividono la loro ideologia.
A Gaza, nel frattempo, l’assedio in corso continua a distruggere la vita di oltre due milioni di palestinesi, molti dei quali vivono in condizioni di estrema povertà e deprivazione, con scarso accesso all’acqua pulita e circa quattro ore di elettricità al giorno. Questo assedio non ha una fine programmata; anche un rapporto del Controllore di Stato israeliano ha rilevato che il governo non ha mai discusso di soluzioni a lungo termine per porre fine al blocco della Striscia, né ha preso seriamente in considerazione alcuna alternativa ai ricorrenti cicli di guerra e morte. L’assedio è, letteralmente, l’unica opzione che questo governo ha sul tavolo, in continuità con i suoi predecessori.
Le uniche risposte che i successivi governi israeliani hanno offerto al problema degli attacchi palestinesi da Gaza sono stati dei palliativi: se verranno via terra, costruiremo un muro; se passano attraverso i tunnel, costruiremo una barriera sotterranea; se lanciano razzi, installeremo un sistema anti-missile; se stanno uccidendo o hanno ucciso alcuni dei nostri, ne uccideremo molti di più. E così avanti, all’infinito.
Niente di tutto questo può essere invocato per giustificare l’uccisione di civili, una pratica intrinsecamente sbagliata. Ma serve a ricordarci che c’è una ragione per tutto ciò che sta accadendo oggi e che – come in tutti i casi precedenti – non esiste una soluzione militare al problema di Israele con Gaza, né alla resistenza che emerge naturalmente come risposta alla violenza dell’apartheid.
Negli ultimi mesi, centinaia di migliaia di israeliani hanno marciato per “la democrazia e l’uguaglianza” in tutto il paese, e molti hanno addirittura affermato che avrebbero rifiutato il servizio militare a causa delle tendenze autoritarie di questo governo. Ciò che questi manifestanti e soldati di riserva devono capire – soprattutto oggi, mentre molti di loro hanno già annunciato che interromperanno le loro proteste e si uniranno alla guerra contro Gaza – è che i palestinesi lottano per quelle stesse richieste e lo fanno da decenni, affrontando un Israele che nei loro confronti è già, ed è sempre stato, del tutto autoritario.
Mentre scrivo queste parole, sono seduto a casa mia a Tel Aviv, cercando di capire come proteggere la mia famiglia in una casa senza riparo e senza nessuna “stanza sicura”, seguendo con crescente panico le notizie e le voci di eventi orribili che hanno avuto luogo nel territorio israeliano. Le città vicino a Gaza che sono sotto attacco. Vedo persone, alcune delle quali miei amici, che chiedono sui social media di attaccare Gaza più ferocemente che mai. Alcuni israeliani dicono che ora è il momento di spianare completamente Gaza, invocando nei fatti un vero e proprio genocidio. Nonostante tutte le esplosioni, il terrore e lo spargimento di sangue, parlare di soluzioni pacifiche sembra loro una follia.
Eppure ricordo che tutto ciò che sento adesso, che ogni israeliano deve condividere, è stata l’esperienza di vita di milioni di palestinesi per troppo tempo. L’unica soluzione è quella di sempre: porre fine all’apartheid, all’occupazione e all’assedio e lavorare per un futuro basato sulla giustizia e sull’uguaglianza per tutte e tutti noi. Non è nonostante l’orrore che dobbiamo cambiare rotta: è proprio per questo.
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lamilanomagazine · 1 year ago
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Nassiriya, 20 anni fa la strage: i messaggi di Mattarella e Meloni
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Nassiriya, 20 anni fa la strage: i messaggi di Mattarella e Meloni. È il 12 novembre 2003 quando, a Nassiriya, in Iraq, un camion carico di 400 chili di tritolo e liquido infiammabile viene lanciato contro l’ingresso della base “Maestrale”, dove i Carabinieri e l’Esercito italiano hanno stabilito il proprio quartier generale. Il carabiniere Andrea Filippa, di guardia all'entrata, abbatte uno dei due terroristi, ma il mezzo prosegue la sua folle corsa. Poi l'esplosione che, con un effetto domino, fa saltare in aria il deposito munizioni. I sassi di ghiaia con cui erano stati riempiti i bastioni partono come proiettili in tutte le direzioni. Scene apocalittiche, inclusa la rottura dei vetri delle finestre delle case nel raggio di quasi un chilometro. Perdono la vita 28 persone, tra cui 19 italiani. "La Giornata del ricordo dedicata ai Caduti, militari e civili, nelle missioni internazionali per la pace, ricorre nel ventesimo anniversario della strage di Nassiriya, ove, a causa di un vile attentato, morirono 19 italiani tra soldati, carabinieri e civili. Il sentimento del lutto ci accompagna in questo giorno in cui la Repubblica rivolge il suo pensiero ai tanti feriti e caduti nelle missioni che l’Italia ha sviluppato in questi anni a servizio della comunità internazionale e dei diritti dei popoli, insieme all’espressione della solidarietà e vicinanza alle famiglie colpite". A dichiararlo è il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel messaggio inviato al Ministro della Difesa, Guido Crosetto. "La partecipazione a queste importanti operazioni in tante travagliate regioni del mondo, è il segno - sottolinea il Capo dello Stato - dell’impegno e del contributo del nostro Paese allo sforzo concreto della comunità internazionale per combattere gli orrori e le atrocità delle guerre e del terrorismo”. "Venti anni ci separano dalla terribile strage di Nassiriya. Venti anni da quel vile e brutale attentato in cui morirono 19 italiani. In questa Giornata, dedicata al ricordo dei Caduti militari e civili nelle missioni internazionali per la pace, l'Italia onora e ricorda tutti coloro che hanno sacrificato la vita per la pace e la sicurezza della nostra Nazione e del mondo. A loro, e a quanti ogni giorno sono impegnati nelle aree più travagliate, va la nostra profonda riconoscenza". A scriverlo sui social è la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. “Il popolo italiano - sottolinea Meloni - non dimenticherà mai ciò che vent'anni fa è successo a Nassiriya, il più grave attentato terroristico subito dall'Italia nelle missioni internazionali di pace nelle aree di crisi. Sono ancora vivide nelle nostre menti le immagini di quella drammatica giornata e la profonda commozione che l'attentato suscitò in tutta la Nazione, che non mancò di tributare agli eroi di Nassiriya un fortissimo sentimento di affetto e riconoscenza”. A 20 anni dalla strage, i familiari delle vittime chiedono ancora la concessione delle medaglie d'oro al valor militare, per onorare la memoria e il sacrificio dei loro cari. Dei 19 italiani morti nell'attentato di Nassiriya, 5 erano militari dell'esercito e 12 carabinieri. Ecco i loro nomi, con relativi ruoli e gradi.   I carabinieri morti a Nassiriya Massimiliano Bruno - maresciallo aiutante, Medaglia d'Oro di Benemerito della cultura e dell'arte Giovanni Cavallaro - sottotenente Giuseppe Coletta - brigadiere Andrea Filippa - appuntato Enzo Fregosi - maresciallo luogotenente Daniele Ghione maresciallo capo Horacio Majorana - appuntato Ivan Ghitti - brigadiere Domenico Intravaia - vice brigadiere Filippo Merlino - sottotenente Alfio Ragazzi - maresciallo aiutante, Medaglia d'Oro di Benemerito della cultura e dell'arte Alfonso Trincone - maresciallo   I militari morti a Nassiriya Massimo Ficuciello - capitano Silvio Olla - maresciallo capo Alessandro Carrisi - primo caporal maggiore Emanuele Ferraro - caporal maggiore capo scelto Pietro Petrucci - caporal maggiore   Nell'attentato morirono anche due civili: Marco Beci, cooperatore internazionale, e il regista Stefano Rolla, impegnato con la sua troupe nelle riprese di uno sceneggiato.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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toscanoirriverente · 10 months ago
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(...) io accuso i terroristi di Hamas di atti genocidari contro la popolazione palestinese a Gaza e precisamente di uccisioni e torture sugli omosessuali e sugli oppositori politici; di gravi attentati all’integrità fisica e mentale dei Gazawi, quando utilizzano la popolazione, donne e bambini, come scudi umani, così come le scuole, le università, gli ospedali e le ambulanze a fini terroristici; di sottomissione intenzionale dei Gazawi a condizioni di esistenza che comportano la loro parziale distruzione, stornando gli aiuti internazionali a favore di sviluppo di armamenti e di finanziamento del terrorismo, confiscando gli aiuti umanitari ai civili e tenendo in ostaggio la popolazione nonostante i preavvisi israeliani di bombardamento; di misure che pregiudicano le nascite, privando le donne palestinesi di Gaza di cure di qualità, negli ospedali largamente usati come depositi di armi.
Io accuso Hamas di attacchi incessanti, tesi a minacciare la sicurezza territoriale israeliana, e di crimini di guerra e presa di ostaggi che hanno condotto lo Stato di Israele ad avviare una risposta militare di legittima difesa.
Io accuso Hamas di essere il solo responsabile della drammatica situazione dei Palestinesi a Gaza, fin dalla sua presa di potere nella Striscia, e della guerra che vi è condotta da Israele.
Io accuso Hamas, Hezbollah, gli Houti e l’Iran di intenzioni genocide contro la comunità ebraica, Israele, gli Stati Uniti e le nazioni occidentali
Io accuso il Sudafrica e i suoi sostenitori di farsi portavoce di Hamas e della sua propaganda di fronte alle più alte istanze mondiali. Io li accuso di colpevole silenzio quando era necessario condannare la Siria, l’Afghanistan, lo Yemen, il Sudan, l’Iraq e l’Iran per genocidio contro le loro popolazioni e per crimini di guerra.
Io accuso il Sudafrica e i suoi sostenitori di rifiutarsi di prevenire e punire i propositi genocidari rivendicati direttamente e pubblicamente contro Israele.
Io accuso il Sudafrica e i suoi sostenitori di tacere sui massacri del 7 ottobre, che essi non considerano nel quadro della risposta israeliana
Io accuso il Sudafrica e i suoi sostenitori, per le ragioni sopra esposte, di portare di fronte alla Corte internazionale di Giustizia una causa infondata, politicamente motivata dal rifiuto del diritto dello Stato di Israele di esistere e di godere di una salda sicurezza territoriale.
Io accuso Jean-Luc Mélenchon e Jeremy Corbyn di essere gli intermediari politici dell’antisionismo propugnato da Hamas, rifiutando di riconoscere l’organizzazione come terrorista e attribuendogli attività di resistenza.
Io accuso l’Onu di mancanza di imparzialità nei confronti di Israele, fatta oggetto di diciassette risoluzioni di condanna nel 2020 contro sette per il resto del mondo (delle quali una contro l’Iran e una contro la Siria).
Io accuso l’Onu di un’incomprensibile cecità, fino all’8 gennaio 2024, di fronte agli stupri e alle mutilazioni sessuali inflitti il 7 ottobre 2023 in Israele.
Io accuso l’Onu di mancanza di obiettività di fronte alle informazioni diffuse da Hamas, concernenti le morti e gli attacchi attribuiti agli Israeliani. La penosa eco data dall’Onu alle false informazioni di Hamas sull’Ospedale Al-Shifa avrebbe dovuto metterci sull’avviso.
Io accuso l’UNRWA di complicità con i terroristi di Hamas a danno della popolazione civile. Condanno con la più grande fermezza il dirottamento da parte di Hamas dei fondi europei e internazionali verso il finanziamento di libri scolastici antisemiti, di armi e di infrastrutture belliche e il controllo del gruppo terrorista sul razionamento alimentare.
A più di cento giorni dal più grande pogrom subito da Israele e dal tentativo genocidario che si è trovato a combattere, io condanno l’indegna chiamata di Israele a rispondere all’accusa di atti genocidari, e porto il mio sostegno alla democrazia israeliana in questa insopportabile guerra politica di cui essa è bersaglio. Mi unisco agli israeliani che piangono i loro morti e condivido il loro terrore nel sapere che nel momento in cui Israele è giudicato per genocidio, 120 Israeliani sono ancora ostaggi dei gruppi terroristi nella Striscia di Gaza, vittime delle sevizie di cui quei gruppi sappiamo essere capaci.
Mi aspetto da parte della Francia lo stesso impegno della Germania a fianco degli Israeliani, un impegno chiaro e totale, e una condanna inequivocabile dell’iniziativa del Sudafrica.
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carmenvicinanza · 11 months ago
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Cecilia Vicuña
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La donna di oggi è Cecilia Vicuña, artista visiva, poeta e attivista cilena, nota per le sue performance poetiche che rivendicano la sua identità femminile provando a riscrivere la storia della cultura indigena.
È creatrice di una poetica speciale che interseca arte e coscienza ecologica.
Il suo lavoro porta avanti conoscenze millenarie attualizzate con performance, film, installazioni, sculture, libri e gesti della vita quotidiana.
Ha scritto 25 libri di arte e di poesia, tradotti in sette lingue e anticipato i più recenti dibattiti su ecologia e femminismo decoloniale, immaginando nuove mitologie personali e collettive. Molte delle sue installazioni sono realizzate con materiali trovati e detriti abbandonati che intesse in delicate composizioni, nelle quali il microscopico e il monumentale trovano un fragile equilibrio, la sua arte è precaria, intima e, insieme, potente.
I suoi dipinti si ribellano alla forma, mettendo al centro l’immaginazione di una donna indigena.
Oggi le sue opere fanno parte delle collezioni di importanti musei tra cui il Guggheneim, il MoMa, la Tate, il Museo d’Arte Latinoamericana di Buenos Aires e il Museo Nazionale delle Belle Arti di Santiago del Cile.
È nata a Santiago del Cile il 27 luglio 1948 in una famiglia di artisti e intellettuali. Dal 1966, dopo aver iniziato con tele astratte, ha iniziato a lavorare a un  progetto che ancora oggi porta avanti, le precarios, sculture assemblate con materiali da recupero, esposte agli agenti atmosferici e alle maree.
Nel 1967 ha fondato il suo primo gruppo, Tribu No, che realizzava azioni artistiche collettive nella città di Santiago.
Nel 1968 ha pubblicato il suo primo poema sul periodico messicano El Corno Emplumado.
Dagli anni ’70, il suo lavoro si è confrontato visivamente e poeticamente con i rituali dell’America latina, delle popolazioni aborigene australiane, del Sudafrica e dell’Europa paleolitica. Le sue esibizioni, installazioni site-specific, quipu, sculture, dipinti, disegni e testi legano il filo rosso al sangue mestruale e alla continuità della vita.
Dopo aver esposto per la prima volta al Museo Nazionale delle Belle Arti di Santiago ed essersi laureata in Belle Arti, nel 1972 è partita per Londra per specializzarsi alla Slade School of Fine Art.
Si trovava in Gran Bretagna quando, l’11 settembre 1973, c’è stato il violento colpo di stato militare contro Salvador Allende guidato da Pinochet e ha chiesto asilo politico.
L’anno seguente ha fondato il gruppo Artists for Democracy per raccogliere fondi per la Resistenza cilena e organizzato il Festival of Arts for Democracy in Chile che ha visto partecipare 320 artisti e artiste internazionali tra cui Julio Cortázar, Christo e Sol LeWitt. Durante il Festival erano stati denunciati i soprusi commessi dalla dittatura militare di Pinochet e dalle altre dittature dell’America Latina e la violazione dei diritti umani.
Nel 1975 si è trasferita a insegnare storia dell’arte e poesia latinoamericana all’università di Bogotà, ha lavorato in ambito teatrale e condotto laboratori artistici con la comunità guambiana della Valle del Cauca, esperienza che l’ha portata ad approfondire il suo legame con la cultura indigena.
Quando al Concorso nazionale di poesia Eduardo Coté Lamus le è stato negato il premio a causa del tono erotico e irriverente della sua opera, è partita una serie di azioni artistiche di protesta che le hanno dato grande fama. 
A questo periodo risalgono le Palabrarmas, neologismo che unisce le parole (palabra) con le armi (armas), concretizzate attraverso varie tecniche artistiche che spaziano dal disegno alla performance, dalla scrittura ai film, come risposta poetica alla distorsione del linguaggio e alla violenza delle menzogne. 
Nel 1980 ha realizzato il suo primo documentario, ¿Qué es para usted la poesía? (Cos’è per voi la poesia?), oggi nella collezione del MoMA.
A New York ha collaborato con il periodico Heresies: A Feminist Publication on Art and Politics, leggendario gruppo di artiste e intellettuali femministe.
Nel 1981 ha esposto per la prima volta al MoMA, nella collettiva Latin American Video. 
Tra i viaggi in giro per l’America Latina e gli Stati Uniti, producendo reading, performance poetiche e esposizioni, non ha mai smesso di scrivere libri.
Nel 1995 ha tenuto il primo seminario con la comunità rurale di Caleu, in Cile, per promuovere la riscoperta delle conoscenze ancestrali dando origine a un metodo di educazione decolonizzatrice che ha chiamato Oysi, titolo che ha dato alla sua organizzazione senza scopo di lucro.
Nel 1997 è stata pubblicata la biografia The Precarious. The Art and Poetry of Cecilia Vicuña. L’anno successivo ha realizzato la prima mostra multimediale Cloud-net, dedicata al riscaldamento globale e all’estinzione delle specie e delle civiltà, temi che denuncia e porta avanti, instancabile, in ogni suo lavoro.
Numerose sono state le esposizioni e retrospettive tenute in giro per il mondo e le conseguenti acquisizioni da parte dei più importanti enti museali internazionali.
Nel 2015 è stata nominata Messenger Lecturer per il Dipartimento di Antropologia della Cornell University per contribuire all’«evoluzione della civiltà con lo scopo specifico di elevare lo standard morale della nostra vita politica, commerciale e sociale».
Nel 2017 ha partecipato a documenta 14, una delle più importanti esposizioni d’arte contemporanea nel mondo.
Nel 2018 ha ricevuto il premio Achievement Award assegnato da Cisneros Fontanals Art Foundation ed è stata nominata Sherry Memorial Poet in Residence 2018 per il Programma di poesia e poetica dell’Università di Chicago.
Nel 2019 ha ricevuto il Premio Velázquez di arti plastiche assegnato dal Ministero della cultura e dello sport della Spagna.
Al Centro Cultural España di Santiago del Cile, ha presentato Minga del Cielo Oscuro, convocando personalità del mondo dell’arte, astronomia, archeologia, musica ed etnomusicologia per riflettere sull’oscurità del cielo notturno e sulle molteplici conseguenze ecologiche, neurologiche e sociali della sua scomparsa.
Il 23 aprile 2022 è stata la prima artista cilena a ricevere il Leone d’oro alla carriera alla Biennale di Venezia. Per l’occasione ha realizzato l’installazione site specific NAUfraga, dedicata alla fragilità (fraga) della laguna.
Il 3 maggio 2023 ha ricevuto la Laurea honoris causa dall’Università del Cile.
Per i suoi meriti, la poetica, l’instancabile ricerca e il fervente attivismo, si può considerare tra le più interessanti protagoniste dell’arte contemporanea.
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