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Il Sabato Nero di Roma: La Tragedia del 16 Ottobre 1943 nel Ghetto EbraicoUn giorno di terrore e deportazione che ha segnato per sempre la storia della comunità ebraica romana
Roma: Il 16 ottobre 1943 è una data che rimane impressa nella memoria collettiva come il "sabato nero" di Roma. In piena Seconda Guerra Mondiale, con l'occupazione nazista della città, le truppe tedesche eseguirono una delle più terribili operazioni contr
Roma: Il 16 ottobre 1943 è una data che rimane impressa nella memoria collettiva come il “sabato nero” di Roma. In piena Seconda Guerra Mondiale, con l’occupazione nazista della città, le truppe tedesche eseguirono una delle più terribili operazioni contro la comunità ebraica italiana. Quel sabato, all’alba, i soldati delle SS rastrellarono il ghetto ebraico di Roma e altri quartieri della città,…
#16 ottobre 1943#Antisemitismo#Auschwitz#brutalità nazista#cerimonie commemorative#Collegio Militare Roma#comunità ebraica romana#crimini di guerra#deportazione ebraica#deportazione nei campi di concentramento#Ebrei a Roma#genocidio#ghetto di roma#Italia durante la guerra#Memoria della Shoah#Memoria storica#monumento Portico d&039;Ottavia#Museo della Shoah#occupazione nazista#operazione militare nazista#persecuzione razziale#persecuzioni antiebraiche#Portico d&039;Ottavia#rastrellamento nel ghetto#rastrellamento Roma#ricordo della Shoah#Sabato nero di Roma#Seconda guerra mondiale#shoah#SS naziste
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Adriano Sofri
Ester Mieli, Giorgio Zanchini
Ester Mieli è una senatrice, nata nel 1976, laureata in sociologia, ed è stata una giornalista. Suo nonno, Alberto Mieli, è stato deportato ad Auschwitz e a Mauthausen e ne è scampato in extremis, ha testimoniato instancabilmente della Shoah, e ha scritto con Ester un libro intitolato: "Eravamo ebrei: questa era la nostra unica colpa". Alberto Mieli è morto nel 2018, a 92 anni. Ester è stata anche portavoce della Comunità ebraica romana.
A lei, ricca di questa ammirevole biografia, Giorgio Zanchini, nel corso della sua trasmissione radiofonica, ha chiesto: "Lei è ebrea?" Domanda del tutto retorica, evidentemente. L'ebraismo della senatrice Ester Mieli è la sua condizione più notoria e rivendicata. Quando, più tardi, lei ha ritenuto che la domanda fosse indebita, e una quantità di voci sdegnate della sua parte politica (non importa quale), e non solo, si sono levate per gridare allo scandalo, Zanchini ha creduto giusto scusarsi e ha sconsolatamente spiegato che il suo proposito era di solidarizzare con la senatrice, e che niente sarebbe stato più inappropriato e mortificante per lui che il sospetto di una inclinazione antisemita. "Sono sempre stato un moderato. Mi hanno già mollato tutti, Non mi impiccate".
Questo è successo oggi.
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Esattamente come per l’Ucraina, il rublofilo Conte fa il pacifista ipocrita e il sepolcro imbiancato, evitando di distinguere aggrediti ed aggressori, vittime e colpevoli, difesa e attacco🤡
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Liliana Segre: «Ricevo minacce pazzesche, gli odiatori vanno curati»
Liliana Segre: «Ricevo minacce pazzesche, gli odiatori vanno curati». «Ricevo minacce pazzesche, che ho ignorato per anni, perché il silenzio mi sembrava la cosa migliore. Mi dicono di stare attenta, di stare a casa, di non andare, ma io sono attiva, a me piace vivere, stare con le mie amiche e i miei amici. Ho tante passioni, dovrei stare a casa ad aspettare che qualcuno venisse ad ammazzarmi? No». Così la senatrice Liliana Segre nel suo intervento al Memoriale della Shoah a Milano durante un evento organizzato dall’Oscad. «Mi preoccupo di questi odiatori, che hanno problemi gravissimi e che dunque dovrebbero essere curati. Forse - dice Segre - ho vissuto invano, dato che per trent'anni sono andata nelle scuole a raccontare cosa mi era successo e cosa era successo e mi ritrovo a 93 anni e mezzo, quasi 94, a sentirmi dire stai attenta, perché fai la tua vita normale?». Oggi, per il terzo anno, Milano ha ospitato il convegno su “Le vittime dell’odio” presso l’auditorium Nissim della Fondazione Memoriale della Shoah organizzato in collaborazione con la Questura di Milano. Ancora una volta, un incontro per testimoniare l’impegno quotidiano delle istituzioni, ed in particolare delle forze di polizia, nell'assicurare a ogni cittadino il rispetto e la protezione dei diritti umani delle persone più vulnerabili, diritti che vengono spesso violati dalla discriminazione e dall'odio. L’evento, che ha visto la partecipazione del Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e del Capo della Polizia – Direttore generale della pubblica sicurezza Vittorio Pisani, è stato moderato dal direttore del Tg LA7 Enrico Mentana e dalla dottoressa Francesca Romana Capaldo, Primo Dirigente della Polizia di Stato e direttore della Segreteria dell’OSCAD. Dopo i saluti di benvenuto del Presidente del Memoriale della Shoah Roberto Jarach, del Coordinatore Nazionale per la lotta all’antisemitismo Pasquale Angelosanto e del Prefetto di Milano Claudio Sgaraglia, è intervenuto il Prefetto Vittorio Rizzi, Vice Direttore Generale della Pubblica Sicurezza con funzioni vicarie, nonché Presidente dell’OSCAD il quale ha definito l’antisemitismo come «un odio non solo religioso, ma anche etnico, razziale e nazionale, che ha percorso la storia dell’umanità, un odio che muta e si trasforma nel corso dei secoli». Numerosi sono stati gli ospiti saliti sul palco per dare la loro testimonianza: la campionessa italiana ed europea di danza paralimpica Giada Canino, la campionessa di nuoto artistico della nazionale italiana del gruppo sportivo della Marina Militare Linda Cerruti, entrambe vittime di odio on line, e il nuotatore paralimpico del gruppo sportivo delle Fiamme Oro della Polizia di Stato Antonio Fantin, che si sono succeduti sul palco per raccontare le loro esperienze di discriminazione ma anche di rivincita e di affermazione attraverso la decisione di denunciare e quindi di fare «la scelta giusta». La mattinata è continuata con le riflessioni proposte dalla professoressa Milena Santerini, Vice Presidente della Fondazione Memoriale della Shoah, che si è soffermata sul cosiddetto “antisemitismo di ritorno” ovvero le nuove forme di odio nei confronti della Comunità Ebraica, mentre il professore associato di Storia Contemporanea presso l’Università degli Studi di Milano Marco Cuzzi ha tratteggiato le figure di uomini in divisa, eroi silenziosi, che, durante i tragici giorni della seconda guerra mondiale, seppero fare la scelta giusta anche a rischio della propria vita. A conclusione della prima parte dell’evento, la violinista Alessandra Sonia Romano, custode del “violino della Shoah”, ha dato voce ai ricordi attraverso le note del brano KADDÍSH di Maurice Ravèl. Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, nel corso del suo intervento, ha sottolineato come «la cura principale contro l’odio e l’antisemitismo si ottiene attraverso l’applicazione della legge e la diffusione della cultura e del rifiuto dell’indifferenza. Questo richiede il contributo di tutti». Infine gli ospiti hanno assistito all’esibizione della Banda Musicale della Polizia di Stato, diretta dal Maestro Maurizio Billi, che ha accompagnato il violino della Shoah nell’interpretazione dei brani Meditation di Jules Massenet e Schindler’s List di John Williams.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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La comunità ebraica romana: "Le autorità italiane fanno il massimo per tutelarci"
AGI – “È un momento molto difficile per noi, ma abbiamo grande fiducia nelle istituzioni italiane. Non ho la percezione che le persone abbiano paura ma certo, c’è più attenzione. Da Hamas arriva odio religioso, la politica non c’entra. L’Occidente deve essere compatto e isolare i terroristi”: lo afferma Victor Fadlun, presidente della Comunità Ebraica di Roma, in un’intervista all’AGI commentando…
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Giorgia Meloni visita la Sinagoga di Roma per portare solidarietà alla comunità ebraica
La premier Giorgia Meloni si è recata alla Sinagoga di Roma.”Il senso di questa visita – ha detto uscendo – è chiaramente portare la solidarietà alla comunità ebraica romana e italiana perché nelle scene terribili che arrivano da Israele c’è qualcosa di più di quello che si vede in un normale ma già tragico scenario di guerra. Nella caccia casa per casa ai civili, nel rastrellamento di bambini,…
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Francesca Benevento, candidata di Michetti no vax e antisemita: “Speranza ebreo. Nel vaccino microchip” La lista degli impresentabili nel centrodestra si arricchisce quasi quotidianamente di nuovi personaggi eppure la cosa non sembra turbare l’elettorato che nei sondaggi continua a premiare le liste dell’area. L’ultimo caso però tocca vette difficilmente raggiungibili (ma quest’affermazione è messa alla prova continuamente…). Francesca Benevento, ex consigliera M5s in Municipio XII, nel Gruppo Misto da tempo, candidata al Comune con la lista civica di Enrico Michetti, è nota per le sue posizioni complottiste surreali e le sue esternazioni antisemite. Negli ultimi mesi la sua pagina Facebook, seguita da oltre 5mila persone, è un delirio di teorie assurde, insulti, propaganda NoVax. Per la consigliera municipale: “Il Covid è stato creato per arrivare a comandare l’uomo dall’interno”, per formare “una nuova specie di umani: impuri e schiavi“. Secondo la Benevento, “con un cerottino che inietterà ‘quantum dots’ sarete interconnessi con la rete e tramite l’ #entaglement sarete telecomandati da un altro luogo“. La strategia dietro la pandemia di Covid-19 è quella di sterminare la popolazione: “Siamo troppi sul pianeta”. Quindi: “Decimare la popolazione per sottometterci meglio con vaccino dotato di microchip per identità digitale e controllarci telematicamente con il 5G”. Come se non bastasse si arriva al ‘ritratto’ antisemita del ministro della Salute: Speranza sarebbe un “ebreo askenazita formato dalla McKinsey, che riceve ordini dall’élite finanziaria ebraica”. Quindi l’invito ai suoi sostenitori: “Non cadete in trappola, ribellatevi! Non cedete al ricatto o perderete per sempre la libertà, che già gli accondiscendenti stanno facendo perdere a tutti, per poi perdere la vita stessa”. Una persona normale, leggendo tutto questo, si farebbe qualche domanda, chiederebbe alla signora se ha bisogno di aiuto, di parlare con qualcuno. Non diciamo un medico ma almeno un amico. Invece no, si è pensato bene di candidarla. Ma forse anche per i più scafati maître à penser della destra, con il pelo sullo stomaco, questo è troppo. Michetti pare la voglia scaricare. Le proteste dell’Anpi e della comunità ebraica romana si sono alzate forti. Il comitato provinciale dell’Anpi di Roma ha chiesto di intervenire: “Apprese le assurde posizioni antisemite e razziste (oltreché ascientifiche) espresse a più riprese da Francesca Benevento, candidata nella lista civica dell’aspirante sindaco di Roma Capitale Enrico Michett, Anpi invita tutti i candidati che non lo avessero doverosamente già fatto, a vagliare attentamente le candidature nelle liste di loro pertinenza e di espellere dalle stesse chi professa idee fasciste, razziste, sessiste, omofobe, in contrasto con la Costituzione e le Leggi della Repubblica”. Kulturjam
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è difficile da accettare ma bisogna imparare a fare pace con la propria impotenza, soprattutto davanti a certe situazioni internazionali. i presidi di solidarietà non so a cosa servano, a parte ad avere l’illusione di aver fatto qualcosa. in questo momento i palestinesi sono impegnati a fare altro (sopravvivere) e non hanno il tempo di ringraziarvi per aver sventolato le loro bandiere (peraltro non sono pochi gli episodi di appropriazione culturale) in una qualsiasi piazza di una città occidentale, che però rimane costantemente alleata dal 14 maggio 1948 con israele. capisco l’importanza dei processi nelle democrazie, e tutta la solfa della convivialità e di come si sta bene insieme dentro una manifestazione, ma a partire da quando cominceremo ad interessarci davvero a cambiare le cose e creare un impatto? sarebbe stato molto più utile andare a discutere direttamente con quei quattro cretini del pd che ieri se ne stavano al ghetto insieme alla comunità ebraica romana. mi pare utile ricordare che purtroppo la maggior parte dei cambiamenti politici (non sociali) avviene in parlamento e all’interno del consiglio dei ministri. a loro modo, i terroristi negli anni di piombo questa cosa l’avevano capita e in effetti le hanno cambiate eccome le sorti di questo paese, nel bene e nel male.
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Nel link, qui sopra, un documentario storico (lunghetto ma da vedere) su sant’Ambrogio ovvero uno dei protagonisti dell’innesto della romanità in Cristo che ha reso possibile il ritorno dell’elemento di verità originaria conservata nella antica saggezza “pagana” alla sua Radice Prima ossia alla Sapienza Primordiale del Verbo Divino. Un innesto questo di Roma in Cristo – la dantesca “Roma onde Cristo è romano” – nel quale si è manifestato, sul piano storico, il Sacerdozio Eterno e Regale, al modo di Melchisedek, del Cristo, di Colui che, per l’appunto, è l’unico Rex et Sacerdos. Su questo Sacerdozio regale ed eterno, per tutti i secoli cristiani, si è fondato il delicato e difficile equilibrio tra Autorità Spirituale e Potere Politico. Un equilibrio che Ambrogio contribuì a definire nel suo non facile rapporto con l’imperatore Teodosio. A chi oggi potrebbe scandalizzarsi della durezza che Ambrogio usò verso gli ariani, gli ebrei ed i residuali “pagani” del suo tempo, è bene ricordare che la tolleranza è concetto ambivalente. Essa se malintesa, come nel mondo moderno, porta inevitabilmente al relativismo e peggio al nichilismo.
D’altro canto la complessità della storia è una sfida continua per tutti. Nel documentario, suggerito, laddove si parla della difesa ad oltranza, e certo sbilanciata, che Ambrogio fece dei cristiani responsabili dell’incendio di una sinagoga non viene detto che quel colpevole episodio fu la ingiusta reazione all’uccisione di un cristiano per mano di alcuni zeloti ebrei o, secondo altre fonti, la reazione all’aggressione, sostenuta dagli ebrei locali, di alcuni gnostici valentiniani ad una processione di monaci in onore dei “santi maccabei”. L’episodio, che certamente non fu unico, va quindi ascritto al contesto delle tensioni tra due comunità religiose che nascondevano anche conflitti politici.
Il tema che qui vogliamo affrontare, sotto il profilo storico, è quello della cosiddetta “svolta costantiniana” del IV secolo, quando i cristiani divennero maggioranza relativa e iniziarono a ribaltare la situazione a loro favore. Fino ad allora i perseguitati erano stati essi, i cristiani, ma non per mano romana come generalmente si pensa. Anzi, già subito dopo i fatti di Gerusalemme, l’autorità romana mostrò un atteggiamento di difesa verso i cristiani perseguitati dal Sinedrio e lo stesso Tiberio, come spiega Marta Sordi, emanò un rescritto che considerava la “licita” nuova “religio”. Un rescritto tuttavia poi bloccato dal Senato. Roma vedeva in quel nuovo gruppo di origine ebraica una comunità obbediente all’impero anziché in costante ribellione come quella ebraica e pertanto lo tutelava nella speranza che ad esso finissero per aderire tutti gli ebrei ottenendo così la pacificazione della turbolenta Palestina. Nelle successive persecuzioni imperiali, a parte la questione del bruciare l’incenso alla “divinità” dell’imperatore (che era un rito di origine orientale ed estraneo alla tradizione romana, la quale non aveva mai contemplato la divinizzazione del re), si percepisce, all’indagine storica, una chiara pressione sull’autorità romana per mano ebraica, volendo il Sinedrio e la diaspora regolare una volta per sempre i conti con gli “eretici galilei”. Fu dunque, in particolare, la diaspora ebraica a sobillare i pagani e l’autorità imperiale contro i cristiani. Pare, ad esempio, che sia stata Poppea, moglie di Nerone, il vanesio imperatore allievo ribelle di Seneca, che era diventata adepta “gentile” di alcuni maestri ebrei romani, a spingere il marito ad imputare ai cristiani l’incendio dell’Urbe.
In quella che solitamente è chiamata “svolta costantiniana” in realtà l’imperatore Costantino non ha giocato quasi alcun ruolo dato che, con il suo editto, egli si limitò a riconoscere ai cristiani libertà di culto alla pari di altri gruppi religiosi. La vera e propria svolta iniziò successivamente, proprio all’epoca di Ambrogio e Teodosio. La controversia intorno all’incendio della sinagoga di Callinico nascondeva ben altro che non la pressione di Ambrogio sull’imperatore affinché perdonasse i cristiani responsabili del misfatto. Il punto era un altro. Teodosio, ottemperando al suo dovere imperiale, voleva punire i responsabili addossando alla comunità cristiana le spese di ricostruzione della sinagoga, ma Ambrogio intervenne argomentando che egli, Teodosio, era un imperatore cristiano – in nome del “nome cristiano” più tardi Ambrogio lo avrebbe umiliato, imponendogli una pubblica penitenza, quando il sovrano si rese responsabile del massacro di Tessalonica – e che quindi non poteva mettere sullo stesso piano il vero culto, quello cristiano, ed uno falso, quello ebraico. La soluzione adottata da Teodosio, ossia ricostruire la sinagoga a spese dell’erario e moderare la pena comminata ai colpevoli, segnò la nascita del concetto di tolleranza premoderno come conosciuta fino alla Rivoluzione Francese ed il vero inizio della svolta “costantiniana”. Da quel momento l’impero diventava cristiano, confessionale, ed in tale contesto agli altri culti, benché ancora leciti ed ammessi, furono imposte restrizioni da “cordone sanitario”. Le comunità religiose allogene potevano sì celebrare il proprio culto ma non fare proselitismo, potevano sì conservare i loro templi ma non costruirne di nuovi, i loro membri potevano sì esercitare professioni private ma non essere ammessi a cariche pubbliche.
La tolleranza, in tal senso, era intesa come circoscrizione del “male” e non più come eguaglianza tra i culti. Un tipo di tolleranza non egalitaria che non fu propria del solo mondo cristiano giacché è stata quella ordinaria anche in terra islamica, nei confronti delle “genti del Libro” ovvero ebrei e cristiani, ed anche presso gli ebrei quando, nei pochi e rari casi nei quali godettero di egemonia, usarono discriminare gli altri culti. Come ad esempio nel regno caucasico dei khazari, VI secolo, quando i rabbini insediatisi a corte ottennero la cacciata e la ghettizzazione dei cristiani (il ramo aschenazita dell’ebraismo postbiblico deriva anche da qui).
Per la nostra mentalità relativista tutto questo è scandaloso ma in realtà corrisponde perfettamente alla logica della Verità che non può essere parificata alla non verità. Chi crede che la Verità esiste inevitabilmente non può, ed è cosa giusta in base a tale logica, accettare la sua relativizzazione. Se per noi “liberali” è assurdo che lo Stato operi una scelta tra le diverse visioni religiose e filosofiche, altrimenti sarebbe Stato confessionale o se laico etico, non era così nella logica veritativa di Ambrogio e Teodosio. E – si badi – in linea di principio non è così, cristianamente parlando, neanche oggi quando lo Stato liberale è cosa accettata da tutti compresi i cristiani. Infatti, in linea di principio, in un’ottica cristiana l’Autorità politica, soprattutto se “consacrata”, non può lasciare che i falsi culti si diffondano in particolare a danno di coloro che, spiritualmente ed intellettualmente più deboli, si mostrano incapaci di discernere il vero dal falso. Affermare questo, naturalmente, significa esporsi all’accusa di intolleranza, l’accusa tipica rivolta alla Chiesa da parte liberale, nonostante il controverso e difficile cammino che ha portato, dopo la Rivoluzione Francese, i cattolici ad accettare, se non in linea di principio quantomeno in via di fatto e di accomodamento, il criterio liberale della libertà religiosa, ovvero a tollerare i fondamenti relativistici, di matrice massonica, della democrazia liberale.
Dunque la democrazia di tipo liberale è il migliore dei sistemi ed alla fine anche i cristiani hanno dovuto convincersene, sebbene alcuni di essi soltanto per tolleranza di fatto? Bisogna, per rispondere, valutare il rovescio della medaglia. E’, ad esempio, in nome delle libertà individualistica che oggi possiamo assistere non solo alla parificazione giuridica tra matrimonio eterosessuale ed unioni omosessuali ma anche al riconoscimento, coerente con le premesse liberali, del diritto alla pedofilia, che ormai si profila all’orizzonte delle legislazioni pomposamente definite “più avanzate”. Sulla base dei postulati del liberalismo l’Autorità non può opporsi al proselitismo – e qui riemergono le “ragioni” di Ambrogio e della antica Cristianità – dei culti più spiritualmente e socialmente pericolosi, dal New Age a Scientology, dal Geovismo al Teosofismo, che fanno strame soprattutto, come temevano gli antichi inquisitori, tra coloro che per difetto di evangelizzazione (e questa è una grave responsabilità dei cristiani) o per poca istruzione o per debolezze caratteriali e psicologiche abboccano alla setta di turno sovente rimettendoci famiglia, salute e patrimonio. In nome della libertà religiosa si è fatta avanti persino la richiesta di riconoscimento, quale culto legittimo, del satanismo. Nella logica relativista nulla si può opporre a tale richiesta dato che, in quella logica, la “chiesa di Satana” ha lo stesso diritto e valore giuridico della Chiesa cattolica.
La democrazia liberale nasce storicamente dal “settarismo” protestante, inaugurato dall’individualistico “libero esame” di Lutero. Il suo cammino trionfale inizia poi nel XVIII secolo con la nascita degli Stati Uniti d’America, all’ombra del relativismo massonico di Washington e degli altri padri fondatori. La concezione massonica per la quale la Verità non esiste (essendo una auto-costruzione “iniziatica” dell’uomo) o, meglio, per la quale essa, inattingibile storicamente, sarebbe diluita un po’ in tutte le fedi sicché nessuna di esse può pretendere un primato sulle altre, è il fondamento irrinunciabile della democrazia liberale. Che lo si voglia o meno, è così. Gli Stati Uniti, infatti, sono il paradiso del settarismo e da lì, da oltreoceano, le più svariate sette sono ritornate in Europa, senza che nessuno possa opporsi al loro, spesso aggressivo, proselitismo anche quando tutto finisce in coartazioni o, a volte, stragi. Come nel caso del suicidio di massa perpetrato dai membri della setta del “Tempio del Popolo”, fondata dal pastore Jim Jones, a Jonestown in Guyana nel 1978. Un episodio, quest’ultimo, forse estremo ma significativo anche perché ricorda, da vicino, la pratica del suicidio rituale, l’“endura” (la morte per fame), del catarismo medioevale, il quale considerando la materia e la carne il male dal quale liberarsi imponeva, a certi livelli iniziatici, ai suoi adepti di ricorrere al suicidio. Il catarismo fu una delle ricorrenti forme di gnosi spuria come lo sono le diverse sette neospiritualiste oggi pullulanti. Venne duramente represso, con la cosiddetta “crociata contro gli albigesi”, ma uno storico imparziale, e nient’affatto simpatizzante con la Chiesa, come Henry Charles Lea, ha ammesso che “una vittoria dei catari avrebbe riportato l’Europa ai tempi selvaggi e primitivi”.
Arriviamo così ad un punto cruciale. L’amico e storico Franco Cardini, cattolico romano per fede, è l’autore di un interessante saggio “Contro Ambrogio” (egli ha promesso di scrivere in futuro anche un altro saggio da titolare “Pro Ambrogio” ma finora non ha mantenuto la promessa). Nella chiusa di tale libro Cardini si chiede se non ci fosse stata la svolta costantiniana, e quindi senza Ambrogio, la Chiesa avrebbe evitato di percorrere la via che poi ha condotto a “crociate” ed “inquisizione”.
Sembrerebbe, quella di Cardini, la solita “pippa” anticristiana e la solita richiesta di infiniti “meaculpa”. Ma non è così, giacché Cardini, storico di primordine, sa molto bene quanto la vulgata su crociate ed inquisizione sia in gran parte falsa e falsificata dalle antiche polemiche anticlericali sette-ottocentesche. Da lui, anche se non solo da lui, lo scrivente ha imparato che la “crociata” non era tale ma soltanto l’innesto del concetto giuridico romano di “ius bellum”, guerra giusta, sull’esperienza spirituale del pellegrinaggio in Terra Santa e che quindi essa fu un “pellegrinaggio armato” ma non una “guerra santa”, dato che in ambito cristiano nessuna guerra, neanche quella “giusta”, tollerata come male a volte necessario per evitare un male maggiore, può essere “santa”. Sempre da lui lo scrivente ha appreso che l’inquisizione ecclesiale è stata in genere relativamente molto più prudente e molto meno dura e facile al ricorso effettivo alla tortura di quella laica che, invece, ha continuato ad usare i suoi strumenti di costrizione fisica anche in tempi di secolarizzazione del potere politico. Lo scrivente ha poi appreso che la vera e propria mattanza di streghe si registra in terra protestante dato che, “Malleus maleficarum” di Kramer e Sprenger, nel XV secolo, a parte, gli inquisitori cattolici iniziarono ben presto a capire la natura folklorica di certe pratiche popolari “stregoniche” e quindi a derubricarle a superstizione che in quanto tale era competenza degli evangelizzatori ma non dei tribunali inquisitoriali. Esemplare il caso di Gostanza la presunta strega di san Miniato, sulla quale Cardini ha curato un libro, salvata, dal linciaggio popolare, dal suo stesso inquisitore. Anche il caso di Galileo Galilei non si è svolto come lo raccontano, in quanto lo scienziato pisano ebbe un trattamento certo non in linea con il truculento immaginario di torture cui sarebbe sato sottoposto per ottenere l’abiura. In realtà, per quanto stiamo sempre parlando di una pressione psicologica processualmente ottenuta, Galilei aspettò il processo ospite riverito nella villa di un cardinale e quale pena canonica gli fu imposta la recita dei salmi penitenziali. Morì, infine, confortato dai sacramenti, lui che mai ripudiò la sua fede cattolica, e dalle cure di una sua figlia suora.
Orbene, per tornare al suo libro di sant’Ambrogio, Cardini ponendosi e ponendoci la domanda, sopra ricordata, ossia se la Chiesa senza svolta costantiniana avrebbe evitato certe pagina dolorose della sua storia, sembra non tener adeguatamente conto della logica stessa dell’Incarnazione per la quale Dio ha accettato di entrare nella storia umana post-adamica, quindi in una storia contrassegnata dal peccato e dalla fallacia umana, assumendosene il rischio, ossia caricandosi il fardello non solo del peccato anche della fallacia e della debolezza degli stessi cristiani, quindi delle loro sempre possibili mancanze di carità. Nella logica dell’Incarnazione, la Chiesa è Corpo Mistico di Cristo e, come tale, non può essere considerata alla stregua di una qualsiasi associazione a scopo religioso, motivo per il quale Essa non poteva non confrontarsi a vario titolo e con varie modalità, storicamente dinamiche, con le culture con le quali sarebbe venuta a contatto ed anche con l’Autorità politica. In altri termini, era inevitabile, per la logica stessa dell’Incarnazione, che, ottenuta da Costantino la libertà religiosa, la Chiesa ottenesse da Teodosio anche la sanzione politica del riconoscimento della primazia spirituale sugli altri culti. Il problema, tutto medioevale, dell’eccesso in senso teocratico di certuni Papi, che illegittimamente oltrepassarono il limite di autonomia del Potere regale, è un altro discorso che esula dall’oggetto proprio di queste riflessioni. Per questa medesima logica “ambrosiana”, secoli dopo, Pio IX, spodestato del potere temporale, giustamente non accettò la tutela offertagli dai Savoia usurpatori mediante la “legge delle guarentigie”, perché si trattava di una legge unilaterale dello Stato italiano, quindi modificabile ad libitum da qualsiasi governo, che riduceva la Chiesa alla stregua di una mera associazione di privati cittadini. Non dunque di un trattato internazionale e bilaterale tra soggetti che si riconoscono reciprocamente ed alla pari sotto il profilo giuridico.
D’altro canto non si può neanche dimenticare che nella logica dell’Incarnazione rientra anche tutto il complesso di opere di assistenza e carità come anche l’intero patrimonio artistico che la Cristianità ha generato e ci ha lasciato in eredità. Senza la svolta costantiniana forse non ci sarebbe stata l’inquisizione ma neanche la cattedrale di Notre Dame a Parigi, non ci sarebbero forse state le crociate ma neanche il Duomo di Firenze, non ci sarebbe stata la stretta unione tra l’altare ed il trono ma neanche la Commedia di Dante e probabilmente non sarebbe sopravvissuta neanche la Chiesa se fosse rimasta una semplice congrega privata di fedeli di un esotico culto di origine palestinese. Quindi senza il “duro” Ambrogio neanche il “serafico” Francesco. Insomma se il Verbo si è fatto carne non sarebbe poi stato possibile che la Chiesa non assurgesse ad una concreta visibilità e corporeità che comporta anche una dimensione giuridica e quindi una continua interrelazione con il Politico. Con tutti i rischi storici del caso. Piaccia o meno.
Ciascun cattolico, come lo scrivente, deve debitamente ed onestamente farsi carico del “peso storico” del passato comprese le sue zone d’ombra ma senza complessi di colpa ed anzi rivendicando le ragioni, misconosciute dai detrattori, di Ambrogio e degli inquisitori, benché – sia chiaro! – senza nostalgie o sogni di restaurazione, impossibile a realizzarsi in termini umani ovvero con mezzi politici ossia in mancanza innanzitutto di una trasformazione interiore che solo orazione e vita sacramentale possono ottenerci da Dio. Dalla fattuale accettazione del mondo nel quale egli vive, tuttavia, il cattolico non deve giungere, come fanno i suoi correligionari “progressisti”, anche ad incensarlo o a fare proprie le ragioni, gli esiti ai quali esse possono portare abbiamo sopra evidenziato, dei “nemici” di ieri (e, senza farci soverchie illusioni, anche di oggi). Ai detrattori del nome cristiano si deve ricordare, piuttosto, che, le vicende storiche della modernità, sono lì a dimostrare quanto loro non si sono dimostrati migliori dei cristiani e che nessuno, né loro né noi cristiani, può scagliare la prima pietra. Un approccio “neopagano” oggi molto di moda – fatto proprio anche da taluni cari amici dello scrivente – dimentica con troppa facilità che, a ben guardare, anche il mondo antico, nonostante il pullulare di culti nella Roma tardoimperiale, non praticava affatto la tolleranza relativista, come quella moderna di tipo massonico, dato che, al contrario, ciascun culto per essere ammesso doveva avere il placet imperiale o senatoriale. Il moltiplicarsi dei culti nella tardo-romanità va piuttosto letto alla luce del fatto che essi, sotto diverse forme, nascondevano più o meno una identica narrazione mitica, mentre la nuova fede cristiana, benché lealissima verso l’Impero, non era riducibile ad un mero mito.
Ora, però, proprio perché la dichiarazione di rivendicazione senza infingimenti del “peso storico” della tramontata Cristianità non vuol essere, come detto, anche prassi intesa alla restaurazione – che è bene ribadirlo non è cosa operabile con mezzi umani – non è possibile chiudere queste riflessioni senza una ultima considerazione. Il dramma dei secoli cristiani non è stato, come ritengono i cattolici modernisti, quello della svolta costantiniana, ossia del passaggio della Chiesa nel IV secolo, ottenuta la libertà religiosa, alla “prevaricazione”, quanto piuttosto quello del fatto che per tutti quei secoli i cristiani, certo per molteplici fattori spirituali, sociali, politici, economici, sia come singoli sia come comunità, grandissime eccezioni di santità a parte (che non furono poi così poche, comprese quelle della gente comune e conosciute solo a Dio perché non ufficialmente canonizzate), non hanno dimostrato di essere coerenti con la Carità che è parte di e deriva dalla Verità ossia dalla Persona Divino-Umana di Cristo. E’ il problema della “metanoia”, della trasformazione interiore, della “conversione del cuore” al Cuore di Dio. Se i cristiani e la Cristianità hanno mancato in qualcosa è in questo, non nel pretendere il riconoscimento della primazia della Verità. Perché tutti i Papi, fino a Giovanni Paolo II ed a Benedetto XVI, non hanno mai negato che la Verità viene prima della libertà e che senza la Verità non c’è neanche la libertà o che, senza la prima, la seconda finisce per rovesciarsi, come sovente la storia moderna ha dimostrato, nel suo contrario. Se per un liberale il primato spetta alla libertà, per un cristiano, anche per un cristiano del XXI secolo, il primato spetta sempre e comunque alla Verità. Il punto sta tutto nel come attuare tale primato senza violare la libertà altrui e senza imporlo coattivamente agli altri. Qui, appunto, l’unica risposta, quella ad esempio indicata da Papa Benedetto XVI nelle encicliche “Deus caritas est” e “Caritas in Veritate”, è la conversione interiore personale di ciascun cristiano che sappia manifestarsi all’esterno nei rapporti sociali e politici fino a conquistare il cuore degli altri in modo che, poi, tutti insieme, nella Chiesa, si sappia contribuire a rendere possibile e concreta, carnale, una, forse, futura migliore Cristianità anche sociopolitica. Naturalmente solo a Dio piacendo ossia se questo è nei Suoi imperscrutabili disegni.
Luigi Copertino
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tra un tampone e l’altro, approfittatene...;-)
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Quest’anno Trieste è capitale Europea della Scienza. Non che occorressero ulteriori motivi per andare alla scoperta di questa stupenda città italiana dalla storia grandiosa. Elegante, rigorosa, quasi algida. Del resto una delle sue tante anime è austriaca. Città di frontiera, enigmatica. Trieste affascina per la sovrapposizione armoniosa delle sue storie: l’antica Roma, Venezia e poi l’Austria; l’annessione dopo la grande Guerra, i crimini perpetrati da fascisti e nazisti; le ferite profonde poi la rinascita, l’aura letterata e colta. Trieste scelta e amata da grandi scrittori come Joyce e Stendhal; Trieste madre e padre di Saba e di Svevo; l’est Europa alle porte, la cultura mitteleuropea che ancora si respira, che entra decisa anche nei sapori della sua cucina. Sbatte le porte come il vento che qui talvolta soffia davvero forte, facendo rotolare la salsedine per le stradine dei suoi storici rioni. Cosa non perdere di Trieste Trieste è un mondo da scoprire. In completa autonomia oppure organizzando interessanti visite guidate. Vediamo quali sono le cose assolutamente da vedere per conoscere la città. La città Vecchia A sud della monumentale piazza Unità d’Italia affacciata sul mare, si sviluppano i rioni compresi nella città Vecchia di Trieste (San Vito, Cavana e ghetto Ebraico), stretta tra il colle di San Giusto e il mare. Qui si trovano alcuni dei monumenti più antichi della città come la cattedrale di San Giusto, la chiesa barocca di Santa Maria Maggiore, l’arco di Riccardo di epoca romana (I secolo d.C.) con le sue colonne in stile corinzio sito in piazza Barbacan e il teatro romano, ogni anno splendida cornice ai più importanti eventi cittadini. Nel rione di San Vito, in piazza Attilio Hortis si trova la statua di Italo Svevo, nei pressi della quale si trovano il museo Revoltella e il Civico museo Sartorio. Piazza Unità d’Italia e il molo Audace Maestosa e spazzata dalla salsedine e dalle brezze dell’Adriatico. La cornice monumentale e iconica della città. Da sinistra a destra qui si trovano il palazzo della Luogotenenza tedesca, palazzo Stratti con lo storico caffè degli Specchi, palazzo Modello oggi sede del Municipio, l’antico palazzo Pitteri, l’albergo di palazzo Vanoli e il palazzo della Regione. Al centro si erge la fontana dei quattro continenti (1751-1754). Il molo Audace che si allunga davanti alla piazza prende il nome dalla prima nave che entrò in porto dopo la fine della grande Guerra e la conseguente annessione all’Italia. Da notare la rosa dei Venti in bronzo affissa all’inizio del molo e ottenuta dalla fusione di una nave austriaca affondata dalla marina Italiana. La cattedrale di San Giusto Nasce all’inizio del Trecento dall’unione di due chiese preesistenti, Santa Maria e San Giusto. Sobria facciata in mattoni con rosone gotico. il portale riutilizza gli elementi di una stele funeraria romana. Sul muro del campanile, eretto inglobando i resti di un tempio romano e di un’edicola intitolata a San Giusto, vi sono incastrate ancora alcune canne di cannone. L’interno è decorato con splendidi affreschi di scuola veneziana e con un grande mosaico trecentesco. Dalla cattedrale si accede all’adiacente battistero e al museo del Tesoro, nelle cui sale spicca l’alabarda di San Sergio recuperata in terra Santa durante la prima Crociata 1096-1099. Il castello di San Giusto La fortezza posta sulla sommità del colle omonimo rappresenta il nucleo più antico della città nonché uno dei suoi simboli più amati e famosi. Il cuore del castrum risale ai Romani e nel corso dei secoli ha subito le modifiche apportate da Veneziani e Austro-Ungarici. Il castello è sede del museo Civico di Trieste, le cui sale custodiscono una ricca collezioni di armi e il suggestivo lapidario Tergestino con oltre 130 reperti di epoca romana di pregevole fattura. La sinagoga di Trieste Per capire appieno quanto la comunità ebraica è stata centrale nello sviluppo della città, della sua anima multietnica e di frontiera, basta fermarsi ad ammirare la bellezza architettonica e la vita che scorre dentro e fuori la sinagoga cittadina. Da notare gli stupendi rosoni, i pavimenti, le decorazioni e i lampadari di questo, ancora oggi, importante edificio religioso cittadino eretto nel 1912. Il castello di Miramare Il “nido d’amore costruito invano” ricordato da Giosué Carducci in una poesia dedicata proprio al castello, fu eretto a metà Ottocento da Massimiliano d’Asburgo-Lorena arciduca d’Austria e oggi è uno dei musei più visitati d’Italia. L’elegante e suggestiva struttura in pietra chiara affacciata sul golfo di Trieste conserva ancora gli arredi originali dell’epoca e numerose testimonianze della vita dei proprietari, l’arciduca Massimiliano e sua moglie Carlotta del Belgio, prima di diventare la residenza del duca Amedeo d’Aosta. Da segnalare all’interno la sfarzosa sala dei Regnanti, la bella sala della Musica e la sala ispirata all’arredamento navale della fregata Novara sulla quale Massimiliano aveva prestato servizio nella Marina Austriaca. L’esterno invece si caratterizza per il parco e per il superbo giardino all’inglese, che permettono di effettuare piacevoli passeggiate davanti al mare. Il castello è visitabile in completa autonomia o con tour privato. Il borgo Teresiano A nord di piazza Unità d’Italia, superato lo scenografico canal Grande si sviluppa come una piccola scacchiera il suggestivo borgo Teresiano, tra i quartieri storici più noti di Trieste realizzato per volere dell’imperatore d’Austria Carlo VI. Lungo il canal Grande sfilano alcuni tra gli edifici più belli, come palazzo Aedes, palazzo Gopcevich, la chiesa neoclassica di Sant’Antonio Nuovo, lo storico caffè Stella Polare, palazzo Genel, palazzo Carciotti e il bellissimo tempio serbo-ortodosso della Santissima Trinità e di San Spiridione. Sul suggestivo ponte Rosso che attraversa romanticamente il canale, il secondo insieme al ponte Verde, si trova la statua di James Joyce. La risiera di San Sabba Questo stabilimento per la pilatura del riso – che comprende pulitura, sbramatura, sbiancata e lucidatura – si trova a circa 5 km da piazza Unità d’Italia stretta tra il mare e i quartieri di Servola, Valmaura e borgo San Sergio. Rimase in funzione tra il 1913 e il 1943, l’anno dell’armistizio, quando i nazisti lo trasformarono in campo di prigionia, nel quale persero la vita oltre 3500 persone e altre 8000 da qui furono deportate nei campi di sterminio del nord ed est Europa. Oggi la Risiera di San Sabba è un museo da visitare assolutamente, archeologia industriale e memoria storica. Il faro della Vittoria Costruito nel 1923 in pieno fascismo, il faro ricorda i marinai italiani caduti durante la Grande Guerra. Sulla sommità, la statua della Vittoria Alata è alta 7 m ed è dotata di un complesso meccanismo interno che le fa impercettibilmente sbattere le ali per assorbire le folate di vento, che qui a Trieste con la bora è risaputo possono essere anche molto violente. Il faro sotto alla statua è ancora oggi il più potente dell’Adriatico. Il tram panoramico di Opicina Presto si spera che torni definitivamente in servizio il suggestivo tram che collega il centro città con le alture del Carso che si innalzano spigolose alle sue spalle. Un modo davvero curioso e singolare di scoprire la città e ammirarla dall’alto man mano che il tram lentamente si inerpica sulle alture. La grotta Gigante Questa enorme cavità risalente al Neolitico è una delle attrazioni principali di Trieste e si trova a circa 10 km dal centro nei pressi del borgo omonimo. Le concrezioni rocciose createsi nel corso di migliaia di anni hanno dato un fondamentale impulso alla speleologia modena. A circa 80 m di profondità si raggiunge la galleria Grande alta, un unico e sterminato ambiente alto quasi 100 m dove stalagmiti, stalattiti e colta di carbonato di calcio assumono infinite sfumature di colore, tra le quali la colonna Ruggero, alta 12 m. Scoprire Trieste: i caffè storici Pare che seduto ai tavoli della storica pasticceria Pirona Joyce abbia scritto non poche pagine sia dell’Ulisse che di Gente di Dublino e, insieme a lui, alcune tra le più illustri personalità della letteratura e della poesia come i triestini Umberto Saba e Italo Svevo (al quale è dedicato l’interessante museo Sveviano) o lo scrittore francese Stendhal hanno lungamente frequentato i caffè storici di Trieste. Si segnalano tra questi il caffè Tommaseo del 1830, è il più antico della città, il caffè degli Specchi in piazza dell’Unità e il caffè San Marco. Scoprire Trieste: i sapori e i piatti tipici La cucina triestina è una delle più famose d’Italia ed è innanzitutto caratterizzata da una secolare influenza austro-ungarica mitigata da alternative proposte di pesce e dai sapori dell’Adriatico. Una forma tipica di ristorazione a Trieste, in alternativa alle trattorie e ai ristoranti, sono i tradizionali buffet, a metà tra un bar e una trattoria, dove le carni sono cotte ancora oggi nella tradizionale caldaia, un pentolone incastonato nel bancone. Tra i piatti tipici ci sono dunque il prosciutto cotto caldo triestino tagliato rigorosamente a mano, il liptauer (spuma di formaggi insaporita con paprika e cumino), i formaggi Jamar (stagionato nelle grotte del Carso) e Tabor, la granzievola alla triestina (polpa di granchio con olio, sale, pepe, limone e prezzemolo servita nel suo guscio), la Jota (minestra di fagioli, crauti, patate e salsiccia o cotenna), i fusi istriani (tipo garganelli) con sugo di pesce o di carne, la zuppa de bobici (mais e fagioli), gli gnocchi di patate, di pane, di fegato o di susine (prugne), oppure come accompagnamento al tradizionale goulash. Tra i secondi piatti, di pesce o di carne, oltre al goulash ci sono anche il bollito in tecia con senape, crauti e patate, i cevapcici (salsicce speziate di origine balcanica), la porzina con capuzi (coppa di maiale lessa servita con crauti, senape e rafano), la calandraca (spezzatino di lesso con patate e poco pomodoro) l’agnello al kren (salsa al rafano), le immortali canocchie alla busara (pomodoro, pepe e vino), le alici in savore, i pedoci alla scotadeo (cozze alla scottadito), il baccalà mantecato e infine il merluzzo all’istriana con capperi, acciughe e patate. Lo street food non è di certo da meno in quanto a prelibatezze, come dimostra ampiamente il gustoso panino con porzina (maiale), crauti, senape e rafano. Tra i dolci infine ricordiamo il classico strucolo de pomi (strudel di mele), la pinza (pasta lievitata con rum, bucce d’arancia grattugiate, limone e vaniglia) la torta Rigojanci di origine ungherese e a base di cioccolato, il presniz (pasta sfoglia con susine e frutta secca), il koch (soufflé a base di burro e zucchero montati, pangrattato e uova con frutta, semolino o riso) e infine il cuguluf, anche questo di ispirazione austriaca che assomiglia a un plum cake con uvetta e buccia di limone. Scoprire Trieste: il Prosecco e i vini del Carso Sarebbe impensabile non visitare Trieste senza scoprire e assaggiare i vini del suo territorio, alcuni dei quali considerati tra i vini italiani più famosi al mondo. Trieste e tutto il Friuli-Venezia Giulia sono insieme al Veneto territorio per eccellenza votato alla produzione del prosecco. Molti sono i produttori e molte le cantine presenti sul territorio, da scoprire magari organizzando e prenotando degustazioni guidate. In città ci sono inoltre innovativi winebar pronti a farvi assaggiare i vini del territorio, quelli coltivati sugli aspri altipiani del Carso che si aprono come una corona intorno a Trieste. Terreni fatti di roccia. Aridi, sassosi e ricchi di ferro, che danno vita a vini DOC come la Vitovska, il Terrano (Refosco friulano) e la dolce e aromatica Malvasia istriana, tutti vitigni autoctoni che aspettano solo di essere scoperti. https://ift.tt/31ZRMQa Cosa mangiare a Trieste: i sapori da non perdere Quest’anno Trieste è capitale Europea della Scienza. Non che occorressero ulteriori motivi per andare alla scoperta di questa stupenda città italiana dalla storia grandiosa. Elegante, rigorosa, quasi algida. Del resto una delle sue tante anime è austriaca. Città di frontiera, enigmatica. Trieste affascina per la sovrapposizione armoniosa delle sue storie: l’antica Roma, Venezia e poi l’Austria; l’annessione dopo la grande Guerra, i crimini perpetrati da fascisti e nazisti; le ferite profonde poi la rinascita, l’aura letterata e colta. Trieste scelta e amata da grandi scrittori come Joyce e Stendhal; Trieste madre e padre di Saba e di Svevo; l’est Europa alle porte, la cultura mitteleuropea che ancora si respira, che entra decisa anche nei sapori della sua cucina. Sbatte le porte come il vento che qui talvolta soffia davvero forte, facendo rotolare la salsedine per le stradine dei suoi storici rioni. Cosa non perdere di Trieste Trieste è un mondo da scoprire. In completa autonomia oppure organizzando interessanti visite guidate. Vediamo quali sono le cose assolutamente da vedere per conoscere la città. La città Vecchia A sud della monumentale piazza Unità d’Italia affacciata sul mare, si sviluppano i rioni compresi nella città Vecchia di Trieste (San Vito, Cavana e ghetto Ebraico), stretta tra il colle di San Giusto e il mare. Qui si trovano alcuni dei monumenti più antichi della città come la cattedrale di San Giusto, la chiesa barocca di Santa Maria Maggiore, l’arco di Riccardo di epoca romana (I secolo d.C.) con le sue colonne in stile corinzio sito in piazza Barbacan e il teatro romano, ogni anno splendida cornice ai più importanti eventi cittadini. Nel rione di San Vito, in piazza Attilio Hortis si trova la statua di Italo Svevo, nei pressi della quale si trovano il museo Revoltella e il Civico museo Sartorio. Piazza Unità d’Italia e il molo Audace Maestosa e spazzata dalla salsedine e dalle brezze dell’Adriatico. La cornice monumentale e iconica della città. Da sinistra a destra qui si trovano il palazzo della Luogotenenza tedesca, palazzo Stratti con lo storico caffè degli Specchi, palazzo Modello oggi sede del Municipio, l’antico palazzo Pitteri, l’albergo di palazzo Vanoli e il palazzo della Regione. Al centro si erge la fontana dei quattro continenti (1751-1754). Il molo Audace che si allunga davanti alla piazza prende il nome dalla prima nave che entrò in porto dopo la fine della grande Guerra e la conseguente annessione all’Italia. Da notare la rosa dei Venti in bronzo affissa all’inizio del molo e ottenuta dalla fusione di una nave austriaca affondata dalla marina Italiana. La cattedrale di San Giusto Nasce all’inizio del Trecento dall’unione di due chiese preesistenti, Santa Maria e San Giusto. Sobria facciata in mattoni con rosone gotico. il portale riutilizza gli elementi di una stele funeraria romana. Sul muro del campanile, eretto inglobando i resti di un tempio romano e di un’edicola intitolata a San Giusto, vi sono incastrate ancora alcune canne di cannone. L’interno è decorato con splendidi affreschi di scuola veneziana e con un grande mosaico trecentesco. Dalla cattedrale si accede all’adiacente battistero e al museo del Tesoro, nelle cui sale spicca l’alabarda di San Sergio recuperata in terra Santa durante la prima Crociata 1096-1099. Il castello di San Giusto La fortezza posta sulla sommità del colle omonimo rappresenta il nucleo più antico della città nonché uno dei suoi simboli più amati e famosi. Il cuore del castrum risale ai Romani e nel corso dei secoli ha subito le modifiche apportate da Veneziani e Austro-Ungarici. Il castello è sede del museo Civico di Trieste, le cui sale custodiscono una ricca collezioni di armi e il suggestivo lapidario Tergestino con oltre 130 reperti di epoca romana di pregevole fattura. La sinagoga di Trieste Per capire appieno quanto la comunità ebraica è stata centrale nello sviluppo della città, della sua anima multietnica e di frontiera, basta fermarsi ad ammirare la bellezza architettonica e la vita che scorre dentro e fuori la sinagoga cittadina. Da notare gli stupendi rosoni, i pavimenti, le decorazioni e i lampadari di questo, ancora oggi, importante edificio religioso cittadino eretto nel 1912. Il castello di Miramare Il “nido d’amore costruito invano” ricordato da Giosué Carducci in una poesia dedicata proprio al castello, fu eretto a metà Ottocento da Massimiliano d’Asburgo-Lorena arciduca d’Austria e oggi è uno dei musei più visitati d’Italia. L’elegante e suggestiva struttura in pietra chiara affacciata sul golfo di Trieste conserva ancora gli arredi originali dell’epoca e numerose testimonianze della vita dei proprietari, l’arciduca Massimiliano e sua moglie Carlotta del Belgio, prima di diventare la residenza del duca Amedeo d’Aosta. Da segnalare all’interno la sfarzosa sala dei Regnanti, la bella sala della Musica e la sala ispirata all’arredamento navale della fregata Novara sulla quale Massimiliano aveva prestato servizio nella Marina Austriaca. L’esterno invece si caratterizza per il parco e per il superbo giardino all’inglese, che permettono di effettuare piacevoli passeggiate davanti al mare. Il castello è visitabile in completa autonomia o con tour privato. Il borgo Teresiano A nord di piazza Unità d’Italia, superato lo scenografico canal Grande si sviluppa come una piccola scacchiera il suggestivo borgo Teresiano, tra i quartieri storici più noti di Trieste realizzato per volere dell’imperatore d’Austria Carlo VI. Lungo il canal Grande sfilano alcuni tra gli edifici più belli, come palazzo Aedes, palazzo Gopcevich, la chiesa neoclassica di Sant’Antonio Nuovo, lo storico caffè Stella Polare, palazzo Genel, palazzo Carciotti e il bellissimo tempio serbo-ortodosso della Santissima Trinità e di San Spiridione. Sul suggestivo ponte Rosso che attraversa romanticamente il canale, il secondo insieme al ponte Verde, si trova la statua di James Joyce. La risiera di San Sabba Questo stabilimento per la pilatura del riso – che comprende pulitura, sbramatura, sbiancata e lucidatura – si trova a circa 5 km da piazza Unità d’Italia stretta tra il mare e i quartieri di Servola, Valmaura e borgo San Sergio. Rimase in funzione tra il 1913 e il 1943, l’anno dell’armistizio, quando i nazisti lo trasformarono in campo di prigionia, nel quale persero la vita oltre 3500 persone e altre 8000 da qui furono deportate nei campi di sterminio del nord ed est Europa. Oggi la Risiera di San Sabba è un museo da visitare assolutamente, archeologia industriale e memoria storica. Il faro della Vittoria Costruito nel 1923 in pieno fascismo, il faro ricorda i marinai italiani caduti durante la Grande Guerra. Sulla sommità, la statua della Vittoria Alata è alta 7 m ed è dotata di un complesso meccanismo interno che le fa impercettibilmente sbattere le ali per assorbire le folate di vento, che qui a Trieste con la bora è risaputo possono essere anche molto violente. Il faro sotto alla statua è ancora oggi il più potente dell’Adriatico. Il tram panoramico di Opicina Presto si spera che torni definitivamente in servizio il suggestivo tram che collega il centro città con le alture del Carso che si innalzano spigolose alle sue spalle. Un modo davvero curioso e singolare di scoprire la città e ammirarla dall’alto man mano che il tram lentamente si inerpica sulle alture. La grotta Gigante Questa enorme cavità risalente al Neolitico è una delle attrazioni principali di Trieste e si trova a circa 10 km dal centro nei pressi del borgo omonimo. Le concrezioni rocciose createsi nel corso di migliaia di anni hanno dato un fondamentale impulso alla speleologia modena. A circa 80 m di profondità si raggiunge la galleria Grande alta, un unico e sterminato ambiente alto quasi 100 m dove stalagmiti, stalattiti e colta di carbonato di calcio assumono infinite sfumature di colore, tra le quali la colonna Ruggero, alta 12 m. Scoprire Trieste: i caffè storici Pare che seduto ai tavoli della storica pasticceria Pirona Joyce abbia scritto non poche pagine sia dell’Ulisse che di Gente di Dublino e, insieme a lui, alcune tra le più illustri personalità della letteratura e della poesia come i triestini Umberto Saba e Italo Svevo (al quale è dedicato l’interessante museo Sveviano) o lo scrittore francese Stendhal hanno lungamente frequentato i caffè storici di Trieste. Si segnalano tra questi il caffè Tommaseo del 1830, è il più antico della città, il caffè degli Specchi in piazza dell’Unità e il caffè San Marco. Scoprire Trieste: i sapori e i piatti tipici La cucina triestina è una delle più famose d’Italia ed è innanzitutto caratterizzata da una secolare influenza austro-ungarica mitigata da alternative proposte di pesce e dai sapori dell’Adriatico. Una forma tipica di ristorazione a Trieste, in alternativa alle trattorie e ai ristoranti, sono i tradizionali buffet, a metà tra un bar e una trattoria, dove le carni sono cotte ancora oggi nella tradizionale caldaia, un pentolone incastonato nel bancone. Tra i piatti tipici ci sono dunque il prosciutto cotto caldo triestino tagliato rigorosamente a mano, il liptauer (spuma di formaggi insaporita con paprika e cumino), i formaggi Jamar (stagionato nelle grotte del Carso) e Tabor, la granzievola alla triestina (polpa di granchio con olio, sale, pepe, limone e prezzemolo servita nel suo guscio), la Jota (minestra di fagioli, crauti, patate e salsiccia o cotenna), i fusi istriani (tipo garganelli) con sugo di pesce o di carne, la zuppa de bobici (mais e fagioli), gli gnocchi di patate, di pane, di fegato o di susine (prugne), oppure come accompagnamento al tradizionale goulash. Tra i secondi piatti, di pesce o di carne, oltre al goulash ci sono anche il bollito in tecia con senape, crauti e patate, i cevapcici (salsicce speziate di origine balcanica), la porzina con capuzi (coppa di maiale lessa servita con crauti, senape e rafano), la calandraca (spezzatino di lesso con patate e poco pomodoro) l’agnello al kren (salsa al rafano), le immortali canocchie alla busara (pomodoro, pepe e vino), le alici in savore, i pedoci alla scotadeo (cozze alla scottadito), il baccalà mantecato e infine il merluzzo all’istriana con capperi, acciughe e patate. Lo street food non è di certo da meno in quanto a prelibatezze, come dimostra ampiamente il gustoso panino con porzina (maiale), crauti, senape e rafano. Tra i dolci infine ricordiamo il classico strucolo de pomi (strudel di mele), la pinza (pasta lievitata con rum, bucce d’arancia grattugiate, limone e vaniglia) la torta Rigojanci di origine ungherese e a base di cioccolato, il presniz (pasta sfoglia con susine e frutta secca), il koch (soufflé a base di burro e zucchero montati, pangrattato e uova con frutta, semolino o riso) e infine il cuguluf, anche questo di ispirazione austriaca che assomiglia a un plum cake con uvetta e buccia di limone. Scoprire Trieste: il Prosecco e i vini del Carso Sarebbe impensabile non visitare Trieste senza scoprire e assaggiare i vini del suo territorio, alcuni dei quali considerati tra i vini italiani più famosi al mondo. Trieste e tutto il Friuli-Venezia Giulia sono insieme al Veneto territorio per eccellenza votato alla produzione del prosecco. Molti sono i produttori e molte le cantine presenti sul territorio, da scoprire magari organizzando e prenotando degustazioni guidate. In città ci sono inoltre innovativi winebar pronti a farvi assaggiare i vini del territorio, quelli coltivati sugli aspri altipiani del Carso che si aprono come una corona intorno a Trieste. Terreni fatti di roccia. Aridi, sassosi e ricchi di ferro, che danno vita a vini DOC come la Vitovska, il Terrano (Refosco friulano) e la dolce e aromatica Malvasia istriana, tutti vitigni autoctoni che aspettano solo di essere scoperti. Trieste è una città affascinante e ricca di attrazioni culturali ed enogastronomiche, perfette per un tuffo nella storia e nell’arte del nostro Paese.
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Attentato alla Sinagoga: Dureghello, cada il velo di omertà e ipocrisia
Attentato alla Sinagoga: Dureghello, cada il velo di omertà e ipocrisia
<img src="” title=”Attentato alla Sinagoga: Dureghello, cada il velo di omertà e ipocrisia” />Read MoreLa presidente della Comunità ebraica romana: ‘Dolore ancora vivo, ci sia verità storica e processuale’La presidente della Comunità ebraica romana: ‘Dolore ancora vivo, ci sia verità storica e processuale’RSS di – ANSA.it
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Vandalizzate due pietre d'inciampo a Trastevere
AGI – Due pietre d’inciampo, che commemoravano due abitanti ebrei deportati nei lager nazisti, sono state vandalizzate a via Dandolo, nel centrale quartiere romano di Trastevere. Le pietre sono state annerite, probabilmente a causa di un fuoco appiccato la notte scorsa, ma la dinamica dell’atto vandalico, si sottolinea dalla Comunità Ebraica romana, è ancora in corso di accertamento. “A…
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L' "esempio" di Israele
L’ “esempio” di Israele
Quando le si chiede di commentare i reiterati massacri israeliani a danno di bambini, donne, vecchi palestinesi – i legittimi abitanti di quelle terre, costretti a “vivere” da decenni come gli ebrei nei campi di concentramento tedeschi – risponde che sono fatti lontani, “noi siam qui da 2mila anni”…Oggi la presidente della comunità ebraica romana invita a prendere esempio da Israele che ha già…
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🌼 Aɢʀᴇᴛᴛɪ & Rᴀʙᴀʀʙᴀʀᴏ Tra le nostre sperimentazioni con il Rabarbaro, non potevamo non mostrarvi una delle prime e più semplici 😋. Come sempre, quando si tratta di ricette salate con questo ingrediente, il risultato è sorprendente per gradevolezza e sapore, tanto da chiedersi come mai sia così poco utilizzato... Ricetta semplicerrima : ➡️ 200g di Agretti cotti 4 min in acqua salata, poi una volta tiepidi conditi con il succo di mezza costa di Rabarbaro grattugiata e quindi strizzata per estrarne il succo. Olio extravergine di Oliva, un pizzico di sale, una spruzzatina di Tabasco verde e qualche dadino di Rabarbaro. Da servire appena conditi, con il loro bellissimo colore verde acceso 😋 e la loro intrigante croccantezza, sono un contorno che vi lascerà stupiti per semplicità e bontà del risultato! Se siete stanchi dei soliti Agretti con il Limone, questa è la volta buona di lasciarsi alle spalle la vecchia ricetta per cambiare approccio a questo ottimo ortaggio😊😉. Gli agretti sono anche la verdura dello Shabbat. Infatti, nella tradizione culinaria della comunità ebraica romana, gli agretti sono uno dei piatti principali serviti per lo Shabbat, la festa del riposo che viene osservata ogni sabato, durante il periodo della primavera. Ecco allora un ottima proposta anche per questa occasione 😁💥 Speriamo di avervi incuriosito e spinto a provare questa nostra piccola ricetta 😉 vi diamo appuntamento a presto con altre proposte salate con questo spettacolare ingrediente. Buona giornata amici ! 🙋🏼♀️🙋🏻♂️😘 #TheKitchenTube #mahlzeit #rabarbaro #ruhbarb #solocosebuone #cucinare #fattoincasa #ricettadelgiorno #rezepte #recipes #ricettesemplici #gesundundlecker #lecker #leckerschmecker #cookingideas #cookingwithlove #ilovecooking #ifpgallery #italianrecipe #foodstagram #foodshot #contorni #cucinareconamore #ideericette (presso Merano, Trentino Alto Adige, Südtirol) https://www.instagram.com/p/CAwz6LSl8iv/?igshid=zxifkquj4jgx
#thekitchentube#mahlzeit#rabarbaro#ruhbarb#solocosebuone#cucinare#fattoincasa#ricettadelgiorno#rezepte#recipes#ricettesemplici#gesundundlecker#lecker#leckerschmecker#cookingideas#cookingwithlove#ilovecooking#ifpgallery#italianrecipe#foodstagram#foodshot#contorni#cucinareconamore#ideericette
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Attacco alla sinagoga di Goteborg. Prime reazioni
Dopo il recente attacco alla sinagoga di Goteborg, ad opera di manifestanti mascherati, durante un corteo per protestare contro la decisione americana di trasferire l'ambasciata americana a Gerusalemme Ovest (Palestina occupata), cresce in tutta la Svezia l'allarme islamofobia.
La versione distribuita alla stampa da gruppi eversivi sionisti, in cui si parla di ragazzi costretti a rifugiarsi nelle cantine, suscita diversi dubbi negli inquirenti. Le forze di polizia sono infatti al corrente del carattere assolutamente pacifico e non violento delle manifestazioni pro palestinesi e delle continue provocazioni da parte della Comunità ebraica locale.
La quale è ormai preda di una deriva estremista che li porta a nominare Israele nelle loro preghiere, o a girare per le strade con il capo coperto. Questo è un chiaro intento provocatorio verso la locale comunità musulmana, poco abituata alla sfrontatezza degli ebrei che nei Paesi da cui provengono non osano certamente comportarsi in questo modo!
Il Presidente della Associazione Svedese Sinistra per Israele, Fabius Nikolaussen, ha diramato un comunicato in cui individua chiaramente le responsabilità dell'accaduto la sconsiderata politica della destra israeliana, portata avanti con lucidità fin dai tempi di Jabotinsky, i cui disegni espansionistici mettono a rischio la sicurezza degli ebrei nella Diaspora. Quanto sarebbe più sicura la vita degli ebrei, conclude Nikolaussen, se lo Stato di Israele fosse più debole, magari federato con Palestina e Giordania, e Gerusalemme ovviamente internazionalizzata! Cresce la pressione sui sindacati svedesi, perché riprendano il sostegno per la Palestina ed il negoziato di pace di cui furono protagonisti nel 1982, provvedendo alla sinagoga romana la bara vuota per poi accogliere il cadavere di un ragazzo ebreo, ucciso da agenti del Mossad truccati da palestinesi nell'ambito delle solite losche manovre per screditare Arafat.
Ed infine, la società civile svedese, le associazioni religione, Pax Christenssen, la redazione del quotidiano socialdemocratico Manifestus, gli allievi del Maestro Lonardsson, il collettivo Femministe con il burka e la Associazione dei macellai vegani invitano a una grande mobilitazione per la pace in Medio Oriente, la abolizione della Legge del Ritorno, il ritorno dei discendenti dei profughi palestinesi, seguito da democratiche elezioni che segnino, una volta per tutte, la fine di Israele e l'inizio per la Palestina di un periodo di pace simile a quello che sta vivendo oggi la Siria. La CGIL ha già assicurato una folta partecipazione, al seguito di una bara bianca.
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