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Perché i cani si scrollano anche quando sono appena bagnati?
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Molti mammiferi pelosi eseguono rapide scrollate per rimuovere acqua e irritanti dal pelo, seguendo un tipico schema di tre scrollate avanti e indietro. Ma qual è il meccanismo che induce questa risposta innata? Il dottor Dawei Zhang e il suo team della Harvard Medical School si sono posti questa domanda e, in laboratorio, hanno cercato di svelarne il funzionamento usando i topi come modello.
Il primo passo è stato osservare se diversi stimoli sulla pelle dei topi potessero indurre la "scrollata da cane bagnato." I ricercatori hanno soffiato aria sui topi, li hanno spruzzati con acqua e immersi in un bagno. Sorprendentemente, una piccola goccia d'olio sul collo era sufficiente per innescare la scrollata, suggerendo che un tocco leggero e fastidioso fosse il fattore scatenante.
A questo punto, i ricercatori hanno cercato di capire quale parte del sistema nervoso "sentisse" questa goccia, avviando la reazione della scrollata. Hanno modificato geneticamente alcuni topi, eliminando specifici recettori cutanei. Inizialmente, hanno rimosso i recettori che percepiscono variazioni di temperatura, osservando che i topi continuavano a scrollarsi. La temperatura, quindi, non era determinante per il comportamento. Poi hanno eliminato i meccanorecettori, che rispondono agli stimoli tattili. Questa volta, i topi si scrollavano molto meno rispetto a quelli non modificati, suggerendo che la sensibilità al tatto fosse un elemento chiave.
Il team si è quindi concentrato su un gruppo particolare di meccanorecettori, le fibre C a soglia bassa (C-LTMR), recettori intorno ai follicoli piliferi che rispondono a tocchi leggeri. Per confermare l’ipotesi, i ricercatori hanno utilizzato l’optogenetica, una tecnica che attiva i nervi con la luce. Stimolando otticamente i C-LTMR, i topi si scrollavano come se fossero bagnati; bloccandoli, invece, la scrollata diminuiva, confermando il ruolo dei C-LTMR.
Ma il team voleva capire anche dove arrivavano i segnali inviati dai C-LTMR e in che parte del cervello questi venissero elaborati per generare la risposta della scrollata. Hanno quindi tracciato il percorso dei segnali, scoprendo che viaggiavano dai follicoli piliferi al midollo spinale, fino a una parte del cervello chiamata nucleo parabrachiale, che elabora sensazioni come dolore e prurito. Questo percorso, chiamato circuito C-LTMR–spinoparabrachiale, si è rivelato essere il meccanismo alla base della "scrollata da cane bagnato."
L’importanza di questa scoperta risiede nel fatto che i C-LTMR rappresentano un sistema difensivo evoluto per liberarsi di stimoli fastidiosi come gocce d’acqua o parassiti. Per molti mammiferi, scrollarsi vigorosamente è il modo più efficiente per rimuovere questi fastidi, grazie a un sistema di recettori tattili e percorsi neuronali specializzati.
E negli esseri umani? Anche noi, essendo mammiferi, possediamo qualcosa di simile. I nostri recettori correlati, chiamati C-meccanocettori, si sono adattati a percepire sensazioni piacevoli come carezze e abbracci. Tuttavia, capita a molti di percepire un lieve brivido quando qualcuno sfiora leggermente il collo. È possibile che questa reazione sia un lontano “ricordo” evolutivo della risposta che nei cani e altri animali innesca la scrollata. In noi, però, questo riflesso ha perso la sua funzione difensiva, trasformandosi in una risposta legata al piacere e alla socialità.
A Presto e Buona Scienza!
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Voto: 4 stelle.
La fornicazione è peccato.
A quanto si legge, dovremmo sfuggire all'immoralità sessuale. Tutti gli altri peccati che le persone commettono sono proiettati al di fuori del corpo, ma l’individuo sessualmente immorale compie un peccato che va contro il proprio corpo.
Ci insegnano che questi pensieri e queste azioni sono immorali. Ma quel lato oscuro che vive dentro ognuno di noi - la vera natura dell'uomo - ci spinge a cercare quel bisogno che ci arde dentro, pretendendo di essere liberato. Nel midollo delle nostre ossa giace quella necessità intrinseca, un disperato tentativo di fuga. Un comportamento innato, apparentemente fuori dal nostro controllo.
Un’attitudine che brama a gran voce i peccati che ci dicono essere la nostra dannazione.
Aero è la gola da cui caccio quelle urla.
Le parti oscure di me che voglio tenere nascoste a questo mondo sono l’unica cosa che vede quando mi sbircia da dietro l'ennesima maschera.
È il demone che mi affoga nei miei desideri occulti.
Potrebbe non fermarsi mai. Almeno finché non soccomberò alle mie verità o morirò sotto il peso della sua morsa inesorabile.
Perché, secondo lui, la vita che sto vivendo è un inferno molto peggiore della morte.
“Io sono tuo e tu sarai per sempre mia. Fino alla fine di questa vita, e poi di tutte le altre vite che vivremo dopo.”
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[✎ TESTO ♫ ITA] O!RUL8,2? - BTS⠸ ❛ Cypher Pt.1 ❜⠸ 11.09.13
[✎ TESTO ♫ ITA] BTS
❛ Cypher Pt.1 ❜
__💿O!RUL8,2? , 11. 09. 2013
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Prodotta da: Supreme Boi
Scritta da: Supreme Boi, RM, SUGA, j-hope
youtube
Dannato [sia] l'orgoglio hip-hop
Idol rapper? Dateci un taglio con ste cazzate¹
Dite che fondamentalmente sono un idol di merda, mi disprezzate
Siete dei codardi, tradite i vostri principi ridendo del mio nome
Voi che sapete solo annacquare [la vostra arte] e sminuire
Come pensate di potermi ammazzare?
Non mi resta che risvegliare il mostro, il mio swag mostruoso
In questa traccia mostruosa grazie al mio cazzo di rap mostruoso
Siete gli Hong Gildong² di quest'era, non sapete ammettere ciò che è buono
Siamo i leader della 3a generazione [di idol coreani], allora lasciate che vi guidi,
questo è un cambio generazionale
È quel che dico, già, sono il meglio del meglio del meglio
Col popping, il rocking, li fermo, li blocco come la lancia di Cassio³
Mi calerò nella parte, non interrompete il beat perché col cazzo che ho finito⁴
Col beat non si scherza, ogni dannato kick⁵ è mia competenza
Solitamente sono buono, ma ora dei vostri rapper farò un massacro
Vi falcerò uno ad uno, e poi sarà il vostro turno, hater
E ora guardatemi e ditemi, chi c'è nella vostra top 5?
Rap Monster, Randa⁶, il leader, RapMon, il vostro paparino
Qui è Hope World dei BTS
Mi seguono tuttə, il mio potenziale si trasforma in ri-tweet
Rendo noto il mio flow al mondo,
Fluisce nei vostri timpani e vi riempie il corpo
Ho affilato i coltelli in vista del domani,
Ma facciamo un viaggio nel tempo
Sì, sarà stata l'età, ma ero un ragazzo che non aveva neppure idea
cosa fosse una rima
Ero solo un altro di quei ragazzini, a Gwangju, che volevano diventare idol
Già, ma ora vi faccio vedere
Attraverso questo cypher, questa traccia, vi svelo la mia ambizione
Mi ergo al di sopra del banale
Già, sono superiore, diversamente da voi, uh?
Riempio lo schermo TV, uh?
Un finto rapper, dite?
No, pulisco via la spuma e sputo fuori ciò che voglio⁷
Ora, ovunque vado, faccio parlare di me
Se vi rode lo stomaco [per la gelosia], andate all'ospedale,
sarete fuori in due settimane
Tuttə coloro che speravano nel mio fallimento ora [dal nervoso] si reggono il collo⁸
In questo gioco straripante orgoglio hip-hop, j-hope è come un trucco
Non ho ancora fatto il servizio militare, ma il mio hobby è fare il cecchino
Un primo pugno ve l'abbiamo dato con We Are Bulletproof
E questi fantocci sfigati, con la coscienza sporca, si son sentiti tirare in causa
Continuate ad ingigantire il vostro complesso d'inferiorità
La qualità della mia enunciazione è 4K, cavolo, sono un figo
Sul beat sono come Chopin
Non cambio mai, impossibile, è da quando son nato che sono un rapper innato⁹
Il mio comportamento è il mio mentore
Anche se cerchi di attaccarmi e distruggermi, sono un memento¹⁰
Continuate pure a vantarvi del vostro orgoglio hip-hop, è solo segno
di insicurezza nei miei confronti
Su, nascondete l'invidia, o rischiate di svelare la vostra identità
Sono un boiler, mi scaldo subito
Come uno spoiler, siete ormai prevedibili anche senza guardarvi
Ho messo in riga gli sfigati hip-hop, idioti senza speranza
In questa scena pop, cresciuta esponenzialmente anche senza fondamenta,
è diventato difficile coesistere
Quindi limitatevi a rappare per hobby
Il mondo sta veramente andando a rotoli
Se vi sentite tirati in causa, sforzatevi di più, what
Note:
*Cypher: mutuato dalla breakdance, il cypher è una sorta di sfida. Lett. significa cerchio e riprende la modalità in cui i ballerini si riuniscono in circolo e si sfidano a turno per dar mostra delle proprie abilità e mosse. Contesto similmente applicabile a questo tipo di tracce rap/hip-hop provocatorie, in cui, a turno, vari rapper mettono in mostra la propria bravura e scioltezza dialettica a colpi di rap;
¹ In originale, RM usa불씨/tizzone, brace (lett. 씨/ seme di fuoco /불), che può essere usato – anche metaforicamente – per qsa di piccolo da cui, però, può scaturire una scintilla, dando vita a qsa di più grande. La pronuncia di 불씨(bulssi), però, suona simile all'inglese 'bullshit (stronzata, cazzata)', ecco perché RM l'ha usato – neanche tanto sottilmente - nella composizione 'Cut that 불씨/ Dateci un taglio con ste cazzate',
² 홍길동 (Hong Gildong) è il protagonista di un'antica storia tradizionale coreana, una sorta di Robin Hood. Hong Gildong era il figlio di una concubina e qui il suo nome viene probabilmente usato in rif. a questa condizione: essendo figlio illegittimo, non poteva neppure chiamare suo padre come 'padre' e suo fratello (il figlio legittimo) come 'hyung',
³ Lancia di Cassio: rif. ad un artefatto magico che compare nella serie di film d'animazione 'Rebuild of Evangelion',
⁴ In originale, assonanza: "Imma don, 비트끄지마 becuz im not freakin done",
⁵ Kick, in musica: suoni a bassa frequenza (generalmente legati alla batteria e prodotti da un tamburo) responsabili del ritmo e della pulsazione nella musica. Forniscono una base solida e potente per il brano,
⁶ Runch Randa: nome d'arte usato da RM prima del debutto, quando rappava nella scena underground,
⁷ Possibile rif. alla storia del La Sirenetta, che nella ver. originale rischia di dissolversi in spuma marina. Qui j-hope usa il riferimento per sottolineare la sua solidità e concretezza come rapper ed artista (in opposizione al verso precedente "un finto rapper, dite?"), che quindi non svanisce dalle scene in un nulla di fatto e, a differenza della Sirenetta, non perde la propria voce ma ha la sua rivalsa e può dire/rappare ciò che vuole,
⁸ Reggersi il (retro del) collo è inteso come sintomo di estrema rabbia e alta pressione. È anche un cliché dei K-drama,
⁹ Gioco di parole: “Non cambio mai. Mi è impossibile, fin da quando son nato. Born rapper (un rapper [in]nato)” > 'Mi è impossibile / 못 해 (pronunciato come모태 / motae), ma anche 모태 (母胎 / motae) inteso come 'dentro il grembo materno' ed è usato per definire qualcuno che ha capacità innate,
¹⁰ Memento: qualcosa o qualcuno che tiene viva la parola, il ricordo e l'esistenza; n.d.t
⠸ ita : © Seoul_ItalyBTS | eng: © doolsetbangtan ; © BTS_Trans⠸
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Ristrutturare il sistema nervoso grazie alla neuroplasticità
Neuroplasticità e riconsolidamento della memoria: la ricodifica degli apprendimenti emozionali in terapia. La ricerca su neuroplasticità e riconsolidamento della memoria ha aperto la strada per comprendere il processo fondamentale del cambiamento trasformazionale. Le più recenti ricerche sulla memoria (Ecker, 2018) hanno identificato un particolare tipo di neuroplasticità innata del cervello, nota come riconsolidamento della memoria, che permette la modifica o la sostituzione di risposte emotive disfunzionali con altre più funzionali. Con “apprendimento emozionale” si fa riferimento al modo in cui una persona ha appreso a reagire emotivamente alle situazioni attivanti di ogni giorno. Le risposte emotive disfunzionali, considerate oggetto di disagio dal paziente, sono dovute infatti ad apprendimenti emozionali codificati dal sistema nervoso per mezzo della sua capacità neuroplastica (Price & Duman, 2020). Le ricerche sul riconsolidamento della memoria hanno dimostrato che la psicoterapia, stimolando il paziente a reagire emotivamente in modi più adattivi e funzionali, induce una vera e propria modifica strutturale del sistema nervoso (Ecker, 2018).
Neuroplasticità e riconsolidamento della memoria La capacità neuroplastica del cervello permette al sistema nervoso di riorganizzare la sua struttura, la sua funzione e le sue connessioni in risposta agli stimoli ambientali (Cramer et al., 2011). Tale plasticità ci permette di apprendere dall’esperienza, ed è pertanto altresì responsabile della registrazione a lungo termine di quegli apprendimenti emozionali che sono causa di disagio in gran parte dei disturbi mentali. Lo stress cronico e i comportamenti di tipo depressivo nella ricerca neuroscientifica di base sono stati associati a compromissioni funzionali della neuroplasticità: se da un lato i pazienti con disturbi d’ansia presentano un’eccessiva reattività neurale nel sistema limbico, che gioca un ruolo fondamentale nelle reazioni emotive, d’altro canto la depressione è caratterizzata da un vero e proprio fallimento della neuroplasticità, con atrofia neuronale e depressione sinaptica nella corteccia prefrontale mediale e nell’ippocampo (Price & Duman, 2020). Le più recenti ricerche sulla memoria (Ecker, 2018) hanno identificato un particolare tipo di neuroplasticità innata del cervello, nota come riconsolidamento della memoria, che permette la modifica o sostituzione di risposte emotive disfunzionali con altre più funzionali. Il riconsolidamento della memoria è un meccanismo innato del cervello per cui nuove esperienze apprese modificano o sostituiscono direttamente i contenuti della memoria acquisiti in un apprendimento precedente. Questo aggiornamento dei contenuti della memoria determina un cambiamento sia a livello soggettivo che di codifica neurale: si tratta di un processo di cambiamento neurologico guidato dall’esperienza (Ecker & Bridges, 2020). La psicoterapia come strumento di ricodifica neurale Per anni si è pensato che non fosse possibile modificare le tracce di apprendimenti pregressi che si trovano nella memoria implicita, al di fuori della consapevolezza cosciente. Definire la ricodifica degli apprendimenti emotivi disfunzionali come obiettivo della psicoterapia è un’affermazione che nessun neuroscienziato si sarebbe azzardato a fare prima della scoperta del riconsolidamento della memoria; ora, invece, è un obiettivo riconosciuto come una possibilità fondata sulla ricerca empirica (Ecker, 2018). Messaggio pubblicitario La rilevanza dei risultati della ricerca sul riconsolidamento per la psicoterapia è potenzialmente molto grande, perché i sintomi clinici sono mantenuti da apprendimenti emotivi conservati nella memoria implicita, in un’ampia gamma di patologie. Tra queste troviamo la maggior parte dei casi di attaccamento insicuro, la sintomatologia post-traumatica, il comportamento compulsivo, la dipendenza, la depressione, l’ansia, la bassa autostima e il perfezionismo, oltre a molti altri sintomi (Ecker & Bridges, 2020). Come cambia l’attività cerebrale prima e dopo la psicoterapia Negli studi condotti (Ecker, 2018; Ecker & Bridges, 2020), sono stati confrontati i livelli di attività cerebrale nei pazienti prima e dopo la terapia, tramite la risonanza magnetica funzionale (fMRI), e ne sono state osservate le differenze. Questo approccio è stato utilizzato principalmente nei casi di depressione, e ha identificato dei cambiamenti localizzati in specifiche aree frontali, cingolate e limbiche; nello specifico, si è osservata una diminuzione dell’attività dell’amigdala, la quale gioca un ruolo chiave nell’attribuzione di significati emotivi ai ricordi, e un aumento dell’attività della corteccia prefrontale dorsolaterale, responsabile della pianificazione e della regolazione del comportamento. Cambiamenti simili sono stati evidenziati anche nei casi di ansia, disturbi alimentari e sindrome dell’intestino irritabile (Collerton, 2013). Questi risultati ci suggeriscono che i cambiamenti che avvengono a livello cosciente in seguito alla psicoterapia influiscono sulle variazioni di attività cerebrali nelle zone sopraindicate: se da un lato vi è una diminuzione dell’attivazione emotiva (minore attività limbica), dall’altro vi è un aumento della riflessività (maggiore attività frontale). Gli operatori della salute mentale mirano ad aiutare i loro pazienti a modificare in modo efficace comportamenti, emozioni e pensieri disfunzionali. I vari sistemi di psicoterapia spesso producono cambiamenti profondi e duraturi, ma i loro resoconti su come e perché tali cambiamenti avvengano differiscono notevolmente, così come i loro metodi. La ricerca sul riconsolidamento della memoria ha dunque aperto la strada a un nuovo terreno comune tra neuroscienziati e clinici, che da decenni tentano di arrivare ad una comprensione chiara e sicura del meccanismo e del processo fondamentale del cambiamento trasformazionale (Ecker & Bridges, 2020). Entrando in contatto con le funzioni più coscienti del paziente, sottoposte al controllo esecutivo e volontario, un percorso di psicoterapia può indurre una vera e propria modifica strutturale del sistema nervoso. Le risposte emotive disfunzionali che originano dai centri cerebrali emotivi sottocorticali (aree limbiche) possono essere regolate terapeuticamente attraverso la creazione di apprendimenti e risposte preferenziali in altre regioni del cervello (aree prefrontali) che inviano connessioni neurali di regolazione alle regioni sottocorticali (Price & Duman, 2020). A fronte di questi risultati si può pensare al riconsolidamento della memoria come un modello generale di cambiamento per un suo utilizzo nella pratica clinica. Sebbene gran parte degli studi abbiano preso in esame la Terapia Cognitivo-Comportamentale, la rilevanza dei risultati ottenuti è applicabile anche ad altre psicoterapie in grado di promuovere un cambiamento in modo stabile (Collerton, 2013). Read the full article
#attivitàcerebrale#cervelloumano#memoria#Neuroplasticità#neuroscienze#psicoterapia#ricodificaneurale#sistemanervoso
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https://bigthink.com/thinking/bonhoeffers-theory-stupidity-evil/
When we know something or someone is evil, we can take steps to fight it. With stupidity, it is much more difficult.
Dietrich Bonhoeffer argues that stupidity is worse than evil because stupidity can be manipulated and used by evil.
He also argues that stupidity tends to go hand-in-hand with acquiring power — that is, being in power means we surrender our individual critical faculties.
Saggio sulla stupidità di Bonhoeffer
Della stupidità
Questo brano di straordinaria potenza è tratto dagli appunti scritti da Bonhoeffer al termine del 1942, con l’intenzione di farne dono natalizio a pochi amici, e sopravvissuti ai bombardamenti e alle perquisizioni celati tra le tegole e le travi del tetto, per usare le parole di Eberhard Bethge che ne ha curato la pubblicazione.
“La stupidità è un nemico del bene più pericoloso che la malvagità. Contro il male si può protestare, si può smascherarlo, se necessario ci si può opporre con la forza; il male porta sempre con sé il germe dell’autodissoluzione, mentre lascia perlomeno un senso di malessere nell’uomo. Ma contro la stupidità siamo disarmati. Qui non c’è nulla da fare, né con proteste né con la forza; le ragioni non contano nulla; ai fatti che contraddicono il proprio pregiudizio basta non credere (in casi come questi lo stupido diventa perfino un essere critico), e se i fatti sono ineliminabili, basta semplicemente metterli da parte come episodi isolati privi di significato. In questo, lo stupido, a differenza del malvagio, è completamente in pace con sé stesso; anzi, diventa perfino pericoloso nella misura in cui, appena provocato, passa all’attacco. Perciò va usata maggior prudenza verso lo stupido che verso il malvagio. Non tenteremo mai più di convincere lo stupido con argomenti motivati; è assurdo e pericoloso.
Per sapere come possiamo accostarci alla stupidità, dobbiamo cercare di capirne l’essenza. Per ora è appurato che essa non è un difetto intellettuale ma un difetto umano. Ci sono uomini di straordinaria agilità intellettuale che sono stupidi e altri, molto lenti e incerti intellettualmente, che sono tutt’altro che stupidi. Con nostra sorpresa facciamo questa scoperta in occasione di determinate situazioni. In questi casi non si ha tanto l’impressione che la stupidità sia un difetto innato, ma che in determinate condizioni gli uomini sono ‘resi’ stupidi o, in altri termini, si lasciano istupidire. Constatiamo inoltre che le persone chiuse solitarie, denunciano meno questo difetto che le persone o i gruppi sociali inclini o condannati alla socievolezza. Sembra dunque che la stupidità sia forse meno un problema psicologico che sociologico. Essa è una forma particolare dell’effetto provocato sugli uomini dalle condizioni storiche, un fenomeno psicologico che riflette determinate situazioni esterne.
A un’osservazione più attenta, si vede che ogni forte manifestazione di potenza esteriore, sia di carattere politico che di carattere religioso, investe di stupidità una gran parte degli uomini. Si, sembra proprio che si tratti di una legge socio-psicologica. La potenza dell’uno ha bisogno della stupidità degli altri. Il processo attraverso cui ciò avviene non è quello di un’improvvisa atrofizzazione o sparizione di determinate doti dell’uomo — nel caso specifico, di carattere intellettuale — ma di una privazione dell’indipendenza interiore dell’uomo, sopraffatto dall’impressione che su di lui esercita la manifestazione della potenza, tanto da fargli rinunciare — più o meno consapevolmente — alla ricerca di un comportamento suo proprio verso le situazioni esistenziali che gli si presentano.
Il fatto che lo stupido spesso sia testardo, non deve farci dimenticare che egli non è autonomo. Lo si nota veramente quando si discute con lui: non si ha affatto a che fare con lui, quale egli è, come individuo, ma con le frasi fatte, le formule ecc. che lo dominano. Si trova messo al confino, accecato; il suo vero essere ha subito un abuso, un maltrattamento. Divenuto in tal modo uno strumento privo di volontà. lo stupido è capace di commettere qualsiasi male e di non riconoscerlo come male. Qui sta il pericolo di un diabolico abuso, con il quale certi uomini possono venir rovinati per sempre.
Ma è particolarmente evidente, proprio in casi come questi, che la stupidità potrebbe essere superata soltanto con un atto di liberazione e non con un atto d’indottrinamento. E qui bisognerà rassegnarsi a dire che un’autentica, intima liberazione, nella maggioranza dei casi diventa possibile qualora sia preceduta da una liberazione esterna: fino a quel momento dovremo rinunciare a tutti i tentativi di convincere lo stupido. In questo contesto, fra l’altro, si spiega perché in tali condizioni è vano darsi la pena di sapere che cosa ne pensa veramente ‘il popolo’ e al tempo stesso perché è superflua una domanda di questo tipo — sempre nelle condizioni di fatto date — per colui che pensa e agisce responsabilmente.
La parola della Bibbia, che il timor di Dio è l’inizio della sapienza (Sal. 111, 10), significa che la liberazione interna dell’uomo per una vita responsabile di fronte a Dio è l’unico reale superamento della stupidità.
Queste riflessioni sulla stupidità hanno in sé un elemento di consolazione, nel senso che non accettano affatto il presupposto che la maggioranza degli uomini sia stupida in ogni condizione di fatto. Il problema vero è dunque se i potenti si aspettano di più dalla stupidità o dall’autonomia interna e dall’intelligenza degli uomini.”
Dietrich Bonhoeffer
(Dietrich Bonhoeffer Teologo Tedesco, giustiziato nel campo di concentramento di Flossemburg il 9aprile 1945)
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Il femminismo comodo: adatto a indolenti e persone a cui va bene tutto, finché semplicemente non è più così
Il Femminismo non è una malattia nonostante l’alta carica virale. Fin dagli albori della sua storia, il movimento Femminista è stato continuamente frainteso: il movimento dell’uguaglianza spacciato come quello della supremazia femminile. La sua evoluzione ha rimediato anche alle mancanze di una prima ideologia chiusa e ristretta, legata unicamente ai diritti delle donne bianche e dunque poco inclusiva. Siamo passati ad una visione differente e aperta. Il Femminismo moderno non esclude nessuno, si batte per i diritti di ogni essere umano e tiene un occhio di riguardo su questioni ambientali. Dopo cinquanta anni d’intersezionalismo tuttavia i problemi non sono finiti. Per una donna non è facile essere femminista, per un uomo invece è come bere un bicchier d’acqua. Un uomo che si definisce femminista è lodato poiché comprensivo e sensibile a problematiche che comunemente gravano meno sul proprio sesso. Annessi e connessi. Il che non è scorretto. Ma se mai verrà discriminato per credere nella parità, gli insulti non si sprecheranno e al limite verrà chiamato femminuccia. Un terribile insulto per un uomo che considera le donne sul suo stesso piano.Vorrei centrare il mio focus: per loro è un po’ più semplice. Talvolta sono lodati per aver fatto o detto il minimo sindacale. Con ciò, non voglio sminuire la problematica dell’intolleranza di pensiero che riguarda ogni persona, indipendentemente da sesso e non-sesso. Dall’altra parte invece si potrebbe fornire una quantità infinita di esempi riguardo luoghi comuni sulle donne femministe e situazioni in cui la parola “femminista” viene utilizzata come insulto. Le femministe non si lavano, sono aggressive e odiano gli uomini! In tutta franchezza non trovo nulla di male in queste cose, ciononostante le parole hanno un peso. Non andrebbero dette senza intenderle. Per prima, ammetto che nel mio caso questi luoghi comuni sono stati a lungo un deterrente dal definirmi tale. Non credo di essere l’unica ragazza accusata di essere isterica e aggressiva per non aver voluto che la propria opinione venisse screditata o perché si è arrabbiata. In altre occasioni mi fu detto: “non sarai mica femminista?”, come se ci fosse qualcosa di male. Allora ho negato perché a nessuno piace un’adolescente isterica e suscettibile. Questo tipo di comportamento non è una questione geografica, o meglio è un retaggio con diffusione globale. Ad esempio Chimamanda Ngozi Adichie, un’autrice e attivista nigeriana, apre il suo saggio “Dovremmo essere tutti femministi” con una situazione simile. Il suo breve ma brillante scritto comincia con il racconto di una serata passata con il suo amico d’infanzia Okoloma. Okoloma era un bravissimo ragazzo, rispettava le donne e amava sua madre. L’autrice lo definisce perfino un ottimo amico. Eppure esordì con la medesima frase durante una discussione per sedarla. Una Chimamanda quattordicenne non seppe cosa rispondere. Non poteva saperlo perchè lei quella parola, femminista, nemmeno la conosceva. Neanche Okoloma evidentemente. Il saggio, un libricino di meno di sessanta pagine, prosegue con riflessioni tanto illuminanti quanto condivisibili. Non è necessario leggere un glorificato manifesto per essere femministi (ad ogni modo consiglio la lettura del suddetto saggio). Allo stesso tempo è esasperantemente facile sapere di cosa si tratti, ma ciò non significa che sia altrettanto semplice comprenderlo. Viviamo in una società (cit.) intrisa di cultura maschilista. Una cultura che contempla la ragione della parte maschile su una qualsiasi controparte. Quella è la normalità. Nessuno ragiona su di essa, dato che per definizione ciò che è normale non è ne giusto ne sbagliato. É difficile mettere finalmente a fuoco cose che su cui non ci si è mai soffermati. Per caso avete mai notato come il nipote preferito delle nonne spesso sia un maschio? Non è una questione di intelligenza o di bontà, tantomeno intenzionale. Non conta se ai pranzi di famiglia il loro maggior contributo è grattarsi la pancia mentre le nipoti sgobbano e aiutano con tutto il resto. D’altronde cosa si ricaverebbe nel riconoscere cose scomode? Tante volte mi sono detta che non potevo pretendere da un essere di sesso maschile di afferrare questioni legate strettamente al mio essere donna. É ragionevole: siamo diversi. Personalmente sono sempre stata incuriosita dalle questioni “dei ragazzi”, facendo domande e ascoltando le loro risposte. Incredibile ma vero non posso dire di aver incontrato più di un manipolo di persone che reciprocasse il mio interesse. A riprova di questo, una di quelle volte, discutevo con un amico riguardo un mio desiderio: uscire da sola la sera tardi. Dire che ne rimase stupito è un eufemismo. “Perchè non lo fai?” mi chiese. Per un ragazzo qualsiasi uscire con il buio è banale, scontato. Egli non ha mai avuto la necessità di suddividere gli orari in più o meno sicuri. D’altro canto, io stessa, ero altrettanto stupita dal fatto che ci fosse il bisogno di spiegarglielo. Gli risposi che era pericoloso soprattutto per una ragazzina. Insisteva sul fatto che non ci fosse problema e se anche ci fosse stato, sarebbe stato pericoloso allo stesso modo per entrambi. Potrei essere violentata. Statisticamente v’è una maggiore possibilità, perfino nel caso fossimo stati insieme, che io venissi stuprata e lui pestato (sono al corrente delle statistiche sulle violenze sessuali sugli uomini: non nego il fenomeno). All’epoca non ebbi il coraggio di dirlo, ma nemmeno il fiato o la forza. Cambiare l’opinione di chi è convinto di avere ragione è un esercizio sfiancante. Lascai cadere l’argomento. Lo stesso ragazzo si definisce femminista però resta di questa idea. Questo che racconto è un episodio come tanti, la morale è ovvia. Oppure no? Approfondiamo. In un’ennesima occasione un personaggio pubblico, femminista auto-dichiarato, si espresse, durante una conferenza, sulla questione di una famosa giornalista sportiva. Quest’ultima, stanca delle continue molestie verbali che riceveva, non solo in rete, annunciò di averne abbastanza. Al che, questo signore disse che mentre lei aveva accettato il ruolo e l’oggettificazione sessuale per comodità, altre giornaliste che lui aveva conosciuto non si erano vendute in questo modo. “Se lei ha accettato di essere messa a bordo campo con dei vestiti così, con un corpo come quello…”. Quanta severità etica, ho pensato. Quando lui stesso, pochi minuti prima, aveva detto che non poteva recriminare qualcuno per aver deciso di rivestire un abito comodo invece di quello più scomodo. Ammesso che sia così per la nostra giornalista. Con tutta probabilità, ciò che intendeva dire, era che una donna del genere minava la credibilità di sue colleghe diciamo più modeste e così non le aiutava. In breve se l’era cercata e magari aveva il diritto di lamentarsi, ma senza urlare. Non è possibile dire con certezza cosa intendesse poiché non terminò il suo ragionamento. “Non voglio essere attaccato ne frainteso” si è giustificato. Il femminismo però non mina gli individui, non regola un dress-code, chiede umanità e non un rigido codice etico non pratico alla vita. Il ragionamento non era necessario a prescindere. Mi è capitato spesso di sentire uomini e donne dire che l’utilizzo del corpo per lavoro è degradante. Tuttavia non li ho mai sentiti fare lo stesso discorso per un attore, un modello o un muratore. Solamente parlando di professioni come la prostituta, la cubista o l’utero in affitto, che sono impregnati di pregiudizi negativi. Ogni lavoro possiede una sua dignità. Lo sfruttamento e l’impiego regolare non sono la stessa cosa. Nella testa di queste persone finché la donna si comporta come un uomo è cosa buona e giusta ma quando una donna fa quello che vuole in quanto donna, è giunto l’Anticristo.
Questo genere di ideologia, lo chiamo femminismo comodo. Nel titolo scrivo che è adatto a persone a cui tutto va bene finché lo vogliono. É l’ideologia di chi è inflessibile nel non considerare la dimensione altrui. Ciò che differenzia il Femminismo comodo da quello vero è una quasi voluta ignoranza di ciò che non accettiamo. Come negare l’evidenza di problemi e differenze sociali non renderà concreta la parità. Il Femminismo è personale perché riguarda tutti. Ma non è cieco: è consapevole e comprensivo. Non è dunque contro le regole la libertà dei particolari né nega quelli altrui.
Infine si può concordare che una delle più grandi misconcezioni del grande pubblico è che il Femminismo non sia attuale. Inizialmente, i primi moti femministi del secolo scorso avevano sì lo scopo di ottenere il diritto di suffragio per le donne ma anche di reclamare una tanto anelata parità tra i sessi. Attualmente solo buona parte delle donne ha diritto di voto e dinanzi alla legge gode degli stessi diritti di un uomo. Quindi adesso basta, no? No. La parità di cui parlavamo non è stata davvero raggiunta. Una buona parte non equivale all’intera popolazione mondiale; innegabile questione matematica. Avere gli stessi diritti di ogni altro essere vivente dovrebbe essere innato. Se ci si pensa: è ridicolo pensare che si sia dovuto lottare per ottenerli. Avere ancora da chiedere per una pari dignità e considerazione dovrebbe essere fuori dal mondo. Se il buon lettore non crede che sia così, ho già precisato che comprendo pienamente il perché non lo abbia notato in precedenza. Lungi da me incolpare e discolpare chiunque, questo non è un tribunale e io non mi assumo il ruolo di giudice.
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Dalla pagina facebook di AGEDO NAZIONALE
https://www.agedonazionale.org/
"L'ideologia del gender non esiste davvero. È una trovata propagandistica dei cattolici conservatori e della destra reazionaria che distorce gli studi di genere per creare consenso su posizioni sessiste e omofobe."
Si salvi chi può da coloro che, per combattere le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere, vogliono colonizzare le menti di bambini e bambine con una visione antropologica distorta, con un’azione di indottrinamento gender. Il monito l’ha lanciato, a più riprese, il mondo cattolico.
Lo ha fatto, per esempio, il cardinale Angelo Bagnasco in apertura del Consiglio della Conferenza episcopale italiana. Il Forum delle associazioni familiari dell’Umbria ha stilato addirittura un vademecum per difendersi dalla pericolosa introduzione nelle scuole italiane di percorsi formativi e di sensibilizzazione sul gender. Che si parli di educazione all’effettività, educazione sessuale, omofobia, superamento degli stereotipi, relazione tra i generi o cose simili, tutto secondo loro concorre a un unico scopo: l’indottrinamento. E anche l’estrema destra a Milano (ma non solo) ha lanciato la sua campagna “contro l’aggressione omosessualista nelle scuole milanesi” per frenare eventuali seminari “diseducativi”.
La diffusione dell’ideologia gender nelle scuole, secondo ProVita onlus, l’Associazione italiana genitori, l’Associazione genitori delle scuole cattoliche, Giuristi per la vita e Movimento per la Vita, è una vera emergenza educativa. Perché in sostanza, dietro al mito della lotta alla discriminazione, in realtà spesso si nasconde “l’equiparazione di ogni forma di unione e di famiglia e la normalizzazione di quasi ogni comportamento sessuale”. Tanto che, nello spot che ProVita ha realizzato per promuovere la petizione contro l’educazione al genere, una voce fuori campo chiede “Vuoi questo per i tuoi figli?”. Ma cos’è la teoria/ideologia gender?
La teoria del gender
Non esiste. Nessuno, in ambito accademico, parla di teoria del gender. È infatti un’espressione usata dai cattolici (più conservatori) e dalla destra più reazionaria per gridare “a lupo a lupo” e creare consenso intorno a posizioni sessiste e omofobe.
Significativa, per esempio, la posizione di monsignor Tony Anatrella che, nel libro La teoria del gender e l’origine dell’omosessualità, ci mette in guarda da questa fantomatica teoria, tanto pericolosa quanto oppressiva (più del marxismo), che si presenta sotto le mentite spoglie di un discorso di liberazione e di uguaglianza e vuole inculcarci l’idea che, prima d’essere uomini o donne, siamo tutti esseri umani e che la mascolinità e la femminilità non sono che costruzioni sociali, dipendenti dal contesto storico e culturale. Un’ideologia (udite, udite) che pretende che i mestieri non abbiano sesso e che l’amore non dipenda dall’attrazione tra uomini e donne. Talmente perniciosa, da essersi ormai insediata all’Onu, all’Unesco, all’Oms, in Parlamento europeo.
“Ma non ha alcun senso parlare di teoria del gender e men che mendo di ideologia del gender”, sostiene Laura Scarmoncin, che studia Storia delle donne e di genere alla South Florida University. “È un’arma retorica per strumentalizzare i gender studies che, nati a cavallo tra gli anni 70/80, affondano le loro radici nella cultura femminista che ha portato il sapere creato dai movimenti sociali all’interno dell’accademia. Così sono nati (nel mondo anglosassone) i dipartimenti dedicati agli studi di genere” e poi ai gay, lesbian e queer studies.
In sostanza, come spiega Sara Garbagnoli sulla rivista AG About Gender, la teoria del gender è un’invenzione polemica, un’espressione coniata sul finire degli anni ’90 e i primi 2000 in alcuni testi redatti sotto l’egida del Pontificio consiglio per la famiglia con l’intento di etichettare, deformare e delegittimare quanto prodotto in questo campo di studi. Poi ha avuto una diffusione virale quando, in particolare negli ultimi due-tre anni, è entrata negli slogan di migliaia di manifestanti, soprattutto in Francia e in Italia, contrari all’adozione di riforme auspicate per ridurre le discriminazioni subite dalle persone non eterosessuali.
“È un blob di slogan e di pregiudizi sessisti e omofobi”. Un’etichetta fabbricata per distorcere qualunque intervento, teorico, giuridico, politico o culturale, che voglia scardinare l’ordine sessuale fondato sul dualismo maschio/femmina (e tutto ciò che ne consegue, come subordinazione, discriminazione, disparità, ecc.) e sull’ineluttabile complementarietà tra i sessi.
Secondo gli ideatori dell’espressione teoria/ideologia del genere, nasciamo maschi o femmine. Punto. Il sesso biologico è l’unica cosa che conta. L’identità sessuale non si crea, ma si riceve. E il genere è una fumisteria accademica, come scrive Francesco Bilotta, tra i soci fondatori di Avvocatura per i diritti Lgbti – Rete Lenford.
In realtà gli studi di genere costituiscono un campo di indagine interdisciplinare che si interroga sul genere e sul modo in cui la società, nel tempo e a latitudini diverse, ha interpretato e alimentato le differenze tra il maschile e il femminile, legittimando non solo disparità tra uomini e donne, ma anche negando il diritto di cittadinanza ai non eterosessuali.
L’identità sessuale
Gli studi di genere non negano l’esistenza di un sesso biologico assegnato alla nascita, né che in quanto tale influenzi gran parte della nostra vita. Sottolineano però che il sesso da solo non basta a definire quello che siamo. La nostra identità, infatti, è una realtà complessa e dinamica, una sorta di mosaico composto dalle categorie di sesso, genere, orientamento sessuale e ruolo di genere.
Il sesso è determinato biologicamente: appena nati, cioè, siamo categorizzati in femmine o maschi in base ai genitali (a volte, però, genitali ambigui rendono difficile collocare il neonato o la neonata nella categoria maschio o femmina, si parla allora di intersessualità).
Il genere invece è un costrutto socioculturale: in altre parole sono fattori non biologici a modellare il nostro sviluppo come uomini e donne e a incasellarci in determinati ruoli (di genere) ritenuti consoni all’essere femminile e maschile. La categoria di genere ci impone, cioè, sulla base dell’anatomia macroscopica sessuale (pene/vagina) e a seconda dell’epoca e della cultura in cui viviamo, delle regole cui sottostare: atteggiamenti, comportamenti, ruoli sociali appropriati all’uno o all’altro sesso.
Il genere, in sostanza, si acquisisce, non è innato, ha a che fare con le differenze socialmente costruite fra i due sessi. Non a caso nel tempo variano i modelli socioculturali, e di conseguenza le cornici di riferimento entro cui incasellare la propria femminilità o mascolinità.
L’identità di genere riguarda il sentirsi uomo o donna. E non sempre coincide con quella biologica: ci si può, per esempio, sentire uomo in un corpo da donna, o viceversa (si parla in questo caso di disforia di genere).
Altra cosa ancora è l’orientamento sessuale: l’attrazione cioè, affettiva e sessuale, che possiamo provare verso gli altri (dell’altro sesso, del nostro stesso sesso o di entrambi).
Educare al genere
“Nelle nostre scuole – sottolinea Nicla Vassallo, ordinario di filosofia teoretica all’Università di Genova – a differenza di quanto si è fatto in altri Paesi, non c’è mai stata una vera e propria educazione sessuale e anche per questo l’Italia è arretrata rispetto alla considerazione delle categorie di sesso e genere. Eppure, educare i genitori e dare informazioni corrette agli insegnanti affinché parlino in modo ragionato, e non dogmatico, di sesso, orientamento sessuale, identità e ruoli di genere, a figli e scolari è molto importante perché sono concetti determinanti per comprendere meglio la nostra identità personale. E per essere cittadini occorre sapere chi si è”.
Educare al genere (come si legge nel bel saggio Educare al genere) significa, in fondo, sostenere la crescita psicologica, fisica, sessuale e relazionale, affinché i bambini e le bambine di oggi possano progettare il proprio futuro al di là delle aspettative sulla mascolinità e la femminilità.
Basti pensare, come scrivono le curatrici nell’introduzione, all’appellativo effeminato che viene usato per descrivere quegli uomini che non si comportano da “veri maschi” (coraggiosi, determinati , tutti di un pezzo, che non devono chiedere mai) e danno libero sfogo alle emozioni tradendo lo stereotipo dominante. E la scuola può (deve) avere un ruolo fondamentale per scalfire gli stereotipi di genere, ancora fin troppo radicati nella nostra società, offrendo a studenti e studentesse gli strumenti utili e necessari per diventare gli uomini e le donne che desiderano.
Educare al genere significa dunque interrogarsi sul modo in cui le varie culture hanno costruito il ruolo sociale della donna e dell’uomo a partire dalle caratteristiche biologiche (genitali). Contrastare quegli stereotipi e quei luoghi comuni, socialmente condivisi, che finiscono col determinare opportunità e destini diversi a seconda del colore del fiocco (rosa o azzurro) che annuncia al mondo la nostra nascita.
Concedere diritto di cittadinanza ai diversi modi di essere donna e uomini. E significa anche riflettere “sul fatto che le attuali dicotomie di sesso (maschio/femmina) e di genere (uomo/donna) non sono in grado, di fatto, di descrivere la complessità della realtà” sottolinea Vassallo. E dietro questa consapevolezza non ci sono le famigerate lobby Lgbt, ma decenni di studi interdisciplinari.
A scuola per scalfire stereotipi e pregiudizi
Trasmettere ai bambini e alle bambine, attraverso alcune attività ludico-didattiche, il valore delle pari opportunità e abbattere tutti quegli stereotipi che, fin dalla più tenera età, imprigionano maschi e femmine in ruoli predefiniti, granitici, e sono alla base di molte discriminazioni, è l’obiettivo del progetto Il gioco del rispetto.
Dopo la fase pilota dello scorso anno, sta per partire in alcune scuole dell’infanzia del Friuli Venezia Giulia. Accompagnato però da non poche polemiche alimentate, ancora una volta, da chi vuole tenere lontano dalle scuole l’educazione al genere. Come se possa esserci qualcosa di pericoloso nell’illustrare (lo fa uno dei giochi del kit didattico) un papà alle prese con il ferro da stiro e una mamma pilota d’aereo. Alcuni l’hanno definito “una pubblica vergogna”, un tentativo di “costruire un mondo al contrario“, l’ennesima propaganda gender, “lesivo della dignità dei bambini” e inopportuno, perché non avrebbe senso sensibilizzare i bambini contro la violenza sulle donne, “come se un bambino di 4 o 5 anni potesse essere un mostro, picchiatore o stupratore“.
Eppure, poter riflettere sugli stereotipi sessuali, combattere i pregiudizi, sviluppare consapevolezza dei condizionamenti storico-culturali che riceviamo, serve anche a prevenire comportamenti violenti e porre le basi per una società più civile.
Le esperienze italiane
Lungo lo Stivale sono diversi i progetti che si prefiggono di abbattere pregiudizi e stereotipi in classe. Per esempio, l’associazione Scosse ha promosso l’anno scorso a Roma La scuola fa differenza, per colmare, attraverso percorsi formativi rivolti a educatori e insegnanti dei nidi e delle scuole dell’infanzia, le carenze del nostro sistema scolastico in merito alla costruzione delle identità di genere, all’uso di un linguaggio non sessista e al contrasto alle discriminazioni. Da diversi anni lo fa anche la Provincia di Siena nelle scuole di ogni ordine e grado.
Così come “da un po’ di anni ”, spiega Davide Zotti, responsabile nazionale scuola Arcigay, “attività di prevenzione dell’omofobia e del bullismo omofobico sono organizzate nelle scuole italiane da Arcigay, Agedo e altre associazioni, attraverso percorsi di educazione al rispetto delle persone omosessuali”.
In Toscana, per esempio, la Rete Lenford ha coordinato una rete di associazioni impegnate in percorsi didattici contro le violenze di genere e il bullismo omotransfobico, per una scuola inclusiva. E a Roma l’Assessorato alla scuola, infanzia, giovani e pari opportunità ha promosso, in collaborazione con la Sapienza, il progetto lecosecambiano@roma, rivolto alle studentesse e agli studenti degli istituti superiori della Capitale. Apripista, però, è stato il Friuli Venezia Giulia, dove da cinque anni Arcigay e Arcilesbica portano avanti il progetto A scuola per conoscerci, che nel 2010 ha ricevuto l’apprezzamento da parte del Capo dello Stato, per il coinvolgimento degli studenti nella formazione civile contro ogni forma di intolleranza e di discriminazione.
Inoltre, il ministero per le Pari opportunità e l’Unar (Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali a difesa delle differenze) hanno elaborato una strategia nazionale per la prevenzione, rispondendo a una raccomandazione del Consiglio d’Europa di porre rimedio alle diffuse discriminazioni legate all’orientamento sessuale e all’identità di genere (nelle scuole, nel mondo del lavoro, nelle carceri e nei media). In quest’ambito, l’Istituto Beck ha realizzato degli opuscoli informativi per fornire ai docente strumenti utili per educare alla diversità, facendo riferimento alle posizioni della comunità scientifica nazionale e internazionale sui temi dell’orientamento sessuale e del bullismo omofobico. E sono stati organizzati dei corsi di formazione per tutte le figure apicali del mondo della scuola, al fine di contrastare e prevenire la violenza, l’esclusione sociale, il disagio e la dispersione scolastica legata alle discriminazioni subite per il proprio orientamento sessuale.
Da qui la levata di scudi contro l’ideologia gender che destabilizzerebbe le menti di bambini e adolescenti. Perché non solo tra moglie e marito, ma anche tra genitori e figli non si deve mettere il dito: guai a mettere in discussione la famiglia tradizionale e a istillare domande nella testa di bambini e adolescenti che abbiano a che fare con l’identità (sessuale), l’affettività o la sessualità.
Il genere come ideologia
“Se qualcuno del gender ha fatto un’ideologia è stata la Chiesa cattolica”. Non ha dubbi in proposito la Vassallo che, nel suo ultimo libro Il matrimonio omosessuale è contro natura (Falso!), ci mette in guardia dall’errore grossolano di far coincidere la femmina (quindi il sesso, categoria biologica) con la donna (il genere, categoria socioculturale), o il maschio con l’uomo: negando, in questo modo, identità e personalità a ogni donna e a ogni uomo.
“Nei secoli, infatti, la Chiesa cattolica ha costruito l’idea che uomo e donna siano complementari e si debbano accoppiare per riprodursi”. Questo, in pratica, sarebbe il solo ordine naturale possibile. “Invece, se oggi parliamo di decostruzione del genere, non lo facciamo per una presa di posizione ideologica, ma partendo dalla costatazione che, di fatto, non ci sono solo due sessi (ce lo dice la biologia, si pensi all’intersessualità), ci sono più generi e non c’è un unico orientamento sessuale: ovvero quello eterosessuale, che la Chiesa ha sempre promosso, etichettando come contro natura quello omosessuale”.
Ma la natura non è omofoba. Anzi. Nel libro In crisi d’identità, Gianvito Martino, direttore della divisione di Neuroscienze del San Raffaele di Milano, spiega (e documenta) che è un gran paradosso etichettare l’omosessualità, ma anche il sesso non finalizzato alla riproduzione, come contro natura. Ci sono infatti organismi bisessuali, multisessuali o transessuali, la cui dubbia identità di genere è essenziale per la loro sopravvivenza. Additare quindi come contro natura certi comportamenti significa ignorare la realtà delle cose, scegliendo deliberatamente di essere contro la natura.
“Inoltre, – aggiunge lo psichiatra e psicoanalista Vittorio Lingiardi, ordinario di psicologia dinamica alla Sapienza di Roma – non solo ciò che è considerato caratteristico della donna o dell’uomo cambia nel corso della storia e nei diversi contesti culturali, ma anche il concetto di famiglia ha conosciuto e sempre più spesso conosce configurazioni diverse: famiglie nucleari, adottive, monoparentali, ricombinate, omogenitoriali, allargate, ricomposte, ecc. Delegittimarle significa danneggiare le vite reali di molti genitori e dei loro figli. Ci sono molti modi, infatti, di essere genitori (e non tutti sono funzione del genere). Non lo affermo io, ma le più importanti associazioni scientifiche e professionali nel campo della salute mentale dopo più di quarant’anni di osservazioni cliniche e ricerche scientifiche, dall’American Academy of Pediatrics, alla British Psychological Society, all’Associazione Italiana di Psicologia”.
“In sostanza – conclude Lingiardi – adulti coscienziosi e capaci di fornire cure, che siano uomini o donne, etero o omosessuali, possono essere ottimi genitori. Ciò di cui i bambini hanno bisogno è sviluppare un attaccamento verso genitori coinvolti, competenti, responsabili. Una famiglia, infatti, non è soltanto il risultato di un accoppiamento riproduttivo, ma è soprattutto il risultato di un desiderio, di un progetto e di un legame affettivo e sociale”.
Simona Regina
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OBIETIVO UOMO:I SEGRETI DEL CERVELLO
VITA NUOVA , OBIETTIVO UOMO:
I SEGRETI DEL CERVELLO
Farmaci, molecole fantastiche, stimolazioni elettriche e psicologia spiritica ...
verso nuove scoperte sui meccanismi e le potenzialità del cervello.
“Gli studi dimostrano che il nostro corpo produce sostanze come le "endorfine". Queste molecole fantastiche sono in grado di sopprimere il dolore, generare euforia, modificare gli stati d'animo e il tono dell'umore.”
Il cervello, questo pianeta in gran parte inesplorato, costituito da circa venti miliardi di neuroni, decine di miliardi di cellule gliali con un numero astronomico di connessioni e capacità di reazione dell'ordine di millesimi di secondo, possiede facoltà effettive e potenziali in gran parte sconosciute e forse nemmeno supposte.
La neurobiologia afferma che il cervello è utilizzato dall'uomo in misura insufficiente e in modo irrazionale. Ai neurobiologi capita spesso di rimanere sorpresi dalle enormi potenzialità del sistema nervoso e la loro attenzione per questa struttura così importante dimostra quanto sia necessario conoscerne e identificarne i meccanismi fondamentali che determinano il passaggio e la trasmissione delle informazioni al cervello.
Le informazioni, sotto forma di impulsi elettrici, captati e trasmessi dagli organi di senso, viaggiando attraverso la rete nervosa giungono al cervello per essere elaborati e analizzati. Il loro significato è valutato mediante un confronto con le esperienze precedenti e i propri programmi genetici; il risultato di questa analisi si traduce in una reazione che vede tutto l'insieme uomo (spirito, psiche e soma) impegnato ad "agire" sull'ambiente.
Questa "azione" è il meccanismo innato dell'apprendimento, dell'adattamento e dell'evoluzione che si esplica grazie al sistema nervoso. La sopravvivenza dell'uomo e della specie è garantita da questa funzione e dal successivo sforzo di "agire", plasmando e adattando tutto l'organismo alle continue e differenti situazioni. Ma l'organismo, per poter sopravvivere, deve saper resistere e fronteggiare le frequenti sollecitazioni, istante per istante; le sue strutture (sistema nervoso, sistema endocrino, sistema immunitario e cervello) devono essere sane e pronte per garantire e preservare l'equilibrio interno (l'omeostasi) di fronte a questi continui cambiamenti.
Per l'uomo, gli stimoli psicosociali, frutto dell'interscambio e della convivenza con altri individui, con il gruppo o con le strutture sociali a cui appartiene, costituiscono i fattori più importanti nel modificare e alterare l'equilibrio.
La reazione emozionale diviene quindi il mediatore tra stimoli psicosociali e l’uomo nella sua interezza, ponendosi come causa evidente delle reazioni di adattamento al proprio ambiente sociale.
Negli articoli precedenti, abbiamo esaminato alcune cause e le relative conseguenze sull'organismo, provocate dal disordine e dallo squilibrio del sistema nervoso, il peso determinante della psiche sul soma e la necessità immediata di utilizzare tecniche precise di riequilibrio psicofisico ed energetico per ripristinare l'omeostasi dell'organismo.
Queste tecniche sfruttano le capacità stesse dell'uomo e, con l'ausilio della "volontà", possono intervenire ripristinando quel naturale equilibrio, già patrimonio dell'uomo. Abbiamo introdotto il concetto di malattia o meglio di squilibrio, dovuto in gran parte allo stress, a tensioni accumulate e mai scaricate, a blocchi energetici che interessano punti precisi, i plessi somatici responsabili del corretto fluire e dell'apporto di energia agli organi. Molto spesso le basi delle malattie sono poste dall'incapacità dell'individuo a gestire in maniera adeguata e bilanciata l'emotività.
Non sono gli eventi o i problemi della vita che favoriscono l'insorgere di malattie, ma il modo di viverli e di reagire ad essi.
In questo articolo tratteremo invece alcune malattie, comunemente classificate come psichiche, in cui l'adattamento e l'interazione tra il cervello e l'ambiente sono più continui e sottili, gli sforzi attuali della neurobiologia e della psichiatria per la cura di questi disturbi e i risultati che Vita Nuova ha finora ottenuto con l'ausilio delle tecniche di riequilibrio psico-fisico ed energetico.
Tali disturbi mentali comprendono le nevrosi (come l'ansia, la depressione, l'isterismo, in cui l'individuo è in relazione con il "mondo reale" come l'individuo normale, ma non riesce ad "agire" efficacemente su di esso) e le psicosi (fra le quali la schizofrenia è l'esempio più marcato).
Nelle psicosi il mondo dell'individuo cessa di essere quello normale, almeno per periodi di tempo assai lunghi; esso è costituito da un altro mondo in cui molti elementi sono stati creati dal soggetto stesso, composti da frammenti del "mondo reale" visti attraverso uno specchio deformante a molte facce, che appaiono all'osservatore esperto sotto forma di allucinazioni o illusioni.
Lo studioso che entra in questo tenebroso territorio si trova svantaggiato, poiché comunemente la psicologia e la psichiatria studiano un uomo senza corpo, vale a dire si preoccupano, per tutti gli aspetti del comportamento, di mettere in relazione uno stato "mentale" con uno stato "cerebrale", tralasciando le interazioni con il soma. Non considerano i molteplici segnali che il soma rilancia continuamente alla psiche, generando nuove reazioni, non posseggono ancora gli strumenti per studiare nuove soluzioni e ottenere migliori risultati.
Certamente, l'effetto di alcuni farmaci sul comportamento degli animali di laboratorio sono importanti e devono essere tenuti in seria considerazione, come i trattamenti fisici e chimici che hanno lo scopo dichiarato di "alleviare o curare" certi disturbi mentali specifici, ma la gamma dei disturbi mentali dell'uomo è incomparabilmente più ricca e complessa. Comunque, la documentazione di questi trattamenti, in gran parte messi a punto in questi ultimi decenni e somministrati anche all'uomo, non è certamente un elenco di notevoli successi, benché la farmacoterapia abbia rivoluzionato grandi settori della psichiatria.
Oggi, per fortuna, sono largamente screditate quelle tecniche che consistono nel sezionare le vie che uniscono i lobi prefrontali del cervello al resto del cervello (leucotomia) o nell'asportare ampie aree della corteccia frontale (lobotomia).
La tecnica della leucotomia è stata messa a punto negli anni trenta in ,Portogallo da E. Moniz e largamente adottata in Gran Bretagna e negli U.S.A. per tutti gli anni quaranta e cinquanta.
Nel 1949 in Inghilterra e nel Galles erano stati leucotomizzati fino a 1200 pazienti e nel 1959 il numero sfiorava ancora i 400 l'anno. Nelle indagini e dai controlli che furono eseguiti per parecchi anni, non si riscontrarono significativi miglioramenti rispetto ai pazienti non sottoposti a leucotomia. Inoltre, la perdita di una regione del cervello così importante tende a provocare un ritardo emotivo e intellettivo, diminuita creatività, egoismo, grettezza e una serie infinita di altri effetti indubbiamente dannosi.
Si tentarono nuove soluzioni e l'elettroshock resta ancora oggi il trattamento standard di alcune forme di depressione, specialmente quelle che non rispondono rapidamente alla farmacoterapia. Ma applicare un simile trattamento è come tentare di aggiustare una radio che non funziona prendendola a calci, o un calcolatore guasto escludendo alcuni dei suoi circuiti. Anche se molti accettano il valore terapeutico dell'elettroshock, altri sono dell'opinione che un trattamento così violento e grossolano, diretto a modificare le strutture cerebrali, non sia in grado di direi molto sulle basi neurobiologiche dei disturbi mentali che dovrebbe guarire.
Poi è arrivato il grande boom degli psicofarmaci che possono essere divisi in quattro grandi classi: sedativi, tranquillanti, antidepressivi e psicomimetici.I sedativi somministrati a forti dosi sono ipnotici (cioè inducono il sonno) ea dosi minori vengono usati per attenuare lo stato di agitazione, di irrequietezza e di sovraeccitazione. Con i barbiturici si entra nel regno di farmaci che possono creare assuefazione fisiologica, cioè il loro uso può alterare la biochimica del corpo e del cervello a tal punto che per il suo normale funzionamento il sistema diventa dipendente dal farmaco. Si sa che l'azione biochimica dei barbiturici interviene sul sistema ossidativo che genera l'energia cellulare e deprime sia l'attività elettrica della formazione reti colare che partecipa al ciclo veglia-sonno, sia la corteccia cerebrale.
I tranquillanti, a differenza dei sedativi, esercitano un effetto calmante, attenuando l'ansia e la tensione, senza ridurre il livello di consapevolezza, anzi alcuni possono aumentare il senso di vigilanza.
Come i barbiturici, essi sono usati in grandi quantità e sembra che sopprimano l'attività elettrica a livello dell'ipotalamo e del sistema limbico, riducono la trasmissione sinaptica del sistema nervoso autonomo e abbassano la temperatura corporea. Fra le categorie di farmaci che più hanno colpito l'immaginazione popolare e che hanno raggiunto un alto grado di diffusione, troviamo le amfetamine. Esse agiscono sulla formazione reticolare ed esplicano effetti che riproducono l'azione del sistema nervoso simpatico, accelerando il battito cardiaco e provocando una sensazione di nervosismo. Moltissimi, ne fanno un uso sproporzionato: per affrontare una cattiva giornata, per sostenere un esame, per vincere una gara sportiva o recarsi ad una festa che duri tutta la notte. Le amfetamine sembrano agire più da stimolanti che da antidepressivi; esse creano un senso di vivacità, combattendo la fatica e la sonnolenza, aumentando la sicurezza di sé e la capacità di decisione.
Pare che l'entusiasmo dei medici sul loro uso si sia in questi ultimi tempi raffreddato.
I rischi potenziali della psicofarmacologia sono notevoli perché l'uso di questi proiettili chimici per modificare l'umore, il comportamento, indurre il sonno o uno stato di euforia, provocano dipendenza, tossicità, il totale annullamento della volontà, la soppressione elettrica di alcuni importanti apparati del cervello. I sistemi naturali di riequilibri o vengono alterati, a volte annullati o compressi a tal punto che l'individuo stesso diviene indifferente allo sforzo e così, inibito ad "agire", reprime quella funzione di adattamento, apprendimento, sviluppo ed evoluzione che dovrebbe essergli propria. Purtroppo il quadro dell'attuale situazione non offre soluzioni confortanti e immediate e anche l'ambito della psicologia, cosiddetta scienza dell'anima, è diviso e frammentato in scuole diverse in disaccordo fra di loro sulle cause, i metodi e le terapie per la cura dei disturbi mentali.
Ma c'è un nuovo spiraglio, una ritrovata speranza grazie alla Psiconeuroimmunologia, una nuova scienza medica che studiando le interazioni tra psiche e soma ha fatto delle interessanti scoperte.
La personalità è costituita dall' intelligenza, dalla memoria, dalla capacità creativa e genera il comportamento, anzi quest'ultimo è la personalità in "azione", la personalità che si realizza, che fronteggia la vita.
Sarà un comportamento equo, equilibrato, capace di affrontare gli stress, le ambiguità, le sventure, se la personalità è forte, incisiva, colta, capace di fare buon uso dei problemi della vita, di ricaricarsi, di auto criticarsi, di rivedere i propri programmi, desideri, traguardi. La reazione alle situazioni della vita può essere di due tipi: la prima è caratterizzata da sconforto, da pena, da malessere ed è contrassegnata da un aumento dell'ormone ACTH che a sua volta fa aumentare il cortisone; la seconda è caratterizzata da una pronta risposta operativa, di autocritica, di rivalutazione delle cause ambientali e personali che hanno determinato l'evento stressante. In tal caso aumenta un ormone, "l'endorfina", che dà sicurezza, stima di sé, ottimismo, voglia di vivere.
Se l'uomo imparerà a far buon uso dello stress, sarà meno soggetto a malattie psicosomatiche, avrà meno paure, meno nevrosi, meno aggressività e violenza. Gli studi dimostrano che il nostro corpo produce sostanze come le endorfine solo se il comportamento è equilibrato e in "azione", permettendo a queste molecole fantastiche di circolare nel nostro cervello, nel midollo spinale e nel sangue. Esse sono in grado di sopprimere il dolore intervenendo sul sistema nervoso centrale e periferico, nella digestione, sul sistema endocrino e sull'apparato riproduttivo, generano euforia, modificano gli stati d'animo e il tono dell'umore.
Fra le numerose ricerche sul cervello, probabilmente le più interessanti sono quelle sulle stimolazioni elettriche cerebrali. In una serie di brillanti ricerche sperimentali, che nel 1949 gli valsero il premio Nobel, Hess dimostrò che la stimolazione elettrica di specifiche strutture nervose nel gatto è in grado di influire sulle funzioni autonome, posizione, equilibrio, movimenti, sonno, re, rabbia, mettendo per la prima volta in luce la possibilità di indurre in questo modo manifestazioni psichiche come l'aggressività.
Tecniche più sofisticate hanno dimostrato scientificamente che se inviamo impulsi elettrici nel cervello di un animale, non solo siamo in grado di influire sulla motilità degli arti, sulle funzioni degli organi interni, su tatto, vista, olfatto, ma possiamo anche modificare l'umore, provocando sensazioni di ira, paura, piacere. José Delgado, che ha fatto largo uso di questo metodo, ritiene che le ricerche correnti portino alla conclusione che i movimenti, le emozioni e il comportamento di un animale e probabilmente di un uomo possano essere comandati mediante energia elettrica.
Alcune tecniche impiegate sugli animali sono state riportate sull'uomo a scopo terapeutico. Attualmente la microchirurgia è in grado, con l'ausilio di particolari attrezzature di raggiungere senza alcun danno per il paziente, qualsiasi area cerebrale con sottili elettrodi e lasciarveli per giorni e settimane. Questo procedimento non solo consente di localizzare la sede da cui si dipartono alcuni
disturbi causati da malattie del sistema nervoso, ma anche di influire favorevolmente su alcune malattie organiche e psichiche ribelli ad ogni altro trattamento quali, ad esempio, alcune forme di epilessia, alcune forme spastiche, alcuni disturbi del comportamento. A questo proposito è utile ricordare che su una rivista americana (Psychology Today) di qualche tempo fa è apparsa una notizia sensazionale che riguarda proprio la stimolazione elettrica di un centro di controllo del dolore in un'area minuscola in mezzo al cervello.
Anche se i ricercatori non hanno ancora capito fino in fondo come agisca questo centro, i medici sono in grado di stimolarlo con scariche elettriche facendogli liberare "endorfine", alleviando così i dolori cronici.
E ciò è proprio quello che è successo a Dennis Hough, infermiere nel reparto psichiatrico di un ospedale americano: nel 1976 fu colpito alla schiena da un paziente con tale violenza da ritrovarsi con tre dischi vertebrali fratturati. Cinque anni più tardi, dopo due operazioni fallite, Hough era costretto a letto, con dolori lancinanti e continui alle gambe, alla schiena e alle spalle, e soffriva di una depressione che l'aveva spinto sull'orlo del suicidio. Proprio allora i medici stavano sperimentando per la prima volta una tecnica di impianto di elettrodi nel cervello; Hough si sottopose all'impianto e mediante un segnale radio da una trasmittente collocata nella cintura, egli può ora stimolare quattro volte al giorno la produzione di endorfine. Molti sono gli esempi di strumentazione elettronica che consentono di mantenere in funzione alcuni meccanismi fisiologici essenziali come i pacemaker e gli organi artificiali che sfruttano proprio le leggi dell'elettricità e del magnetismo alle quali sottostà anche il nostro corpo.
Ricordiamo ai nostri lettori che una ampia trattazione in materia è stata pubblicati nei numeri 57 e 58 della rivista e che la Psicobiofisica ha già approfondito e sperimentato da tempo ciò che la microchirurgia e la neurobiologia stanno ora incominciando a scoprire. Le sue ricerche provano che la rete del nostro sistema nervoso è percorsa da correnti elettriche, che in obbedienza alle leggi di Ampère, producono campi magnetici circolari e concatenati. Tali campi magnetici oltrepassano la frontiera esterna dell'epidermide e investono anche i circuiti nervosi degli altri individui.
Se si vuole quindi attribuire la giusta causa fisica alle forze che scaturiscono dall'interno dell'uomo, come esige il rigore scientifico, bisogna anche considerare queste radiazioni elettromagnetiche che sono ormai una realtà comprovata.
L'intero sistema nervoso si dirama in ogni parte del corpo e innerva tutti gli organi di senso, di moto, vegetativi centrali e periferici azionandoli e regolandoli con correnti elettriche. Da ciò si deduce che la malattia implica una disfunzione elettrica e che si possono ristabilire le normali funzioni, cioè la salute, in due modi diversi: assumendo dei farmaci oppure facendo variare le correnti elettriche nervose che vanno ad eccitare le ghiandole periferiche, in modo da accelerare o ritardare la secrezione chimica di ormoni, vitamine, anticorpi, atomi o· molecole diverse. l nostri medici spirituali sostengono che il rimedio sta dunque nell'agire sul legame psiche-fisico che racchiude e invia, se sollecitato nel modo giusto, la sostanza adatta nel momento adatto.
"Non è al di fuori dell'uomo, ma nell'uomo e nella natura che lo circonda e di cui fa parte, che si possono reperire le migliori medicine. Medicine di natura bioplasmatica quando occorre agire soltanto sui plessi e gli organi fisici non sono stati ancora intaccati o logorati; medicine di origine vegetale o animale quando occorre mettere la classica "pezza"! Sempre che non sia troppo tardi. Questo per puntualizzare, se fosse necessario, che gli interventi dei medici spirituali non saranno mai miracolosi, ma risulteranno "correzioni" di certi processi naturali male incanalati. Ciò in special modo per quanto riguarda la "psicologia spiritica" che tenderà ad indirizzare le forze del paziente, traendole da canali sbagliati e incanalandole nel giusto modo; sostituendosi per il tempo necessario a forze affievolite e logorate da modi di pensare e agire errati, lo psichiatra spirituale non farà che istruire, quasi addestrare, affinché almeno certi comportamenti errati basilari vengano corretti.
Le conoscenze a disposizione dei medici spirituali non sono che il risultato di una più approfondita conoscenza delle leggi che regolano la natura e su queste si basano.
Il sistema nervoso dell'uomo, in special modo quello che regola i movimenti e i processi involontari, il sistema simpatico, è il perno sul quale i medici spirituali possono agire sia come mezzo di interscambio sia come canale energetico
attraverso il quale indirizzare certe forze".
Alle tecniche di riequilibrio psicofisico ed energetico che si studiano e si praticano a Vita Nuova, si aggiunge il trattamento con "passi energetici" che l'operatore esperto applica sostituendosi per un momento alla volontà debole o bloccata del soggetto accelerando i naturali processi di scarico alterati da un eccesso di tensioni, scaricando l'accumulo di corrente della rete e dei plessi somatici per garantire e ripristinare il normale scorrimento dell'energia agli organi. Per naturali processi di scarico si intendono quei meccanismi che consentono, attraverso il riposo, il sonno, il rilassamento di scaricare con un atto della volontà naturale, i conflitti psichici razionali e irrazionali.
l farmaci, inibendo l'attività del sistema nervoso e comprimendo il soma con processi innaturali, alterano il delicato equilibrio di questo meccanismo agendo sulla volontà nel modo opposto, cioè escludendola e bloccando le energie nei canali energetici principali dato che calmano, quasi addormentano la mente o meglio la parte del sistema nervoso che ne regola i meccanismi.
Quale rimedio-prevenzione invece suggerisce la psicologia spiritica sulla base delle conoscenze e delle esperienze fin qui raggiunte? Favorire i naturali processi di scarico orientando il pensiero in modo da affrontare con la dovuta calma mentale ogni problema si presenti e controllando il più possibile le proprie emozioni, non soffocandole, ma impedendo che coinvolgano con le loro scariche energetiche il fisico.
Attuare quelle tecniche di respirazione e rilassamento che aiutano a mantenere percorribile la rete nervosa. Educare e orientare la volontà ad esprimersi, in modo che la mente, invece di seguire schemi, di rielaborare dati visti in modo unilaterale, si apra al confronto e lasci alla volontà, attributo della personalità spirituale, spazio sufficiente per giungere veramente a mettere in atto il libero arbitrio.
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Il potente mix di fine lockdown e pulsioni primaverili ha riversato un fiume di gente all'aperto, che è una cosa bella a parte qualche evidente difficoltà di interpretazione del galateo della mascherina. Fatti salvi quelli decisi in entrambi i sensi (chi se la tiene sempre su e chi se la tiene sempre sul gomito) resto sempre affascinato dagli indecisi, tipo quelli che quando li incroci se la toccano senza tirarsela su come si faceva col bavero del cappello, un cenno di rispetto di interesse antropologico inversamente proporzionale all’utilità sanitaria.
Comunque, stupendomi da solo mi sono inerpicato un paio di volte su per i leggendari colli bolognesi e nei tratti stradali percorsi la dislocazione dei pedoni sulla carreggiata mi ha fatto un poco rotolare i maroni a valle.
Il mio innato ottimismo mi fa sperare che sia solo un problema di nozioni non pervenute, andremo quindi a provare a colmare queste lacune.
"Nuovo codice della strada", d.l. 30 aprile 1992 n. 285 e successive modificazioni.
TITOLO V - NORME DI COMPORTAMENTO
Art. 190. Comportamento dei pedoni.
1. I pedoni devono circolare sui marciapiedi, sulle banchine, sui viali e sugli altri spazi per essi predisposti; qualora questi manchino, siano ingombri, interrotti o insufficienti, devono circolare sul margine della carreggiata opposto al senso di marcia dei veicoli (...) Fuori dei centri abitati i pedoni hanno l'obbligo di circolare in senso opposto a quello di marcia dei veicoli sulle carreggiate a due sensi di marcia (...)
Ovvero: se sei a piedi su una strada priva di marciapiede dovresti camminare tenendo la sinistra.
Ma capisco che il mero riferimento giuridico possa essere quasi controproducente in un contesto culturale che vuole l’individualismo affermato a tutti i costi. Chi è lo stato per dirmi da che parte della strada devo stare? Suona come un’ingerenza altamente lesiva dei miei diritti costituzionali.
Tenteremo quindi di chiarire il senso profondo di questa norma. Il legislatore ha tenuto conto di un contesto normativo in cui i veicoli sono obbligati a circolare tenendo la destra e un contesto fisiologico in cui i bulbi oculari degli esseri umani sono genericamente installati sulla parte frontale del viso e non sulla sulla nuca, arrivando empiricamente alla conclusione che tenersi in un lato in cui si possa vedere un veicolo in potenziale rotta di collisione fornisca al pedone qualche margine di manovra aggiuntivo rispetto al quadro sensoriale tardivo fornito dai meccanocettori delle proprie chiappe.
L’università di Stantufford ha poi confermato l’ipotesi con una serie di studi sull’allineamento rispetto all’asse stradale delle nutrie stirate sulle statali della bassa.
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Danza dell'Accoppiamento nei Nematodi: tra Desiderio Innato e Strategie di Sopravvivenza
ESP version ENG version In un mondo non più grande di una goccia d'acqua, si svolge un dramma d'amore che sfida le nostre concezioni di desiderio, attrazione e sopravvivenza. I nematodi, minuscole creature spesso ignorate nella vastità della biodiversità terrestre, nascondono segreti che potrebbero rivelare molto più di quanto immaginiamo sul mistero dell'evoluzione sessuale.
Nel silenzioso laboratorio di un biologo, le scintille volano in modo inaspettato. Le femmine di nematodi, seguendo un irresistibile richiamo olfattivo, si lanciano in una ricerca appassionata dei loro compagni. Questa danza inizia con un'attrazione guidata dall'olfatto, portando la femmina direttamente verso il maschio. Al contatto fisico, avviene qualcosa di straordinario: la femmina si ferma, apre la vulva e, in pochi istanti, l'accoppiamento è completo e lei è incinta. Questa efficacia è stupefacente, evidenziando una spinta innata e potente verso la riproduzione. In pochi istanti di contatto, la vita nuova è già in cammino - un incontro rapido, ma trascendentale.
Tuttavia, il regno dei nematodi riserva ancora sorprese, specialmente quando osserviamo gli ermafroditi. Questi, anatomicamente simili alle femmine e dotati della capacità di autofecondarsi, mostrano un disinteresse iniziale verso l'accoppiamento. Solo quando la loro scorta interna di sperma si esaurisce, il loro comportamento cambia drammaticamente, dando inizio alla ricerca del partner maschile. Questo cambio di comportamento esprime comportamenti femminili latenti di accoppiamento, rivelando una flessibilità comportamentale innata e una sofisticata strategia di sopravvivenza evolutiva.
La comprensione dei rituali di accoppiamento dei nematodi potrebbe aprire nuove porte alla comprensione dei meccanismi genetici che guidano l'attrazione tra gli organismi. Queste scoperte non solo gettano nuova luce sull'evoluzione delle strategie riproduttive ma svelano anche la sorprendente complessità comportamentale di questi esseri microscopici.
In un'epoca in cui la scienza continua a svelare l'incredibile complessità della vita in ogni suo angolo, i nematodi ci ricordano che anche le storie più piccole possono contenere le risposte ai quesiti più grandi dell'esistenza.
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Relativamente Breve Bollettino Bioetico
Dal momento che ognuno deve mettere le proprie competenze a servizio della società, questo è un bollettino bioetico sulla questione COVID-19 in Italia. La lettura non è ostica ma potrebbe essere indigesta per chi lavora in ambito sanitario perché i benefici sanitari costituiranno solo alcuni dei ciottolini metafisici che gravano sull’ago della bilancia filosofica dei pro e dei contro.
Prima di concentrarci sul particolare diamo un rapido sguardo al generale: in Paesi in cui la popolazione conduce uno stile di vita che già include un distanziamento sociale innato e in cui indossare mascherine in pubblico non costituisce una novità - parliamo quindi delle aree orientali con un ottimo livello di sviluppo - la situazione sembra contenersi a prescindere dalla rigidità delle misure intraprese. In Europa, molti Paesi, pur avendo subìto il contagio successivamente all’Italia, sono già riusciti ad abbattere e mantenere il numero di nuovi casi giornalieri sotto al 20% rispetto al momento del picco, passando così con maggiore sicurezza alla sperimentazione della fase 2. In Italia, ieri abbiamo toccato per la prima volta un dato inferiore al 30%. Buona parte della differenza, come già si è visto, la fa la prevenzione, se non della malattia, del contagio. Chi più effettua tamponi, traccia ed isola i positivi (sintomatici o meno che siano) più ha capacità di gestire l’epidemia. Tenetene conto quando penserete di non scaricare un’app per timore di fornire i vostri dati, perché potreste perdere - e far perdere - libertà di gran lunga maggiori della privacy rimanendo passivi in un processo di tracciamento che, va detto, è già abbastanza in ritardo di suo. “Whatever works”, direbbe Woody Allen.
La questione ovviamente non è così semplice, il sistema sanitario italiano ha dimostrato i suoi limiti e ha dovuto sopperire a questi prima di potersi impegnare in una strategia di contenimento. Sarebbe stato come pensare ad un contrattacco mentre si batte ritirata, nessuno si aspetterebbe tanto da un governo che storicamente ha dimostrato la sua impreparazione anche in situazioni meno straordinarie. Questo passaggio però è venuto a mancare anche quando il quadro ha iniziato a stabilizzarsi: non si è mai passati realmente dalla fase in cui si dice alla popolazione cosa fare (e, soprattutto, cosa non fare) a quella in cui si annuncia invece cosa faranno le stesse istituzioni per consentire ciò che viene impropriamente chiamato “ripristino della normalità”. Semplicemente si stanno ridistribuendo diritti un po’ per volta ed indistintamente, lasciando alle regioni facoltà di moderare o irrigidire i decreti pur non essendo queste delle autorità scientifiche, quindi ci si può aspettare che regolino le proprie decisioni in base alla loro popolarità oltre che alle idee soggettive dei rispettivi presidenti, che mai prima di oggi avevano avuto un potere così esteso, e che soprattutto comportasse tanta responsabilità. L’eterogeneità delle misure a seconda delle peculiarità dei territori è una scelta doverosa proprio per garantire l’omogeneità dei risultati ed essere più stringenti laddove non si abbia scelta, ma così facendo si ha il risultato opposto.
Questo modo di scaricare le responsabilità prima sulle regioni, poi sui cittadini che non ottemperano ai divieti, ha creato un clima da guerriglia in cui chi esce si sente minacciato, e non raramente le persone si sono sentite autorizzate a sostituire la legge nel redarguire runner o semplici operatori sanitari che si trovavano a dover citofonare innescando i sospetti di chi per noia passa le sue giornate al balcone. La gravità della situazione ha innescato una diffidenza che non scomparirà alleggerendo la morsa del lockdown. Anche se oggi non lo percepiamo nel nostro tessuto sociale, sostanzialmente perché il nostro tessuto sociale è temporaneamente sospeso, sono già nati nuovi livelli d’emarginazione. Mentre in molti Paesi è stato raccomandato di uscire per prendere un po’ d’aria e fare esercizio all’aperto in Italia è stata imboccata la via più irta, e pur non essendo un dottore in medicina sono certo di ciò che asserisco quando scrivo che questo non è stato fatto tanto per il pericolo che rappresenta una passeggiata di un’oretta da soli, ma per la considerazione di cui, tristemente, gli italiani godono, ovvero quella di furbetti che spesso vantano anche questa nomea facendosi cattiva pubblicità e dimenticando come “farabutti” sia un sinonimo adeguato.
Inutile sottolineare come la maggior parte degli italiani stia seguendo i decreti e le raccomandazioni al massimo delle sue capacità umane ed intellettive, tuttavia questo passaggio rivela l’importanza del tema etico che ha portato alla vera discriminante tra la condotta politica italiana e quella internazionale, ovvero la predilezione al controllo dell’individuo che potrebbe trasgredire piuttosto che elaborare una strategia che non solo preveda ma includa l’eventuale trasgressore. La colpevolizzazione dei soggetti ha connaturato una regola biblica che vede tutti portatori di un peccato originale; quella che è stata chiamata “caccia all’untore” è in realtà una proiezione di chi vuole sentirsi parte della soluzione, e questa è l’unica soluzione che è stata fornita: l’autocontrollo, la censura della pubblica manifestazione fisica di sé stessi.
Tutti subiscono lo stress di questo comportamento appreso, che siano “guardie” o “ladri”, ma in questo trambusto c’è chi ha le capacità per gestire al meglio le ferree linee dettate dall’alto, perché ha i mezzi emotivi e culturali per farlo e i passatempi casalinghi costituiscono già buona parte della sua vita. I giovani di tutte le età, eppure bisogna considerare che a pagarne le conseguenze sono e saranno principalmente loro, non solo per la perdita di opportunità formative e professionali che vivono nel presente, ma perché questo è di fatto il loro sacrificio per salvaguardare le generazioni più deboli, che in questo momento storico di benessere diffuso costituiscono grandissima parte della popolazione. Secondo i dati a disposizione oggi il tasso di mortalità di chi ha meno di 30 anni è dello 0,1% e non si alza di molto anche arrivando ai 40 anni di età. Attenzione, questi numeri non dimostrano la poca pericolosità del virus, dimostrano che c’è una classe politica che appartiene alle generazioni più vulnerabili che prende decisioni per chi dovrà saldare il conto in un futuro molto prossimo.
Le facili previsioni di una profonda crisi economica che colpirà di più chi già è in difficoltà lasciano prospettare tre punti che andrebbero messi maggiormente in evidenza: chi dovrà ricostruire questo Paese dovrà farlo lavorando; l’accesso al mondo del lavoro sarà più difficile perché si dovranno ricreare posti di lavoro in una situazione economica a rischio per quelli già esistenti; l’Italia perderà molta forza lavoro (giovani in cui ha investito per l’educazione e la salute) perché molti, giustamente, non saranno disposti a questo sacrificio e cercheranno una vita migliore altrove.
Da questi tre fattori dipendono più vite di quante ne dipendono dall’epidemia, perché i “portatori sani” di una crisi del genere sarebbero pochissimi. Ed in questo purtroppo devo aprire un capitolo a parte perché c’è una criticità che già condiziona pesantemente l’Italia dal punto di vista culturale e sociale, andando poi a riflettersi, con risultati disastrosi, alle urne: il problema del Mezzogiorno. Le regioni del sud Italia ne uscirebbero devastate. Sappiamo che queste non sono previsioni catastrofiche perché abbiamo già visto avvenire tutte queste cose e molte persone - incluso chi scrive - non hanno mai avuto la reale possibilità di scegliere di costruire una vita professionale nel luogo in cui sono cresciute. Permettendomi di generalizzare per ragioni di sintesi, un nord Italia che lamenta di dover fornire sostentamento al sud Italia perché spesso dimentica che la propria forza lavoro è costituita da milioni di persone del sud Italia, e mentre l’iniziale indifferenza europea avrebbe dovuto far sviluppare una riflessione del genere in merito, è praticamente certo che, al contrario, la profonda spaccatura economica italiana che nascerà ne vedrà anche una sociale, alimentata dalle correnti populistiche che infamano gli ultimi additandoli come ladri e perdigiorno quando la differenza tra chi vive in un’area povera e chi in una ricca del mondo è, principalmente, che chi vive in quella povera deve lavorare dieci volte tanto per ottenere dieci volte meno, il tutto senza alcuna tutela per egli stesso e senza alcuna reintroduzione di liquidità nel sistema stato.
La povertà priva del lavoro, della salute, dell’istruzione e dell’integrazione, ed il primo compito di un governo dei giorni nostri è di combattere la povertà. Se può sembrare materialista scrivere queste parole in un momento d’emergenza pandemica, basti ricordare che un Paese povero non può avere i mezzi per combattere un’altra emergenza pandemica, quindi a volte ci si trova nella spiacevole situazione di dover fare un’amputazione per salvare un corpo.
La soluzione quindi è non correre ai ripari dalla pandemia? Tutt’altro, ma la scelta tra libertà e salute a favore della seconda deve essere solo iniziale, poiché rappresenta una precauzione essenziale per dare il tempo alle istituzioni di fronteggiare la pandemia in prima persona. Quando la seconda parte viene meno e ci si limita a chiedere a tutti di fare la propria parte, chiamando anche questa repressione “modello Italia”, raccontando come il mondo ci invidi questo modello che, in concreto, non ha ancora una sua struttura, la popolazione inizia a sospettare un bilancio infelice tra costi e benefici, e si chiede se non abbia solo rimandato l’inevitabile, perdendo così anche le capre insieme ai cavoli. Il peggior scenario che possa avvenire infatti è che le libertà inizino ad arrivare, seppure solo col contagocce, prima, e non dopo, una reale svolta nel controllo della pandemia.
In tutto questo dall’alto non ci si fa carico dell’andazzo claudicante della nostra macchina, così, per non ammettere che ci sia una gomma forata, nessuno ci mette una toppa. C’è una ragione se tra i meccanici non ci si avvale di esperti di comunicazione e tra politici sì, e questa ragione è che “il fare” rappresenta solo un terzo del lavoro di un politico, l’altro terzo è rappresentato dal “raccontare” (il primo terzo dal “promettere”, ma sono certo che questa parte sia già abbastanza nota), e in tutte queste dirette ridondanti su facebook e in tv chi ascolta è stato consolato in modo quasi lezioso, e sebbene vivendo una situazione di precarietà e disagio può trovare rassicurante sentire che andrà tutto bene se ci si comporta bene, questo modo infantile e paternalistico di gestire la faccenda non può trovare un accoglimento duraturo.
Chi si è ammalato (di qualsiasi malattia) sa bene che la paura più grande è generata dal non sapere perché non si sta bene, più che non dal non star bene in sé, che costituisce invece perlopiù un fastidio, come appunto lo stare in casa. In questo momento il Paese è ammalato, e sarebbe stato disposto ad accogliere esiti spietati se qualcuno gli avesse presentato un piano, oppure se non glielo avesse presentato e gli avesse spiegato come mai, ma palesando che un problema c’è. Non sono stati fatti tamponi, si faranno? Non si può? Perché, che problemi ci sono? È meglio di no perché l’ha suggerito una task force scientifica che se ne assume quindi la responsabilità? Ci sono problemi di personale? Stiamo facendo qualcosa per risolverli? Invece, persino nelle situazioni in cui le testate giornalistiche ponevano quesiti via etere, si è discusso quasi esclusivamente dei cittadini, dei loro diritti e doveri, spesso dando date a caso, perché alle date dovrebbero precedere i risultati. C’è uno smarrimento quotidiano che richiede energie, a chi cerca di capire le regole e a chi le fa, per stabilire dove e se si può correre o bere il caffè, con chi, a che distanza. Sarebbe auspicabile che le stesse energie - almeno le stesse - fossero indirizzate verso il problema in quanto tale. Al momento siamo a bordo di un’auto senza freni, e preoccuparsi della manutenzione equivale a preoccuparsi delle vittime che sicuramente mieteremo durante il percorso, dato che rallentare all’infinito non costituisce un’opzione sostenibile.
Mostrare un immediato interesse per le vittime e una preoccupazione per la tragedia che sta avvenendo intorno a tutti è una capacità umana di cui beneficiamo tutti. È richiesta qualche capacità in più, per far fronte non solo all’emergenza pandemica ma a tutte le prove che ne seguiranno, e queste capacità partono dal presupposto di essere umili ed ascoltare non solo il parere scientifico (e magari un giorno anche quello filosofico, chi può dirlo) dei consulenti, ma di seguire le nazioni meritorie, di informare con onestà e schiettezza, di prendere decisioni impopolari ed operare delle discriminazioni laddove ci siano discriminanti, di cambiare strategia in corso d’opera e non essere di coccio, il resto è mettere la propria immagine prima del proprio operato, per dirle con parole più forti, ma giuste: prima della vita di tutti gli altri.
L’umiltà non è un’innata caratteristica umana, l’umiltà è solo coraggio. Coraggio di mostrarsi per come si è. Di essere onesti con sé stessi e quindi con gli altri. Se è proprio nei momenti di difficoltà che si può essere coraggiosi, mi rendo conto che non è facile, né è richiesto in grandissima parte delle mansioni umane. Stavolta sì, questo coraggio è parte integrante ed indispensabile del compito e vale più degli sforzi di tutti gli italiani insieme, per la semplice ragione che ne rafforzerebbe il senso e alimenterebbe la volontà.
Colgo l’occasione per mettere a segno una leggera e canzonatoria stoccata, invitando a maturare una riflessione introspettiva chi ci ha a sua volta invitati ad approfittare dell’occasione del lockdown, a vederlo come una possibilità per cercare una sorta di crescita spirituale, per ragionare sulle nostre vite. Ecco, piuttosto credo che questa emergenza sia un’opportunità per gli uomini politici di riflettere e adottare un modello comportamentale che non dovrebbe essere straordinario, ma quotidiano.
Ma questo lo spiegherà meglio Adriano, mio amico di lunga data che oggi è un operaio non assicurato. Al giorno di paga Adriano si sentì dire di dover aspettare ancora un po’, di stare tranquillo e godersi la vita, di cui le cose importante sono altre: gli affetti, la salute, le passioni. Non certo cento euro arretrati di qualche mese. Adriano rispose: «Ma non ti preoccupare, a me è tutto a posto, tu fai il tuo». Ecco. Grazie del pensiero, noi stiamo bene.
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comunque per me la morte dell'innocenza è stata rendermi conto tangibilmente di come non ci sia niente di intrinseco nelle persone se non gli istinti e i bisogni primitivi, non ci sia una qualche affetto innato e sforzo verso il bene nei legami di sangue, verso le persone che generi, ma solo reazioni inconsce, condizionamenti, la stupidità di scaricare sugli altri le proprie tensioni, ferite, la propria visione ristretta del mondo e dei rapporti. mai il mettersi in dubbio, il chiedersi se quello che si sta facendo stia ferendo gli altri o no, stia portando qualcosa at all, mai il pensiero di cambiare. non c'è nessun affetto innato e l'amore é un comportamento complesso, da insegnare. forse questa è mia visione estrema, non so neanche se è giusta, forse non c'è niente di estremo perché il mondo continuamente riconferma tutto questo. è stata solo una morte rendersi conto che i tuoi genitori sono stupidi e feriti e non sanno amare, non cambieranno per te o i tuoi fratelli e neanche vogliono perché non si rendono conto di quanto sono stupidi e feriti, e va bene così. alla fine è una morte benevola e necessaria, rompi un rapporto che non ha nessun significato intrinseco e capisci l'importanza di tirare fuori quello che tu hai di buono, un po' di responsabilità un po' di libertà
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Critiche
Spesso ho difficoltà a cogliere certe dinamiche della nostra società, ritrovandomi a fare l'osservatore del come la gente vive. Per questo vi assicuro che, nonostante non mi senta a mio agio in tante situazioni, ho riflettuto molto riguardo i diversi modi di agire delle persone, specialmente quelli più generali e facilmente individuabili.
Una cosa che mi ha sempre fatto pensare è, ad esempio, l'atteggiamento negativo che molte persone hanno nel momento in cui qualcuno valorizza il proprio fisico, specialmente mettendosi in mostra. E non parlo solo di ragazze, spesso le più bersagliate da certi commenti, ma anche di ragazzi attenti alla loro forma fisica. In un gruppo qualcuno sarà sempre pronto a criticarli, partendo dal presupposto che se curano il loro aspetto esteriore, o il loro modo di vestire, saranno per forza delle persone superficiali.
Questa potrebbe essere una semplice manifestazione di invidia verso chi si presenta meglio di noi sul piano estetico, tuttavia esistono anche molti altri modi per criticare le persone : chi sta in disparte è uno sfigato; chi lavora tanto pensa solo ai soldi; chi lavora poco è un lavativo; chi è equilibrato non è interessante, non è né carne né pesce; chi è sovrappeso non ha voglia di dimagrire; chi è troppo magro ha problemi. La cosa strana, e a dirla tutta un po' triste, è che qualunque comportamento o aspetto si possa criticare ha in sé qualcosa di positivo che viene però ritenuto insignificante, poiché a volte risulta più naturale guardare il peggio di ciò che si ha di fronte. Chi guarda solo il meglio, infatti, potrebbe finire per non poter criticare gli altri ma odiare sè stesso, non sentendosi mai abbastanza : sono poche le persone così, e spesso sono anche piuttosto vulnerabili non adottando il sistema difensivo della critica.
Sembra sempre logico pensare che la perfezione e gli estremi non sono di questo mondo, ma la disparità fra persone, totale o parziale che sia, ci mette comunque estremamente a disagio e offusca il nostro primo giudizio. Mi dispiace un po' dirlo, ma sono convinto che per noi persone, proprio a causa di questo innato bisogno di prestigio sociale, la prima impressione sia quella più importante. Sembra assurdo, decisamente superficiale, ma anche quando passiamo tanto tempo con una certa persona (e magari riusciamo a ricrederci riguardo alla sua natura) ricordiamo sempre il primo momento in cui abbiamo espresso un giudizio, e nonostante non ce ne rendiamo conto questo ci influenza per motivi che hanno radici profonde in noi, magari per qualcosa che ci è accaduto in passato.
Ma la critica, o il primo giudizio, non viene sempre espressa : a volte viene taciuta al diretto interessato, ma rivelata a qualcuno vicino a noi che speriamo condivida la nostra opinione. E c'è anche chi, stanco di tutto e tutti, alla fine finisce per criticare chiunque e nessuno, sostenendo che siamo tutti la stessa cosa, bene e male mischiati, che piaccia crederlo oppure no. Il motivo, però, è sempre e solo volersi sentire più in alto degli altri.
È vero : certamente non si sfugge dal come si è, ed accettarsi significa accettare le critiche che provengono dagli altri o direttamente da noi stessi per migliorarsi, ma non è mai né facile né automatico riuscirci. Magari è per ragioni come questa che si inizia a criticare insistentemente chi ci sta intorno. L'esempio lampante lo avete qui davanti : io, forse come tanti altri, sono ancora lontano dal raggiungere la completa sicurezza ed accettazione di me stesso. Questo post vuole essere, dunque, un appunto per voi e per me, dedicato generalmente a chiunque voglia ragionare sul come è adesso, chiedendosi se è il caso di cambiare, almeno un po', il proprio atteggiamento.
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Questione di priorità
L’essere umano, vuoi per sua natura vuoi per innato sadismo, tende a prestare maggiore importanza a chi non ricambia con la stessa intensità.
Questo porta l’uomo in uno stato di incertezza, verso le proprie capacità di giudizio ma soprattutto di comportamento; tenderà a chiedersi se ad essere sbagliato sia lui, facendo emergere insicurezze che andranno a intaccare gli altri rapporti sociali.
Ciò che l’uomo dovrebbe proporsi è effettuare una prima analisi dei comportamenti altrui e identificare per ognuno una fascia di importanza più o meno alta. Sarebbe come un piccolo esperimento di laboratorio: se a piccoli input vi è scarsa reazione, allora li si può relegare in fondo alla lista, altrimenti si continua a valutare fin quanto oltre ci si può spingere.
Dare eccessiva importanza a chi non l’apprezza porta all’allontanamento dell’uomo dai reali affetti, con il rischio di una conseguente perdita; gli umani sono esseri impazienti, non aspettano in eterno. Tutto questo per un altro essere irriconoscente.
È davvero questo che vuoi, umano?
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Ciao! Il mio Corgi pembroke ha acquisito un brutto comportamento: quando qualcuno esce di casa fa il pazzo. Mi spiego meglio. Nel momento in cui lui sente che qualcuno sta uscendo di casa si precipita all’entrata e inizia a girarti attorno (ma non si mette davanti la porta), come se volesse evitare la tua uscita. Abbaia e a mia sorella ha addirittura preso i pantaloni con i denti per cercarle di non farla uscire. Mi hanno suggerito di chiuderlo in un’altra stanza nel momento in cui (continua)
… (pt.2) qualcuno esce. Ma non è servito a niente. Perché lo fa? Per innato istinto di cane pastore? Oppure abbiamo sbagliato qualcosa nella sua gestione? Non so se sono stata chiara, in caso posso fornire maggiori info 😕
ciao @losaicheipapaveri ci hai beccato alla grande. Il Corgi è il pastore dell’aia e il suo compito è gestire le greggi, mandrie o, se non ne hanno, famiglie. Il pinzare è un’intensificazione del segnale che sta nell’etogramma di tutti i cani da conduzione perché accerchiano gli erbivori, girandogli intorno e pinzando i garretti degli animali che conducono per guidarli.
Le motivazioni dietro questo gesto potrebbero essere molteplici, insicurezza, gestione e controllo, ansia dell’allontanamento (molto forte in queste razze). Sono rilevanti diversi aspetti, età, carattere, eventuali traumi infantli -difficilmente dimostrabili anche negli umani.-
Chiuderlo semplicemente da solo mentre si esce probabilemente potrebbe peggiorare il problema -da lì la pinzata- in quanto si accorge di non poter “salvarvi” e quando invece vi vede prepararvi, andrà in anticipazione, iniziando sempre prima ad esibire il comportamento ansioso. Un lavoro del genere va affiancato ad una terapia riabilitativa, in cui abbiniamo la gestione (cosa fare quando si esce finché il cane non sta meglio) all’educazione (insegnargli che la nostra uscita non ha le conseguenze negative che lui si prefigura, qualsiasi cosa questo voglia dire per il cane).
Metacognizione nel cane: argomento spinoso ma affascinante. Più adeguato al momento parlare di soggetto metasenziete.
Invece potrebbe essere meglio, data la spiccata intelligenza dei corgi, ingaggiarlo regolarmente in giochi stimolanti come la ricerca di cibo e oggetti (che i cani amano sempre), i vari segnali (seduto, terra) e la mobility casalinga, (insegnargli a fare slalom tra le sedie, che a questa razza piace tanto perché elicita la loro capacità essenziale di correre tra le zampe dei bovini) magari facendo un percorso a marker, sempre diverso -ma dovrete prima insegnargli le regole.-
Quando qualcuno si appresta ad uscire voi ripetete una breve sessione con l’obiettivo abbassato -più facile- e lasciando -FONDAMENTALE- al cane la possibilità di allonatanarsi dall’esercizio, di modo che possa imparare da solo che restare a giocare con voi è meglio che perdere tempo con chi esce.
Se il suo livello di ansia è troppo alto e smette di giocare appena vede prendere la borsa, non è lui stronzo, solo che gli stiamo chiedendo troppo. Come chiedere ad un aracnofobico, durante la prima seduta di desensibilizzazione, di tenere in mano una tarantola per un’ora. Forse lo fa ma è probabile che il risutato finale sarà di un peggioramento generale della fobia anche se il soggetto riuscisse. Perché non conta il risultato (NON È UNA GARA!) ma lo stato emotivo dell’individuo, la cui ansia non dovrebbe mai superare il 4-5 su una scala 1-10.
Questo è un lavoro di mesi! In cui progredirete tra alti e bassi fino ad una condizione da accettabile a ideale, sempre se lavorerete con costanza. Questo tipo di lavoro va fatto, non tanto per i pantaloni, ma per il benessere psico-fisico del nostro amico quadrupede. Se nostro figlio o il partner avesse un cambiamento comportamentale a seguito di un trauma il nostro lavoro non dovrebbe essere quello di urlargli che non è più normale come prima e chiuderlo in camera ma riabilitare le sue strutture encefaliche al fine di recuperare capacità adeguate e nel cane questo è possibile mel 93-95% dei casi.
A latere dovrete comunque evitare che lui possa trattenervi quando uscite qundi la parte dell’allontanarlo dalla porta di casa è valida nella misura in cui viene portato da un altro membro della famiglia a giocare -ma attenzione non è stupido e non cercate di fregarlo, dategli sempre la possibilità di tornare- col tempo capirà che è meglio giocare e divertirsi anche perché poi alla fine, anche se al momento la sua ansia gli impedisce di memorizzarlo in modo efficae-
Questo se il problema è di tipo primario, se invece fosse secondario si dovrebbero fare ulteriori considerazioni. Ciò detto, se non riuscite da soii, vi conviene come sempre lavorare con un professionista cognitivo relazionale perché questo tipo di problematiche può cronicizzarsi, dato che i continui allontanamenti non possono essere fermati e potrebbe aumentare il livello di stress producendo comportamenti più evidenti e intensi.
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Il piccolo
Passo 1
“Istinto, tendenza innata, immutabile, ereditaria che spinge gli esseri viventi a comportamenti volti alla conservazione dell’individuo e della specie. L’azione istintiva avviene anche in mancanza di basi derivanti da esperienze passate, sembra essere un comportamento innato ed è come se derivasse da una caratteristica insita nel suo patrimonio genetic. L’istinto è una cosa meravigliosa. Esso non può essere né spiegato né ignorato. (Agatha Christie) La campanella della scuola era suonata e tutti i bambini erano oramai usciti dall’edificio; c’è chi di solito è aspettato dai genitori, chi dai nonni o da amici e c’è chi non ha bisogno dei parenti che li vengano a prendere e non ha amici con cui tornare a casa.. I Fratelli Addams erano tra questi. I bambini avevano terminato le lezioni e come tutti i giorni si avviarono verso la loro “dolce” casa, quel meraviglioso pomeriggio si presentò addirittura piovoso, il primo giorno di autunno metteva sempre di buon umore Pugsley e Mercoledì. Pugsley 11 anni e Mercoledì 9, erano due ragazzini poco vivaci e inclini ai giochi all’aperto, ma quella giornata era troppo triste per non tormentarsi con qualche marachella tra di loro. Una giornata pessima li aveva accompagnati: la maestra di mercoledì si era indispettita del tema perfetto della bambina ma dagli sviluppi come al solito macabri; infatti, doveva raccontare delle sue vacanze, la gioia della famiglia e tutto il resto, ma finì per scrivere una tesi sul cancro della pelle per via dei raggi solari elevati dall’effetto serra e che, ovviamente, terminò con una previsione cataclimatica del mondo. Pugsley come al solito fu bullizzato, durante l’ora di educazione fisica dai ragazzi della sua classe per via del suo aspetto, ma poco importava a lui, perché da lì a poco un terribile scherzo si proiettava su quegli stessi ragazzi, uno di quelli che non avrebbero dimenticato tanto facilmente, Pugsley è convinto che domani quei compagni non ci saranno a lezione, ma è una scommessa ancora aperta. Insomma una giornata tristemente fantastica. Avevano deciso di vedere chi dei due sarebbe resistito più allungo senza grattarsi dopo aver camminato in mezzo all’ortica e sotto quella pioggia torrenziale, il pomeriggio non poteva essere più terribile. Lo stesso pensavano i genitori dei ragazzi che li attendevano tranquilli a casa. Ricordano ancora con tristezza il primo giorno di scuola: la dolce afflizione che li pervase quando li videro allontanarsi con lo scuolabus, l’idea dell’ansia da prestazione che potevano provare e i compagni con cui avrebbero litigato. Alla fine le gioie arrivarono alla prima convocazione dei genitori per il comportamento violento dei figli, erano così fieri di loro e così, sebbene le loro preoccupazioni non cessassero di deliziare il loro corpo, lasciarono che Pugsley e Mercoledì continuassero a seguire le lezioni nella scuola pubblica invece di studiare da privatisti a casa con Mammà Addams. Nonostante tutto, i piccoli Addams avevano la testa sulle spalle e Morticia e Gomez lo sapevano. Li avevano fatti vivere circondati nel pericolo e nella paura controllata per abituarli a tutto, sapendo che finché erano a casa erano al sicuro; la vera minaccia stava fuori quelle mura ed era la cosa che più di tutte preoccupava i due genitori. Gli Addams sapevano, in fondo, di essere una famiglia “particolare”; le persone che non li conoscevano avevano paura di loro e tutti sanno che l’ignoranza che genera paura fa nascere a sua volta rifiuto e violenza. Avevano cercato di proteggere i propri bambini, per quanto potevano, li avevano abituati alle cose più orribili e sinistre senza mai sconvolgerli troppo e metterli mai veramente in pericolo ma nulla li avrebbe preparati a ciò che sarebbe accaduto in quella grigia giornata. Morticia si stava dedicando a uno dei suoi hobbies preferiti: la botanica. Mentre la sua bella si accingeva a tagliare quell’orribile ammasso di petali dai suoi steli di rose pieni di spine (quelli vecchi erano rinsecchiti per la poca cura e sarebbero stati perfetti per ornare la stanza da letto). Gomez passava il tempo a montare un meraviglioso percorso per i suoi trenini. Il tempo passava spaventosamente noioso quando all’improvviso al rintocco delle 15:00 a Gomez venne un terribile dolore al petto, che lo fece piegare in due sulle giostrine. Normalmente avrebbe gioito insieme alla sua consorte per un male che poteva ritenersi, se fortunati, incurabile, ma ciò lo spaventò in una maniera … indescrivibile. Era raro che un Addams provasse paura o terrore per qualcosa e quando accadeva c’era quindi da preoccuparsi; ma quando il dolore parve diminuire un senso incombente di preoccupazione tocco le corde del cuore rinsecchito di Gomez. Qualcosa d’indescrivibile stava per accadere. Informò subito la moglie di quella brutta sensazione che non lo voleva lasciare, “Morticia, sono preoccupato”. La stessa donna rimase sbigottita di fronte a quella dichiarazione; è consuetudine sia lei quella a predire una funesta catastrofe che di solito lascia il marito e il resto della famiglia beati nella loro sfortuna. Invece il suo uomo sembrava soffrire come quando incontra il commercialista che lo informa che va tutto bene, o peggio quando gli esami del sangue danno esito negativo. Staccandosi mal volentieri dalle sue amate cesoie, Morticia si si avvicinò, “Gomez non starai esagerando, capisco il bisogno di animare questa giornata tanto noiosa con qualche cattiva notizia ma...” . Fu subito interrotta quando il consorte le si avvinghio con fare felino e la prese tra le sue braccia. Normalmente quando la prendeva con tanta violenza si dirigevano immediatamente in camera da letto, così da non dover consumare l’atto del matrimonio in qualsiasi stanza si trovassero, ma Morticia percepì subito che quell’attacco non era avvenuto per via quel profondo senso di fame sessuale che provava sempre il marito. Immediatamente Gomez, come se fossero collegati da un filo emozionale invisibile, riuscì a trasmettere quella stessa pena a Morticia e quando poté riaprire gli occhi una lacrima cadde da essi e tutto fu chiaro. Una sensazione di disperazione che bruciava dall’interno, iniziava dallo sterno e si dissipava dappertutto fino alle punte dei capelli; ricordava un bruciore di stomaco particolarmente forte che li lasciava svuotati di tutto a parte un’eterna mestizia. I due coniugi avevano sperato da sempre di provare un’ emozione di sofferenza e tortura tanto potente e angosciante da tutta la vita, ma fino ad ora, nonostante tutte le tragedie, sapevano che tutto si sarebbe risolto a loro favore in modo o nell’altro; ma la sensazione opprimete che provavano nel petto era devastante e senza rimedio. Qualche attimo più tardi si ripresero, ma l’ inquietudine oramai stanziava in quella stanza e quando si sedettero sul divano ad aspettare i bambini non poterono, per una volta, che attenderli con molto ansia.
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