#chiedo scusa per il disagio
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sto cercando di scrivere da troppo tempo come mi sento. le parole non escono, nulla di strano. gastrite vecchia amica mia, bentrovata. questa fine 2024 sembra tanto la fine 2014. e io non mi sento tanto bene.
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Quella panchina è strategica, così vicino la scuola. VI passano davanti tanti bei giovanotti. Quasi tutti passando buttano l’occhio.
D’altra parte io sono lì proprio per questo. Farmi notare, farmi guardare, farmi ammirare. Abbigliamento e atteggiamenti li scelgo proprio con l’intento di fare colpo: e anche se di questi giovanotti potrei essere madre, sottolineando la mia femminilità riesco ancora a competere con ragazze molto più giovani.
La tattica è ormai stata messa a punto. Quando passano quelli che non mi interessano fingo di parlare al telefono o di scrivere sul cellulare. Mi sbirciano, e la cosa mi provoca immenso piacere, ma tirano dritto. Quando ne adocchio uno carino, invece, qualcosa cade giù dalla borsa per terra quando il ragazzo è ormai vicino alla panchina.
La gentilezza di lui nel raccogliermelo è la scusa per sorridergli, invitarlo a sedersi, dargli da chiacchierare.
Rapidamente lo vedo arrossire. Poi cerca gli amici con lo sguardo ma sono già lontani e siamo rimasti soli. Gli parlo, gli sorrido, accavallo le gambe, scopro un po’ le cosce, le spalle, il décolleté. Mi diverte vederlo a disagio, combattuto tra guardare e temere di apparire maleducato.
Invece, gli faccio i complimenti per l’educazione, e cosi lo incastro quando gli chiedo una piccola cortesia, che guarda caso prevede che si vada verso la mia automobile parcheggiata poco distante. Non può dirmi di no. Come non sa dirmi di no quando gli propongo di salire in macchina.
Gli darò un passaggio, gli prometto.
Bugia!
È in una zona appartatatissima vicino al parco che lo porto. Ed è sul sedile posteriore che me lo faccio…….
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La generosità finta
Ho aspettato un po’ prima di scrivere di Ezio Greggio e del suo appello alla mamma di Elia. In sostanza il comico che non fa ridere, conduttore di Striscia la Notizia, che scrive libri mettendo una battuta per pagina con uno spreco notevole di carta, si è sentito in dovere di offrire soldi e sostentamento alla madre che è stata costretta a lasciare il figlio in ospedale una volta partorito.
Già qui c’è una prima stortura perché il figlio magari potrebbe essere stato concepito per una violenza e quindi la madre non se la sente di avere il figlio vicino perché le ricorderebbe quella violenza, sarebbe comprensibile.
Facciamo finta però che sia davvero a causa di una condizione di indigenza grave che la donna decide di non portare con se il bimbo appena nato, confidando nella generosità di qualcuno che voglia prendersene cura e magari pure nell’anonimato perché non ci tiene particolarmente a far sapere i propri cazzi, no?
Invece no, qualcuno ci ha tenuto a offrire il proprio aiuto perché questo bimbo ha bisogno di una “madre vera” insultando così tutte quelle madri e quei genitori che hanno adottato bambini.
Ora io mi chiedo: perché dare sostegno economico solo a questa madre? Perché non offrirlo a una di quelle tante madri che il figlio se lo è tenuto e lo cresce magari da sola e in mezzo a tante difficoltà?
Lui vuole aiutare questa madre proprio questa. La aiuta a patto che si penta, che chieda scusa, no anzi: che chieda perdono e si riprenda il figlio che potrà allevare grazie alla generosità di Ezio Greggio.
Lo sentite quanto suona male? Come le unghia su una lavagna, lo stesso disagio.
No, non vi è nulla di nobile in questo gesto, nulla di bello.
Solo la voglia di controllare una donna, di sottometterla, di costringerla a fare la madre e basta perché quello è il suo ruolo, secondo costoro.
Ditemi ora: dove sarebbe la generosità?
#pensieri miei#ezio greggio#ma che tristezza#ma come cazzo si fa?#oggi sono polemico#generosità#pessimismo e fastidio
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Ci son state diverse volte in cui quando il mio psichiatra è sparito - e non certo perché si stesse grattando le palle, visto che fa tre lavori diversi - io l’ho mandato a fanculo. In maniera borderline, se vogliamo definirla clinicamente. Erano momenti in cui stavo sull’orlo del baratro e mi sembrava assurdo non ci fosse, non mi rispondesse: insomma, è il lavoro suo. Avevo ragione nella sostanza, ma non nelle modalità. Un giorno dunque gli chiedo scusa. Gli dico che ho avuto uno sbrocco borderline imperdonabile. Lui risponde: “non sei stata borderline, avevi ragione. Sono io nel torto. Purtroppo sono oberato di lavoro. Ma la tua reazione è stata giusta”
Non ho mai incontrato uno psichiatra o uno psicoterapeuta che ammettessero i propri errori. Dunque, sicché parto sempre da molto lontano per raccontare qualcos’altro, il punto è: se un professionista con più di sessant’anni docente universitario e ricercatore mi chiede scusa e non mi dà della borderline come potrebbe tranquillamente fare, perché tu testa di cazzo che a stento comprendi due frasi in croce quando ho ragione nel manifestare un disagio te la svanghi col fatto che sono problematica?
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Perché non mi hai più parlato?
Si che abbiamo parlato
mi hai tirata fuori
non sopportavo più nessuno
le tue amiche si, o le mie ma senza di me
ero fuori controllo
non mi hai mai chiesto scusa
non sapevo di star sbagliando
neanche quando te l’hanno fatto notare?
l’ho notato, secondo te?
non mi hai dato spazio. Me lo porto per tutta la vita, questo. Anche quando ho provato a mettere insieme i pezzi, perché io ci ho provato.
eravamo cambiate
eri cambiata tu, semmai. Io ero cresciuta e sarei stata ben contenta di includerti, ma non mi hai dato modo.
Avremmo fatto comunque le nostre vite, diverse
Avremmo potuto includerci, restando fedeli a un patto che avevamo siglato senza dircelo
sono passati anni
sei stata la mia più grande delusione, mi hai fatto male. Più di chiunque altro.
Non è finita una storia d’amore ma forse un po’ sì. Che l’amicizia c’entra con tutto ció che è bene e amore. Ti ha fatto bene perdermi? e mia madre mi direbbe che sono poco modesta, perché dicendo che tu mi hai persa mi sto indirettamente dando un valore. E lei sarebbe contenta, mi direbbe “sono felice che riconosci che vali” non “quanto” ma “che”. Ma questa è un’altra storia. Allora per evitare di stare su due piani, riformulo la domanda:Ti ha fatto bene allontanarci?
A me no, nel senso che avrei voluto ancora la tua amicizia, quella vera e non quella che ha a che fare con il salutarsi in giro. Penso che quando hai smesso di parlarmi mi sono tolta tanta negatività dalle spalle ma che l’ho fatto a prescindere da te, viaggiando, trasferendomi, facendo determinate esperienze e poi solo dopo innamorandomi. tu ti sei innamorata alla fine? Le tue storie su instagram sono troppo vaghe per capirlo. Chiedo per pura curiosità. Comunque spero di sì. spero che tu ti sia innamorata e più di quello spero che tu ti sia sentita amata, che hai iniziato a dare spazio alle emozioni e meno al disagio di una sensazione e situazione completamente nuova. Spero che tu ti sia tolta il pensiero della verginità, che tu l’abbia lasciata da qualche parte e con una persona carina e gentile nei modi, così hai capito che non è niente di che se non c’è amore. Ma almeno sai cos’è spero tu sia più felice di prima e che hai smesso di prendere la valeriana prima di uscire o di fingere di divertiti in mezzo a gente che con te non c’entra molto, spero che tu abbia smesso di fare le cose per gli altri e abbia iniziato a fare qualcosa per te. So che fai il lavori che avresti voluto e questo è un bene.Spero che hai dei sogni, che l’idea di un futuro in cui smetti di essere una ragazzina ti raggiunga, per volerti bene, per evolverti, per stare bene, che la felicità la meriti anche tu. E questo forse non te l’ha mai detto nessuno, ma te l’ho detto io. Te lo avrei detto. Te lo direi.
adesso come stai? l’ultima volta che te l’ho chiesto sul serio mi hai detto che nessuno te lo chiedeva ormai. io non ho mai smesso di farlo e ti giuro a distanza di anni non lo so proprio cosa ho sbagliato, e stando ai fatti nulla, ma comunque non siamo più amiche.
tu come stai? Mi chiedi dopo secondi interninabili di silenzio metre svapo dalla tua nuova iqos.
Bene. e rimango ferma a fissare il semaforo che sta diventando verde.
mi fai un cenno di assenso e di saluto, poi attraversi la strada prima di me mentre ti ricambio sorridendo.
ed è li che me ne accorgo, ad un incontro casuale al semaforo, che le relazioni si spezzano e alcune non si riparano.
ma io ti sorriderò sempre, a tutti i semafori e gli angoli di questa città che per anni abbiamo odiato insieme e che solo adesso riesco a percepire come casa. Ti sorrideró sempre perché non porto rancore, perché ricorderò per tutta la vita quell’amicizia che è stata profonda intesta e sono certa vera, finché ha potuto. Non avrei mai pensato di aprire le porte della mia esistenza senza te al mio fianco, che per me eri una chiave. E invece le ho sfondate, da sola. Con la sola arma di essere così. Senza troppi sforzi. Perché mi hanno sempre detto di essere me stessa e lo sono così tanto che a volte è stancante rientrare nei miei canoni. Ma mi voglio bene. So chi sono. Perché per un’intera vita mi hanno detto di essere più flessibile e io per un’intera vita non ce l’ho fatta. Ci sono poche cose che mi definiscono e io le conosco. Ti sorriderò sempre e mi incazzeró sempre perché lasciatelo dire sei stata meglio di così. Di collì. Sono passati anni, è vero forse adesso è diverso. Ti ho sempre augurato bene, solo il bene. Sempre il bene. E continuerò ad augurartelo.
Però io a quel semaforo ho sorriso perché ho trovato una cosa: la consapevolezza e la forza di lasciare andare. La stessa che ho trovato anni fa, nonostante abbia fatto male da morire. Il male di una certezza, di una spalla, che di colpo cede e scompare. E quando provi a ricomporlo è diverso, è cenere.
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Si avvicina il 25 novembre e già inizio a leggere i primi post che condannano la violenza sulle donne. Sì, parliamone. Parliamo *anche* di tutti gli altri episodi di "violenza" che gli uomini compiono nei nostri confronti. Parliamo anche dell'abuso del loro privilegio e della loro posizione di potere, perché loro sanno perfettamente come approfittare di una situazione. Loro sanno di metterti a disagio, violando la tua sensibilità, con certi atteggiamenti, ma lo fanno comunque. Loro lo sanno di importunarti con quelle parole o con quei gesti, ma lo fanno comunque.
Siamo arrivati al punto in cui io non posso sentirmi al sicuro nemmeno sul luogo di lavoro, trovandomi bloccata, con le spalle al muro - letteralmente - da quell'uomo che sta provando in tutti i modi di farsi notare. "No è no", però anche vedere una persona in difficoltà, che non sa quale scusa usare per sfuggire da quella situazione scomoda è no. Non ho detto no, ma il mio corpo urlava "No!" da ogni poro. E, per qualche strano motivo, mi sento in colpa perché mi chiedo "Forse ho sbagliato? Forse avrei dovuto dire "No!" ed essere più chiara?". Mi sento in colpa per non aver detto espressamente no, assurdo come gli uomini possano farci sentire in colpa e colpevoli anche quando non lo siamo. Io devo vivermi in silenzio attenzioni indesiderate e atteggiamenti inopportuni, a tratti un po' molesti, sentendomi sporca ed in colpa, mentre lui probabilmente se la vive senza nemmeno il dubbio di essere stato invadente.
Il rispetto ed il consenso: parole che mancano al vocabolario di molti.
#se dovete approcciarvi ad una donna almeno abbiate la decenza di essere carini e rispettosi e NON molesti e inopportuni eh!!!#anche oggi devo lamentarmi degli uomini scusate#men are trash#25novembre
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Ogni fine settimana devo portare a casa il mio collega che però abita in un'altra provincia e ci metto esattamente un'ora ad andare e una a tornare. Farsi quell'ora per tornare a casa è devastante. Abbasso il finestrino, metto la musica ma mi si riempiono comunque gli occhi di lacrime che poi non escono mai.
Mi sento a disagio anche solo nel dirti ciao perché ho paura di disturbarti, di accollarmi, di essere un peso, di essere molesta. Ho paura di poterti ferire anche con un ciao del cazzo. Sai come quando qualcuno sta dormendo e non vuoi svegliarlo e ti limiti a fargli le carezze sulla fronte o i cerchietti sulle guance?
Rimango qui a combattere con questa sensazione di non meritare nessun perdono perché anche se non è colpa mia io sento di essere colpevole ugualmente.
Chiedo in continuazione scusa, probabilmente per quello che farò perché sicuro saranno solo danni.
La musica in sottofondo non la sento nemmeno più. Mi sono già dissociata completamente. Che lunga questa strada quando non hai nessuno da cui tornare.
Mi viene da piangere ma non lo faccio.
Un anno fa scrivevo cose piene di amore e adesso scrivo di quanto sia difficile darlo, riceverlo, accettarlo.
Per te ne provo sempre tanto.
Vorrei dirtelo ma non lo faccio.
Ti dico solo ciao, ti mando una canzoncina che cantavamo quella sera alle tre di notte, ti chiedo come stai ma ho paura della risposta.
Mi manchi tanto ma credo che tu questo già lo sappia.
Sono passata da Nonantola anche stasera, là c'è quel libro raro che abbiamo fotocopiato illegalmente.
Vorrei tornare indietro.
Ti cerco dentro a tantissime cose e ti ritrovo sempre.
Ti giuro che prima o poi la smetterò.
Mi dispiace davvero tanto...
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un sotterraneo-soffitta;
“Devi venire con me” sono le parole che sottovoce Charlotte ha detto, ordinato per lo più, a Jeremy non appena l’ha trovato dentro la biblioteca. « Oggi vediamo se sei davvero tu, il gemello intelligente. » punzecchiandoli il braccio con il dito della mancina che va proprio su quello a premere. « Sicuramente scoprire dove si trova un posto super-segreto è molto più favoloso che studiare quello che stavi facendo, no? » facendo spallucce, detto con l’aria angelica facendo finta di non averlo appena tolto dallo studio e dai compiti da fare. « Secondo te è possibile che un sotterraneo sia una soffitta? Mpf! » lo dice, ridacchiando della sua stessa sciocca idea e convinzione.
A quel sorriso non può che inclinare leggermente il capo, restando comunque un pochino a disagio « il fatto che tu ancora te lo chieda mi fa paura » tenta di punzecchiarla di rimando in maniera scherzosa, fallendo miseramente dato che tutto ciò che traspare dal suo tono è una certa ansia sociale. « Più favoloso dei GUFO, qualunque cosa » ammette addirittura, con un piccolo sbuffo. Si blocca, sbattendo le palpebre un paio di volte e iniziando a guardarsi intorno « perchè no? » con tono serio. Non trova che abbia detto una sciocchezza, pare « e poi alto o basso sono molto soggettivi, dipende sempre da come sei messo » ma cosa stai dicendo Jeremy. « Solo che... come ci arriviamo al soffitto, se anche fosse lì? »
« Me lo chiedo perché ho una teoria su voi Corvonero. » dice alzando il mento, con un vago accenno di presunzione. « La vostra presunta conoscenza è tutta una pluffa ammosciata, ma visto che mi sei simpatico ti do una chance. » una eh, perché poi altre anche no. Si mordicchia le labbra inferiore coi denti quando vede l’altro incuriosirsi segno che almeno ha catturato la sua attenzione e sa di avere un po’ di spazio per sé e vedere cosa si può fare.
« Ora, tu sei un tipo sveglio, no? Chi dice di sapere dove si trova questo posto dice di… puntare in alto, o comunque indicano l’alto. » guardando verso il soffitto piegando il collo per avere gli occhi puntati per l’appunto verso l’alto.
« Okay, cerchiamo... puntare in alto? » le fa eco, piegando a sua volta il collo per andare a guardare il soffitto.
« Sì, così ha detto Osbert… ma vabè, cioè. Magari c’ha un po’ troppe pozioni per dimenticare sul groppone. » ridacchiando alla possibilità che la memoria del prof sia un po’ vacillante.
« Puntare in alto » ripete, lentamente. Allunga la mano verso il suo braccio, cercando di tirare con delicatezza la manica della serpeverde « le lance puntano in alto, sì... e anche le punte delle finestre, mh? » ipotizza, senza troppa convinzione, continuando a guardare verso l`alto e facendo un paio di passi verso le finestre, tentando di portarsi via anche lei. « e se ti sollevo? » le propone, senza smettere di guardare in alto. Gli verrà il torcicollo.
« Le punte delle finestre.. mh. » guardando adesso verso le stesse che, effettivamente, vanno verso l’alto. « Mi sollevi? » chiede con l’aria un pelino più preoccupata. « Ma sei sicuro di farcela? » lei è un fuscellino, per carità « Quindi anche tu sei un Avery coi muscoli, eh? Non solo tuo fratello. » poi guarda verso le finestre. Il suo istinto di autoconservazione le sconsiglia di farlo, ma la curiosità è tanta. « Vabè, proviamo dai. » avvicinandosi a lui, così che possa sollevarla come meglio crede. « Basta che non la usi come scusa per toccarmi il culo. » ecco.
« Non lo so, proviamo? Non sono esattamente muscoloso, no » le rivela, come se fosse un segreto poi. Si morde il labbro, nervosissimo, rimanendo impalato quando l`altra si avvicina. Arrossisce anche, a quell`uscita così naturale della favolosa « ... m-ma io n-non » tilt, addio. Inspira profondamente e scuote il capo, cercando di riprendersi e non entrare in iperventilazione « Non faccio certe cose » dice, premurandosi di guardare altrove per un paio di secondi. poi torna a guardarla, ma solo perchè ormai si è impegnato in questa cosa e bisogna quantomeno provarci. Poggia la borsa, girandole un po` intorno per cercare di capire come prenderla senza uccidersi troppo. « Menomale che sei minuta » anche tu Jer, non sappiamo come dirtelo. « Allora, facciamo così » e cerca di nuovo di prenderle una manica per trascinarla dolcemente vicino a una parete. A questo punto poggia un ginocchio a terra, porgendole entrambe le mani « sali quì » la invita, indicando l`altra coscia che dovrebbe fare circa da gradino. « Poi puoi calpestarmi tipo una scala » ma cos. Tiene entrambe le punte dei piedi piantate a terra. Se lei salisse sulla sua coscia, cercherebbe di far leva sulle punte dei piedi per tirarsi un po` su, mollando la presa sulle sue mani per andare ad cercare di afferrarle... i fianchi - non senza un istante di smarrimento, non sapendo bene dove mettere le mani dato anche che lei ha tutte le cosce di fuori e indossa la gonna, il che non è il massimo in questa posizione - per TENTARE di aiutarla a protendersi verso l`alto.
« Checcarino, Remy, c’hai tutta la faccia rossa. » e la cosa potrebbe non aiutare. « Maddai lo so che non lo fai.. cioè non lo so. Ma te lo dicevo così, per ricordartelo. » perché effettivamente porta la gonna e vedere, toccare… è facile se deve essere sollevata, sai com’è. « Già, menomale. Non farmi cadere o ti schianto tutti i giorni fino ai MAGO. » nemmeno i GUFO, direttamente i MAGO e potrebbero essere due anni di inferno se ci pensa bene. Ad ogni mdoo si lascia prendere dall’altro per i fianchi così che possa esser sollevata, sbuffando proprio perché sa che quello può vedere cose. « Non distrarti, Remy, stai andando abbastanza ben.. bene. » Non è una cheerleader ma potrebbe anche pensarci un domani. « Ohi, cioè.. non so se ci sono cose da queste parti non mi sembra almeno. » dall’alto della loro insolita posizione. « E poi è un po’ scomodo secondo me entrare in un posto in ‘sto modo, ti pare? » provando ad abbassare la testa e guardare l’altro che chissà come si sta nascondendo. Poi ammette con naturalezza « Anche una bacchetta può puntare verso l’alto. Oh, e se facessimo un Alohomora per tutto il soffitto? »
Occhiatina tattica a Charlotte, come ad attendere il suo via intanto che si inizia a concentrare. Punta lo sguardo e la bacchetta verso il soffitto, chiudendo gli occhi per qualche secondo e concentrandosi sulla volontà di aprire un passaggio. Immagina il soffitto come una grande porta, ed è ancora lì che punta mentre dopo aver riaperto gli occhi dice « Alohomòra! »
Lancia proprio quello sguardo tattico di cui Remy ha fatto quasi richiesta con la propria, di occhiatina e poi con un cenno della testa, e sfoderando la bacchetta ecco che prova a castare l’incantesimo. La volontà e la concentrazione adeguata a fare in modo che si apra una specie di porta, una porta che possa anche poi far scendere scalette o funi magiche ma insomma l’intento è l’apertura di una porta d’accesso. « Alohomòra! » pronuncerebbe anche lei, qualche passo poco più in là. « Dài, proviamo per tutto il piano!! » wiii, molto meglio che stare a studiare in biblioteca, no? Ecco.
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Non so perchè ma "Casa di specchi" di Matteo Romano mi fa pensare a te. Sarà per la delicatezza del brano in sè, della melodia e della sua voce.
- Una persona a cui non hai più risposto (e che, detto sinceramente, un tuo messaggio se lo aspettava)
Ehi, ciao. È doloroso leggere queste parole: non tanto per il loro contenuto - per il quale non posso fare a meno di sciogliermi come neve al sole - quanto per la carica emotiva che portano con loro.
Una delle parti peggiori, per me, è quella di non sapere nemmeno con certezza chi ci sia dietro questa dolce critica (benché un’idea io la abbia nitida in mente). Ho fatto soffrire tante persone a causa di questa mia volatilità, della mia incostanza e lunari vita, e per questo mi dispiace molto. Da qualche mese ad oggi ho iniziato ad avvisare - chiunque mi scriva o mi conosca di persona - di questo mio grosso difetto. Alle volte smetto di rispondere per mancanza di tempo, poi di pensieri, ed altre ancora perché - semplicemente - non mi sento sufficientemente intrigato dal mio interlocutore. Solo che dirlo espressamente mi crea disagio, e preferivo reagire sparendo e lasciando una libera interpretazione. È una stronzata, è vero, ma era sempre stata la strada più comoda per entrambi.
È una cosa molto cinica da dire, ne prendo atto, ma purtroppo essendo uno che si annoia facilmente, è dura tenere viva la mia attenzione ed il mio interesse per un tempo prolungato. C’è chi ci riesce, difatti per loro sono super-presente, ma questo va inevitabilmente a scapito di tutti coloro che non riescono - o non vogliono impegnarsi granché - a non risultare banali e noiosi.
Ti chiedo scusa per averti fatto star male, so che non serve a nulla ma te lo dico comunque. Il mio intento - a prescindere da chi tu sia - non era quello di ferire. Ho sempre pensato che il silenzio fosse l’arma migliore per sparire (come scrisse Eliot: “This is the way the world ends, not with a bang but with a whimper.”). Sparire col botto sarebbe stato eccentrico.. troppo.
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Non so cosa darei per permetterti di vederti come ti vedo io, mi dispiace tantissimo che tu non riesca ad apprezzarti, sei davvero bella dentro! Purtroppo è davvero difficile riuscire a considerarsi anche solamente decenti quando si sta male, però ti prego non essere troppo dura con te stessa, sei una bellissima persona! Ti mando un lungo abbraccio virtuale!
Non sono troppo dura con me stessa, io mi conosco e mi vedo, so come sono e ti posso assicurare che la bellezza non mi sfiora neanche per sbaglio. Sono solo una persona profondamente incasinata, instabile e tossica. Non so nemmeno io cosa voglio, non so mai cosa dire, non c’è niente di bello o interessante in me. Solamente è tutto triste, tutto privo di significato. Non sono una persona su cui poter contare, ogni cosa è incerta, il mio umore che cambia in continuazione porta con se anche i miei pensieri. E così a volte darei fuoco a tutto e la gente mi fa schifo, mi isolo e ti detesto. Ma poi mi passa e sembro gentile, posso anche riempirti di regali o attenzioni, ma tanto è solo temporaneo. Tipo che qualche ora dopo potrei ritrovarmi a spingerti via il più lontano possibile, insultandoti. Perché non riesco a mettere dei filtri a quello che penso, quindi quando mi arrabbio io sparo a zero e dico cose terribili. E me ne pento e mi dispiace, ma ormai il danno è fatto. Poi ti chiedo scusa, ma ti ho distrutto e poi mi lamento che gli altri sono insensibili, che gli altri se ne vanno. Perché io mi aspetto un’amore incondizionato, non considero quello che provano le altre persone, sono terribilmente egoista. Esisto solo io e se sto male tu devi esserci, se non ci sei allora non ci tieni e per me puoi anche morire. Ma poi alla fine voglio sempre il contrario di quello che dico. Ci capisci qualcosa? Tipo che dico di lasciarmi stare e poi mi incazzo se lo fai perché significa che non ti importa di me, ma se non lo fai allora non rispetti il mio volere. E comunque ho difficoltà ad aprirmi con le persone, non riesco a fidarmi, in realtà non credo di essere in grado di costruire delle relazioni sane, non ho mai avuto amici perché non riesco a sentire l’amicizia. Di solito io mi innamoro di tutti oppure non me ne frega niente. C’è tipo un cerchio intorno a me, se tu riesci ad entrarci dentro allora diventi la mia ragione di vita, se rimani fuori io non mi accorgo neanche della tua esistenza. E se sei dentro io ti giudico terribilmente, metto sotto esame ogni tuo comportamento, ogni cosa che fai o che dici. Dio quante volte che mi arrabbio, quante volte che ti rinfaccio tutti gli sbagli che fai. Quanti litigi che escono fuori. Ovviamente giudico anche me stessa, in continuazione. Che casino... sono orribile, difficile e problematica. Mi sforzo di cambiare, ma sembra tutto inutile. Chi vuole una persona del genere? Nessuno, neanche io mi voglio. Che poi non sono neanche bella fuori, sono un disagio che cammina. Mi mangio le unghie, mi taglio i capelli da sola storti da paura, mi depilo a cazzo col rasoio, ho le braccia piene di cicatrici, ho una voce che odio e un aspetto fisico che mi fa chiudere gli occhi ogni volta che per sbaglio mi guardo allo specchio. Fa solo tutto schifo, io mi conosco, non sono una bella persona.
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Come far capire ad un ragazzo che non ti piace?
Finale di calcio, seguita beatamente con cocktail in mano a bordo piscina. Un mucchio di gente che fissava lo schermo, ogni tanto sentivi qualche tuffo quando l'Italia mancava un goal, li chiamavo "i tuffi della disperazione".
Siamo un bel gruppetto di amici e amiche, ma P. si avvicina particolarmente a me, e mi accarezza, sfiorandomi il ginocchio, abbracciandomi più del solito. Myster P. non lo conosco da molto tempo, si e no abbiamo fatto due forse tre uscite insieme con altri amici, lo trovo simpatico e gentile, ma non è per niente il mio tipo. Ironia della sorte...non è mai il ragazzo / ragazza che vorresti che ti si avvicina.
Non credo avergli detto e fatto qualcosa che dimostrasse di aver una simpatia per lui diversa dagli altri. Ma si sente di voler provarci, ogni suo avvicinamento non è mai stato ricambiato, onestamente mi metteva a disagio.
Allora mi chiedo, non siamo alle nostre prime armi con l'altro sesso, ma ancora oggi mister P. non riesce a capire che i suoi gesti non sono ricambiati. Dovevo essere più esplicita? "Ehi...Myster, scusa ma preferirei che le mani li usi per farti una nuotata!". Però io la battutina gliela avevo lanciata, mi sa che non è arrivata a destinazione.
Ho sempre avuto difficoltà con i ragazzi, non li ho mai capiti. E come se tra me e loro ci fosse una bolla impossibile da attraversare.
Ora Myster P. non è l'unico e non sarà di certo l'ultimo. Voi cosa avreste fatto al posto mio? Vi siete ritrovate in una situazione simile?
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Capitolo 57 - Numeri di telefono e vacanze di primavera
Nel capitolo precedente: Eddie e Angie si appartano in un posto isolato e romantico in riva al mare, ma vengono sorpresi da due poliziotti, che li sottopongono a un fuoco incrociato di domande, a metà tra l'interrogatorio e il gossip. Durante questa conversazione Angie riesce inaspettatamente ad aprirsi e a rivelare che non vuole rendere partecipi gli amici della sua storia con Eddie anche per paura di perderli se le cose dovessero andare male. Angie fa pace con le sue insicurezze e, riaccompagnando Eddie a casa, gli propone di dire tutto ai loro amici in occasione del prossimo concerto dei Pearl Jam all'Ok Hotel. I due hanno anche una piccola scaramuccia causata dalla gelosia di Eddie nell'apprendere che Angie era stata nello stesso posto romantico e appartato anche con Jerry. Eddie scopre, grazie al poliziotto che leggeva la patente di Angie ad alta voce, che la sua ragazza ha un secondo nome che inizia per W, ma lei non ha la minima intenzione di dirgli qual è. Nel frattempo Stone e Grace sono di ritorno dal loro ennesimo appuntamento eccentrico, lei ha portato una cassetta con dei pezzi che le piacciono da ascoltare e lui critica la selezione e l'accostamento dei brani. Una volta a casa di lei, dopo una parentesi di passione, Stone è deciso ad affrontare di petto Grace e la sua difficoltà a condividere il letto e l'intimità con un'altra persona, sapendo benissimo che c'è qualcos'altro sotto. Tuttavia resta scioccato quando scopre la vera origine delle insicurezze di Grace: anni prima, a causa di una forma aggressiva di tumore alle ossa, la ragazza ha subito l'amputazione di un piede. La reazione di Stone alla notizia e di totale confusione, non sa che fare o che dire e, pur rassicurando Grace, se ne va dicendo di dover metabolizzare la notizia.
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Io giuro che non l'ho fatto apposta. Cioè, non so se sia il caso di giurare, perché comunque se non l'ho fatto volutamente sarà pur sempre stato il mio inconscio a metterci lo zampino. Oppure uno di quegli automatismi mentali del cazzo, come quando sei abituato a fare sempre la stessa strada e arrivato all'incrocio sotto casa giri a sinistra come sempre, ma invece dovevi andare da tutta un'altra parte e te ne accorgi quando sei già arrivato alla meta sbagliata. Che poi a me non era mai successo, ma è una cosa che capita a tutti, cioè, se ne sente parlare spesso. Beh, stavolta deve essere capitato anche a me perché sono uscito dalla Music Bank, mi sono messo al volante e, non so come, mi ritrovato nel fottuto parcheggio di Roxy. Rimango fermo senza fare un cazzo per chissà quanto, indeciso sul da farsi. Che ci faccio qui? Che dovrei fare? Passo dentro per un saluto? Certo, la prima cosa che vuoi vedere dopo una giornata di lavoro è la faccia di merda del tuo ex che ti viene a trovare, no? Beh, in fondo, magari non se lo ricorda neanche più che sono il suo ex, basta vedere come mi tratta, come mi ha trattato a San Diego. Come un amico qualunque. Non è nemmeno più incazzata con me, anzi, ci sta che mi sia anche grata. Dopotutto se non avessi sabotato la nostra relazione lei non starebbe con Eddie adesso. Perché è ovvio che stanno insieme. Non lo so, ma me lo immagino. Lui ci avrà provato e lei ci sarà stata. C'è stata con me che sono uno stronzo. Chiunque venga dopo di me in confronto sembrerà il Principe Azzurro. In tutto questo, la macchina ha ancora il motore acceso. La spengo quando vedo Angie assieme a Brian e a un'altra ragazza uscire dal locale, precedendo di pochi secondi Roxy stessa, che li saluta e chiude la saracinesca. Angie ha un sacco della spazzatura in mano e si dirige verso i bidoni al lato del ristorante, mentre gli altri si allontanano a piedi o in macchina. Scendo dall'auto e corro dall'altra parte del ristorante, nascondendomi, non so perché, e affacciandomi di tanto in tanto aspettando la prossima mossa di Angie. La vedo spuntare dopo qualche minuto, ha ancora la divisa, entrambe le mani infilate nella tasca della sua giacca di pelle, il viso nascosto per metà da una sciarpa voluminosa, la sua solita borsa colorata a tracolla. Attraversa il parcheggio e raggiunge la strada, seguita a debita distanza da me. Mi guardo attorno per vedere se qualcuno mi ha notato perché a un osservatore esterno potrei sembrare un malintenzionato che sta seguendo una ragazza indifesa. Ma io non sono un malintenzionato, onestamente non so neanche che intenzioni ho, non so nemmeno perché cazzo la sto seguendo. Un paio di volte rischio di farmi sgamare, quando si ferma a guardare delle vetrine e, a sorpresa, si gira. La prima volta mi sono salvato infilandomi in una cabina del telefono, la seconda ho fatto dietro front al volo unendomi a un piccolo pubblico di un busker. Continuo a seguirla e vorrei tanto sapere dove cazzo sta andando, visto che abbiamo già superato due fermate dell'autobus. Siamo alla terza quando si ferma e si guarda attorno, mentre io mi tuffo nel primo vicolo per non farmi notare. Ma poi perché non mi faccio notare? Non posso semplicemente andare lì a dirle ciao? Mi sporgo e la vedo accendersi una sigaretta, iniziando a camminare avanti e indietro e io mi nascondo ogni volta che viene verso di me. Mi affaccio di nuovo e non la vedo più. Esco dal nascondiglio e presumo sia andata alla fermata più in là, forse è presto e non vuole aspettare ferma al freddo. Oppure qualcuno è venuto a prenderla, magari il suo ragazzo... No, sta ancora camminando per la strada, tutta sola, letteralmente, perché man mano che ci allontaniamo dai negozi la via si fa più deserta. Cammino muro muro, praticamente in punta di piedi perché ho paura che possa sentire il rumore delle mie scarpe. Ed è a questo punto che capisco che non ha un cazzo di senso quello che sto facendo. Mi do del coglione da solo e faccio una corsetta per raggiungere Angie, le metto una mano sulla spalla e sento uno dei dolori più forti che un uomo possa provare nella sua vita nel momento in cui lei si gira di scatto e mi molla un'epica ginocchiata nelle palle.
“CRISTO, ANGIE!” urlo non so se più per il dolore o per chiamarla, visto che accenna a scappare.
“Jerry??” si blocca e mi guarda incredula mentre mi contorco, prima di riavvicinarsi “Ma eri tu che mi seguivi?”
“Sì”
“Ma sei scemo? Perché?”
“Volevo... beh, volevo farti uno scherzo” non ho perso il mio talento nell'improvvisazione.
“Bello scherzo del cazzo, mi hai fatto prendere un colpo!”
“Scusa”
“Beh, scusami tu. Ti ho fatto male?”
“Noooo sto una favola” commento quando torno a vedere ciò che mi circonda e non più le stelle.
“Anche tu però... mi hai spaventata”
“E sono stato punito direi”
“Pensavo fossi uno che mi voleva aggredire”
“Eheh e invece sono stato aggredito io.” a quanto pare è destino, mi devo fare male ogni volta che ci vediamo, fisicamente o no. Noto la sua mano e la indico “E quelle?”
“E' un trucco che mi ha insegnato Meg” risponde rimettendo in borsa le chiavi che aveva piazzato tra le dita nel pugno chiuso.
“Sai che ti puoi fare male se non le tieni bene quando colpisci? E' un trucco pericoloso”
“Cos'è, ti offri volontario per allenarmi?” riprende le chiavi e le fa tintinnare mentre mi sorride diabolica e io mi rassegno al fatto che amerò sempre questa ragazza. A modo mio, sbagliatissimo, senza senso. Ma non posso farne a meno.
“No, grazie. Non che non me lo meriti, ma avrei altri programmi per la serata”
“Del tipo?”
“Del tipo... riascoltare i demo che ho appena registrato e capire perché cazzo non funzionano”
“Demo? Dell'album nuovo?” Angie passa dallo scherzo a essere interessatissima e io non aspettavo altro che soddisfare la sua curiosità. Forse è proprio per questo che sono venuto fin qui.
“Sì... ma è roba mia, cioè, che ho buttato giù da solo, non l'ho ancora fatta sentire agli altri”
“Beh, magari devi lavorarci un po' sopra, anche assieme al gruppo. E poi Layne può cantare qualsiasi cosa e renderlo perfetto, perciò non ti preoccupare” Angie alza le spalle e mi sorride e io penso di stare impazzendo perché mi prenderei un altro calcio nei coglioni pur di farmi toccare da lei.
“Ti va di sentirle?”
“Magari! Hai una copia da passarmi?”
“No, però ho il nastro in macchina... potremmo ascoltarlo lì, che dici?”
“Beh, non lo so, è un po' tardi” anche se dura un secondo, la sento tutta l'esitazione nella sua risposta. E' ovvio che l'idea non le vada tanto a genio, però non sa nemmeno come dirmi di no senza levarsi quella maschera di totale indifferenza nei miei confronti dalla faccia. Ammettere di essere a disagio da sola con me sarebbe come ammettere che ci siano ancora sentimenti in sospeso tra noi e questo lei non lo farebbe mai.
“Sono tre pezzi di numero. Li ascolti, mi dai il tuo parere e io in cambio ti do un passaggio a casa. Ti va?”
“E va bene, andiamo!” fa di nuovo spallucce e mi segue come niente fosse.
“Allora?” le chiedo dopo il primo brano.
“Jerry è... cosa credi che non funzioni esattamente in questa canzone? E' spettacolare”
“Lo credi davvero?”
“Sì”
“Non lo dici solo perché non vuoi tornare a casa in autobus?”
“Ovviamente no, non scherzare!”
“Con la voce di Layne guadagnerebbe qualche punto sicuramente”
“Nel ritornello sicuramente, ma mi piace la tua voce nella strofa” far ascoltare le mie canzoni nuove ad Angie non è solo una scusa per passare del tempo con lei, mi piace perché è sincera, le sue opinioni sono oneste, non ti dice che un pezzo è una figata solo per farti contento.
“Grazie”
“Ha un titolo?”
“Would. Un gioco di parole, con Wood”
“Andy?”
“Sì, è per lui. Ho pensato tanto a lui in questo periodo. Beh, non ho mai smesso di pensarci. Ma ultimamente ci penso sempre più spesso. Il nostro primo album è andato bene, suoniamo in giro, Stone e Jeff ce la stanno facendo, tante altre band stanno venendo fuori e-”
“E lui non è qui”
“Esatto. Lui non c'è. E mi manca. Andy era un amico, ma non uno con cui fai discorsi seri sul senso della vita o cose del genere. Era solo divertimento, ci divertivamo un sacco, io, Andy, Xana e Chris. Era una persona eccezionale, piena di energia e di vita”
“Le scelte che ha fatto raccontano una storia diversa però...”
“Ha fatto delle scelte del cazzo, ma non significa che fosse una cattiva persona. Ha sbagliato. Io non lo giudico però. Quelli che giudicano mi fanno solo incazzare”
“Scusa, non era mia intenzione”
“Nah, tu che c'entri, non mi riferivo a te. Tu non sei così” Angie non ha bisogno di giudicarti, le basta parlarti sinceramente o guardarti negli occhi per farti sentire una merda per tutte le cazzate che combini.
“Meg mi ha detto che è morto in questo periodo l'anno scorso, giusto?”
“Sì, tra poco sarà un anno. E mi sembra passato un decennio”
“Mi fai sentire un'altra canzone?” Angie sa quando cambiare argomento, ma non sa che il tono della conversazione non si alzerà nemmeno col secondo pezzo.
“Rooster era il soprannome che mio nonno aveva dato a mio padre quando era piccolo,” precedo la sua domanda prima di premere stop sull'autoradio “perché faceva il galletto. E perché aveva i capelli che gli sparavano in aria, come una cresta”
“Hai scritto una canzone su tuo padre?” Angie sa benissimo tutta la storia incasinata della mia famiglia e sa anche quanto sia difficile per me parlarne, anche se con lei è stato molto meno difficile.
“Ho scritto una canzone cercando di immedesimarmi in lui, provando a immaginare cosa potesse pensare o provare in quei momenti un soldato americano in Vietnam. Come sai, lui non ci ha mai raccontato niente”
“Dovresti fargliela sentire”
“Vedremo. Se ne verrà fuori una canzone vera e propria, potrebbe succedere, chissà”
“Potrebbe essere un modo per riavvicinarvi”
“Non l'ho scritta per questo”
“Lo so”
“Non l'ho scritta per nessun motivo in particolare”
“Ok”
“E' venuta fuori così e basta”
“Si vede che doveva venire fuori”
“Ti piace?”
“Sì, mi piace anche questa. Mi fai sentire l'ultima?”
“Era questa l'ultima” mento sfacciatamente.
“Ma se hai detto che erano tre canzoni...”
“Sì beh, era per dire. Sono tre tracce, ma due canzoni complete. La terza è solo una roba strumentale” dire cazzate ad Angie mi riesce ancora facile, come ai vecchi tempi, però bisogna vedere se anche lei è ancora brava a crederci.
“Voglio sentire anche quella” incrocia le braccia e mi guarda storto.
“Ti porto a casa, va” faccio finta di niente e accendo la macchina, ma Angie ha un'altra idea e allunga la mano per premere di nuovo play sull'autoradio.
Partono i primi accordi di un pezzo troppo lento e troppo moscio che non entrerà mai nemmeno in un lato B di un singolo del cazzo della band e che non farei ascoltare agli altri nemmeno sotto tortura, anche perché è talmente personale che mi prenderebbero per il culo per decenni e mi sembra che di motivi per farlo ne abbiano già parecchi. Per fortuna, nella prima parte della canzone, mi è venuta la brillante idea di intonare la melodia con un po' di 'mmm mmm', così posso cavalcare la balla del pezzo strumentale.
“Vedi? E' solo un abbozzo. Solo un coglione che strimpella e mugugna una melodia improvvisata” alzo le spalle e stoppo il nastro, per poi tirarlo fuori e farmelo scivolare nella tasca della giacca. Perché sono così stronzo? Io non ci dovevo nemmeno andare da Angie. Poi quando l'ho vista e le ho proposto di venire a sentire il demo ho cercato di raccontarmela come una mossa per poter passare del tempo con lei. Invece è chiaro che volevo farle sentire anche questo pezzo. Beh, soprattutto questo. E adesso? Me la faccio sotto oppure ho capito che era un'idea di merda in partenza? Cosa volevo ottenere? Farle sapere che mentre lei va avanti con la sua vita io sono ancora impantanato nelle mie stronzate?
“Beh mi sembrava un bell'abbozzo”
“Troppo lenta, troppo deprimente, non lo so”
“Jerry?”
“Sì?”
“Va tutto bene?”
“Certo, perché?”
“Non lo so, chiedo” perché chiedo io. E' ovvio che si faccia delle domande, spunto così dal nulla, mi presento dove lavora, la convinco ad ascoltare dei pezzi, poi il tutto si trasforma in una cazzo di seduta di psicoterapia sotto mentite spoglie.
“E' tutto ok, sono... sono solo le solite cose, ecco”
“Le solite cose continueranno ad essere sempre le stesse se non le affronti, Jerry”
“Lo so. Infatti le sto affrontando. La musica è pefetta per questo, non l'hai detto anche tu?”
“Sì, ma non basta”
“Già. Oh e scusa se sono venuto a romperti le palle, non era programmato, insomma, mi sono trovato lì. Cioè, non è che sono capitato da Roxy per caso, diciamo, che fino a un certo punto non avevo idea che stavo venendo da te, poi, diciamo, l'ultimo kilometro...”
“Ok, Jerry, ho capito”
“Scusa”
“Non ti scusare, non ce n'è motivo”
“E' solo che, beh, è più facile con te. Mi viene più facile parlare con te, nonostante tutto. Assurdo, vero?” Angie sa già tutto, a lei non devo spiegazioni, e ora che non stiamo più insieme, non le devo nulla. Però, allo stesso tempo, lei non deve nulla a me. Non è tenuta ad ascoltarmi.
“Beh, un po' sì, ma non troppo strano. La gente ama confidarsi con me, si vede che ispiro fiducia. O che sembro innocua” Angie scuote la testa e io penso che non è innocua per niente dato che il (troppo) poco tempo in cui le nostre strade si sono incrociate mi hanno lasciato un segno bello grosso e profondo.
“Innocua? Con le chiavi tirapugni? No, non direi proprio”
Il viaggio fino a casa di Angie dura più del dovuto, perché scelgo deliberatamente il percorso più lento e trafficato, ma lei è così gentile da non farmelo notare. Oppure neanche se n'è accorta.
“Allora buona notte. E grazie per il passaggio” mi dice con la mano sulla portiera già mezza aperta.
“Grazie a te per aver accettato di farmi da cavia. E grazie per i pareri”
“Figurati. E comunque quando vuoi parlare o farmi ascoltare altre cose... sappi che io ci sono, ok?”
“Davvero?” le chiedo non perché io sia incredulo, ma perché so perfettamente che sta dicendo sul serio, che è davvero sincera e pronta a sorbirsi le pare di uno che non riesce ad aprirsi emotivamente se non con la sua ex, che sta pure con un altro.
“Certo. Solo perché sei stato una merda non significa che, boh, non ti salverei da un incendio o non ti darei una mano mentre dondoli in bilico sull'orlo di un precipizio per tirarti su. Per le cose serie, se posso, una mano te la darò sempre” Angie fa spallucce mentre mi dice una cosa stupenda e invece di soffermarmi ad ammirare la bontà e l'altruismo di lei, di farmi ispirare dal suo concetto di amicizia, di imparare qualcosa dalla sua totale mancanza di rancore... io vado in fissa sui suoi occhi prima e sulle sue labbra poi e stavolta non credo proprio che non si sia accorta che ho tutta l'intenzione di baciarla. Infatti nel giro di due secondi mi da di nuovo la buona notte e schizza fuori dalla macchina, alla volta del portone di casa.
“Notte!” le urlo dal finestrino guadagnando un suo frettoloso ciao-ciao con la mano.
Si può sapere che cazzo mi sono messo in testa?
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Si può sapere che cazzo mi sono messa in testa? Che faccio, prometto cose che non sono sicura di poter mantenere? Certo, le mie sono state delle gran belle parole, non c'è che dire, suonavano benissimo, ma sarò poi in grado di farle seguire dalle azioni? Ci sarò davvero sempre per Jerry, anche se è stato uno stronzo? E' bello aspirare ad essere persone migliori, ma credo che nel mio caso spesso sia più una sorta di autocompiacimento masochistico. Insomma, c'è che a me piace un sacco essere buona, comportarmi da tale e far sì che tutti mi vedano così, come una ragazza gentile e comprensiva. Tutti, anche quelli che non si meriterebbero nessun riguardo, anzi, specialmente quelli. Tu hai fatto il bastardo con me? E ora ti aspetteresti che, come minimo, cambiassi strada quando ti vedo, giusto? Invece no, io sono qui ad ascoltare i tuoi sfoghi emotivi, a tenerti la mano e a incoraggiarti, dicendoti che andrà tutto bene. Tiè, beccati questa! Non voglio dire che lo faccio proprio apposta, però non posso negare che esista questa componente di soddisfazione nell'essere quella che fa la cosa giusta, o meglio, che fa la cosa buona che nessuno farebbe. Ora lo so che quando racconterò a Meg cosa è successo, lei scuoterà la testa e mi dirà che sono stupida e che avrei dovuto semplicemente mandare Jerry a fare in culo come si meriterebbe, ma il suo vero pensiero sarà che sono troppo buona o una cosa del genere. Ecco, io adoro essere troppo buona, mi fa stare bene, in pace con me stessa e con gli altri, perché è uno dei pochi ruoli sociali esistenti a risultarmi facili da ricoprire e in cui mi sento a mio agio. Almeno per un po'. Perché il problema è che, se ti comporti da buona, poi lo devi essere fino in fondo, senza dubbi, ripensamenti o scazzi vari. Cioè, se io ho appena detto a Jerry che per lui ci sarò sempre come amica, la prossima volta che lo vedo non posso prenderlo a calci in culo perché mi sono improvvisamente ricordata che mi ha tradita e mi ha mancato totalmente di rispetto, non solo come ragazza, ma prima di tutto come persona. Funziona così con Jerry: ci parlo e mi sembra di interagire con una persona del tutto diversa da quella con cui sono stata, ma non per modo di dire, è proprio come se fosse un altro tizio, non mi suscita nessun turbamento, non c'è nessuna tensione. Almeno finché non succede qualcosa, un rumore, una parola, una cazzo di battuta, che mi fa tornare in mente chi diavolo ho di fronte, e lì giuro che lo prenderei a sassate, così, dal nulla. Però no, non si può. Perché se hai la Sindrome di Gesù devi essere Cristo fino in fondo, col porgere l'altra guancia e tutto il resto. Non puoi solo goderti la fama di messia, devi anche farti crocifiggere o, più spesso, metterti in croce da sola.
Il mio rimuginare prende una piega mistica proprio quando entro in casa, forse il tutto è collegato al fatto che appena sono dentro mi levo le scarpe e alle sensazioni di estasi provate dalle mie estremità dopo una giornata in piedi. Agguanto il telefono senza neanche accendere la luce, noto qualcosa scritto sul blocchetto lì accanto, ma non lo prendo neanche in considerazione perché immagino sia un appunto di Meg che mi dice che Eddie mi ha cercata. Dopotutto avevamo un appuntamento telefonico circa... beh, un'oretta fa. Mi lascio cadere sul divano, anche se so che non è la cosa ideale da fare e sarebbe meglio raggiungere il letto, e compongo il numero a memoria sul tastierino, praticamente alla cieca.
“Pronto”
“Ciao Eddie, stavi dormendo?”
“Ovviamente no mia cara... Wallflower?”
“Eheh acqua, mi spiace!”
“Cazzo”
“Tanto non te lo dico”
“Tanto lo scoprirò lo stesso”
“Ah sì, e come?”
“Ho i miei metodi di convincimento, non lo sai?” sì, lo so eccome, ecco perché cambio argomento.
“Comunque stai diventando più imprevedibile, ero convinta che avresti risposto con 'E' già venerdì?' invece del pronto”
“Mi piace sorprenderti, micetta. A proposito, per caso è già venerdì?” domanda ridendo sotto i baffi, mentre io faccio per alzarmi di scatto dal divano e finisco invece per rotolare giù, sul tappeto.
“COME CA- AHI!”
“Tutto ok? Cosa è stato?”
“Niente niente. Scusa Eddie, come stracazzo mi hai chiamata?” gli chiedo mentre mi raddrizzo sul fianco, tenendomi la chiappa dolorante.
“Micetta, perché?”
“Perché, dice lui!”
“Stai parlando con qualcuno o è sempre il tuo solito pubblico immaginario?”
“Non farlo mai più”
“Dai, è carino”
“Questo lo dici tu”
“E poi a te piacciono i gatti”
“Mi piacciono tante cose, mi piacciono anche gli horror, ma non per questo mi farei chiamare Poltergeist... Anche se, pensandoci...”
“Non è male, ma preferisco micetta”
“Io preferirei qualsiasi cosa rispetto a micetta”
“Attenta a ciò che desideri”
“Ugh vuoi dire che potresti venirtene fuori con qualcosa di peggio?”
“Mettimi alla prova”
“Ma poi micetta non ha senso”
“Sì che ne ha”
“Perché mi piacciono i gatti?”
“Perché hai gli occhioni da gatta, sei dolce e tenera, ma sai tirare fuori le unghie quando serve... anche letteralmente. La mia schiena ringrazia eheh” è mezzanotte passata, io sono ancora stesa sul tappeto di casa mia e sto arrossendo.
“E' che non mi piacciono i nomignoli in generale” il meccanismo diversivo di difesa si inserisce da solo mentre cerco di rialzarmi.
“Regina ti piace però”
“Che c'entra, quello non è un nomignolo di coppia”
“Che cazzo dici, è il nomignolo di coppia per eccellenza!”
“Sì, ma nel nostro caso era una cosa tra amici” finalmente mi risiedo sul divano e d'istinto mi avvinghio a uno dei cuscini.
“Ahah amici un cazzo, fosse stato solo per amicizia il nomignolo sarebbe nato e morto quella sera”
“Ok, ma tecnicamente è nato in amicizia, quindi va bene” mi concentro sull'aspetto tecnico perché faccio ancora fatica a realizzare che Eddie abbia avuto questa... cotta (?) per me già da tempo. Cioè, razionalmente capisco che non ha ricevuto un'improvvisa illuminazione quella mattina alla stazione dei pullman di San Diego e che doveva per forza averci pensato anche prima. Ma la mia parte irrazionale ancora non si capacita del fatto che Eddie stia con la sottoscritta, figuriamoci concepire che possa aver covato il suo interesse per me per mesi.
“Va beh, va beh, cosa c'è che non va in micetta?”
“E' troppo... è troppo zuccheroso”
“E' un nomignolo, deve essere dolce, o meglio, tendenzialmente è così”
“E' stupido”
“Che ti aspettavi da uno stupido come me, micetta?”
“Uff ti sei proprio fissato eh?” alzo gli occhi al cielo e so già che questa non la vincerò neanche per sbaglio.
“Secondo me non è che non ti piace, è solo che ti imbarazza, per non so quale strano motivo a me sconosciuto”
“Non è vero” ribatto strizzando il cuscino.
“Invece sì”
“Invece no”
“Lo sai che ti cambia il tono della voce quando colpisco nel segno?”
“Ahah cosa... di che diavolo stai parlando?”
“Niente. Se mi lasci usare micetta, ti permetto di chiamarmi come vuoi”
“Ahahah cioè, vuoi introdurlo proprio come vezzeggiativo ufficiale! Dì la verità, ci stavi lavorando già da tempo, ammettilo”
“No, mi è uscito così senza pensarci. E magari me ne sarei dimenticato un secondo dopo, se tu non avessi avuto quella reazione stupenda”
“In pratica, è colpa mia”
“Come sempre, mia regina”
“Regina o micetta, deciditi”
“E perché mai? Puoi essere tutt'e due. Anzi, lo sei”
“Se per sbaglio quella parola esce dalla tua bocca in presenza di uno dei nostri amici sei-”
“HA! Allora è quello che ti terrorizza? Che possa arrivare alle orecchie dei ragazzi?”
“Se succede una cosa del genere sei morto, sappilo”
“Sei troppo preoccupata dell'opinione degli altri, lasciatelo dire”
“Ma non morto nel senso che ti faccio il culo, ti meno o ti uccido letteralmente. Semplicemente da quel momento in poi cesserai di esistere per me, celebrerò mentalmente il tuo funerale, piangerò un pochino, dopodiché non ti rivolgerò mai più la parola né riconoscerò più la tua presenza in alcun modo”
“Ti ho mai detto che ti adoro quando sei così teatrale?”
“Ti ho mai detto che le mie minacce sono sempre reali?”
“Ok, ok, prometto che non userò mai quel nome se non quando siamo soli soletti. Così va meglio?”
“Sì” lo dicevo che questa non l'avrei vinta.
“Grazie, micetta. Tu come mi vuoi chiamare invece?”
“Io ti chiamo Eddie, punto”
“Guarda che mi va bene anche un nomignolo non zuccheroso”
“Ed?” ebbene sì, è il massimo che riesco a fare.
“Ahahahahah”
“Che cazzo ridi?” in realtà adoro quando ride, specialmente quando mi prende per il culo, ma non è necessario che lui lo sappia.
“Wow, non sarà troppo intimo? Non so se me la sento di permetterti di chiamarmi Ed”
“Vaffanculo, Ed”
“Specialmente davanti agli altri”
“Non è una cosa che puoi decidere a tavolino, ti viene spontaneo chiamare una persona in un altro modo, anche tu l'hai detto, no? Quando mi verrà di chiamarti con un vezzeggiativo idiota, lo saprai”
“Va bene. Allora, è già venerdì?”
“No, mancano ancora due giorni”
“Tecnicamente uno, la mezzanotte è passata da un pezzo”
“Allora se lo sai già, perché me lo chiedi?”
“Volevo vedere se eri attenta”
“Comunque vedi che succede a furia di sparare cazzate al telefono? Finisce che il tempo passa in fretta”
“Era il mio obiettivo fin dall'inizio. Comunque avremmo potuto spararne anche di più se non te la fossi presa comoda, io ero qui ad aspettarti dalle undici e mezza”
“Non me la sono presa comoda, sono arrivata a casa adesso. Cioè, neanche un minuto prima di chiamarti”
“Roxy ti fa fare gli straordinari? Questa cosa che ti fa fare sempre la chiusura però non la capisco, si chiamano turni per un motivo, no?”
“Non la faccio sempre. E questi orari li ho chiesti io perché per me sono più comodi per una serie di motivi. Comunque stavolta sono uscita quasi puntuale, ho perso tempo dopo, anche se non lo definirei tempo perso, visto che ho avuto un'anteprima esclusiva!”
“Ah sì? Che hai fatto?”
“Ho ascoltato un paio di demo degli Alice che andranno nel prossimo disco. Cioè, questo lo dico io, perché sono una bomba, anche se Jerry non è del tutto convinto. Ma quello è normale, perché lui non capisce un cazzo” altro autore perfezionista del cavolo come Eddie, tra di loro dovrebbero intendersi in questo senso.
“Jerry? L'hai visto? E' venuto alla tavola calda?” in barba all'intesa da me supposta, l'adorabile e giocoso Eddie scompare all'istante e nel momento stesso in cui pronuncia il nome di Jerry capisco che sta per incazzarsi esattamente come l'altra sera.
“No, l'ho beccato dopo il lavoro”
“Beccato dove? Sei andata da qualche parte dopo il lavoro e-”
“Oh no, l'ho incontrato per strada”
“Per strada?”
“Sì”
“Per strada davanti a Roxy's alle undici di sera di un mercoledì?”
“Sì” la conversazione sta lentamente scivolando nell'interrogatorio.
“E che ci faceva lì?”
“Non lo so, era in giro, non gliel'ho chiesto”
“Chiedilo a me”
“Eheh cosa?” non sono scema, non è che mi metto a ridere sapendo che Eddie avrà il fumo che gli esce dalle orecchie a questo punto. E' più un ghigno nervoso che non riesco a trattenere.
“Chiedilo pure a me, te la do io la risposta”
“Eddie io-”
“Chiedimelo” Eddie sa convincermi, anche se preferisco gli altri suoi metodi, quelli più piacevoli.
“Ok, che ci faceva lì Jerry?”
“E' venuto apposta per vederti, mi pare ovvio”
“Non è venuto apposta” sì che è venuto apposta, ma quello che voglio dire è che non è venuto apposta con l'idea di riconquistarmi, come crede Eddie. E' solo venuto a cercarmi perchè non sapeva da chi altro andare.
“Va beh, e poi?”
“E poi cosa?”
“E poi cosa è successo, che avete fatto, dove siete andati? Dove te l'ha fatto sentire QUESTO CAZZO DI DEMO?” le grida di Eddie attraverso la cornetta mi fanno sobbalzare sul divano.
“Sì, ma stai calmo, perché alzi la voce?”
“PERCHE' MI VA”
“Eddie”
“Perché io ero qui ad aspettare di parlare almeno al telefono con la mia ragazza, visto che non potevamo vederci di persona, mentre lei era in giro col suo ex”
“Non ero in giro”
“Sei andata direttamente a casa sua?”
“No”
“E' venuto lui da te? Magari gli hai fatto anche il caffè”
“Siamo stati in macchina il tempo di sentire due canzoni di numero e poi mi ha portata a casa” ignoro il suo sarcasmo perché se non lo facessi finirei per rispondere col mio e non ne usciremmo vivi.
“In macchina”
“Sì, dove me la faceva sentire la cassetta secondo te? Nessuno è andato a casa di nessuno e Jerry non va mica in giro con il boombox sulla spalla” eccolo, il mio sarcasmo non ha resistito, questa discussione non può finire bene.
“In macchina” ripete con lo stesso tono sprezzante.
“Sì, in macchina”
“E dove vi siete imboscati? Visto che il vecchio parcheggio è off limits...”
“Non ci siamo imboscati da nessuna parte, eravamo lì, sulla strada. E' finito l'interrogatorio?”
“No. Vi siete baciati?”
“MA FIGURATI, SECONDO TE??” mi viene da urlare, ma allo stesso tempo non voglio reagire con troppa veemenza e dargli l'impressione di essere stata punta nel vivo e che sia successo davvero qualcosa con Jerry.
“Non lo so, se no non te l'avrei chiesto”
“Davvero non lo sai? Cioè, tu seriamente pensi che io potrei baciare Jerry? E che soprattutto, dopo averlo fatto, ti chiamerei e mi metterei a parlare di gatti, poltergeist, nomi e nomignoli come se niente fosse?”
“Non lo so, Angie, so solo che il tuo ex si è fatto vivo con la scusa del demo e tu non hai resistito. E a giudicare dalle tempistiche, non penso proprio che tu abbia ascoltato due canzoni e poi sia filata dritta a casa, a meno che gli Alice in Chains non si siano dati a pezzi prog da 15 minuti l'uno”
“Abbiamo parlato”
“Di cosa?”
“Di cose personali”
“Ah beh allora! Perfetto, non ho assolutamente motivo di arrabbiarmi! Hai visto il tuo ex e avete parlato dei vostri segreti, ora sì che sono tranquillo!”
“Cose personali sue, che non riguardano me”
“Oh perché ora tu sei la confidente preferita di Jerry, giusto. Perché non va a raccontare i cazzi suoi alle tipe che si scopava alle tue spalle?” beh, wow, complimenti per il tatto, Eddie... Resto interdetta per alcuni secondi prima di rispondere.
“E io che ne so? Magari lo fa già, magari no. Perché lo chiedi a me, io cosa c'entro, scusa?”
“C'entri perché sei la mia ragazza, non la sua, se te lo fossi dimenticato”
“Non me lo sono dimenticato, ma forse tu sì, visto come mi stai trattando” va bene mantenere la calma, ma io non ho fatto niente, perché dovrei stare sulla difensiva? Non mi piace per niente quando fa così.
“Vero, sono io che faccio lo stronzo, dopotutto ti sei solo vista da sola con Jerry, mica mi dovrei incazzare”
“Senti, te l'ho detto io che ho visto Jerry, di mia iniziativa, senza che tu sapessi un cazzo. Se non ti avessi detto niente non l'avresti mai saputo. E invece io te l'ho detto, perché non ho niente da nascondere e non ho fatto niente di male” litigare è una delle cose che odio di più e che rifuggo come la peste. Non mi piace litigare, mi mette ansia, anche quando ho ragione, ed è per questo che spesso faccio finta di niente e chiudo gli occhi e le orecchie anche quando non dovrei, anche quando avrei qualcosa da ribattere, perché semplicemente non ho voglia di casini e voglio stare tranquilla. In questo caso, però, non riesco proprio a stare zitta, quindi cerco di farlo ragionare.
“Ok, ascolta, io ci credo che non hai fatto niente, che non è successo niente, mi fido di te. Ma non mi fido di lui? Non lo capisci che lo fa apposta? Era un pretesto del cazzo per vederti” Eddie smette di trattarmi di merda per un attimo, ma questo non è che mi faccia sentire poi tanto meglio.
“Non era assolutamente così, ma anche se lo fosse, io non c'entro nulla. Mi ha chiesto di ascoltare un paio di pezzi e dargli un parere, morta lì”
“Potevi dirgli di no. Potevi dirgli che dovevi andare a casa, che avevi un impegno. Che poi ce l'avevi davvero l'impegno, con me”
“Onestamente non ci vedo nulla di male nell'ascoltare due canzoni e un mezzo sfogo di un amico, quindi non vedo perché avrei dovuto dirgli di no” l'impegno che avevo con te era una telefonata, non casca certo il mondo se ti chiamo un po' più tardi, no?
“Forse perché non è un amico, ma è il tuo fottuto ex?”
“Proprio perché è il mio ex, non vedo perché devi essere geloso. E' acqua passata, una storia chiusa con un sacco di pietre messe sopra. Se sei geloso, il problema è tuo” se c'è una cosa che non sopporto è la gelosia, non la tollero, è stupida, è-
“Se non vedi qual è il problema, sei tu il problema. Buona notte” c'è bisogno che il segnale di occupato vada avanti per un po' prima che io capisca che Eddie mi ha letteralmente attaccato il telefono in faccia. Sono incredula, non solo per questo gesto, ma per tutta la situazione. Che cazzo è successo? Come siamo passati da una tranquilla telefonata a una lite accesa nel giro di un minuto? Perché si è arrabbiato così tanto? Non so cosa fare, aspetto qualche minuto, poi provo a richiamarlo, ma il telefono squilla a vuoto, senza risposta.
“CHE CAZZO! Angie, che diavolo ci fai lì?” la luce della sala si accende di colpo e l'improvvisa vista della mia sagoma sul divano terrorizza la mia amica.
“Ciao, Meg, scusa”
“Scusa un cazzo! Ok, dichiaro ufficialmente terminato il campionato di Spaventa a morte la tua coinquilina. Hai vinto tu e stop, mi arrendo” si avvicina tenendosi una mano sul cuore e io so già che ora si siederà con me, capirà in un nanosecondo che c'è qualcosa che non va, io inizialmente non le dirò un cazzo, poi, inevitabilmente, le spiattellerò tutto, lei mi consolerà, insulterà Eddie, poi Jerry, poi mi dirà che non è niente di irreparabile, mi darà dei consigli che mi sembreranno senza senso, ma che alla fine risulteranno azzeccati e tutto si sistemerà. Forse.
“Scusami, stavo telefonando”
“Ah, hai richiamato la tua amica, allora?” mi chiede Meg, disorientandomi totalmente. Come se non fossi già abbastanza confusa.
“La mia amica?”
“Sì, Jane, la tua ex compagna di scuola. Ti avevo lasciato un appunto...” Meg si allontana saltellando e torna da me con il blocchetto che avevo notato accanto alla base del cordless. Mi basta quel nome, prima pronunciato da lei e poi scritto a chiare lettere sul foglio giallo, per tornare immediatamente padrona di me stessa.
“Sì sì, infatti, l'ho appena richiamata, grazie” mi alzo dal divano e prendo il blocco delicatamente, ma con fermezza, dalle mani di Meg, prima di staccare la pagina incriminata.
“E' tutto ok? Mi sembrava una cosa urgente”
“Ahahah per Jane è sempre tutto urgente! Nah, voleva solo darmi la notizia che finalmente ha trovato lavoro. E darmi il suo nuovo numero, ora che si è sistemata” prendo la borsa e infilo il foglio di carta nella mia agenda, per non perderlo. O almeno, questa è l'idea che voglio dare a Meg. Io questo numero ce l'ho già, ma sotto sotto, mi piacerebbe tanto perderlo.
“718... uhm... che prefisso è, Texas?”
“New York”
“Hai un'amica nella Grande Mela? Che figata! E che fa di bello?”
“Fa la modella. Il suo sogno è fare l'attrice” sarebbe più corretto dire che il suo sogno è essere famosa, anzi, essere adorata. Da tutti, possibilmente. Ma non mi sembra necessario aggiungere questo dettaglio, non so neanche perché ne sto parlando con Meg.
“Un giorno sarai tu a dirigerla allora? Un'attrice e una regista: la squadra perfetta!” la mia coinquilina manifesta un entusiasmo che cozza un po' col mio umore, ma non posso darlo a vedere.
“A parte che preferirei scrivere e non dirigere, tranquilla che ne ho di panini da servire ancora prima di arrivare a quel punto” chiudo la borsa, me la rimetto a tracolla.
“Come mai non mi hai mai parlato di questa Jane? E' la prima volta che la sento nominare, pensavo avessi solo tre amici in croce” non demorde e mi segue fino in corridoio.
“Infatti, confermo i mitici tre. Jane non è proprio un'amica, è più... è una conoscenza più superficiale”
“Però è carina a mantenere i contatti, dai” sì, certo, carinissima.
��Sì, è una brava ragazza” credo che vomiterebbe se mi sentisse dire questo di lei.
“Che fai? Esci?” Meg mi blocca quando, anziché andare verso la mia camera, come si aspettava, faccio per aprire la porta di casa.
“Sì, ho finito le sigarette. Me ne ero dimenticata, cazzo. Mi tocca uscire di nuovo, ma ci metto un attimo”
“E non puoi stare senza fumare?”
“No, decisamente no, Meg, fidati”
Esco invitandola a tornare a dormire, dicendole che ho con me le chiavi e che non serve aspettarmi. Scendo le scale in un lampo e quando sono fuori dal condominio, do un'occhiata alle finestre del quarto piano. Le luci sono di nuovo tutte spente. Meglio così, non è necessario fare il giro dell'isolato. Mi infilo nella cabina sotto casa, inserisco una ad una le monete nel telefono a gettoni come se pesassero una tonnellata ciascuna e compongo il numero che è chiuso nella mia agenda, ma che non mi serve tirare fuori, perché lo so a memoria da anni ormai.
“Pronto”
“Che ti serve?”
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“E' ancora presto, cazzo” dico tra me e me guardando l'orologio, che segna le otto meno un quarto. Che poi, dovrei buttarlo questo cazzo di orologio. O rivenderlo. L'avevo detto anche ad Angie, chiedendole se le dava fastidio, ma lei mi aveva guardato come se fossi matto e mi aveva chiesto perché. Non le importa che io abbia al polso ogni santo giorno l'orologio che mi ha regalato una che aveva una cotta per me, una ragazza che ho persino baciato. Angie non sa cosa sia la gelosia, quell'angoscia che nasce dalla pancia e ti arriva subito alla testa, che ti fa vedere tutto nero, che ti toglie il respiro, come un mostro marino che emerge dall'oceano e ti sorprende mentre stai nuotando, ti avvolge e ti immobilizza con i suoi tentacoli, che ti convince che ormai è tutto perduto. Angie non ci pensa nemmeno, non ci ha pensato ieri sera, quando ha incontrato Jerry, e neanche quando me l'ha detto, candidamente, come se fosse una cosa normale. Perché per lei è normale. Perché è probabile che sia normale per tutti tranne che per me, lo stronzo instabile, che è qui sotto casa della sua ragazza dalle sei del mattino, in attesa che venga fuori per poterle chiedere scusa e salvare la situazione. Non avevo intenzione di svegliarla così presto e sapevo che non sarebbe uscita a quell'ora, ma non ce la facevo più a stare a casa, dopo una nottata insonne in cui sono passato, anche piuttosto velocemente, dalla rabbia alla realizzazione della cazzata appena fatta. Esco di nuovo dal pick up. Sarò sceso e salito cinque o sei volte in un paio d'ore e ci saranno i mozziconi di un intero pacchetto di sigarette su questa merda di marciapiede. Non piove, ma l'aria è fresca, io però sto sudando. Allungo la mano attraverso il finestrino lasciato aperto per metà, recupero il mio cappellino dal sedile e lo indosso. Mentre sono impegnato a raccogliere tutti i capelli alla bene e meglio sotto il berretto, sento il portone aprirsi e la vedo uscire, intenta a sistemarsi la sciarpa voluminosa attorno al collo per proteggersi dal vento. Non mi guarda, ma viene verso di me, e io non mi devo neanche impegnare a fare la faccia contrita, perché solo rivederla per me è un tuffo al cuore e sono sicuro che la mia espressione naturale sia già quella giusta. Sto quasi per chiamarla per nome quando, anziché proseguire dritta nella mia direzione, gira alla sua destra e se ne va chissà dove. Non mi ha visto? Mi ha visto e mi ha ignorato apposta, poco importa. Butto l'ennesima cicca a terra e la seguo.
“Angie” si inchioda di colpo, segno che no, forse non mi aveva visto. Si volta verso di me e letteralmente mi squadra da capo a piedi, prima di fermarsi sui miei occhi e rispondere con un cenno.
“Ciao Eddie” si volta di nuovo e riprende a camminare, stavolta più lentamente.
“Lo so che sei arrabbiata, hai tutte le ragioni per esserlo” la raggiungo e cammino accanto a lei, che affonda la faccia nella sciarpa, quasi a volersi nascondere.
“Io non sono arrabbiata. Eri tu quello incazzato, mi pare”
“Mi sono incazzato per niente, Angie, scusami. Ti chiedo perdono”
“Eri una furia”
“Lo so, lo so, sono stato uno stronzo”
“Mi hai attaccato il telefono in faccia e non mi hai neanche risposto quando ti ho richiamato”
“Meglio così! Credimi! Ero fuori di me, chissà cosa avrei potuto dire” ecco forse questo era meglio non dirlo.
“Ok, allora meglio così” Angie alza le spalle e accelera impercettibilmente il passo.
“Angie, possiamo fermarci un secondo, ho bisogno di parlarti per bene, non così, mentre camminiamo”
“Ho delle cose da fare, devo passare in banca e fare altre commissioni prima di andare in facoltà”
“Ci vorranno solo due minuti, Angie, per favore. Fammi parlare, non ci ho dormito tutta la notte” le circondo le spalle con un braccio, delicatamente, indirizzandola verso la prima panchina che mi capita a tiro.
“E dov'è la novità?” mi chiede con un sorriso un po' spento. Mi sa che non ha dormito neanche lei granché.
“La novità è che stavolta è colpa mia.” faccio un cenno verso la panchina “Ti prego”
“Ok, solo due minuti però” alza gli occhi al cielo e si arrende, sedendosi con me.
“Allora... beh, come avrai intuito, ho un piccolo problema con la gelosia” inizio a confessare.
“No! Davvero?” mi rivolge il suo solito sorrisetto sarcastico e mi sento un pochino meglio perché forse c'è la possibilità che io non abbia mandato tutto a puttane.
“Sono geloso. Ed è un mio problema, come hai detto tu ieri, avevi ragione, hai ragione. Nel senso che tu non hai fatto niente, tu non fai mai niente, è una cosa mia, non c'entrano le cose che fai o come ti comporti o cazzate del genere. Potresti non uscire mai di casa e io sarei geloso del fattorino che ti porta la pizza perché, che cazzo ne so, ti sorride un po' troppo quando gli lasci il resto di mancia”
“Beh, sì, visti i guadagni da fame, qualcuno potrebbe anche innamorarsi per una mancia, ci posso credere” Angie continua a prendermi per il culo e ammetto che la cosa mi fa sentire sempre più a mio agio.
“Il fatto è che nove volte su dieci il pensiero arriva, mi genera fastidio per quei due secondi, e poi se ne va e non ci penso più. Insomma, il più delle volte lo tengo a bada, ignoro le voci nella mia testa, e continuo con la mia vita come se niente fosse”
“Non stiamo parlando di vere voci, giusto?”
“Eheh no, voci della coscienza”
“Ah ok. E invece che capita nell'unica volta su dieci?”
“Capita che perdo la testa e dico cose che non penso”
“Sicuro che non le pensi?”
“Angie, no, non le penso. Perdonami, non succederà più, te lo prometto” provo a prenderle le mani, un po' timidamente, ma lei mi lascia fare e non si allontana da me.
“Come fai a prometterlo? Se perdi il controllo, come dici, come puoi evitarlo?”
“Posso evitarlo perché voglio evitarlo, perché tu sei più importante, di tutto”
“Eddie, ascoltami,” Angie si gira un po' di più verso di me, sempre tenendo le mani nelle mie “posso capire la tua gelosia. Cioè, non la accetto, non la giustifico, ma posso capire come funziona, ne intuisco il meccanismo e i motivi scatenanti. So che devi sentirti insicuro, anche se non ho la più pallida idea di come sia possibile, visto che sei un ragazzo eccezionale e che non ti lascerei mai”
“Magari c'è qualcuno più eccezionale di me...”
“Chi? Jerry Cantrell?” Angie non perde tempo e va dritta al punto.
“Deve pur avere qualcosa di buono se ti ci sei messa assieme. E se gli sei ancora amica, dopo che... beh, dopo il male che ti ha fatto”
“Certo che c'è del buono in lui, ma nulla di un potenziale fidanzato. Non più. E non so più come dirtelo per fartelo capire”
“E allora perché ci parli ancora? Non voglio dire che non devi parlargli, non sono quel tipo di ragazzo, che ti proibisce cose o ti dice chi devi frequentare o dove puoi andare o stronzate del genere. Solo, non capisco davvero come tu possa farlo, cioè, se Beth saltasse fuori dal nulla e mi cercasse dicendomi che ha bisogno di parlare con qualcuno, le risponderei con un bel dito medio”
“Io non sono te” la risposta è tanto immediata quanto semplice.
“Eheh lo so. E meno male, aggiungerei”
“Non so che altra spiegazione darti, per me è così. Prima di provarci era un amico e quello che è successo tra noi come coppia non ha cambiato le cose. Cioè, detto onestamente, io pensavo di sì, che le avrebbe cambiate, ma poi col passare del tempo mi sono resa conto che per me Jerry è tornato ad essere né più né meno quello che era prima: un amico”
“Mi sembra incredibile, è come se scindessi le due cose”
“Non è come se, è esattamente così. Io divido le due cose, i due rapporti, i due Jerry. C'è Jerry il mio ex e Jerry l'amico, il primo non c'è più, è rimasto l'altro” Angie fa spallucce come se spiegasse la cosa più ovvia del mondo, io non ci provo neanche a capire e non so se crederci o meno. Ma devo sforzarmi se voglio che questa cosa funzioni e non naufraghi quando è praticamente appena cominciata.
“E' un concetto molto lontano dal mio modo di vedere, ma... posso capirlo”
“Stessa cosa per me con la tua gelosia. E' un concetto molto, molto lontano da me, ma lo capisco. Quello che non ammetto è il modo in cui mi hai trattata perché eri geloso”
“Lo so, Angie, scusami”
“Mi hai detto delle cose bruttissime. E con un tono... il tono era davvero cattivo, come se cercassi di farmi male il più possibile”
“Te l'ho detto, sono scattato per una cazzata”
“Secondo me il tuo problema non è la gelosia, ma la rabbia. Appena tii senti in pericolo attacchi, alla cieca. Non è la prima volta che lo fai, ma a questi livelli no, non era mai successo” colpito e affondato. Angie mi conosce da nemmeno sei mesi, sta con me da qualche settimana e mi ha già inquadrato in tutto e per tutto.
“Lo so, è un casino. Io sono un casino.” mi lascio andare, appoggiando la testa sul suo grembo, senza mollarle le mani “Speravo non vedessi mai questo lato del mio carattere” illuso, era ovvio che saltasse fuori subito, con una maggiore intimità.
“Anch'io sono un casino, tutti lo siamo. Ma quando si tratta di ferire deliberatamente una persona, con cattiveria beh, io lì tiro una riga e segno il mio limite. Cosa me ne faccio dei nomignoli zuccherosi se poi sfoghi le tue frustrazioni su di me?” lo sapevo, mi sta lasciando. Mi ha sopportato anche troppo in fondo.
“E' finita, vero?”
“COSA? Di che stai parlando?” Angie libera le sue mani dalle mie e mi prende la testa, girandola e obbligandomi a guardarla.
“Non vuoi mollarmi?”
“Eheheh chi è quello teatrale adesso?” mi spinge di nuovo la testa in basso, mi leva il cappello, se lo mette in testa e inizia a spettinarmi per gioco.
“Hai detto che quello è il tuo limite...”
“Secondo te ti mollo per una lite del cazzo?”
“No?” sono salvo?
“La prossima volta, quando ti incazzi per qualcosa, prima di insultarmi, fai un bel respiro profondo e parlane francamente, dimmi cosa non va, di cosa hai paura e come posso aiutarti. Oppure insultami, ma solo se me lo merito o se pensi ci sia una valida ragione. Insomma, ci sta discutere, cazzo, ci sta anche litigare, anche se io detesto litigare e farei qualsiasi cosa pur di evitarlo, ma ammetto che ci sta, se c'è un motivo. Ecco, io voglio avere la libertà di litigare con te senza rischiare un crollo emotivo ogni volta, ok? Perché, come ti ho già detto, anch'io sono un casino, proprio come te, anch'io ho i miei problemi, che credi. Non vedi quanto ci metto a esternare un cazzo di sentimento che sia uno? Da un lato ti invidio, sai?” quello che dice mi lascia inizialmente senza parole perché è così... maturo. Io sono qui a piagnucolare, mentre lei ha analizzato la situazione razionalmente e sta semplicemente dicendo le cose come stanno.
“Mi invidi? Pensi che essere schiavo delle proprie emozioni sia meglio? Ogni volta è come lanciare in aria una cazzo di monetina, fai un tiro e non sai che cosa verrà fuori: come sto oggi? Sto bene? Sto male? Sono felice? Sono incazzato? Jeff e Stone potrebbero scommetterci su” mi rimetto a sedere come una persona normale e mi accorgo di avere una stringa semi-slacciata.
“Beh, le mie monetine non vengono mai lanciate, le infilo nel salvadanaio, una dopo l'altra, e lì rimangono. Almeno finché non arriva Natale e bisogna rompere il salvadanaio e allora BAM! Escono fuori tutte assieme” faccio per allacciarmi la scarpa, quando Angie si intromette, le allaccia per me mentre parla, e poi mi riprende le mani nelle sue.
“Mi presti il tuo salvadanaio?” le chiedo prima di ricevere quel bacio che temevo di non avere più.
“Sì, solo se mi fai lanciare le tue monetine ogni tanto” mi sorride e ora ne ho la certezza: sono salvo.
“Scusami, Angie, davvero”
“Non mi serve che ti scusi, mi serve che non fai più lo stronzo”
“Va bene”
“E che se qualcosa non va me lo dici e ne parliamo, come due persone adulte”
“Ok”
“Perché non sono il tuo pungiball”
“No, sei la mia...” aspetto che capisca cosa voglio dire e risponda alla provocazione. Finalmente si gira di scatto e mi guarda malissimo, proprio come piace a me.
“Non ci provare”
“Perché? Hai detto che potevo”
“Non in pubblico”
“Ma se non c'è nessuno” mi guardo attorno e c'è giusto qualche passante che non ci calcola minimamente.
“Pensi che se non ti ho mollato per la piazzata di ieri non ti mollerò se mi chiami micetta? Potrei stupirti”
“HA! L'hai detto tu. Dicendolo l'hai automaticamente accettato come nomignolo ufficiale”
“E chi lo dice?”
“Io, micetta” le rispondo nell'orecchio, perché va beh rischiare, ma non voglio neanche tirare troppo la corda.
“In cosa mi sono andata a cacciare” Angie alza gli occhi al cielo per l'ennesima volta e credo che con me diventerà un'abitudine.
“Non ne hai idea, credimi”
“Non voglio più litigare con te”
“Io invece non vedo l'ora”
“Ahah che?”
“Solo con te un litigio può trasformarsi in un confronto a cuore aperto sulle emozioni, i sentimenti e la maniera di gestirli. Mi piace parlare di queste cose con te, mi piace parlare con te, mi piaci tu”
“Anche tu mi piaci,” Angie mi stampa un bacio sul naso e poi si alza “però adesso devo proprio andare”
“Ah allora non era una scusa per evitarmi? Hai da fare sul serio?” mi alzo anch'io e scherzo, facendo finta di non badare al fatto che mi ha appena detto che le piaccio, senza imbarazzarsi, senza che glielo abbia chiesto o che abbia cercato di estorcerle questa confessione con la tortura.
“Sì e mi devo muovere”
“Ma quando finiscono le lezioni?” sbuffo recuperando il mio cappello dalla sua testa e rimettendolo sulla mia.
“Domani è l'ultimo giorno”
“Finalmente! Cos'hai di vacanza, una settimana?”
“Dieci giorni”
“Ancora meglio... senti, stavo pensando... cioè, in realtà non ci avevo pensato prima, ci sto pensando adesso. Che ne dici se andassimo via qualche giorno, io e te?” le prendo di nuovo le mani, o meglio, i polsi, e ne accarezzo l'interno. Lo so che le piace.
“Via dove?”
“Dove vuoi tu. Per staccare e stare un po' da soli, ti andrebbe?”
“Non so, non sarai preso col film e la registrazione dell'album?”
“Appunto, potremmo fare questo weekend, che ne dici? Mi girano le palle che sarò impegnato proprio quando tu sarai a casa e potremmo vederci di più”
“Non lo so, Eddie. In realtà avevo già dato la disponibilità sia a Roxy che ad Hannigan per fare qualche ora in più sia nel weekend che in settimana, sai, per mettere da parte qualcosa” il suo sguardo si abbassa troppo spesso perché non ci sia qualcosa che non va.
“Oh ok... ma va tutto bene?” la scuoto un po' invitandola a guardarmi, oltre che a parlare sinceramente.
“Certo, perché?”
“Non so, non è che hai bisogno di soldi?”
“Ahahah e chi non ne ha bisogno?” Angie si stacca da me e mi fa cenno di riavviarmi assieme a lei.
“Eheh no, intendo, che magari hai qualche problema e ti servono i soldi”
“Il mio problema è il solito: pagare le bollette, l'affitto, il college e i libri. O le fotocopie dei libri, anche quelle costano” camminiamo vicini mentre Angie conta le sue spese sulle dita della mano.
“Beh, ma ti aiutano i tuoi, no? Tuo padre non mi da l'idea di essere il tipo che s'incazza se non gli mandi la tua parte all'inizio del semestre, ma un po' più tardi”
“Non c'entra, è una questione di principio, se prendo un impegno lo mantengo”
“Certo e questo è bellissimo. Ma non c'è niente di male nel chiedere aiuto quando si ha bisogno” proseguo e non mi accorgo subito che Angie si è fermata poco più indietro.
“Ecco, questo me lo dovrei tatuare, così magari inizierei anche a farlo prima o poi” mi giro e la vedo ferma sul primo gradino della scalinata della banca.
“Tutti vengono da te quando hanno bisogno, tu invece?” la raggiungo e l'abbraccio.
“Io invece chiamo te se ho un ragno in casa”
“Puoi chiamarmi anche per il resto, lo sai vero?”
“Grazie.” mi bacia ancora e stavolta non può fare a meno di guardarsi attorno per controllare che non ci sia nessuno di nostra conoscenza nei paraggi “Comunque è tutto ok, solo necessità di tutti i giorni, non ti fare strane idee, davvero”
“Ok”
“Ora devo andare sul serio però. Ti posso chiamare a pranzo?”
“Non me lo devi chiedere”
“Correggo la mia domanda: ti trovo a casa a pranzo?”
“Sì”
“Ci sentiamo dopo allora, buona giornata” mi stampa un altro bacio troppo veloce e se ne va troppo in fretta.
“A dopo... Whirpool??”
“Acqua!”
'Se qualcosa non va me lo dici e ne parliamo' così mi hai detto. Spero tu lo sappia che vale anche per te.
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SAO Alicization: War of Underworld - Ep 13 - La grande guerra di Underworld
IN ITALIA L'ANIME E' DISPONIBILE SULLA PIATTAFORMA GRATUITA VVVVID! SUPPORTIAMOLA! -> https://www.vvvvid.it/show/892/sword-art-online-alicization-war-of-underworld/1474/542775/la-grande-guerra-di-underworld
La seconda parte di questa stagione inizia col botto, quello serio, quello che ti tappi le orecchie appena lo senti perchè rischi i timpani. E' arrivata infatti Sinon, tutti in piedi sul divano per lei, che in un colpo solo ha distrutto tutta l'armata rossa (quella presente almeno) e si è scusata per l'attesa con Asuna, come se fosse appena arrivata tardi ad un appuntamento per un caffè, grande Sinon, thug life proprio. Ma stagione (si fa per dire) nuova sigla nuova, e mi piace tantissimo, rende l'idea dei diversi mondi e giochi che nel tempo sono stati fatti e che giungono ad unione completa in questa stagione, con Kirito che da bianco riacquista i suoi colori e la sua forza grazie allo sforzo di tutti quanti i personaggi. Davvero bella, merita di essere ascoltata. Sinon dunque è arrivata, tutti tranquilli che con lei non perderete, ed informa subito che a poca distanza ci sono delle rovine da cui ingaggiare battaglia senza essere attaccati.
Intanto però chiede ad Asuna se può salutare Kirito, già che c'è, perchè non allargare l'harem, che ancora è troppo ristretto. Ronye e Tiese la pensano alla stessa maniera, infatti Ronye si chiede se questo screanzato abbia solo amiche femmine (ho riso un pò a questa battuta, anche perchè, cara Ronye, non hai ancora visto niente). Sinon abbraccia con le lacrime agli occhi Kirito, che anche con lei ha un minimo di reazione e stringe forte la propria spada (quella vera, non fate i maliziosi che è un momento serio); Sinon pensa che il Kirito di sempre è ancora lì da qualche parte, e dopo un bacino sulla guancia al senpai dice ad Asuna ed alle altre due che Kirito si risveglierà quando sarà il momento, non preoccupiamoci adesso. Sinon inoltre pare aver preso l'account di un'altra sorta di divinità, Solus, che ha la capacità di volare. Basta, miglior personaggio, di che stiamo ancora a parlare. Ma dato che sa volare, dice Asuna, conviene che invece di guidare le truppe dall'alto, insegua Miller che ha rapito Alice, così può rallentarlo o quanto meno localizzarlo.
Da qualche parte nel dark territory il grugno di maiale, che mi deve scusare per averlo chiamato così finora dato che è un orco (pensavo che gli orchi fossero gli ogre, ed invece erano creature diverse, chiedo venia), ha ritrovato l'orecchino dell'orchetta di cui era innamorato e che ha fatto una brutta fine per dare più potere alle streghe poppute. Il suo urlo di disperazione viene però interrotto perchè gli cade letteralmente addosso Leafa, tenera lei, che si rialza spolverandosi e gli chiede dove si trovino. Dopo la solita sequenza dove Leafa non fa una piega per l'aspetto del suo interlocutore e l'orco, di nome Rilpirin, le chiede perchè non è impaurita ma lei gli risponde che dato che parla e tutto è una perona come lei quindi perchè barricarsi dietro l'aspetto esteriore e bla bla, lui dice che è sua prigioniera e la deve portare da Vecta. Leafa, che immagino sappia tutta la situazione con Miller/Vecta, coglie l'occasione e si fa prendere prigioniera. Mentre però si avviano li circonda una nebbia scura, e compare DIL, mortacci sua, che si fa spuntare tentacoli dappertuto e comincia a succhiare linfa vitale da ogni parte di Leafa. Stupro tentacolare di Leafa in diretta signore e signori, sono molto a disagio, questa stagione è più cruda che mai, e DIL sfotte talmente tanto l'orco per la sua apparenza di maiale, che anche a lui compare il warning nell'occhio destro ed invece di obbedire agli ordini dell'arpia qua, afferra la spada e tenta di attaccarla. Poco importa che non ci riesca, la DIL molla Leafa per la rabbia e si scaglia contro Rilpirin, ma viene letteralmente fatta a pezzi proprio da Leafa, che nel frattempo si è rialzata senza neanche un graffio e le molla uno stacce di dimensioni considerevoli, appena prima di disintegrarla. In effetti con tutta l'esperienza che ha accumulato finora il suo account, un tentativo di stupro come quello di DIL non le avrà fatto nemmeno il solletico. Ed anche Leafa si unisce alla guerra!
Intanto l'esercito umano è arrivato alle rovine indicate da Sinon, e con l'aiuto di Asuna (fissata con piacere rivoltante da Vassago che è atterrato su qualche pizzo lì vicino) sta combattendo contro le orde di nemici rosse; qui apro una parentesi e mi chiedo: ma davvero per un videogiocatore è così divertente attaccare a destra e a manca senza sapere nulla del mondo dove ti trovi o del perchè stai uccidendo? Non sono una gamer ma mi piace guardare i gameplay, e devo dire che preferisco di gran lunga le storie ben raccontate, non quelle con una trama inesistente dove si combatte e basta. Bah. Andiamo avanti, raggiungiamo Bercoulli che ancora insegue Vecta, e riesce ad atterrarlo tagliando un'ala al suo drago, poveretto l'animale ma, sai com'è, portavi in groppa il dio dell'oscurità, non poteva finirti troppo bene. I due ingaggiano quindi battaglia, ma anche con una spadona come quella di Bercoulli con Vecta non c'è storia, ricordiamoci che essendo privo di emozioni o di qualsivoglia capacità empatica può letteralmente divorare la volontà del nemico, e con Bercoulli, così appassionato e fiero, la battaglia non può che finire nel peggiore dei modi, e come niente lo ferisce e gli taglia un braccio, e dimostra che può attaccare anche a distanza solo puntando la propria spada. Bercoulli, che capisce il significato di un presagio di morte, sorride e si avventa ancora contro Vecta, ed io qui ho mooolta paura.
Ci spostiamo però, di nuovo alle rovine, con i cavalieri rossi che non contenti di tutti i videogiocatori che hanno visto fare a fette continuano ad avanzare, ma dall'alto arriva un'altra luce, come nello scorso episodio, che distrugge tutti da Asuna in poi, e diamo il benvenuto a Klein, che anche lui si scusa per l'attesa come se fossero alla fermata dell'autobus e fa da apripista a tutti gli altri compagni provenienti da Aincrad. Mamma mia le cose si fanno interessanti! Alla prossima! -sand-
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Coca-Cola
Il bagno della stazione. Mattino presto. Pungente odore di urina. Il buio interrotto da chiazze di luce gelata sul marciapiede grigio. L’altoparlante sbrodola avvisi e poi l’annuncio del mio treno. Osservo il binario, cerco i fari. Il grosso serpente d’acciaio apre i suoi fianchi ed entro in una luce intensa, mi accomodo e vengo trasportato di stazione in stazione, con brevi soste, vagamente consapevole dei tragitti che percorrevo vent’anni fa. Osservo le persone attorno a me, ciascuna nel suo mondo, dentro cellulari, giornali, musica e pensieri, mentre la campagna scorre fuori. L’alba mi sorprende poco prima dell’arrivo; il treno entra in città, rallenta, s’inclina e sussulta, si ferma ed apre le porte, vomitandoci fuori, nel viavai intenso dei pendolari e dei viaggiatori che si riversano nelle scale, nei sotterranei, verso le uscite o i binari dell’alta velocità. Sono confuso, pregno di anticipazione, inconsapevole e rapito dal mio sogno egoistico, non so decidermi ad uscire dalla stazione ed allora mi muovo verso l’atrio, mi infilo nel bar, in mezzo a una rumorosa folla e al profumo delle brioches e del caffè. Un cornetto ed un succo. Dovrei calmarmi. Esco in un mattino col cielo a chiazze, uno spiraglio di sole. Attraverso la strada su strisce incapaci di contenere il flusso di pedoni, imbocco i portici, sfioro l’edicola, i negozi chiusi, attraverso un piccolo parcheggio stracolmo, osservo gli autobus in coda e gli scooter che zigzagano. Più lontano, quel che resta di un vecchio parco, con alberi ingrigiti e chiome spogliate dall’inverno incipiente. Di colpo mi ricordo quello strano cappello verde e rosso, caldo, strano e comodo, lo indossavo anche su questa strada, nei miei giorni di ricerca, quando la città sembrava esotica e lontana. Cammino, mi soffermo davanti alle vetrine, guardo i passanti, un mendicante, un cane, una zingara, una bellissima ragazza diretta chissà dove, la bandiera del consolato greco che pende floscia e sporca sotto il portico. L’odore di pizza al taglio a quest’ora è un’offesa. Il sole si ostina a splendere tra le nubi. Ancora un semaforo, un negozio di dischi che non c’è più, una parete coperta di manifesti fotocopiati su fogli colorati, una coppia di studenti freak, una vespa malamente verniciata, Gli occhi profondi di una ragazza africana che mi incrocia con espressione impenetrabile, chissà cosa ci siamo detti. L’ingresso di un piccolo ristorante cinese, un kebab più in là. Ho voglia di Coca-Cola. Tremo e un fantasma del '98 mi attraversa. Mi sono fermato, sono sotto casa sua. Osservo il portone color bronzo, tremendamente anni ’60, col vetro scuro dietro cui s’indovina il piccolo ingresso. So che ci sono le scale sulla destra. Niente ascensore in questa piccola palazzina costruita sul limitare delle mura, a pochi metri dalla porta, tra edifici dissonanti. Sono trattenuto al marciapiede dalla forza della paura. Sto sbagliando, lo so. Il mio sguardo scorre i campanelli, non serve, so dov’è il suo...ma DEVO perdere tempo. Guardo l’ora, sono quasi le 8. E’ troppo presto, mi dico. Vigliaccamente decido che è meglio lasciar perdere. Non rischiare di incasinarsi la vita e di infastidire una persona. Proseguo lungo il marciapiede, raggiungo la porta, la osservo distrattamente e prendo per il viale, trafficato e rumoroso. Faccio un giro lungo, magari mi schiarisco le idee. Ho sempre più voglia di Coca-Cola. Imbocco un piccolo porticato moderno, senza fascino, cartacce a terra, colonne sudicie di smog, vetrine fitte. Suona il cellulare, un messaggio. Mi concentro nella lettura senza accorgermi di stare davanti all’ingresso di una panetteria. Un piccolo urto, una spallata. Alzo lo sguardo, sento una voce che si scusa, non sono attento, non rispondo, muovo gli occhi e mi pietrifico. Anche lei si pietrifica. In questo momento sono solo spaesato. Lei grazie a Dio inizia a sorridere e mi chiede come sto. Sto quasi per dirle che sono li per lei, ma non ce n’è bisogno. Lo sa. Per fortuna non ho citofonato.
Passiamo de tempo in giro, a fare la spesa, chiacchierando del più e del meno. Il passato è un campo minato e a nessuno va di camminarci sopra. Nella mano tengo una busta con verdure e formaggio. Andiamo a casa sua e varcare quel portone mi riporta alla mente contrasti, ma il suo sorriso mi sorregge e non cedo alla voglia di scappare lontano. Seduti al tavolo della cucina ci guardiamo negli occhi e lei mi richiede come sto. Come sto? Non lo so. Sono confuso e nella confusione è come se ribollissero emozioni inconciliabili. Ho tanta paura, tanta ansia, vergogna, ma anche affetto, simpatia, complicità, tanti ricordi piacevoli disseminati negli anni. Ancche desiderio. Non voglio che ci sia, o forse si, o forse c’è a prescindere dalla mia volontà. Purtroppo sono sempre stato un libro aperto per chiunque e non mi rendo conto che l’espressione del suo viso sta cambiando. Quando lo capisco è troppo tardi, sento una sensazione di disagio tremenda impossessarsi del mio corpo, sudore freddo, agitazione, tachicardia. Non riesco a parlare. Mi sento dire che non cambio mai, che sono sempre lo stesso, che sono un egoista. La guardo ma non sta parlando. Le chiedo se posso avere dell’acqua. Mi gira tremendamente la testa. Lei mi risponde che come mi sento è fuori luogo, che non c’è più quello che c’era un tempo. Lo so come mi guardi, lo sento: Lascia la cosa sospesa. DEVO bere, datemi da bere! La mia fronte è imperlata di sudore, il respiro veloce. Lei si allarma e mi fa alzare, apre la finestra e mi fa accomodare su una poltrona del suo tinello. Finalmente posso bere, mi porta dell’acqua che ingollo senza respirare. Ad occhi chiusi sento la stanza girare, cerco di calmarmi, di respirare l’aria fredda che viene da fuori. Lentamente scivolo nel sonno. Riapro gli occhi, rumori sommessi, luce soffusa, non riesco a mettere a fuoco. Impiego un po’ per capire dove mi trovo. Mi sento svuotato, non so, non provo neppure la vergogna che sento che dovrei provare. Mi accorgo solo dopo che lei è seduta nella stessa stanza, sta leggendo. Appena si rende conto che mi sono svegliato mi chiede con apprensione come sto. Non lo so. Non so che dire, neppure farfuglio, mi limito a guardarla e poi le dico di voler andare via, di voler prendere il treno. Treno? Ma lo sai che ore sono? No, che ore sono? Sono quasi le 22.30, impossibile prendere l’ultimo. E adesso come faccio? Dove vado? Che casino! Lo sapevo che non dovevo agire d’impulso e fare sta cretinata! Lei mi porta un altro bicchiere d’acqua e mi dice che per quella sera posso stare lì. Troppo stanco per discutere e pensare accetto e poco dopo mi trovo steso scompostamente sul divano, nel buio, con le orecchie ad inseguire i rumori degli altri appartamenti, con gli occhi a scrutare le ombre di quel soggiorno. Il lungo sonno del pomeriggio ha tolto da me ogni stanchezza e la mia mente comincia a ricostruire sentieri contorti disseminati di immagini evanescenti, ricordi, aspettative, incubi e mi sembra impossibile riuscire a farla tacere o riordinarla. Insofferente mi metto a sedere, scruto l’orologio del cellulare. L’una e dieci. Sento che l’ansia potrebbe tornare a montare. Mi alzo per andare in cucina a bere. Cerco di non far rumore, non accendo luci. Bevo due bicchieri avidamente e mi siedo al tavolo, fissando il vuoto ed aspettando di essere più calmo. All’improvviso si accende la luce e lei entra con una piccola vestaglia bianca, i corti capelli spettinati, lo sguardo vigile. Non dormiamo questa notte eh? No, io no. Si avvicina, resta in piedi, mi fa coraggio. Mi abbraccia forte. Quando si stacca da me mi accorgo che la vestaglia si è aperta e lei sotto indossa solo un babydoll bianco. Con un gesto rapido e silenzioso fa scivolare la vestaglia, nel suo sguardo ritrovo il filo rosso di un tempo. Un lieve bacio sulle labbra, un sorriso. Il babydoll raggiunge il pavimento. Il mio sguardo percorre quel corpo leggermente morbido dalla pelle chiara, nella luce di quella cucina. Lei mi prende per mano e mi conduce nel suo letto. Tutto ritorna come fu, ed allo stesso tempo nuovo e diverso. Il piacere ci coglie, poi la pace. Il sonno reclama corpi e menti. Il mattino seguente il mio sguardo si apre nella penombra della camera da letto. Lei dall’altra parte che dorme. Mi alzo a sedere. Mi guardo intorno. Vado in bagno, tengo la testa sotto il lavandino, bevo, mi lavo. Quando ritorno in camera la trovo sveglia a fissare il soffitto. Mi avvicino, ci abbracciamo in silenzio. Ci guardiamo a lungo, sorridiamo. Una fame incredibile mi afferra, ci alziamo. Sono le 11.30. Scendiamo a fare un pranzo greco. Guardo il cielo. E’ nuvoloso. A che ora parte il treno? Le chiedo. Non me ne importa oggi. Non ti ci abituare. Forse hai ragione, ma sai che c’è? Ho una gran voglia di Coca-Cola!
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Penso che dobbiamo fermarci in un momento preciso. A questo punto, dobbiamo chiederci se ne vale la pena, se vale la pena fare qualcosa, se vale la pena cambiare per qualcosa, se vale la pena vivere per qualcosa. Lo facciamo notare, dobbiamo disegnarlo. Come sempre, dipende sempre da noi. Ad esempio, sono una persona che parcheggia molto e poiché questo punto particolare è stato creato, voglio sapere se ne vale la pena. Se la mia testa dice no, non insisto, mi fermo, chiedo scusa per il disagio causato e me ne vado. Sono stanco dei guai di chi non mi conosce nemmeno. Fermati alle due. La mia regola è: se devo passare quattro anni per ottenere qualcosa, allora non lo voglio più. Devi volermi, non mettermi alla prova.
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Ecco a voi la mia prima lettera d’amore. In primis chiedo scusa alle mie precedenti relazioni per non avergliene mai dedicata una, ma non sono mai stato in grado di scrivere d’amore, non so parlare di me stesso innamorato. Diciamoci la verità, l’amore è il caos più totale, io non so come hanno fatto i grandi poeti a parlarne così tanto, io non ci capisco niente, proprio zero, le emozioni mi si sono sempre mescolate tutte, prima ti odio, poi ti voglio, addio, mi machi, ti amo. Per l’amore è sempre stato un problema, è come quando da piccolo devi imparare a mescolare i colori e la maestra ti chiede come si crea l’arancione, e che cazzo ne so, esiste già perché lo devo creare, c’ho il tubetto arancione giotto che mamma mi ha comprato stamattina, perché lo devo fare io? O almeno dimmelo prima che mi so fatto comprare la confezione da quarantaquattro colori,mamma ha usato un sacco di monete , guarda qua maestra ho l’arancione giusto per colorare la maglia di papà, quello per il sole nel mare, quello per i raggi quando sta in cielo, perché devo farlo da solo? E se non lo faccio me lo metti lo stesso 10+? E le tre strisce sotto la parola bravo? Ecco qua, perché devo spiegare io agli altri cos’è l’amore? Io ti ringrazio Petrarca, i tuoi sonetti sono bellissimi, ma io lo sapevo già cos’è l’amore dentro di me, perché me lo hai dovuto spiegare? Perché io lo devo spiegare? Esiste è lì, in realtà è dappertutto, tutti sanno cos’è l’amore Francè , ti posso chiamare per nome vero? Ho studiato tutto il tuo canzoniere più e più volte quindi questo almeno concedimelo che a forza di parafrasare le tue canzoni, un po’ la salute mentale l’ho persa.. Bene, stavo dicendo, questa è la prima lettera d’amore, e la scrivo oggi che le parole sembrano uscire più facilmente. Ecco il mio segreto più intimo, penna su carta, io sono innamorato di voi, tutti voi,follemente innamorato, vi giuro che di più non si può,siete bellissimi,tutti. Avete presente le cotte adolescenziali? Quelle che ti innamori della compagna di banco che ti prende in giro per i tuoi voti e a tratti la odi, poi finisce il liceo e guarda un po’ scopri di esserne innamorato, e mo’? e mo’ niente chi la vede più. Io ho questa cotta molto simile, ero innamorato della società, di tutta l’umanità, ma ho passato così tanto tempo ad odiarla, a nascondermi, a fingermi superiore, che l’ho allontanata. D’altronde però bisogna ricordare che la colpa non è mai di uno solo nella coppia quindi parliamo chiaro, l’umanità siete voi e mi avete preso in giro,criticato, picchiato, spinto,illuso,deluso, ripreso,perdonato,amato e poi buttato di nuovo in un circolo vizioso infinito,immenso, assurdo,crudele. Nonostante ciò mi assumo le mie colpe, ho peccato di presunzione e soprattutto d’amore,godetevi la mia dichiarazione. Scusami se quando ero solo un bambino mi sei apparsa come una casa, scusami se ti ho tenuto troppo stretta tra le mie piccole braccia,sembravi tanto forte,mi sentivo così protetto,ma mi rendo conto, ti ho oppresso, hai fatto bene ad allontanarmi, sono caduto, ma mi sono rialzato , senza bisogno di agganciarmi ai tuoi pilastri. Ti amo. Scusami se dopo qualche anno mi è passato il rancore e ti ho cercato di nuovo, ma non ti perdono per aver finto di accogliermi,mi hai lanciato tu nel vuoto, non ero pronto,non di nuovo, però ti ringrazio ero troppo debole ancora,sono diventato più forte. Ti amo. Scusami se quando sei tornata da me per un periodo mi sei stata indifferente, ero spaventato, forse ti ho messo a disagio, è tutta colpa mia. Ti amo. Queste sono le mie ultime scuse.. scusa, scusami davvero se ora non ti cerco più,mi manchi tanto, ma il tuo pensiero mi rende così triste che spero solo di dimenticarti, se potessi ti cancellerei e viaggerei da solo nel cosmo, nel vuoto. Ah dimenticavo, ti amo.
anonimo
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