#che nazione di vecchi
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Bello come finito il periodo turistico gli unici eventi ricreativi delle aree in zona siano "andiamo ad ubriacarci al baretto" e "andiamo ad ubriacarci seduti in piazza"
#per mia sfortuna sono ormai astemio#ma per mio fortuna ho una svalangata di hobbies da introverso#comunque tristezza infinita#ci fosse almeno un locale a tema caffè letterario o giochi da tavolo#che nazione di vecchi
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primis quella che garantisce il diritto all’autodeterminazione dei popoli. Nessuna nazione intervenne, nonostante le Cancellerie ne fossero informate, questo fa capire che vi fossero accordi e una rete di relazioni segrete. L’unificazione italiana fu la distruzione voluta,
programmata e sistematica, che ridusse il più florido Stato della penisola nella miseria e nel degrado. Le fabbriche furono chiuse, in alcuni casi distrutte, i giovani coscritti o deportati, furono inviati i soldati piemontesi a reprimere il dissenso e compiute stragi indescrivibili. È ora di smontare il “falso storico” che ha generato il luogo comune più deleterio che il Paese abbia conosciuto: il Nord industriale ed evoluto, il Sud agricolo e arretrato. In realtà questo è stato l’obiettivo di casa Savoia e del suo padrone Cavour.
Scorrettamente chiamata dalla storiografia “questione meridionale”, essa emerse dopo l’unità, non prima. Quando l’opera di distruzione del tessuto sociale e produttivo del Sud, diede i suoi amarissimi frutti. Il Regno delle Due Sicilie era lo Stato più industrializzato d'Italia e il terzo in Europa, dopo Inghilterra e Francia, così risultò dalla Esposizione Internazionale di Parigi del 1856. I settori principali erano: cantieristica navale, industria siderurgica, tessile, cartiera, estrattiva e chimica, conciaria, del corallo, vetraria, alimentare.
Nel periodo borbonico (1734-1860) la popolazione si era triplicata, determinando lo Stato preunitario più esteso e popolato. Per la sua politica di sviluppo Ferdinando II formò grandi aziende statali, e incentivò anche il sorgere di aziende con capitale suddiviso in azioni di piccolo taglio, per attrarre nella proprietà anche i ceti medi. Nel 1851 fu istituita la "Commissione di Statistica generale pe' reali domini continentali" con lo scopo di guidare la politica economica del Paese, cui si affiancavano le Giunte Statistiche costituite in ogni provincia e circondario. Molti imprenditori nazionali ed esteri accorsero nel Regno. L’economia ferdinandea privilegiava lo sviluppo occupazionale senza spostare masse dai luoghi di origine. Fu uno sviluppo guidato dallo Stato. La propaganda liberale si scagliò con tutte le sue forze contro tale modello e mise in moto una macchina da guerra che distrusse tutte le industrie del Sud e rubò tutto persino i beni personali dei Borbone: con un decreto del 23 ottobre vennero confiscati alla Casa reale 6 milioni di ducati, anche i depositi che Francesco II
aveva lasciato a Napoli, dopo averli ripresi dal Banco d’Inghilterra, a dimostrazione di quanto fosse legato al suo popolo, lui che napoletano lo era per davvero. Cominciò così, dopo il saccheggio del 31 maggio 1860 del Banco di Sicilia da parte di Garibaldi (80 milioni di euro, 150 miliardi di vecchie lire, quasi la metà delle spese per la guerra franco-piemontese contro l’Austria dell’anno precedente), la corsa alla spogliazione e all’arricchimento. Il Regno delle Due Sicilie, nel settore dell’industria, contava 2 milioni di occupati a fronte dei 400.000 della Lombardia, possedendo 443 milioni di moneta in oro, ovvero l’85% delle riserve auree di tutte le province. Oltre 80 milioni furono prelevati, in una anno, da Torino dalle casse dell’ex Regno delle Due Sicilie. Pochissimi investimenti al Sud ma tante ruberie. La boria e lo sprezzo verso le città del Sud, caratterizzava chiunque arrivasse da Torino. Il luogotenente Farini (in seguito Presidente del Consiglio dei ministri del Regno d'Italia tra il 1862 e il 1863), il dittatore che entrò a Modena il 19 giugno come vincitore di un guerra che non aveva combattuto (gli Estensi fuggirono prima dell’arrivo delle truppe francesi e piemontesi), così si espresse riferendosi a Napoli: “Altro che Italia! Questa è Africa, i beduini a riscontro di questi caffoni, son fior di virtù civile”. Va da sé che il controllo delle ex Due Sicilie fu difficile, regnò la precarietà e l’insicurezza, così cominciò l’atroce guerra civile del brigantaggio. Uno Stato così imposto non poté che generare solo ingiustizie e latrocini. Fu messo in opera un preciso disegno della politica vessatoria di Torino: il Nord
si sviluppò ai danni del Sud. Il primo doveva avere il monopolio dell’industria italiana, al secondo invece fu destinato un ruolo agricolo e di fornitore di mano d’opera per l’industria del Settentrione. “Il dissidio tra la Lombardia e molta altra parte d’Italia ha origini in una serie di fatti: soprattutto il sacrificio continuo che si è fatto degli interessi meridionali”(dalla lettera di Nitti del 5 luglio 1898 a Giuseppe Colombo, direttore del Politecnico di Milano). Carlo Bombrini (banchiere, imprenditore, fondatore della banca di Genova) uomo di fiducia di Cavour e redattore del piano di “riequilibrio” economico post-Unità, disse: “Il Sud Italia non dovrà essere più in grado di intraprendere”. A questo punto riporto uno dei casi più eclatanti di distruzione industriale: l’Officina di Pietrarsa. A Pietrarsa, località posta nella zona orientale della città di Napoli, era attiva la più grande industria metalmeccanica d'Italia, estesa su una superficie di oltre tre ettari. Era l'unica fabbrica italiana in grado di costruire motrici a vapore per uso navale. A Pietrarsa fu istituita anche la
[continua su X]
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Lo ricordiamo a tutti, in modo che tutti possano di nuovo far finta di dimenticarselo.
-Castrese
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La guerra scaturisce da una difficoltà del politico a trovare un patto, un accordo capace di comporre i conflitti e le differenze. C'è guerra quando c'è fallimento del politico. Ma il politico agisce sempre sullo sfondo di un lutto. Quale? Non esiste un solo pensiero, una sola visione del mondo, una sola etnia, una sola cultura, ecc. Il politico deve affrontare l'assenza di un fondamento che contrassegna la vita collettiva. La guerra, invece, procede lungo una strada alternativa a quella del lutto. Anziché simbolizzare il lutto per la perdita di fondamento (perdita dell'Impero, perdita dei vecchi confini, perdita dell'essere l'unica nazione, perdita di prestigio, perdita di controllo) si individua un nemico esterno e si dichiara guerra... In questo caso, un meccanismo paranoico prende il posto di un lutto mancato. Se analizza la guerra russo-ucraina o quella scatenata da Hitler trova, alla base, lo stesso fenomeno paranoico: rigetto del lutto interno e proiezione all'esterno di un nemico mortale.
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Darwish
Si è legata l’esplosivo alla vita e si è fatta esplodere.
Non si tratta di morte, non si tratta di suicidio.
É il modo in cui Gaza dichiara che merita di vivere.
Da quattro anni, la carne di Gaza schizza schegge di granate da ogni direzione.
Non si tratta di magia, non si tratta di prodigio.
É l’arma con cui Gaza difende il diritto a restare e snerva il nemico.
Da quattro anni, il nemico esulta per aver coronato i propri sogni, sedotto dal filtrare col tempo, eccetto a Gaza. Perché Gaza è lontana dai suoi cari e attaccata ai suoi nemici, perché Gaza è un’isola.
Ogni volta che esplode, e non smette mai di farlo,
sfregia il volto del nemico, spezza i suoi sogni e ne interrompe l’idillio con il tempo.
Perché il tempo a Gaza è un’altra cosa, perché il tempo a Gaza non è un elemento neutrale. Non spinge la gente alla fredda contemplazione, ma piuttosto a esplodere e a cozzare contro la realtà. Il tempo laggiù non porta i bambini dall’infanzia immediatamente alla vecchiaia, ma li rende uomini al primo incontro con il nemico. Il tempo a Gaza non è relax, ma un assalto di calura cocente.
Perché i valori a Gaza sono diversi, completamente diversi.
𝐋’𝐮𝐧𝐢𝐜𝐨 𝐯𝐚𝐥𝐨𝐫𝐞 𝐝𝐢 𝐜𝐡𝐢 𝐯𝐢𝐯𝐞 𝐬𝐨𝐭𝐭𝐨 𝐨𝐜𝐜𝐮𝐩𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐞̀ 𝐢𝐥 𝐠𝐫𝐚𝐝𝐨 𝐝𝐢 𝐫𝐞𝐬𝐢𝐬𝐭𝐞𝐧𝐳𝐚 𝐚𝐥𝐥’𝐨𝐜𝐜𝐮𝐩𝐚𝐧𝐭𝐞.
Questa è l’unica competizione in corso laggiù.
E Gaza è dedita all’esercizio di questo insigne e crudele valore che non ha imparato dai libri o dai corsi accelerati per corrispondenza, né dalle fanfare spiegate della propaganda o dalle canzoni patriottiche.
L’ha imparato soltanto dall’esperienza e dal duro lavoro che non è svolto in funzione della pubblicità o del ritorno d’immagine.
Gaza non si vanta delle sue armi, né del suo spirito rivoluzionario, né del suo bilancio. Lei offre la sua pellaccia dura, agisce di spontanea volontà e offre il suo sangue.
Gaza non è un fine oratore, non ha gola.
É la sua pelle a parlare attraverso il sangue, il sudore, le fiamme.
Per questo il nemico la odia fino alla morte, la teme fino al punto di commettere crimini e cerca di affogarla nel mare, nel deserto, nel sangue.
Per questo, gli amici e i suoi cari la amano con un pudore che sfiora quasi la gelosia e talvolta la paura, perché Gaza è barbara lezione e luminoso esempio sia per i nemici che per gli amici.
Gaza non è la città più bella.
Il suo litorale non è più blu di quello di altre città arabe. Le sue arance non sono le migliori del bacino del Mediterraneo.
Gaza non è la città più ricca.
(Pesce, arance, sabbia,
tende abbandonate al vento,
merce di contrabbando,
braccia a noleggio.)
Non è la città più raffinata, né la più grande, ma equivale alla storia di una nazione.
Perché agli occhi dei nemici è la più ripugnante, la più povera, la più disgraziata, la più feroce di tutti noi. Perché è la più abile a guastare l’umore e il riposo del nemico ed è il suo incubo.
Perché è arance esplosive,
bambini senza infanzia,
vecchi senza vecchiaia,
donne senza desideri.
Proprio perché è tutte queste cose, lei è la più bella, la più pura, la più ricca, la più degna d’amore tra tutti noi.
Facciamo torto a Gaza quando cerchiamo le sue poesie.
Non sfiguriamone la bellezza che risiede nel suo essere priva di poesia. Al contrario, noi abbiamo cercato di sconfiggere il nemico con le poesie, abbiamo creduto in noi e ci siamo rallegrati vedendo che il nemico ci lasciava cantare e noi lo lasciavamo vincere.
Nel mentre che le poesie si seccavano sulle nostre labbra, il nemico aveva già finito di costruire strade, città, fortificazioni.
Facciamo torto a Gaza quando la trasformiamo in un mito perché potremmo odiarla scoprendo che non è niente più di una piccola e povera città che resiste.
Quando ci chiediamo cos’è che l’ha resa un mito, dovremmo mandare in pezzi tutti i nostri specchi e piangere se avessimo un po’ di dignità, o dovremmo maledirla se rifiutassimo di ribellarci contro noi stessi.
Faremmo torto a Gaza se la glorificassimo.
Perché la nostra fascinazione per lei ci porterà ad aspettarla.
Ma Gaza non verrà da noi, non ci libererà.
Non ha cavalleria, né aeronautica, né bacchetta magica, né uffici di rappresentanza nelle capitali straniere.
In un colpo solo, Gaza si scrolla di dosso i nostri attributi, la nostra lingua e i suoi invasori.
Se la incontrassimo in sogno forse non ci riconoscerebbe, perché lei ha natali di fuoco e noi natali d’attesa e di pianti per le case perdute.
Vero, Gaza ha circostanze particolari e tradizioni rivoluzionarie particolari.
(Diciamo così non per giustificarci, ma per liberarcene.)
Ma il suo segreto non è un mistero: la sua coesa resistenza popolare sa benissimo cosa vuole (vuole scrollarsi il nemico di dosso).
A Gaza il rapporto della resistenza con le masse è lo stesso della pelle con l’osso e non quello dell’insegnante con gli allievi.
La resistenza a Gaza non si è trasformata in una professione.
La resistenza a Gaza non si è trasformata in un’istituzione.
Non ha accettato ordini da nessuno, non ha affidato il proprio destino alla firma né al marchio di nessuno. Non le importa affatto se ne conosciamo o meno il nome, l’immagine, l’eloquenza. Non ha mai creduto di essere fotogenica, né tantomeno di essere un evento mediatico. Non si è mai messa in posa davanti alle telecamere sfoderando un sorriso stampato.
Lei non vuole questo,
noi nemmeno.
La ferita di Gaza non è stata trasformata in pulpito per le prediche.
La cosa bella di Gaza è che noi non ne parliamo molto, né incensiamo i suoi sogni con la fragranza femminile delle nostre canzoni.
Per questo Gaza sarà un pessimo affare per gli allibratori.
Per questo, sarà un tesoro etico e morale inestimabile per tutti gli arabi.
La cosa bella di Gaza è che le nostre voci non la raggiungono, niente la distoglie.
Niente allontana il suo pugno dalla faccia del nemico. Né il modo di spartire le poltrone del Consiglio Nazionale, né la forma di governo palestinese che fonderemo dalla parte est della Luna o nella parte ovest di Marte, quando sarà completamente esplorato.
Niente la distoglie.
É dedita al dissenso:
fame e dissenso,
sete e dissenso,
diaspora e dissenso,
tortura e dissenso,
assedio e dissenso,
morte e dissenso.
I nemici possono avere la meglio su Gaza.
(Il mare grosso può avere la meglio su una piccola isola.)
Possono tagliarle tutti gli alberi.
Possono spezzarle le ossa.
Possono piantare carri armati nelle budella delle sue donne e dei suoi bambini.
Possono gettarla a mare, nella sabbia o nel sangue.
Ma lei non ripeterà le bugie.
Non dirà sì agli invasori.
Continuerà a farsi esplodere.
Non si tratta di morte, non si tratta di suicidio.
Ma è il modo in cui Gaza dichiara che merita di vivere.
𝑆𝑖𝑙𝑒𝑛𝑧𝑖𝑜 𝑝𝑒𝑟 𝐺𝑎𝑧𝑎 𝑑𝑖 𝑀𝑎ℎ𝑚𝑜𝑢𝑑 𝐷𝑎𝑟𝑤𝑖𝑠ℎ, 1973
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Un nuovo post è stato pubblicato su https://www.staipa.it/blog/e-colpa-tua-se-i-giovani-non-votano-smettila-di-prenderli-in-giro/?feed_id=1533&_unique_id=6659aac0ccb4f %TITLE% Siamo ad una nuova tornata elettorale. I soliti vecchi partiti propongono i soliti vecchi programmi. I diversamente giovani si scannano guardando locandine che ti dicono che se voti un partito farai meno fatica a bere dalla bottiglietta d'acqua perché è l'Europa cattiva a mettere i tappi anti-distacco, che se voti una donna brutta è peggio che se voti una donna bella, o che se voti un certo partito proteggeranno la tua casa. I giovani invece ignorano questa bagarre e si preoccupano sempre meno di votare, di scegliere. Sono molti i motivi per cui è importante votare, certo: Anche se non c'è il tuo partito ideale è probabile ci sia quello opposto al tuo ideale e puoi togliergli potere Se i giovani non votano, i diversamente giovani decideranno per loro Se ci dovessero essere illeciti e tentativi di direzionare il voto questi vengono mitigati solo se a votare sono in tanti Poi almeno se le cose vanno male puoi lamentarti, se non hai partecipato alla decisione sarebbe decisamente inappropriato Ma i giovani continuano a non votare. E quindi? Quindi vedo sempre più diversamente giovani cercare di convincere i giovani a votare, per lo più con la stessa retorica che gira attorno ai quattro punti di cui sopra. Ma perché i giovani non sono interessati? Secondo me la colpa è essenzialmente dei diversamente giovani stessi. Io ho un'età che nelle statistiche risulta intermedia tra i giovani, che in genere sono quelli sotto i 30, e i diversamente giovani che in genere sono quelli sopra i 50 e mi trovo davvero in mezzo. Vedo i problemi che hanno quelli più giovani di me e in parte godo di alcuni -pochi- dei privilegi di chi è più vecchio di me. Il motivo per cui i giovani non votano, ne sono convinto, è semplicemente perché non si sentono rappresentati. Non ci sono partiti degni di nota che puntino al futuro in maniera vera e credibile. Non ci sono partiti che pensano ai bisogni che hanno i giovani, le difficoltà ad entrare nel mondo del lavoro, le difficoltà a pagarsi gli studi, le difficoltà a rendersi autonomi, la lotta vera al cambiamento climatico passando da canoni di scientificità e non da slogan che non portano a nulla, gli stipendi da fame, i contratti a termine che si rinnovano infinitamente mentre le banche ti schifano, la libertà di essere ciò che si è senza doverne rispondere a qualcuno, una parità di genere che non sia di facciata, ma credo si potrebbe andare avanti a lungo. Di cosa parlano invece i partiti? Riforme relative alla UE per migliorarla secondo il punto specifico del partito specifico Maggior o minore sovranità degli stati Gestione del debito comune Creazione di un esercito comune europeo, o rafforzamento della Nato Gestione delle migrazioni Reddito minimo Blandi impegni verso la neutralità climatica Forse il reddito minimo potrebbe interessare a questi giovani, mentre sono occupati a saltare da uno stage all'altro e poi da un contratto temporaneo ad un altro. Forse gli impegni verso la neutralità climatica, anche se è probabile che chi fatica ad arrivare a fine mese non abbia a cuore moltissimo di quello che succederà il mese successivo, non tanto a cuore da dovercisi impegnare a fondo in prima persona almeno. E di chi è la colpa della loro sottorappresentanza? Dei giovani che non votano? Dei giovani che, in una nazione la cui media di età è sempre più alta e le nascite sempre più basse, sono ormai una minoranza? Se questa è la narrazione che vogliamo portare avanti è e rimarrà un cane che si morde la coda. Anche se votassero sarebbero sottorappresentati. E se votassero "il meno peggio" non farebbero che confermare a quel partito di essere sulla strada giusta e rafforzarne la posizione e l'immobilismo. La colpa non è dei giovani ma di tutti gli altri. Dei diversamente giovani e di quelli dell'età di mezzo come la mia che
passato il periodo della gioventù e risolti i (o abituati ai) problemi tipici di quell'età smettiamo di pensarci. Molti dei diversamente giovani pensano che il mondo del lavoro sia ancora come ai loro tempi, che basta impegnarsi e si emerge, molti della fascia intermedia pensano che da quando hanno trovato lavoro loro le cose non siano peggiorate ulteriormente. E se ne fottono. Non trovo un termine più preciso. Se ne fottono dei problemi dei giovani. E così i programmi elettorali sono costruiti sui desideri di chi giovane non è più. Sono costruiti su temi che interessano a chi giovane non è più. Si tratta solo della legge del mercato, se si vuole cambiare il mercato deve essere il consumatore ad agire e il consumatore ad oggi non sono i giovani. Solo che spesso aiutare i giovani a trovare lavoro o a guadagnare di più implica mettere in difficoltà qualche diversamente giovane che li deve assumere e pagare, o intaccare qualche pensione d'oro. Aiutare i giovani a sentirsi liberi di essere significa mettere in difficoltà qualche non giovane attaccato a determinate tradizioni. Aiutare i giovani implica mettere in gioco dei diversamente giovani che dovranno cambiare qualcosa delle proprie vite e che non hanno voglia di farlo. Se il mercato propone polli, e vende abbastanza polli da mantenersi, non si metterà mai a produrre tappi, se chi li chiede è una minoranza irrisoria. Produrrà polli di tipo diverso, inventerà alternative interessanti che possano portare via qualche consumatore di pollo e convincerlo a mangiare magari del tacchino, ma non produrrà mai tappi. Soprattutto se produrre tappi implica scontentare in parte chi vuole polli. Inizierà a produrre tappi solo quando i propri consumatori cominceranno a lamentarsi e a dire di volere tappi. Dobbiamo volere tutti i tappi, anche se non ci servono, dobbiamo volerli per loro. Ai diversamente giovani piace guardare i giovani e sorridere sotto i baffi dicendo c'è speranza, guarda che bravetti che sono, quando non passano il tempo a criticarli perché non sono come ai loro tempi quando a causa del boom economico i giovani erano una schiacciate maggioranza. Ma se si vuole speranza per il futuro bisogna lottare per i giovani, non osservarli come fossero animaletti. E dobbiamo essere noi a farlo. Non dicendogli è importante votare, ma pensando in ogni nostra azione quali sono le conseguenze su di loro. Dobbiamo essere una risorsa per loro, non il loro freno.
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L’antisemitismo contemporaneo è l’espressione più becera e virulenta dell’antioccidentalismo. Israele e gli ebrei sono detestati perché rappresentano una propaggine dell’Occidente liberale in un territorio dominato dal rifiuto della modernità e della società aperta.
Non più soltanto pregiudizio etnico-religioso, questo neo-razzismo ammantato di falso umanitarismo fu venduto con successo al mondo già mezzo secolo fa dalla propaganda sovietica come “antisionismo”, in un’applicazione da manuale del doublespeak orwelliano.
Pur richiamandosi a concetti teoricamente di alto valore morale, come la lotta al colonialismo, all’imperialismo o alla discriminazione, nella pratica si è rivelato il solito kit ideologico buono per tutte le stagioni, da contrapporre frontalmente alle detestate “libertà capitalistico-borghesi”, ovvero a conquiste di civiltà come la democrazia, il pluralismo e i diritti umani, che solo da noi hanno trovato applicazione universale.
Lo scandalo è Israele perché lo scandalo è l’Occidente, catalizzatore dell’invidia del proletariato esterno e interno (si vedano sull’argomento i lavori di Luciano Pellicani e Victor Alba), in quanto società che ha costruito il suo successo, finora ineguagliato, sul rispetto delle prerogative essenziali dell’individuo. Una realtà intollerabile per i totalitari di ogni latitudine.
Prendendo a prestito la definizione di Hanna Arendt, l’antisemitismo si ripresenta oggi come “l’ideologia di tutti gli scontenti rosi dalla frustrazione e dal risentimento”.
È qui che si salda l’alleanza tra sinistra e islamismo radicale, sancita dai boicottaggi, dalla violenza verbale, dalle occupazioni delle piazze e dei campus universitari, dal ricatto e dall’intimidazione. Un’alleanza quasi naturale, anche se mai prima d’ora esplicitata in forma così palese, che deriva dal comune disprezzo per i principi e i valori della civiltà liberale e democratica, in un caso filtrato dalla dottrina marxista-leninista e i suoi derivati, nell’altro dalla predicazione dei mullah.
Questo duplice focus – sugli ebrei come incarnazione dell’Occidente e sull’Occidente come protettore degli ebrei in Medio Oriente – rafforza sia i sentimenti antiebraici che quelli antioccidentali, intrecciandoli in modo da amplificare l’ostilità verso entrambi i poli. Le teorie del complotto, la retorica anti-capitalista, il rifiuto del liberalismo politico ed economico, la negazione del diritto di Israele ad esistere, si alimentano a vicenda in un vortice che può sfociare solo nella demonizzazione o nella guerra aperta.
In un simile contesto politico e ideologico, si intuisce facilmente che i vecchi schemi sulla “questione palestinese” come conflitto eminentemente territoriale sono oggi del tutto inadeguati a interpretare uno scontro a tutto campo, all’interno del quale Israele è solo il primo nemico da abbattere. L’integralismo islamico ha come missione ripulire il Dar al-Harb (il mondo non ancora musulmano) dagli infedeli, che sono gli ebrei ma anche i cristiani, categorie entrambe da convertire o da eliminare.
È questa identificazione tra Israele e Occidente che rende la presenza ebraica inaccettabile per i fondamentalisti, così come in passato per il Gran Muftì di Gerusalemme, già alleato di Hitler. L’opposizione non è più – ammesso che lo sia mai stata – tra Israele e Palestina, ma tra dittature islamiste (Hamas a Gaza, l’Iran con i suoi proxies) e democrazie liberali. Non una contesa territoriale ma una minaccia esistenziale: il jihad, la guerra santa, la nazione dell’Islam da Teheran a Rafah, passando per il Mar Rosso e i territori libanesi da dove partono i razzi di Hezbollah diretti oltreconfine. Una visione totalitaria ed escatologica in cui non c’è spazio per l’accomodamento, e la tregua o la trattativa sono solo espedienti temporanei per recuperare le forze e rilanciare l’attacco.
Oltre all’oscena equiparazione tra i capi di un proto-Stato terrorista e i rappresentanti di un governo democratico, la recente richiesta di arresto per crimini di guerra formulata dal procuratore della Corte Penale Internazionale (ICC) Karim Khan a carico del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e del ministro della Difesa Yoav Gallant ha riportato in auge la narrazione secondo la quale le azioni dello Stato ebraico a Gaza sarebbero assimilabili a quelle della Russia in territorio ucraino. Si tratta, anche in questo caso, di una pericolosa e malintenzionata fallacia, sia dal punto di vista morale che da quello strettamente concettuale.
Innanzitutto perché, a differenza dell’ingiustificata aggressione russa, Israele è stato trascinato dal massacro del 7 ottobre in una guerra di sopravvivenza che non aveva nessuna intenzione di combattere; in secondo luogo perché, mentre i russi colpiscono deliberatamente le infrastrutture civili ucraine, gli israeliani hanno sempre cercato di minimizzare il più possibile le conseguenze per la popolazione palestinese, in un contesto urbano in cui i non combattenti sono usati come carne da cannone da Hamas, per alimentare la propaganda del genocidio; infine, e qui troviamo il cortocircuito logico decisivo, perché Ucraina e Israele stanno combattendo la stessa guerra difensiva, per analoghe ragioni esistenziali, e che la lotta di entrambi rappresenta un argine al dilagare in Europa dei nuovi totalitarismi, secolari o religiosi. Sconcerta, allora, osservare come anche molti paladini della causa ucraina riversino su Israele le stesse accuse e le stesse mistificazioni promosse dall’ideologia antioccidentale nei confronti sia di Kyiv che di Gerusalemme.
“Si chiama antisemitismo, il suo fascino muove istituzioni grandi e potenti come l’ONU e l’Unione Europea, cambia il discorso pubblico, ipnotizza le università, lo sport, l’arte, la giustizia (…)”, ha scritto di recente Fiamma Nirenstein. Se nelle società democratiche, invece della consapevolezza delle minacce incombenti e della necessità di farvi fronte, continueranno a prevalere l’inversione permanente delle responsabilità, l’autolesionismo, il relativismo morale e l’erosione sistematica del principio di realtà, nessuno potrà più dirsi al sicuro.
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Alèm: “Chissenefrega” feat. Oxi
Una nuova collaborazione con il rapper Oxi per un brano che suggerisce un po’ di sano “menefreghismo” di fronte ai problemi della vita di ogni giorno
«La canzone si pone una domanda: l’indifferenza è davvero l’arma giusta per la sopravvivenza? Ovunque ci giriamo, l’umanità scarseggia: conflitti, razzismo, omicidi, cambiamenti climatici, stupri e tante cose “belle”. A volte non ci resta altro che sorridere mentre tutto intorno crolla. Un bel “chissenefrega” può essere la giusta cura per sopravvivere a questi tempi bui che ci donano spesso solo pessimismo cronico. O si tratta di puro egoismo e poca forza di volontà nel provare a migliorare questo mondo? Il silenzio e i paraocchi sono davvero la scelta migliore? Chissenefrega è anche, però, la forza di riuscire a stare bene. Una medicina per ritrovare l’ottimismo.» Alèm
Il brano racchiude probabilmente l’idea principale dell’album da cui è estratto e che anticipa il disco d’esordio dell’artista in uscita il prossimo 3 maggio dal titolo “Sogni virtuali”. Un testo crudo, cinico, che tuttavia porta grande speranza: i problemi sociali che in musica spesso perdono peso e risultano nulli o leggeri all’interno di una “canzonetta” allegra, ma che poi in realtà nasconde svariati spunti di riflessione. Il singolo vede un nuovo featuring con Oxi, artista che vanta collaborazione con nomi come Big Fish e Marco Zangirolami.
Além, nome d’arte di Alessandro Minichino, è nato a Maratea (PZ) nel maggio 1999. Vive i primi due anni della sua vita in un piccolo paese della provincia di Salerno ai confini con la Basilicata poi si trasferisce in Veneto, nella provincia di Belluno. Frequenta il liceo artistico a Cortina d’Ampezzo e poi il MITA a Udine. A 16 anni col nome d'arte di Ale ice scrive e pubblica un ep, “È solo l'inizio” (2015) un lavoro prettamente rap. In questo, come in tutti i lavori che seguono, Alessandro cura gli artwork e le cover. Negli anni successivi seguono due mixtape "Equilibrio" (2017), rime dirette e molte riflessioni su un mondo ingiusto nella quale bisogna trovare posto, e "Nirvana" (2018) che include il primo street video, del singolo "Tieni duro" con la regia di Samuele Dalò e successivamente recensito dagli "Arcade Boyz" noti youtuber. L’anno dopo esce “Alessandro” (2019), il suo secondo e ultimo ep col nome d’arte Ale ice: acustico, chitarra e voce, si distacca molto dai lavori precedenti ispirandosi al cantautorato italiano che ascoltava fin da piccolo, in "Nato fuori tempo" il featuring con Simone Da Prà (Oxi). Nel 2021 sceglie di cambiare nome in Alèm, si stacca completamente dai vecchi lavori e lancia il singolo “200 all’ora” unendo al rap influenze rock, punk passando per la trance Music. Prodotta da Artigian Studio, “200 all’ora” è una canzone che punta all’originalità del genere, contro le catene della società moderna e delle istituzioni scolastiche che reprimono sogni e uniformano i ragazzi. Il 18 febbraio 2022 esce il nuovo singolo “Cliché”, una critica satirica ai luoghi comuni della nostra nazione, il cui videoclip è stato presentato anche dal TGR Basilicata. Segue “Démodé” una riflessione ironica sulle mode musicali del momento e “Caffè” una canzone che mette in luce gli aspetti negativi tipici di una relazione d’amore, gli stessi elementi che però ci fanno costantemente innamorare maggiormente del nostro partner, dopodiché esce il singolo “#ANDRÀTUTTOMALE” con sonorità pop rock. A maggio del 2023 torna con il nuovo brano “Mercoledì” al quale, in autunno, segue l’ultimo singolo uscito dal titolo “Liberi/stupidi”: brani di analisi sociale e individuali, non brani politici. Dal 15 dicembre in radio esce il nuovo singolo dal titolo “Dalì” e successivamente ad aprile 2024 esce il singolo “Chissenefrega”, tutte anticipazioni del primo album dell’artista, in uscita il 3 maggio, dal titolo “Sogni virtuali”.
CONTATTI E SOCIAL
https://youtube.com/@IosonoAlem https://shorturl.at/dpyRY
www.tiktok.com/@io.sono.alem
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poema sul nuovo millennio
I suoi adepti, fuori,
a rotolarsi nel fango come porci, presto, molto presto
come un ambiente underground diventa un parco giochi
o un parco giochi che diventa
l’imitazione di un Paradiso. I suini
della performance, lui siede a capotavola:
noi, sulla luna, ci siamo già stati.
L’era dell’imitazioni, sfogliando la Settimana Enigmistica,
cercare soluzioni in mille amori,
c’è un bagno chimico alla fine della via che odora
d’estate. Dietro alla scritta Made In Vietnam c’è una
storia di venti stupri americani, io sono un agnello multiforme -
innumerevoli sono i tentativi di trasformazione,
sono troppo presto performante. Ho tredici anni di buchi
sulle mani, stigmate di sonno, mia madre che mi chiede
di tenermi in salvo. Stai attento, dice, credo che la sua bocca
sia un unico pixel, scavallo il palcoscenico dove un
politico di destra si erge a figura mitica, lo chiamavano Sansone -
si è rasato tutti i capelli per l’esecuzione di un impresario.
Si è fatto bello per la disfatta del mondo, suona ad un campanello,
lui è uno che conta. Mio nonno sostiene che il nero
edifica il divenire, perciò con nostalgia bacia la foto di vent’anni fa:
lui e il suo stemma del MSI tatuato a ricamo sulla divisa militare:
mi dice che sono troppo giovane per capire, sono troppo
dispari.
Gli spiriti dei deviati in un classico numero in serie
cinque cifre prima del precipizio, io sarei incatenato ad un letto
d’ospedale: grido il nome di mamma, il nome di Cristo, sono il figlio
cannibale di una nazione silenziosa. L’esercito di improvvisati
nazionalisti che pasteggiano con tacchino e lepre, i fucili ancora
a riposo. Dietro il nero, dietro le casacche, corpulenti strascichi demoniaci
il tempo di un tesseramento e il tenore di uno schiavo sessuale,
mi ricordo di uno di loro rimasto a bocca spalancata e una virgola
di sperma appena prima della ciglia del suo occhio celeste.
Dietro il nero, c’è una tenda che porta ad un giardino di memorie
appese, fotografie di vecchie madri chine a costruire una nazione,
la repubblica ancora giovane prima di inciampare sulle sue stesse
scarpe sfoderate, ero ancora troppo giovane, sono ancora troppo
dispari.
La Bibbia di me stesso resa universale, le mie mani che tendono verso
la fine delle sue carezze,
sono oltre le colonne, sono oltre la scuola elementare, voglio
che mi racconti della volta in cui ti hanno arrestato, perché
eri così giovane, così giovane, troppo dispari,
che fine ha fatto il labirinto? Sei troppo arrabbiato con me,
la danza degli oggetti diventa scema, il poeta senza laurea crepa,
il dottore mi apre la pancia, ci trova i resti di un disordine camerata.
Io te l’ho detto, lo ribadisco, rimarrò dispari
con questo disturbo da troppe lettere
che mi si inceppa in gola, i miei termini arcaici e la proprietà
unica dimora privata - di linguaggio
che mi porta su Marte: sulla luna ci siamo già stati, eravamo
ancora americani, eravamo ancora nazisti travestiti
da pace, eravamo ancora rivoluzionari con la divisa della Nato,
venti minuti l’uno addosso all’altro, era estate e d’altronde
non potevamo essere altro. Amarti il mattino quando
nessuno ci vede: tende chiuse, luci spente, il sole
non è il sole nel cosmo del tuo pube
reso cieco dalle scorse
venti ore di marijuana e coca zero. Il film senza spettatori,
i padri che aspettano di ridere senza riferimenti colti alle disfatte dei
figli, ora sei gay di default, sopra alle isole sconosciute della mia pancia
aspetti un figlio che chiameremo Pier Vittorio, avremmo una
pensione come ce la meritiamo, e una serie tv sui vizi del Papa
da consumare come due clandestini. Meglio fingere
di credere, che credere e poi fingere di stare bene,
io con la dolcezza di un papavero, estraggo oppio per tornare a dormire,
tu con le mie carezze, i tuoi capelli margherita, cadono a fiotti.
E’ la malattia o la primavera?
E’ un sollievo temporaneo, almeno, tane come fossimo ai domiciliari,
io latitante nei tuoi sogni di porpora, fingere di credere, fingere di
credere, il figlio di un eroinomane
e il figlio di un democristiano, ti accarezzo le palpebre perché
so che non hai paura del buio. Hai paura di Dio, sai che se non
credi è peggio, da bambino volevi fare il prete poi
la religione ti ha fatto violentare, schiavo nell’abisso del nulla,
ci sei già dentro a piè pari, ne amplifichi il bisogno.
Il liquido che aveva santità, me lo ha detto
un Angelo, nessun altro,
è urina lasciata scorrere nella gola,
mi aumenta il fetore. Così ti
lascio andare, come farebbe qualsiasi altro padrone benevolo,
come farebbe qualsiasi altro difettato senza speranza, sterile
amante dispari, come una trave di tempio al mare,
io soggetto, oggetto, forma, essenza
io mi ricordo di quella volta in cui assaggiai il sapore dell’estate
da solo
fu l’ultima, non ci voglio tornare più. Ora
il mare sa di lamponi salati, mi piace, ora il vento
sa di cenere, mi piace, ora tu di spalle di fronte alla libreria enorme
del tuo salotto,
io sto qui e immagino casa,
bene,
io sto qui e mi piace, e ora a quale autore ti impicchi
poeta?
In quale casa? Sopra quale libreria? La poesia
ti ha salvato la vita, Poeta, ora cosa ne sarà del resto
della tua esistenza? Vivrai da Martire,
bruciato a vita, bruciato vivo, un cammello senza testa e con
le mani: sei ricoperto di sabbia. Stai invecchiando, Poeta,
cosa ne sarà della tua poesia?
I vertici del tuo respiro chiusi dall’asma, le salme dei
tuoi antenati esposte a raffineria, domani succede
che fanno le primarie e io mi sparo, mi sparo in bocca,
vorrei che lo facessi tu in estrema divinazione da assenzio, ma
hai scelto la via sporca della sobrietà, ora non c’è nulla in te
che mi ricorda mio padre.
Mi rassicura ma mi uccide, mi protegge ma mi espone quando i miei
occhi indagano dettagli confusi. Io ero
dietro il nero,
io ero dietro il nero il nipote più
dispari, la mia è la mano di un diavolo qualunque, tu volevi
una ragione, una sola ragione, penso di avertela data.
Il Messia ha scordato le chiavi di casa, ma non ha
mai scordato il nome di sua madre. Tipo il richiamo degli
uomini, tipo il libro sulla droga, tipo quella foto a vent’anni dove assomigli
ad un agnello.
Hai terminato la mutazione. Tu, almeno, ce l’hai fatta, Poeta.
La vita con te come due bracconieri dell’insonnia, trascinare
anima e corpo alle porte del Paradiso, noi nudi e distratti dalla stagione
peggiore. Mi fermo e ti dico: non so se ce la faccio ad andare oltre.
Noi dentro le porte del Paradiso, qui è pieno di Santi tristi e
Eroi di guerra con le mani sporche di interiora,
assomiglia ad una terra di promesse,
io e te non siamo fatti per questo.
I morti si amano come figli,
il tuo viso scavato dal freddo, il mio reso rosso dalla ricerca di dimora,
una volta al mese scavando morti casalinghe, senza uscire di casa,
arrestati per atti indecenti o per possesso di bocca. Io
detengo la voce addomesticata dalla campagna, tu hai
una penna affilata che usi come bisturi, siamo l’uno davanti all’altro
su un altare-sala operatoria-scrivania-letto
ad aprirci i costati, si voti per eleggere il Segretario!
Punto di ritorno e via del ripristino, la domenica le case
si svuotano per dare una pista da ballo ai topi,
e il tuo naso da ratto
e i miei capelli da pulce,
bugiardi performanti cadaveri
un giorno saremo un poema.
Per oggi, solo una penna
che si lascia rotolare nel fango del nuovo millennio.
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Cina, Xi promette: "Paese sarà riunificato con Taiwan"
(Adnkronos) - La Cina sarà sicuramente riunificata a Taiwan. E' quanto ha affermato il presidente cinese Xi Jinping nel suo messaggio per il Capodanno 2024, aggiungendo che "tutti i cinesi su entrambe le sponde dello Stretto dovrebbero essere legati da un obiettivo comune e condividere la gloria del rinnovamento della nazione cinese". La Cina aumenterà le riforme e l'apertura a tutti i livelli e rafforzerà ulteriormente la fiducia delle persone nello sviluppo. Il Paese promuoverà inoltre - ha aggiunto Xi - un vivace sviluppo dell'economia e raddoppierà gli sforzi per promuovere l’istruzione, far avanzare la scienza e la tecnologia e coltivare i talenti. Il presidente cinese ha promesso sostegno continuo anche a Hong Kong e a Macao per garantire la loro prosperità e stabilità a lungo termine. Sul piano economico, "grazie ad anni di impegno, lo sviluppo cinese guidato dall'innovazione è pieno di energia. Ovunque in Cina, nuove vette vengono scalate con tenace determinazione e nuove creazioni e innovazioni stanno emergendo ogni giorno", ha poi osservato Xi, citando come esempi il grande aereo di linea passeggeri C919, la grande nave da crociera costruita in Cina, le astronavi Shenzhou e il sommergibile Fendouzhe per acque profonde. Nel frattempo, i prodotti progettati e realizzati in Cina, soprattutto marchi di tendenza, sono molto apprezzati dai consumatori, ha affermato Xi. "Gli ultimi modelli di telefoni cellulari di fabbricazione cinese sono un successo immediato sul mercato. I nuovi veicoli energetici, le batterie al litio e i prodotti fotovoltaici sono una nuova testimonianza dell'abilità manifatturiera della Cina". Pur perseguendo il suo sviluppo, la Cina ha anche abbracciato il mondo e ha adempiuto alle proprie responsabilità come grande Paese. Xi ha sottolineato che la pace e lo sviluppo rimangono la tendenza di fondo, non importa come il panorama globale può evolversi e solo la cooperazione per il reciproco vantaggio può dare risultati. Nel 2023, la Cina ha tenuto il vertice Cina-Asia centrale e il terzo forum sulla via della seta per la cooperazione internazionale e ha ospitato leader di tutto il mondo in numerosi eventi diplomatici, ha osservato Xi. "Ho anche visitato numerosi paesi, partecipato a conferenze internazionali e incontrato molti amici, vecchi e nuovi. Ho condiviso la visione della Cina e rafforzato le intese comuni con loro", ha aggiunto Xi. ---internazionale/[email protected] (Web Info) Read the full article
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Aforismi sul benessere
Aforismi sul benessere Aforismi sul benessere, citazioni, massime di vita e pensieri critici per meditare su cosa sia veramente il benessere e migliorare la propria condizione di vita. La salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non semplicemente l’assenza di malattie o infermità. Organizzazione mondiale della sanità In nessuna maniera il digiuno volontario, unito a un’alimentazione sana e vegetariana nel resto dei giorni, è un pericolo: è anzi il segreto per il benessere psicofisico. Umberto Veronesi Da sempre era così sfigato che talvolta gli sembrava persino di trovare un certo salutare conforto nel pensare alla fortuna e al benessere degli altri! Carl William Brown Il benessere è la completa integrazione di corpo, mente e spirito – la consapevolezza che tutto ciò che facciamo, pensiamo, sentiamo e crediamo ha un effetto sul nostro stato di benessere. Greg Anderson La tua salute e il tuo benessere dovrebbero essere la tua priorità, nient'altro è più importante. Robert Cheeke La felicità, intesa come assenza di disagio, è capace a sua volta di promuovere altra felicità, poiché nell'ambiente sociale il benessere di un individuo influisce anche sul benessere di chi gli vive accanto. Vittorino Andreoli Se il benessere individuale significa il malessere collettivo, significa che i conti dell'economia non tornano. Carl William Brown Mai si è troppo giovani o troppo vecchi per la conoscenza della felicità. A qualsiasi età è bello occuparsi del benessere dell'animo nostro. Epicuro Fare una gentilezza produce il più sicuro e momentaneo aumento di benessere di ogni esercizio fisico che si sia mai provato. Martin Seligman Il nostro sistema economico evidentemente non è " Pareto efficiente", infatti più qualcheduno aumenta il proprio benessere e più gli altri aumentano il loro malessere: il nostro sistema è quindi " Pareto deficiente ". Carl William Brown
Natura e benessere Le vere leggi di Dio sono le leggi del nostro benessere. Samuel Butler Per le donne come per gli uomini la gioia di vivere è il segreto della felicità e del benessere. Bertrand Russell Il benessere e la qualità della vita dei cittadini di una nazione dipende molto dalle capacità dei loro intellettuali. A proposito, voi come state ? Carl William Brown La qualità della vita relazionale è la componente che più pesa (anche rispetto al reddito) nell'autovalutazione del benessere soggettivo delle persone. Luigino Bruni Ci sono giornate in cui l’unico momento di benessere finisce per essere una scoreggia. Certo, al momento può sembrare sordido... ma se ci si mette dal punto di vista ottimista si constata che il più disgraziato degli uomini può avere almeno un istante di benessere al giorno. Jean-Marc Reiser Dio inteso come verità assoluta, come giustizia e benessere sociale per tutti non esiste ancora o se esiste non si è ancora trovato. Carl William Brown Per ognuno di noi, il benessere è un viaggio. Il segreto è impegnarsi in quel viaggio e fare quei primi passi con speranza e fiducia in sé stessi. Deepak Chopra Si moltiplicano i centri benessere, piuttosto cari. Come se il benessere si facesse comprare. Fausto Gianfranceschi Per la specie umana il vero conflitto esistenziale, concreto e definitivo, dovrebbe essere tra le idee che mirano a diffondere la serenità, la pace ed il benessere a tutti gli uomini e quelle che invece si ostinano a voler rendere felici soltanto le élités. Carl William Brown Quando pensi di aver trovato la felicità ti accorgi che è solo un momentaneo stato di benessere. Aimone Bassanelli
Citazioni sul benessere Prendersi cura del benessere di un Altro, "essere buoni" con un Altro, accresce anche la sensazione di "benessere" del soggetto che si prende cura, e presumibilmente la sua felicità. Paolo Crepet Chi ha avuto successo sfruttando con abilità le bizzarre contorsioni della fortuna è da sospettare, probabilmente vi vorrà dare consigli e vorrà incrementare il suo benessere alle vostre spalle. Carl William Brown Mi sento abitualmente così male, che quando uno spiraglio di benessere m'illumina brevi istanti quasi per sbaglio, mi spavento. Carlo Dossi Oggi, dopo un lungo periodo di mal di testa, nausea, vertigini, eccetera, mi sono svegliato con una preoccupante sensazione di benessere. Anche la salute ha le sue ricadute. Romano Bertola Ma il benessere sociale, la felicità, la serenità, i rapporti di amicizia e di amore con i propri simili rientrano nei parametri concettuali del prodotto nazionale lordo? Carl William Brown La vera felicità, la sola felicità, tutta la felicità è nell benessere di tutta l'anima. Joseph Joubert Ogni uomo è legato ad alcuni ideali che gli servono di guida nell'azione e nel pensiero. In questo senso il benessere e la felicità non mi sono mai apparsi come la meta assoluta (questa base della morale la definisco l'ideale dei porci). Albert Einstein Solo quando il piacere per il nostro e altrui benessere coinciderà con il dovere morale e categorico di realizzarlo riusciremo a superare le distinzioni tra il bene e il male, tra il ricco e il povero ed otterremo quindi la massima felicità realizzabile su questa terra. Carl William Brown Il saper controllare le proprie emozioni penose è la chiave del benessere psicologico; i sentimenti estremi - emozioni che diventano troppo intense o durano troppo a lungo - minano la nostra stabilità. Daniel Goleman L'anima libera è rara, ma quando la vedi la riconosci: soprattutto perché provi un senso di benessere, quando gli sei vicino. Charles Bukowski Il potere e l'autorità hanno la tendenza a conservare il privilegio, ma il processo di miglioramento della società consiste proprio nella rielaborazione, nel mutamento e nel superamento del privilegio. Ecco perché il potere non va d'accordo con un diffuso benessere. Carl William Brown Bisogna creare condizioni tali che gli individui facciano propria l'esperienza del benessere e della gioia, anziché la soddisfazione dell'impulso al massimo di piaceri. Erich Fromm
Benessere e prevenzione Le coccole e le carezze sono per il nostro benessere personale l'equivalente delle vitamine e proteine nell'alimentazione. Elisabetta Leslie Leonelli Gli Stati Uniti che sono la nazione con il più alto livello tecnologico-scientifico e che spendono una quota considerevole del loro PIL per la ricerca hanno anche un buon 26% della popolazione che è analfabeta. Questa è la miglior riprova che alle elités non importa poi molto del benessere della plebaglia. Carl William Brown Irrita la constatazione che benessere e civiltà sono interdipendenti. Alessandro Morandotti Il primo sintomo di molte malattie è l'apparente benessere. Roberto Gervaso Una buona società è quella in cui la logica collettiva coincide con la morale individuale, in cui le esigenze del pubblico coincidono con i desideri, le aspirazioni, il benessere del privato. Carl William Brown Il nostro benessere non è che privazione di malessere. Ecco perché la setta filosofica che ha dato più importanza alla voluttà, l’ha anche ridotta alla sola assenza di dolore. Il non avere alcun male è il massimo bene che l’uomo possa sperare, come diceva Ennio: Nimium boni est, cui nihil est mali. Michel de Montaigne Chi ha scarsa autostima dubita della propria adeguatezza e capacità di affrontare le richieste della vita e ritiene di non meritare il benessere e la felicità, non è in grado di riconoscere che il diritto di cercare la felicità e il benessere è intrinseco all'esistenza stessa. Edoardo Giusti La gente cerca di illudersi di trovare un condottiero, che possa finalmente condurla al benessere, e così gli affida un'immensa autorità, e ahimè, ancora una volta non può che cadere beffata dalla stupidità. Carl William Brown Quelli che non hanno veramente sofferto ignorano il benessere del tollerabile. Jean Rostand La cattiva politica è la scienza dell'amministrazione e della salvaguardia del privilegio. E' il tentativo di conservare i dogmi al fine di limitare il pluralismo. La buona politica è la lotta per la ridistribuzione delle ricchezze e del sapere, è la lotta per la diffusione dell'educazione e del benessere. Carl William Brown È bene notare come le parole "benessere", "gioia", "piacere", abbiano una diversa carica affettiva. Il benessere è accettabile, la gioia è nobile, il piacere invece è sospetto, odora di zolfo. Henri Laborit La vita non è vivere, ma stare bene Marco Valerio Marziale
Benessere e medicina Il vero moralista dev'essere un condottiero del comportamento, uno che lotta contro la stupidità del caso e della necessità a favore di un'organizzazione sociale e mentale che scacci e sconfigga il dolore ed esalti invece il benessere e la felicità di tutti. Carl William Brown La semplicità è il grande segreto del benessere. Peter Matthiessen Forse occorre meno benessere ma più ben essere. Per ben vivere. Paola Maugeri Certi uomini di potere rientrano proprio a pennello nella definizione di stupidità e cioè pur non potendo migliorare ulteriormente, realmente e significativamente la loro posizione ed il loro benessere, si ostinano purtuttavia a voler peggiorare quella degli altri. Carl William Brown Per preservare il benessere fisico l'atteggiamento mentale è fondamentale. In qualsiasi situazione, anche nelle peggiori, bisogna cercare di mantenere la calma. Restando calmi la pressione sanguigna si mantiene a livelli normali e il fisico ne risente positivamente. Dalai Lama Le effusioni che accompagnano l'amore (baci, carezze, abbracci), liberando le endorfìne, determinano un miglioramento del benessere psicofisico. Raffaele Morelli La pedagogia o filosofia applicata che dir si voglia, prima ancora di pensare all'educazione e ai metodi didattici per diffonderla dovrebbe preoccuparsi di fare in modo che tutti abbiano i mezzi e le possibilità per permettersi una buona istruzione. La vera pedagogia dovrebbe quindi essere un'etica economica per la politica della giustizia, dell'equità e del benessere sociale. Carl William Brown Il massimo grado di tranquillità interiore deriva dalla crescita dell’amore e della compassione. Quanto più ci preoccupiamo della felicità altrui, tanto più grande è il nostro senso di benessere. Dalai Lama Gli orrori della moderna imbecillità varcano limiti e confini sempre più impensati, e così per ridurre il crimine, invece di diffondere l'uguaglianza ed il benessere, si creano campagne pubblicitarie contro i vari reati, con l'unico scopo, non confessato, ma auspicabile, di incrementarli. Carl William Brown Se siamo infelici o frustrati sotto il profilo mentale, la buona salute fisica non sarà di grande aiuto. Al contrario, se riusciamo a conservare uno stato mentale calmo e tranquillo, potremo essere persone molto felici anche nel caso che la salute sia cattiva. Dalai Lama Filosofia significa amore per il sapere e anche per il benessere, ma non solo per il proprio, bensì anche per quello degli altri. Carl William Brown I momenti difficili, come del resto anche quelli positivi, danno sapore alla vita, ma per farlo devono essere in equilibrio. Infatti, è il rapporto fra emozioni negative e positive che determina il senso di benessere psicologico. Daniel Goleman
Benessere e ambiente La famiglia e la coppia sono di gran lunga i centri più disgreganti della società capitalistica del falso benessere morale, intellettuale e spirituale. Carl William Brown Il lavoro duro non è la strada per il benessere, sentirsi bene lo è. Il benessere non nasce attraverso l'azione, ma attraverso la vibrazione. In seguito, la tua vibrazione ti chiamerà all'azione. Esther Hicks Puoi anche leggere: Le leggi del benessere Riflessioni sul benessere The laws of wellness Health and wellness Read the full article
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La storia spesso è bizzarra. Il primo a ritagliare una terra per il popolo ebraico fu Iosif Stalin, e la individuò in Crimea, di cui Mosca ha sempre pensato e continua a pensare di disporre a capriccio. Era il 1926, e Stalin decise di trasferire in Crimea centomila famiglie per concorrere in declinazione comunista al disegno di uno Stato sionista in Palestina. Gli ebrei ci andarono alla fine del decennio e misero in piedi una quantità di fattorie collettive ma, siccome andavano bene ed erano ben foraggiate dagli ebrei di mezzo mondo, i contadini del posto sistemarono la questione con le vecchie maniere: i pogrom. Il progetto fallì e gli ebrei sovietici se ne tornarono da dove erano venuti e Stalin, uomo di rara inventiva, una ventina d’anni dopo, quando inaugurò la sua florida stagione antisemita, mandò a morte una ventina di intellettuali ebrei con l’accusa di aver cospirato per istituire una nazione sionista in Crimea. La musica, per gli ebrei, è un ritornello. E lì mi è tornato in mente un bellissimo libro di Wlodek Goldkorn, La scelta di Abramo, dove si racconta che durante la Guerra dei sei giorni (1967) l’Unione sovietica di Leonid Breznev dichiarò Israele nemico del progresso e braccio esecutivo dell’imperialismo americano. I polacchi la interpretarono per quello che era: la riduzione di Israele a nemico dell’umanità e, ancora più precisamente, la riduzione del sionismo alla più nociva delle ideologie, equiparabile soltanto al nazismo. Potete immaginare come se la passarono gli ebrei polacchi in quei mesi. La solita musica, il solito ritornello: “Israele nazista”, ancora di gran successo nelle nostre piazze. (Mattia Feltri)
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Cagliari: a Palazzo di Città la retrospettiva italiana di Inge Morath, prima fotografa a entrare a far parte della Magnum.
Cagliari: a Palazzo di Città la retrospettiva italiana di Inge Morath, prima fotografa a entrare a far parte della Magnum. Oltre 150 immagini e documenti originali, che ripercorrono il cammino umano e professionale di Inge Morath, dagli esordi al fianco di Ernst Haas ed Henri Cartier-Bresson nell’agenzia Magnum Photos, alla collaborazione con prestigiose riviste quali Picture Post, LIFE, Paris Match, Saturday Evening Post e Vogue. Inaugura, questa sera, apre al pubblico domani sabato 8, e potrà essere visitata sino all'1 ottobre 2023 a Palazzo di Città, la retrospettiva italiana di Inge Morath, la prima fotografa a entrare a far parte della Magnum, a cent’anni dalla sua nascita. Promossa dal Comune di Cagliari e dalla Fondazione di Sardegna, organizzata da Suazes in collaborazione con Fotohof e Magnum Photos, la mostra “riflette la sua figura, viaggiatrice instancabile, poliglotta, donna dai multiformi interessi che non teme barriere culturali, linguistiche o geografiche. Inge Morath è un fondamentale tassello di quella storia parallela della cultura declinata secondo le regole di una sensibilità femminile che produce nuovi codici espressivi e nuovi punti di vista”, ha spiegato l'assessora Maria Dolores Picciau. In questo senso “Palazzo di Città ambisce a farsi laboratorio per valorizzare il ruolo delle donne nella costrizione di un mondo plurale e complesso, senza recriminazioni, ma nel senso autentico dell’aggiunta e del plusvalore che soprattutto l’arte sa comunicare”, ha sottolineato l'esponente della Giunta Truzzu titolare della Cultura incontrando i giornalisti proprio nelle trecentesche sale di piazza Palazzo. Così anche Enrica Anedda Endric. “Cagliari – ha detto la presidente della Commissione Cultura – si sta sempre di più aprendo al mondo”. E anche la caratura internazionale della mostra di Palazzo di Città contribuisce ad offre una “ulteriore occasione culturale sia ai cittadini, che ai visitatori e turisti”. Il percorso espositivo presenta alcuni dei suoi reportage più famosi, come quello realizzato a Venezia nel 1955, con immagini colte in luoghi meno frequentati e nei quartieri popolari della città lagunare, che sposano la tradizione fotografica dell’agenzia Magnum di ritrarre persone nella loro quotidianità. L’itinerario di Inge Morath prosegue in Spagna, nella Romania comunista, nella natia Austria, e nel Regno Unito. In mostra anche una sezione dedicata a Parigi, uno dei ‘luoghi del cuore’ di Inge Morath, dove incontrò i fondatori dell’agenzia Magnum: Henri Cartier-Bresson, David Seymour e Robert Capa e dove emerge chiaramente il suo interesse per gli aspetti bizzarri della vita quotidiana. Presenti anche gli scatti realizzati in Iran, muovendosi all’interno della dimensione femminile e cogliendo il rapporto fra le vecchie tradizioni e le trasformazioni innescate dalla moderna società industriale in una nazione fortemente patriarcale e si chiude idealmente a New York dove nel 1957 realizza un reportage per conto della Magnum. Dopo il matrimonio con lo scrittore Arthur Miller, conosciuto nel 1960 nel set del film Misfits dove recitava Marylin Moore all’epoca legata con Miller, nel 1962 Morath si trasferì infatti in una vecchia e isolata fattoria a Roxbury, a circa due ore di auto da New York. Un luogo di campagna lontano dalla frenesia della città, dove crebbe i suoi due figli Rebecca e Daniel.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Ottone Rosai, raccontare la Firenze del Novecento
Il pittore che visse una vita segnata dall’amore per l’arte… Ottone Rosai nacque il 28 aprile 1895 in via Cimabue, nel cuore di uno dei vecchi quartieri di case popolari di Firenze, il padre, Giuseppe, era fiorentino, la madre, Daria Deboletti, della provincia di Siena, ed ebbero altri tre figli: Ada, Oreste e Perseo. Il nonno paterno, valente intagliatore, aveva lasciato in eredità ai suoi discendenti una bottega d’antiquariato con laboratorio artigiano annesso, ma la speranza di Giuseppe di indurre il primogenito a continuare la tradizione di famiglia fu ben presto delusa, dato che si iscrisse all’Istituto d’Arti Decorative in piazza Santa Croce, dove non rimase che per poco tempo. Successivamente Ottone frequentò il Regio Istituto di Belle Arti ma, se i risultati dei corsi di studio erano buoni, dopo un diverbio con il maestro Calosci fu immediatamente cacciato. Inadatto alle costrizioni, Rosai passò la sua adolescenza tra la passione per le sale da gioco, i caffè, il biliardo, ma soprattutto la vita notturna nella Firenze popolare. Del novembre 1913, a Firenze, in un locale di via Cavour, allestì la sua prima mostra insieme a Betto Lotti e nella stessa strada, dal libraio Gonnelli, era vistabile quella dei futuristi di Lacerba, condotti da Papini. I futuristi una sera visitarono la vicina esposizione, dove conobbero Rosai, che divenne amico di Marinetti, Boccioni, Palazzeschi, Carrà, Severini e Soffici, suo amico, maestro e punto di riferimento per tutti gli anni Venti, facendogli scoprire l’innovativa lezione di Cézanne e il cubismo di Picasso. Nel 1915 Rosai si arruolò come volontario all’entrata dell’Italia nella prima guerra mondiale e fu decorato più volte per atti eroici e a cui dedicò le memorie di Libro di un teppista (1919) Dentro la guerra (1934). Fra il 1919 e il 1920 Ottone orientò la sua ricerca espressiva, tra tele e disegni di piccole dimensioni che restano fra gli esiti più significativi dell’arte italiana del Novecento. Nel novembre 1920 espose alcuni fra i migliori lavori del periodo in una mostra personale ordinata nelle sale di Palazzo Capponi, a Firenze, ma nel febbraio 1922 il padre, oppresso dai debiti, si suicidò gettandosi nelle acque dell’Arno. Il 17 aprile 1924 il pittore sposò Francesca Fei, un’impiegata del giornale La Nazione conosciuta nel 1921, ma per saldare i debiti dovette vendere, a poche lire, gli oggetti di casa e i quadri più belli per saldare i conti in sospeso del padre e solo nel 1927 riprese a dipingere con una certa continuità. Nel 1930 pubblicò Via Toscanella per Vallecchi e un anno dopo affittò nella frazione di Villamagna un casotto da adibire a studio. In quegli anni Rosai divenne amico di Montale e dei giovani poeti ermetici, oltre che con lo scrittore Romano Bilenchi. Nel 1942 gli fu assegnata la cattedra di pittura dell’Accademia di Firenze, mentre dipingeva una serie di autoritratti e alcune emblematiche crocefissioni. Dopo la seconda guerra mondiale Rosai prese parte a una serie di mostre internazionali che lo videro protagonista, dal 1950 in poi, anche a Parigi, Zurigo, Londra e Monaco di Baviera. Nel 1952, alla Biennale di Venezia, gli fu dedicata un’intera sala, ma i membri della giuria per l’assegnazione dei premi gli negarono il riconoscimento ufficiale. Quando nella primavera del 1957 Pier Carlo Santini organizzò ad Ivrea, presso il Centro Culturale Olivetti, un’importante rassegna antologica incentrata sulla figura umana, Rosai si recò in Piemonte per curare personalmente l’allestimento, ma, nella notte del 13 maggio, mori per un malore in una camera dell’Albergo Dora. Read the full article
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#validissimissimi i sentimenti dei tifosi feriti del milan#ma orgnizzare delle spedizioni punitive per fischiare gigio in un contesto che non c'entra niente con i club di appartenenza#mi sembra una cosa abbastanza senza senso#e' li per giocare per la nazionale rappresenta l'italia in quel momento e sconcentrarlo con insulti vari non ha molto senso#ripeto ci sta l'orgoglio ci sta tutto il risentimento che nel calcio e' concesso perche ste storie sono vecchie di secoli#ma andare allo stadio durante una semifinale nazionale#con il solo obbiettivo di dargli fastidio#mi sembra un po' estremo#non serve anche questa pressione ha comunque 22 anni#e ha una responsabilita enorme sulle spalle in quanto primo portiere di una nazione#bisognerebbe mettere da parte tutti questi sentimenti e godersi la partita come dice mancini il calcio deve far divertire prima di tutto#dare cattivi esempi e' macchiare un grandissimo percorso di una squadra che e' risorta dalle ceneri come l'araba fenice#e sta intrattenendo mezzo mondo con un bel gioco e un sacco di meme#lasciate spazio al divertimento e all'intrattenimento di uno sport come questo#piuttosto che dare sfogo a odio e insulti che lasciano il tempo che trovano#nessuno dei giocatori in campo si merita fischi e insulti e i compagni di gigio nemmeno si meritano di avere un portiere sconcentrato#anche perche poi per colpa di 4 esagitati succede come quella volta con italia croazia che hanno sospeso la partita perche hanno lanciato i#fumogeni e cose varie#per il cazzo#quindi per favore#pensate ad altro per due sere
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Vecchi saggi. C'è del vero in quel che dice ma anche no. Nella realtà la Lega ha donato sangue a FdI per essersi confusa con esso: un partito blu non verde, nazional-social qualcosa, romano centrato. Quella roba lì c'è già. Quindi la Lega paga il suo me too, la perdita di IDENTITA', l'inseguimento di temi nazionali ma anche Governatori in appeasement col Romacentrismo praticamente su tutto nel nome del governare.
Poco male, resta tutto in famiglia CDx: era successo lo stesso travaso tra FI e Lega il giro precedente. A riprova che il vecchio mantra dell'occupare il Centro sia diventato negli ultimi decenni una condanna a morte (o un mezzo aborto spontaneo, neh Calenda?).
L'esempio "virtuoso" opposto è la trasmutazione nottetempo di m5s in LEGA SUD. Un esempio di strategia di ARROCCO. Se non lo faceva sarebbe andata molto peggio: kudos to Gonde :)
Cmq. il fatto primario di queste elezioni è: ha trionfato l'unica Opposizione (seria), punto. Opposizione a Draghi il-più-amato-di-sempre-dagli-italiani (delle ZTL), hahah.
Lega e m5s e Pd e tutti quelli che eran nel governo Draghi han tutti perso voti, tanti (m5s ne ha persi sei milioni !!!!), punto. Un autentico referendum abrogativo, su Draghi :)
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La Russia e il virus della libertà
Tutti i Paesi, mi capita talvolta di pensare, dovrebbero assomigliare alla Svizzera, compiacersi e accasciarsi nell'igiene, nella scipitezza, nell'idolatria delle leggi e nel culto dell'uomo; ma, per altro verso, mi attirano soltanto le nazioni indenni da scrupoli nel pensare e nell'agire, febbrili e insaziabili, sempre pronte a divorare le altre e se stesse, calpestando i valori contrari alla loro ascesa e alla loro riuscita, restie alla saggezza, questa piaga dei vecchi popoli, stanchi di se stessi e di tutto, e come felici di sapere di muffa. Allo stesso modo, ho un bel vomitare sui tiranni; nondimeno devo constatare che fanno la trama della storia e che senza di loro non si potrebbe concepire né l'idea né il cammino di un impero. Supremamente odiosi, di una bestialità ispirata, essi evocano l'uomo spinto ai suoi estremi, all'ultima esasperazione delle sue turpitudini e dei suoi meriti. Ivan il Terribile, per non citare che il più affascinante fra di loro, esaurisce gli angoli e i recessi della psicologia. Altrettanto complesso nella sua demenza quanto nella sua politica, fece del suo regno e, fino a un cerio punto, del suo Paese, un modello di incubo, un prototipo d'allucinazione vivente e inesauribile. Miscuglio di Mongolia e di Bisanzio, che cumulava le qualità e i difetti di un khan e di un basileus, mostro dalle collere demoniache e dalla sordida malinconia, diviso fra il gusto del sangue e quello del pentimento, di una giovialità arricchita e coronata di ghigni, egli aveva la passione del crimine; l'abbiamo anche noi tutti finché esistiamo: attentato contro gli altri o contro noi stessi. Soltanto che in noi essa resta inappagata, di modo che le nostre opere, quali che siano, derivano dalla nostra incapacità di uccidere o di ucciderci. Non sempre ne conveniamo, misconosciamo volentieri l'intimo meccanismo delle nostre infermità. Se gli zar o gli imperatori romani mi ossessionano, è perché queste infermità, velate in noi, vengono in loro allo scoperto. Essi ci rivelano a noi stessi, incarnano e illustrano i nostri segreti. Penso a quelli fra loro che, votati a una grandiosa degenerazione, si accanivano contro i loro parenti e, per timore di esserne amati, li mandavano al supplizio. Per quanto potenti fossero, erano tuttavia infelici, perché insaziati del tremore degli altri. Non sono forse come la proiezione del cattivo genio che ci abita e ci persuade che l'ideale sarebbe di fare il vuoto intorno a noi? È con tali pensieri e tali istinti che si forma un impero: vi coopera quel sottofondo della coscienza, in cui si celano le nostre tare più care.
Scaturita da profondità quasi insospettabili, per una spinta originaria, l'ambizione di dominare il mondo appare soltanto in certi individui e in certe epoche, senza rapporto diretto con la qualità della nazione in cui si manifesta: fra Napoleone e Gengis Khan c'è minore differenza che tra il primo e un qualunque uomo politico francese delle repubbliche successive. Ma queste profondità, come quella spinta, si possono inaridire, esaurire. Carlo Magno, Federico II di Hohenstaufen, Carlo V, Bonaparte, Hitler furono tentati, ciascuno i modo proprio, di realizzare l'idea dell'impero universale: vi fallirono, con più o meno fortuna. L'Occidente, dove quest'idea non suscita ormai che ironia o disagio, vive nella vergogna delle sue conquiste; ma è, curiosamente, nel momento stesso in cui si ripiega su di sé, che le sue formule trionfano e si diffondono; dirette contro il suo potere e contro la sua supremazia, esse trovano un'eco fuori dei suoi confini. L'Occidente vince perdendosi. Così la Grecia prevalse, nel campo dello spirito, soltanto quando cessò di essere una potenza e perfino una nazione; si saccheggiarono la sua filosofia e le sue arti, si assicurò una fortuna alle sue opere, senza che però si potessero assimilare le sue doti; allo stesso modo, si prende e si prenderà tutto all'Occidente, salvo il suo genio. Una civiltà si rivela feconda per la facoltà che essa ha di incitare gli altri a imitarla; se cessa di sedurli, si riduce a un cumulo di frammenti e di vestigia. Abbandonando quest'angolo del mondo, l'idea imperiale doveva trovare un clima provvidenziale in Russia, dove per altro essa era sempre esistita, soprattutto sul piano spirituale. Dopo la caduta di Bisanzio, Mosca divenne, per la coscienza ortodossa, la terza Roma, l'erede del « vero » cristianesimo, dell'autentica fede. Primo risveglio messianico. Per conoscere il secondo, la Russia dovette attendere i nostri giorni; ma, questa volta, il risveglio lo deve all'abdicazione dell'Occidente. Nel Quattrocento, approfittò di un vuoto religioso, come approfitta, oggi, di un vuoto politico. Due eccellenti occasioni per compenetrarsi delle sue responsabilità storiche. Quando Maometto II cinse d'assedio Costantinopoli, la cristianità, divisa come sempre e, per di più, felice di aver perduto il ricordo delle crociate, si astenne dall'intervenire. Gli assediati provarono dapprima un'irritazione che, di fronte alla certezza del disastro, si mutò in stupore. Oscillando tra il panico e una soddisfazione segreta, il Papa promise soccorsi, ma li inviò troppo tardi: a che pro affrettarsi per degli « scismatici »? Intanto lo « scisma » stava guadagnando in forza altrove. Roma preferì Mosca a Bisanzio? Si preferisce sempre un nemico lontano a un nemico vicino. Analogamente, ai nostri giorni, gli angloamericani dovevano preferire, in Europa, la preponderanza russa a quella tedesca. Il fatto è che la Germania era troppo vicina.
Le pretese della Russia di passare dal primato indefinito all'egemonia vera e propria non mancano di fondamento. Che cosa ne sarebbe stato del mondo occidentale, se essa non avesse arrestato e assorbito l'invasione mongola? Per oltre due secoli di umiliazioni e di servitù, la Russia fu esclusa dalla storia, mentre le nazioni occidentali si concedevano il lusso di dilaniarsi a vicenda. Se essa fosse stata in grado di svilupparsi senza ostacoli, sarebbe diventata una potenza di prim'ordine fin dall'inizio dell'epoca moderna; ciò che è ora, lo sarebbe stato fin dal Cinquecento o dal Seicento. E l'Occidente? Forse oggi sarebbe ortodosso e, a Roma, invece della Santa Sede, potrebbe bearsi il Santo Sinodo. Ma i russi possono rifarsi. Se sarà loro consentito, come tutto lascia presagire, di portare a termine i loro piani, non è escluso che regolino i conti col Sommo Pontefice. O in nome del marxismo o in quello dell'ortodossia, essi sono chiamati a distruggere l'autorità e il prestigio della Chiesa, di cui non potrebbero tollerare le mire senza rinunciare al punto essenziale della loro missione c del loro programma. Sotto gli zar, assimilandola a uno strumento dell'Anticristo, innalzavano preghiere contro di essa; ora, considerandola una l'autrice satanica della Reazione, la tempestano di invettive un po' più efficaci dei vecchi anatemi; presto la sommergeranno con tutto il loro peso, con tutta la loro forza. Non è affatto impossibile che il nostro secolo debba contare, fra le sue curiosità, e a mo' di frivola apocalisse, la sparizione dell'ultimo successore di San Pietro.
Divinizzando la Storia per screditare Dio, il marxismo è riuscito soltanto a rendere Dio più strano e più ossessionante. Tutto si può soffocare nell'uomo, salvo il bisogno di assoluto, che sopravvivrebbe alla distruzione dei templi e perfino alla scomparsa della religione sulla terra. Dato che il fondo del popolo russo è religioso, finirà inevitabilmente col prendere il sopravvento. Ragioni d'ordine storico vi contribuiranno in larga parte. Adottando l'ortodossia, la Russia manifestava il suo desiderio di separarsi dall'Occidente; fu il suo modo di definirsi sin dal principio. Mai, al di fuori degli ambienti aristocratici, essa si lasciò sedurre dai missionari cattolici, nella fattispecie dai gesuiti. Uno scisma non esprime tanto divergenze di dottrina quanto una volontà di affermazione etnica; in esso traspare meno una controversia astratta che un riflesso nazionale. Non fu certo la ridicola disputa sul filioque che separò le Chiese: Bisanzio voleva un'autonomia totale; a maggior ragione, Mosca. Scismi ed eresie sono nazionalismi camuffati. Ma mentre la Riforma prese soltanto l'aspetto di una lite in famiglia, di uno scandalo in seno all'Occidente, il particolarismo ortodosso, simulando un carattere più profondo, doveva segnare un distacco dal mondo occidentale stesso. Rifiutando il cattolicesimo, la Russia ritardava la propria evoluzione, perdeva un'occasione capitale di incivilirsi rapidamente, pur guadagnando in sostanza e in unicità; il suo ristagno la rendeva diversa, la faceva altra; è ciò a cui aspirava, presentendo senza dubbio che l'Occidente avrebbe un giorno rimpianto di averla sorpassata. Più la Russia diventerà forte, e più prenderà coscienza delle sue radici, dalle quali, in un certo modo, il marxismo l'avrà allontanata; dopo una cura forzata di universalismo, essa si russificherà di nuovo, a vantaggio dell'ortodossia. D'altronde, essa ha segnato di una tale impronta il marxismo che l'avrà già slavizzato. Ogni popolo di una certa levatura che adotta un'ideologia estranea alle proprie tradizioni l'assimila e la snatura, la piega nel senso del suo destino nazionale, la falsa a proprio vantaggio, al punto da renderla indistinguibile dal proprio genio. Esso possiede una sua ottica, necessariamente deformante, un difetto di visuale che, lungi dallo sconcertarlo, lo lusinga e lo stimola. Le verità che fa valere, pur sprovviste di valore obiettivo, non sono per quelli meno vive e producono, come tali, quel genere di errori che costituiscono la diversità del paesaggio storico, restando bene inteso che lo storico, scettico per professione, temperamento e opzione, si colloca immediatamente al di fuori della Verità.
Mentre i popoli occidentali si logoravano nella loro lotta per la libertà e, ancor più, nella libertà acquisita (niente esaurisce tanto quanto il possesso o l'abuso della libertà), il popolo russo soffriva senza consumarsi, giacché non ci si consuma se non nella storia, e poiché esso ne fu escluso, dovette necessariamente subire gli infallibili sistemi di dispotismo che gli furono inflitti: esistenza oscura, vegetativa, che gli consentì di rassodarsi, di accrescere la propria energia, di accumulare riserve, e di trarre dalla sua servitù il massimo profitto biologico. L'ortodossia lo ha aiutato in ciò, ma fu quella popolare, meravigliosamente articolata per tenerlo fuori dagli avvenimenti, al contrario di quella ufficiale, che orientava invece il potere verso mire imperialistiche. Doppia faccia della Chiesa ortodossa: da una parte, si adoperava per l'assopimento delle masse; dall'altra, come ausiliaria degli zar, ne risvegliava le ambizioni, e rendeva possibili conquiste immense, in nome di una popolazione passiva. Felice passività che ha assicurato ai russi il predominio attuale, frutto del loro ritardo storico. Favorevoli od ostili, tutte le iniziative dell'Europa ruotano intorno a loro. Dato che l'Europa li mette al centro dei suoi interessi e delle sue ansie, riconosce che i russi virtualmente la dominano. Ecco quasi realizzato uno dei loro sogni più antichi. Che vi siano pervenuti sotto gli auspici di un'ideologia di provenienza straniera, aggiunge qualche cosa di paradossale e di piccante al loro successo. Quello che importa, in definitiva, è che il regime sia russo e completamente fedele alle tradizioni del Paese. Non è forse significativo che la Rivoluzione, generata in linea diretta da teorie occidentaliste, si sia orientata sempre più verso le idee degli slavofili? D'altra parte, un popolo rappresenta una somma non tanto di idee e di teorie quanto di ossessioni: quelle dei russi, di qualunque partito siano, sono sempre, se non identiche, almeno imparentate. Un Caadaev, che non trovava nessun merito nella sua nazione, o un Gogol' , che la scherniva senza pietà, vi erano altrettanto legati di un Dostoevskij. Il più forsennato dei nichilisti, Necaev, ne era ossessionato quanto Pobedonoscev, procuratore del Santo Sinodo, reazionario fino al midollo. Soltanto questa ossessione conta. Il resto non è che posa. Perché la Russia si adattasse a un regime liberale, bisognerebbe che s'indebolisse notevolmente, che il suo vigore si estenuasse, anzi: che perdesse il suo carattere specifico e si snazionalizzasse in profondità. Come potrebbe riuscirci, con le sue risorse interne ancora intatte e i suoi mille anni di autocrazia? Supponendo che vi arrivasse d'un balzo, si sgretolerebbe immediatamente. Molte nazioni, per conservarsi ed espandersi, hanno bisogno di una certa dose di terrore. La I rancia stessa si è potuta impegnare nella democrazia soltanto nel momento in cui le sue molle hanno incominciato a rilassarsi ed essa, non mirando più all'egemonia, si apprestava a diventare rispettabile e saggia. Il primo Impero fu la sua ultima follia. Dopo di che, apertasi alla libertà, doveva prenderne faticosamente l'abitudine, attraverso molte convulsioni, contrariamente all'Inghilterra, la quale, esempio sconcertante, vi si era assuefatta da lungo tempo, senza urti né pericoli, grazie al conformismo e all'illuminata stupidità dei suoi abitanti (l'Inghilterra non ha mai prodotto, che io sappia, un solo anarchico). Il tempo favorisce alla lunga le nazioni incatenate che, ammassando forze e illusioni, vivono nel futuro, nella speranza; ma che cosa si può ancora sperare nella libertà, o nel regime di dissipazione, di calma e di rammollimento che la incarna? Meraviglia che non ha nulla da offrire, la democrazia è insieme il paradiso e la tomba di un popolo. Solo grazie a essa la vita ha senso; ma essa manca di vita... Felicità immediata, disastro imminente — inconsistenza di un regime al quale non si aderisce senza intrappolarsi in un dilemma torturante. Meglio dotata e ben più fortunata, la Russia non ha da porsi simili problemi, dato che il potere assoluto è per essa, come già osservava Karamzin, «il fondamento stesso del suo essere». Aspirare sempre alla libertà senza mai raggiungerla, non è forse questa la sua grande superiorità sul mondo occidentale, il quale, ahimè!, vi è da tempo pervenuto? Essa, inoltre, non si vergogna affatto del suo impero; al contrario, non pensa che a estenderlo. E chi, meglio della Russia, si è affrettato a beneficiare delle acquisizioni degli altri popoli? L'opera di Pietro il Grande e quella della stessa Rivoluzione hanno il carattere di un geniale parassitismo. E perfino gli orrori del giogo tartaro li ha sopportati ingegnosamente. Se, pur confinandosi in un isolamento calcolato, ha saputo imitare l'Occidente, ha saputo ancor meglio farsene ammirare e sedurne gli animi. Gli enciclopedisti si infatuarono delle imprese di Pietro e di Caterina, proprio come gli eredi del secolo dei lumi, voglio dire gli uomini della sinistra, si infatueranno di quelle di Lenin e di Stalin. Questo fenomeno depone in favore della Russia ma non degli occidentali i quali, complicati e devastati quanto possibile, cercano il « progresso » altrove, fuori di se stessi e delle loro creazioni, e si trovano oggi paradossalmente più vicini ai personaggi dostoevskiani di quanto non lo siano i russi. Ed è inoltre opportuno precisare che essi non evocano che i lati deboli di questi personaggi, senza averne i capricci feroci né la collera virile: «demoni» debilitati a furia di raziocinazioni e di scrupoli, rosi da sottili rimorsi, da mille interrogativi, martiri del dubbio, abbagliati e annientati dalle proprie perplessità.
Ogni civiltà crede che il suo modo di vivere sia il solo buono e il solo concepibile, che debba convertire il mondo a esso oppure infliggerglielo; questo modo di vivere equivale per essa a una soteriologia esplicita o camuffata; in realtà, a un imperialismo elegante, che però cessa di esserlo non appena si accompagna all'avventura militare. Non si fonda un impero soltanto per capriccio. Si assoggettano gli altri, perché vi imitino, perché si modellino su di voi, sulle vostre credenze e sulle vostre abitudini; subentra in seguito l'imperativo perverso di farne degli schiavi per contemplarvi l'abbozzo lusinghiero o caricaturale di se stessi. Che ci sia una gerarchia qualitativa degli imperi, sono d'accordo: i Mongoli e i Romani non soggiogarono i popoli per le stesse ragioni e le loro conquiste non ebbero il medesimo risultato. Ciò non toglie che gli uni e gli altri fossero ugualmente esperti nel far perire l'avversario riducendolo alla loro immagine. Che le abbia provocate o subite, la Russia non si è mai accontentata di sventure mediocri. E cosi sarà anche in avvenire. Essa si schiaccerà sull'Europa per fatalità fisica, per l'automatismo della sua massa, per la sua vitalità sovrabbondante e morbosa così propizia alla generazione di mi impero (in cui si materializza sempre la megalomania di una nazione), per quella sua salute, piena di imprevisti, di orrore e di enigmi, posta al servizio di un'idea messianica, rudimento e prefigurazione di conquiste. Quando gli slavofili sostenevano che la Russia doveva salvare il mondo, adoperavano un eufemismo: non si salva il mondo senza dominarlo. Per quanto riguarda una nazione, essa trova il suo principio di vita o in se stessa o da nessuna parte: come potrebbe essere salvata da un'altra? La Russia pensa sempre - secolarizzando sia il linguaggio sia la concezione degli slavofili - che le spetti il compito di assicurare la salvezza del mondo, quella dell'Occidente in primo luogo, verso il quale, del resto, essa non ha mai provato un sentimento chiaro, ma attrazione e repulsione, gelosia (miscuglio di culto segreto e di avversione palese) ispirata dallo spettacolo d'un marciume, desiderabile quanto pericoloso, il cui contatto è da cercare, ma ancor più da fuggire. Restio a definirsi e ad accettare limiti, coltivando l'equivoco in politica e in morale e, ciò che è più grave, in geografia, senza nessuna delle ingenuità inerenti agli « inciviliti » resi opachi al reale dagli eccessi di una tradizione razionalistica, il russo, sottile sia per intuizione sia per la secolare esperienza della dissimulazione, è forse un bambino storicamente, ma in nessun caso psicologicamente; da qui la sua complessità di uomo dagli istinti giovani e dai vecchi segreti, da qui parimenti le contraddizioni, spinte fino al grottesco, dei suoi atteggiamenti. Quando ha la pretesa di essere profondo (e ci arriva senza sforzo), deforma il minimo fatto, la minima idea. Si direbbe che abbia la mania della smorfia monumentale. Tutto è vertiginoso, spaventevole e inafferrabile nella storia delle sue idee, rivoluzionarie o d'altro genere. Egli è ancora un amatore incorreggibile di utopie; ora, l'utopia è il grottesco in rosa, il bisogno di associare la felicità, dunque l'inverosimile, al divenire, e di spingere una visione ottimista, aerea, fino al punto in cui raggiunge il proprio punto di partenza : il cinismo, che voleva combattere. Insomma, una fiaba mostruosa. Che la Russia sia in grado di realizzare il suo sogno di un impero universale è un'eventualità, ma non una certezza; è evidente, in compenso, che potrebbe conquistare e annettersi tutta l'Europa, e anzi che lo farà, non fosse che per rassicurare il resto del mondo... Essa si accontenta di cosi poco! Dove trovare una prova più convincente di modestia, di moderazione? Un pezzo di continente! Intanto, lo contempla con lo stesso occhio con cui i Mongoli guardavano la Cina e i Turchi Bisanzio, con la differenza, tuttavia, che essa ha già assimilato un gran numero di valori occidentali, mentre le orde tartare e ottomane non avevano, rispetto alla loro preda futura, che mia superiorità tutta materiale. È senz'altro un peccato che la Russia non sia passata attraverso il Rinascimento: tutte le sue disuguaglianze derivano da qui. Ma, con la sua capacità di bruciare le tappe, sarà fra un secolo, e forse meno, unto raffinata e tanto vulnerabile quanto questo Occidente, giunto a un livello di civiltà che non si supera se non discendendo. Suprema ambizione della storia: registrare le variazioni di questo livello. Quello della Russia, inferiore al livello dell'Europa, non può che elevarsi, e la Russia con esso: quanto a dire che la Russia è condannata all'ascesa. Tuttavia, a furia di salire, non rischia, sbrigliata com'è, di perdere il suo equilibrio, di esplodere e di rovinarsi? Con le sue anime foggiate nelle sètte e nelle steppe, essa dà una singolare impressione di spazio e di chiuso, d'immensità e di soffocamento, di Nord insomma, ma di un Nord speciale, irriducibile alle nostre analisi, segnato da un sonno e da una speranza che fanno fremere, da una notte ricca di esplosioni, da un'aurora di cui ci si ricorderà. Nulla della trasparenza e della gratuità mediterranee in questi iperborei il cui passato, come il presente, sembra appartenere a una durata diversa dalla nostra. Davanti alla fragilità e alla fama dell'Occidente, essi provano un certo disagio, conseguenza del loro risveglio tardivo e del loro vigore inutilizzato: è il complesso di inferiorità del forte... Essi vi sfuggiranno, lo supereranno. L'unico punto luminoso nel nostro avvenire è la loro nostalgia, segreta e contratta, di un mondo delicato, dal fascino dissolvente. Se vi accederanno (questo appare con evidenza il senso del loro destino), si inciviliranno a svantaggio dei propri istinti e, lieta prospettiva, conosceranno anch'essi il virus della libertà. Più un impero si umanizza, e più vi si sviluppano le contraddizioni per le quali perirà. Di aspetto composito, di struttura eterogenea (al contrario d'una nazione, realtà organica), esso ha bisogno, per sussistere, del principio coesivo del terrore. Si aprirà alla tolleranza? Questa ne distruggerà l'unità e la forza, e agirà su di esso come un veleno mortale che l'impero si sarà somministrato da sé. Il fatto è che la tolleranza non è soltanto lo pseudonimo della libertà, ma anche dello spirito; e lo spirito, nefasto per gli imperi ancora più che per gli individui, li corrode, ne compromette la solidità e ne accelera lo sgretolamento. Perciò, esso è lo strumento stesso di cui si serve, per colpirli, una provvidenza ironica. Se, nonostante l'arbitrarietà del tentativo, ci si divertisse a stabilire in Europa delle zone di vitalità, si constaterebbe che più ci si avvicina all'Est, e più si rivela l'istinto, che decresce invece a mano a mano che si procede verso Ovest. I russi sono lungi dall'averne l'esclusiva, benché le nazioni che lo possiedono appartengano anch'esse, in diversa misura, alla sfera di influenza sovietica. Queste nazioni hanno tutt'altro che licito la loro ultima parola; alcune, come la Polonia o l'Ungheria, hanno svolto un ruolo non trascurabile nella storia; altre, come la Jugoslavia, la Bulgaria e la Romania, essendo vissute nell'ombra, hanno conosciuto solamente sussulti senza seguito. Ma quale che sia stato il loro passato, e indipendentemente dal loro livello di civiltà, dispongono tutte di un fondo biologico che si cercherebbe invano in Occidente. Maltrattate, diseredate, precipitate in un martirio anonimo, lacerate fra lo smarrimento e la sedizione, esse conosceranno forse in avvenire un compenso a tante prove, umiliazioni, e anche a tante viltà. Il grado di istinto non si valuta dall'esterno; per misurarne l'intensità bisogna aver praticato o intuito queste regioni, le sole al mondo a puntare ancora, nella loro bella cecità, sui destini dell'Occidente. Immaginiamo adesso il nostro continente incorporato all'impero russo, immaginiamo poi quest'impero, troppo vasto, indebolirsi e disgregarsi, con l'emancipazione dei popoli come corollario: quali di loro prenderebbero il sopravvento, recando all'Europa quel supplemento di impazienza e di forza, senza il quale un torpore irrimediabile l'attende? Io non potrei dubitarne: sono i popoli che ho appena menzionato. Con la reputazione di cui godono, la mia affermazione sembrerà ridicola. Passi per l'Europa centrale, mi si dirà. Ma i balcanici? Io non voglio difenderli, ma neanche voglio tacere i loro meriti. Quel gusto della devastazione, del disordine interno, di un universo simile a un bordello in fiamme, quella prospettiva sardonica su cataclismi avvenuti o imminenti, quell'asprezza, quel far niente da insonne o da assassino, non è dunque nulla questa eredità così ricca e pesante, questo lascito di cui beneficiano coloro che ne provengono e che, colpiti da un'« anima », dimostrano con ciò stesso di conservare un residuo di barbarie? Insolenti e desolati, essi vorrebbero rotolarsi nella gloria, il cui appetito è inseparabile dalla volontà di affermarsi e di precipitare, dalla tendenza a un crepuscolo rapido. Se le loro parole sono virulente, i loro accenti inumani e talvolta ignobili, è che mille ragioni li spingono a urlare più forte di questi inciviliti che hanno esaurito le loro grida. Unici « primitivi » in Europa, le daranno forse un impulso nuovo; è ciò che essa non mancherà di considerare come la sua ultima umiliazione. E tuttavia, se il Sud-Est non fosse che orrore, perché, quando lo si lascia e ci si avvia verso quest'altra parte del mondo, si prova come il senso di una caduta - meravigliosa, è vero - nel vuoto?
La vita in profondità, l'esistenza segreta, quella di popoli che, avendo l'enorme vantaggio di essere stati finora respinti dalla storia, hanno potuto capitalizzare sogni, quest'esistenza sepolta, promessa alle sventure di una resurrezione, comincia oltre Vienna, estremità geografica del cedimento occidentale. L'Austria, il cui logoramento sfiora il simbolo o il comico, prefigura la sorte della Germania. Più nessuno smarrimento in grande stile nei tedeschi, più nessuna missione o frenesia, più nulla che li renda interessanti od odiosi! Barbari predestinati, distrussero l'Impero romano perché potesse nascere l'Europa; la fecero e spettava loro disfarla; vacillando coi tedeschi, essa subisce il contraccolpo del loro esaurimento. Per quanto dinamismo posseggano ancora, essi non hanno più ciò che si nasconde dietro ogni energia, o ciò che la giustifica. Votati all' insignificanza, elvetici in erba, per sempre fuori della loro abituale dismisura, ridotti a rimuginare le loro virtù degradate e i loro vizi rimpiccioliti, con l'unica speranza di poter essere una tribù qualunque, sono indegni del timore che possono ancora ispirare: credere in essi o temerli, è far loro un onore che non meritano. Il loro fallimento è stato la provvidenza della Russia. Se fossero riusciti, essa sarebbe stata tenuta lontana, per almeno un secolo, dalle sue grandi mire. Ma non potevano riuscire, perché i aggiunsero l'apice della potenza materiale nel momento in cui non avevano più nulla da proporci, in cui erano forti e vuoti. Era già suonata l'ora per gli altri. « Gli slavi non sono forse gli antichi Germani in rapporto al mondo che se ne va? », si chiedeva, verso la metà del secolo scorso, Herzen, il più chiaroveggente e il più tormentato fra i liberali russi, spirito dagli interrogativi profetici, nauseato del suo Paese, deluso dall'Occidente, altrettanto inadatto a insediarsi in una patria quanto in un problema, benché gli piacesse speculare sulla vita dei popoli, materia vaga e inesauribile, passatempo da emigrato. Tuttavia i popoli, a prestar fede a un altro russo, a Solov'év, non sono ciò che presumono di essere, ma ciò che Dio pensa di loro nella sua eternità. Ignoro le opinioni di Dio su tedeschi e slavi; so però che ha favorito questi ultimi, e che rallegrarsene sarebbe altrettanto vano che biasimarlo. Oggi è risolto il problema che tanti russi, nel secolo scorso, si ponevano intorno al loro Paese: « Questo colosso è stato creato per niente? ». Il colosso ha realmente un senso, e quale senso! Una carta ideologica rivelerebbe che si estende al di là dei suoi confini, che stabilisce le sue frontiere dove vuole, dove preferisce, e che la sua presenza evoca ovunque non tanto l'idea di una crisi quanto quella di un'epidemia, talvolta salutare, spesso nociva, sempre folgorante. L'Impero romano fu opera di una città; l'Inghilterra fondò il suo per rimediare all'esiguità di un'isola; la Germania tentò di erigerne uno per non soffocare in un territorio sovrappopolato. Fenomeno senza parallelo, la Russia doveva giustificare i suoi progetti di espansione in nome del suo immenso spazio. « Dal momento che ne ho abbastanza, perché non averne troppo? », questo è il paradosso implicito sia nei suoi proclami sia nei suoi silenzi. Convertendo l'infinito in categoria politica, essa avrebbe sconvolto il concetto classico e gli schemi tradizionali dell'imperialismo, e suscitato attraverso il mondo una speranza troppo grande per non degenerare in sgomento.
Coi suoi dieci secoli di terrore, di tenebre e di promesse, essa era più atta di qualunque altra nazione ad accordarsi col lato notturno del momento storico che attraversiamo. L'apocalisse le si adatta a meraviglia, ne ha l'abitudine e il gusto, e oggi vi si esercita più che mai, perché ha visibilmente cambiato ritmo. « Dove corri così, o Russia? », si chiedeva già Gogol', che aveva percepito la frenesia che essa nascondeva sotto l'apparente immobilismo. Adesso sappiamo dove corre, sappiamo soprattutto che, a somiglianza delle nazioni dal destino imperiale, è più impaziente di risolvere i problemi degli altri che i suoi propri. Quanto dire che il nostro cammino nel tempo dipende da ciò che la Russia deciderà o intraprenderà: essa tiene in pugno il nostro avvenire... Fortunatamente per noi, il tempo non esaurisce la nostra sostanza. L'indistruttibile, l'altro-ve, si può concepire: in noi? Fuori di noi? Come saperlo? Resta il fatto che, al punto in cui sono le cose, meritano interesse soltanto le questioni di strategia e di metafisica, quelle che ci inchiodano alla storia e quelle che ce ne strappano via: l'attualità e l'assoluto, i giornali e i Vangeli... Intravedo il giorno in cui non leggeremo più se non telegrammi e preghiere. Fatto notevole: più l'immediato ci assorbe, e più sentiamo il bisogno di opporci a esso, di modo che viviamo, all'interno dello stesso istante, nel mondo e fuori del mondo. Perciò, dinanzi alla sfilata degli imperi, non ci resta che cercare una via di mezzo fra il ghigno e la serenità.
Cioran, Storia e utopia (1960)
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