#buon anniversario a me
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poterimagici · 1 year ago
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Francesco è in cerca di uno spirito affine.
Volevo fare la Rockstar 1.09
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elenascrive · 9 months ago
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Ancora un anno soltanto
e diventeremo maggiorenni
ma ci pensi?
Per quanto mi riguarda
se ci penso
mi vengono i brividi!
Ma come abbiamo fatto a resistere
per così tanto tempo?
Mi sa tanto che
ci dovrebbero studiare!
Sono tanto felice per questo bel traguardo
Ne approfitto per ringraziarti
come sempre tanto,
per aver continuato a sopportarmi
senza mai stancarti
Grazie per non avermi ancora abbandonata
La Tua preziosa presenza
molte volte mi ha salvata
dal baratro
Mi sento sempre più fortunata
ad averti incontrato
La Nostra Amicizia
nata a Primavera
ha preso tutto il bello
di questa incredibile Stagione,
capace di rinnovarsi di anno in anno
rifiorendo,
per donarci i fiori e i colori più belli
che ha da offrire
Grazie di esistere Fratellino Caro
Tu che non perdi occasione
di essere il Grande Cavaliere che sei,
in ogni giorno che condividiamo
da 17 anni a questa parte
Allora continuiamo così,
affinché la gioia sarà sempre
dalla Nostra
Ti voglio bene
Tua per sempre
Principessa Elena
@elenascrive
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ilmondodishioren · 1 year ago
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L'Altra Me - Tutto ha avuto inizio da qui.
Il 23 settembre 2019, esattamente 4 anni fa, iniziava la mia avventura come autrice. Non che abbia fatto chissà quanta strada d’allora, anzi, sono ancora una quasi sconosciuta, ma sono orgogliosa di ogni singolo passo, sforzo, lode e critica che da quattro anni scandiscono la mia passione. L’Altra Me è nato in un momento difficile della mia vita, stavo perdendo mia madre e la sua stesura è…
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gregor-samsung · 1 year ago
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“ – Buon giorno Don Matteo – Buon giorno Don Emilio. Lo speziale aveva una faccia compunta fuori dell'ordinario e salutava con un ossequio malinconico. Don Matteo si accorse della mestizia che velava il volto del suo interlocutore e gli chiese con un bel garbo paterno: – Non state bene Don Emilio: o vi capita qualche guaio? – Don Matteo, – fece l'altro con una punta di ansia nella sua preghiera, – vorrei chiedervi un grande favore, voi mi dovete aiutare a togliermi un peso dalla coscienza. La parola coscienza lo richiamò alle sue attribuzioni sacerdotali ed il prete atteggiò il volto a seria e compunta concentrazione. – Ditemi figliolo. Don Emilio sospirò: – Ho offeso la santa memoria di mio padre; oggi ricorre il quindicesimo anniversario della sua morte... Don Matteo ebbe un mesto moto della testa: sospirò pieno di ricordi pietosi, della coscienza amara dell'irreparabile fuga del tempo e disse: – 16 luglio 1834: che galantuomo! L'altro corresse: – 1844, Don Matteo, 14 luglio, oggi ne abbiamo quattordici. Don Matteo fece: Già già, ho sbagliato il conto di dieci anni; che testa –; e rise. Poi pensò che il riso fosse fuori posto e si confuse, fece alcuni disordinati movimenti col capo e le braccia, si picchiò la fronte per dire che lui era un po' stordito, poi si calmò e gli riuscí di dire un «dunque» che, gentile nell'intenzione, gli venne fuori piuttosto duro e perentorio.
– Dunque Don Matteo, ho dimenticato, la santa memoria di mio padre mi perdoni, ho dimenticato di fargli dire la messa funebre per oggi, anniversario della sua morte. Don Matteo ebbe un moto di dispetto: – Perbacco è vero. Era una messa che fruttava un ducato e l'aveva sempre detta lui; ricordò che era senza un soldo e il rimprovero gli uscí fluente e sincero dalla bocca: – Ma come avete fatto a dimenticare, come avete fatto! Il padre, il padre che soffre in purgatorio, e voi lo dimenticate, le fiamme lo bruciano, e voi dimenticate, la sua bocca ha sete e voi dimenticate... – Moveva le braccia ora, con moto largo ondoso o puntava nel «voi» oratorio un dito carico di minaccia su Don Emilio Malori, speziale, che, chinato il capo scoperto, e le mani ferme sul cilindro che teneva fisso sul petto, guardava una delle tasche di Don Matteo da cui uscivano le zampine irrigidite di un pollo. Lo speziale insinuò umilmente: – Potreste dirla ora la messa Don Matteo. – Ma voi volete farmi commettere peccato mortale; io ho già celebrato. L'altro protestò con visibile indignazione: – Dio me ne guardi Don Matteo, Dio me ne guardi. Poi suggerí sornione: – Ma si potrebbe rimediare: uno due requiem potrebbero giovare lo stesso, specie se detti subito, nella stessa giornata... Don Matteo ebbe un moto interno di giubilo ma riuscí a frenarsi. Scandí pensieroso: – Subito, subito, ma come si fa? e chi accompagna nel coro? Perché voi li volete cantati i requiem; semplici, detti in luogo della messa non rimediano a nulla; cantati ci vogliono. L'altro aggiunse con ipocrita disappunto, sempre senza alzare gli occhi: – Ho capito non volete aiutarmi, non volete dirli, mi rivolgerò a Don Carluccio: buon giorno, e grazie lo stesso, Don Matteo Fece per allontanarsi. Ma Don Matteo non reggeva a lungo nei suoi atteggiamenti cauti; ebbe uno scatto e l'afferrò per il bavero: – Un momento, che furia, vediamo. – No, no, – fece l'altro resistendo mortificatissimo, – mi aspettavo altro da voi: mi ero rivolto a voi con piena fiducia e invece... – Cercò di sfuggire alla stretta. Don Matteo incominciò ad arrabbiarsi – Ma Don Emilio, io non ho detto di no, allora voi non volete capirmi: sono pronto, pronto, prontissimo, come diavolo ve lo devo dire. Don Emilio si arrese: – Be', allora andiamo; qui vicino nella chiesetta di San Giuseppe. “
Francesco Jovine, Signora Ava, Einaudi, 1958; pp. 30-32.
[1ª edizione originale: 1942]
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pietro-balivo · 1 year ago
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C'è molto di te in me:
in primis l'amore per i figli
poi la voglia di vivere,
il coraggio di fare le cose e
quel modo buffo ma serio di affrontare la vita.
Ormai sono quindici anni, di cui tredici di matrimonio che, tra una battuta (la mia) ed un'altra (la tua), viviamo assieme. Sono stati quindici anni tra molti alti e qualche basso (come capita a tutti) in cui ci siamo amati, ci siamo rispettati e ci siamo compresi (a volte basta il dialogo).
Nulla è cambiato in quindici anni e nulla, spero, mai cambi.
Buon Anniversario di matrimonio,
ti amo.
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lilsadcactus · 2 years ago
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La vita non gira attorno all’amore, me l’ha detto qualcuno o lo affermo io adesso così senza ragione? Prima di lavarmi i denti ho seccato bene ogni fiore del mazzo che mi ha regalato mio padre per San Valentino. Fiorellini di campo, niente di che, ma ho quasi pianto. Comunque ho seccato i fiori, spruzzato la lacca ed ora sono appesi in camera mia a testa in giù. Fra qualche settimana saranno secchi ed io mi sorprendo perché avevo dimenticato che Pasquale portava i cioccolatini anche per me quando arrivava la festa della donna (nonostante il mio non definirmi tale, che ci potevo fare) e a San Valentino qualche fiore, per il mio compleanno un regalino. La sera mi chiede sempre se voglio il the e me lo porta ovunque io sia in casa. Negli anni in cui non riuscivo a mangiare mi comprava i bastoncini di verdure che mi piacevano e me li portava a letto, certo non sapeva del mio disprezzo per il cibo e non accettavo di buon grado ma non ha mai smesso di cucinare anche per me. Ogni volta che fa la spesa mi chiede se ho voglia di quel cioccolato al caramello e anche se dico nooo, sono ingrassata! Me lo ritrovo in casa. Non l’ho mai visto dimenticare un anniversario, mai ha insultato mia madre e anche se non siamo i suoi figli biologici non riesco a pensare ad un’altra faccia quando qualcuno mi chiede di mio padre. È sempre lui, Pasquale che ho conosciuto a 11 anni. Pasqualino. Paaaaaaaaaaa, padreee. Ho sempre avuto delle basse aspettative per i partner della mia vita… sarà scontato ma probabilmente nasce dall’abbandono completo che ho vissuto da parte del donatore di sperma, l’abuso continuo di mia madre blahblahblah, ora mi mangio le mani perché avevo Pasquale. 12 anni ci ho messo, meglio tardi che mai.
Il tentativo di amare me stessa rimane in corso. Ci sono giorni buoni, mesi bui, nottate in bianco e occasionali flashback dei momenti più bassi della mia vita (pieni di odio) però mi capita sempre più spesso di immaginare una piccola me che stringe forte una mabelle adolescente, entrambe mi guardano e mi sorridono: mi perdonano.
Oggi mi sono sentita un po’ sola… e mi sono accorta che certe volte per giustificare quella sensazione mi obbligo a dire: oh, mi manca x persona. Anche se magari non è vero. Allora mi domando se non sia ora di tornare un po’ alla vita sociale che ho lasciato abbasta in pausa dal 2021: rivedere amici, visitare luoghi - in compagnia o per conto mio-, leggere di più, studiare di più, accettare nuove conoscenze.
Poi ricordo quello psichiatra che ci disse l’uomo è fatto delle relazioni che mantiene, è così dall’alba dei tempi… e torno a sentirmi sola, nuda e inosservata, perché disse relazioni toccando la fede al dito. Come se l’amore fosse il nuovo ossigeno. Tradiva la moglie e lo sapevamo tutti quelli del gruppo. Forse per questo avevo smesso di andare, forse perché avevo inconsciamente deciso di perdonare il tradimento e tornare con lui per non sentirmi sola a lungo.
È il 2023, la mia solitudine sta diventando isolamento o posso continuare ancora per un po’? Quanto mi manca a capire cos’altro c’è se non si pensa all’amore? Desidero una vita più primitiva, vorrei essere un polipo per qualche giorno, poi un crisantemo, un gatto, un gufo delle nevi, una penna nera punta fina, in fine un uomo senza tempo, sono sicura che troverei la risposta
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c-g-72 · 1 month ago
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È il mio 4 anniversario su Tumblr 🥳
Buon anniversario a me🤔
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lamilanomagazine · 1 year ago
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Buon compleanno “Drive In!”: lo storico varietà compie 40 anni
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Buon compleanno “Drive In!”: lo storico varietà compie 40 anni. Oggi, mercoledì 4 ottobre 2023, ricorre il 40° anniversario della prima puntata di Drive In, lo storico varietà di Antonio Ricci, simbolo degli anni Ottanta. Andato in onda su Italia 1 dal 1983 al 1988, Drive In era una caricatura delle abitudini degli italiani e della società dell'epoca, un programma comico e satirico che ha irriso e messo alla berlina protagonisti, mode e personaggi di quegli anni. Una parodia dell'Italia del riflusso, dell'edonismo reaganiano e della Milano da bere. Federico Fellini, Umberto Eco, Giovanni Raboni, Beniamino Placido, Oreste Del Buono, Omar Calabrese, Luciano Salce, Lietta Tornabuoni, Maurizio Cucchi, Angelo Guglielmi e tanti intellettuali e artisti dell'epoca definirono Drive In «la trasmissione di satira più libera che si sia vista e sentita per ora in tv» e «l'unico programma per cui vale la pena avere la tv». Drive In è stato descritto da Antonio Ricci come «una macedonia di generi, una via di mezzo tra sit-com, varietà, effetti speciali, satira politica, parodie, gag, barzellette, tormentoni». Trasmissione divenuta un cult della televisione, ha lanciato alcuni dei comici italiani oggi tra i più celebri. Tra i personaggi mitici, il bocconiano rampante Sergio Vastano, il paninaro sfigato Enzo Braschi, il vigilante Vito Catozzo di Giorgio Faletti e la top model pentita Antonia Dell'Atte. Senza dimenticare i monologhi di Gianfranco D'Angelo e la satira pungente di Ezio Greggio, Enrico Beruschi e della moglie dell'onorevole Coccovace (Caterina Sylos Labini), le comiche di Benny Hill e le curve pop delle Ragazze (parlanti) Fast-Food. E ancora, le parodie dei film campioni d'incasso e dei telefilm (Bold Trek con la coppia Boldi-Teocoli). Ancora vivissimi i tormentoni lanciati dallo show: da "Troppo giusto!" ad "A me, me pare 'na strunzata", "È chiaro 'stu fatto", "Has Fidanken" e "Teomondo Scrofalo". Nella foto gli autori storici del Drive In: Antonio Ricci, Lorenzo Beccati, Max Greggio, Gennaro Ventimiglia, Michele Mozzati, Gino Vignali, Giorgio Gherarducci e Marco Santin.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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thebeautycove · 2 years ago
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MAISON CRIVELLII - NGREDIENTS 07/2012 - Collection Particulière - Extrait de Parfum - Creazione Esclusiva per Ingredients Boutique Praga - Novità 2022 - Welcome back nosy me… When a fragrance isn’t just a scent but an entire state of mind. Ohh this is a crazy bet over the most mysterious yet inspiring of games. Guess who won… . Eccole qui le buone vibrazioni olfattive che cercavo per allineare le narici al nuovo, predisporle all’entusiasmo con le promesse odorose che questo anno porterà. Reiniziare con questo profumo è come leggere il futuro attraverso gli arcani maggiori, interrogare l’oracolo o forse, ma boh, l’astrologo, scrutare quel destino che tutti vorremmo corrompere ma che, astuto e beffardo, ha spesso piani differenti dai nostri. Tutto é Mistero. Maison Crivelli e il suo fondatore Thibaud Crivelli in team con il Naso Gaël Montero (Givaudan) e la complicità narrativa di Jakub Kopčák e Lukáš Loskot di Ingredients, hanno dato vita a questa nuova creazione - Ingredients 07/2012 -, quale tributo al decimo anniversario dall’apertura dell’omonima rinomata beauty boutique di Praga. L’approccio è tanto sapiente quanto enigmatico, resta ignota la piramide olfattiva, volutamente secretata per liberare questo avvincente extrait da convenzioni descrittive e renderlo permeabile all’interpretazione personale, alle emozioni di chi lo indossa. Così alla provocazione non resisto, nel rebus affondo, scandaglio questo sillage alla ricerca dei suoi accordi, compongo il puzzle degli aromi reconditi lentamente, mi diletto, percepisco atmosfere dense e profonde, una sottile sfida sensuale nell’energico grip delle sue penetranti sfumature. Potente già nell’incipit, dosa e osa un accordo boisé verde cupo terribilmente seducente, si avvertono aleggiare, in una prospettiva lunga e brumosa, sentori boschivi vegetali watery arieggiati dai muschi e, subito dopo, nel drydown, compaiono raffinati i legni nobili, soavemente fumé, scontornati da volute di tabacco e resine. Splendido nel suo manifestarsi tenace, audacemente imperscrutabile, mi rammenta l’overdose di femminilità che Lauren Bacall inietta nello sguardo di Humphrey Bogart in Acque del Sud, film tratto dal romanzo di Hemingway, che vide scoccare la scintilla di una tra le più intriganti storie d’amore dell’epoca.
Creato da Gaël Montero in collaborazione con Thibaud Crivelli. Extrait de Parfum 50 ml. On line qui ©thebeautycove   @igbeautycove
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fishandships · 2 years ago
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Happy Anniversary to this ask, which introduced me to the love of my life ;w; we haven't set a date for the wedding yet but we'll keep you posted :P
in seriousness, there's a couple fictional characters i've encountered over the years that have genuinely helped me through some really really hard times, and thanks to this ask, Luchino (and several other characters in IDV of course!) has been one of them.
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Buon anniversario, amore mio. 💚🦎
sorry for messaging out of the blue but I feel like luchino diruse (evil reptilian) from identity v would be your type /pos
omg pls no need to apologize but i am SHOOK this guy checks SO MANY BOXES FOR ME im over here laughing (and also watching gameplay 👀👀👀) TYSM u will have a place of honor at the wedding UwU
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doblondoro · 3 years ago
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elenascrive · 2 years ago
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Sogno un Amore intenso e duraturo
come il Vostro,
seguendo Il Vostro Esempio
come modello d’insegnamento
Ma com’è difficile trovarlo?
Sarà perché non mi accontento,
sta di fatto che nonostante tutto
inseguo Il Mio cuore
fiduciosa che un giorno
da qualche parte mi condurrà
Nel frattempo m’inebrio del Vostro Legame
per non smettere di crederci
e di sognare
È bello essere stata spettatrice partecipe
della Vostra Unione,
lunga tutta la Mia Vita
Io Testimone d’Onore delle Vostre Nozze
ancora oggi,
dopo 41 anni di gioie, dolori
ed innumerevoli ricordi
Auguri di cuore
Aver continuato ad amarvi
come il primo giorno,
insieme a tutti gli altri che via via
si sono susseguiti in questi
4 importanti decenni
È questo il Vostro più importante Successo,
senza mai darvi per scontati
pur conoscendovi a memoria,
trovando sempre insieme
la straordinaria forza
per stupirvi, emozionarvi
senza sosta,
senza inganni!
Siete stati veramente grandi
Buon Anniversario di Topazio
Mamma e Papà
Io vi ringrazio
Con affetto,
Vostra Elenuccia
@elenascrive
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rideretremando · 2 years ago
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BENEDETTO CROCE SOTTO SPIRITO. UN RITRATTO PER ANNIVERSARIO (2015)
Esattamente un secolo fa, poche settimane prima che l’Italia entrasse nella Grande guerra, Benedetto Croce stese di getto il “Contributo alla critica di me stesso”, oggi disponibile nelle edizioni Adelphi con le note aggiunte a margine nei decenni successivi. Il “Contributo”, scritto alla soglia dei cinquant’anni, è il pezzo più autobiografico di un filosofo che, come Catullo “voleva essere totus nasus”, vorrebbe “essere giudicato tutto pensiero”. Si tratta, è vero, di una “autobiografia mentale”, o comunque di una ‘vita esemplare’; ma per sorprenderci, all’autore basta ritrarsi sdraiato su un sofà mentre rimugina sul suo sistema nascente.
Siamo davanti a un trionfo della prosa crociana: della sua musica rotonda, della sua patina antiquaria, ma soprattutto del suasivo movimento con cui il filosofo dimostra che le analisi più sottili sono traducibili in un motto di sano buon senso. Trionfa, qui, anche il più insistito leitmotiv etico di Croce: quello dell’“operosità” che sola medica le ferite della vita, come il piccolo Benedetto apprese in un collegio di preti borbonici. Ed è impossibile non sorridere, riconoscendo il puntiglio del futuro filosofo laico nel ragazzo che prima di confessarsi “distingue” i peccati e li scrive su un foglietto.
La formazione di Croce cambia segno dopo il terremoto di Casamicciola, che nel 1883 annienta la sua famiglia e lo seppellisce per ore sotto le macerie. Il superstite è accolto allora nella casa romana del politico Silvio Spaventa, cugino del padre e fratello del filosofo Bertrando. Il lutto, lo spaesamento, l’adolescenza: non stupisce che questa miscela abbia precipitato il giovane in una crisi d’ipocondria; e l’ostentato contegno olimpico dell’adulto deriva forse da questo periodo oscuro. “Quegli anni”, confessa l’autore del “Contributo”, furono “i soli nei quali assai volte la sera, posando la testa sul guanciale, abbia fortemente bramato di non svegliarmi al mattino”. Nella Roma del trasformismo, Benedetto si chiude in biblioteca. Ma a scuoterlo è Antonio Labriola, che con le lezioni sull’etica di Herbart gli offre un appiglio a cui aggrapparsi nel naufragio della fede. Croce ricorda di averne recitato più volte i capisaldi sotto le coperte, come una preghiera. È con questo bagaglio che nell’86 torna a Napoli per rifugiarsi negli studi storici; e solo il bisogno di chiarirne il metodo lo convince nel ’93 a stendere la prima memoria filosofica. Poco dopo, ad allargarne gli orizzonti interviene ancora Labriola, che lo contagia con la nuova passione marxista. Croce, però, l’affronta col suo stile di formidabile ruminante. S’immerge in un corso sistematico di economia, e quando è ormai più ferrato del maestro, espelle dalla materia appena digerita una componente essenziale, quella della militanza, per trasformarla in puro fertilizzante delle sue ricerche. Nel 1900, il socialismo che agita l’Europa gli appare nient’altro che una parte di sé già superata. Mentre lo stesso senso del dovere che lo porterà al governo con Giolitti e alla presidenza del Partito Liberale gli impone di soccorrere le istituzioni napoletane, il commissario scolastico Croce si prepara a entrare nelle scuole con ben altra efficacia attraverso l’“Estetica”, la sua opera più famosa e volgarizzata. Subito dopo la sua pubblicazione fonda con Gentile la rivista “La Critica”, braccio secolare dell’idealismo italiano, e vi applica la propria teoria dell’arte diffondendo un gusto tutto spostato sull’Ottocento. Qui Croce sente di aver raggiunto un maturo “accordo con me medesimo e con la realtà”. Inizia così un percorso che per tre lustri somiglia a una inarrestabile marcia di conquista: il patto con Laterza, il completamento del sistema, i saggi su Hegel e Vico, la polemica vittoriosa contro l’epistemologia…
Il “Contributo” segna il culmine di questa marcia, rallentata poi da guerra e fascisti. Lo spettacolo che offre è invidiabile; eppure il lettore non può non sentir salire da queste pagine compatte un involontario umorismo. Perché l’autore, malgrado le dichiarazioni di sobrietà e le ombre che già gli offuscano il panorama, sprizza soddisfazione da tutti i pori. L’insolita nudità del testo evidenzia il rapporto tra le sue compiaciute pose giovesche e la rimozione del lato notturno dell’esistenza. La soluzione genialmente semplificatrice di molte questioni sfiora la tautologia, e ogni domanda fastidiosa è liquidata come un problema mal posto (se “il pensiero vero è semplicemente il pensiero”, il pensiero falso è solo “il non-pensiero (…) il non-essere”). Anziché diventare leopardiano, il ragazzo che ha sperimentato sulla sua pelle la crudeltà della Natura cicatrizza le ferite convincendosi che la Storia consiste nel dispiegarsi di una verità ascendente “a claritate in claritatem”, ed esibendo il sublime filisteismo goethiano che sarà di Lukács e Thomas Mann.
È questo superiore equilibrio a indisporre i letterati giovani, quelli che in forme più esili hanno reagito come lui al positivismo: il romantico refoulé Cecchi, lo scettico Serra, e il teppista Papini, secondo cui il nuovo maestro d’Italia sogna una nazione “composta di tanti bravi figlioli (…) lettori assidui del Giannettino”. Dal clima ‘decadente’ e agitatorio nel quale si muovono questi giovani, il filosofo tiene presto a smarcarsi. Prende le distanze da D’Annunzio, ma anche dall’hegelismo. Eppure questi distinguo non cancellano alcune affinità cruciali. Cecchi nota che sia l’idealista sia l’imaginifico pongono l’arte sull’infimo gradino della scala intellettuale, tacendo sulle angosce che derivano all’uomo da un’esistenza sempre incompiuta e da una natura irriducibilmente estranea. Quanto a Hegel, è vero che Croce ne rigetta la mitologia; ma proprio negli anni Dieci fa a sua volta della necessità storica un mostro autorizzato a nutrirsi di corpi umani. In realtà, il culto hegeliano del fatto compiuto e l’arte pura costituiscono gli esiti logici della cultura da cui Croce proviene, perciò quando il filosofo li rifiuta appare incoerente con le sue premesse. L’estetica crociana si accorda col detestato Pascoli, non con l’amato Carducci. E sulla Storia, l’autore del “Contributo” ricorda di avere appreso dal suo Marx, sciacquato nell’Arno machiavellico, che ha tutto il diritto di “schiacciare gl'individui”. Ma solo nel ventennio diventa evidente, oltre allo iato tra ‘teoria’ e ‘pratica’, anche la marcia indietro ideale: all’assoluto lirico si affianca allora la funzione civile della letteratura, mentre lo Stato Leviatano sfuma nell’etica liberale.
A questo proposito, nelle note più tarde, Croce ammette di avere sottovalutato il valore della libertà, e di essere stato poco accorto davanti al fascismo in ascesa. Nel ‘15, però, prevale ancora la tendenza a far coincidere intuizione ed espressione, volontà e azione. Come altri pensatori contemporanei, Croce cerca così di superare i dualismi ottocenteschi tra spirito e materia, vita e scienza. Di Hegel lo attrae appunto il suo organicismo, anche se gli ripugna la sua brutale omogeneizzazione dei fenomeni. Nel proprio sistema introduce la dialettica degli opposti, ma si preoccupa che non distrugga i distinti. Vuole tenere insieme il circolo dello Spirito e lo sviluppo dialettico della Storia: Vico e Kant da una parte, Hegel dall’altra. Tuttavia, nell’idealista del primo Novecento vince la giustificazione dell’esistente. La Storia procede di bene in meglio, l’irrazionale è appena l’ombra del razionale. Di questa rimozione ha dato un’ottima parodia Paolo Vita-Finzi in un apocrifo crociano dove il pontefice di Palazzo Filomarino, con consequenzialità macabra e gioconda, spiega che il male include “germi di bene” come un cannibale “può includere un missionario”.
A un passo dalla Grande guerra, insomma, il filosofo ritiene ancora che il pensiero possa governare dall’alto la realtà. Appena licenziato il “Contributo”, fa il suo dovere di suddito in un conflitto a cui non crede, ma evita il nazionalismo culturale: all’adesione pratica corrisponde un orgoglioso rifiuto teoretico. È l’abito della distinzione col quale si opporrà sempre alle ideologie che tendono a travolgere tutti gli argini. Ma inutilmente: perché la vocazione del Novecento è appunto quella di cancellare ogni limite, bellico e sofistico. E alla fine Croce ne prenderà atto, trasformando la categoria dell’“utile” nella vitalità “selvatica” che buca le forme dello spirito. Sfiorerà così l’esistenzialismo, ma non farà il passo che l’avrebbe costretto a lasciare le sponde civili del suo Ottocento: sensibilissimo alla cronaca, resterà tuttavia convinto di poter incarnare una figura di filosofo ancora classicista.
Questa figura non va però confusa con la maschera del pensatore pompier che ci ha proposto tanto Novecento, e a cui manca completamente il gusto della concretezza che riassume la lezione più feconda dello “storicismo assoluto”. “La perfezione di un filosofare sta (…) nel pensare la filosofia dei fatti particolari, narrando la storia”, dice Croce nel “Contributo”: perciò “l'astrazione è morte”. In questo senso, molta fenomenologia si è rivelata assai più astratta dell’idealismo che intendeva superare, perché mancava di intuito ermeneutico di fronte alla vita, ed era dunque destinata a smarrirsi nel farraginoso gergo pragmatistico che predica l’andata “alle cose stesse” ma non la pratica mai. Lo stesso vale per le suggestioni insieme esoteriche e terragne criticate da Croce prima in Gentile e poi in quell’Heidegger che secondo lui disonorava la loro disciplina. Queste filosofie, finte mistiche intimidatorie e velleitarie, confermano la convinzione crociana secondo cui il purus philosophus è un purus asinus. Croce considerava una delle sue maggiori vittorie la ridicolizzazione del Filosofo tutto occupato dall'Essere: e infatti niente testimonia meglio la sua successiva sconfitta della restaurazione di questo mito, in varianti sacerdotali o pedantesche.
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deathshallbenomore · 2 years ago
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non mi ricordo mai se l’orale della maturità l’abbia fatto il 2 o il 3 luglio ma ad ogni modo @ me stessa buon settimo anniversario del giorno in cui da colazione alle 14 non bevesti una goccia d’acqua arrivando a tanto così dal collasso durante l’analisi della poesia di montale sull’anguilla. non sei mai stata particolarmente brava a vivere ma ci hai sempre creduto un sacco, continua così <3
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d4rling · 3 years ago
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𝟐𝟔/𝟎𝟑/𝟐𝟎𝟏𝟖 ↦ 𝟐𝟔/𝟎𝟑/𝟐𝟎𝟐𝟐⛓️❤️
Buon anniversario amore mio, +4 anni insieme io e te.. 🎉🌹✨
Sai già tutto ma voglio comunque dirti che sei l'unico amore della mia vita. Non lasciarmi mai, ti amo con tutta me stessa. Unico mio amore❤️. Tantissimi auguri a noi, grazie davvero di esistere e di rendermi felice.
Felice anniversario, +4 anni😍⛓️🎉❤️💙💞🌼❣️ 𝑌𝑜𝑢 𝑐𝑜𝑚𝑝𝑙𝑒𝑡𝑒 𝑚𝑒 @d4rk666
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marquise-justine-de-sade · 3 years ago
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Nell’aria bruciata d’agosto, si è alzata una nuvola di polvere sottile, ha invaso il piazzale, sul quale mi sono affacciato tante volte. Bastava la voce dell’altoparlante, con quegli inconfondibili accenti, per farmi sentire che ero arrivato a casa.
Adesso la telecamera scopre l’orologio, con le lancette ferme sui numeri romani: le dieci e venticinque. Un attimo, e molti destini si sono compiuti. Ascolto le frasi che sembrano monotone, ma sono sgomente, di Filippini, il cronista della TV, costretto a raccontare qualcosa che si vede, a spiegare ragioni, motivi che non si sanno: lo conosco da tanti anni, e immagino la sua pena. Dice: «Tra le vittime, c’è il corpo di una bambina».
Mi vengono in mente le pagine di una lettura giovanile, un romanzo di Thornton Wilder, «Il ponte di San Louis Rey», c’era una diligenza che passava su un viadotto, e qualcosa cedeva, precipitavano tutti nel fiume, e Wilder immaginava le loro storie, chi erano, che cosa furono.
Quell’atrio, quelle pensiline, il sottopassaggio, il caffè, le sale d’aspetto che odorano di segatura, e nei mesi invernali di bucce d’arancio, mi sono consuete da sempre: con la cassiera gentile, il ferroviere che ha la striscia azzurra sulla manica, che assegna i posti, e mentre attendiamo mi racconta le sue faccende, quelle del suocero tedesco che vuol bere e di sua moglie che dice di no, e la giornalaia, che scherza: «Ma come fa a leggere tutta questa roba?», e vorrei sapere qualcosa, che ne è stato di loro, e li penso, ma non so pregare.
Si mescolano i ricordi: le partenze dell’infanzia per le colonie marine dell’Adriatico, i primi distacchi, e c’erano ancora le locomotive che sbuffavano, i viaggi verso Porretta per andare dai nonni, e le gallerie si riempivano di faville, e bisognava chiudere i finestrini, e una mattina, incolonnato, mi avviai da qui al battaglione universitario, perché c’era la guerra.
Ritornano, con le mie, le vicende della stazione: quando, praticante al «Carlino», passavo di notte al Commissariato per sapere che cos’era capitato, perché è come stare al Grand Hotel, ma molto, molto più vasto, gente che va, gente che viene, e qualcuno su quei marciapiedi ha vissuto la sua più forte avventura: incontri con l’amore, incontri con la morte.
Passavano i treni oscurati che portavano i prigionieri dall’Africa, che gambe magre avevano gli inglesi, scendevano le tradotte di Hitler che andavano a prendere posizione nelle coste del Sud, e conobbi una Fraulein bionda in divisa da infermiera alla fontanella, riempiva borracce, ci mettemmo a parlare, chissà più come si chiamava, com’è andata a finire. Venne l’8 settembre, e davanti all’ingresso, dove in queste ore parcheggiano le autoambulanze, si piazzò un carro armato di Wehrmacht; catturavano i nostri soldati, e li portavano verso lo stadio, che allora si chiamava Littoriale. Un bersagliere cercò di scappare, ma una raffica lo fulminò; c’era una bimbetta che aveva in mano la bottiglia del latte, le scivolò via, e sull’asfalto rimase, con quell’uomo dalle braccia spalancate, una chiazza biancastra. Cominciarono le incursioni dei «liberators», e volevano sganciare su quei binari lucidi che univano ancora in qualche modo l’Italia, ma colpirono gli alberghi di fronte, qualche scambio, i palazzi attorno, le bombe caddero dappertutto, e vidi una signora con gli occhialetti d’oro, immobile, composta, seduta su un taxi, teneva accanto una bambola, pareva che dormisse, e l’autista aveva la testa abbandonata sul volante.
«Stazione di Bologna», dice una voce che sa di Lambrusco e di nebbia, di calure e di stoppie, di passione per la libertà e per la vita, quando un convoglio frena, quando un locomotore si avvia. Per i viaggiatori è un riferimento, per me un’emozione. Ecco perché mi pesa scrivere queste righe, non è vero che il mestiere ti libera dalla tristezza e dalla collera, in quella facciata devastata dallo scoppio io ritrovo tanti capitoli dell’esistenza dei mici.
«Stazione di Bologna»: quante trame sono cominciate e si sono chiuse sotto queste arcate di ferro. Quanti sono stati uccisi dallo scoppio, o travolti dalle macerie: cinquanta, sessanta, chissà? Credere al destino, una caldaia che esplode, un controllo che non funziona, una macchina che impazzisce, qualcuno che ha sbagliato, Dio che si vendica della nostra miseria, e anche l’innocente paga? Anche quei ragazzi nati in Germania che erano passati di qui per una vacanza felice, ed attesa, il premio ai buoni studi o al lavoro, una promessa mantenuta, un sogno poetico realizzato: «Kennst Du das Land, wo die Zitronen bluhen?», lo conosci questo bellissimo e tremendo Paese dove fioriscono i limoni e gli aranci, i rapimenti e gli attentati, la cortesia e il delitto, dovevano pagare anche loro? Forse era meglio vagheggiarlo nella fantasia. Ci sono genitori che cercano i figli; dov’erano diretti? Perché si sono fermati qui? Da quanto tempo favoleggiavano questa trasferta? E le signorine del telefono, già, che cosa è successo alle ragazze dal grembiule nero che stavano dietro il banco dell’interurbana: chi era in servizio? Qualcuna aveva saltato il turno? Che cosa gioca il caso?
Poi, l’altra ipotesi, quella dello sconosciuto che deposita la scatola di latta, che lascia tra le valigie o abbandonata in un angolo, magari per celebrare un anniversario che ha un nome tetro, «Italicus», perché vuol dire strage e un tempo «Italicus» significava il duomo di Bolsena, le sirene dei mari siciliani, i pini di Roma, il sorriso delle donne, l’ospitalità, il gusto di vivere di un popolo. Non mi pare possibile, perché sarebbe scattato l’inizio di un incubo, la fine di un’illusione, perché fin lì, pensavamo, non sarebbero mai arrivati.
«Stazione di Bologna», come un appuntamento con la distruzione, non come una tappa per una vacanza felice, per un incontro atteso, per una ragione quotidiana: gli affari, i commerci, le visite, lo svago. Come si fa ad ammazzare quelle turiste straniere, grosse e lentigginose, che vedono in ognuno di noi un discendente di Romeo, un cugino di Caruso, un eroe del melodramma e della leggenda, che si inebriano di cattivi moscati e di sole, di brutte canzoni? Come si fa ad ammazzare quei compaesani piccoli e neri, che emigrano per il pane e si fermano per comperare un piatto di lasagne, che consumano seduti sulle borse di plastica? Come si fa ad ammazzare quei bambini in sandali e in canottiera che aspettano impazienti, nella calura devastante, la coca cola e il panino e non sanno che nel sotterraneo, non lo sa nessuno, c’è un orologio che scandisce in quei minuti la loro sorte?
Vorrei vedere che cosa contengono quei portafogli abbandonati su un tavolo all’istituto di medicina legale: non tanto i soldi, di sicuro, patenti, anche dei santini, una lettera ripiegata e consumata, delle fotografie di facce qualunque, di quelle che si vedono esposte nelle vetrine degli «studi» di provincia: facce anonime, facce umane, facce da tutti i giorni. Dicono i versi di un vero poeta, che è nato da queste parti e si chiama Tonino Guerra: «A me la morte / mi fa morire di paura / perché morendo si lasciano troppe cose che poi non si vedranno mai più: / gli amici, quelli della famiglia, i fiori / dei viali che hanno quell’odore / e tutta la gente che ho incontrato / anche una volta sola». Sono facce che testimoniano questa angoscia, ma nessuno ha potuto salvarle.
«Stazione di Bologna». D’ora in poi non ascolteremo più l’annuncio con i sentimenti di una volta; evocava qualcosa di allegro e di epicureo, tetti rossi e mura antiche, civiltà dei libri, senso di giustizia, ironia, rispetto degli altri, massi, anche la tavola e il letto, il culto del Cielo e il culto per le buone cose della Terra.
Ora, ha sapore di agguato e di tritolo. Perché il mondo è cambiato e in peggio: i figli degli anarchici emiliani li battezzavano Fiero e Ordigno, quelli dei repubblicani Ellero e Mentana, quelli dei socialisti Oriente e Vindice, quelli dei fascisti Ardito e Dalmazia, una gli insegnavano a discutere a mensa imbandita. Si picchiavano anche, si sparavano, talvolta, ma il loro ideale era pulito e non contemplava l’agguato: Caino ed Erode non figuravano tra i loro maestri.
«Stazione di Bologna»: si può anche partire, per un viaggio senza ritorno.
“Enzo Biagi scrisse il 2 agosto 1980 sulla strage alla stazione di Bologna sul Corriere della Sera.”
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