#bellezza dell’animo umano
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pier-carlo-universe · 3 months ago
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“Le cose non sono come ci appaiono” di Agostino Degas: Un Invito a Guardare Oltre le Apparenze. Recensione di Pier Carlo Lava
Agostino Degas esplora l’importanza di andare oltre il visibile per scoprire la verità nascosta nelle persone e nelle situazioni
Agostino Degas esplora l’importanza di andare oltre il visibile per scoprire la verità nascosta nelle persone e nelle situazioni In “Le cose non sono come ci appaiono”, Agostino Degas ci offre una riflessione profonda su come spesso le apparenze possano ingannare, e su come sia necessario imparare a leggere oltre ciò che vediamo. Con parole poetiche e intense, Degas ci invita a interpretare il…
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tempi-dispari · 2 months ago
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Blynch: un abbraccio sonoro tra fragilità e memorie
Bravo Blynch. In questo suo ultimo lavoro è riuscito a condensare buona parte della nuova generazione di cantautori nostrani. Li ha amalgamati in uno stile personale e riconoscibile con testi in italiano non banali ma allo stesso tempo fruibili.
“Bordibianchi”, l’ultimo lavoro di Blynch, è molto più di un album; è un rifugio emotivo dove si fondono nostalgia, semplicità e introspezione. Definito dallo stesso cantautore come una raccolta di “storie del tempo fermo”, il disco esplora i ricordi dell’adolescenza e il loro riverbero nel presente, offrendo una narrazione che si muove tra passato e futuro. Questo progetto si pone come un gesto di riconciliazione con il sé di ieri, abbracciando le complessità e le vulnerabilità che lo hanno caratterizzato.
La musica di Blynch racchiude quella delicatezza che porta l’ascoltatore a riflettere, ma allo stesso tempo lo avvolge in un’atmosfera intima e accogliente. L’influenza di artisti come i primi Coldplay, Elliott Smith e Nick Drake è evidente nelle sonorità eteree, costruite su trame acustiche che sembrano quasi fluttuare. C’è una grazia rarefatta nel modo in cui le melodie accompagnano testi che approfondiscono l’incomprensibilità dell’animo umano, trasformando la fragilità in una forza universale. Ogni traccia si fa portavoce di un messaggio capace di parlare non solo dell’artista, ma anche dell’ascoltatore, con una sensibilità disarmante.
L’album è un viaggio nel quale l’artista invita l’ascoltatore a confrontarsi con le proprie paure, i propri ricordi irrisolti e quel senso di spaesamento che spesso ci accompagna nella transizione tra le fasi della vita. Esplorare se stessi attraverso la musica, come suggerisce Blynch, diventa un modo per rielaborare ciò che è stato e guardare con occhi nuovi ciò che può ancora venire. Le tematiche trattate abbracciano l’amore, la perdita, l’accettazione e la rinascita, toccando corde profonde senza mai risultare artificiose o forzate. C’è un equilibrio sottile tra la malinconia di ciò che si è perso e il dolce conforto della memoria. Le canzoni di “Bordibianchi” non si limitano a descrivere uno stato d’animo, ma offrono attivamente una via d’uscita o, almeno, un nuovo modo di vedere le cose. Anche i momenti più cupi vengono trattati con una leggerezza pensata per alleggerire, non minimizzare, il peso che portano.
Con “Bordibianchi”, Blynch crea un universo sonoro in cui la fragilità umana trova la propria bellezza, dimostrando che anche dai momenti più complessi possono nascere opere capaci di generare empatia e trasformazione. È un album che ascolti con il cuore e con l’anima prima ancora che con le orecchie, lasciandoti cambiato.
Ascolta l’album
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agrpress-blog · 1 year ago
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Debutterà martedì 13 febbraio 2024 alle ore 20.45 al Teatro Brancaccio - via Merulana, 244 - La Divina Commedia Opera Musical testi di Gianmario Pagano e Andrea Ortis, regia di A. Ortis, musiche di Marco Frisina, voce narrante Giancarlo Giannini. «Un mondo che nasce da un libro, un libro che è scritto... parte da qui questa grande avventura, proprio da... un libro, o IL libro o i libri o come si voglia, la più grande opera d’ingegno letterario di tutti i tempi. Ed è dalla sua lettura che si scopre come tutto sia possibile, e lo è, sempre, quando, leggi... la lettura apre un mondo libero, uno spazio non spazio in un luogo non luogo, dove, al lettore, tutto è concesso... immaginare, costruire, smontare, fermarsi e colorare... quello della lettura è un non tempo, una sospensione creativa fertile, alla quale ognuno, può, se vuole... partecipare. E non v’è timore, in uno spazio libero, di immaginare il proprio Dante, che scrive e cancella, pensa e si attarda, sbaglia, si blocca e... riparte come un fiume in piena... non v’è paura nel riferire i suoi pensieri, le speranze raccolte, le disillusioni feroci... diventando, anche, lui, in lessico teatrale... slancio in avanti evoluto, contemporaneo, pioniere. La condizione di quest’uomo e del suo genio è la condizione stessa del suo limite, della sua profonda umanità; e in teatro, il teatro lo rende “presente”, solo tempo possibile a teatro, unica scelta ammessa, per questo vero, tangibile, credibile, all’interno di una storia che nel suo sviluppo, inizia (Inferno), si evolve (Purgatorio) e si compie (Paradiso) consegnando a tutti una Divina Commedia intatta e completa. Questa verità teatrale, costruita su scenografie versatili, coreografie acrobatiche, costumi suggestivi, proiezioni in 3D di ultima generazione, condotta su musiche orchestrali emozionanti, è pelle, carne e sangue di un uomo modernissimo, attuale, vivente. Questa verità teatrale riduce le distanze, porta con sé il genio fiorentino attorno e addosso a chi, oggi, con occhi giovani si affaccia curioso e affamato... a vivere la propria, personale, libera... “commedia”» (Andrea Ortis) Prodotto da MIC International Company, l’acclamato kolossal, che nelle passate stagioni ha incantato i principali teatri italiani con ripetuti sold out, si rianima di nuova potenza e straordinaria bellezza. Il più grande racconto dell’animo umano, della sua miseria e della sua potenza, fra vizi, peccati e virtù che non conoscono l’usura del tempo, riprende la forma dello spettacolo di voci, danze e tecnologia in un allestimento così straordinario da far guadagnare a La Divina Commedia Opera Musical la Medaglia d’oro dalla Società Dante Alighieri, il titolo per ben due volte di Miglior Musical al Premio Persefone edizione 2019 e edizione 2020, e la partecipazione istituzionale nel 2021 con il riconoscimento del Senato della Repubblica, il patrocinio del Ministero della Cultura nel 2021, oltre al sempre costante patrocinio morale della Società Dante Alighieri. Successo, riconoscimenti e presenze di grandissima valenza.  Inferno, Purgatorio e Paradiso: proiezioni immersive in 3D inondano il pubblico e lo immergono nell’immensità sublime che solo il padre della lingua italiana ha saputo creare nelle tre cantiche. E in questo viaggio teatrale, dove la tecnologia è elemento essenziale della narrazione, tutti gli spettatori, anche i più giovani, possono ammirare, comprendendola appieno, la grandezza del Sommo Poeta. L’edizione 2024 si arricchisce di numerose novità a completamento di testi innovativi e quadri scenici realizzati e pensati dal regista e dal team creativo per rendere l’opera musical un moderno kolossal teatrale: nuovi effetti tecnologici di luci e proiezioni, ancor più evoluti e sorprendenti, che dipingono la scena con quadri in 3D in continuo mutamento; nuovo cast; nuova voce narrante. Dante nell’immortalità della sua opera che continua a essere la più potente descrizione dell’animo umano, per peccati, debolezze, paure e ossessioni.
Dante e il suo viaggio senza tempo che va avanti da più di sette secoli, la Divina Commedia. In essa il Poeta si ritrova ad affrontare e superare una prova che mai nessuno aveva concepito prima, l’attraversamento da uomo dei tre regni ultraterreni: l’Inferno, il Purgatorio e il Paradiso. Nel primo, naviga tra le rovine spaventose della dannazione eterna: è una discesa agli inferi senza ritorno. Nel Purgatorio, il percorso è inverso: c’è la possibilità dell’espiazione con il passaggio definitivo al Paradiso, dove una donna, la sua Beatrice, è il volto della luce e l’ancora al cui pensiero lui si aggrappa nei momenti di maggiore sconforto. La Divina Commedia Opera Musical sviluppa il cammino allegorico e segue Dante nella ricerca tormentata di se stesso in un’epoca che per confusione morale e politica lui non vuole accettare. Lo spettacolo utilizza diversi linguaggi espressivi nel segno tracciato dal padre della lingua italiana. Il Dante viaggiatore in scena diventa la proiezione fisica della sua voce e rappresenta la maturità dell’irrequieto e sofferente poeta che, a metà della sua vita, ha trovato nella scrittura la salvezza. Ricorda così, con tenerezza, lo smarrimento e la paura provati di fronte a una selva oscura e a tre fiere: è l’incipit del capolavoro che sul palcoscenico viene “sfogliato” come un libro animato. Dante, scortato e rincuorato dalla guida di Virgilio, suo maestro e suo autore, passa, girone dopo girone, nell’Inferno, dai tormenti della Città di Dite ai sospiri dell’amore infedele, ma eterno, di Francesca; dai mari tempestosi e mortali di Ulisse alle foreste pietrificate di Pier delle Vigne fino ai laghi ghiacciati dove sconta la sua condanna nelle tenebre più fitte il conte Ugolino. Usciti «a riveder le stelle», oltre Lucifero, Virgilio conduce Dante in Purgatorio. È il teatro della seconda cantica, luogo costruito dalla fantasia dantesca con una logica perfettamente antitetica all’Inferno: coperto di boschi, è un monte che sale e via via si stringe. Ne è custode Catone, che Dante elegge a simbolo di libertà. In Purgatorio incontra la cortesia di Pia de’ Tolomei e poi, sulla punta più alta del colle, il sorriso felice di Matelda. Sarà quest’ultima, non potendo Virgilio andare avanti, ad accompagnare il poeta fiorentino verso l’incontro finale con Beatrice, in Paradiso dove regna «l’Amor che move il sole e l’altre stelle». La visionaria regia di Andrea Ortis dà allo spettacolo un potere avvolgente, di crescente tensione. Le musiche di Marco Frisina si fondono ai testi di Gianmario Pagano e Andrea Ortis. Le scene mobili costruite sui disegni di Lara Carissimi portano il pubblico in un’atmosfera magica rafforzata da proiezioni in 3D di ultima generazione. Splendide le coreografie acrobatiche di Massimiliano Volpini nella preziosa cornice delle luci di Valerio Tiberi e delle proiezioni di Virginio Levrio. All’inizio dello spettacolo, Dante si ritrova solo nella selva, assalito da dubbi e incertezze. Maria anima il mondo. La relazione tra la donna e l’uomo dà un senso alle perplessità intime e che dà inizio al viaggio del poeta. Il suo cammino però viene interrotto bruscamente dall’incontro con le fiere. È Virgilio, consegnato alla scena da un’apparizione carica di mistero a prendere per mano Dante, conducendolo, con fermezza e protezione paterne, all’interno del Purgatorio. Insieme vengono traghettati dall’eccentrico Caronte, uomo grottesco e visibilmente folle che schernisce malamente le anime che traghetta verso le sponde opposte dell’Acheronte. La sua enorme barca in scena color petrolio è mortifera, immersa in una palude dai riflessi color petrolio. È Caronte che apre le porte a una sequela di straordinari incontri. Dante conoscerà Francesca da Rimini, incarnazione formidabile della passione amorosa che nel peccato di lussuria trova la propria dannazione, costretta a vivere nella tempesta infernale e irrimediabilmente abbracciata all’amato Paolo. Alla compassione per chi morì d’amore, segue il terrificante passaggio
attraverso la città di Dite, in cui l’aggressione di demoni infernali, volanti, o striscianti, minaccia l’avanzata di Dante. Sempre al fianco del suo amato Maestro Virgilio, il poeta fiorentino approda nella mortifera foresta dei suicidi, che allo spettatore appare pietrificata, lugubre. Qui avviene l’incontro con Pier delle Vigne, altro personaggio storico, accusato in vita di tradimento: suicidatosi a causa di un onore irrimediabilmente compromesso, si presenta a Dante come tronco, impressionante immagine di sterilità e negazione della vita. Solo Dante riuscirà ad animarlo, anche se per poco, dandogli la possibilità di raccontare col canto la propria pena. Dante, profondamente scosso dalla crudeltà dei destini con cui entra in contatto, acquisisce una nuova consapevolezza. Poco dopo incontrerà sul proprio cammino Ulisse. Il loro incontro sarà reso in scena da contenuti visual animati in 3D. È il ghiaccio a chiudere il cerchio del passaggio infernale: con Ugolino, Dante raccoglie la disarmante testimonianza di un padre che divora i propri figli e ne rimane scosso e raggelato, tanto quanto la landa desolata all’interno della quale si consuma l’incontro con l’ultimo dannato. Dopo le immagini a tratti opprimenti, dalle forti tinte emotive del primo atto, Dante si ritrova immerso in uno scenario più rarefatto. Sulla spiaggia del Purgatorio incontra Catone, che con il proprio racconto canta la forza morale di chi non cedette al compromesso e si batté in modo integerrimo, in difesa della propria libertà di pensiero contro Cesare. Tra sfumature cangianti e paesaggi carichi di magia, Dante si imbatte in una processione di anime in preghiera, tra cui vi è Pia de’ Tolomei, vittima di femminicidio ad opera del marito. Dopo un malinconico canto notturno che incornicia Dante e Virgilio nell’unico momento di sosta lungo il viaggio, l’Angelo della Penitenza permette il passaggio attraverso la Porta del Purgatorio. Così Dante e Virgilio incontrano gli amici poeti Guido Guinizzelli e Arnaut Daniel. A illuminare come un faro nella notte il percorso, le brevi e topiche apparizioni di Beatrice rinfrancano la fiducia di Dante, che adesso più che mai percepisce prossimo l’avvicinamento, come spinto da una felicità ancora incosciente. Sarà proprio Beatrice a distrarlo dal momento solo il viaggio. Da solo Dante approda dunque nel paradiso terrestre, in cui la stravagante e leggiadra figura di Matelda lo conduce al fatidico incontro con l’amata. Una solenne processione introduce e sancisce il momento emozionante in cui Beatrice diventa luce che rischiara e guarisce dalle tenebre, simbolo di quell’Amor che move il sole e l’altre stelle, unica possibile chiave di accesso alla felicità: solo nell’incontro con la donna e con l’amore, Dante - o meglio - l’uomo, ritrova se stesso, scioglie i nodi della selva, e trova Dio. Medaglia d’oro Società Dante Alighieri. Premio Persefone Miglior Musical 2019 e 2020. Il valore di questo testo è nella sua modernità, nel patrimonio di identità culturale che porta con sé, nella sua “italianità”. È un caposaldo della nostra cultura italiana, come un quadro di Caravaggio, come la Pietà di Michelangelo, così la Divina Commedia parla di noi, della nostra cultura, intrisa di arte e genio. Tutto nella Comoedia si riferisce alla nostra epoca, che può e vuole trovare nella sua storia una nuova linfa. Otto cantanti-Attori, dodici ballerini-acrobati, cinquanta componenti in troupe, settanta scenari con effetti 3D, duecento costumi di scena. La Divina Commedia Opera Musical, di Gianmario Pagano e Andrea Ortis -regia: Andrea Ortis; assistente alla regia: Emma De Nola; interpreti e personaggi: Antonello Angiolillo (Dante), Andrea Ortis (Virgilio), Myriam Somma (Beatrice), Leonardo Di Minno (Ulisse/Catone/Guido Guinizzelli), Valentina Gullace (Francesca/Matelda), gipeto (Caronte/Ugolino/Cesare/San Bernardo), Antonio Sorrentino (Pier delle Vigne), Sofia Caselli (Pia de’ Tolomei/La Donna); corpo di ballo: Mariacaterina Mambretti,
Danilo Calabrese, Fabio Cilento, Alice Pagani, Serena Marchese, Arianna Lenti, Raffaele Rizzo Michela Tiero, Alessandro Trazzera; capo balletto: M. Mambretti; musiche: Marco Frisina; voce narrante: Giancarlo Giannini; scenografia: Lara Carissimi; coreografie: Massimiliano Volpini; luci: Valerio Tiberi; video: Virginio Levrio; suono: Francesco Iannotta; produzione: MIC International Company; patrocinio morale: Società Dante Alighieri; radio ufficiale: RDS; treno ufficiale: Frecciarossa -, già andato in scena a Senigallia (AN) - Teatro Fenice dal 25 al 27 gennaio scorsi -  e a Milano (Teatro Arcimboldi, dal 30 gennaio al 4 febbraio scorsi) rimarrà al Teatro Brancaccio fino a domenica 25 febbraio 2024 (orario: dal martedì al venerdì, ore 20.45; sabato 17 e sabato 24, doppio spettacolo alle ore 16.00 e 20.45; domenica 18 e domenica 25, ore 17.00). Dopodiché, proseguirà la sua tournée a Torino (Teatro Alfieri, da giovedì 29 febbraio a domenica 3 marzo) e a Catanzaro (Teatro Politeama da giovedì 7 a sabato 9 marzo).
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fashionluxuryinfo · 1 year ago
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La Trent Film è lieta di presentare APPUNTAMENTO A LAND’S END (THE LAST BUS) Un film di Gillies MacKinnon Con il grande attore britannico Timothy Spall DAL 25 GENNAIO AL CINEMA
“Appuntamento a Land’s End” di Gillies MacKinnon, che arriverà nelle sale italiane dal 25 gennaio distribuito da Trent Film.
Protagonista il grande attore britannico Timothy Spall (saga di “Harry Potter”, “Il discorso del Re”, “Turner”), qui in un intenso road movie che racconta un viaggio nella memoria: una storia commovente sull’amore eterno, sulla perdita e sulla bontà dell’animo umano.
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silviascorcella · 1 year ago
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Cettina Bucca a/i 20-21,“Fiabe”: narrate dagli abiti, narratrici di emozioni
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"Io credo questo: le fiabe sono vere.
Ora il viaggio tra le fiabe è finito, il libro è fatto, scrivo questa prefazione e ne son fuori: riuscirò a rimettere i piedi sulla terra? Per due anni ho vissuto in mezzo ai boschi e palazzi incantati […] E per questi due anni a poco a poco il mondo intorno a me veniva atteggiandosi a quel clima, a quella logica, ogni fatto si prestava a essere interpretato e risolto in termini di metamorfosi e incantesimo […] Ogni poco mi pareva che dalla scatola magica che avevo aperto, la perduta logica che governa il mondo delle fiabe si fosse scatenata, ritornando a dominare sulla terra. Ora che il libro è finito, posso dire che questa non è stata un'allucinazione, una sorta di malattia professionale. È stata piuttosto una conferma di qualcosa che già sapevo in partenza, quel qualcosa cui prima accennavo, quell'unica convinzione mia che mi spingeva al viaggio tra le fiabe; ed è che io credo questo: le fiabe sono vere. Le fiabe sono nella loro sempre ripetuta e sempre varia casistica di vicende umane, una spiegazione generale della vita, nata in tempi remoti e serbata nel lento ruminio delle coscienze contadine fino a noi; sono il catalogo dei destini che possono darsi a un uomo e a una donna, soprattutto per la parte della vita che appunto è il farsi di un destino”.
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Così testimoniava la scrittura gentile di Italo Calvino ad introduzione di quella sua sorprendente avventura letteraria che compì con “Fiabe Italiane”, la raccolta pubblicata nel 1956: e questa lunga introduzione non è affatto una mera citazione intellettuale. Bensì una benevola dimostrazione felice di come quella certezza meravigliata che di Calvino sigillava il termine del viaggio interiore, oggi sia il punto d’avvio meraviglioso di un viaggio esteriore che prosegue in modo simile ma squisitamente personale, e per questo speciale, nelle creazioni che Cettina Bucca ha raccolto per l’a/i 2020-21: e ha intitolato “Fiabe”.
“Siamo partiti dalle fiabe e dalla loro grande importanza dal punto di vista esoterico, spirituale e simbolico: leggendo tra le righe si trovano in esse soluzioni alternative per il proprio percorso di vita”. Così narra, infatti, la voce gentile di Cettina Bucca ad introduzione della collezione: per chi ha già avuto la gioia di imbattersi in lei e nel suo itinerario biografico caleidoscopico, che da biologa l’ha riallacciata al sogno realizzato di stilista di couture emozionale in cui ogni capo nasce come via d’espressione sincera e sartoriale per la femminilità, ecco non c’è stupore che la cura profonda che Cettina ripone in ogni scelta d’ispirazione, in ogni gesto di creazione e in ogni selezione di materiale e decorazione sia approdata al valore prezioso e senza tempo che le fiabe ci riservano, sempre.
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Bensì c’è la fiducia confermata nella generosità entusiasta di Cettina e nella sua conoscenza stratificata dell’animo umano, grazie anche all’antroposofia che ha saldato in lei la dote d’interprete saggia e delicata di desideri e necessità che nascosti dentro l’animo giungono fuori a vestire il corpo. Or dunque, Cettina Bucca, come Italo Calvino, è giunta alla certezza che sì, le fiabe sono vere: sono l’occasione pregiata per scoprire la nostra identità, decifrare gli indizi che i mondi di fantasia ci offrono per superare le prove che il mondo reale ci presenta, e così per abbracciare il nostro destino con consapevolezza. E bellezza: sempre.  
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La collezione “Fiabe”, dunque, offre la possibilità di vestirci di questa stessa certezza e di gustarne i benefici dalla pelle alle emozioni: iniziando dal sollazzo delle illustrazioni, nate da disegni e pitture originali perché ideati nel mondo di Cettina Bucca, divenute stampe che ritraggono animali ed oggetti fiabeschi, scarpette cenerentolesche, il grillo parlante e l’oca, specchi magici e piante fatate, e li distribuiscono su abiti morbidi che scendono fin quasi alla caviglia. Il Bianconiglio si tramuta nel pattern protagonista sull’abito chemisier, stesso destino spetta alla volpe ritratta come miniatura giocosa, mentre l’happy ending d’amore del principe che salva la principessa cavalcando il bianco destriero si svolge sul nero velluto elegante.
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Sempre loro, i grandi protagonisti delle fiabe e innanzitutto delle nostre vicende interiori, tornano sui pullover realizzati a mano: la principessa, specchio delle emozioni bramose che prendono il sopravvento e conducono nei guai, e lil principe, ovvero l’io che si ricongiunge alle emozioni per salvare l’armonia.
È una storia di armonia anche la scelta della palette: che per la prima volta accoglie il nero a simbolo del buio malefico e il bianco segno di luce benefica, messi a contrasto reciproco e orchestrati col rosso luminoso della gioia di vivere, il verde brillante e il turchese del cielo, il rosa e il violetto genziana che son i gusti tocchi fatati.
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Le stoffe continuano a raccontare una storia di naturalezza sostenibile: velluti lisci e a coste, viscose, sete, lane mohair e alpaca, cotoni invernali, insieme alle palette luccicanti come bagliori di magia. Le silhouette continuano a narrare una storia di sincerità verso la ricca complessità della personalità femminile: abiti dagli ampi volumi, dalle strutture consistenti o arricchite di tulle e balze per chi ama sentirsi principessa, capi più asciutti e brevi per chi desidera un’altra fiaba, e per tutte la sveltezza dei pantaloni dritti, e la morbida avvolgenza nei capispalla esatti ma col piccolo vezzo delle tasche staccabili.
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Tra le Fiabe narrate nella collezione a/i 20-21 compaiono due nuove, bellissime storie: i foulard in pura seta che raccontano fiabe uniche attraverso stampe originali e ricche di colori brillanti, e le calzature realizzate in armonia bellissima con Sergio Amaranti, anch’esso marchio d’eccellenza e mondo di stile generoso verso la femminilità. Una sinergia da cui han preso vita stivaletti e décolleté dal tacco ricurvo, slip on e ballerine, in pelle e nello stesso velluto stampato degli abiti, con lo stesso stupore fantastico dei particolari unici e mai uguali.
Se il viaggio di Calvino nelle fiabe era terminato con la compiutezza del libro, il nostro grazie alle Fiabe di Cettina Bucca è appena iniziato: buon viaggio fiabesco a tutte!
Silvia Scorcella
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unisvers · 1 year ago
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#In partenza per la XVma Biennale d'Arte Contemporanea di Roma from vittorio e.pisu on Vimeo.
Promo Vogue nella persona di Maio Biancacci ha presentato la serata conclusiva della selezione regionale per la XVma Biennale d'Arte di Roma Gli artisti Dolores Mancosu, Antonello Cosseddu e Piero Barranca saranno gli ambasciatori dell’arte sarda alla XV Biennale internazionale di Roma 2024 Lo annuncia il sito laprovinciadelsulcisiglesiente.com/
L’Airport Library di Cagliari-Elmas, l’unica biblioteca d’Italia a livello aeroportuale, con la sala espositiva dall’aspetto museale e struttura dai segni culturali di grande internazionalità, è stata la degna e prestigiosa sede per la proclamazione degli artisti che rappresenteranno la Sardegna alla XV Biennale 2024. Il primo premio assoluto è stato assegnato all’opera fotografica “Delle creature il battito”, realizzata in luce naturale dalla sontuosa e identitaria artista Dolores Mancosu; il secondo premio è conseguito dalla concettuale scultura, in ferro e legno, “Postbellica” dell’artista nuorese Antonello Cosseddu, mentre il terzo posto sul podio è stato conquistato dall’opera pittorica, tecnica a olio e spatola su tela, titolata “Discarica: la natura si ribella” dell’originale e creativo Piero Barranca. Tutti e tre gli artisti, con le loro opere di eccellenza, porteranno la Sardegna nelle storiche sale del Museo Domiziano in Piazza Navona a Roma. A seguire, hanno conquistato la possibilità di portare la loro arte alla vetrina internazionale romana, gli artisti “Nama Ku” Alessandra Delogu, Antonio Milleddu, Nicoletta Brocchi, Vincenza Demuro e Mariella Rosu. Attestati di merito nella categoria scultura ad Augusto Mola e in quello pittorico a Valeria Murtas. Le segnalazioni di merito CIAC (Centro Internazionale Artisti Contemporanei) sono state assegnate a Silvia Vinci per l’aspetto artistico e poetico del quadro “Occhi d’artista” e a Mimmo Abis per la valorizzazione dell’aspetto materico ed identitario dell’opera “Carta da musica”.
All’aeroporto sono state presentate anche le opere che partecipano al concorso poetico-letterario della XV Biennale Internazionale: Mario Biancacci propone l’opera narrativa edita “Celeste e terreno” (ISKRA Edizioni); mentre i poeti Maura Murru e Cristoforo Puddu concorrono con due sillogi inedite, rispettivamente titolate “Tormenti creativi” e “Siamo granelli della stessa clessidra”. Giuseppe Ungaretti, in un suo scritto degli anni Cinquanta, enunciava con forza: «Chiamo poeta qualsiasi artista – scriva versi o prosa, costruisca palazzi, scolpisca, dipinga o componga musica – che raggiunga l’altezza di forma capace nei suoi effetti a muovere negli animi poesia». E queste parole sembrano risuonare, con assoluto vigore nell’attualità, e permeare le sensazioni emotive ed immaginifiche create dalle opere sarde che la qualificata giuria, composta dalla inossidabile artista Rosetta Murru e dai critici d’arte Cristina Onnis, Davide Bisa e Luca Masala, ha selezionato per la XV Biennale d’Arte Internazionale. Il fondo di poesia che accomuna l’arte è custodito nel segreto dell’animo umano – si distingue in molteplici espressioni e forme – per esaltare e svelare, con singolare unicità, la necessaria espressione di universale bellezza che alimenta e muove gli animi creativi in liricità. L’arte segna significativamente il nostro tempo e passaggio vitale con il mistero di un linguaggio di emozioni per il cuore che, in mille rappresentative strade, manifestano ed insegnano all’uomo il continuo rinnovamento della sensibilità interiore. Le opere vagliate e soppesate con rigore a rappresentare l’Isola, fascinose idee creative di eccellenza e personalità, posseggono un quantum di umanità e identità; rappresentano il continuo sviluppo-movimento di mente-fantasia e manifestano la singolarità e le idealità concettuali di ciascun artista. L’arte e gli artisti sardi che ora si propongono per il circuito internazionale e multiculturale romano, pur coltivando scelte delineate dall’orientamento critico, hanno la forte consapevolezza di essere “ambasciatori culturali della Sardegna” e proporre modernità creativa attraverso gli irrinunciabili legami e valori dell’identità; concetto identitario che transita l’inscindibile binomio di etica-estetica per elaborare in modo completo e inventivo l’autentica arte, generata con i tratti partecipi di tutte le esperienze esistenziali dell’essere umano. Encomiabile l’attività organizzativa e promozionale della PromoVogue di Mario Biancacci che, attraverso l’arte e la bellezza, ha costruito un percorso di positività e coinvolto artisti affermati e talentuosi emergenti, destinati a lasciare un segno significativo nella storia dell’arte in Sardegna. L’esperienza selettiva, sviluppata alle gallerie Picassart di Nuoro e Nova Karel di Cagliari, ha dato visibilità ad un microcosmo di validi artisti multanime e delineato le strade ideali che orientano la crescita dell’arte e il suo ruolo alla luce della valenza etica e sociale. Cristoforo Puddu
Una trasmissione S'Arti Nostra Un film di Vittorio E. Pisu
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culturaoltre · 2 years ago
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"21 marzo: è Poesia" - "Poesia unisce le persone" di Elisa Mascia
Poesia strumento molto efficace riduce e annienta con magia le distanze unisce  i cuori nel ritrovare speranze per un mondo migliore grida la pace. È lo spirito espresso in versi poetici che fluiscono dalla mente e dalla mano, emerge la bellezza dell’animo umano con linguaggio,emozioni e dubbi amletici. Guida e permette di catturare sensazioni per connettersi con gli altri nel profondo, diluire…
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vecchiorovere-blog · 3 years ago
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"Soltanto le razze che portano i vestiti capiscono la bellezza di un corpo nudo. Il pudore vale soprattutto per la sensualità, così come l’ostacolo per l’energia. L’artificialità è un modo di assaporare la naturalità. Ciò che ho assaporato di questi vasti campi, l’ho assaporato perché non vivo qui. Colui che non è mai vissuto in costrizione non capisce la libertà. La civiltà è l’educazione della natura. L’artificialità è la strada per un avvicinamento al naturale. Eppure non bisogna mai confondere l’artificiale col naturale. La naturalità dell’animo umano superiore consiste nell’armonia fra il naturale e l’artificiale." Pessoa
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dilebe06 · 4 years ago
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Karamazov no Kyodai
…ossia quando puoi dire di sapere di cosa parla i Fratelli Karamazov di  Dostoevskij senza aver mai aperto mezza pagina.
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Tratto dal celebre romanzo dei Fratelli Karamazov di Dostoevskij questo drama giapponese rivisita in chiave moderna questa drammatica opera.
Io onestamente non ho mai letto il libro ma informandomi dopo la visione posso dire che il drama raccoglie degnamente tutti i messaggi ed il nocciolo della questione del romanzo così come tutti i simbolismi, i drammi e le relazioni travagliate di questa famiglia.
La trama è easy: Tre fratelli cresciuti da un padre ricco sfondato ma abusivo e “pezzo di mer...a” e sono gentile tornano a casa da adulti chiamati dallo stesso padre per una riunione familiare. 
15 giorni dopo l’allegra rimpatriata...il padre viene trovato morto. #amen
I sospetti della polizia si concentrano sui tre figli tutti e tre accumunati dall’odio verso il padre. Chi dei tre figli è stato? forse il primogenito Mitsuru ( Saito Takumi) ribelle e perdigiorno? O forse è stato Isao ( Ichihara Hayato ), il secondogenito che sembra così perfetto e di successo? O magari l’assassino è Ryo ( Hayashi Kento) cucciolo di casa così buono e puro? 
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Lo so, detta così pare solo un giallo. 
Ma non è così.
Karamazov no Kyodai scava nella psicologia dei personaggi e dell’animo umano ponendo - come l’opera di Dostoevskij - domande sull’etica e moralità. Tramite la storia e i characters lo spettatore rimane invischiato in domande esistenziali, quasi filosofiche. Alla fine chi è l’assassino diventa forse la domanda meno importante. 
I tre fratelli sono gli eroi tragici di questa storia, ognuno caratterizzato divinamente e preda del bene come del male. Umani, credibili, travagliati, complessi. 
Il cast è stato eccezionale: Hayato - che avevo già visto nei panni di un poco credibile liceale in ROOKIES - da corpo ad un Isao perfetto. Come parla, si muove o gira lo sguardo convince appieno. 
Ma la palma d’oro la devo dare a Hayashi per il suo Ryo cuordipanna: dopo averlo visto in High And Low prendere a morsi la gente in maxi risse pensavo che sarebbe stato difficile vederlo in altri ruoli, sopratutto così diversi. Invece già solo nella prima puntata è stato così bravo che mi ero scordata del suo ruolo in High And Low. Mi ha convinta subito.
Ad accompagnare questo giro tra personaggi tragici e turbe familiari c’è una fotografia e musica che dire meravigliosa è dire poco: l’uso della luce e delle inquadrature non sono usate per mera bellezza cinematografica ma servono per incentivare ancora di più il clima grottesco, simbolico e quasi gotico della storia. 
PS: il padre è stato trovato morto a mò di Gesù sulla Croce. Più simbolismi di così si muore. 
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Idem la musica. Niente cori gregoriani o violini - che danno sempre quell’aria di dramma - ma Paint It Black dei The Rolling Stones o musiche dei Led Zeppelin che danno un aria ancor più originale e grottesca al drama. 
L’unico difetto che posso trovargli sono i salti temporali: per raccontare meglio la storia il drama si serve dei salti temporali...solo che non sono proprio chiarissimi. Per me è stato un pò difficoltoso capire quando esattamente si era svolta una scena nel passato rispetto ad un altra vista sempre nel passato. 
Ma oltre a questo...drama promosso in pieno.
VOTO: 9 -
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Dunque...io lo avevo detto a @veronica-nardi​ come battuta:
L’assassino sarà stato il maggiordomo......è sempre il maggiordomo.
Mai avrei pensato di prenderci. Inizialmente questa soluzione non mi era piaciuta poichè trovavo molto più interessante e drammatico se ad aver ucciso il padre fosse stato uno dei suoi tre figli, Isao per la precisione. #sorryIsao
Con tutto il discorso sull’odio che non si riesce a placare, il mostro dentro di noi, l’oscurità che ognuno di noi possiede e che in questo caso sfocia nell’omicidio...tuttavia ci ho pensato stanotte ed è perfettamente logico che alla fine non siano stati nessuno dei tre, Isao sopratutto.
Nessuno più di lui è stato vicino alla distruzione. Nessuno voleva morto il padre tanto quanto lui. Ma non averlo fatto implica che Isao si è salvato, che ha conosciuto il limite e si è fermato prima. Anzichè cadere nella trappola dell’oscurità il secondogenito - grazie ai suoi fratelli - si allontana dalle similitudini del padre per ricordarsi che se il sangue della sua famiglia è sporco per via del padre c’è anche la madre come figura positiva e lui ha anche il sangue di lei. 
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Isao è forse il personaggio più complesso e contorto della serie, con l’obbedienza al padre, il suo odio verso di lui, le somiglianze con il capofamiglia, l’incapacità di ribellarsi e quel desiderio maligno di compiere un parricidio ed essere finalmente libero. 
Io poi mi sento in colpa verso di lui perchè è stato il mio sospettato numero 1. 
Quindi è facile vedere poi le differenze con il vero assassino del padre: colui che si è lasciato prendere dall’odio e non è riuscito a sconfiggerlo. 
Poi c’è Misturu, l’eroe romantico e fallimentare: quello che voleva salvare la madre ed ha fallito. Quello che voleva salvare i fratelli ed è scappato senza di loro. Quello che ha capito che la donna che lo aveva fregato in realtà era molto di più che una donna ingannatrice. 
Mitsuru che vorrebbe aprire un bar ed essere indipendente dal padre e affitta una camera del Love Hotel solo perchè ci sono le lucine sul soffitto che gli ricordano la madre e le stelle che guardavano tutti insieme da bambini. #feels
Misturo che è stato l’unico dei tre fratelli a ribellarsi al padre ma che non lo avrebbe mai ucciso. 
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Ed infine Ryo il mio preferito. Troppo ingenuo e puro per far parte di questa famiglia, su di lui il male sembra che non possa attecchire. In un ottica simbolica l’ultimogenito potrebbe rappresentare la speranza. 
Compassionevole, buono, gentile, empatico Ryo prende tutti i tratti della madre dei ragazzi rendendolo quello più simile a lei. 
E mi ha fatto quasi tenerezza quando dice che non è riuscito a piangere per la morte del padre. Quasi che quest’uomo meritasse le lacrime ed il dolore dei figli. 
Ryo è l’unico a credere all’innocenza dei suoi fratelli ed a non perdere mai la speranza di togliere dal carcere il fratello più grande. Quando Isao cede in preda all’oscurità è Ryo - ed il pensiero di Misturo - a salvare il ragazzo.
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Infine due parole sul padre: se l’Inferno esiste uno dei gironi dovrebbe essere intitolato a suo nome. E non  solo perchè è un padre orribile che mena i figli e la moglie. Nemmeno perchè costringe la seconda moglie e madre di Isao e Ryo a prostituirsi per affari. E neanche perchè tratta i figli come oggetti e comanda le loro vite. 
La cosa che più mi ha fatto ribrezzo di quest’uomo è il suo sadismo. 
L’hobby maggiore del padre dei ragazzi è dargli speranza e poi portargliela via. Gode nel vedere i suoi figli disperati e persi, tristi e senza scampo. Gli insulti a loro e alle loro madri “ quelle luride putta...e” dove una se ne è andata e l’altra ha osato suicidarsi sporcando di sangue la moquette, sono offese quasi quotidiane nella vita dei tre fratelli. Non so se l’odio che il padre buttava sui figli sia legato a loro, a lui o rifletteva quello che lui provava per queste donne. #chiamateunopsicologobravo 
Fatto sta che rimane un uomo anafettivo, sadico, narcisistico, pazzo, inutilmente crudele e macchiavellico nelle sue atrocità contro i suoi figli. Ma il suo attore è stato eccezionale.
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pier-carlo-universe · 8 days ago
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Donne-moi une fleur: La poesia dell'anima di Rosetta Sacchi. Recensione di Alessandria today
Rosetta Sacchi ci regala una lirica di rara bellezza con "Donne-moi une fleur", un componimento che esplora il potere evocativo della natura e la complessità dell'animo umano.
Un inno poetico alla natura e ai sentimenti umani Rosetta Sacchi ci regala una lirica di rara bellezza con “Donne-moi une fleur”, un componimento che esplora il potere evocativo della natura e la complessità dell’animo umano. La poesia, carica di immagini vivide e simbolismi profondi, è un invito a perdersi nei sentieri emozionali della vita, tra dolori e speranze, in un equilibrio delicato e…
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michelangelob · 5 years ago
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Come scrisse il Tramezzino nella Dedica della Roma trionfante del 1548: “tutte le maniere, tutte le carnagioni, i movimenti, tutte le posature, tutti gli stati possibili di un corpo umano, tutti gli affetti dell’animo si vedono espressi nelli antichi già miracoli e in voi sì cose ordinarie, sì naturali, sì vivi, sì propri che so potria dire, che appena la natura stessa ci saprebbe raggiungere” . . #michelangelobuonarrotietornato #michelangelo #artblogger #travel #inartwetrust #sistinchapel #giudiziouniversale #masterpiece #storytelling #bellezza #inartwetrust #life #beauty #madeinitaly #video #bellezza #roma #vaticanmuseum #museivaticani — view on Instagram https://ift.tt/2ACStTW
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radheidiloveme · 6 years ago
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Credo che quando tutti saremo strabiliati dalla bellezza di questa musica, dall’esecuzione, dalla forza di essere così insieme, dalla capacità dell’animo umano di arrivare a questi livelli di sensibilità, dedizione, impegno, capiremo di aver costruito un mondo migliore.
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pangeanews · 6 years ago
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Ode malinconica a Nick Drake, il cantautore di culto che lasciò tutto per forsennati, insonni giri in macchina e che morì troppo giovane, ignaro della fama
Tanto per cominciare, mettete su un suo pezzo. Uno a caso. Anzi, no: ascoltate prima di tutto Northern Sky, che è la più bella canzone d’amore mai scritta. C’è qualcosa nei suoi versi, nella melodia, nel canto, qualcosa che assomiglia al misterioso sentimento della vita, sfuggente, aurorale, dolcissimo, un misto di euforica scoperta e di malinconica rinuncia. È come se insieme alle parole della canzone anche noi andassimo enumerando tutte le cose che stiamo vivendo per la prima volta: «I never felt magic crazy as this / I never saw moons knew the meaning of the sea / I never held emotion in the palm of my hand / Or felt sweet breezes in the top of a tree / But now you’re here / Brighten my northern sky». Parole che rimandano a un pensiero così primigenio, così essenziale – la luna, il significato del mare, il vento sugli alberi, la natura che partecipa all’emozione vibrante dell’animo umano e quasi dà risonanza al sentimento amoroso, che è un sentimento di scoperta, prima di tutto, o di ri-scoperta – parole che a sentirle cantate in quel modo, con quegli accordi di chitarra – e con quell’accompagnamento discreto dell’organo, quegli agili guizzi di pianoforte, quei delicati tocchi di celesta, tutti suonati da John Cale – ci sembra, incredibilmente, di aver dimenticato. È un disvelamento, insomma. È come tornare bambini, quando si pongono continuamente domande stupide («Would you love me for my money / Would you love me for my head / Would you love me through the winter / Would you love me ’til I’m dead»), ma allo stesso tempo si dischiude un nuovo occhio interiore («Oh, if you would and you could / Straighten my new mind’s eye»).
Non aveva una grande voce, Drake, ma la sapeva usare alla perfezione per le sue canzoni, con quella incrinatura malinconica, quella tonalità inconfondibile, quel timbro che aveva una sensualità un po’ tenebrosa, ma carezzevole. La melodia dei suoi brani non era mai banale, la sua tecnica alla chitarra, suonata quasi come un pianoforte, era insolita, originale, piena di inventiva (accordava lo strumento in maniera diversa per ogni brano). Incise solo tre dischi: Five Leaves Left, esordio folgorante, di una luminosa bellezza, e Bryter Layter, album perfetto, sia nel suono che negli arrangiamenti, senza nessun punto debole (entrambi del 1969) e Pink Moon (nel 1972), un canto del cigno di una essenzialità quasi ascetica. Tre gioielli assoluti di folk acustico, dark e delicatamente barocco, che segnano anche un percorso solitario, rigoroso, alieno da qualsiasi compromesso commerciale. Come confessò Flaubert all’amica George Sand, anche Drake si è sempre sforzato con la sua arte di «andare all’anima delle cose». Basta ascoltare il suo ultimo disco, Pink Moon, per capire che cosa intendo: concepito durante l’estate del 1971 in Costa del Sol, è tuttavia un disco notturno, inciso in poche ore, solo voce e chitarra (tranne una breve linea melodica di piano nella title-track); un disco dove è stato eliminato tutto il superfluo, qualsiasi orpello, abbellimento, per costringere l’ascoltatore a guardarsi nello specchio, a riflettersi nelle proprie disillusioni, nei ricordi, nelle insofferenze. Tre perle di musica – questi tre dischi – che caddero nell’indifferenza e nel silenzio del mondo discografico. Dopo aver pubblicato Pink Moon, Drake decise allora di rinunciare. L’album aveva venduto ancor meno dei due precedenti, e si era rivelato un clamoroso insuccesso. Un insuccesso segretamente voluto, forse, poiché il giovane cantautore aveva un carattere schivo, taciturno, ed era terrorizzato dal pubblico: rifiutava qualsiasi promozione e rifuggiva dalle esibizioni pubbliche, convinto com’era che le sue canzoni dovessero camminare da sole, con la forza della musica. Così, si ritirò dai suoi genitori, nella campagna del Tanworth, un piccolo villaggio a nord-est di Birmingham, a «Far Leys», una villetta in mattoni rossi, a due piani, dove aveva vissuto la sua infanzia felice. Qui passò i suoi ultimi due anni lontano da tutti e da tutto. Dopo un ricovero di cinque settimane in un ospedale psichiatrico si andò chiudendo in un isolamento sempre più greve, tra antidepressivi, notti insonni e lunghi, solitari giri in macchina (si metteva in macchina e guidava per chilometri e chilometri, allontanandosi senza meta, finché non gli finiva la benzina e allora chiamava dal primo telefono pubblico qualche amico o i familiari, affinché gli portassero una tanica di benzina per tornare a casa). Fece un viaggio a Parigi, ma la sua depressione non migliorò. La cantautrice Françoise Hardy ricorda una cena da amici dove lo incontrò. Drake si sedette davanti a lei e restò tutto il tempo a fissarla senza dire una parola. Quando tornò a casa registrò ancora una manciata di canzoni, lasciandole incomplete. Era così malmesso che non riusciva a cantare e suonare insieme, per cui fu costretto a registrare prima la musica e poi la voce. L’ultima canzone, Tow the line, è tesa, nervosa, cupissima; la voce di Drake è fuori tono, impastata dagli psicofarmaci, mentre canta: «This day is the day that we rise or we fall / This night is night that we win or lose all». È il suo congedo dal mondo. Cadrà, perderà tutto. La sua giornata, la sua notte, la sua vita volgevano al termine.
Sul piatto del suo stereo, la mattina del 25 novembre 1974, girava ostinatamente, mutamente, la puntina alla fine del disco dei Concerti Brandeburghesi di Bach, quando fu trovato morto nel suo letto dalla madre, verso mezzogiorno, il corpo sdraiato sopra le coperte. Aveva solo ventisei anni, e un’overdose di Tryptizol lo aveva stroncato dopo l’ennesima notte insonne. Se ne andò senza sapere che sarebbe diventato un cantautore di culto, senza poter immaginare che le sue canzoni sarebbero diventate così famose da essere utilizzate perfino come colonna sonora di importanti spot pubblicitari (proprio quella Pink Moon così triste, solitaria e finale).
La sua morte, il suo suicidio mi fanno sempre pensare al protagonista della poesia del suo amato Robert Browning, Orlando cavaliere giunse alla Torre Scura. Impegnato in una ricerca disperata, attraversando un paesaggio spettrale e desolato, il cavaliere di Browning sente di essere prossimo all’insuccesso, proprio come Drake nei suoi ultimi giorni. Memore dei tanti cavalieri che lo hanno preceduto, troppe volte ha udito profezie di fallimento e adesso che è vicino alla meta, la cosa migliore gli sembra «fallire come loro». Ma ha un unico dubbio: sarebbe stato all’altezza del fallimento? Non so, francamente, che cosa sarebbe capitato a Drake se avesse vinto questo dubbio, quella notte di novembre in cui mise fine alla sua vita. Mi domando soprattutto, come spesso in questi casi, quanto il fallimento abbia contribuito a mantenere intatta la sua ispirazione e quanto, viceversa, il successo ne avrebbe guastato la purezza. Non lo sapremo mai. Ci restano, però, i suoi tre bellissimi dischi, che ci accompagnano e ci consolano, nei lunghi inverni del nostro scontento. Ascoltateli, iniziando da Northern Sky: vi farà innamorare dell’amore, innamorare della vita. Come stringere un’emozione nel palmo della mano. E per questo gli sarete grati per sempre.
Fabrizio Coscia
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entheosedizioni · 4 years ago
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“RITRATTO DI SIGNORA” di Henry James
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Quel che conta nell’arte figurativa è la capacità di ottenere un risultato visuale memorabile, che resti bene impresso nella corteccia occipitale di chi osserva. Più che la tecnica utilizzata, più che il soggetto raffigurato, conta la forza emozionale che l’opera riesce a suscitare. Possono le parole di un romanzo sostituirsi alle pennellate di un grande pittore? Sì, se lo scrittore sa sceglierle e combinarle efficacemente. Lo stile di "Ritratto di signora" L’autore di questo grande classico della letteratura anglosassone posiziona la sua tela sullo sfondo della seconda metà dell’800 e ci trasporta in un mondo perduto per sempre, al fine di indagare su sentimenti e atteggiamenti che non tramonteranno mai. Fruire della sua arte sinestetica, tale da innestare letteratura su pittura, richiede uno sforzo di adeguamento. Il lettore moderno deve prima placarsi, deve rallentare la frenesia esistenziale che caratterizza la propria quotidianità e calarsi in una dimensione molto meno convulsa. Nel romanzo, infatti, l’azione si muove con la lentezza del carapace anchilosato. Viene trainata senza fretta alcuna da un narratore meticoloso e onnisciente. Un narratore che si dedica alacremente all’analisi introspettiva della protagonista e dei vari personaggi. Ne conseguono pagine e pagine di moti emozionali, perturbamenti emotivi, riflessioni esistenziali e caratteriali. Né si tralasciano le descrizioni minuziose dei luoghi e delle ambientazioni. La prosa complessa, ma mai tortuosa, e il registro lessicale ricco ed elevato servono a realizzare quello che è, di fatto, un ritratto iperrealistico. Da ammirare a poco a poco, senza aspettarsi accelerazioni risolutive o azioni dirompenti. A che serve la fretta? La protagonista La signora che Henry James vuole dipingere si chiama Isabel. È una giovane donna americana rimasta orfana e spiantata. Ha una cultura superiore alla media, un’intelligenza vivida, un’elevata autostima e, caratteristica cruciale, un forte desiderio di indipendenza. Non desidera piegarsi alla consuetudine e al conformismo. Almeno nelle intenzioni, i fatti poi la costringeranno a scendere a inevitabili compromessi. “Si può dire senza indugio che probabilmente Isabel era soggetta a peccare di troppa considerazione di sé; compiva spesso compiaciute ispezioni nel campo del suo carattere; di solito dava per scontato di aver ragione, anche se non ce n’erano le prove; quando capitava, non si sottraeva all’omaggio. In fatto di opinioni, si era tracciata da sé una via, che l’aveva costretta a mille ridicoli zig-zag. A volte si accorgeva di aver fatto errori grotteschi, e allora si condannava ad una settimana di ardente umiltà. Ma poi rialzava più che mai il capo; perché non c’era niente da fare, in lei il bisogno di pensare bene di se stessa era inestinguibile. La sua teoria era che solo a queste condizioni la vita era degna di essere vissuta; che bisognava primeggiare, essere consapevoli di avere un bell’organismo (e non poteva fare a meno di riconoscere che il suo era bello), muoversi in un reame di luce, di saggezza innata, di impulsi felici, di ispirazione beatamente cronica. Alimentare i dubbi su se stessi era inutile quasi come alimentare quelli sull’amico più caro: e ognuno dovrebbe cercare di essere per sé l’amico più caro per vivere, così, in eletta compagnia. La ragazza possedeva una certa nobiltà di immaginazione che le rendeva una quantità di servigi e le giocava molti brutti tiri. Passava metà del suo tempo a pensare alla bellezza, all’ardimento, alla magnanimità; era fermamente risoluta a guardare al mondo come ad un luogo di splendore, di libera espansione, di azione irresistibile: considerava detestabili paura e timidezza. C’era in lei una speranza sconfinata di non agir mai male.���
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C’è dunque un germe di presunzione nella natura di Isabel, ma non è tale da renderla sgradevole o scostante. È una donna altezzosa ma compassionevole, algida ma benevola, ambiziosa ma non venale. L’autore si premura di farcela conoscere minuziosamente. Non è la figura di Isabel a essere posta in risalto – è descritta come attraente ma non bella, almeno secondo i canoni estetici di quei tempi – bensì il suo animo, così puro e pieno di fiducia da potersi stagliare fra le stelle se non fosse miseramente invischiato fra la penuria umana. La trama Isabel, su proposta della zia, lascia gli Stati Uniti e si trasferisce in Inghilterra. Lo scopo è quello di completare la sua formazione, di perfezionare la sua educazione e di conoscere il mondo. Quest’ultima attività, che pare essere la sua preferita, la porta a dichiarare il proprio amore per la libertà. Isabel si intestardisce a ricusare ogni tentativo di abbordaggio al veliero che conduce i suoi sentimenti su spazi immensi e inesplorati. “Ho tante idee” dichiara con orgoglio e speranza, sebbene non sappia come esse possano tradursi in azioni o in qualcosa di tangibile. Nel suo spirito c’è un desiderio inconoscibile di esplorare dimensioni estranee alla normalità, ma dare seguito a questo impeto è cosa più facile a dirsi che a farsi. Isabel adora vestirsi di nero e la cupezza dell’abito lascia risaltare il fulgore della sua interiorità. La protagonista scelta da Henry James è dunque tanto distinta e incorruttibile da conquistarsi simpatie incondizionate. Non ha l’ingenuità di Madame Bovary, né l’audacia di Anna Karenina, e nemmeno lo spirito di sacrificio di Jane Eyre. In compenso, però, è ammantata di mistero. Il suo broccato nero è metafora della parte inconoscibile dell’animo umano, quella che non sappiamo esplorare o che non abbiamo il coraggio di affrontare. Isabel è la migliore fra le persone che la circondano, ma non vincerà niente nella partita della sua vita. Riuscirà tuttavia a non perdere mai la stima di sé.
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I personaggi - La zia – donna eccentrica e pretenziosa, ha un contegno rigido e incorruttibile. Vive separata dal marito perché non lo può soffrire. Si degna di fargli sporadiche visite e si dimostra piuttosto anaffettiva. È una donna classista e perbenista, con un’elevata considerazione del denaro e poca attenzione agli aspetti sentimentali. Ha grandi aspettative per la nipote Isabel e non si contiene dal manifestare il proprio dissenso ogni volta che le scelte della giovane non collimano con le proprie convinzioni. Acida.   - Lo zio – vegliardo riccone americano, trapiantato in Inghilterra, ha avuto enormi successi in ambito professionale e finanziario. Non si può dire altrettanto della sua vita sentimentale e del matrimonio. Se ne rammarica ma non troppo. La sua figura rappresenta il vecchio mondo che se ne va per sempre, lasciando spazio a una nuova società, più evoluta e più liberale. Si affeziona alla nipote e manifesta i suoi sentimenti nell’unica maniera che un banchiere può conoscere: le lascia un patrimonio in eredità. Bacucco.   - Il cugino Ralph – un giovane sfortunato – è ammalato di tisi – che nutre un grande affetto per il padre, che sperimenta la distanza emotiva fra sé e la madre, e che scopre di avere un debole inconfessabile per Isabel. Le sue condizioni di salute non gli consentono di sperare nulla, di intraprendere alcuna avventura, di portare a compimento alcun proposito. Egli esiste e basta, per poco tempo ancora, né può godersi i suoi agi. Diventa un grande amico di Isabel ma non riesce a salvarla da se stessa. Sventurato.   - Caspar Goodwood – giovane imprenditore americano, perdutamente innamorato di Isabel. Solca gli oceani per assillarla con le sue smielate dichiarazioni d’amore. Non si rassegna ai suoi rifiuti, è pronto a sacrificare ogni cosa per lei e non si capacita di non essere corrisposto. Si danna l’anima per amore, ma la cosa grave è che diventa molesto con la sua insistenza. Già uno che di nome fa Gaspare Buonalegna non dovrebbe osare di avanzare pretese a un certo livello, ma l’idealizzazione che fa del suo amore lo rende oltremodo antipatico. Ha il più grande difetto che si possa mai avere nelle questioni romantiche: non sa desistere. Cari amici uomini: l’insistenza non è mai un’arma efficace, semmai un grosso limite che serve solo a gettarvi del discredito addosso. Scriteriato.   - Lord Warburton – giovane, ricchissimo nobile inglese dalla mentalità aperta e dai modi estremamente eleganti. È molto amico di Ralph. Si innamora di Isabel e non perde tempo a proporsi. Il rifiuto di lei lo lascia attonito, oltre che avvilito, ma la sua notevole signorilità non gli consente di scadere nel patetico. È proprio una bella persona, oltre che un ottimo partito,e si fa davvero fatica a comprendere perché Isabel lo rifiuti. Sprecato.   - Henrietta – giovane cronista e scrittrice, dalla lingua pungente e dal temperamento peperino, è la mina vagante del romanzo. Viaggia in lungo e in largo, interagisce con tutti i personaggi e spesso non si fa benvolere per via del suo polemismo incontrollato. Potremmo definirla “troppo sincera”, senz’altro esplicita nei suoi giudizi e in ogni sua esternazione. Ha il merito di smuovere le acque stagnanti della boriosa “alta società” in cui si muove la sua amica Isabel, ma pochi altri pregi. Aggressiva.   - Madame Merle – misteriosa vedova quarantenne. Viene presentata come una dama perfetta e, in effetti, ha tutti i modi e gli attributi della frequentatrice ideale per i salotti buoni. All’apparenza cortese, impettita, delicata, discreta, disponibile, è in verità ciò che un tempo si definiva “un’intrigante”. Muove i fili di un intreccio segreto per compiere un malestro misterioso. Ipocrita.   - Gilbert Osmond – indolente vedovo di mezza età, americano trapiantato in Italia. È inoperoso e inoccupato, vive con poco perché non ha la volontà di impegnarsi in un bel niente. Aspetta la manna dal cielo e gli cade fra le braccia la sciagurata protagonista del romanzo. La sposa e la imprigiona fra il suo bigottismo ipocrita. Lui rappresenta il male, è la personificazione della malvagità più perversa: quella che non ferisce in maniera esplicita ma lo fa subdolamente. Odioso.   - Pansy Osmond – figlia di Gilbert, e in seguito figliastra di Isabel, è una giovinetta genuflessa e assoggettata. Educata dalle suore, secondo il rigido moralismo che tanto piace al padre, non dice mai una parola fuori posto, non compie mai un passo falso, non esterna mai la propria personalità repressa. È annullata sotto il tremendo macigno della volontà del padre, ma nemmeno se ne rende conto. Martire. L’ambientazione Nella seconda metà dell’800 troviamo la protagonista intenta a barcamenarsi fra due concezioni diverse del mondo: l’austerità del passato e l’evoluzione progressista del futuro incombente. Cresciuta negli Stati Uniti, non se ne dichiara soddisfatta. Ci vuole ben altro per lei. Giunta in Inghilterra, esplora la nuova realtà con occhi cupidi. Ha voglia di viaggiare, di conoscere, di bearsi della bellezza eterna dei luoghi. Visita Parigi, gira un po' per l’Europa. Finisce in Italia, scopre Roma e ne rimane completamente affascinata. Passeggia fra le rovine dell’urbe sentendosi a casa. Raccoglie i pensieri fra le vestigia della città eterna e focalizza obiettivi e necessità. La bellezza di Roma la aiuta a esistere, le dona vigore e forza di volontà. “Isabel andò fuori sola in carrozza quel pomeriggio; desiderava trovarsi lontana, sotto il cielo, in un luogo dove poter scendere dalla vettura e camminare sulle margherite. Già da lungo tempo aveva preso Roma antica a sua confidente, poiché in un mondo di rovine la rovina della sua felicità sembrava una catastrofe meno innaturale. Riposava la sua stanchezza su cose che si andavano sbriciolando da secoli e che pure erano ancora in piedi; calava la sua tristezza segreta nel silenzio di luoghi solitari, dove il carattere contemporaneo di essa si distaccava e si faceva oggettivo, sì che, mentre se ne stava seduta un giorno d’inverno in un angolo tiepido di sole, o ritta nell’odor di muffa di una chiesa dove non entrava nessuno, quasi ce la faceva a sorriderne e a rendersi conto di quanto piccola fosse. E piccola era davvero, tra le immense memorie di Roma; e il senso tormentoso che ella aveva della continuità delle umane sorti la faceva agevolmente risalire dalle piccole cose alle più vaste. Era giunta a un’intesa profonda, tenera con Roma; la città si fondeva alla sua passione e la moderava.” Le tematiche trattate Questo romanzo porta sotto i riflettori i pericoli nei quali si incappa per colpa delle convenzioni sociali, nonché i difetti intrinseci al matrimonio (almeno, quelli legati a un matrimonio di quei tempi). Quest’ultimo è rappresentato come una prigionia emotiva dalla quale sembra non esserci via d’uscita. Con tremenda timidezza si suggerisce la remotissima ipotesi della separazione, la parola divorzio è del tutto impronunciabile: un azzardo troppo enorme da intraprendere. Eppure ce ne sarebbe bisogno, sarebbe l’unico rimedio possibile. Quando si sbaglia, quando si compie un terribile errore di valutazione, oppure quando si è vittima di inganni e mistificazioni, sarebbe giusto poter riacquistare la sacrosanta libertà. Che senso ha un moralismo tanto bieco da condannare all’infelicità perpetua? Henry James denuncia questo grave problema e prova a dare uno scossone alle inveterate ingiustizie sociali della sua epoca. C’è anche il perverso voyeurismo di chi non ha meglio da fare che organizzare matrimoni o nutrire aspettative sulle azioni altrui. Molti dei personaggi di questa storia commettono il madornale errore di mettere bocca sulle scelte di vita della protagonista e di idealizzarla fino all’inverosimile. Isabel è per loro un simbolo. Sognano per lei quelle vette irraggiungibili che loro non sono stati in grado di scalare, la pensano più coraggiosa e intraprendente di quanto in realtà non sia. Meglio lasciare più spazio all’autodeterminazione per non incappare in grosse delusioni. Infine viene trattato lo “scontro di civiltà” fra il progressismo della società statunitense e il tradizionalismo di quella inglese (che Henry James visse in prima persona, in quanto americano trapiantato in Inghilterra). È il confronto cruciale tra modernità e tradizione. Dirigersi nettamente nell’una o nell’altra direzione può essere pericoloso, ma l’autore sembra suggerire l’impellente necessità di trovare una mediazione. Il mistero Sotto la superficie apparentemente quieta di questo elegante costrutto letterario si nasconde un segreto tremendo. La storia si stringe a poco a poco attorno a questo viluppo inestricabile e finisce per asfissiare la protagonista. A lei va l’onore delle armi ma non la soddisfazione della vittoria.   Orazio C.   Read the full article
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egheneto · 5 years ago
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FEBBRAIO 2020
Questo febbraio è stato un mese decisamente strano. Un po’ spento, sotto tono, fiacco. Dicembre e gennaio sono stati due mesi molto impegnativi tra studio, esami e lavoro e ne sono uscita particolarmente stanca. Ho visto e letto meno di quanto avrei potuto e voluto fare, e ho avuto poca voglia e ispirazione per scrivere. Ho deciso comunque di buttare giù qualche parola rispetto ai film e libri che mi sono piaciuti di più, che magari amplierò più avanti.
THERE WILL BE BLOOD (Il Petroliere)
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Oh, Daniel, you've come here and you’ve brought good and wealth, but you have also brought your bad habits as a backslider. You've lusted after women and you have abandoned your child. Your child that you raised, you have abandoned, all because he was sick and you have sinned, so say it now: "I am a sinner."
Un film incredibile che rivela uno dei lati più oscuri dell’animo umano: la sete di potere e l’avidità, capaci di trasformare un uomo rendendolo cieco di fronte alla violenza più folle e che non possono avere altro che un fine: il sangue. Perchè il protagonista, Daniel, trionfa nella sua scalata verso il potere, verso la ricchezza, ma pagandola a caro prezzo: la pazzia, la solitudine e la morte. Sono rimasta profondamente affascinata dall’interpretazione di Daniel Day-Lewis e di Paul Dano, quasi teatrale e di forte impatto.
UN ANNO SULL’ALTIPIANO 
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Non è vero che l'istinto di conservazione sia una legge assoluta della vita. Vi sono dei momenti, in cui la vita pesa più dell'attesa della morte.
Semplice ma efficace e diretto. La scrittura di Lussu ti trasporta in trincea e ti permette di immergerti nella vera realtà della Grande Guerra: un grande paradosso, un continuo alternarsi di momenti di riposo, chiacchiere tra soldati, assalti e bombe a mano. I capitoli si susseguono tutti uguali, in una monotonia sulla quale pende costantemente la minaccia della morte, improvvisa, che può arrivare dal nemico così come da un generale in preda alla follia: impreparazione e inettitudine regnano sovrani tra gli alti gradi di comando, la vita dei soldati si svuota di ogni importanza e si riempie di inutile patriottismo, che è risultato nell’inutile morte di centinaia di persone.
MARRIAGE STORY
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The dead part wasn’t dead, it was just in a coma. And it was better than the sex, the talking. Although the sex was also like the talking. You know, everything is like everything in a relationship. Don’t you find that? And, um, so, we spent the whole night and the next day together, and I just never left. Yes, to be honest, all the problems were there in the beginning too. But I just went along with him and his life because it felt so damn good to feel myself alive.
In Marriage Story ci sono solo Charlie e Nicole, Adam Driver e Scarlett Johansson, due interpretazioni meravigliose, e nient’altro. Niente ambientazioni incredibili, niente colpi di scena eclatanti. Ci sono solo i loro silenzi, i loro occhi colmi di lacrime sempre sul punto di uscire, i loro sguardi alla ricerca costante l’uno dell’altro, le parole urlate e le parole non dette, i piccoli gesti che ricordano che, nonostante tutto, l’amore rimane vivo, anche se la vita conduce su strade diverse, parallele che non erano destinate a rimanere insieme. É un film straziante, costruito attorno alla forza dei sentimenti che possono affievolirsi ma non si spengono mai, tutt’al più si trasformano, si nascondono e rimangono in attesa di mostrarsi, seppur sottilmente, alla prima occasione.
EUPHORIA
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“I promise you. If I could be a different person, I would. Not because I want it, but because they do. But here's the thing. One day, I just showed up without a map or a compass, and at some point, you have to make a choice ... about who you are and what you want. And therein lies the catch.”
Un teen drama che ha senso e necessità di esistere. Ammetto di non aver visto molto del genere a causa di pregiudizio personale; per questo ero restia ad approcciarmi anche a questa serie che, tuttavia, mi ha colpita positivamente. L’atmosfera che crea tra musica, colori, psichedelia, droghe e alcol, sospesa in una dimensione di nostalgia e depressione, è travolgente. Ti trasporta in un mondo di adolescenti in piena scoperta di sè stessi, del proprio corpo, del sesso, delle droghe, dei social media, dell’amore, dell’amicizia e delle relazioni in generale. È una serie che, crudelmente e in maniera affatto adolescenziale, mostra la realtà che i giovani di oggi si trovano ad affrontare, non sempre facile, non sempre esplicitata, tenuta all’oscuro dai propri genitori e dagli adulti. Per di più, Zendaya Coleman l’ho trovata sorprendente.
SEX EDUCATION
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Adam Groff: You said there was gonna be no judgement. Is three viagras bad? Her reaction made it seem like it was bad. I feel lightheaded and I can taste scampi. Maeve Wiley: No wonder. You could besiege a castle with that thing.  Adam Groff: I said stop staring at it! Maeve Wiley: Sorry, it's like a third leg.
Se Euphoria la vedo maggiormente rivolta ad un pubblico adulto, per la schiettezza e la trasparenza con cui i temi vengono trattati, Sex education è più adatta ad un pubblico giovane. Non perché sia banale, superficiale. È adolescenziale nel senso che può spingere i giovani ad immedesimarsi con i ragazzi protagonisti e riconoscere in loro le stesse problematiche e difficoltà che vivono in prima persona. È un’educazione sessuale che, purtroppo, ad oggi manca nelle scuole e nelle famiglie; molti argomenti sono ancora troppo tabù per essere trattati con leggerezza e tranquillità, e i ragazzi si ritrovano spesso soli e imbarazzati in un percorso che è in realtà normale, una strada che tutti abbiamo percorso o percorreremo. Qui la sessualità viene trattata spesso con simpatia, senza farne un dramma o un problema irrisolvibile, ma con schiettezza e sconsideratezza. Che è il modo migliore per rivolgersi ai ragazzi. E la colonna sonora è strepitosa.
MOTHER!
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Mother : *What* are you? HIM : Me? I, am I. You? You were home. Mother : Where are you taking me? HIM : The beginning. HIM : It won't hurt much longer. Mother : What hurts me the most is that I wasn't enough. HIM : It's not your fault. Nothing is ever enough. I couldn't create if it was. And I have to. That's what I do. That's what I am. And now I must try it all again. Mother : No. Just let me go. HIM : I need one last thing. Mother : I have nothing left to give. HIM : Your love. It's still there, isn't it?  Mother : Go ahead. Take it.
Di Darren Aronofsky non ho ancora visto The fountain e The Wrestler, ma per ora Mother! è il film del regista che più mi è piaciuto e che entra sicuramente nella lista dei miei film preferiti. Inquietante e angosciante. L’inizio lento, l’essenzialità dei dialoghi, i primi piani costanti, la luce soffusa, tutto crea fin dal principio della pellicola un’atmosfera surreale e tormentata che va solo aumentando, in un climax ascendente che culmina con un finale straziante, violento e brutale. Mother! racconta chiaramente la nostra storia, la storia di un’umanità irruenta ed incapace di portare rispetto ad una madre natura (interpretata da una Jennifer Lawrence incredibilmente bella e brava) che depreda e saccheggia e spoglia della sua bellezza ed innocenza. Una madre natura che si identifica nella casa e che non è altro se il nostro mondo, creato con cura e attenzione per proteggerci e sostenerci, e al quale non siamo in grado di portare rispetto. Un mondo che Dio (Javier Bardem) tenta di ricostruire dopo ogni fallimento, dando all’umanità la possibilità di riprovarci, in un ripetersi apparentemente infinito, per cui infinito è anche il nostro fallimento. Il film è pieno di riferimenti biblici, molti dei quali ho colto solo dopo averne letto l’interpretazione ma che rendono l’opera profonda e intensa.
Nicole C.
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silkvlvetsheila · 5 years ago
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           +10 years from now, @bostonrpg             2029, 29th september!  alessandro  il Brattle Book Shop è rimasto uno dei luoghi preferiti di Alessandro, divenuto ormai scrittore ( aggettivazione che preferisce più d'ogni cosa ) e uomo dal carattere meno burrascoso. Se il suo credo è rimasto quello d'una forte e indiscriminata indipendenza, nel loft che occupa a Back Bay ha imparato ad apprezzare la sporadica compagnia di donne che non ama rivedere più d'una volta. Ha, insomma, abbracciato la vita da Casanova che il suo conterraneo, secoli prima, aveva rivendicato sino alla morte. L'aspetto meno trasandato e la rasatura curata possono rivelarsi avvertimenti che cedono il passo ad uno sguardo sicuro e ad un sorriso che sa essere ammaliante. È in fila, Alessandro, per pagare i volumi delle tragedie euripidee, chiamato a tenere una lezione ad Harvard sulla tradizione ( dal lat. tradĭtus, part. pass. di tradĕre «consegnare, tramandare» ) delle tragedie classiche nella letteratura moderna, ma l'occhio gli cade sulla figura slanciata che lo precede, fra le dita smaltate saggi pedissequi su Čajkovskij e allegra compagnia. « Dicono che se Čajkovskij fosse stato uno scrittore, avrebbe ottenuto la stessa fortuna che ha avuto come compositore, per la capacità immaginativa. » L'intento è quello di fare il figo, ma quando riconosce nei lineamenti spigolosi del volto una figura a lui nota, non può non rivolgersi un mentale ( ma potentissimo ) ‘ porca merda ’. « –– Ciao, qui per quella roba? » phoebe   ventisei minuti prima della chiusura. La ragazza che siede in silenzio su uno sgabello di legno dietro la cassa ( nipote di quel signore dalla barba macchiata di grigio che ha lasciato dieci anni prima ), osserva le sagome che, nel dedalo di scaffali tra interno ed esterno son andate via via a diminuire. Il sole è andato a celarsi dietro strati e nembostrati, lasciando così accendere il crepuscolare all’interno dei lampioni oltre le vetrate, illuminando e rendendo ancor più caldi i colori rossi ed aranciati dei mattoni fuori l’edificio. Non respira l’aria di Boston dal semestre scorso, probabilmente si pente di aver venduto l’appartamento, che avverte il profumo stucchevole del corredo alberghiero intrappolato sulla pelle. Le dita scivolano su quell’insieme d’inchiostro e cellulosa, lasciando vagare lo sguardo tra i caratteri, tra una pagina: « Il fascino degli intellettuali. » abbandonate le cattive abitudini, il tono si mostra leggermente più basso – complice probabilmente un imbarazzo adolescenziale che torna a sfiorare la superficie. Le stesse dita finiscono per percorrere la rilegatura prima di chiudere i volumi e spostare una delle ciocche brune dietro l’orecchio, sfuggita a quel raccolto che ormai è consuetudine. « Mh. » accompagnato, però, da un cenno del capo « Dovrei scrivere un discorso ma non so da dove partire. » i libri finiscono per esser stretti al petto, gli occhi a studiare quel volto che è ricordo ma deve esser modificato : « Tu… » e v’è un punto interrogativo dopo quella " 𝙪 " allungata, concentrata nella lettura dei titoli di quei volumi. « Che fai? » che alla fine è tutto e niente. alessandro   la commessa la conosce. E con 'conosce', intendiamo che ci è finito a letto qualche anno prima ( era già maggiorenne, niente roba alla “ Verità sul caso di Harry Quebert ” ). Patti chiari, amicizia lunghissima, le è stato detto: difatti non si sarebbe fatto problemi a rimorchiare quella che / non / sarebbe dovuta essere una sua ex, invece il risultato è che si ritrova incastrato fra due persone che ha visto nude, e non nel senso piacevole del termine. « Sto preparando una lezione di letteratura. » Tutto e niente: le dita finiscono per picchiettare la copertina in brossura dell'Edipo Re, una delle tragedie preferite dai ragazzi ma che lui continua a trovare troppo qualunquista, sporcata da una necessità di generalizzare che è propria degli anni duemila. Spera di riuscire a lasciare impresso qualcosa di differente, che non sia l'indovinello più famoso del mondo, neanche citato dai tragediografi. « Spiega cosa andrai a trattare, poi da lì viene da sé. » phoebe   fragilità dell’animo umano, responsabilità e volontà divina, pulsioni e complessi. A distanza d’anni s’è pentita d’aver abbandonato i testi universitari, che in determinati contesti ha sentito gravare la presenza ( che è assenza di nozioni ) di lacune mai colmate. S’è pentita d’essersi sentita fuori luogo, d’aver macchiato d’inchiostro la sua pelle ( che adesso si costringe a celare dietro stoffe e tessuti d’una qualità più ricercata ) e d’aver sognato ad occhi aperti in più d’un occasione. Quella a cui siamo costretti ad andare incontro è una figura più esile ( e badate bene non parliamo di corporatura ), che ha sostituito la giada attorno al collo con una serpentina argentea che in questo esatto momento ha preso a carezzare – sfiorando il profilo di quelle clavicole meno evidenti rispetto al decennio prima. E se prima v’era l’astio contro un governo totalitarista, adesso riserva quel tipo di acredine ad oli e lozioni che finiscono solo a dissipare dollari – che le striature bianche sul culo le ha ancora! « Ti ricordavo scrittore. Hai deciso di sperimentare l’enigmatico mondo dell’educazione? » la proposta d’un caffè finisce per morirle tra le labbra, fingendo di incolpare l’orario poco consono, la paura di finire ipertesa come lo zio Gabe o il cinese che ha appena spezzato il brusio di quel locale con un libro finito a terra per sbaglio. « Non siamo tutti retori come te. » le stesse labbra che finiscono per incresparsi in un sorriso. alessandro   alessandro ha poche cose di cui pentirsi: l'evasione delle regole non è qualcosa che gli è mai realmente appartenuta, ha sempre viaggiato su binari ben delineati, rare le volte in cui s'è concesso qualche strappo alla regola. Forse questo, forse altri particolari che ora ci sfuggono, han contribuito alla rottura fra i due che, visto quel che è successo dopo, lo affermerebbe tranquillamente, ha avuto particolare rilevanza nella sua vita. « No, voglio ancora fare quello da grande. » Affermazione che gli costa fatica, ché non si sente del tutto realizzato su quel piano: certo, ha comprato una casa costosa e può permettersi una vita agiata, ma da qui ad esser riconosciuto come scrittore... « Non so se Sophia McDermott te l'ha detto, ma stiamo lavorando a un progetto assieme. » Evasivo, ché è comunque geloso delle proprie creature ( e da qualche parte dovrebbe esserci qualche accordo alla privacy che ha firmato chissà quando, chissà dove ). « Mi hanno invitato a una lettura ad Harvard, comunque. » Indicando i libri che ha appoggiato sulla cassa. « E non serve essere retori, nel tuo caso. Basta avere i contenuti. » phoebe   ha bisogno di qualche secondo per attribuire un volto al nome, che è strano per quel che la riguarda: veder qualcuno realizzato in quel terreno nel quale lei ha preferito non addentrarsi, dove possiamo dire che ha fallito ( e badate bene, possiamo generalizzare su un discorso riguardante gli affetti senza legarci a quello del matrimonio! ) senza provarci, che bisogna rincorrere il lavoro – certamente non un anello al dito. Che poi il mondo lo conosciamo, una moglie stressata e combattuta tra la famiglia, la carriera e una bellezza che sfiorisce, un marito estraneo più per pigrizia che per volontà, pronto a cercar l’affetto negato tra le coperte di una segretaria più giovane. « No, non me l’ha detto. » evasiva come lui prima di lei, che a nessuno dei due interessa approfondire discorsi su rapporti mancati. « Sono contenta per te, dico davvero. » quando s’è ormai ritrovata a spostar lo sguardo sulla figura della ragazza ( che no, lei non l'ha vista nuda! ) « Ti scriverò per un caffè, in questi giorni. Così possiamo approfondire l'argomento contenuti e – » pausa, che le è stata riconsegnata quella carta che adesso torna ad essere abbandonata con poca attenzione all’interno della borsa. Ma rivediamo quella piccola scintilla irriflessiva? Irruente? Probabilmente istintiva, che la spinge a sfiorare con le labbra la guancia dell’uomo« – e mi ha fatto piacere rivederti. »
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