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Mattino di Antonia Pozzi: Un’ode alla vita e alla natura. Recensione di Alessandria today
La poesia di Antonia Pozzi è una celebrazione della natura e dell’armonia tra l’uomo e il mondo naturale
La poesia di Antonia Pozzi è una celebrazione della natura e dell’armonia tra l’uomo e il mondo naturale. “Mattino” di Antonia Pozzi è una poesia che evoca la bellezza del risveglio della natura, un momento intimo e intenso in cui l’autrice riflette sull’appartenenza dell’uomo alla terra e sulla sua connessione con il mondo naturale. Scritta nella quiete di Pasturo, tra le montagne della…
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“a silent story” photo by Fabrizio Pece (tumblr | 500px | instagram)
Il bosco di betulle, ai piedi della montagna, si ergeva come un santuario silenzioso, un luogo dove il freddo inverno si abbandonava alla grazia candida della neve. Alle dieci di quel mattino, il sole cercava di penetrare tra i rami spogli delle betulle, gettando un bagliore argenteo sui sentieri di neve intonsa. Non c'era un suono tranne il leggero fruscio delle foglie secche cullate dalla brezza.
Guido, un uomo di mezza età con una cicatrice profonda sul viso e gli occhi che portavano il peso di troppi inverni, camminava solitario tra gli alberi. Il suo respiro si trasformava in nuvole vaporose nell'aria gelida. Vestito con un cappotto logoro, con lo sguardo assorto, era un intruso in quel regno di pace e silenzio.
Le betulle si stagliavano come figure spettrali e la loro corteccia bianca risplendeva sotto il tocco del sole invernale. I rami sottili si intrecciavano come dita ossute, protese verso il cielo. La neve, immacolata e incontaminata, scricchiolava sotto i passi di Guido, un suono delicato che sussurrava i segreti di una terra dimenticata.
Nel cuore del bosco si fermò. Poco distante notò uno spazio aperto dove la neve si adagiava come un manto soffice. Si avvicinò e si sedette su un tronco caduto, osservando la vastità del paesaggio innevato. Il silenzio del bosco era sospeso nel tempo, un'armonia serena che avvolgeva ogni pensiero.
Un cervo, timido e maestoso, fece la sua comparsa ai margini del bosco, i suoi occhi si fissarono su Guido. I loro sguardi si incrociarono per un istante, un legame silenzioso tra l'uomo e la creatura selvaggia. Poi il cervo si allontanò, scomparendo tra gli alberi come un fantasma della foresta.
Guido si alzò lentamente, sentendo la solitudine del bosco penetrare nelle pieghe della sua anima. Era come se il silenzio avesse rivelato la fragilità della vita, la bellezza effimera di un momento invernale. Con un'ultima occhiata alle betulle, al loro bianco splendore, si diresse lentamente verso il sentiero di neve, lasciando il bosco alle sue spalle.
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Concentrati su ci�� che ti piace, non sui tuoi desideri.
- Potresti non voler fare esercizio, ma ti piace come ti fa sentire.
- Potresti non voler scrivere, ma ti piace la sensazione di realizzazione.
- Potresti non voler svegliarti presto, ma ti piace la calma bellezza del mattino.
Il desiderio è il desiderio che provi prima di fare qualcosa. Il piacere è la soddisfazione che provi dopo aver fatto qualcosa. Lascia che ciò che ti piace ti guidi.
Enzo Celli
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La spogliarellista
Certo: per te è solo un lavoro. E porti a casa buona parte del magro budget che vi serve per pagare le bollette e mangiare. Ma lui è geloso. Moltissimo. Non riesce a far pace, con questa cosa. Vorrebbe che tu fossi solo sua, non sopporta gli occhi carichi di libidine degli altri uomini che ti guardano mentre ti esibisci. Ti controlla la borsa, prende i soldi degli omaggi che ti infilano negli slip da lavoro che indossi: striminziti e ornati di strass. Però strappa tutti i bigliettini con i numeri di telefono che mettono in mezzo alle banconote e che tu comunque metti in borsa: “perché li conservi? Puttana! Mi farai morire.”
Ma poi dal letto, sebbene incazzato nero e roso dalla gelosia, ti osserva mentre ti prepari per ciò che resta della notte insieme. La notte: che sia benedetta. Non può fare a meno di ringraziare Dio per il fatto che tu abbia scelto proprio lui e che dorma assieme a lui. Sei una vera Dea dell’amore, una donna di una bellezza incredibile, che fa male al cuore. Anche alle tre del mattino, stanca, sudata e con le occhiaie, mentre ti strucchi davanti allo specchio, sembri Venere appena scesa sulla Terra dal consesso degli Dei. Lo guardi di riflesso dallo specchio e lo fulmini, con uno sguardo silente e ghiacciato, che lo congela all’istante.
Ti sdrai di fianco a lui e ti giri di schiena. Gli tieni un po’ di broncio. Vuoi farlo macerare nel suo brodo di sofferto imbarazzo, nell’essere vicinissimo a una delle donne più belle del pianeta e avere dentro l’orgoglio che gli impedisce di accarezzarla. Stupido: non capisce che non aspetti altro! Non parli con lui perché sei stufa; vuoi punirlo per le frasi terribili che ti dice sempre al tuo rientro. Ma già sai che durerà poco. La scena si ripete regolarmente: tutte le volte, a luna altissima in cielo. Quando le altre coppie dai ritmi più regolari hanno già fatto l’amore e dormono della grossa. Oppure si danno la schiena e si ignorano, odiandosi cordialmente.
Ti insulta perché è la gelosia d’amore, che lo pervade e lo fa parlare. Vorrebbe controllarti, perché sei bellissima, una creatura da adorare e servire. Preferirebbe tu fossi più sottomessa e discreta, nella vita quotidiana. Ma sei un’anima libera, una che guarda tutti negli occhi. Una donna umile ma che cammina a testa alta e senza pregiudizi. Lui adesso osserva la perfezione del tuo culo e dei tuoi fianchi, sente l’attrazione magnetica del tuo corpo, l’odore meraviglioso delle tue ascelle, del tuo culo, della tua schiena e allora non può più trattenersi. Si avvicina. Tu allora con uno scatto ti poni decisa su di lui e comandi il gioco.
L’hai in pugno, non c’è nulla da fare. Controlli la sua mente, il suo sesso. Ti adora e lo sai. Non può fare a meno di te. Ti metti a cavallo imperiosa sui suoi fianchi. Quando fai così egli ti perdonerebbe anche se avessi ucciso sua madre. Non sa, poverino, che è comunque un progetto che avresti proprio desiderio di realizzare, prima o poi: per lei infatti tu sei solo una donnina di facili costumi. Quella povera bigotta repressa che solo Dio sa come abbia fatto a trovare un marito e poi a generare un figlio così bello, intelligente e strafigo. E tu glielo stai traviando! Ma non è colpa tua, se esisti solo per essere desiderata dagli uomini. Per giunta, quando te lo fanno capire è una cosa che adori, infatti ti fa tremare le gambe ogni volta. Ma riesci comunque a restare impassibile. Quasi sempre.
Piacere agli uomini semplicemente ti succede da quando hai cominciato lo sviluppo. Non ci sono mai state fasi intermedie: sei passata direttamente dall’essere una bambina a rappresentare il desiderio di qualsiasi maschio ti incontrasse. Già a scuola. E non erano tanto i tuoi coetanei a sbavarti dietro, a colmarti di attenzioni e riempirti di regalini e complimenti: erano i professori, gli amici di tuo padre, i mariti delle vicine, gli uomini maturi. E così hai scoperto che comunque è piacevole essere desiderata.
“L’uomo desidera la donna; la donna desidera il desiderio dell’uomo”
Il tuo compagno proprio non capisce cosa si agita dentro di te, mentre sei al lavoro. E forse questo è un bene. Quando ti esibisci, inizi spogliandoti lentamente; poi ti muovi sensualmente nella tua pole dance da infarto. Sei bravissima, flessuosa e seducente al massimo. Danzando, esce fuori la femmina vera e dominatrice che senti di essere. Senti di avere il potere su ogni uomo intorno alla pedana.
Muovendoti e sudando nella sala riscaldata, sviluppi e diffondi in grande quantità il profumo del tuo stesso sesso, un odore vero e inesorabile, impietoso. Quello che da millenni spinge il genere umano a procreare. Ringrazi mentalmente quegli occhi che ti desiderano e intimamente vorresti soddisfarli tutti. Col cuore ma soprattutto col tuo corpo. Spesso hai un orgasmo, mentre sei sulla scena. E quando succede, loro lo capiscono e restano muti ad ammirare lo spettacolo incredibile di una donna che gode. Il tuo lavoro ti piace moltissimo. Sei veramente tu, lassù. Perciò la notte a casa ti sfoghi, divorando letteralmente il tuo uomo, soggiogandolo, sfiancandolo letteralmente. Ne hai il bisogno fisico. Beato ragazzo, fortunato mortale a goderti. Poi, dopo l’amore e il sonno assieme, torna il giorno.
Ti lavi, fai colazione più o meno alle undici-mezzogiorno, mentre lui è a lavorare; ti vesti, esci a fare la spesa o per altre commissioni. Quando passi, di colpo tutti ammutoliscono. Non ci fai più caso, ormai. Da un sondaggio effettuato, metà delle donne che incontri ti ucciderebbero, l’altra metà mente. Ogni giorno invariabilmente qualcuno ti fa capire senza mezzi termini che sarebbe disposto a offrirti del denaro, per averti una volta. Molto denaro. Tu però con un sorriso declini. Torni a casa, prepari qualcosa per quando lui più tardi tornerà, pulisci la casa o leggi, Poi riposi ancora un po’ e quindi ti prepari per la serata. Quattro volte a settimana. Segui un rito sempre uguale e speri che anche stasera ci sia pubblico, che quando tu salirai sul palco per esibirti, tu possa continuare a rappresentare la quintessenza del desiderio maschile.
Perché semplicemente adori vedere le loro mascelle cadere, quando t’avvicini pericolosamente col bacino o con le natiche alle loro facce. Osservi i loro occhi spalancati; senti i loro aliti sul ventre o sulla schiena. Con te vicinissima, per qualche secondo loro nutrono la loro anima, in genere solitaria e disperata, della tua bellezza e si immergono nella pura voluttà. Poi li vedi e li senti socchiudere gli occhi e aspirare il tuo profumo. Per questo, sull’inguine e nel solco tra le natiche ne metti tantissimo. A loro devi restare impressa come un sogno: impossibile ma vicino. Dovranno ringraziarti e poi mettere delle banconote nell’elastico dello slip, quindi desiderare di vederti di nuovo. Torneranno, torneranno. Perché sei nata per essere sognata dalla libidine maschile. Sei la regina del desiderio degli uomini soli.
RDA
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La buona notizia siamo noi.
Noi che guardiamo gli orrori del mondo e decidiamo di entrare in scena lo stesso, di agire, di seminare, di condividere le nostre esperienze, le nostre conoscenze, la nostra voglia di trasformare ogni dolore in amore.
Noi che possiamo essere la vera alternativa vivente al presente, abbiamo una responsabilità storica di portata straordinaria.
Noi tutti possiamo organizzare mille e mille incontri di qualsiasi portata, da una stretta di mano e un sorriso, dall'ascolto di chi soffre, alla mostra, al concerto, al convegno, dall'abbraccio personale all'evento dietro casa nostra.
Siamo noi la sola buona notizia possibile,
il solo faro che splende nella notte.
Certo, io credo di volerlo essere, ma anche tu che mi leggi puoi fare lo stesso, tu che forse non sai ancora se annuire o se dire di no, tu che vorresti assentire, ma ti chiedi "E io che cosa posso fare?".
Certo, là, fuori dalla porta di casa il mondo è feroce, le grida di odio e di guerra sommergono ogni nostro tentativo di respirare pace, amore, bellezza, bontà, coraggio.
E allora? Noi lo vediamo tutto questo?
Benissimo, ecco la buona notizia allora.
Se la verità viene uccisa ogni giorno davanti ai nostri occhi, non ci resta che essere noi ad affermarla di nuovo.
Se la bontà non viene più praticata dal mondo che abbiamo attorno a noi, ammesso che sia proprio così, dobbiamo essere noi a mostrare bontà, cose buone, lì dove viviamo.
Se la bellezza muore nel "mi piace o non mi piace" che rende bella una buccia di banana incorniciata, dobbiamo essere noi a ridipingere il bello, suonare il bello, parlare il bello, danzare il bello, aiutare a far sì che si veda il bello.
La buona notizia siamo noi.
Solo noi possiamo essere la luce della "speranza attiva" di un futuro migliore. Noi siamo la reale luce nella notte oscura del presente.
Noi che ad esempio possiamo "aiutare in pratica" i ragazzi che non ce la fanno, o quelli che non sanno le cose, o che non hanno alternative, o la forza.
Siamo noi che possiamo mostrare l'esempio delle nostre vite, insegnare ciò che conosciamo, dare tutto di noi stessi, risorse, tempo, denaro, idee per seminare un mondo migliore di questo.
Chi vede il mondo nuovo
è la sola buona notizia che esista.
Io che faccio?
Incontro le persone, mi spendo come posso, scrivo, come in questo momento, che mi sveglio con questi pensieri un'ora prima dell'alba, perché si getti un seme vero, bello, buono nel mattino di chi sta per leggermi.
Perfino, mi metto a recitare parole spirituali, strano ma vero, per far passare i concetti, per dare vita a certi sublimi semi della bellezza interiore.
È poco? È una goccia nell'oceano? È solo un ideale?
L'alternativa sarebbe "rinunciare", darsi per vinti, lasciarsi andare a credere di non essere capaci, di non avere il talento o le forze per cambiare il mondo.
No grazie, io non smetterò di incarnare la buona notizia che posso fare agire attorno a me.
La buona notizia siamo noi.
Noi. Io, tu, loro, voi. Chi altri sennò?
Noi possiamo impegnarci a dare noi stessi. Possiamo farlo. Possiamo fare tantissimo. Possiamo fare tutto.
Possiamo aiutare così tanto, possiamo seminare, offrire opportunità, diffondere conoscenza, se solo vogliamo farlo, se solo capiamo che la trasformazione del mondo non verrà mai da fuori, dall'alto, che sia dal Cielo, dal Comune, dallo Stato, dall'amico, dal padre o dalla madre, o dall'altro.
La vera, vivente, reale, attiva e presente
buona notizia siamo noi.
- Matteo Gazzolo - da "La vita continua"
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In un villaggio viveva un vecchio molto povero, ma perfino i re erano gelosi di lui perché aveva un bellissimo cavallo bianco; non si era mai visto un cavallo di una simile bellezza, una forza, una maestosità… i re offrivano prezzi favolosi per quel cavallo, ma l’uomo diceva a tutti: “Questo cavallo non è un animale per me, è come una persona. E come si può vendere una persona, un amico?”. L’uomo era povero, la tentazione era forte, ma non volle mai vendere quel cavallo.
Un mattino scoprì che il cavallo non era più nella stalla. L’intero villaggio accorse e tutti dissero: “Vecchio sciocco! Lo sapevamo che un giorno o l’altro ti avrebbero rubato il cavallo. Sarebbe stato molto meglio venderlo. Potevi ottenere il prezzo che volevi. E adesso il cavallo non c’è più, che disgrazia!”.
Il vecchio disse: “Non correte troppo! Dite semplicemente che il cavallo non è più nella stalla. Il fatto è tutto qui: il resto è solo giudizio. Se sia una disgrazia o meno non lo so, perché questo è solo un frammento. Chissà cosa succederà in seguito?”. Ma la gente rideva, avevano sempre saputo che era un po’ matto.
Dopo quindici giorni, una notte, all’improvviso il cavallo ritornò. Non era stato rubato, era semplicemente fuggito, era andato nelle praterie. Ora non solo era ritornato, ma aveva portato con sé una dozzina di cavalli selvaggi.
La gente di nuovo accorse e disse: “Vecchio, avevi ragione tu! Quella non era una disgrazia. In effetti si è rivelata una fortuna”.
Il vecchio disse: “Di nuovo state correndo troppo. Dite semplicemente che il cavallo è tornato, portando con sé una dozzina di altri cavalli… chissà se è una fortuna oppure no? È solo un frammento. Fino a quando non si conosce tutta la storia, come si fa a dirlo? Voi leggete solo una parola in un’intera frase: come potete giudicare tutto il libro?”.
Questa volta la gente non poteva dire nulla, magari il vecchio aveva ragione di nuovo. Non parlavano, ma nell’intimo sapevano bene che il vecchio aveva torto: dodici bellissimi cavalli, bastava domarli e poi si potevano vendere per una bella somma.
Il vecchio aveva un unico figlio, un giovane che iniziò a domare i cavalli selvaggi. E dopo una sola settimana, cadde da cavallo e si ruppe le gambe. Di nuovo la gente accorse, dicendo: “Hai dimostrato un’altra volta di avere ragione! Non era una fortuna, ma una disgrazia. Il tuo unico figlio ha perso l’uso delle gambe, ed era l’unico sostegno della tua vecchiaia. Ora sei più povero che mai”.
Il vecchio disse: “Sempre a dare giudizi, è un’ossessione. Non correte troppo. Dite solo che mio figlio si è rotto le gambe. Chissà se è una disgrazia o una fortuna?… non lo sa nessuno. È ancora un frammento, non ne sappiamo mai di più…”.
Accadde che qualche settimana dopo il paese entrò in guerra, e tutti i giovani del villaggio furono reclutati a forza. Solo il figlio del vecchio fu lasciato a casa perché era uno storpio. La gente piangeva e si lamentava, da ogni casa tutti i giovani erano stati arruolati a forza, e tutti sapevano che la maggior parte non sarebbe mai più tornata, perché era una guerra persa in partenza, i nemici erano troppo potenti.
Di nuovo, gli abitanti del villaggio andarono dal vecchio e gli dissero: “Avevi ragione, vecchio: la tua è stata una fortuna. Forse tuo figlio rimarrà uno storpio, ma almeno è ancora con te. I nostri figli se ne sono andati, per sempre. Almeno lui è ancora vivo, a poco a poco ricomincerà a camminare, magari solo zoppicando un po’…”.
Il vecchio, di nuovo, disse: “Continuate sempre a giudicare. Dite solo che i vostri figli sono stati obbligati a partire per la guerra, e mio figlio no. Chi lo sa… se è una fortuna o una disgrazia. Nessuno lo può sapere veramente. Solo dio lo sa, solo la totalità lo può sapere”.
Non giudicare, altrimenti non sarai mai unito alla totalità.
Sarai ossessionato dai frammenti, vorrai trarre delle conclusioni basandoti solo su dei particolari.
Una volta che hai espresso un giudizio, hai smesso di crescere.
Di fatto, il viaggio non finisce mai.
Un sentiero finisce, e ne inizia un altro.
Una porta si chiude, e un’altra se ne apre…
Tratto da un racconto di Osho
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Minù per sempre
Mancano due giorni al tuo compleanno cara Minù, due giorni e arriverai alla tua doppia cifra. Dieci anni.
Mancavano poche ore Minù, pochissime. Ma tu come molte attrici del passato, che così hanno conservato la loro bellezza per sempre in uno scatto fotografico, te ne sei andata prima. Il tuo cuore malandato nella notte ha ceduto.
Non me l'aspettavo che nel giro di dodici ore, dall'essere la Minù di sempre, ti sia trasformata in una palla di neanche due chili inerme.
Ti ricordi qualche settimana fa? Ti dissi di non aver paura, che ne avrei avuta io per entrambi. Ho le spalle larghe.
Ecco, ora non ho più paura ma un vuoto spaventoso, resta di te l'ultimo contatto. Quando prendendoti in braccio come un neonato, dopo averti baciato sulla nuca, hai infilato la tua testolina sotto il mio mento. Cercando protezione e calore.
Quel contatto che cercavi sempre appena ci si sdraiava sul divano o sul letto, occupavi poco spazio su di noi. Eppure il calore del tuo amore scaldava.
Incredibile come un esserino come te riempisse così tanto.
Sei nata nella notte di Santa Lucia, sei stata un dono per molte cose. Ci lasci Tea la tua bimba che ora girovagherà da sola senza più una mamma-amica compagna di giochi.
Ho sentito dire che alcune eminenze dicono che i cani non hanno un'anima. Vero o falso non l'ho so, ma sono certo che tu la mia anima l'hai rasserenata e aggiustata la dove gli umani con l'anima certa, non ci sono riusciti. Anzi.
Ora che dire, sei sul ponte o lo avrai attraversato non lo so. Una cosa è certa, con la tua innata curiosità lo starai facendo con le orecchie dritte e in piena attenzione.
Mi diranno di non piangere che un cane non è un essere umano, che lei non aveva coscienza della morte e che tutto come ogni fatto della vita passerà.
Evidentemente non hanno mai visto te starmi vicino quando avevo l'ansia, guardarmi con i tuoi occhioni compassionevoli mentre piangevo oppure i discorsi che ti facevo sul divano. Si molto probabilmente quelli ti annoiavano, visto che ti addormentavi su di me.
Se tu non avevi un'anima allora sei stata in gamba, anzi in zampa, a far crescere la mia. Io credo che un'anima molto più grande del tuo piccolo corpo ce l'avevi. Eccome.
Tranquilla, piango ora che è mattino presto, al buio, così non mi vedrà nessuno. Neanche la tua piccola Tea che ti sta aspettando alla porta d'ingresso.
Addio mia piccola Minù. Un bacio sulla testina piccina.
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La bellezza degli alberi, la delicatezza dell'aria, il profumo dell'erba, mi parlano. La cima della montagna, il tuono del cielo, il ritmo del mare, mi parlano. La flebilità delle stelle, la freschezza del mattino, la goccia di rugiada sul fiore, mi parlano. La forza del fuoco, il gusto del salmone, il sentiero del sole, e la vita che non passa mai, mi parlano. E il mio cuore vola.
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Una splendida foto di una madre e sua figlia.
Dina e sua figlia Alin furono legate insieme e bruciate vive nel loro kibbutz il 7 ottobre.
Per la loro memoria.
Bellezza e amore Di fronte alle grida di Allah Akbar. 💔
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Penso alla notte prima, prima che la tragedia si compia. Penso alla quotidianità fatta di piccole cose, gesti abitudinari, scontati, ai piccoli screzi di una sera di festa. Penso a nonni che giocano con i propri nipotini prima di metterli a letto leggendo loro una favola; immagino un giovane marito guardare con amore la propria sposa che accarezza il suo ventre pieno di una vita che sta per nascere; vedo dei ragazzi che bere e ballare al tramonto pieni di voglia di vivere e convinti che quel divertimento non avrà mai fine. Cala la notte e tutti vanno a letto, ragazzi, nonni bambini, con la mente che va alla giornata di riposo che li aspetta, fra giochi infantili, un giardino da sistemare, un libro letto in veranda e nessuno di loro sa che quella è la loro ultima notte su questa terra perché il mattino dopo degli esseri malvagi, cresciuti a odio e disprezzo di tutto ciò che c'è di buono in questo mondo piomberanno nelle loro vite e nelle loro case per rapinare, uccidere, violentare nella maniera più abominevole possa esservi.
Sto pensando alle centina di vittime del pogrom di un anno fa, del 7 ottobre 2023, a persone come Dina e la sua bambina Alina legate insieme e bruciate vive nel loro kibbutz per odio antisemita.
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Per quanto gli uomini, riuniti a centinaia di migliaia in un piccolo spazio, cercassero di deturpare la terra su cui si accalcavano, per quanto la soffocassero di pietre, perché nulla vi crescesse, per quanto estirpassero qualsiasi filo d’erba che riusciva a spuntare, per quanto esalassero fiumi di carbon fossile e petrolio, per quanto abbattessero gli alberi e scacciassero tutti gli animali e gli uccelli, la primavera era la primavera anche in città, il sole scaldava, l’erba, riprendendo vita, cresceva e rinverdiva ovunque non fosse strappata, non solo nelle aiuole dei viali, ma anche fra le lastre di pietra , e betulle, pioppi, ciliegi selvatici schiudevano le loro foglie vischiose e profumate, i tigli gonfiavano i germogli fino a farli scoppiare; le cornacchie, i passeri e i colombi con la festosità della primavera già preparavano nidi, e le mosche ronzavano vicino ai muri, scaldate dal sole. Allegre erano le piante, e gli uccelli, e gli insetti, e i bambini. Ma gli uomini, i grandi, gli adulti, non smettevano di ingannare e tormentare se stessi e gli altri. Gli uomini ritenevano che sacro e importante non fosse quel mattino di primavera, non quella bellezza del mondo di Dio, data per il bene di tutte le creature, la bellezza che dispone alla pace, alla concordia e all’amore, ma sacro e importante fosse quello che loro stessi avevano inventato per dominarsi gli uni sugli altri.
- Lev Tolstoj
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"La bellezza del mattino non è nelle cose che andiamo a fare o se c'è un bel sole ...ma nel pensiero ...
nel desiderio delle cose che potremmo fare."
-R. Colonnelli -
BUONGIORNO ♣️
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Gioconda Belli (Scriverti)
"Scrivere, scriverti, ritrarti. Impregnarti
i capelli di tutte le
parole trattenute, sospese nell’aria, nel tempo, in
quel ramo di cortés carico di fiori gialli la cui
bellezza mi fa rizzare i capelli quando scendo
sola per strada pensierosa. Definire il mistero, il
momento preciso della scoperta, l’amore, questa
sensazione d’aria compressa dentro il corpo sinuoso,
l’esplosiva felicità che mi fa piangere e mi colora
gli occhi, la pelle, i denti, mentre divento
fiore, edera, castello, poesia, tra le tue mani che mi
accarezzano e mi sfogliano, facendo sorgere parole,
sconvolgendomi tutta, grondante del mio
passato, della mia infanzia, di ricordi felici,
di sogni, di mare che si infrange
contro gli anni, sempre
più bello e più grande,
più grande e più bello.
Come posso ghermire l’illusione, stringerla tra le mani e
liberarla davanti a te come una colomba felice
che voli via
a scoprire la terra dopo il diluvio; scoprirti fin
nelle pieghe più sconosciute, impregnandomi di te
lentamente, come una carta assorbente,
perdendomi,
perdendoci tutti e due, nel mattino in cui
abbiamo fatto l’amore
con tutto il sonno, l’odore, il sudore della notte
salata sui nostri corpi, inzuppandoci d’amore,
facendolo grondare in grandi immense onde,
immergendoci nell’amore, bagnandoci con
l’amore che ci soverchia".
.............
"Gioconda Belli è nata in Nicaragua nel 1948. Ha partecipato attivamente alla lotta del Fronte sandinista contro la dittatura di Somoza".
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Una domenica perfetta con la mia Fiat 500 sul Lago di Como!
Con la mia Fiat 500 d'epoca ho vissuto una giornata straordinaria: il raduno sul Lago di Como mi ha regalato una felicità senza pari, con un viaggio lungo 300 km (senza nessun problema)!
Una domenica sul Lago di Como con la mia Fiat 500 d'epoca: 300 km di pura gioia Cari amici e appassionati di Fiat 500, voglio condividere con voi una grande emozione. Domenica 15 settembre 2024 ho partecipato al raduno "Giriamoci la Brianza", un evento dedicato a noi amanti del mitico Cinquino. Non era la prima volta che partecipavo a un raduno, ma questa volta è stato tutto diverso. La mia Fiat 500 d'epoca, che in altre occasioni mi ha lasciato per strada, dopo i lavori fatti dal mitico George, ha affrontato più di 300 chilometri senza alcun problema, una vera goduria! Il raduno: un viaggio tra amici e paesaggi mozzafiato Il raduno è iniziato a Vedano al Lambro, a Monza, dove dalle 8:00 alle 10:00 ci siamo ritrovati tutti, pronti per una giornata piena di emozioni. L’atmosfera era già magica: decine di Cinquecento d'epoca, ognuna con il suo stile unico, brillavano al sole del mattino. Tra chiacchiere e sorrisi, ho ricevuto la mia sacca con gadget ricordo, che conservo gelosamente.
Alle 10:30, siamo partiti in gruppo per la prima tappa: Colico, una splendida località sulle sponde del Lago di Como. La mia 500 d'epoca ha affrontato la strada senza intoppi, e già da quel momento mi sentivo al settimo cielo! La storia che vive al Forte Montecchio Nord Arrivati a Colico, abbiamo avuto la fortuna di visitare il Forte Montecchio Nord, una delle fortezze meglio conservate della Prima Guerra Mondiale. Per me, amante della storia, è stato un vero tuffo nel passato. Il forte, con le sue mura imponenti e l’atmosfera d’altri tempi, ci ha regalato momenti indimenticabili. È stato emozionante immaginare cosa dovessero vivere i soldati di un tempo, proprio lì dove ora stavamo camminando noi, circondati dalla bellezza del lago. Dopo la visita, in molti si sono fermati per un pranzo al sacco. (in realtà ho cercato una trattoria nei paraggi :-) Un viaggio che non dimenticherò mai Dopo il pranzo, siamo ripartiti per la seconda parte del nostro tour, circa 65 chilometri che ci hanno portato a Como. La strada si snodava tra curve e panorami meravigliosi, e la mia Fiat 500 continuava a darmi soddisfazioni, senza mai dare segni di cedimento. Per un'auto che spesso si è fermata in passato, percorrere tutti quei chilometri senza problemi è stato un vero trionfo! A Como, ci siamo fermati per un’ultima sosta al supermercato Bennet, dove ci siamo salutati tra appassionati, ognuno felice di aver vissuto una giornata straordinaria. Tornare a casa, sapendo che la mia 500 ha superato questa prova, mi ha riempito di orgoglio e gioia. Totale: 330 Km di goduria con 0 problemi. Sono troppo contento!!!
La mia Fiat 500 d'epoca: una compagna di vita e un amore profondo Quest'auto non è solo un mezzo di trasporto. Per me, e sono sicuro anche per molti di voi, è una compagna di vita, un'amica che, anche se a volte ci fa disperare con qualche guasto, riesce sempre a regalare emozioni incredibili. Ogni chilometro percorso durante il raduno è bellissimo. Sono tornato a casa stanco, ma con il cuore pieno di gioia. La mia Fiat 500 ha dimostrato ancora una volta di essere un’autentica fonte di felicità, capace di unire le persone e di farci vivere momenti unici. E voi? Anche voi avete partecipato a raduni con la vostra Fiat 500? Avete mai provato la gioia di percorrere tanti chilometri senza un intoppo? Raccontatemi le vostre esperienze nei commenti, sono curioso di sapere le storie che avete vissuto con la vostra amata 500!
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Falling Man fu scattata da Richard Drew, lo stesso fotografo che nel 1968 immortalò Bob Kennedy un attimo dopo che gli avevano sparato alla testa. Nella stessa circostanza immortalò pure la moglie Hethel che implorava i fotografi di non fare fotografie. All’epoca Drew era un ragazzino di ventun anni. Ne avrebbe avuti più di cinquanta quando, tre decenni dopo, la storia irruppe un’altra volta nella sua vita. Una fortuna che ti può capitare se fai il giornalista. La mattina dell’11 settembre Richard Drew si trovava a New York per fotografare una sfilata di abiti premaman. Il suo editor lo chiamò sul cellulare per dirgli di schizzare all’istante al World Trade Center. Un 747 si era appena schiantato contro una delle due torri. Giunto sul posto vide che gli aerei impazziti erano due, come le torri. In un batter d’occhio, era passato dai corpi di giovani donne incinte ai corpi di sventurati che si spiaccicavano al suolo dopo un volo di cento piani. Dalla vita alla morte, così. E che morte. Drew si mise comunque al lavoro. Era lì per quello, del resto. Le persone che fanno il suo mestiere non perdono tempo a pensare. Per loro una foto non è che un rettangolo da riempire in una frazione di secondo. Più importante dell’autore dell’immagine, però, è la sua natura. La gente che vide la foto sui giornali e si indignò non poteva sapere chi l’aveva scattata e perché si trovasse a Manhattan quel giorno. Solo col tempo alcuni sono giunti ad apprezzare l’inquietante simbolismo delle coincidenze messe insieme dal destino. Sul momento, la gente vide soltanto un’immagine. O per meglio dire: qualcosa che sembrava soltanto un’immagine. Perché quella scattata da Drew non era una semplice foto. C’era la brutale tragicità del soggetto. Ma c’era anche il fatto che è una foto di surreale bellezza. Falling Man non sembra il ritratto di una persona che, in preda a panico e disperazione, si lancia incontro alla morte. L’uomo precipita con l’elegante compostezza di un tuffatore olimpionico. Il corpo è in posizione verticale, in perfetto asse con la struttura di acciaio alle sue spalle che luccica al sole del mattino. Procede a testa in giù. Le braccia non sono protese in avanti nell’istintivo quanto inutile tentativo di proteggersi. E neppure si agitano. Sono distese e attaccate ai fianchi come se all’ignoto saltatore interessi soltanto favorire l’azione della forza di gravità. Sembra la posizione di un uomo che ha grande dimestichezza col vuoto. Si direbbe che costui non faccia altro da una vita: saltare dai grattacieli.
Ma è una coincidenza anche questa. Le immagini mentono. La frazione di secondo con cui Richard Drew ha riempito il rettangolo della foto non è la verità. Un attimo dopo avrebbe colto l’uomo nella stessa posa scomposta e disperata degli altri saltatori. Nondimeno l’immagine è lì, con la sua surreale bellezza. Ovviamente, la maggioranza di coloro che videro la foto sui giornali e si indignarono non ragionò affatto sulla sua qualità estetica. La bellezza è però dotata di poteri subliminali, riesce a farsi coglierne anche da chi – a cominciare dalla massa indistinta della gente – sembra sprovvisto del senso del bello. Pur senza esserne consapevoli, molti fra coloro che inviarono lettere di protesta ai giornali si sentirono oltremodo offesi proprio dalla minimalista eleganza della foto. Non ci si era limitati a mostrare il vuoto innominabile della morte, si era arrivati al punto assai più oltraggioso di mostrarlo come qualcosa di bello. Nel romanzo di DeLillo c’è l’11 settembre e c’è un Falling Man. «Un uomo penzolava, sopra la strada, a testa in giù. Era vestito come un uomo d’affari. Aveva un gamba piegata e le braccia distese lungo i fianchi». Non è pero lo stesso saltatore della foto. L’uomo indossa un’imbracatura di sicurezza che lo tiene sospeso nel vuoto. È un uomo che finge di cadere. Questo Falling Man è un artista che dopo l’attentato si cimenta nella provocatoria performance di mimare la foto di Richard Drew. Nelle strade la gente si infuria come si è infuriata per la foto. «Il traffico era quasi bloccato adesso. C’era gente che inveiva contro lui, indignata dallo spettacolo, una burattinata della disperazione umana». L’arte contemporanea fa spesso la sua parossistica figura nei romanzi di DeLillo
L'uomo che cade
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ieri sera ho alzato gli occhi al cielo e mi sono sentito leggero tanto che con un salto sarei volato via. ero nel posto che volevo, con chi volevo, ed ogni cosa storta in quel momento non poteva che essere migliore.
al semaforo rosso poco prima, nella fretta, ho trovato un momento per pensare. per immaginarti lì ancora senza di me che mi aspettavi, un po’ mi cercavi tra la gente, un po’ che mi immaginavi anche tu ed io che non arrivavo mai, il mio cuore a mille, il tuo già ad un passo da quel cielo.
lo sai? sono tornato a prendere fiato solo con te dentro quel mare di persone. e spesso non so neanche come dirti l’effetto che mi fai, non so neanche scriverti che quando chiudo gli occhi e sento la tua voce che mi chiama per nome un’orchestra inizia a suonare nella mia testa e guai a chi la ferma, guai a chi ci ferma.
al verde ho pensato che siamo fiori nel deserto e per trovarci, come ieri sera, ci abbiamo messo tanto, io un po’ in ritardo, tu pronta a prendermi per mano, io col mio fare un po’ da timido, tu con due occhi grandi pieni di bellezza.
come fiori nel deserto di incertezze, del passato dietro le spalle, chiuso dentro le scatole da portare via o mai troppo lontano da te. da quella te che ora sa come essere primavera e che dalla sua vita mi ha insegnato a vivere a perfidiato ma contando i passi e non importa se giusti o sbagliati se contati insieme.
talvolta provo ad entrare nei tuoi occhi e cerco di guardami come mi guardi tu che mi ci avvolgi dentro che quasi mi sembra di esserci sempre stato in quella luce che non è mai riflessa ma che ti arriva da dentro, che cresce come i primi fasci di luce al mattino.
inutile dirti che solo tu sai guardarmi come mi guardi tu, solo tu sai vedermi come mi vedi tu, solo tu. inutile dirti che più mi avvolgi e travolgi da quella tua luce più io mi sento eterno e tremendamente leggero, come ieri sera quando ho guardato il cielo.
tu che ti porti dentro quel mare sempre pronto ad esondare ma che sai calmare, tu che sei poesia anche in mezzo ai silenzi, tu che hai letto tra le righe del mio cuore fino ad incastrarti in ogni battito.
io non so come dirti che ti sento dentro le vene quando parli con me o che mi fai piovere dentro se mi tieni per mano, io non lo so come si fa ad essere come noi,
come i fiori nel deserto che c’era prima di te
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I vecchi del paese si alzano presto al mattino, girano tra le stanze di casa, sorridono aprono i cassetti, aspettano i nipoti aspettano le voci delle campane. I vecchi del paese sono quasi tutti innocenti, parlano il dialetto, sanno poco del mondo regalano proverbi, offrono caramelle a chiunque gli stia accanto. Nelle belle giornate, i vecchi si siedono davanti la porta di casa, osservano come il tempo sfalda l’intonaco osservano come il sole riscalda il passato. Se stanno bene si lamentano si lamentano ancor più di notte, al buio quando il dolore li avvolge tra le coperte li avvolge tra le rughe dell’infanzia. I vecchi del paese, sono la parte migliore che resta, la bellezza di una fiamma, l’essenza di un fiore, il profumo di un luogo, di un’epoca un profumo pronto a dissolversi.
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