#bande armate
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27 febbraio 1927. In Somalia si concludono le operazioni per la pacificazione dei sultanati
Il 28 Febbraio 1927 il Governatore della Somalia Cesare Maria de Vecchi di Val Cismon emanava un comunicato nel quale dichiarava il termine delle operazioni militari e la compiuta occupazione dei sultanati in esecuzione della legge che gli aveva affidato l’incarico.Si chiudeva così il ciclo delle operazioni per la pacificazione della Somalia Settentrionale iniziato nel Settembre del 1925 e…
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#bande armate#benadir#de vecchi di val cismom#dubat#fascismo#Grande Somalia#nogal#pacificazione#somalia#sultanati
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Congratulazioni e un sentito ringraziamento per essere qui – nonostante le minacce, nonostante la polizia fuori da questa sede, nonostante la panoplia della stampa tedesca, nonostante lo Stato tedesco, nonostante il sistema politico tedesco che vi demonizza per essere qui.
«Perché un congresso palestinese, signor Varoufakis?», mi ha chiesto di recente un giornalista tedesco. Perché, come ha detto una volta Hanan Ashrawi, «non possiamo contare sul fatto che i silenziosi raccontino le loro sofferenze». Oggi, la ragione di Ashrawi si è rafforzata in modo deprimente, perché non possiamo contare sul fatto che i silenziosi, che sono anche massacrati e affamati, ci raccontino dei massacri e della fame.
Ma c’è anche un’altra ragione: perché un popolo fiero e dignitoso, il popolo tedesco, viene condotto su una strada pericolosa verso una società senza cuore, facendosi associare a un altro genocidio compiuto in suo nome, con la sua complicità.
Non sono né ebreo né palestinese. Ma sono incredibilmente orgoglioso di essere qui tra ebrei e palestinesi – di fondere la mia voce per la pace e i diritti umani universali con le voci ebraiche per la pace e i diritti umani universali, con le voci palestinesi per la pace e i diritti umani universali. Essere qui insieme oggi è la prova che la coesistenza non solo è possibile, ma che è già tra noi.
«Perché non un congresso ebraico, signor Varoufakis?», mi ha chiesto lo stesso giornalista tedesco, immaginando di fare il furbo. Ho accolto con favore la sua domanda. Perché se un solo ebreo viene minacciato, ovunque, per il solo fatto di essere ebreo, porterò la Stella di David sul bavero della giacca e offrirò la mia solidarietà, a qualunque costo, in ogni modo. Quindi lasciatemi esser chiaro: se gli ebrei fossero sotto attacco, in qualsiasi parte del mondo, sarei il primo a chiedere un congresso ebraico in cui esprimere la nostra solidarietà.
Allo stesso modo, quando i palestinesi vengono massacrati perché sono palestinesi – secondo il dogma che per essere morti e palestinesi devono essere di Hamas – indosserò la mia kefiah e offrirò la mia solidarietà a qualunque costo, in qualunque modo. I diritti umani universali o sono universali o non significano nulla.
Tenendo presente questo, ho risposto alla domanda del giornalista tedesco con alcune domande da parte mia:
Esistono due milioni di ebrei israeliani, che sono stati cacciati dalle loro case e messi in una prigione a cielo aperto ottant’anni fa, sono ancora tenuti in quella prigione a cielo aperto, senza accesso al mondo esterno, con cibo e acqua minimi, senza possibilità di una vita normale o di viaggiare da nessuna parte, e che in questi ottant’anni vengono periodicamente bombardati? No.
Gli ebrei israeliani vengono affamati intenzionalmente da un esercito di occupazione, con i loro bambini che si contorcono sul pavimento e urlano per la fame? No.
Ci sono migliaia di bambini ebrei feriti, senza genitori superstiti, che strisciano tra le macerie di quelle che erano le loro case? No.
Gli ebrei israeliani vengono bombardati dagli aerei e dalle bombe più sofisticate del mondo? No.
Gli ebrei israeliani stanno subendo il completo ecocidio di quel poco di terra che possono ancora chiamare propria, senza che sia rimasto un solo albero sotto cui cercare ombra o di cui possano gustare i frutti? No.
Oggi i bambini ebrei israeliani vengono uccisi dai cecchini per ordine di uno Stato membro delle Nazioni Unite? No.
Oggi gli ebrei israeliani vengono cacciati dalle loro case da bande armate? No.
Oggi Israele sta combattendo per la sua esistenza? No.
Se la risposta a una di queste domande fosse sì, oggi parteciperei a un congresso di solidarietà ebraica.
Oggi ci sarebbe piaciuto avere un dibattito decente, democratico e reciprocamente rispettoso su come portare la pace e i diritti umani universali a tutti – ebrei e palestinesi, beduini e cristiani – dal fiume Giordano al Mar Mediterraneo con persone che la pensano diversamente da noi. Purtroppo, l’intero sistema politico tedesco ha deciso di non permetterlo. In una dichiarazione congiunta che comprende non solo la Cdu-Csu (Unione cristiano-democratica-Unione cristiano-sociale in Baviera) e l’Fdp (Partito liberale democratico), ma anche l’Spd (Partito socialdemocratico), i Verdi e, cosa notevole, due leader di Die Linke (La Sinistra), lo spettro politico tedesco ha unito le forze per garantire che un dibattito così civile, in cui possiamo essere in disaccordo, non abbia mai luogo in Germania.
Dico loro: volete metterci a tacere, vietarci, demonizzarci, accusarci. Pertanto non ci lasciate altra scelta che rispondere alle vostre ridicole accuse con le nostre accuse razionali. Siete voi a scegliere questo, non noi. Voi ci accusate di odio antisemita. Noi vi accusiamo di essere i migliori amici degli antisemiti, equiparando il diritto di Israele a commettere crimini di guerra con il diritto degli ebrei israeliani a difendersi. Ci accusate di sostenere il terrorismo. Noi vi accusiamo di equiparare la legittima resistenza a uno Stato di apartheid con le atrocità contro i civili, che ho sempre condannato e sempre condannerò, chiunque le commetta – palestinesi, coloni ebrei, la mia stessa famiglia, chiunque. Vi accusiamo di non riconoscere il dovere del popolo di Gaza di abbattere il muro della prigione a cielo aperto in cui è stato rinchiuso per ottant’anni, e di equiparare questo atto di abbattimento del muro della vergogna, che non è più difendibile di quanto lo fosse il muro di Berlino, ad atti di terrore.
Voi ci accusate di banalizzare il terrore del 7 ottobre di Hamas. Noi vi accusiamo di banalizzare gli ottant’anni di pulizia etnica dei palestinesi da parte di Israele e l’erezione di un ferreo sistema di apartheid in tutta Israele-Palestina. Vi accusiamo di banalizzare il sostegno a lungo termine di Benjamin Netanyahu ad Hamas come mezzo per distruggere la soluzione dei due Stati che dite di favorire. Vi accusiamo di banalizzare il terrore senza precedenti scatenato dall’esercito israeliano sulla popolazione di Gaza, Cisgiordania e Gerusalemme Est.
Accusate gli organizzatori del congresso di oggi di essere, cito, «non interessati a parlare delle possibilità di coesistenza pacifica in Medio Oriente sullo sfondo della guerra a Gaza». Dite sul serio? Siete fuori di senno?
Vi accusiamo di sostenere uno Stato tedesco che è, dopo gli Stati uniti, il maggior fornitore di armi che il governo Netanyahu usa per massacrare i palestinesi come parte di un grande piano per rendere impossibile la soluzione dei due Stati e la coesistenza pacifica tra ebrei e palestinesi. Vi accusiamo di non aver mai risposto alla precisa domanda cui ogni tedesco deve rispondere: quanto sangue palestinese deve scorrere prima che il vostro giustificato senso di colpa per l’Olocausto venga lavato via?
Quindi di nuovo vogliamo esser chiari: siamo qui a Berlino con il nostro congresso palestinese perché, a differenza del sistema politico e dei media tedeschi, condanniamo il genocidio e i crimini di guerra indipendentemente da chi li commette. Perché ci opponiamo all’apartheid nella terra di Israele-Palestina, a prescindere da chi abbia il coltello dalla parte del manico, proprio come ci siamo opposti all’apartheid nel Sudamerica o in Sudafrica. Perché siamo a favore dei diritti umani universali, della libertà e dell’uguaglianza tra ebrei, palestinesi, beduini e cristiani nell’antica terra di Palestina.
E per essere ancora più chiari sulle domande, legittime e maligne, a cui dobbiamo sempre essere pronti a rispondere:
Condanno le atrocità di Hamas?
Condanno ogni singola atrocità, chiunque sia l’autore o la vittima. Quello che non condanno è la resistenza armata a un sistema di apartheid concepito come parte di un lento ma inesorabile programma di pulizia etnica. In altre parole, condanno ogni attacco ai civili e, allo stesso tempo, festeggio chiunque rischi la vita per abbattere il muro.
Israele non è forse impegnato in una guerra per la sua stessa esistenza?
No, non lo è. Israele è uno Stato dotato di armi nucleari, con l’esercito forse più tecnologicamente avanzato del mondo e la panoplia della macchina militare statunitense alle sue spalle. Non c’è simmetria con Hamas, un gruppo che può causare gravi danni agli israeliani ma non ha alcuna capacità di sconfiggere l’esercito israeliano, né di impedire a Israele di continuare a mettere in atto il lento genocidio dei palestinesi sotto il sistema di apartheid che è stato eretto con il sostegno di lunga data degli Stati uniti e dell’Unione europea.
Gli israeliani non hanno forse ragione di temere che Hamas voglia sterminarli?
Certo che sì! Gli ebrei hanno subìto un Olocausto che è stato preceduto da pogrom e da un profondo antisemitismo che ha permeato l’Europa e le Americhe per secoli. È naturale che gli israeliani vivano nel timore di un nuovo pogrom se l’esercito israeliano cede. Tuttavia, imponendo l’apartheid ai propri vicini e trattandoli come subumani, lo Stato israeliano alimenta il fuoco dell’antisemitismo e rafforza quei palestinesi e israeliani che vogliono solo annientarsi a vicenda. Alla fine, le sue azioni contribuiscono alla terribile insicurezza che consuma gli ebrei in Israele e nella diaspora. L’apartheid contro i palestinesi è la peggiore autodifesa degli israeliani.
E l’antisemitismo?
È sempre un pericolo chiaro e presente. E deve essere sradicato, soprattutto tra i ranghi della sinistra globale e dei palestinesi che lottano per le libertà civili dei palestinesi in tutto il mondo.
Perché i palestinesi non perseguono i loro obiettivi con mezzi pacifici?
Lo hanno fatto. L’Olp (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) ha riconosciuto Israele e ha rinunciato alla lotta armata. E cosa ha ottenuto in cambio? Umiliazione assoluta e pulizia etnica sistematica. Questo è ciò che ha alimentato Hamas e lo ha issato agli occhi di molti palestinesi quale unica alternativa a un lento genocidio sotto l’apartheid di Israele.
Cosa si dovrebbe fare ora? Cosa potrebbe portare la pace in Israele-Palestina?
Un cessate il fuoco immediato. Il rilascio di tutti gli ostaggi – quelli di Hamas e le migliaia trattenuti da Israele. Un processo di pace, sotto l’egida delle Nazioni Unite, sostenuto da un impegno della comunità internazionale a porre fine all’apartheid e a salvaguardare uguali libertà civili per tutti.
Per quanto riguarda ciò che deve sostituire l’apartheid, spetta a israeliani e palestinesi decidere tra la soluzione dei due Stati e quella di un unico Stato federale laico.
Amici, siamo qui perché la vendetta è una forma pigra di dolore. Siamo qui per promuovere non la vendetta, ma la pace e la coesistenza in Israele-Palestina. Siamo qui per dire ai democratici tedeschi, compresi i nostri ex compagni di Die Linke, che si sono coperti di vergogna abbastanza a lungo, che due torti non fanno una ragione e che permettere a Israele di farla franca con i crimini di guerra non migliorerà l’eredità dei crimini della Germania contro il popolo ebraico.
Al di là del congresso di oggi, in Germania abbiamo il dovere di cambiare il discorso pubblico. Abbiamo il dovere di convincere la grande maggioranza dei tedeschi onesti che i diritti umani universali sono ciò che conta. Che «mai più» significa «mai più per nessuno». Ebrei, palestinesi, ucraini, russi, yemeniti, sudanesi, ruandesi – per tutti, ovunque.
In questo contesto, sono lieto di annunciare che il partito politico tedesco Mera25 di DiEM25 sarà sulla scheda elettorale per le elezioni del Parlamento europeo del prossimo giugno, cercando il voto degli umanisti tedeschi che desiderano un membro del Parlamento europeo che rappresenti la Germania e che denunci la complicità dell’Ue nel genocidio, una complicità che è il più grande regalo dell’Europa agli antisemiti in Europa e oltre.
Vi saluto tutti e vi suggerisco di non dimenticare mai che nessuno di noi è libero se uno di noi resta in catene.
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hanno sciolto i cani?
Una nuova strategia della tensione su scala europea: hanno sciolto i cani…
Per chiunque sia concentrato esclusivamente nella situazione della sua nazione è difficile cogliere la delicatezza e l’insidia del momento attuale.
L’inquisizione antifascista (o antinazionale) ha raggiunto livelli che non si conoscevano da decenni. Vengono vietate non solo le manifestazioni politicamente scorrette, ma perfino le commemorazioni. La propaganda dei media sta sbandierando un pericolo fascista del tutto assurdo.
Intanto si organizzano e colpiscono bande armate internazionali. Limitandoci a quanto ufficialmente stabilito nei processi, ci sono stati 18 tentati omicidi in Germania e 9 in Ungheria ad opera degli antifa. Gli imputati sono incompatibili per il carcere secondo i giudici tedeschi. In Grecia sono stati arrestati degli anarchici dopo attentati all’esplosivo – con vittime – e, benché siano stati trovati in possesso dei timer, sono stati rilasciati per insufficienza di prove.
Sembra di rivivere la nascita della strategia della tensione degli anni settanta in Italia, ma su scala europea.
Cui prodest?
-Kulturaeuropa
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youtube
Yesterday's posts made me think of this song that I love. It's also a song inspired by the maquis (guerrilla fighters against Franco's dictatorship), or so I have always interpreted.
I si demà no tornara ("If I don't come back tomorrow") by the Valencian band Obrint Pas.
Here's the lyrics in Valencian-Catalan and the translation to English:
La por em desvetla a les nits sense dormir i sent el vell revòlver que descansa sobre el pit en aquest bosc humit els silenci és l’enemic a trenc d’alba partim seguint les llums del matí
Fear keeps me up on sleepless nights and I feel the old revolver that rests on my chest. In this humid forest silence is the enemy. At the break of dawn we leave following the morning lights.
Travessem l’aurora entre els cingles del massís en aquestes muntanyes sobreviure és resistir hem canviat mil cops de nom però tots sabem qui som guerrillers supervivents combatents de l’últim front
We cross the sunrise among the mountain range's cliffs. In these mountains, to survive is to resist. We have changed our names a thousand times but we all know who we are: surviving guerrilla fighters, combatants of the last front.
Unes flames roges cremem el nostre horitzó la casa on dormirem és un esquelet de foc han matat el masover ens solia refugiar anit em va somriure quan ens vam acomiadar
Red flames burn in our horizon: the house where we slept is a skeleton of fire. They have killed the sharecropper, he used to take us in, last night he smiled at me when we said goodbye.
La lluna ens recorda que som com estels errants ombres d’una guerra perduda en sendes de fang i quan la foscor em venç acaricie en soledat un record en blanc i negre el motiu del meu combat
The moon reminds me that we're like shooting stars, shadows of a war lost in muddy paths and when darkness beats me I caress in solitude a memory in black and white, the reason for my fight.
I si demà no tornara al lloc on et vaig deixar vull que recordes que un dia joves com nosaltres vam marxar a lluitar armats d’amor i coratge i un clavell roig amagat combatrem fins l’últim dia sota bandera de la llibertat
And if tomorrow I don't come back to the place where I left you I want you to remember that one day young people like us left to go fight armed with love and courage and a hidden red carnation we'll fight until the last day under the flag of freedom.
(Repeat lyrics)
The voices towards the end of the song, before the last chorus, are reading the names and ages of some of the antifascist fighters who were executed by Franco's dictatorship. Some of the voices overlap so I'm not 100% sure of all, but this is what I hear:
Àgueda Campos Barrachina, 29 years old. Isabel Sáenz González, 24 years old Agustí Jofre Capelinos, 50 years old Emilio (?), 16 years old (?), 29 years old (?) (?), 34 years old Emilio Caballero, 29 years old (?) Cabrera, 57 years old Vicenta Pont(?) Ferrer, 30 years old.
#obrint pas#música#arts#music#world music#valencià#català#langblr#antifascism#maquis#valencian#rock#ska
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RESPONSABILITÀ E DOVERI
di Antonio Gramsci
“ La convinzione che il regime fascista sia pienamente responsabile dell'assassinio del deputato Giacomo Matteotti, così come è pienamente responsabile di innumerevoli altri delitti non meno atroci e nefandi, è ormai incrollabile in tutti. L'indignazione sollevata da un capo all'altro d'Italia dal nuovo misfatto è rivolta non soltanto contro i masnadieri che hanno rapito in pieno giorno, a Roma, l'on. Matteotti per assassinarlo, non soltanto contro i camorristi che, minacciati dalla parola accusatrice del deputato unitario, ne hanno voluto la soppressione, ma contro tutto un metodo di governo, contro tutto un regime che si regge e si difende con organizzazioni brigantesche, che contrappone alle critiche avversarie le sanguinose imprese della sua mano nera, che adopera sistematicamente il bastone o il pugnale o la benzina per far tacere le voci moleste. Il governo tenta disperatamente di respingere da sé ogni responsabilità ed ogni colpa, il fascismo tenta di provare la propria innocenza condannando gli esecutori materiali del delitto. Tentativi puerili. Bisognava non esaltare la balda Gioventú sportiva che organizzò freddamente e compi l'orrenda strage di Torino; bisognava non esaltare e non sottrarre ad ogni punizione i banditi che da due anni terrorizzano l'Italia; bisognava poter governare senza ricorrere ogni giorno al delitto. Ma nella confessione stessa del governo di non poter rinunciare alle proprie bande armate, di non poter restituire una legge al popolo italiano, di non poter vivere senza far pesare sul popolo la minaccia permanente della violenza e dell'arbitrio, di dover sempre esaltare la virtú del ferro e del piombo, è la prova definitiva della colpa del regime. E la coscienza del popolo è insorta contro tutti i colpevoli. Anche i filofascisti, difensori per professione e per definizione di tutta l'opera del governo, hanno dovuto per un certo tratto seguire la corrente; ma il loro scopo era evidente ed è ormai raggiunto: impedire che il regime fosse travolto dalla stessa ondata di indignazione che ha travolto gli assassini. Invece tutti i partiti d'opposizione si sono immediatamente schierati, alla testa delle loro forze, contro il governo, contro il fascismo. Essi hanno compreso, al pari della grande maggioranza degli italiani, che, per eliminare il delitto dalla scena politica, occorre eliminare le cause del delitto, occorre il disarmo delle guardie bianche, la dispersione delle centrali di brigantaggio: la distruzione, cioè, di tutte le forze che tengono in piedi il fascismo. Questa esatta valutazione della situazione e delle necessità dell'ora imponeva ai partiti d'opposizione dei doveri, dei sacri doveri che non sono stati compiuti. Il tragico episodio ha dimostrato che è necessario proteggere la vita e l'incolumità personale dei cittadini seriamente minacciate dal fascismo. Alla commozione di tutto il popolo non è estranea la sensazione precisa di questa minaccia particolarmente grave per gli operai ed i contadini, minaccia che non scomparirà fino a quando il fascismo non sarà eliminato dal governo. Ebbene, che cosa hanno fatto le Opposizioni per raggiungere qualche risultato concreto? Esse si sono irrigidite in una posizione di attesa, con la speranza forse che lo scandalo dilagante sarebbe bastato da solo a colpire a morte il governo fascista. È certo che questa è un'illusione. Il governo fascista è riuscito fino ad ora a rimanere in piedi soltanto per la forza delle sue squadre armate e saranno le squadre armate che lo difenderanno fino all'estremo. L'attesa passiva è dunque una colpa. Se le Opposizioni borghesi non hanno forze organizzate per scendere in lotta, le Opposizioni proletarie possono contare sull'esasperazione di tutta la classe lavoratrice non piú disposta a sopportare una tirannia feroce. Bisogna saper raggiungere, attraverso lo stato d'animo che s'è venuto in questi giorni formando, l'unità della classe lavoratrice, unità indispensabile al raggiungimento della vittoria. “
---------
Testo dell’articolo apparso senza firma su «Stato Operaio» del 19 giugno 1924.
#Antonio Gramsci#antifascismo#leggere#citazioni#dittatura#Giacomo Matteotti#letture#Storia d'Italia#Omicidio Matteotti#Storia del XX secolo#democrazia#arbitrio#libri#violenza#intellettuali italiani del XX secolo#politica italiana#Stato Operaio#Partito comunista d’Italia#deputati#Regno d'Italia#giornalisti#secessione dell'Aventino#PCI#squadrismo#opinione pubblica#parlamentarismo#giornalismo#Camera dei deputati#PCd'I#ordinovismo
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Fate tanto così rumore per i fatti di Acca Larenzia senza però fare cenno alle adunate neonaziste in Ucraina per commemorare Stepan Bandera e delle bande armate "kantiane" per combattere il 'fascismo' russo di Vladimir Putin.
Antifascisti di cartone.
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Solo una modesta parte del territorio albanese era ancora sotto il controllo dello Stato. Nelle zone settentrionali del Paese si creò una situazione di anarchia, mentre nel meridione e nelle zone centrali (soprattutto Tirana, Durazzo, Valona, Elbasan, Lushnje), il territorio era caduto nelle mani di diverse bande armate. A complicare la situazione intervenne anche la lotta tra i diversi gruppi di trafficanti, i cui scontri armati finivano con decine di vittime fra i civili. I depositi di armi erano stati saccheggiati in tutta l’Albania e la maggior parte degli albanesi era munito di un fucile, quando non di armi pesanti, ormai di facile reperibilità. Nel mese d’aprile, l’Onu autorizzò l’invio in Albania di settemila soldati italiani nell’ambito dell’Operazione Alba, per ristabilire l’ordine nel Paese. Per disarmare gli albanesi ci volle molto tempo e con un risultato parziale: più di tre milioni di fucili, mitra e armi da combattimento non furono mai consegnate. La maggior parte di loro prese la strada del Kosovo, regione della Serbia a maggioranza albanese e musulmana. In realtà non si era trattato di un caso e nemmeno di una situazione contingente della Storia. Sali Ram Berisha era stato cardiologo, nonché segretario del comitato del Partito del lavoro presso la Facoltà di Medicina dell’Università di Tirana. Dal 1992, sedeva sullo scranno della presidenza dell’Albania. Era un democratico liberale. Ma soprattutto era stato definito «persona non grata» dal dipartimento di Stato Usa. Aveva certamente abbracciato in pieno i principali dogmi del capitalismo neoliberista, ma si ostinava a volere un’Albania indipendente, anche da Washington e dai suoi giochi di potere. Il Paese sull’Adriatico era uno snodo essenziale per i traffici illegali da e per i Balcani. Berisha dava un’interpretazione larga a questa definizione. Per lui i traffici erano traffici e gli affari erano affari. In più, di sicuro questi non dovevano coinvolgere estremisti islamici, avversati in tutti modi dal Presidente albanese. E così, le principali rotte di petrolio (illegale) per la Serbia passavano per il lago di Skutari, a cavallo tra il confine albanese e quello montenegrino. In barba a tutti gli sforzi fatti dalla Nato per isolare Belgrado e costringerlo alla resa incondizionata, Berisha aiutava a tenere in vita Belgrado. Anzi, la società che gestiva il traffico illegale di petrolio era la Shqiponja Co. ed era diretta da dirigenti del Partito democratico di Berisha. «Nel 1997 in Albania c’è stato un colpo di Stato mascherato», ha dichiarato l’ex funzionario del dipartimento di Stato Usa, James Jatras. «Bisognava far fuori Berisha per isolare Milosevic. Ma non solo. L’Albania si sarebbe dovuta islamizzare. C’era già l’accordo con l’Arabia Saudita. L’Albania doveva diventare terreno di operazione di al Qaida. Ma c’era una cosa che contava più di qualunque altra: il Kosovo aveva bisogno di un accesso al mare per i rifornimenti e le famiglie mafiose kosovare di un luogo sicuro dove preparare la guerra contro la Serbia». Il Kosovo era il tassello numero due da rendere indipendente dalla Serbia e possibilmente dipendente da Washington. Jatras: «La ‘ndrangheta molto fece per aiutare le bande criminali albanesi a rivoltarsi contro Berisha. E ancor prima le società finanziarie Usa (come la appena nata BlackRock, nda) favorirono il crollo del sistema bancario albanese. Insomma, quel che accadde in Albania nel 1997 aveva la nostra regia. Noi del dipartimento di Stato siamo veramente bravi a far saltare in aria Paesi e a rovesciare governi. Quando ci siamo di mezzo noi, trionfa sempre la “democrazia” e nessuno si accorge mai della nostra ombra, tutto appare sempre così spontaneo. Ma non c’è niente di meno spontaneo di una cosa spontanea». Come ha raccontato Xhavit Shala, ex capo della Criminalpol albanese, poche settimane dopo le dimissioni di Berisha, l’Albania diede la cittadinanza a un egiziano che si chiamava Ayman al Zawahiri. Era il numero due di al Qaida.
Franco Fracassi - The Italy Project
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Le bande partigiane divennero armate poiché ci fu un lento inserimento di ufficiali e sotto-ufficiali dell’ex Regio esercito
L’8 settembre, come si è visto nel 1 Capitolo, provocò la dissoluzione del Regio esercito. Questo fu un evento epocale per un paese che aveva una storia di appena ottant’anni e tra il popolo italiano vi era ancora uno scarso senso di appartenenza <123. Appartenenza e dissoluzione dell’esercito furono due fattori cruciali per la disfatta totale italiana, nonostante la disfatta nazionale, molti…
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#1943#bande#Cefalonia#esercito#fascisti#Federico Pierini#partigiani#regio#Resistenza#settembre#Sud#tedeschi#ufficiali#Veneto
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Le bande partigiane divennero armate poiché ci fu un lento inserimento di ufficiali e sotto-ufficiali dell’ex Regio esercito
L’8 settembre, come si è visto nel 1 Capitolo, provocò la dissoluzione del Regio esercito. Questo fu un evento epocale per un paese che aveva una storia di appena ottant’anni e tra il popolo italiano vi era ancora uno scarso senso di appartenenza <123. Appartenenza e dissoluzione dell’esercito furono due fattori cruciali per la disfatta totale italiana, nonostante la disfatta nazionale, molti…
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Le bande partigiane divennero armate poiché ci fu un lento inserimento di ufficiali e sotto-ufficiali dell’ex Regio esercito
L’8 settembre, come si è visto nel 1 Capitolo, provocò la dissoluzione del Regio esercito. Questo fu un evento epocale per un paese che aveva una storia di appena ottant’anni e tra il popolo italiano vi era ancora uno scarso senso di appartenenza <123. Appartenenza e dissoluzione dell’esercito furono due fattori cruciali per la disfatta totale italiana, nonostante la disfatta nazionale, molti…
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Le bande partigiane divennero armate poiché ci fu un lento inserimento di ufficiali e sotto-ufficiali dell’ex Regio esercito
L’8 settembre, come si è visto nel 1 Capitolo, provocò la dissoluzione del Regio esercito. Questo fu un evento epocale per un paese che aveva una storia di appena ottant’anni e tra il popolo italiano vi era ancora uno scarso senso di appartenenza <123. Appartenenza e dissoluzione dell’esercito furono due fattori cruciali per la disfatta totale italiana, nonostante la disfatta nazionale, molti…
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Haiti, nel regno di Barbecue l'unica ragione è la violenza L’orario e il giorno vengono cambiati più volte. Al minimo accenno di attacco della polizia, l’appuntamento slitta. La conferma arriva all’ultimo. Si può andare. Ma solo in moto e a capo scoperto per essere ben identificabili. Il quartier generale del super-ricercato Jimmy Chérizier alias Barbecue si trova a Delmas 6, a non più di dieci minuti dal Palazzo presidenziale. L’edificio, su cui sono impresse le ferite del terribile terremoto del 2010, e gli uffici intorno sono rigorosamente vuoti. Impossibile raggiungerli per il nuovo premier, Gary Conille, e i nove esponenti del Consiglio di transizione incaricato di far uscire il Paese più povero dell’Occidente dalla catastrofe umanitaria e politica in cui si dibatte. Il centro di Port-au-Prince è il cuore della «Repubblica delle gang» cioè il loro regno. Haiti è il laboratorio perfetto della “neolingua” orwelliana. Per cinque anni è stata dilaniata da una “non-guerra” – agli occhi della comunità internazionale - che ha liquefatto il già fragilissimo Stato fino all’espulsione di fatto, a marzo, dell’allora primo ministro Ariel Henry da parte delle bande armate. Milizie private utilizzate a lungo come strumento di controllo sociale e cooptazione dall’esigua élite economica e dai suoi referenti politici, sono poi diventate così potenti da “mettersi in proprio”. Dopo essersi combattute per anni a suon di stragi indiscriminate di civili per accaparrarsi brandelli di territorio nell’indifferenza del mondo, lo scorso febbraio, si sono federate in Viv Ansanm (vivere insieme), sotto la guida di Barbecue. È lui il presidente della “Repubblica delle gang” , il re di un “non-Stato” che prolifera sulle macerie dello Stato ufficiale, privo di un leader dall’omicidio di Jovenel Moïse nel 2021 e di rappresentanti eletti. Contro questo simulacro di istituzioni, Viv Ansanm ha sferrato l’offensiva che, gli scorsi mesi, ha messo a ferro e fuoco la capitale, a partire proprio dal centro. In migliaia sono stati massacrati tra gennaio e giugno. Uno dopo l’altro, commissariati, tribunali e edifici governativi sono stati alle fiamme, il carcere distrutto e 4mila detenuti liberati, università e ospedali vandalizzati e occupati dalle gang, incluso l’Hopital general, l’unico pubblico, tuttora inagibile. Quasi 600mila persone hanno dovuto riversarsi sulle colline, meno coinvolte dagli scontri, e accamparsi in scuole, piazze, perfino nel ministero della Comunicazione. I campi profughi improvvisati sono almeno 111 e il loro numero cresce di settimana in settimana. Da Port-au-Prince non si scappa: gli accessi alla città sono bloccati dalle bande. Di fronte allo scempio, dopo quasi due anni di stallo, il 25 giugno scorso sono arrivati i primi duecento agenti kenyani della missione multinazionale di supporto alla polizia locale, guidata da Nairobi. A luglio se ne sono aggiunti altri duecento. Finora, però, sono rimasti chiusi nella base vicina all’aeroporto in attesa di rinforzi: fonti ben informate sostengono che si dovrebbe arrivare a mille uomini dei tremila ipotizzati entro settembre. Sarà un bagno di sangue, ha avvertito, più volte, Barbecue. «La violenza causa solo una violenza maggiore. Come possiamo non reagire quando veniamo attaccati? I civili, purtroppo, ci vanno di mezzo ma non posso evitarlo anche se mi dispiace. La colpa non è delle bande ma della violenza dello Stato e di chi dall’estero lo manovra: Usa, Francia e Canada. Proprio per ridurre le sofferenze degli haitiani ho chiesto al premier Conille di aprire un dialogo», afferma in creolo l’ex poliziotto 46enne che, nel 2019, ha lasciato la divisa e fondato la potente banda G9. Rifiuta, però, di definirsi un boss. Nemmeno il titolo di “presidente” della Repubblica delle gang gli piace. Sostiene di non essere interessato al potere anche se da tempo fa discorsi “politici”. «Non voglio far parte del sistema. Lo combatto. Combatto chi ha ridotto Haiti in questo stato: quel 5 per cento che si è accaparrato il 95 per cento della ricchezza nazionale con la complicità dei governi corrotti e di Francia, Usa e Canada, senza il cui sostegno, nessuna decisione politica viene presa. Chi è allora Jimmy Chérizier? Un difensore del popolo haitiano». O un “non-presidente”, un “non sovrano”in omaggio alla neo-lingua. Per raggiungere il suo “ufficio”, uno dei tanti, si attraversa un paesaggio spettrale: file di casupole vuote, spesso bruciate, con i muri crivellati di proiettili. Carcasse di auto e cumuli di rifiuti interrompono le strade su cui sono state aperte buche profonde a colpi di machete per ostacolare l’entrata della polizia. I tradizionali mercati all’aperto sono scomparsi sostituiti da lagune di liquami fuoriusciti dai canali di scolo intasati dato che nessuno li pulisce. Gruppi di ragazzi con in pugno armi nuovissime controllano gli accessi. Solo quando fanno una «V» con le dita in segno di via libera è possibile proseguire. In prossimità di Delmas 6, la vita sembra riprendere un minimo di pseudo-normalità. Almeno fino allo scontro successivo. Barbecue, fresco di doccia, accoglie "Avvenire" sulla soglia di una modesta casetta a due piani dopo una breve anticamera. I cinque giovani che montano la guardia sistemano le sedie di plastica sul marciapiede aiutati da qualche bambino, ansioso di offrire i propri servizi. Intorno i residenti osservano, a cauta distanza, mentre i passanti salutano con deferenza “o chef”, (il capo). «Li vedi? Sono persone che mi hanno chiesto aiuto, perché non potevano curare i figli o non avevano da mangiare o i mezzi per cominciare una piccola attività. E io gliel’ho dato», afferma, deciso a confutare la fama di gangster spietato, braccio armato del defunto presidente Moïse, sanzionato da Usa e Onu per il massacro di decine di oppositori a La Saline nel 2018, quando era ancora nelle forze dell’ordine. «Non c’entro né con quella vicenda né con Moïse. Solo dopo l’assassinio mi sono reso conto che era un politico con una visione: voleva lo sviluppo di Haiti, per questo ha cercato di smantellare il sistema di monopolio del commercio da cui deriva il potere dell’élite. Così lo hanno eliminato. Ora vogliono fare lo stesso con me. Hanno armato altri gruppi per uccidermi. Ma io sono riuscito a trovare un accordo e a riunire le bande. Ho chiamato i capi uno per uno e ho spiegato loro: «Dobbiamo smettere di farci impiegare come carne da cannone dei potenti. Invece di ammazzarci fra noi, combattiamo insieme contro il vero nemico: gli oligarchi e i governi corrotti”. E mi hanno dato retta». Barbecue sostiene di ispirarsi a Jean-Jacques Dessalines, tra i protagonisti della rivolta di schiavi da cui è nata, nel 1804, la prima Repubblica nera della storia. Mostra con orgoglio la schiena dove si è fatto tatuare il volto del padre dell’indipendenza dalla Francia. «Se fosse vivo, anche lui sarebbe considerato un criminale come chiunque denunci l’ingiustizia». In realtà, a differenza dell’altro eroe nazionale, l’illuminato Touissant Louverture, Dessalines è una figura controversa per i metodi brutali impiegati nella ribellione e le sofferenze inflitte alla popolazione. Oltre due secoli dopo la storia sembra ripetersi, in peggio. Il salto di qualità del conflitto ha paralizzato l’economia: metà della popolazione – 5 milioni di persone – è alla fame. La già rachitica classe media è scomparsa sotto i debiti contratti per pagare i sequestri, principale fonte di finanziamento delle gang, insieme alle estorsioni e al traffico di droga e di armi. Senza controlli della costa e dello spazio aereo, Haiti è il trampolino perfetto verso gli Usa per i narcos messicani. Barbecue non lo nega. «Ogni gruppo ha i suoi metodi» ma garantisce che la “sua” G9 funziona diversamente. «Ho degli amici dentro e fuori Haiti che mi aiutano perché credono nel progetto», risponde quando gli si domanda da dove prenda le risorse per acquistare fuoristrada, Ak-47, Ar-15, perfino Galil israeliani. «Le armi sono la nostra garanzia di libertà: lo Stato non ascolta chi manifesta pacificamente. Ma noi saremmo disposti a lasciarle se il governo si impegnasse per dare un’esistenza degna a quel 99 per cento di haitiani allo stremo. Con l’appoggio della comunità internazionale, che gli ha dato il comando, Conille ha i mezzi per agire. Potrebbe entrare nella storia se accettasse di dialogare e ascoltare le nostre richieste. È da criminali chiedere acqua potabile, assistenza sanitaria, scuola per tutti e case per chi vive nelle baracche di lamiera? Se sì, sono un criminale. E sono disposto a morire come tale». Sta costruendo un cimitero dove vuole riposare, insieme ai suoi “soldati”. Barbecue si alza e, scortato dalle guardie, si offre di mostrarlo. È poco più di una radura, a cinque minuti di moto dall’ufficio, dove gli sterpi ricoprono una decina di lastre di cemento. Solo su una, al centro, c’è una croce. Non è, però, un segno cristiano ma vudù. Nella religione portata sull’isola dagli schiavi africani, indica “Barón Samedí”, lo spirito dei defunti. «Sono le tombe dei miei ragazzi uccisi – conclude Barbecue -. Ancora è in questo stato ma piano piano lo stiamo sistemando. Abbiamo sempre troppo da fare». Del resto, per i morti della “non-guerra” di Port-au-Prince la sepoltura è un lusso. Le bande bruciano i corpi delle vittime nella discarica dietro all’aeroporto. Ieri è stata una notte tranquilla. La mattina dopo, fra l’immondizia, si contano “solo” tre crani.
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Con l’arrivo di settembre giunsero le grandi operazioni di rastrellamento
Agli inizi del 1944 la situazione per le bande armate nel vicentino non era incoraggiante, tra il 10 e il 12 gennaio un rastrellamento si abbatté sul gruppo di Fontanelle che rimase duramente colpito e si disperse; con un conteggio delle perdite venne alla luce una situazione tragica che fece desistere il Comando provinciale dal riformare il gruppo e intraprendere nuove azioni. In quel momento il…
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#1943#1944#1945#aprile#Asiago#fascisti#guerra#Matteo Ridolfi#partigiani#provincia#rastrellamenti#Resistenza#stragi#tedeschi#Vicentino#Vicenza
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Con l’arrivo di settembre giunsero le grandi operazioni di rastrellamento
Agli inizi del 1944 la situazione per le bande armate nel vicentino non era incoraggiante, tra il 10 e il 12 gennaio un rastrellamento si abbatté sul gruppo di Fontanelle che rimase duramente colpito e si disperse; con un conteggio delle perdite venne alla luce una situazione tragica che fece desistere il Comando provinciale dal riformare il gruppo e intraprendere nuove azioni. In quel momento il…
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Haiti: fallisce l’assalto armato al Palazzo Nazionale, il governo promette di dimettersi
PORT-AU-PRINCE. Le bande armate hanno fallito nel loro tentativo di assaltare il Palazzo Nazionale di Haiti, anche se almeno cinque poliziotti sono rimasti feriti, uno dei quali gravemente. La Polizia Nazionale Haitiana (PNH) ha fermato l’attacco contro il simbolo del potere politico nel Paese, un’azione di cui è stata testimone l’agenzia EFE perpetrata dalla coalizione di bande armate “Vivre…
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FOTO DI GRUPPO DI UNA STRAGE
La CGIL Confederazione Generale Italiana del Lavoro è la principale organizzazione dei lavoratori in Italia, simbolo di un passato conflittuale e combattivo di lotta per la giustizia sociale ed emblema di un presente consociativo all’insegna della pace sociale che ha reso i lavoratori italiani i meno pagati d’Europa e i più precarizzati.
Tutto potevamo aspettarci dall’attuale CGIL ma non che volasse in Ucraina davanti alla Casa dei Sindacati di Odessa, teatro di una strage di lavoratori, facendosi un selfie con i loro assassini o mandanti.
Portando sostegno e solidarietà allo stesso Regime criminale, quello di Zelensky, che ha messo fuorilegge i sindacati e perseguita ferocemente le organizzazioni dei lavoratori del suo Paese.
Sto parlando dell’assalto alla Casa dei Sindacati di Odessa da parte delle forze neonaziste ucraine armate e finanziate dalla NATO, dagli USA e dell'Unione Europea.
Fu una strage che la "libera stampa occidentale" si guardò bene dal raccontare, per non far sgretolare tutto il castello di ipocrisie e di doppiezze dietro cui i nostri sinceri democratici si nascondono.
Dopo che le bande squadriste su mandato degli USA avevano attuato il colpo di stato e deposto in maniera violenta il legittimo Presidente Viktor Janukovic - eletto solo un anno prima e considerato eccessivamente filorusso - si aprì ufficialmente la caccia all'uomo nei confronti di tutti i comunisti, i sindacalisti, le persone di sinistra o quelle accusate di essere troppo vicine alla Russia.
La strage di Odessa avvenne in questo clima.
Il 2 Maggio 2014 Pravy Sektor e altre milizie paramilitari neonaziste assediarono la Casa dei Sindacati di Odessa. Decine di persone terrorizzate si barricarono dentro e come risposta i banderisti ucraini circondarono l'edificio e appiccarono il fuoco.
Decine di persone morirono bruciate vive.
I pochi che riuscirono a fuggire dall'incendio buttandosi dalla finestre furono sgozzati dai neonazisti che circondavano il palazzo.
Alla fine del rogo i testimoni trovarono i corpi carbonizzati di almeno 42 persone, a cui vanno aggiunti i cadaveri delle donne seviziate e violentate, tra cui una donna incinta strangolata con dei cavi telefonici, e delle persone colpite da armi da fuoco e mutilate con armi da taglio.
Quando i vigili del fuoco si avvicinarono all'area per poter intervenire, furono attaccati frontalmente dagli estremisti di destra che impedirono il loro intervento.
Nessun processo è stato mai intentato dal governo ucraino per quell'eccidio, anzi buona parte dei responsabili furono premiati e promossi a ruoli istituzionali e cariche governative.
Nei giorni successivi il massacro fu celebrato attraverso un manifesto in cui si festeggiava la carneficina dei filorussi paragonandoli a delle "coccinelle rosse" che venivano arse vive.
Questa è la gente a cui la CGIL è andata a stringere la mano.
Maurizio Landini non ha nulla da dire?
Roberto Vallepiano
Da quando la CGIL non è più un sindacato ma un'accozzaglia di servi dei padroni e dei padroncini e succursale del PD?
Povero sindacato, Di Vittorio si starà rivoltando nella tomba.
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