#azione e critica
Explore tagged Tumblr posts
Text
"La Guerra del Tiburtino III": Su Sky Cinema la Nuova Serie tra Azione e Satira Sociale
Un racconto ironico e spietato delle faide di quartiere che mescola umorismo nero e critica sociale
Un racconto ironico e spietato delle faide di quartiere che mescola umorismo nero e critica sociale. Sky Cinema presenta “La Guerra del Tiburtino III”, una nuova serie italiana che unisce azione, satira sociale e umorismo nero in una trama ambientata nella periferia romana. La serie esplora le rivalità di quartiere e le dinamiche di potere all’interno di una comunità in un modo fresco e…
#azione e commedia#azione e critica#battaglie di quartiere#comunità romane#conflitti sociali#critica sociale#degrado e rivincita#Degrado urbano#denuncia sociale#dialoghi taglienti#dinamiche sociali#Emarginazione#faide di potere#faide di quartiere#intrattenimento e denuncia.#La Guerra del Tiburtino III#leader di quartiere#Lotta per la Sopravvivenza#narrativa urbana#periferia romana#periferie italiane#personaggi eccentrici#personaggi romani#potere e rivalità#resistenza sociale#satira italiana#Satira sociale#serie di azione#serie italiane 2024#serie Sky Cinema
0 notes
Text
Non credo nelle critiche, nè positive nè negative, ma soprattutto in quelle non richieste.
La critica, per suo stesso significato intrinseco rappresenta un elemento di intromissione nella vita altrui.
Altra cosa sono i consigli, quando e se richiesti, ad una persona di cui ci si fida, o, meglio ancora ad un esperto.
La vita degli altri non è affar nostro.
Peggio che mai sono le interpretazione new agistiche o psicologistiche su ció che accade all’altro, che banalizzano, ridicolizzano e fanno sentire l’altro un povero doddo imberbe.
Un alto livello di saggezza consiste nel sapersi fare i fatti propri con stile, rimanendo sorridenti di fronte alle sciocchezzuole commesse dagli altri che riguardano solo loro, e parlando solo se interpellati, al momento giusto e nel modo giusto.
Mi è capitato di interagire con persone che trovavano sempre un buon motivo per criticarmi, dai capelli, ai vestiti, al lavoro.
Se voglio un consiglio vado da un esperto di quel settore e lo pago, se voglio un consiglio amichevole lo chiedo a persone che so che sono provviste di sensibilità ed empatia, e che so essere adatte a darmi risposte sagge, altrimenti evito.
Spesso le persone non vedono l’ora di trascinarti nella loro miseria!
Il mio motto invece è se non hai niente di bello da dire, taci. A meno, appunto, di essere interpellata: in quel caso non apro la bocca con l’impellenza di esplodere in un fiume di parole aspre.
Cerco con cura cosa dire e cosa no, in base alla persona e al momento.
Questa storia della critica positiva la reputo una vera scemenza.
Qualsiasi entrata nella vita altrui è sempre fallosa.
Certo, non parlo di situazioni emergenziali, dove uno sta per cadere da un burrone e tu non lo avverti.
Parlo del fatto che con la scusa delle critiche positive, molti sfogano qualcosa che sobbolliva in pentola, tirando fuori un astio antico, o qualche non detto che è stato solleticato.
Ogni intervento non richiesto è un atto di violenza, di questo sono convinta: vorremmo che l’altro si adeguasse a qualcosa di nostro, che si muove dentro di noi e che con le reali esigenze dell’altro non ha nulla a che fare.
Ben diverso è il discorso nel caso in cui l’azione o la non azione dell’altro ci danneggia, questo è chiaro.
ClaudiaCrispolti
13 notes
·
View notes
Text
"Per secoli le donne sono state gli specchi magici e deliziosi in cui si rifletteva la figura dell'uomo, raddoppiata. [...] Qualunque sia il loro uso nelle società civilizzate, questi specchi sono indispensabili a ogni azione violenta ed eroica. Perciò Napoleone e Mussolini insistono così enfaticamente sull'inferiorità delle donne, perché se queste non fossero inferiori, non servirebbero più a raddoppiare gli uomini. Questo spiega in parte il bisogno delle donne che spesso sentono gli uomini. E spiega anche perché essi non tollerano la critica della donna [...] Giacché se la donna comincia a dire la verità, la figura nello specchio rimpicciolisce; l'uomo diventa meno adatto alla vita. Come potrebbe continuare a giudicare, a civilizzare gli indigeni, a legiferare, a scrivere libri, a indossare il tight e a pronunciare discorsi nei banchetti, se non fosse più in grado di vedersi riflesso, a colazione e a pranzo, almeno due volte più grande di quanto veramente sia? [...] La visione dello specchio è per loro immensamente importante, perché carica la loro vitalità; stimola il loro sistema nervoso. Se gliela togliete, l'uomo può morire, come il cocainomane privato della droga. Incantate da questa illusione, pensavo, guardando dalla finestra, la metà di quelle persone che passano per strada vanno a lavorare. Sotto i suoi piacevoli raggi, ogni mattina essi indossano la giacca e si mettono il cappello. Iniziano la loro giornata fiduciosamente, incoraggiati, convinti di essere desiderati in casa della signorina Smith; quando entrano in una stanza si dicono: sono superiore alla metà dei presenti; ed è per ciò che possono parlare con quella sicurezza, con quella fiducia in sé stessi, le quali hanno avuto così profonde conseguenze nella vita pubblica e provocano così strani appunti ai margini della mente privata."
Virginia Woolf, Una stanza tutta per sé
15 notes
·
View notes
Text
Negli ultimi mesi ho iniziato ad avere una serie di dubbi.
Fino al 2020 ho pensato di essere bisessuale, attratta sia da ragazzi che da ragazze ma non avendo avuto esperienze di alcun tipo con le persone del mio stesso sesso non sapevo di preciso come funzionasse, con un ragazzo è tutto più semplice, loro in genere ti scrivono, trovano argomenti di cui parlare, non sono molto orgogliosi e non prendono in considerazione eccessivamente l’aspetto fisico, tranne alcuni casi, non mi piace generalizzare, probabilmente succede perché ce ne sono tanti e quindi si ha la possibilità di conoscerne diversi tipi.
Nel 2021 ho avuto, dopo varie riflessioni, l’idea di scaricare un’app per conoscere ragazze, abitando in una città in cui gran parte delle ragazze non eterosessuali si nascondono.
Questa esperienza sull’app inizialmente non sembrava andare così male, ma in seguito mi sono resa conto che alcune cose non tornavano:
-La prima ragazza con cui sono uscita si è scocciata dopo poco tempo;
-la seconda, dopo avermi detto che non è scattato quel qualcosa, si è messa con la prima con cui sono uscita;
-La terza, dopo avermi fatto credere di provare interesse, ha deciso che ero incompatibile a causa della sua depressione e di bloccarmi il giorno del mio compleanno.
Dopo queste meravigliose esperienze la strada ha iniziando ad essere sempre più in salita, in quanto le ragazze, dopo avere visto le mie foto, una dopo l’altra hanno deciso di sparire, non mi considero una brutta ragazza e i ragazzi mi hanno sempre fatto complimenti per il mio aspetto, mi hanno sempre detto in molti che sono una bella ragazza, quindi i quesiti sono questi:
Perché le ragazze continuano a riempire le loro storie di Instagram e i loro profili di Facebook di post contro il sessismo e il bodyshaming?
Perché continuano a dire che gli uomini impongono loro di essere bellissime e curatissime, quando nessun uomo (a parte rare eccezioni) critica l’aspetto fisico di una donna?
Quali sono gli standard di bellezza di una donna? Perché tutti pretendono Belen o Chiara Ferragni ? Partendo anche dal presupposto che qui nessuna è Belen o Chiara Ferragni, siamo tutte ragazze “comuni”, ma soprattutto non è grave che donne tra i 20 e i 30 anni guardino principalmente l’aspetto fisico quando poi non sono in grado di spiccicare parola, argomentare, parlare di svariate cose, ma solo risponderti in modo acido come se scrivere “ciao” in una chat di incontri equivalesse a fare loro un torto?
Se una ragazza fosse attratta dalle ragazze come farebbe a trovare una fidanzata o anche una con cui avere dei rapporti intimi, se poi tutte nella “vita reale” si nascondono e nelle app ti ghostano se non sei bellissima?
Questa azione inoltre porta a sminuire implicitamente una persone che alla lunga inizierà ad avere sempre più complessi riguardo il suo aspetto fisico e che avrà sempre più paura di aprirsi agli altri o di uscire per un semplice caffè per paura di essere ghostata.
Mi piacerebbe, a 29 anni compiuti, essere nelle condizioni di potermi relazionare a qualcuno che sappia guardare oltre, non dico l’aspetto fisico perché c’è chi piace o chi non, ma l’eccessiva fissa per esso, e se fosse possibile trovare persone che abbiano qualcosa da dire e sappiano riempire il tuo tempo.
7 notes
·
View notes
Text
Scandali
È il pubblico scandalo ad offendere: peccare in silenzio è non peccare affatto. Molière
Nel 1966, il professor Stephen Marcus, cattedratico di Critica letteraria alla Columbia University, pubblicò un saggio dal titolo: The Other Victorians: A Study of Sexuality and Pornography in Mid-Nineteenth-Century England. Fu il primo tentativo di catturare le caratteristiche bizzarre della sessualità dell’epoca vittoriana inglese nella evidente contraddizione in termini di una società che, secondo gli approfonditi studi di Marcus, non permetteva alle donne di mostrare nemmeno una caviglia o menzionare le gambe, perfino quelle di un tavolo o di un pianoforte, ma produceva e consumava una quantità impressionante di pornografia, soprattutto sadomasochistica (d’altronde la Venere In Pelliccia di Von Masoch è del 1870).
Mi è venuto in mente questo libro sulla questione dell’ormai classico bacio sanremese tra Rosa Chemical e Fedez. Non mi interessa la premeditazione del gesto, visti i due personaggi coinvolti, ma mi interessa un paragone con la stessa azione, di bacio omoerotico, che ha visto protagonista pochi minuti prima Elodie con BigMama. Del secondo, non si fa nessuna menzione, quasi a ricordare inconsciamente a chi fa la voce grossa per il primo che in fondo non è affatto scandaloso che due donne si bacino, ed è probabilmente più godibile da vedere
11 notes
·
View notes
Text
Nitti: Il caso Esposito, Giustizia e integrità politica
Il Responsabile Comunicazione di Forza Italia Arezzo Edoardo Fabbri Nitti: "Il caso Esposito: un'analisi critica della giustizia italiana" Oggi vorrei discutere di un caso che ha fatto discutere non solo la nostra comunità azzurra ma l'intero tessuto politico-sociale italiano. Parlo del proscioglimento dopo ben sette anni di accuse pesanti per l'ex senatore del Pd Stefano Esposito. Questo episodio non è solo una vicenda personale di un politico, ma rispecchia un problema più ampio che merita la nostra attenzione critica. Il fatto che si tratti di un'avversario politico non deve minimamente influenzare il nostro metro di giudizio, soprattutto in un momento storico in cui il doppiopesismo sembra essere diventato un costante. L'ex senatore Esposito, dopo aver affrontato un "calvario giudiziario" durato sette anni, è stato finalmente prosciolto dalle accuse di corruzione, turbativa d'asta e traffico di influenze. Il caso, aperto dalla Procura di Torino, ha visto intercettazioni telefoniche illegittime, successivamente dichiarate inutilizzabili dalla Corte Costituzionale, sollevando seri interrogativi sulla conduzione delle indagini e sul rispetto delle garanzie costituzionali. Esposito ha vissuto quello che lui stesso ha definito un periodo di "sofferenze", combattendo contro accuse costruite su basi che i magistrati romani hanno definito "irragionevoli" e basate su mere "congetture". La richiesta di archiviazione da parte del Gip di Roma è stata un sollievo, ma non cancella il tempo perso e le difficoltà affrontate. È importante sottolineare qui che, mentre critichiamo la gestione di questo specifico caso, la maggior parte dei giudici italiani svolge il proprio lavoro con onestà e correttezza, come evidenziato da numerosi esempi di integrità nel nostro sistema giudiziario. Tuttavia, quando si verificano errori giudiziari di questa portata, è nostro dovere come rappresentanti politici, e come cittadini, riflettere sulle falle del sistema. La domanda che Esposito pone è legittima: "Chi sbaglia deve pagare?". Questo non è solo un appello alla giustizia per lui, ma un richiamo alla necessità di riforme che garantiscano un'equa responsabilità per chi opera nel sistema giudiziario. Come ha notato l'ex senatore, la solidarietà politica, in particolare dai suoi compagni del Partito Democratico, è venuta a mancare, lasciandolo in una quasi totale solitudine. Questo ci porta a riflettere sul ruolo della politica e sul supporto che dovrebbe offrire ai suoi membri in momenti critici. La politica, al di là delle divisioni partigiane, dovrebbe essere un bastione di supporto e trasparenza, non un luogo dove si abbandona chi viene ingiustamente accusato. Chiudiamo con una citazione di Winston Churchill: "La giustizia è verità in azione". In questo contesto, la verità ha finalmente prevalso per Esposito, ma il percorso verso una giustizia efficiente e giusta per tutti è ancora lungo. È nostro compito non solo come Forza Italia ma come società civile, lavorare per una riforma che garantisca che la giustizia non sia più un calvario, ma un diritto accessibile e rispettoso delle leggi che tutti noi abbiamo giurato di difendere. Edoardo Fabbri Nitti Forza Italia - Coordinamento Regione Toscana Follow @FI_ToscanaTweet to @FI_Toscana
Read the full article
0 notes
Text
Martin Heidegger, "Essere in tempo", Montatori 2021 - Questo saggio del 1921, ingiustamente trascurato dalla critica, prende spunto dall'evento che costituisce la prima e più profonda svolta nell'esistenza del giovane Heidegger, quando perde il treno per Friburgo per una manciata di secondi. Da qui derivano l'abbandono della fede cattolica (in una lettera a Engelbert Krebs, Heidegger ammette di avere tirato giù qualche madonna) e la prima formulazione del problema ontologico: l'Essere-in-treno è l'unica modalità in cui l'Esserci possa raggiungere la propria destin-azione, ma per fare questo deve impostare con cura la sveglia (così che la dicotomia Essere-in-tempo/Essere-in-ritardo rimanda alla distinzione eraclitea svegli/dormienti). L'ultima parte dell'opera, dedicata al tema della gettatezza, sviluppa i tre principi fondamentali della filosofia del treno: non gettare enti dal finestrino, non aprirsi all'essere prima che il treno sia completamente fermo, e soprattutto non oltrepassare la linea gialla se non si vuole esperire la differenza ontologica tra Essere-in-treno ed Essere-sotto-il-treno.
0 notes
Text
Una forte ondata di maltempo ha colpito oggi diverse aree del Catanese, con numerosi interventi di soccorso per far fronte a strade allagate, torrenti esondati e case invase dall'acqua. Tra i comuni più colpiti figurano Torre Archirafi, Riposto, Giarre, Acireale e Aci Sant'Antonio, dove vigili del fuoco, Protezione civile e gruppi di volontari stanno lavorando incessantemente per aiutare la popolazione. Solo nelle prime ore di questa mattina sono stati portati a termine 64 interventi, prevalentemente per soccorsi a persone, risoluzione di danni causati dall’acqua e recupero di veicoli bloccati. A Riposto, una delle zone più critiche, le strade si sono trasformate in veri e propri torrenti, rendendo necessaria l’attivazione di personale straordinario dei vigili del fuoco. Anche gruppi di volontari locali, come i fuoristradisti del gruppo Fie Sicilia e le associazioni coordinate dal dipartimento regionale della Protezione civile, sono in azione per garantire assistenza continua. In alcune aree, come la frazione di Altarello a Riposto, le operazioni di soccorso sono state particolarmente complesse: un torrente esondato ha invaso un'abitazione dove si trovavano quattro persone, tra cui due disabili, che sono state tratte in salvo grazie anche all’intervento di un mezzo anfibio. Ad Acireale, una frana lungo la timpa in prossimità dell’hotel Palace ha causato l’interruzione del collegamento con la frazione di Santa Tecla. La situazione rimane critica, con smottamenti e disagi alla viabilità locale, che complicano ulteriormente le operazioni di soccorso. Un altro punto nevralgico si è registrato lungo l’autostrada Messina-Catania (A18), dove una frana ha invaso il km 56 in direzione Catania, bloccando gli automobilisti e occupando sia la corsia di emergenza che quella di marcia. In queste condizioni, è stato consigliato anche di evitare la statale 114, anch’essa interessata da allagamenti e disagi. Read the full article
0 notes
Text
J-Ax in un pezzo di 10 anni fa cantava: “persone senza onore qui le chiamano onorevoli”. Pur non facendo nomi, tantissime sono le persone, gli “onorevoli” (o per meglio dire i “dis-onorevoli”) che potrebbero essere i destinatari di questa frase.
È il 2021, quando al senato viene affossato il ddl Zan che avrebbe inasprito le pene nei confronti di chi commette reati omo-trans-fobici, che porta il nome di Alessandro Zan (Partito Democratico). All’affossamento del ddl in questione, a festeggiare è tutta l’ala destra dell’emiciclo, sempre pronti a remare contro qualsiasi forma di senso civico e contro qualsiasi azione di buonsenso.
A festeggiare c’è anche lui, Simone Pillon, “senatùr” leghista che un giorno sì e l’altro pure inveisce contro il mondo lgbtqi+, al punto da arrivare ad essere condannato per diffamazione nei confronti dell’associazione Omphalos Lgbti+, accusata di fare “una propaganda unidirezionale e celebrativa dell’omosessualità, con l’intento di coinvolgere i minorenni in attività a sfondo esibizionistico/erotico, svolte presso l’associazione”. Secondo la sentenza, Pillon avrebbe additato l’associazione come “istigatrice dell’omosessualità” (?) E “soggetto che distribuisce materiale pornografico” (!!!).
All’affossamento del ddl Zan, Pillon e soci leghisti hanno subito prontamente festeggiato sui loro social, con foto e video provocatori in cui si inneggia al “salvataggio dell’Italia dalle teorie del gender che stanno rovinando le nuove generazioni”. Risultato? Una valanga di commenti e di insulti, più o meno veementi, che rientrano nel diritto di critica e nella libertà di espressione (che peraltro Pillon & soci han sempre difeso a spada tratta, rivendicando anche di utilizzare parole oscene nei confronti di determinate categorie di persone). Peter Gomez ha specificato sul sito de Il fatto quotidiano.It: “ci limitiamo a ricordare che la libertà di parola nasce nel 700 con la rivoluzione rancese per poter parlare male di coloro i quali erano al potere. Per per parlarne bene, infatti, c’erano già i cortigiani. E oggi è davvero difficile parlar bene di questi nostri tre ex rappresentanti” (Simone Pillon, Stefano Lucidi e Guglielmo Golinello, tutti e tre ex parlamentari della Lega Per Salvini Premier).
Forse però la libertà di parola e di espressione, la libertà di ruttare in pubblico nei comizi con contenuti diffamatori e basati sul nulla forse vale solamente per loro. Si è scoperto, infatti, che Simone Pillon (in compagnia dei suoi colleghi) si è rivolto ad uno studio legale di Modena (tale Studio Legale Virgili) per far sì che quest’ultimo lo difendesse dalle critiche e dagli insulti ricevuti per via delle sue uscite davvero polarizzanti e decisamente criticabili e attaccabili. Una valanga di lettere sono state inviate ai malcapitati, con richieste di risarcimento di cifre ingenti che potevano sforare anche i 20mila euro per “diffamazione aggravata nei confronti dell’ex senatore”.
A far scoppiare il caso è stato Thomas Mackinson, che ha portato a galla sul giornale diretto da Gomez e Marco Travaglio, questa enorme macchina di risarcimenti che nasconde del marcio dietro: una macchina basata essenzialmente sulla paura volta ad agire nei confronti di poveri malcapitati che non riescono a distinguere “una lettera raccomandata da un atto giudiziale”. Nella lettera solo una alternativa: paga il risarcimento per i commenti oppure vai a processo. In pratica: un’estorsione bella e buona.
Come spiega l’avvocato Luca Zenaldi all’interno di questo servizio de Le iene realizzato da Roberta Rei, la corretta procedura prevede, in caso ci si senta diffamati, la presentazione di una querela che viene esaminata dal pubblico ministero il quale decide se effettivamente sussiste la diffamazione, e dunque eventualmente rinvia al giudizio. Ebbene, in tale macchina manca esattamente il passaggio della presentazione di querela da far esaminare al pubblico ministero. In buona sostanza, l’azione avviata da Pillon e dallo studio legale a cui si è rivolto è nient’altro che una pesca a strascico che sulla legge dei grandi numeri tenta di acchiappare quanti più pesci disposti a pagare, un po’ per vergogna, un po’ per levarsi dalle grane. Ed infatti in tanti han pagato.
In questi 8 minuti e poco più di servizio de Le iene, la Rei ha parlato di tutta la situazione riguardante l’ex “senatùr” leghista, andando anche ad intervistarlo circa tutta la faccenda.
Un noto detto italiano recita che “sono tutti froci con il culo degli altri”: in questo caso, si potrebbe affermare che richiedono tutti libertà di espressione, almeno finché non si finisce al centro di shitstorm volutamente create e ricercate a tavolino.
(Servizio de Le iene di Novembre 2022).
0 notes
Text
Jurassic World: Il parco è (ri)aperto
Jurassic World, la riapertura in grande stile del Jurassic Park, un blockbuster perfetto che sa intrattenere, stupire, e un po' spaventare, quanto l'originale di Spielberg.
Jurassic World: Chris Pratt tiene a bada i dinosauri in una scena del film
Prima di entrare nel vivo, del sequel/remake firmato da Colin Trevorrow, facciamo un passo indietro e sottolineiamo quanto le potenzialità, commerciali e narrative, di Jurassic Park, dell'intuizione alla base del romanzo di Michael Crichton del 1990 e del film di Steven Spielberg del 1993, siano infinite. Lo dimostrano la popolarità e le copie vendute del libro ed il miliardo di dollari di incasso del film, che si accompagnano ad una passione mai estinta dei bambini di tutto il mondo e di ogni epoca per i possenti animali che hanno abitato il nostro pianeta per 135 milioni di anni, dalla loro apparizione nel corso del Triassico fino alla drammatica estinzione di massa accaduta 65 milioni di anni fa.
Jurassic World: l'Apatosauro ferito
In un periodo in cui si cerca di costruire una serialità attorno ai film di successo, inserendoli in contesti più ampi e più sfruttabili dal punto di vista economico ma anche narrativo, è inevitabile andare ad attingere nuovamente a quelle potenzialità, cercando di trovare un modo per rilanciare un franchise come Jurassic Park che poco aveva giovato dei due seguiti già realizzati nel 1997 e 2001.
A 22 anni di distanza dal primo film, con un'intera nuova generazione pronta a stupirsi nel vedere i dinosauri tornare sul grande schermo, sarebbe stato giustificato realizzare un vero e proprio reboot dell'originale, ma l'idea di Spielberg, alla produzione con la sua Amblin, e Colin Trevorrow, alla regia, è stata diversa, rendendo il nuovo e quarto capitolo, Jurassic World, un vero e proprio sequel che ha solo il sapore e l'efficacia di un reboot.
Bentornati a Jurassic Park
Jurassic World: Ty Simpkins e Nick Robinson in una scena del film
Sono passati 22 anni. Il parco è aperto, come ci tengono a sottolineare poster e materiale promozionale, ed è anche un grosso successo. E, rispetto a quello che abbiamo visitato per la prima volta nel 1993 insieme al primo gruppo che l'avrebbe dovuto valutare, è un vero e proprio parco a tema in linea con i migliori del mondo, con le sue attrazioni, le sue strutture all'avanguardia, ed ovviamente i suoi dinosauri: 14 razze di erbivori e 6 di carnivori. Un parco, ancora una volta sull'Isla Nublar del primo film, che scopriamo e viviamo attraverso gli occhi del piccolo Zach, in visita insieme al fratello Gray grazie alla zia Claire manager del Jurassic World: la camera di Trevorrow si concentra sul ragazzino, lo segue, ci mette nelle condizioni di sentire letteralmente la sua ansia di vedere il parco ed i suoi ospiti preistorici, dal battello al cancello d'ingresso, fino all'hotel e le prime attrazioni, sempre circondati da una folla di visitatori entusiasta. Oltre ventimila spettatori al giorno, con un indice di soddisfazione del 90%… ma non basta.
Sempre più grande
Jurassic World: dinosauri in azione in una scena del film
È sottile, ma presente, la critica degli autori a un pubblico difficile da accontentare e a una società che con i suoi stimoli continui, frenetici e sempre maggiori lo ha creato: ai visitatori del Jurassic World non basta più vedere uno stegosauro o persino il T-Rex, hanno bisogno di stimoli sempre nuovi e più stupefacenti. Hanno bisogno di più "wow"! Poco importa se i dinosauri dovrebbero garantire da soli il giusto livello di wow, come dice Grady/Chris Pratt, alla lunga non è più sufficiente e la dirigenza del parco è stata costretta a mettere in cantiere una nuova attrazione esuberante ed imponente: il primo dinosauro ibrido, più grosso di un Tirannosauro, più potente di qualunque creatura mai vista sulla Terra. E per questo incontrollabile: nella sua breve vita in cattività, l'Indominus Rex, questo il nome della nuova creatura, ha già fatto fuori il fratello, richiesto un potenziamento del suo recinto, ed ora la consulenza di Grady che ha dimostrato il suo valore sul campo, riuscendo a gestire i complessi e letali raptor.
Il blockbuster perfetto
Jurassic World: Ty Simpkins e Nick Robinson in una scena del film
Lo spettatore cinematografico di oggi è un po' come i visitatori di Jurassic World ed ha bisogno di stimoli audiovisivi sempre più forti, di mostri sempre più grandi e ritmi sempre più forsennati. Quanto e più di Spielberg, che nel suo Jurassic Park si lasciava andare alla frenesia di mostrare i dinosauri trascurando la storia, Trevorrow è bravo ad accontentare il pubblico senza cedere a queste esigenze, senza annientare la struttura narrativa del suo film, guidandoci in parallelo su un doppio binario, da una parte il primo impatto dei ragazzi con il parco, mostrandocene la magnificenza e l'incredibile attrattiva, dall'altro il complesso controllo dell'Indominus Rex con quello che comporta in termini di tensione drammatica. Il sogno e l'incubo, che inevitabilmente dovranno incontrarsi nel corso della storia. Con il suo entrare subito nel vivo, il nuovo capitolo di Jurassic Park funziona bene, si muove con sicurezza e credibilità nonostante alcuni ovvi eccessi già visti o intuiti dai trailer (per esempio il rapporto, pur giustificato, tra Grady e i quattro raptor). D'altra parte, stiamo parlando di un blockbuster, di un film che deve intrattenere lo spettatore e che sa farlo con grande sicurezza, alternando stupore a tensione, incanto a paura.
Un nuovo franchise
Jurassic World: Chris Pratt in una scena d'azione del film
Jurassic World riapre un franchise messo da parte da oltre un decennio, ma lo fa con una forza tale da rappresentarne un nuovo inizio ancor più appetibile dal punto di vista commerciale: nuovi personaggi ben costruiti (su tutti il Grady di Pratt), nuovi dinosauri realizzati in maniera sempre più convincente e realistica (nonostante si sia restati ancorati ad una vecchia estetica, senza seguire le nuove conoscenze scientifiche), ma soprattutto intuizioni e trovate nella costruzione delle sequenze che aggiungono linfa vitale alla saga dei dinosauri di Spielberg. Più volte Trevorrow gioca con lo spettatore, si diverte quanto e più del suo pubblico nel gestire i dettagli di alcune sequenze, nel mostrarci una zampa (d'uccello), un riflesso, un occhio, nel momento giusto. Allo stesso modo omaggia l'originale di Spielberg di cui si professa fan, sia nelle musiche rielaborate da Michael Giacchino a partire dalle originali di John Williams, sia nel riproporci alcuni ambienti del primo film per mantenere la sua storia, il suo nuovo parco, ancorato a quel film che nel 1993 aveva saputo conquistare milioni di spettatori di tutto il mondo. Non capita di frequente terminare la visione di un film di questo tipo e volerne ancora e di più.
Conclusioni
In conclusione non si può non lodare Jurassic World e l’operazione portata a termine da Colin Trevorrow nel mettere in piedi un film che riprendesse il cult di Steven Spielberg attualizzandolo. Un blockbuster perfetto che è un ibrido intelligente tra sequel e reboot dell’originale, per dar nuova vita a un franchise che ha ancora molto da dire anche al pubblico di oggi, tra nuovi dinosauri e la voglia di giocare con lo spettatore della nuova generazione.
👍🏻
Jurassic World è un ottimo blockbuster e il seguito ideale del primo film
Più dinosauri, più spettacolo, più “wow”!
Ben costruito, teso, ironico e divertente, con sequenze che lasciano il segno
Aggiunte carismatiche al cast, sia umano che preistorico
👎🏻
Non ci si può aspettare approfondimento, credibilità e realismo
#jurassic park#jurassic world#jurassic series#jurassic world chaos theory#jurassic world camp cretaceous#jurassic world: dominion#recensione film#recensione#recensioni#movie review#review
1 note
·
View note
Text
Il potere del cane di Don Winslow: la guerra senza fine al narcotraffico. Recensione di Alessandria today
Un epico romanzo che esplora violenza, corruzione e umanità in un mondo dominato dal male.
Un epico romanzo che esplora violenza, corruzione e umanità in un mondo dominato dal male. Alessandria, 15 dicembre 2024 – “Il potere del cane”, pubblicato da Einaudi nel febbraio 2014, è uno dei capolavori di Don Winslow, una narrazione potente e spietata che racconta la guerra al narcotraffico tra Messico e Stati Uniti. Un libro che è diventato un classico del romanzo crime internazionale,…
#Adàn Barrera#Alessandria today#Art Keller#Azione#cartello della droga#cartello messicano#Corruzione#Criminalità organizzata#critica sociale#Don Winslow#Don Winslow autore#Don Winslow narrativa#dramma e vendetta#Einaudi#Google News#Guerra alla Droga#Il potere del cane#impero criminale#introspezione morale#italianewsmedia.com#LETTERATURA CONTEMPORANEA#lettura crime.#libro best seller#Mafia#male assoluto#Messico#Narcotraffico#narrativa americana#narrativa moderna#Nora Hayden
0 notes
Text
È una scena molto semplice, ma la squadra di RoboCop ha impiegato 50 riprese per realizzarla al meglio, tanto era problematico il costume di Peter Weller
Tra tutti i grandi film di fantascienza degli anni ’80, pochi sono riusciti a combinare azione, critica sociale e un’icona visiva così potente come RoboCop. Diretto dall’incomparabile Paul Verhoeven, questo film non è solo un classico del genere, ma anche un affascinante ritratto della complessità sociale e politica del suo tempo negli Stati Uniti. Al di là delle sequenze d’azione e della…
0 notes
Text
La privazione del sonno disturba la memoria: ecco perché La privazione del sonno e la memoria Uno studio condotto su ratti ha rivelato che la privazione del sonno incide su un segnale cerebrale fondamentale per la memoria a lungo termine. Anche una sola notte di sonno insoddisfacente non basta a ristabilire questo segnale nel cervello. Finestra critica per l’elaborazione della memoria I risultati dello studio, pubblicati su Natura, indicano che esiste una “finestra critica per l’elaborazione della memoria”. Secondo gli esperti, una volta persa tale opportunità, diventa difficile recuperarla. Neuroni in azione I neuroni nel cervello agiscono in modo interconnesso, attivandosi sincronicamente in modelli ritmici. Questi modelli, come l’ondulazione
0 notes
Text
Il generale Camporini critica Tarquinio che vuole sciogliere la Nato
0 notes
Text
Wangari Muta Maathai
Wangari Muta Maathai, biologa, ambientalista e attivista politica, è stata la prima africana a ricevere il Premio Nobel per la Pace nel 2004 per «il suo contributo alle cause dello sviluppo sostenibile, della democrazia e della pace».
Voce simbolo della lotta per promuovere la pace e il benessere nel continente, è stata insignita di numerosi premi internazionali tra cui il Global 550 dell’ONU e il Goldman Environmental Award.
Nata il primo aprile 1940, a Ihithe, un villaggio nella zona degli altipiani centrali del Kenya, apparteneva all’etnia kikuyu.
È stata una delle rarissime bambine ad andare a scuola e poi a frequentare il college. Si è laureata in biologia all’università di Pittsburgh, grazie a borse di studio di fondazioni statunitensi.
Dopo la specializzazione, nel 1966, era stata nominata assistente di ricerca al Dipartimento di zoologia dello University College di Nairobi ma, rientrata in patria, aveva scoperto che il posto era stato assegnato a un uomo che stava ancora studiando in Canada. Successivamente, ha ottenuto la stessa posizione alla Scuola di veterinaria e svolto ricerche alle università di Giessen e di Monaco, in Germania, per terminare il suo dottorato.
Nel 1969 ha sposato Mwangi Mathai con cui ha avuto tre figli.
Nel 1971 è stata la prima keniota a ricevere un dottorato e diventare professoressa assistente.
Ha dovuto sgomitare per farsi accettare da studenti e colleghi, tutti maschi e per ottenere gli stessi benefit, come l’alloggio, l’assicurazione, i contributi pensionistici. All’interno dell’università, ha organizzato la lotta delle lavoratrici per un salario decente, ha militato nella Croce Rossa e nel Consiglio Nazionale delle Donne.
Ha fatto parte dell’Environmental Liaison Centre che promuove la partecipazione delle organizzazioni non governative al Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente.
Durante la giornata mondiale per l’ambiente del 1977, con altre donne ha piantato sette alberi che hanno formato la prima “cintura verde” che ha dato il nome al Green Belt Movement, punto di riferimento dell’ambientalismo africano e delle battaglie contro la desertificazione del continente.
Con una capillare azione di sensibilizzazione, insieme a centinaia di donne ha piantato moltissime specie autoctone contrastando le politiche dell’autoritario presidente Daniel Toroitich arap Moi che svendeva le risorse naturali e consentiva l’abbattimento di parti di foreste pluviali.
La sua azione ha fortemente contribuito a sollevare l’attenzione nazionale e internazionale sull’oppressione politica in Kenya, incoraggiando le donne a battersi per una vita migliore.
Per la sua critica alla corruzione del regime, insieme alle altre attiviste, è stata picchiata, incarcerata e minacciata di morte, ma non si è lasciata intimidire.
Ha lottato per la democrazia, per una giustizia uguale per tutti e tutte, per la libertà di espressione e la cancellazione del debito estero dei paesi più poveri.
Ha occupato terre pubbliche cedute illegalmente a società straniere, campi da golf costruiti per gli amici del presidente e persino il parco al centro di Nairobi dove c’era il progetto costruire un grattacielo per farne la sede del partito al governo.
Nel 1985, durante il terzo vertice delle Nazioni Unite sulle donne tenutosi a Nairobi, ha contribuito a far nascere il Pan African Green Belt Network che, in quindici paesi, combatte la desertificazione, la siccità e la fame.
Mentre collezionava premi internazionali, il marito ha chiesto il divorzio accusandola di non occuparsi abbastanza della casa e dei figli.
Nel 2002, Wangari Maathai – con una “a” in più perché l’ex le aveva vietato di usare il cognome da sposata – si è presentata alle elezioni con la Coalizione arcobaleno. Nella sua circoscrizione aveva avuto il 98% dei voti. Entrata in Parlamento col governo del presidente Mwai Kibaki, è stata Ministra aggiunta dell’Ambiente, Fauna e Risorse Naturali, carica ricoperta fino al 2007.
Quando, nel 2004 le è stato assegnato il Premio Nobel per la pace, lo ha festeggiato piantando un albero.
Come Presidente del Consiglio economico, sociale e culturale dell’Unione Africana, ha rappresentato il continente in consessi internazionali.
Nel 2006 è stata pubblica la sua autobiografia, Unbowed, tradotta in italiano col titolo Solo il vento mi piegherà.
Insieme a celebri attiviste ecologiste come Jody Williams, Shirin Ebadi, Rigoberta Menchù, Betty Williams e Mairead Corrigan Maguire, ha fondato la Nobel Women’s Initiative per connettere i temi ambientali a quelli sulla parità di genere in tutti i campi, contro la violenza e per i diritti delle donne.
Malata di tumore alle ovaie, ha continuato le sue battaglie fino alla fine, è morta a Nairobi il 25 settembre 2011.
Attraverso una strategia fatta di educazione, pianificazione familiare, alimentazione consapevole e lotta alla corruzione, il Green Belt Movement ha aperto la strada allo sviluppo.
Dalla sua fondazione, l’organizzazione, che conta oltre quattromila gruppi composti al settanta per cento da donne, ha piantato circa 50 milioni di alberi.
0 notes
Text
Affermare che la morte dei bambini sia stata strumentalizzata e che sopra ci sia stata fatta una costruzione mediatica finalizzata a mobilitare le masse non è la stessa cosa che negare le vittime.
Ma neanche le immagini bastano, ci vogliono i numeri. Dati che miracolosamente emergono pochi minuti dopo un bombardamento (mentre in Ucraina impiegano settimane prima di stabilire quante sono state le vittime di un razzo russo) in un miracolo di efficienza statistica del ministero della sanità di Hamas che tutti prendono come oro colato, nonostante le varie gaffe di esimi testate che (credendo sempre all’agenzia stampa di Hamas) imputano ad Israele attacchi che subito dopo si rivelano essere stati incidenti di razzi difettosi di Hamas. Ma guai a dirlo. Se lo fai, puntuale ti arriva la critica: allora neghi le bombe di Israele? Allora neghi la distruzione? No, ribadiamo: le due cose non si escludono, ma sostenere che i numeri non siano affidabili non significa che non ci siano state vittime civili.
Nel frattempo però, il ferreo propal ha imparato a sfruttare pienamente ogni frammento della costruzione mediatica: ha a disposizione dati gonfiati, le immagini di Pallywood, e lo sdoganamento del termine “genocidio”.
Scopriamo così che “genocidio” non dipende (come stoltamente credevamo) da premeditazione, organizzazione e sistematicità nello sterminare un intero popolo, dipende dai numeri, nella fattispecie di quelli dei bambini morti. La qual cosa ci ricorda il famoso “genocidio” perpetrato dagli ucraini in Donbas – da tutti preso per oro colato senza che nessuno si prendesse la briga di andare a verificare che in 8 anni di guerra, i bambini morti in Donbas erano stati in tutto 152, di cui solo 6 tra il 2016 e il 2021 e che quei bambini erano vittime di entrambe le fazioni, e la maggior parte era morta a causa delle mine nelle autoproclamate repubbliche indipendenti.
Ma no, come allora, ormai si era creata la narrativa. A Gaza abbiamo i 35.000 morti dichiarati dall’onnisciente ministero della sanità di Hamas che riesce a calcolare morti con un’efficienza e celerità fantascientifiche, e che comunque non distingue tra militanti, civili morti per i bombardamenti e ci infila dentro pure le morti naturali. Allora neghi che ci siano stati i morti? No, sostenere che i dati sono farlocchi non significa negare la tragicità di una guerra. Ma sono 35.000, è un genocidio! Chiedi dove comincia la linea del genocidio? Se è un fatto numerico, da che numero parte?
A quel punto abbiamo gli agit-prop in azione ai 4 angoli del pianeta, mobilitati per silenziare chiunque sostenga che non si tratta di genocidio ma di azione di guerra. Sui 35.000 morti, di cui 13.000 bambini trovano ragione di occupare le università per far sospendere le relazioni con Israele in nome di un “genocidio” interamente costruito sui numeri dei bambini morti.
Poi esce fuori che quei dati non erano corretti, la cifra viene improvvisamente ridimensionata. L’architettura costruita intorno al “genocidio” basato sui numeri, crolla. Se lo fai notare, vieni trollato. Il narcisista morale di turno, unico depositario della moralità salva bambini e sanguisuga del pietismo universale emette la sua sentenza: sei un cinico, ma non ti vergogni?
Improvvisamente, per il propal, i numeri non sono più importanti. 8,000, 13,000, che differenza fa? Non sono sempre troppi? Guai a ribattere che il punto è che anche un solo bambino morto è uno di troppo e che noi lo sosteniamo da sempre: che non esiste differenza tra i bambini morti israeliani e quelli palestinesi. Ma qui invece c’è chi da mesi insiste che la differenza la fanno i numeri. Infatti, fino a un giorno fa, erano i numeri a dirci che c’era il genocidio perché erano morti più bambini palestinesi di quelli israeliani.
Allora, questi numeri contano o no?
Ecco che ora i propal si fanno fantasiosi. In un commento, a difesa dell’uso del termine “genocidio” mi viene scritto, testualmente, che “un paese civile, se attaccato, non risponde massacrando i civili”.
Scopriamo così che per il propal giurista de noantri la definizione di “genocidio” adesso non è più questione di numeri, ma è relativa a chi compie le uccisioni. Se ad ammazzare è un paese è civile, si tratterà certamente di “genocidio”, se invece sono i terroristi ad ammazzare, possono tranquillamente farlo, tanto sono terroristi e si sa che ammazzano. Moralmente è più colpevole il primo, che certamente è un genocida.
D’altra parte, si tratta della stessa logica per cui Hamas (a seconda della convenienza) un giorno è il “governo democraticamente eletto di Gaza”, un altro “in fondo sono terroristi e non possiamo usare lo stesso metro di giudizio” e un altro ancora “combattenti della resistenza armata perché Israele gli ha rubato la terra”. Una cosa che come logica circense non fa una grinza.
In questo gioco perverso, abbiamo assistito ad una serie di opportunismi ed occultamenti. L’attacco di Hamas ha occultato la ferrea opposizione popolare contro Netanyahu e posto fine all’ondata di manifestazioni; la rappresaglia israeliana ha occultato la brutalità della strage perpetrata da Hamas; ora la sontuosa costruzione mediatica, creata ad arte per mobilitare l’opinione pubblica mondiale contro Israele, sta occultando le scelte del Likud.
Perché sì, cari propal, nel gioco degli occultamenti, a volte le cose si ritorcono contro. Allora a chi mi dice: “perché non critichi mai Israele”, rispondo: se vogliamo che si critichino le strategie di Netanyahu, occorre fare piazza pulita del termine “genocidio”, di slogan come “dal fiume al mare”, dello sputare “sionista” come se fosse un insulto e del continuare con il disco incantato del “furto della terra”. Questo perché ciascuna di queste posizioni cela che al fondo di tutto non riteniate che Israele abbia il diritto di esistere. Contro questo pensiero che, a mio parere è sostanzialmente genocida (mirando effettivamente alla scomparsa di un popolo), anche quelli che possono essere eventuali crimini di Netanyahu, ne escono sminuiti, perfino quello di essere (come Hamas) contrario alla soluzione dei 2 stati.
Quando è in atto un’operazione mediatica di proporzioni mondiali, che mira a mobilitare le masse contro un paese, e che prende di mira gli ebrei a livello globale, siamo davanti a qualcosa di ben più grave delle discutibili operazioni sul campo dell’IDF.
0 notes