#assaggi di antipasti
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The Bear 3: un ottimo tris, ma meno sorprendente
La terza stagione di The Bear si mantiene su livelli altissimi ma, dopo le precedenti praticamente perfette, sorprende meno. Due episodi sono però memorabili.
Paragonare una serie ambientata nel mondo della cucina a un pranzo stellato è una cosa facile e anche un po' pigra, ma forse non c'è modo più immediato per far capire cosa rappresenti la terza stagione per il percorso evolutivo di The Bear. The Bear 3 vede Carmy (Jeremy Allen White) finalmente al timone del suo ristorante, tanto inseguito e voluto, il "The Bear" del titolo, insieme alla socia Sydney (Ayo Edebiri). Preso in eredità dal fratello Michael, che ne aveva fatto un locale alla buona, pronto a servire panini unti e abbondanti soprattutto agli operai in pausa pranzo di Chicago, Carmy lo ha trasformato in un posto elegante e ambizioso: il suo obbiettivo è infatti ottenere una stella Michelin.
Jeremy Allen White è Carmy Berzatto in The Bear
Per riuscirci lo chef è pronto a sacrificare tutto: il sonno, la salute, l'igiene personale. E, soprattutto, i rapporti umani: The Bear 2 si è chiusa proprio con il suo sfogo nella cella frigorifero, in cui, non sapendo che Claire fosse dall'altro lato della porta a sentirlo, ha tirato fuori tutta la propria frustrazione per un rapporto che gli dà sì felicità, ma che allo stesso tempo lo distrae da quello che lo fa alzare ogni mattina: essere un artista del cibo. La felicità convive male con la grandezza. E Carmy vuole essere il migliore.
I nuovi episodi di The Bear riprendono esattamente da qui: gli autori ci mostrano l'ossessione che ha portato il protagonista a diventare un nome ricercato, che combatte costantemente con i propri limiti, per superarli ed essere sempre più bravo. A Carmy l'eccellenza non basta: vuole stupire, farsi ricordare. E in nome di questo prende una decisione che lo porterà a creare più di qualche malumore: cambiare menù ogni giorno. E, in un certo senso, è quello che fa anche la serie stessa in questo terzo ciclo: cerca di offrirci qualcosa di unico e differente a ogni episodio. In parte ci riesce, ma, rispetto alle stagioni precedenti, praticamente perfette, è come se si fosse persa un po' di spontaneità: siamo sempre a livelli eccellenti, ma manca la scintilla, quel qualcosa che ti fa dire "mi trovo di fronte a qualcosa di speciale".
The Bear 3: Una stagione di raccordo
Il pranzo stellato, dicevo: chiunque ne abbia mai provato uno sa che è fatto di tante portate, che nella mente dello chef rappresentano un vero e proprio viaggio. Non soltanto sensoriale: come si vede nel film Ratatouille, un piatto può diventare anche un tuffo nei ricordi e trasformarsi in un concerto di emozioni, oltre che di sapori e profumi. Di solito si comincia con gli amuse-bouche, poi gli antipasti, le portate principali e poi via, fino ai dolci. Tra un piatto importante e l'altro spesso arrivano dei piccoli assaggi, che spezzano la pesantezza se si è mangiato qualcosa di particolarmente ricco. Ecco: The Bear 3 è esattamente questo.
La prima stagione è stata folgorante: una novità, che ci ha colpito come un fulmine. La seconda, se possibile, è stata ancora migliore: forte dell'averci già fatto conoscere i personaggi, li ha portati a un'evoluzione che ci ha commosso e stupito per la bellezza della scrittura. Questa terza è leggermente in calo, ma un calo fisiologico. È come se ci preparasse al gran finale, pulendoci la bocca da quanto assaggiato all'inizio, per essere definitivamente stupiti e deliziati. Una stagione di raccordo insomma. Ma, sia chiaro, in un pranzo stellato anche qualcosa che resetta il palato ha un sapore eccellente.
Due episodi bellissimi
Ayo Edebiri è Sydney in The Bear
Sarebbe quindi davvero ingeneroso parlare di delusione per The Bear 3: la serie è quanto di meglio si possa vedere in televisione negli ultimi anni. E se è vero che questa stagione espone il fianco a qualche critica, ci sono almeno due episodi bellissimi, che da soli valgono la visione di tutto: si tratta di Ice Chips, in cui Natalie (Abby Elliott), sorella di Carmy, va in travaglio, e Napkins, che ci fa scoprire come Tina (Liza Colón-Zayas) sia arrivata nella cucina del The Bear. La prima è una lezione di regia: tutta primi e primissimi piani, interpreti in stato di grazia. Una perla. La seconda, diretta da Ayo Edebiri, è meno prorompente dal punto di vista stilistico, ma è permeata da una sensibilità rara. Non soltanto entriamo finalmente in connessione con Tina, ma abbiamo anche la possibilità di scoprire l'essere umano Michael. Il duetto tra Liza Colón-Zayas e Jon Bernthal è da applausi. Anche l'episodio finale, di cui non vi dico nulla, è eccellente. Insomma, è proprio vero che in questa serie "ogni secondo conta". E, per la terza volta, a visione finita, non possiamo che dire: sì, chef!
Conclusioni
In conclusione la terza stagione di The Bear è di raccordo tra il folgorante inizio e quella che sarà la fine. Gli attori sono sempre al massimo, così come la scrittura dei personaggi, ma si è persa un po' di sorpresa. Si tratta comunque di una stagione ottima, che può contare su almeno due episodi bellissimi: il 6 e l'8.
👍🏻
La bravura di tutti i protagonisti.
La scrittura dei personaggi.
Gli episodi 6 e 8.
Le guest star di lusso.
👎🏻
Forte della propria brillantezza, pur essendo ottima, questa stagione di The Bear è meno sorprendente delle precedenti.
#the bear#the bear 3#the bear season 3#the bear fx#carmy berzatto#sydney adamu#jeremy allen white#ayo edebiri
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🍤 VULNETIA. VERNAZZA (CINQUE TERRE) Vigilia di ferragosto nella piazza principale di Vernazza. Vista mare, pesce e tradizione. Abbiamo optato per una degustazione di antipasti e due assaggi di primo al vassoio. Ottime le tronfie al pesto. Con tanto vino della casa 45 € a persona. 🇬🇧 The evening before Ferragosto in the main square of Vernazza. Sea view, seafood, and tradition. We chose a tasting of appetizers and two samplings of pasta served on a tray. The “trofie al pesto” were excellent. With plenty of house wine, it cost €45 per person. 👉 Vulnetia 📍 Piazza Guglielmo Marconi 29. Vernazza. ☎ 0187 821193 💶 45 € a Persona ⛱️
www.facebook.com/share/p/ZA6J8vcZb2UPBLud/
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Trend dine sharing a ristorante, basta piatti e porzioni. Ecco come funziona la tavola condivisa
A Londra, New York, Berlino e Mumbai è un trend decisamente affermato. Ricorda le tapas spagnole, il meze medio orientale e anche un po’ i buffet ma il ‘dine sharing’ (o dinner sharing) non è fatto solo di piccoli piatti per assaggi ed antipasti e si realizza seduti a tavola. Il nuovo trend include portate abbondanti dei piatti principali dei menù servite a tavola. Tutto al centro, tutto si…
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Still not over this delicious stuff. Never will be.
#spaghetti alle vongole#assaggi di antipasti#pappardelle al cinghiale#funghi porcini#ravioli d'anatra con zucca e tartufo#pici con cinghiale e funghi porcini#pizza margherita#frittura mista#rigatoni alla norma#branzin con zucchini#italy#cuisine
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Categoria: Antipasti
Ingredienti
Fegatini di pollo 250 g
Acciughe (alici) 5
Capperi 30 g
Vin santo 45 g
Brodo di pollo 100 g
Senape 1 cucchiaino
Colatura di alici 1 cucchiaio
Cipolle rosse 1
Burro 35 g
Olio extravergine d'oliva q.b.
Rosmarino q.b.
Salvia q.b.
Preparazione
Patè di fegatini, passo 1
Per preparare il patè di fegatini iniziate preparando e poi mettendo in caldo il brodo di pollo. Passate alla cipolla rossa, dopo averla pulita affettatela sottilmente (1). Versatela in una padella con dell’olio caldo e lasciatela stufare un paio di minuti (2). Aggiungete qualche foglia di salvia e dei rametti di rosmarino (3).
Patè di fegatini, passo 2
Lasciate insaporire qualche minuto mescolando affinché non si brucino (4). A questo punto unite i fegatini (5) e fate sigillare bene (6).
Patè di fegatini, passo 3
Rimuovete gli aromi (7) e sfumate con il vinsanto (8). Quando l’alcol è evaporato bagnate con il brodo di pollo caldo (9) e cuocete per una decina di minuti.
Patè di fegatini, passo 4
Trascorso il tempo spegnete la fiamma (10) e mentre il fondo è ancora caldissimo aggiungete le alici (11) e i capperi dissalati in precedenza (12).
Patè di fegatini, passo 5
Unite anche il burro (13), la senape (14) e la colatura di alici. Mescolate subito e bene affinché gli burro e alici si sciolgano e il resto risulti amalgamato (15).
Patè di fegatini, passo 6
Assicuratevi che sia giusto di sale e aggiungete ancora un po' di salvia sminuzzata (16). Spostate sul tagliere i fegatini e tritateli al coltello fino a ottenere quasi una purea rustica (17). Spalmate il patè di fegatini sul pane tostato, un giro d’olio e gustate (18).
Conservazione
Il patè di fegatini si può conservare in frigorifero per un paio di giorni ben coperto d'olio.
Consiglio
L'aggiunta di senape e colatura di alici è un "in più" rispetto alla tradizione, potete ometterli se non li preferite.
Quando saranno cotti, assaggiate i fegatini prima di tritarli al coltello: se sono troppo sapidi, aggiungete un po' di brodo o acqua caldi, altrimenti se troppo poco saporiti basterà un pizzico di sale.
Nguồn: https://ricette.giallozafferano.it/Pate-di-fegatini.html Xem thêm tại: https://thuthu220100.blogspot.com https://hocnauan.edu.vn Xem thêm tại: https://thuthu220100.tumblr.com https://hocnauan.edu.vn
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Quando i libri parlano (anche) di cibo
Salva fatta la promessa di approfondire l’argomento – che merita davvero – in un più complesso articolo (Il cibo nella letteratura), per ora voglio soffermarmi sullo squisito piacere che si ricava dai libri che regalano non soltanto la possibilità di vivere un’altra vita nel leggerli, ma anche di sentire il sapore del cibo offerto da questa vita. “Due o tre giorni prima le tre zitelle con Nina la cameriera avevano sgusciato noci, nocciole, mandorle e pinoli, tagliato le bucce d’arancia per la canditura, spezzettato datteri e fichi per i buccellati fatti in casa. Per l’immancabile sfincione c’era stata la pelatura e l’affettatura delle cipolle, che poi sarebbero state appassite nell’olio verde di campagna e quindi cotte nella salsa di pomodoro imbottigliata nell’estate appena trascorsa. E non poteva mancare il ragù per fare gli anelletti al forno, e la pasta coi broccoli arriminati che piaceva tanto ai nipoti. Il menù iniziava con un tripudio di antipasti: tuma, primintìo, caciocavallo, olive e salumi vari da mangiare col pane casereccio preparato dai contadini di Beddarìa. E, dopo i primi, rollò di carne imbottita e purè di patate. Tutte le imbottiture vennero cucinate due giorni prima, poi un giorno prima la preparazione delle farine per paste dolci e salate, in modo che il giorno stabilito bisognasse rifinire dolci e primi e cucinare solo la carne e le patate.” (tratto da “La miglior parola è quella che non si dice” – secondo volume della saga di Maria Samoná, prossima pubblicazione di Entheos Edizioni)
Quando i libri parlano di cibo e il cibo parla dei personaggi Immergersi nei profumi, assaporare gusti sconosciuti, farsi inebriare dai sapori di pietanze esotiche o profondamente ancorate nella tradizione regionale: questo è il potere del cibo nei libri. Ma il cibo nei libri non ci porta soltanto a conoscere nuove ricette o gusti mai provati, ci fa anche capire il carattere dei personaggi che lo assaggiano. Così, ci ritroviamo a pranzare insieme a Maigret di Simenon mentre prova a portare a capo un’intricata indagine: il commissario è un uomo semplice, ama mangiare nelle osterie o trattorie (bistrot – perché in francese è tutto più chic) e ama mangiare cose semplici, cucinate in modo semplice: arrosto di maiale con lenticchie, fricandò, zuppa di cipolle gratinate (o soup à l’oignon gratinée, per l’appunto. In questo articolo troverete la deliziosa ricetta). Da un commissario all’altro, dalla cucina francese – che, forse, di pretenzioso ha solo il nome – a quella siciliana, colma di calura e gioie per il palato. E se Maigret prediligeva i piatti di terra, il nostro Montalbano è famoso per la sua passione per i spaghetti al nero di seppia o le polpettine di neonata, pure lui però estimatore dei profumi della terra, anche se di mescolanze più esotiche come quelle arabe o greche. E allora assaporiamo la caponata di melanzane e il cous-cous alla trapanese, o la pasta ‘ncasciata o quella con le sarde. Se poi dal libro volete passare a tavola, eccovi la nostra ricetta letteraria della pasta con le sarde! Da mangiare in silenzio, con vista mare. I nostri commissari sono uomini tutti d’un pezzo, hanno bisogno di un cibo senza fronzoli, eppure elaborato nella sua semplicità, proprio come le loro indagini.
Di tutt’altro genere si ciba Proust, che fa indagini sull’anima – notoriamente più leggera –, e allora assapora madeleine e non la finisce più di parlarne (lo facciamo pure noi in questo articolo). D’altronde, queste sono indagini che non si chiudono mai. Ne Il Gattopardo di G. Tomasi di Lampedusa anche il cibo è di rappresentanza: si è nobili, tocca apparire, le feste sono sontuose, le tavole apparecchiate scenograficamente, i cuochi si prodigano in elaborazioni culinarie mentre i commensali apprezzano, lambiti però ognuno dai suoi pensieri. In Moby Dick si va a caccia di balene e si mangia zuppa di molluschi: “Ma quando la zuppa fumante arrivò, il mistero – di come una vongola potesse sfamare un uomo – fu piacevolmente svelato. Oh! amici cari, statemi a sentire. Era composta da piccole e succulente vongole, non più grandi di una nocciola, mescolate a gallette, a maiale salato tagliato a pezzettini! il tutto condito con burro e abbondantemente insaporito con sale e pepe.”
Credit@lacuocaignorante Se semplici marinai vi sembrano incapaci di un qualunque pensiero di spessore, ebbene, sappiate che la profondità del mare ispira oltre la finezza di qualsiasi nobiltà, e un piatto di zuppa di molluschi offre un paio di riposte a domande esistenziali che neanche la meglio cena di rappresentanza al palazzo ducale. Letteratura e cibo Leggere e mangiare, due intimi piaceri da coltivare con attenzione: da entrambe ci si deve congedare con ancora un po’ di fame. E se, come notava Ludwig Feuerbach, “siamo quello che mangiamo”, lo stesso dicasi della lettura. Ecco quindi che forse c’è un nesso fra la digeribilità di Ulisse di James Joyce e i gusti del suo personaggio: “Mr. Leopold Bloom mangiava con soddisfazione gli organi interni di bestie e volatili da cortile. Amava la densa zuppa di frattaglie, ventrigli speziati, un cuore arrosto ripieno, fegato a fette impanato e fritto, uova di merluzzo fritte. Più di tutto amava i rognoni di montone ai ferri, che regalavano al suo palato fine un sentore di urina lievemente odorosa”. Per concludere Non si può vivere senza mangiare – non a lungo, perlomeno –, tuttavia si può vivere (benissimo) senza leggere. Quello che non si può fare senza la lettura è mangiare la zuppa di molluschi di capitan Achab, o partecipare al pranzo di nozze di Monsieur Bovary, così come non si potrà mai ricordare il profumo di certe madeleine mai assaggiate. “I libri pesano tanto: eppure, chi se ne ciba e se li mette in corpo, vive tra le nuvole” Luigi Pirandello Annabelle Lee Read the full article
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MENU FISSO GIORNO NATALE 50 euro bevande incluse ANTIPASTI FREDDI Alici marinate, peperoni e capperi Insalata di mare Tonno rosso affumicato, semi di papavero e olio extravergine di oliva Pane alla brace, aglio e olio evo ANTIPASTI CALDI Olive di pesce Soutè di cozze e vongole Scampi bolliti Ostriche gratinate Bomboletti al finocchietto bastardo DUE ASSAGGI DI PRIMO Risotto alla marinara Maltagliato allo scoglio DUE ASSAGGI DI SECONDO Arrosto misto Frittura dell' adriatico con chips di patate e zucchine DOLCE Sorbetto al limone Dolce del giorno BEVANDE Vino in bottiglia etichetta della settimana Caffè. RISTORANTE CAPITAN GIACOMO Viale Aosta 71 Folignano (AP) Per info e prenotazioni: ristorantecapitangiacomo.webnode.it/ 0736390687/0736491595 . #italiaintavola #iloveitalianfood #mangiarebene #villapigna #ascolipiceno #aperitivotime #bistrot #vininaturali #viniver #evoebistrot #ristorante #lovefood #lovewine #igerspiceni #igersmarche #yalleritalia @marchetourism @igerspiceni @igersmarche @igersitalia #viviamolemarche #solocosebuone @cloudeap @lucabart78 @marco_barman — view on Instagram https://ift.tt/2OUAD3j
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#corsosommelier assaggi di Antipasti : Sformato di Verdure e #gorgonzola Da #firenze ASS. #ilsantuccio #baccoperbaccoitalia #Viaggiatoridelgusto #ricettedibacco #cucinaitaliana (presso Circolo Tennis Firenze 1898) https://www.instagram.com/p/B4QaTdyI3kr/?igshid=1f4uk0lybhzia
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La Taverna del Porto - Tricase Porto
Arrivare lungo la costa rocciosa fino al paese che ospita questa taverna è una piacevole esperienza. Il villaggio si articola dall'alto ttorno ad un porticciolo riparato da grandi muri.
La taverna si trova poco dopo il porto sulla strada che segue il mare. Di fronte si può scendere su una grande terrazza che si affaccia sulle rocce che danno sull'acqua.
Il locale ha un'impostazione retro molto curata. Tavoli in legno e un grande banco da un lato su cui è esposto il pesce fresco. Molto piacevole nell'insieme.
Il menu è ben articolato e offre assaggi come antipasti, pochi primi e poi crudi e pesci da cuocere.
Ottimi i tartufi crudi e l'antipasto misto con baccalà in tempura e altri sapori interessanti. Lo scapece di Gallipoli, con dei piccoli pesci in carpione, ha un sapore deciso anche se forse l'acidità è eccessiva.
Peccato per il cubetto in salsa di pomodoro che pecca di mancanza di concentrazione di quest'ultima.
Pochi vini in prevalenza locali. Servizio attento.
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Achar, ristorante nepalese.
In una piovosissima sera di maggio io e Ale ci siamo avventurati fino in Piero della Francesca, che è una via che mi piace molto ma nella quale vado assai di rado perché nella mia testa è lontanissima da casa. Proprio ben collegata non è, anche se ora la lilla la rende più comoda, ma è davvero carina e piena di ottimi locali, come del resto La Pulperia, che avevo recensito qui nel lontano 2014. Il pretesto è stato - come spesso accade - mangereggio, ma particolarmente originale: siamo andati infatti a provare un ristorante nepalese.
Achar, questo il nome, è un locale raccolto e molto grazioso, arredato con un giusto connubio di tradizione e modernità: le bellissime maschere nepalesi si alternano con grandi quadri moderni ma d’ispirazione asiatica classica (tra cui quello un filo inquietante di tanti bambini colorati che mi hanno fissato per tutta la cena) e di fianco al tavolo in cui eravamo con un gruppo di amici c’è un banchettino con saponi artigianali e incensi in vendita.
Dal punto di vista cibo, che poi è il punto focale, non avendo mai mangiato nepalese, mi aspettavo in qualche modo una derivazione, o comunque una sorta di remix, della cucina indiana: devo dire che mi sbagliavo, e ne sono stato piacevolmente sorpreso.
Partendo dagli antipasti, le possibilità veggie erano soprattutto due, e le abbiamo assaggiate entrambe:
Sabji ko mo:mo, cioè ravioli fatti in casa al vapore con verdure miste, coriandolo fresco, sale, pepe e burro chiarificato: davvero buonissimi e sorprendenti, anche e soprattutto per un non-estimatore del coriandolo come me (trovo che faccia sapere tutto di detersivo per piatti, e invece qui dà un gustino gradevole, appena accennato)
Ala pakauda: frittura di patate con farina di ceci, farina 00, cipolla, cumino e sale: molto ‘cicciona’ e riempiente, buona ma alla lunga un po’ stucchevole.
Volendo poi provare il chow mien (o chow mein? Sul menu era riportato nella prima versione), i noodles nepalesi, la scelta cade tra due tipi, Veg chow mien e Anda chow mien, che contengono entrambi verdure miste, aceto, soia, spezie, sale e pepe, ma la seconda versione ha anche le uova. La prima non è comunque vegana, essendo la pasta all’uovo, quindi tanto vale aggiungercelo e farla sporca direttamente :p
E’ una pasta particolare, direi ‘fresca’, con un sapore delicato leggermente acido, che mangeresti a chilate. Davvero interessante.
A completare il pasto, un contorno a base di erbe miste cotte, una cosa tipicissima e interessante fatta in casa secondo un’antica tradizione, e una birra nepalese, tale Gurkha, spacciata per forte e invece leggera e beverina.
Colpo al cuore, le due torte finali: quella di banana (una specie di torta margherita) e quella di tapioca, forse la vera rivelazione della serata, con una consistenza budinosa e un sapore eccezionale.
Insomma, Achar è,a parer mio, un posto da provare certamente se passate dalla zona, con diverse scelte vegetariane molto interessanti (la vedo più dura per i vegani, in verità). Ambiente intimo e servizio molto cortese. Prezzi nella media milanese: un antipasto e due/tre piatti+una birra a testa, 32,50€.
POSTO: 4/5 MANGIARE: 4/5 BERE: 2/5 ECONOMICITA’: 3/5 VEGFRIENDLYTUDINE: 3/5
Achar, via Piero della Francesca 13 (zona Gerusalemme)
02 87247049
www.acharcucinanepalese.com
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Nairn è un’altra delle tappe per la notte nel nostro on the road in Scozia, la quarta notte per la precisione, dopo le due notti a Edimburgo, e la terza notte a Stonehaven.
Arriviamo a Nairn dopo aver visitato in giornata Pennan, Crovie, Gardenstown, Banff, Portsoy e Portknockie splendidi villaggi lungo la costa nord est, nel Moray Firth. Sempre lungo la costa, prima di arrivare a Nairn, vale la pena fare una sosta per una passeggiata alla spiaggia di Lossiemouth e una pausa a Elgin.
West beach al tramonto
Nairn, ex borgo reale delle Highlands, ha origini molto antiche, sorge attorno all’anno 1000 come colonia norvegese, si è sviluppata poi durante l’impero di James VI diventando una vera e propria “città di confine”. I suoi abitanti, in parte di cultura gaelica che si dedicavano alla pesca, in parte inglesi del nord est della Scozia che si dedicavano all’agricoltura. Sembra addirittura che da un lato all’altro della strada principale High Street, si parlassero due lingue diverse.
Situata lungo le coste del Moray Firth è una graziosa località di vacanza popolare per le sue splendide spiagge, tanto da essere definita la “Brighton della Scozia”. Le spiagge di Nairn sono due: la West Beach, la più piccola e la East Beach, la più grande. Spiagge bellissime con sabbia d’orata che conducono a un mare turchese, in lontananza le scogliere del Moray Firth, il luogo ideale per rilassarsi e fare meravigliose passeggiate tra le dune.
West Beach
La cittadina ha un grande viale principale, High Street, attraversa il centro e segue il corso del fiume Nairn che sfocia in mare., lungo il viale negozi e locali. La cittadina non ha sicuramente il fascino di altri villaggi, il suo punto di forza sono sicuramente le spiagge.
West beach
Nairn vanta un porto, importante punto di riferimento, progettato nel 1820 da Thomas Telford ha contribuito allo sviluppo di Nairn. Nel suo momento di massimo svilupo, quando la pesca era l’attività principale, il porto accoglieva una sessantina di barche da pesca e quasi tutti gli abitanti del villaggio erano dediti a tale attività. Per capirne di più si può visitare il Fishertown Museum. Ad agosto ospita i Nairn Highland Games e l’International jazz festival.
Scorcio del porto
A qualche chilometro da Nair, una tappa imperdibile è il Cawdor Castle, uno dei castelli più romantici di Scozia e che gli appassionati di Shakespeare sicuramente conoscono. Nel Macbeth, la celebre tragedia, Macbeth uccise proprio a Cawdor Castle il re Duncan dopo aver sognato che lui stesso sarebbe salito sul trono di Scozia. Il castello attualmente è abitato dalla Contessa Cawdor, matrigna di Colin Campbell, VII Conte di Cawdor. Il castello è comunque visitabile tutti i giorni dal primo maggio al 2 ottobre, dalle 10.00 alle 17.30. Qui il sito per le informazioni.
Giardino Cawador Castle
Cawador Castle
Un altro castello, a una decina di chilomteri da Nairn, è Brodie Castle, gestito dal National Trust For Scotland, risale al XVI secolo. Si trova nel parco di Morayshire vicino Forres è circondato da un parco di ben 71 ettari con giardini paesaggistici, un grande stagno, un parco giochi e una passeggiata tra i boschi con un sentiero naturale che permette di osservare la fauna selvatica. In primavera, i terreni sono puntellati di molte varietà di giunchiglie. Un castello ancora ben conservato che contiene molte opere d’arte, un’importante collezione di dipinti, mobili francesi, porcellane inglesi e cinesi. Spettacolare la biblioteca con circa 6.000 volumi e gli originali soffitti. Qui le informazioni per visitare il castello.
Brodie Castle
DOVE DORMIRE A NAIRN: DENSON VILLA
Si tratta di una guest house in un’antica e tipica villetta. La camera molto ampia arredata in stile classico con meravigliosi coordinati letto e fiori freschi, tutto molto raffinato e curato nei dettagli. Bagno molto carino e pulitissimo, ampia doccia.Davvero un luogo magico dove soggiornare. Il padrone di casa Alex è molto gentile e disponibile ci ha accolti all’arrivo con due scones. Come è consuetudine delle guest house in Scozia e in tutta la Gran Bretagna, la colazione viene scelta da un ricco menù, la proposta e sempre molto ampia e di ottimo livello. La colazione, servita in camera nel tavolo posizionato di fonte a una finestra con vista sul campo da golf, è stata un’esperienza fantastica di questo soggiorno. Al check out Alex ci ha congedato con due fette di torta home made, da consumare durante il viaggio. Di fronte la struttura c’è un parcheggio gratuito deve lasciare l’auto. La struttura dista 10 km dal Castello di Cawdor. Prezzo pagato (una notte) 88,00 euro, colazione inclusa. Indirizzo: Lochloy Road, Nairn IV12 5AF, Regno Unito. Sito Web.
Camera
Camera
Generi di conforto
Bagno
Dolci da viaggio
Per cena: Se volete cenare a Nairn vi consiglio il wine bar One One Two, oltre a una buona scelta di vino, propone una cucina davvero ben fatta con ottimi prodotti. Menù ricco e vario a prezzi ottimi. E’ possibile prendere tutta una serie di assaggi (antipasti) come fare una cena classica con antipasto e un piatto principale.
One One Two
One One Two
One One Two
A poche miglia da Nairn troviamo
FORT GEORGE
Fort George è un’immensa fortificazione del XVIII secolo che si trova nei pressi della cittadina di Ardersier e a nord-est di Inverness. In gaelico è chiamata Dùn Deòrsa o An Gearastan (il presidio o/la guarnigione).
Fu costruita per quietare gli altipiani della Scozia, costruita dopo la rivolta giacobita del 1715, per mettere la zona sotto controllo armato. Andò a sostituire un’altra Fort George a Inverness,
Ingresso Fort George
Fort George fu una delle spietate misure introdotte dal governo, per sopprimere le ambizioni giacobite dopo la battaglia di Culloden. Questo forte, fa parte di un pezzo di storia infausta della Scozia e provoca sentimenti forti in tutti gli scozzesi. Conoscere la storia, anche negli aspetti infausti e tristi è importante, per farsi un’idea più precisa su questa Nazione. Fu creato e mantenuto per distruggere la cultura gaelica. Era tristemente questa la sua funzione principale. Fu uno dei tre forti creati per sottomettere le Highlands, gli altri erano Fort Augustus e Fort William. Lo stesso sistema di fortezze adottato dagli Stati Uniti, nell’intento di distruggere la cultura dei nativi americani.
PRIMO FORT GEORGE
Costruito inizialmente nel 1727 a Inverness, Fort George era una grande fortezza che poteva ospitare fino a 400 soldati ed era sita su una collina adiacente al fiume Ness, nel luogo di un castello medievale che era stato ricostruito come cittadella da Oliver Cromwell e poi abbandonata.
Torrette di guardia
Durante la rivolta del 1745 la fortezza fu catturata dai giacobiti, che la fecero saltare in aria nel 1746 per evitare che gli hannoveriani la usassero come base militare. Nel 1747 il colonnello William Skinner, Ingegnere Reale della Gran Bretagna settentrionale, approntò un contratto per ricostruire la fortezza, ma il Comune di Inverness presentò una richiesta di risarcimento per la perdita di una parte del suo porto e fu quindi trovato un sito alternativo (quello attuale).
SITO E COSTRUZIONE
Il sito dove fu costruita è una lingua di terra ad Ardersier, su un promontorio che si protende nel fiordo Moray Firth e controlla l’approccio marittimo di Inverness stessa. Con il proprio porto, sotto le mura, la fortezza poteva essere fornita di viveri via mare in caso di assedio.
Fort George dall’alto – Ph: Graham Bradshaw
I lavori iniziarono nel 1748, con il colonnello Skinner in carica e come architetti appaltatori i fratelli Adam – John, Robert e infine James – che supervisionarono circa 1.000 soldati quale manodopera e difesa del sito contro eventuali attacchi. Entro il 1757 le principali difese erano pronte e Fort George fu definitivamente completato nel 1769. Il budget iniziale era di 92.673 sterline, ma il costo finale superò 200.000 sterline, una considerevole cifra per quell’epoca. Non ci furono comunque altre ribellioni giacobite da contenere e divenne quindi una base militare per i reggimenti delle Highlands, reclutati dai clan.
FORTIFICAZIONI
Nella terminologia militare, le fortificazioni di Fort George costituiscono un esempio di “difesa in profondità” o difesa elastica. Le pareti principali sono rivestite in pietra, sfaccettate in piano e ad angoli con bastioni sporgenti e roccaforti trincerate in modo che ogni facciata è coperta da fuoco di cannoni situati in cima ad altre pareti. Le pareti sono di ampia larghezza e ricoperte da terreno erboso, sopra casematte a volta che formano bunker sotterranei progettati per proteggere l’intera guarnigione dal fuoco d’artiglieria.
Uno scorcio delle costruzioni di Fort George
L’approccio da terra alla fortezza è da una vasta area liberamente spianata con ghiaia, non adatta al posizionamento di cannoni pesanti, in modo da rendere impossibile lo stanziamento di artiglieria nemica in un eventuale assedio, tenuta quindi fuori portata. Sponde erbose in pendenza, progettate per assorbire colpi di artiglieria, nascondono il forte dalla vista. L’ingresso è raggiungibile attraverso un rivellino – struttura difensiva autonoma che incorpora una garitta – ed è completamente esposto al fuoco difensivo del forte principale; segue poi una passerella in legno rialzato, completo di ponte levatoio sopra un ampio fossato posto tra bastioni ben difesi. La fossa forma un terreno completamente esposto a tiro pesante da parte del forte, dalle mura.
ACCESSO TURISTICO
La caserma è attualmente in uso e ospita truppe dell’esercito reale britannico, tuttavia buona parte del sito è aperto ai visitatori. Viene gestita da Historic Scotland, una parte della caserma esibisce varie ricostruzioni dei periodi storici, quando il forte veniva usato per le difese locali del fiordo di Moray, con una mostra di armi e storie militari del XVIII secolo.
HIGHLANDERS’ MUSEUM
L’edificio originariamente adibito a casa del Governatore ospita il Museo degli Highlanders, museo ufficiale del Reggimento Highlanders della Regina. Le esposizioni includono uniformi, armi, medaglie, targhe commemorative delle due guerre mondiali, fotografie, dipinti, cimeli e le insegne del reggimento. Ci sono inoltre mostre che includono la storia dei reggimenti, i loro legami con i clan scozzesi e le imprese dei vari reggimenti nei diversi conflitti.
Uno scorcio del Forte
La Cappella del reggimento è aperta anche ai visitatori e presenta vari stendardi e bandiere memoriali. (Fonte Wikipedia) Sito web: Fort George
Il nostro viaggio prosegue a Loch Ness e al Castello di Urquhart
Scozia: Nairn e i suoi dintorni e Fort George Nairn è un’altra delle tappe per la notte nel nostro on the road in Scozia, la quarta notte per la precisione, dopo le due notti a…
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Capodanno con la "Casa Famiglia" del Capitano Ultimo: una festa per ricominciare
Capodanno con la “Casa Famiglia” del Capitano Ultimo: una festa per ricominciare
ROMA – Alle ore 21.00 del 31 dicembre, presso la Casa Famiglia del Capitano Ultimo una Festa per ricominciare, per costruire una strada di semplicità dove c’è posto per tutti, senza escludere nessuno. Un abbraccio di amicizia e di speranza. Antipasti terra e mare e assaggi di coratella e trippa. Tre primi, due secondi con contorno, zampone e lenticchie, frutta e dolci della pasticceria…
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I sapori tipici mediterranei a passeggio nelle città istriane
“L’Istria, dove i sogni diventano realtà”. Questo è stato un azzeccato claim degli anni passati che continua ad essere ancora oggi più che mai vero. Infatti questa penisola a forma di cuore a due passi dall’Italia, immersa nel profondo azzurro delle acque dell’Adriatico, è un giardino segreto ricco di tante bellezze, che apre le sue porte al caldo ed assolato Mediterraneo. Per la maggior parte in territorio croato, è una terra dai mille volti. Infatti se da un lato, con il suo mare cristallino, le coste frastagliate, i porti e le tante viuzze lastricate, richiama il fascino del Mediterraneo, dall’altro, con le pittoresche cittadine medievali sulle colline dell’entroterra, ricorda la tranquillità tipica della Croazia continentale, il cui paesaggio ricorda i panorami della Toscana o della Provenza.
L'intera penisola merita di essere visitata con calma per apprezzarla appieno, anche perché non bisogna mai dimenticare che da queste parti i “sogni diventano realtà”. Un viaggio da queste parti è anche l’occasione per scoprire la ricca ed interessante gastronomia istriana in grado di stupire per diversità ed armonia.
Orsera, in croato Vrsar, una piccola città vicino al Canale di Leme, dalla bellezza autentica e di stampo antico, può essere la base per questo viaggio di scoperta sia delle città del litorale adriatico e sia delle tante prelibatezze della cucina istriana dove si fondono i caratteri mediterranei e continentali. La location ideale, da eleggere a “base” per questo viaggio può essere il Resort Belvedere, una struttura turistica, costruita a ridosso della spiaggia, che si distende a raggiera sullo splendido arcipelago orserese. Fra i tanti vantaggi, in pochi minuti si arriva a piedi nel centro cittadino, direttamente sul lungomare.
La cittadina istriana, ricordata anche da Giacomo Casanova nelle sue “Memorie”, conserva un centro storico ricco di angoli suggestivi e caratteristiche viuzze in pietra. Dal centro poi ci si può inerpicare fino alla cima del colle dominato dal Castello, un tempo dimora vescovile e dalla Chiesa di S. Martino. Il Belvedere, con splendida vista sul molo di Orsera, sul porticciolo e sull’isola di San Giorgio, è dedicato, non a caso, al celebre seduttore. Infatti la magia di questo luogo è in grado di ispirare chiunque, dalle coppie di innamorati ai semplici visitatori.Sono tante le località del litorale istriano che meritano di essere visitate. Fra queste Pula (Pola), Rovinj (Rovigno), Porec (Parenzo), Cittanova presso Zara (Cittanova) e Umag (Umago), per toccare con mano le tracce delle civiltà più antiche e l’eredità di Venezia.Al termine di una giornata intensa anche la fame si fa sicuramente sentire. La cucina tradizionale istriana è fantastica in ogni periodo dell’anno. In essa convivono, in perfetto equilibrio, i piatti di mare della tradizione mediterranea, con quelli a base di carne, della parte interna della penisola. Si può quasi dire che, nell’adeguarsi al ritmo delle stagioni, mostra con naturalezza il suo lato mediterraneo e subito dopo quello continentale.Tra i piatti tipici primeggiano la pasta fresca, il prosciutto e il formaggio di pecora. In particolare il prosciutto crudo (pršut) di questa terra ha un sapore unico ed irresistibile. I risotti (fra cui quello al nero di seppia) poi sono una autentica delizia. L’intera penisola è attraversata dalle strade del vino, dove tanti produttori propongono diverse varietà del “nettare di Bacco”. I vini istriani hanno un sapore speciale grazie alle caratteristiche naturali della regione. La più importante varietà è la Malvasia. Si trova dappertutto in Istria ed è parte indispensabile dell’identità del paese. Assaggiate il vino del colore giallo paglierino, dall’aroma di fiore d’acacia e dalla freschezza moderata. Da non dimenticare neppure le due varietà del moscato (di Momiano e quello rosa di Parenzo) con l’aroma di garofani selvatici.Un altro vino da non perdere è il Terrano, fresco di colore rosso rubino, adorato da Giacomo Casanova, che ne apprezzava i profumi vivaci di frutta. Il grande seduttore veneziano lo “incontrò” proprio ad Orsera. Ed a Orsera per assaggiare il meglio della cucina istriana si può fare una sosta gustosa ai Ristoranti Riva e Lungomare entrambi a due passi dal mare. Il primo si trova in via Obala Maršala Tita. L’ambiente è raffinato, il pesce è di qualità ed i piatti sono preparati con cura dallo staff di cucina guidato dallo chef Marko Obradovic, un appassionato di Nouvelle Cuisine. Al suo fianco la vice chef Magdalena Cinaric e Goran Radulovic.
Gli antipasti di mare, al pari dei primi piatti e dei secondi sempre a base di pesce, sono un inno per il palato e non tradiscono le attese. Il tutto poi può essere accompagnato da un calice di Malvasia istriana, un vino dal profumo fresco e leggermente fruttato ed il gusto leggero ed asciutto che ben si accompagna con i piatti di pesce. I piatti in arrivo sono presentati dall’ottimo Sandro Degrassi un cameriere con tanti anni di esperienza anche in ristoranti italiani.A due passi c’è anche un altro ottimo locale. Si parla del Ristorante Lungomare con ampia terrazza direttamente sul mare per gustarsi, a pranzo e cena, ottimi piatti di carne o di pesce, cullati dal piacevole sciabordio delle onde sugli scogli e sfiorati dal dolce brezza marina. Ai fornelli lo chef Mario Pecaric delizia gli ospiti con una infinità di cose buone. Si può partire con un buon risotto al nero di seppia ed accompagnarlo con un carpaccio di branzino con tartufo. Non può mancare un assaggio di Pljukanci istriani, la pasta affusolata tradizionale di questa terra, che può essere servita con diversi sughi, ai tartufi, di asparagi o di pesce. La presentazione in tavola dei singoli piatti è curata dall’impeccabile Merim Biberovic, direttore del ristorante.
Se invece si apprezza la cucina “casalinga” in ambiente semplice e cordiale la scelta migliore è la Trattoria Basilico, un locale affacciato sul caratteristico porticciolo di Orsera. La cucina è “a vista” e si possono osservare cuochi e pizzaioli mentre preparano le varie specialità. Gli amanti del pesce possono tra l’altro gustare un ottimo branzino, preparato “in diretta”. Buona anche la pizza cotta nel forno a legna. Per una cena veloce a costi contenuti è una scelta più che valida. I Ristoranti Riva e Lungomare, la Trattoria Basilico ed il Resort Belvedere fanno parte della Società Maistra Hotels & Resorts, un’azienda croata che conta 10 alberghi, otto Resort, sei campeggi, diversi appartamenti e vari ristoranti. Per informazioni: www.maistra.com
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Menu degustazione
Antipasti
Carpaccio di vitello alla piemontese Condito con emulsione di acciuga, sale, limone e pepe Insalatina di gallina con verdure Tortino di porri in salsa raschera
Primi
Tajarin trenta rossi al ragù di salsiccia Tortelli di zucca al tartufo nero
Secondi
Bocconcini di vitello al Dolcetto Assaggi di formaggi della casa
Dolci
Degustazione di dolci Bonnet Panna cotta al miele e castagne Pere Madernassa al moscato
Il progetto
Il Village è un progetto di responsabilità sociale del Gruppo Ferrero legato al territorio, come l’Asilo e la Fondazione, che si propone come modello di attività educativo-motorio rivolto a tutti, in particolare ai bambini, ai ragazzi e alle loro famiglie.
Il suo nome richiama la quotidianità di un villaggio, inteso come spazio condiviso, come luogo dove la relazione tra le persone alimenta uno scambio continuo di esperienze diverse: esperienze ludiche e sportive, in questo caso, che permettono di condividere il piacere del movimento.
Questa è la parola chiave: il Village è movimento fatto con gioia, sport come divertimento, ricerca di benessere e socialità, e si fonda sui valori nobili dello sport che, aiutano a costruire i futuri cittadini. Il movimento interpreta il ruolo di animatore della “comunità Village”, che rifiuta concetti di selezione e competitività, demandati ad ambiti sportivi specialistici, e promuove invece lo sport come veicolo di crescita e inclusione.
Grazie al ricco palinsesto di attività ed eventi – dal programma Joy of Moving Junior ai campi estivi per bambini e ragazzi (Day Camp e School Game), dai corsi di fitness alle Scuole di sport – il Village rappresenta oggi un gate di ingresso ideale al mondo del movimento e dello sport e vanta circa 3000 frequentatori settimanali, tra i quali i bambini delle scuole di Alba, che svolgono le ore di lezione del programma ministeriale con l’applicazione del nuovo metodo di educazione motoria Joy of Moving, gli atleti delle società del territorio, i ragazzi dei Licei albesi, gli appassionati del fitness e quelli del movimento che usufruiscono delle piattaforme sportive.
Oggi il Village è un modello di successo e un’ispirazione per il domani, con caratteristiche di unicità e sostenibilità tali da renderlo replicabile in altre geografie e culture, ma anche un centro di ricerca scientifica che alimenterà in futuro l’innovazione e la didattica in ambito ludico-sportivo.
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Il mare di Giò a Seriate applaudito dai Gourmets degustateurs
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Il mare di Giò a Seriate applaudito dai Gourmets degustateurs
Dopo il Club Buongustai e gli accademici della Gastronomia storica italiana, è toccato ai soci della Accademia gourmets degustateurs andare a saggiare la qualità di un locale emergente qual è il Giò a Seriate (Bg).
Qui da quasi tre anni opera il cuoco Giovanni D’Auria (da qui il nome “Giò” dato al ristorante). Guidati dalla presidente Stella Silipo Capozzi, i Gourmets hanno scelto un menu che è un po’ il classico cavallo di battaglia del “Giò”: il pesce nelle varie sfaccettature, crudo o cotto in modi diversi. Si è cominciato con gli antipasti in due tempi: Scampi al vapore con lamponi ghiacciati; Polpettina di baccalà con maionese verde; Vellutata di patate con piovra saltata; Tartare di ricciola; Ostrica; Stracciatella di bufala con alice di Cetara.
Annamaria Belotti, Giovanni D’Auria e Stella Silipo Capozzi
I vini, scelti dalla socia e sommelier Annamaria Belotti, hanno visto l’apertura con Franciacorta Satèn Antica Fratta, seguito dal pregiato e apprezzato Furore Bianco 2016 di Marisa Cuomo prodotto in Costa d’Amalfi. Sul primo piatto (Tagliolini neri con mazzancolle e crema al finocchio) e sul secondo (Rombo chiodato da applausi, con carciofi e patate) è stato servito un Incrocio Manzoni 2015 prodotto da Vignalta sui Colli Euganei. Per finire in dolcezza, torta con dedica personalizzata e panettone, accompagnati da un buon Moscato d’Asti come è quello prodotto dall’azienda La Spinetta.
Tagliolini neri con mazzancolle e crema al finocchio
Se emergente lo era nei mesi scorsi, oggi – a detta dei Gourmet degustateurs – il Giò può essere considerato un ristorante sicuro e affermato per chi ama in particolare il pesce nelle varie proposte. A Seriate (Bg), lungo la Strada Nazionale, in direzione di Albano Sant’Alessandro, il “Giò” ha un comodo parcheggio privato, tavoli all’aperto nella bella stagione, una elegante sala da 70 posti e una seconda sala per banchetti sino a 110 persone. La cantina contiene 150 etichette, molte di ottima qualità e ben conosciute.
Rombo chiodato con carciofi e patate
Nel corso della serata, tra assaggi e chiacchierate, i Gourmet non hanno mancato di ricordare con affetto i soci scomparsi, tra cui alcuni protagonisti proprio del mondo della ristorazione: Pino Capozzi, Stefano Cardaci, Roberto Gambirasio, Beniamino Dusi, Rosanna Volpe, Attilio Paganoni.
Per informazioni: www.ristorantegio.it
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Interessante iniziativa de “il medico in cucina”
Si è conclusa con grande successo sia di pubblico che su facebook l’evento organizzato dalla Associazione Culturale”Le Rupi” de “Il Medico in Cucina”. Veri attori protagonisti sono stati il Dottor Marco Kogoj e lo chef Federico Mugnani. La particolarità delle serate è stata quella di abbinare il diabete agli antipasti, l’ipertensione arteriosa ai primi, le malattie cardiovascolari e le dislipidemie ai secondi e alimentazione e sport ai dolci. In pratica nelle quattro serata il dottore spiegava l’importanza della attività fisica a tutte le età, sempre con giusta moderazione, ma non per questo bisogna rinunciare ai piacere del palato, se i piatti sono preparati con ingredienti giusti e ricercati. Certo come ha affermato simpaticamente il medico sportivo dottor Kogoj, è tutta questione di equilibrio. Se si fa sport per bruciare calorie e si mangia un kg di pasta tutti gli sforzi sono stati vanificati è questione di giuste quantità e di mangiare prodotti di qualità. Il simpaticissimo e preparatissimo chef Federico Mugnani nella quattro serata ha presentato con degustazione per il pubblico, i primi piatti, gli antipasti , i secondi è per la delizia del palato i dolci, Tutti questi assaggi erano accompagnati da un sommelier molto esperto, che ha spiegato il vino di qualità non fa male anzi aiuta il cuore specie se è rosso. Il medico sportivo ha spiegato bene che diete troppo rigide, alla fine non servono, perché quando si abbandona di farla si ritorna come prima. Bisogna stare attenti alle quantità di sale, ai grassi, e agli zuccheri. Serata di alto spessore sia scientifico, che di apprendimento di ricette molto particolari che aiutano l’organismo a funzionare bene. Complimenti davvero a chi ha avuto l’idea di organizzare questo connubio tra medico e chef . Ora la mia proposta che faccio alla associazione “Le Rupi” e quella di fare una serata coinvolgendo sia lo chhef che il medico ed il sommelier per stabilire una dieta facile da seguire per quelli e sono tanti che mangiano fuori casa, compreso gli adolescenti che purtroppo molti sono già in giovane età in sovrappeso. Claudio Ferretti
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