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La Gaultheria, conosciuta anche come Wintergreen o Teaberry, è una pianta sempreverde particolarmente apprezzata per le sue bacche rosse vivaci e le sue foglie lucide, che aggiungono un tocco di colore e interesse al giardino durante la stagione fredda. Originaria del Nord America, è facile da coltivare e resistente, rendendola una scelta ideale per chi desidera un angolo verde anche in pieno inverno.
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Interventi di Manutenzione del Verde Pubblico ad Alessandria: Programma fino al 18 ottobre 2024
Il Comune di Alessandria annuncia il calendario degli interventi di manutenzione per le aree verdi cittadine, con operazioni di sfalcio, potatura e pulizia fino al 18 ottobre 2024.
Il Comune di Alessandria annuncia il calendario degli interventi di manutenzione per le aree verdi cittadine, con operazioni di sfalcio, potatura e pulizia fino al 18 ottobre 2024. Il Comune di Alessandria, tramite il Servizio Verde Pubblico e in collaborazione con le imprese incaricate della manutenzione delle aree verdi per l’anno 2024, ha reso noto il programma degli interventi previsti fino…
#Alberi#Alessandria#arbusti#aree#Centro#Comune#data#Decoro#erba#Europa#Fraschetta#Giolitti#Interventi#Manutenzione#Nord#Ovest#Pertini#Pioggia#Pista#posticipato#Potatura#Programma#Pubblico#Pulizia#roseti#servizio#sfalcio#siepi#Sud#Urbano
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Deck Milan
Example of a huge trendy rooftop deck container garden design
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Vita in campagna _ Le Rose _ Maggio 2023
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Se nei mesi freddi trovi un riccio "morto", non seppellirlo, non buttarlo nel cestino...
Potrebbe essere in letargo da novembre a marzo.
Solitamente scavano buche per stare al sicuro, ma abbiamo meno spazi verdi, arbusti o aree boschive in questi giorni ed è sempre più difficile trovare un posto sicuro dove trascorrere l'inverno.
Ecco perché alcuni di loro possono entrare nei vostri giardini in cerca di sicurezza e calore per andare in letargo, altri sono così esausti da guardare che finiscono per dormire in vari posti strani come strade stradali o anche marciapiedi.
Quando sono in letargo, il battito cardiaco e la funzione complessiva del corpo rallentano notevolmente, come modo per conservare energia che può far sembrare il riccio morto.
Nel caso in cui vedessi un riccio fermo, assicurati che sia in un posto sicuro e caldo e possa durare cinque mesi.
Se trovi un riccio in giardino o da qualche parte per strada, scava una buca in una scatola di cartone e in un posto asciutto, sicuro e tranquillo, così può trascorrere i mesi più freddi.
I ricci sono una specie in via di estinzione, sono del tutto innocui e importantissimi nel nostro ecosistema. Mangiano coleotteri, lumache, rane, lucertole, serpenti, ecc.
Distruggono anche i nidi di topi.
Non hanno paura delle api o delle vespe. Il riccio può facilmente distruggere un nido di calabroni e mangiarne gli abitanti ignorando i morsi.
Gli scienziati hanno notato da tempo che i ricci sono immuni ai veleni forti, comprese le punture di insetti. Questo fenomeno antidoto non è ancora noto agli scienziati.
Sappiatelo quando vedete un riccio nei mesi più freddi. Aiutare una piccola cosa così fragile non costa nulla
Siamo gentili con gli animali e soprattutto rispettiamoli ❤️
Fonte "Mondo Animale"web
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Come abbiamo prodotto energia nel 2024? 54% petrolio e gas, 28% carbone (totale fossili: 86%); 5% nucleare (acquistato), 14% rinnovabili. Di questo 14, il 50% circa sono biomasse quindi roba organica, compresi legna e arbusti . L’ Idro fa un altro 4/ 5% circa. Il resto 2/3% sole e vento. Questo è tutto dalla transizione.
lo dice Chicco Testa, ex Ad di Enel, via https://x.com/chiccotesta/status/1874129342113980695
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Queste foto (una parte di 44) rappresentano al meglio la stupidità umana. La parte che vedete incolta è del nipote di Maurizio, ci ha fatto una guerra scellerata per avere la casa tutta per sé, non ottenendola ha deciso di dividerla per poi cercare un' altra casa subito dopo. Ora noi ci ritroviamo con questa situazione e per ora tranne un primo taglio erba e piante tempo fa, non pare intenzionato a fare tagliare nuovamente. Sinceramente ho già paura di trovarmi un'erba e gli arbusti così...(Serpi, vipere o altro 😬) Toccherà aimé a Maurizio tagliare anche se non è più suo...
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Sembra una voce, quella di Bjork, che arriva da dentro una tormenta di neve mentre note musicali appese su grandi iceberg sprofondano dentro gli oceani e diventano cristalli di ghiaccio che vanno a posarsi su qualche pentagramma vuoto. Solo i folletti sanno fare queste cose, solo loro sanno far crepitare la voce come arbusti secchi buttati dentro a un fuoco tra battiti cupi, tastiere elettroniche e sinfonie di archi. Bjork e' quella che sa passare dalle urla sfrenate ai gorgheggi sensuali come fosse un vento che canta sotto la pioggia. E' grande questa piccola Elfa, lei e' una fontana musicale con sembianze di donna. Una voce che vola nell'altrove... @ilpianistasultetto
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Il comunismo cosmico di Franco Piperno - Jacobin Italia
Il comunismo cosmico di Franco Piperno - Jacobin Italia https://search.app/77gv63Re1jyNniS48
Il comunismo cosmico di Franco Piperno
Giuliano Santoro
15 Gennaio 2025
Dalla terribile bellezza del lungo Sessantotto al municipalismo, sempre osservando e raccontando le stelle: addio a Franco Piperno
Nella mia infanzia, al nome di Franco Piperno associavo una specie di brigante- licantropo. Mio padre mi portava ad Arcavacata, nel campus dell’Università della Calabria, a vedere «i lupi di Piperno». Cominciavamo a girare attorno alla rete al di là della quale vivevano i lupi. Mio padre certe volte prendeva un bastone e lo batteva sulla recinzione, perché venissero fuori e li potessimo vedere. Una volta uscirono fuori dagli arbusti all’improvviso, come accade nei film di paura quando la colonna sonora accompagna la tensione fino a farla esplodere. Grosso spavento e poi grosse risate. Chissà se quel Piperno, che Andrea Pazienza disegnava coi peli lunghi che uscivano dalle orecchie (appunto, un licantropo), ci guardava dal suo nascondiglio, con cappello a falde larghe, mantello e stivali.
Ma perché, poi, se ne stava rintanato? Quale sceriffo gli dava la caccia e quale reato gli veniva imputato? Mio padre non me lo spiegava e io non glielo chiedevo. Uno si immaginava questo signore che si era dato alla macchia, ma che allevava a distanza addirittura dei lupi. Venne fuori un altro indizio sulla licantropia del Pip. Proprio lui, «quello dei lupi» era anche solito uscire di notte e guardare le stelle.
Siccome la vita è fatta di cerchi che si chiudono e di anni che ritornano, a vent’anni dal mio primo incontro coi lupi finalmente chiesi a Pip quale fosse la loro storia. «Me li regalò un mio amico del dipartimento di ecologia dell’Università della Calabria che si occupava di lupi e di falchi – ha raccontato Pip – Li allevai amorevolmente, li allattai, li seguii, li filmai. Quei cuccioli mostravano un rapporto con la vita e con la violenza senza nessuna sbavatura e ridondanza. Era una dimostrazione di essenzialità. Sembravano chirurghi, quando azzannavano i conigli vivi». Ma perché li tenevi rinchiusi, Pip? «Volevo loro molto bene. Ne ero affascinato, ma ero costretto a tenerli in quel recinto. Altrimenti avrebbero azzannato le pecore dei contadini e quindi sarebbero stati uccisi. La natura aveva fornito loro un’autonomia totale, ma erano finiti per benevolenza umana in un recinto». In tutto ciò, Pip riconosceva la metafora della sua generazione: «Mi parlavano di quanto accadeva a molti dei miei compagni ed amici e un po’ anche a me stesso. Penso in particolare a mia moglie Fiora, che era stata condannata a dieci anni di galera per associazione sovversiva». Come finì? «Per otto mesi non mi staccai da quei lupi. Poi ricevetti anche io un mandato di cattura e non mi parve il caso di scappare con due lupi, era troppo complicato. Allora il rettore dell’università li accolse in quel grande recinto del campus di Arcavacata».
La storia dei lupi, della loro autonomia e della loro selvaggia potenza costrette dentro una prigione dimostra che Franco Piperno, scomparso a Cosenza il 13 gennaio 2025 a 82 anni, conosceva bene l’arte della retorica e della seduzione linguistica, usava gli aggettivi e gli avverbi da consumato spadaccino della discussione. Come un lupo coltivava l’agguato. Come quando ci spiegava che nel Sessantotto si era smesso di investire sul futuro e si era scelto di giocare tutto sul presente. Era stato il movimento statunitense, diceva Piperno, che «aveva indicato la possibilità di sostituire alla lotta per la presa del potere la sperimentazione collettiva di una diversa vita civile, basata sulla produzione autonoma di relazioni comunitarie, capaci di far posto al corpo, cioè alla sensualità e al piacere». Precisava: «Questo è un punto decisivo perché è come praticare l’esodo, dove esodo non significa più, come gli antichi ebrei, andare via dall’Egitto per raggiungere la terra promessa; piuttosto lasciare emergere un diverso Egitto dal suo stato di latenza».
Piperno dalla Calabria si era spostato, da studente, a Pisa e poi a Roma. Cacciato dal Pci per «frazionismo», era stato tra i fondatori di Potere operaio, con Toni Negri, Oreste Scalzone, Sergio Bologna, Mario Dalmaviva e tanti altri. Era una delle organizzazioni che si formarono nel contesto del lungo Sessantotto italiano ma anche la prima ad autosciogliersi, nel 1973. «Toni dice che eravamo una specie di strana massoneria – mi raccontò una volta, col consueto sarcasmo – Era difficile entrare ma una volta che eri dentro tolleravamo qualsiasi follia». Si differenziava da alcuni suoi compagni di strada che si sono formati alla formidabile scuola della «nefasta utopia» dell’operaismo politico, come la chiamava sarcasticamente Franco Berardi Bifo in un saggio di qualche anno fa. Non cercava nessuna centralità lì dove è più alto lo sviluppo capitalistico. Ma manteneva una caratteristica dello stile operaista, che lo preserva da qualsiasi forma di teorizzazione prescrittiva e lagnosa. La si riconosceva quando affermava che il comunismo, inteso come abolizione della riduzione della forza-lavoro a merce, non bisogna costruirlo magari armati di buone intenzioni e libretti rossi. Esso è già in atto. La potenza della cooperazione sociale è già, qui ed ora, più forte della solitudine del capitalismo. Bisognerebbe prenderne atto, dunque, e per questo vivere meglio. «La festa sessantottina è ritrovare l’interezza dell’essere – scriveva ancora Pip – dove nulla eccede o esclude, per essere completamente sé stessi, occorre fondarsi con gli altri nel tutto; come quando nel carnevale si è donne uomini animali, tutti insieme ebbri fino al punto che l’orgia appare sulla soglia, come assolutamente possibile».
Negli anni del ritorno in Calabria, dopo l’esilio in Canada e Francia a seguito della persecuzione giudiziaria che dal 7 aprile del 1979 in poi colpì lui e tanti suoi compagni e compagne, si occupò di Sud, del rapporto tra sviluppo e ricchezza sociale, della critica del tempo lineare del capitale. Prese la cattedra di fisica della materia e promosse, a Cosenza, la nascita dell’emittente comunitaria Radio Ciroma e lanciò in tempi non sospetti, ben prima dell’epoca di Porto Alegre e della democrazia partecipativa su base locale, la suggestione del municipalismo: «Potere alle città, potenza ai cittadini». Un piccolo aneddoto per dire della capacità di stare nelle cose del mondo. Erano i primi anni Novanta quando, ospite di una tribuna elettorale per esporre il programma della lista civica comunale che aveva messo insieme ai suoi, impiegò il tempo che gli era concesso per tessere l’elogio del locale collettivo di studenti medi che si dedicava alla crescita comune e al mutuo appoggio invece che per chiedere esplicitamente voti. Il dettaglio sta nel fatto che quegli adolescenti (mea culpa: quando si è così giovani si ha il diritto di essere estremisti) impegnavano parte del loro tempo anche a criticarlo duramente, imputandogli una qualche deviazione da chissà quale ortodossia rivoluzionaria. Chapeau, Franco.
Divenne, sempre a Cosenza, per due volte assessore «al planetario» e al traffico. Ruolo che interpretò invogliando gli agenti della polizia locale ad applicare con rigore il codice della strada per dissuadere i suoi concittadini dall’uso dell’automobile anche per i piccoli tratti. E uno dei suoi vecchi compagni infilò una battuta fulminante: «Finalmente Franco è davvero a capo di una banda armata». La sua nomina ad amministratore la si deve a Giacomo Mancini, segretario socialista prima di Craxi e ministro che concluse nella sua Cosenza la sua carriera politica. E che in nome del garantismo aveva difeso Piperno e tutti gli autonomi imputati. C’è una scena che rivela cosa rappresentasse Mancini all’epoca della grande repressione. Il 9 marzo del 1985 la polizia aveva ucciso a Trieste il militante dell’autonomia Pietro Pedro Greco, sparandogli addosso con la scusa che aveva scambiato un ombrello per un fucile. I funerali di Pedro si tennero nel suo paese d’origine, un villaggetto della provincia di Reggio Calabria. Bisogna immaginare che clima ci fosse: pochissimi compagni, affranti e braccati, con le bandiere rosse nel paesaggio lugubre della temperie degli anni Ottanta. A un certo punto davanti alla chiesa si fermò un’automobile e ne scese il leader socialista. Era l’unico personaggio politico a partecipare alle esequie e chiedere giustizia per quella morte.
Le analisi di Piperno di questa fase mettevano insieme l’osservazione filosofica e antropologica delle forme di vita meridiane con la strabiliante capacità affabulatoria di quando raccontava il cielo. Chiunque abbia avuto la fortuna di fare un’uscita notturna nei boschi con lui per assistere allo Spettacolo cosmico che metteva in scena spiegando le stelle, non può dimenticare il modo in cui teneva insieme nozioni astronomiche, narrazioni mitologiche, considerazioni esistenziali, divagazioni politiche. Era un modo di mettere in pratica la convinzione che le diverse materie erano fatte per essere mescolate, messe a confronto, intrecciate e che non esisteva la neutralità del metodo scientifico. Questo doveva essere il senso dell’università, sosteneva Piperno: un luogo in cui tutti i saperi si incontrano, oltre la gabbia delle discipline.
Quando, nel 1978, le Brigate rosse rapirono Aldo Moro, Piperno era già tornato in Calabria, a insegnare Fisica della materia all’università. Capì che la morte del presidente della Democrazia cristiana sarebbe stata un disastro per tutti i soggetti in campo e si adoperò per salvargli la vita, approfittando anche del fatto che nel frattempo alcune sue vecchie conoscenze del Potere operaio romano avevano scelto di entrare nelle Brigate rosse. Gli rimase appiccicata una formula, quella che invitava a coniugare la «geometrica potenza» di via Fani con la «terribile bellezza» degli scontri di piazza del 12 marzo del 1977 a Roma. Era un modo per dire che ogni forma di scontro, anche la più radicale, non avrebbe dovuto prescindere dalla dimensione di massa. Ma la formula, che lui stesso avrebbe definito dannunziana, passò per l’esaltazione del terrorismo. Sempre alla Commissione parlamentare d’indagine sul terrorismo, Piperno disse senza mezzi termini ciò che pensava di quella vicenda e dei motivi che lo spinsero a immischiarsi nell’affaire: «Le Br erano davvero convinte che si potesse interrogare Moro e scoprire i legami con gli Stati uniti – affermò – C’era un livello di analfabetismo politico nel gruppo dirigente delle Br che faceva paura e che peraltro secondo me traduceva la situazione ingarbugliata del paese».
Accanto a saggi pensosi e a scritti densi (molti dei quali raccolti negli ultimi tempi dalla rivista online Machina), Piperno era abilissimo nel motto di spirito, nella risposta ironica lapidaria e dalla logica stringente, maneggiava paradossi che ti mettevano con le spalle al muro. A un interlocutore che in un programma televisivo gli rinfacciava di aver esaltato l’uso della violenza, replicò trasecolato ricordando con una metafora iperbolica il contesto della «piccola guerra civile italiana» degli anni Settanta: «Mi chiede se la violenza è giusta? È come se mi chiedesse se cacare è bello. Cacare non è giusto, è inevitabile». In un’altra occasione, venne accusato di aver favorito coi suoi amici sessantottardi la pratica del libero amore, contro la famiglia tradizionale: «Noi non costringevamo nessuno – replicò Pip, sinceramente sgomento – Se uno voleva essere libero poteva farlo, ma non era obbligato. Con noi a volte c’erano anche preti e suore, nessuno li costringeva al libero amore».
Una vita talmente piena, colma di tentativi, errori, sconfitte avventurose ed esperienze irripetibili, viene riassunta dalle cronache con formule giudiziarie e immaginette pigre e precostituite. Delle quali Piperno era consapevole. Anzi, ci giocava. Una decina di anni fa mi trovai con Franco a Torino, per un dibattito al quale avremmo dovuto partecipare. A un certo punto entrammo in una piccola rosticceria di fronte a Palazzo Nuovo per mangiare un boccone. Venne fuori che anche la signora che ci serviva al bancone era di origini calabresi. Allora attaccammo discorso. Lei era evidentemente sedotta dal suo eloquio elegante. (C’era un vezzo, non solo di Franco devo dire, che portava a mescolare il linguaggio di tutti i giorni a parole d’altri tempi: gendarme per dire poliziotto, malfattore per dire bandito, querulo per dire piagnone e così via). «Ma sa che non si sente molto che lei è di giù? Che mestiere fa?», gli disse la locandiera. Lui rispose con gli occhi di ghiaccio che ridevano, l’inconfondibile erre arrotata e i peli che gli uscivano dalle orecchie ben pettinati: «Dev’esserhe che sono stato in prhigione».
* Giuliano Santoro, giornalista, lavora al manifesto.
# Franco Piperno
# fondatore e dirigente di Potere operaio 1968
#università della Calabria / professore di fisica
# esilio in Francia e Canada
Brillante e raffinato intellettuale, rivoluzionario alla luce del sole ( citazione da "Il Manifesto), mai contraddittorio. Uomo profondamente legato alla sua terra di origine : la Calabria.
13 /1/2025 C' è luna piena e Venere e le stelle.. Buon viaggio. 🌹💫💫💫
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Joy Division - Shadowplay
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penso agli anni della gioventù
gli anni in cui ero forte, mi vedevo bello;
mi credevo "uno che sapeva il fatto suo"
...vanagloria.Mal celato disagio.
quante energie e tempo spesi
a cercare una felicità sfiorata
e che ancor oggi sfioro
per brevi attimi.
penso a quei giorni in cui la primavera
volge in estate...il cielo terso
l aria che odora di erbe, di piante.
mi diletto a passeggiare per la campagna
che ancora sopravvive oltre la ferrovia
dove da bambino cacciavo le serpi d acqua
e i ramarri..tra le i muri di vecchie case coloniche
abbattute ...
penso al sole che ti bacia il viso,
senza prepotenza,piacevole...l aria si muove tiepida
appena....
le fronde degli alti pioppi lungo i fossati
che conosco e che erano il mio orizzonte
le vigne e gli sterminati campi di grano
danzano e rumoreggiano.
di tanto in tanto un airone s alza in volo
e va a posarsi poco piu in là....
son tornate pure le candide garzette
le folaghe ....e vedo farfalle che non rammento
d aver mai notato da bambino...
e passo tra filari di ailandi platani
enormi e cercis,arbusti di alloro,frassini.
e sento le ombre toccare il mio volto,
il mio percorso è tafitto da raggi
di luce...che filtra tra i rami..mi toccano
mi rincorrono...è un GIOCO DI OMBRE.
Tutta la felicità di tutti gli uomini vissuti
e che vivranno può stare sulla punta
di un dito. .e non pesa più di un solo
granello di sabbia.
Ian Curtis ☆
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Perla di sale...resta impigliata come il vento tra gli arbusti...
Per un attimo le manca il fiato...il coraggio le viene meno...
Angoscia del vuoto...del salto finale, perché anche la libertà fa paura.
Improvvisa si stacca ed il viaggio è breve...
Percorre veloce un granello di pelle, piccola onda senza ritorno del mio mare inquieto...
Si insinua tra le labbra e la bevo...la lingua lambisce un sogno senza futuro e ne assapora il retrogusto amaro...
Così muoiono i sogni degli esseri umani, tornando sfiniti nel corpo di chi li genera...attraverso un altro passaggio...nascendo dalla mente...morendo tra le labbra.
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Alessandria: Manutenzione delle Aree Verdi fino all'11 ottobre 2024. Il Comune di Alessandria annuncia il calendario degli interventi periodici per il decoro delle aree verdi cittadine
Il Servizio Verde Pubblico del Comune di Alessandria, in collaborazione con le imprese incaricate della gestione del verde urbano per l'anno 2024, ha pubblicato il calendario degli interventi di manutenzione che interesseranno le aree verdi della città fi
Il Servizio Verde Pubblico del Comune di Alessandria, in collaborazione con le imprese incaricate della gestione del verde urbano per l’anno 2024, ha pubblicato il calendario degli interventi di manutenzione che interesseranno le aree verdi della città fino a venerdì 11 ottobre 2024. Questi interventi mirano a mantenere in ordine i principali spazi verdi cittadini, contribuendo al decoro urbano e…
#Alessandria zone verdi#Ambiente urbano Alessandria#aree verdi Alessandria#aree verdi urbane#benessere urbano#comune di Alessandria#Comune interventi 2024.#cura del verde Alessandria#decoro cittadino#gestione verde pubblico#giardini pubblici Alessandria#interventi città di Alessandria#interventi decoro urbano#interventi pubblici Alessandria#interventi verdi Alessandria#Lavori di manutenzione#manutenzione periodica Alessandria#manutenzione spazi verdi#manutenzione verde Alessandria#miglioramento ambientale Alessandria#parchi Alessandria#potatura arbusti#potatura siepi Alessandria#prevenzione degrado urbano#pulizia roseti Alessandria#qualità aria Alessandria#qualità della vita Alessandria#quartiere Cristo Alessandria#servizio verde pubblico Alessandria#sfalcio erba Alessandria
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Se non curi il tuo giardino non nasceranno fiori e se non li annaffi la loro bellezza sfiorirà presto e si seccheranno. Sai quel famoso pollice verde altro non è che l'amore che riversi, che tu riesci a trasmettere e a trasferire, a tutto ciò che vuoi curare, piante, animali, persone. So quello che dico, posso sostenere con certezza queste mie affermazioni e convinzioni. Ci fu un tempo, nel quale la mia compagna ricchezza, mi lasciò per fare spazio ad una meno desiderata povertà. E cosi, non potevo permettermi neanche più una bottiglia di vino buono, bevevo il "Tavernello" in cartone, e acqua del rubinetto di casa. Passavo tutto il tempo libero, a curare la mia mini serra di bonsai. Si bonsai, che però io non potevo più neanche comprare per poterli curare e dunque estirpavo le radici di alberi a Castelfusano o nei vari luoghi, tuttintorno il mio centro sportivo, la "taverna del pellegrino". Erano piccoli arbusti di alberi appena nati ed erano umili e poveri come me cosi che li sentivo miei compagni di viaggio.
E li amavo li curavo li controllavo giorno e notte e come ci insegnano e ci tramandano i maestri giapponesi, incredibilmente li accarezzavo e, ci parlavo e loro mi rispondevano crescendo. E fu cosi che piano piano mi resi conto che tutto mi cresceva rigogliosamente (una volta piantai per prova pochi semi di marijuana che mi regalò un amico senza neanche trattarli prima, beh, dopo pochi mesi, mi è toccato chiamare il mio amico per regalargli a mia volta quattro, cinque piante di cannabis quasi pronte per la raccolta).
Erano belli quei bonsai ed io li amavo sempre di più. Li annaffiavo il dovuto e li potavo a seconda della forma che volevo dare loro e li cambiavo di posto ed ogni volta che germogliava una nuova fogliolina io mi appassionavo sempre di più. Già, proprio come l'amore, che più ne dai più ti viene voglia di darne, più ne bevi, e più arsura ti viene.
Per raccogliere, devi seminare, il pollice verde è niente altro che amore e per essere amato, devi amare, curare, annaffiare, accarezzare e parlare.
Si, funziona per le piante, gli animali, le persone.
lan ✍️
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La ROSA VARIEGATA di Bologna
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#Fioritura#Maggio#Piante e Arbusti#Rinaldi Simona#Rosa Variegata di Bologna#Rose#Vita in Campagna#stirpediterra
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Ricotta del vicino di casa, cassatina con ricotta, sfogliatelle con ricotta, cannoli al cioccolato con ricotta, cannoli tradizionali.
Il clacson sgraziato e difettato di una vecchia punto mi attira verso il muretto che costeggia la strada di campagna su cui confina la casa. Mi affaccio oltre il muretto e vedo nella sua vecchia punto Stefano, il pastore che abita con gregge e famiglia più in alto su monte “A vuliti na ricotta?” “Cettu” “ Un chilu o menzu chilu?” “Menzu” “Accà, pigghiassi’ Mi passa un sacchettino di plastica trasparente caldo, in cui una forma di ricotta naviga nel siero da cui è nata “Quant’è?” “Du euri” Lo guardo sconcertato. Con due euro ti compri solo la fame. Pago e con gentilezza porto la ricotta in casa. La metto in un angolo della cucina coprendola con una tovaglia a quadrettoni bianchi e rossi. Gliela sistemo intorno con attenzione, come si fa con un neonato. Mangiamo. Il primo è un piatto di pasta con il pomodoro fresco dell’orto. Poi porto in tavola la ricotta. L’osserviamo con devozione sentendo il profumo di latte e il suo tepore. Ha un colore bianco-dorato ctipico della ricotta di pecora. Si taglia con un sospiro perché ha la consistenza di una nuvola e in bocca si scioglie lentamente. Nessuno parla. Il gusto cremoso e intenso, stordisce il pensare, l’immaginare, il paragonare. Non è ricotta, è il vento che semina gli arbusti sui monti, l’acqua di marzo che li trasforma in fiori, il passo lento delle pecore che seguono il suono del campanaccio sotto il sole della primavera e le nuvole grigie madri della pioggia che si inseguono nell’azzurro intenso del cielo. È un piacere soffice, come il grembo di una bambina, impalpabile come la schiuma del mare, fiabesco come un sogno al mattino. La ricotta fresca muta e si rinnova se la mangi con il caffè macinato, con il cioccolato, nei cannoli, nel ripieno dolce delle fraviole, con il miele o sulla pasta in bianco. Da sola, quando �� fresca è una solista perfetta, da ammirare e gustare. È un bacio al senso di latte: soffice, caldo, gustoso, intenso. Come il latte è innocente, umile, semplice, pura. Un poema in un verso e con mille rime. Evoca le colline scoscese, i boschi infiniti, i ruscelli gioiosi, bianchissime nuvole in azzurrissimi cieli. Per questo ormai, l’evento del mattino, è ormai l’arrivo di Stefano e della sua scassatissima e polverosa punto, un prezioso forziere colmo di calde, tenere ricotte.
The awkward and defective horn of an old Punto attracts me towards the low wall that runs alongside the country road on which the house borders. I look over the wall and see Stefano in his old place, the shepherd who lives with his flock and family higher up the mountain “Do you want ricotta?” “Cettu” “Un chilu or menzu chilu?” “Menzu” “Accà, pigghiassi” He hands me a hot transparent plastic bag, in which a wheel of ricotta floats in the whey from which it was born "How much it is?" “Two euros” I look at him bewildered. With two euros you can only buy hunger. I pay and kindly bring the ricotta home. I put it in a corner of the kitchen, covering it with a red and white checkered tablecloth. I arrange it around him carefully, as one would do with a newborn. Let's eat. The first course is pasta with fresh tomatoes from the garden. Then I bring the ricotta to the table. We observe it with devotion, smelling the scent of milk and its warmth. It has a white-golden color typical of sheep's ricotta. It is cut with a sigh because it has the consistency of a cloud and slowly melts in the mouth. Nobody talks. The creamy and intense taste stuns thinking, imagining, comparing. It's not ricotta, it's the wind that sows the shrubs on the mountains, the March water that transforms them into flowers, the slow pace of the sheep that follow the sound of the cowbell under the spring sun and the gray clouds that give birth to the rain that they chase in the intense blue of the sky. It is a soft pleasure, like a child's womb, impalpable like sea foam, fairy-tale like a dream in the morning. Fresh ricotta changes and is renewed if you eat it with ground coffee, with chocolate, in cannoli, in the sweet filling of ravioles, with honey or on plain pasta. Alone, when it is fresh it is a perfect soloist, to be admired and enjoyed. It's a kiss with the feeling of milk: soft, warm, tasty, intense. Like milk she is innocent, humble, simple, pure. A poem in one verse and with a thousand rhymes. It evokes the steep hills, the endless woods, the joyful streams, very white clouds in very blue skies. For this reason, the morning event is now the arrival of Stefano and his battered and dusty car, a precious treasure chest full of warm, tender ricotta.
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L’ANTICA POMPEI TORNA VERDE CON 7000 NUOVI ALBERI
È stato inaugurato il 14 marzo il nuovo “Percorso verde fuori le mura” del Parco archeologico di Pompei. In occasione della Giornata nazionale del Paesaggio, è stato aperto al pubblico l’itinerario nel verde che consente un percorso alternativo, inclusivo e accessibile a tutti, per addentrarsi nella città antica di Pompei e scoprirne nuovi luoghi abitati da verde e animali.
Negli scorsi mesi l’area è stata oggetto di un programma di rimboschimento per la valorizzazione della biodiversità, progetto che proseguirà con la messa a dimora nel corso dell’anno di più di 7.000 tra alberi e arbusti della Flora Pompeiana, le specie che dovevano essere presenti nella Pompei antica. Oltre a quello ambientale, il valore aggiunto del nuovo itinerario è l’aspetto inclusivo, nelle prossime settimane infatti il percorso sarà anche dotato di aree di sosta, di svago e di gioco esperienziali pienamente inclusive. Il Parco collabora da oltre un anno con la Cooperativa Sociale “Il Tulipano” che si occupa di persone con autismo e delle loro famiglie. I ragazzi della cooperativa si sono occupati dell’attività di raccolta di frutta e verdura, produzione di marmellate e succhi di frutta e hanno preso parte ai laboratori di progettazione partecipata delle aree inclusive. Un itinerario che coniuga, turismo, ambiente e attenzione ai più fragili per promuovere un parco archeologico che negli ultimi anni ha visto un numero di visitatori costantemente in crescita.
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Fonte: Napoli Today; foto di Yogi Misir
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