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MONTE CIVETTA, (3.220 m), Dolomites, Veneto, Italy 🇮🇹 Photo Karol Nienartowicz / 500px
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Kingsman: The Golden Circle (2017, Matthew Vaughn)
30/07/2024
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LE DOLOMITI
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Fiore di roccia di Ilaria Tuti: Un tributo alle Portatrici, eroine dimenticate della Grande Guerra. Recensione di Alessandria today
Un romanzo che celebra il coraggio e la resilienza delle donne delle Alpi, pronte a tutto per salvare vite
Un romanzo che celebra il coraggio e la resilienza delle donne delle Alpi, pronte a tutto per salvare vite. Fiore di roccia è un romanzo storico scritto da Ilaria Tuti, ambientato durante la Prima Guerra Mondiale e incentrato sulla storia delle Portatrici, donne delle Alpi italiane che rischiavano la vita ogni giorno per trasportare viveri, medicinali e munizioni ai soldati in trincea.…
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Ucelat
In the remote lands of Rio Bianco, nestled within the Friulian mountains, there exists an eerie tale of the Ucelat, a giant bird-like creature with the features of a horse. This fearsome entity, according to legend, was encountered by a bird hunter one fateful day as he ventured out to catch small birds.
The man had just finished setting his traps when suddenly, rocks came crashing down from the mountainside, crushing his equipment. Terrified, he looked up and was met with a horrifying sight: a massive, otherworldly creature towering over the flaming ridges of Monte Canin. The air was thick with ghostly howls and the clatter of chains, adding to the nightmarish scene.
As the hunter tried to flee, he saw the Ucelat blocking his path, its wings wide and menacing, its form akin to a monstrous horse. The creature had uprooted a nearby tree, casting it across the trail to trap him. In a desperate moment, the hunter remembered an object he had in his pocket, blessed at Easter, and thrust it toward the creature. Miraculously, the Ucelat vanished, sparing his life.
The hunter’s fate beyond that day remains unknown, but the legend endures. Even today, locals say that the Ucelat roams the valleys of the Musi Mountains, its terrifying presence haunting the land, while the cries of the damned echo through the mountains, seeking redemption in vain.
[photos not mine]
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🌳🏞
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“ Il mio grande amico, quand’ero piccola, fu il mio cane Murò. Murò era un «setter laverac focato», come diceva papà con compiacimento. Era figlio di Maura, la cagna del veterinario. Murò era dolce e discreto, paziente nei giochi come papà stesso. La sua fronte pensierosa esprimeva lo sforzo costante di comprendere, di prevenire. In molte fotografie Murò appare come il mio custode. In una è accanto a me, nell’orto, seduto sulle zampe di dietro, il collo eretto; è fiero, consapevole della sua dignità. C’è una somiglianza tra il cane e la bambina. Entrambi hanno sulla fronte – rigida e scura quella di lui, bianca e convessa quella della bambina – un leggero corrugamento, un’ombra di malinconia. Ma l’occhio di Murò è fisso, intrepido ed ingenuo come quello di una recluta, mentre gli occhi della bambina sembrano rivolti a considerar qualcosa di lontano e preoccupante. Anche Murò era stato, come tutti, giovane e gaglioffo. Una volta mangiò tutti i «tomini» che uno di Boves aveva portato. I cacciatori prima cosa dicevano di lui: – Questo è il cane a cui piacciono i tomini di Boves! Si prendevano questa confidenza, ma sapevano bene come Murò fosse prezioso alla caccia, e avevano per lui grande considerazione: ne parlavano con quella gravità affettuosa che osservavo nei cacciatori quando lodavano i loro cani.
Sovente la mamma ed io seguivamo papà e Murò a caccia, specie agli uccelli, lungo il Cant. Per quel genere inferiore di caccia il cane era d’impaccio e io dovevo trattenere Murò. In quei momenti Murò non era certo dolce, ma diventava anche piú bello. Dava strattoni, tendeva la testa selvaggiamente, attirato da un richiamo che pareva farlo uscire di sé. Io lo stringevo attorno al collo con le mie braccia di bambina, mi appendevo al suo collare. Quante volte Murò mi trascinò tra gli sterpi ed i sassi, di peso: gemendo lui di desiderio, io di impotenza. Dopo, mentre lui ansava trafelato, lo abbracciavo con tenerezza e gli toglievo a una a una le lappole e le pagliuzze. Diventò vecchio e negli ultimi tempi era sordo e quasi cieco. Urtava nelle gambe dei tavoli, camminava a testa bassa, chiuso in sé e avvilito. Papà disse che l’avrebbe mandato per un certo tempo presso un allevatore dove l’avrebbero curato. Fui distratta da altre cose? Ho potuto sorvolare su quella perdita? Siccome non ricordo il momento in cui dovetti capire che non avrei piú rivisto Murò; peggio, che qualcuno doveva averlo finito. (È possibile che l’abbia dimenticato proprio perché ne soffersi molto; che abbia voluto fuggire quel pensiero). “
Lalla Romano, La penombra che abbiamo attraversato, Einaudi, 1964¹; pp. 108-109.
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More folks from Meran, Italy.
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DOLOMITES, Italy 🇮🇹 by Tomasz Rojek / 500px
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[Italian Alps - Monte Lussari]
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D O L O M I T E S
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Celestino Vietti, I’m one with the bike
From the Piemonte Alps to Moto2. Interview to the SKY Racing Team VR46 talent
“The most beautiful memory I have of my childhood is tied to a three wheels bike. My dad had built it for my older brother, using the engine of a grass trimmer. I used to look at my brother going around on it in the backyard, then one day I asked to try it: once I got on it I irremediably fell in love with engines. Once I got down from that first trial I immediately asked my dad to buy me a two wheels motorbike. “To have a bike without training wheels you first have to know how to ride with them”, was his answer. So I started training and at eight years old I found myself riding in my first italian championship...”
Celestino Vietti is lightness, a youthly lightness, a mature lightness, a fast lightness, cheeky to the right degree. Not yet twenty, he’s approaching his first Moto2 season, wearing the SKY Racing Team VR 46 leathers on Marco Bezzecchi’s side.
Leathers that ‘Celin’ paints with the colours of his region, Piemonte. Right in Coassolo Torinese, small settlement wedged between the Valli di Lanzo, two wheels racing had started indelibly marking his life. An atypical place, Alpi Graie, to be the natal place of a world championship level rider. A place that becomes typical as soon as you open wide the doors of the Vietti’s home.
“My uncle and my dad have always been big enthusiasts. My dad even did some uphill races when he was young. I lived all my childhood in a motorsport enviroment. My relatives had and still now have an agricultural machine repair shop that rapidly became a mandatory stop of my summers. There I used to take apart chainsaws and everything else I could find. Now I realise that the time spent in the repair shop gifted me a better feeling with the engine, with mechanics. My dad also gave me a lot of tools to read and understand the bike’s problems: thanks to him my bond with the bike got to a superior level. It’s as if I feel more merged with what I have under me, I listen to every single sound, I know how to decipher and manage it...”
A management that for this young promise of two wheels racing hasn’t been and isn’t limited to the technical side, overflowing in the character, human one. Sat in the shades of the WITHU paddock, what immediately hits you of Celestino are the lucidity in the self-analysis, the ease in communicating, in summarising the different steps he took in such a short, but already so full, life.
“To follow my dream I had to move out of my home during adolescence. The first months were so fast, everything was new, new experiences, new acquaintances. Once you settle you start thinking that once you get home from training nobody is there to wait for you. Relatives, friends, everybody is distant, everything starts getting hard. I had to grow on a personal level and, consequently, as a rider. Situations like this teach you how to manage yourself on the emotional side: sometimes I tend to get angry easily, being this much on your own helps you to reflect, to remain lucid”
Vietti’s growth was mainly through the motorsport Academy for definition, that two wheels paradise build by the tarmac’s ‘Doctor’. A restricted cenacle reserved only to those who are destined to make an art form out of racing. Disciples, students, riders waiting to see their own boundless talent explode.
“Getting into the VR46 Racing Academy was a turning point. It's important to realise your luck, the privilege you have to train every day with the best riders in the World Championship. Every time you get on track it’s an enormous challenge, there’s always somebody faster than you. I try to look at everyone, we’re many, we’re ‘colourful’, everyone has a certain characteristic to learn from: I have by my side two World Champions and then Vale, my idol, I think there’s nothing else to add...”
He slightly moves his hair out of the way, Celestino, when he talks about topics he’s particularly sensible about. He smiles, a sincerely emotional smile, when he gets asked what the bike means for him, for his being. A question that strikes way higher chords than the sports one.
“When you go really fast you become one with her, you find a magic harmony. Whatever she wants to do, you do it too, you become one thing. When she wants to do one thing, and you want to do another one instead, you struggle. True struggle. You can feel the separation between the two bodies. For me the bike has some sort of life of his own: it’s something difficult to explain”
Difficult to explain, evocative to listen to. There’s dept in the words of this barely more than teenager rider of the Sky Team. On him also weight hopes and expectations of many italian fans, charmed by his results in the 2020 Moto3 season and the two first places obtained in the Styrian and France GP.
Celestino is lucid in his analysis of the big jump to Moto2, a natural jump, even though initially complex. The piemonte rider need a settling period, an adjustment phase that now appears completed, processed. To demonstrate it, an always growing confidence in placements and continuity of performances, an exponentially growing mental and sensorial presence.
“The impact with Moto2 was difficult. It’s a very particular category, unlike Moto3 it rewards constancy, precision, the bike doesn’t want to be assaulted, you can’t afford to do ‘crazy’ lap and feel satisfied. You have to curate the rhythm, you need surgical attention. Now my goal is to get as high as I can in the standings, to continue with the positive feelings of the last races and to keep building up unity with the bike. The future? Everybody’s dream is to become world champion, it’s useless beating around the bush, I’ll work hard to be able to make it”
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24 MAGGIO 1961 nasceva ILARIA ALPI
"Era una giovane donna, forte e determinata, battagliera e femminista convinta".
"Soffriva di vertigini e temeva il vuoto, ma si era scelta un lavoro in cui l'elicottero è uno dei cosiddetti ferri del mestiere, aveva una autentica fobia del vuoto, una vera e proprio chefobia ma volava con tranquillità almeno apparente".
"Era una giornalista coraggiosa con la mente in Europa ed il cuore in Africa"
P.s. Così l'ha descritta sua madre.
Si diplomò al Liceo Tito Lucrezio Caro di Roma.
Grazie anche all'ottima conoscenza delle lingue (arabo, francese e inglese) ottenne le prime collaborazioni giornalistiche dal Cairo per conto di Paese Sera e de l'Unità.
Successivamente vinse una borsa di studio per essere assunta alla Rai.
Ilaria Alpi giunse per la prima volta in Somalia nel dicembre 1992 per seguire, come inviata del TG3, la missione di pace Restore Hope, coordinata e promossa dalle Nazioni Unite per porre fine alla guerra civile scoppiata nel 1991, dopo la caduta di Siad Barre. Alla missione prese parte anche l'Italia, superando in tal modo le riserve dell'inviato speciale per la Somalia, Robert B. Oakley, legate agli ambigui rapporti che il governo italiano aveva intrattenuto con Barre nel corso degli anni ottanta.
Le inchieste della giornalista si sarebbero poi soffermate su un possibile traffico di armi e di rifiuti tossici che avrebbero visto, tra l'altro, la complicità dei servizi segreti italiani e di alte istituzioni italiane: Alpi avrebbe infatti scoperto un traffico internazionale di rifiuti tossici prodotti nei Paesi industrializzati e dislocati in alcuni paesi africani in cambio di tangenti e di armi scambiate coi gruppi politici locali. Nel novembre precedente l'assassinio della giornalista era stato ucciso, sempre in Somalia e in circostanze misteriose, il sottufficiale del SISMI Vincenzo Li Causi, informatore della stessa Alpi sul traffico illecito di scorie tossiche nel paese africano.
Alpi e Hrovatin furono uccisi in prossimità dell'ambasciata italiana a Mogadiscio, a pochi metri dall'hotel Hamana, nel quartiere Shibis; in particolare, in corrispondenza dell'incrocio tra via Alto Giuba e corso Somalia (nota anche come strada Jamhuriyada, corso Repubblica).
La giornalista e il suo operatore erano di ritorno da Bosaso, città del nord della Somalia: qui Ilaria Alpi aveva avuto modo di intervistare il cosiddetto sultano di Bosaso, Abdullahi Moussa Bogor, che riferì di stretti rapporti intrattenuti da alcuni funzionari italiani con il governo di Siad Barre, verso la fine degli anni ottanta. La giornalista salì poi a bordo di alcuni pescherecci, ormeggiati presso la banchina del porto di Bosaso, sospettati di essere al centro di traffici illeciti di rifiuti e di armi: si trattava di navi che inizialmente facevano capo ad una società di diritto pubblico somalo e che, dopo la caduta di Barre, erano illegittimamente divenute di proprietà personale di un imprenditore italo-somalo. Tornati a Mogadiscio, Alpi e Hrovatin non trovarono il loro autista personale, mentre si presentò Ali Abdi, che li accompagnò all'hotel Sahafi, vicino all'aeroporto, e poi all'hotel Hamana, nelle vicinanze del quale avvenne il duplice delitto. A bordo del mezzo si trovava altresì Nur Aden, con funzioni di scorta armata.
Sulla scena del crimine arrivarono subito dopo gli unici altri due giornalisti italiani presenti a Mogadiscio, Giovanni Porzio e Gabriella Simoni. Una troupe americana (un freelance che lavorava per un network americano) arrivò mentre i colleghi italiani spostavano i corpi dall'auto in cui erano stati uccisi a quella di un imprenditore italiano con cui successivamente vennero portati al Porto vecchio. Una troupe della Svizzera italiana si trovava invece all'Hotel Sahafi (dall'altra parte della linea verde) e filmò su richiesta di Gabriella Simoni - perché ci fosse un documento video - le stanze di Miran e Ilaria e gli oggetti che vennero raccolti.[6]
Ilaria Alpi venne sepolta nel Cimitero Flaminio di Roma.
La madre, Luciana Riccardi Alpi, (1933 - 12 giugno 2018) ha intrapreso, fin dal primo processo, una battaglia per cercare la verità e far cadere ogni sorta di depistaggio sull’omicidio della figlia.
Noi siamo quelli che credono ancora a queste emozioni
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ZEGNA SVELA LA CAMPAGNA FW24: UN VIAGGIO DI RITORNO AI VALORI DEL BRAND CON I GLOBAL AMBASSADOR MADS MIKKELSEN E WU LEI
ZEGNA, leader mondiale dell’abbigliamento di lusso maschile, presenta la sua campagna Autunno-Inverno 2024 con i Global Ambassador Mads Mikkelsen e Wu Lei fotografati nell’Oasi Zegna – cuore del brand e eredità vivente del fondatore Ermenegildo Zegna.
Al sopraggiungere dell’inverno, ZEGNA torna a casa, sia fisicamente che emotivamente, traendo ispirazione e consolidando il suo legame con la natura. Scattata nel paesaggio delle Alpi italiane, la campagna ZEGNA FW24 riflette sul lusso della disconnessione, mettendo in luce il comfort e la raffinatezza della collezione Oasi Cashmere.
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Durro, il paesino scozzese tra le alpi italiane
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