#alberto arbasino
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"Chi possiede, per dote naturale o sociale, esercizio misurato o inganno, la forza di attrarre l’altro, possiede anche un potere sull’altro, almeno fintantoché non soggiace lui stesso alla legge dell’attrazione reciproca. L’asimmetria e la non reciprocità permettono al seduttore d’introdurre nel rapporto erotico non la violenza, ma il calcolo e la finzione, ossia la possibilità di manipolare l’altro a piacimento e con il suo consenso. Questa manipolazione può servire vari scopi ed essere esercitata da diverse tipologie di individui. Dall’Ottocento in poi, il seduttore ha abbandonato i panni aristocratici del libertino, per assumere spesso quelli del nullatenente, ambizioso e cinico, uomo o donna, che attraverso il suo potere di seduzione tenta di farsi strada nella vita. L’avventura erotica è, in questi casi, l’occasione di un riscatto sociale e di un rovesciamento dei ruoli: chi è socialmente più forte, per status, ricchezza e cultura, si può trovare in una posizione di debolezza, dipendenza e sottomissione di fronte all’amante."
Andrea Inglese
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[Vite inarrestabili][Claudio Gargano]
L'omosessualità femminile ha plasmato la letteratura del Novecento inglese in modo significativo. Il libro "Vite inarrestabili" di Claudio Gargano esplora opere di nove scrittrici, rivelando il tema come riflesso dei cambiamenti sociali.
Oltre le apparenze: come l’omosessualità femminile ha plasmato la letteratura del Novecento Titolo: Vite inarrestabili. L’omosessualità femminile nella letteratura inglese del NovecentoScritto da: Claudio GarganoEdito da: OdoyaAnno: 2024Pagine: 224ISBN: 9788862888752 La sinossi di Vite inarrestabili di Claudio Gargano Leggere le opere di queste nove scrittrici significa gettare uno sguardo su…
#2024#Alberto Arbasino#Broderie Anglaise#Claudio Gargano#Dorothy Strachey#Harold Nicholson#Il pozzo della solitudine#Ivy Compton-Burnett#Jeanette Winterson#Katherine Mansfield#L&039;omosessualità femminile nella letteratura inglese del Novecento#Odoya#Odoya Edizioni#Orlando#Radclyffe Hall#Vernon Lee#Violet Trefusis#Virginia Woolf#vita sackville west#Vite inarrestabili
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Quale delle fotografie della mostra “Maria Callas, ritratti dall’archivio Publifoto Intesa Sanpaolo” aperta da qualche settimana alle Gallerie d’Italia di Milano rappresenta di più l’Upupa, come la battezzò Alberto Arbasino? Ognuno potrà scegliere la sua. Forse non questa, ma a me piace celebrare i 100 anni dalla nascita con questa foto il cui “punctum”, come lo chiamava Roland Barthes, non è il soggetto dello scatto, la stessa Callas. Non è nemmeno la sua segretaria, così diversa dalle accompagnatrici di oggi, dai body guard, ecc. è una foto di una straordinaria quotidianità, dove la divina indossa un sontuoso (e ormai politicamente scorrettissimo) pelliccione. Ma la misura del suo divismo non è dentro di lei, ma accanto, nella testa dell’uomo che si gira per guardarla probabilmente avendola riconosciuta in una via di Milano a pochi passi dalla “sua” Scala…
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Erano gli anni delle 'cause' ricavate da "Paese Sera": ogni sera Elsa Morante arrivava in trattoria agitando "Paese Sera" e strillando che era uno scandalo e bisognava mobilitarsi, una volta per la bomba atomica, un'altra per i gatti di Roma. E il giorno dopo, al telefono Gadda: "Ha urlato parecchio anche ieri sera? Ho fatto bene a non uscire"
-Alberto Arbasino
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Iaia Forte, vi racconto il mondo pop di Arbasino Show
“Alberto Arbasino mi ha conquistato con i suoi scritti. Con il suo non voler essere politically correct. Anche per la bulimia nella scrittura e per quella sua vocazione ‘pop'”. Così Iaia Forte racconta all’ANSA Arbasino Show, spettacolo al debutto il 24 settembre alla III edizione del Festival Internazionale di Capri – Il canto delle sirene, nato per i sessant’anni di Fratelli d’Italia, il libro…
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“ Non è stato un affare lungo, certo, il matrimonio è durato dieci volte meno del fidanzamento, e mi vengono ancora in mente certi giorni quelle befane madri delle sue amiche dove mi tirava quando la faccenda era diventata ufficiale, e come si scioglievano a parlare di coppia felice e di fausti presagi. Che profetesse del cavolo, non ne hanno azzeccata neanche una per caso. Ci siamo visti l’ultima volta qualche anno fa quando il divorzio è diventato esecutivo in Italia, mi era sembrato che lei avesse voglia di stare un po’ insieme a parlare, ma è stata tutta una cosa frettolosa e incolore, a me poi per il freddo scappava di andare al gabinetto, e quindi sono venuto via subito. Non riuscirò mai a dimenticare il suo contegno da schiaffi con mia madre ammalata. Noi da fidanzati avevamo finito per diventare una coppia quasi proverbiale, sempre insieme, era cominciato a scuola, e ripensandoci adesso mi accorgo di tutto quel che ha fatto quella vedovona cavallona di sua madre per sbatterci insieme a qualunque costo. Il grosso errore è stato di sposarla subito dopo la laurea; eppure non avevo aspettato altro per anni, ma poi è stata la solita storia: credevo di conoscerla. Lei probabilmente ci aveva sopravalutati; però io allora non potevo mantenerla, dovevamo per forza stare tutti insieme con la mamma paralizzata sulla sua carrozzella e mia sorella inacidita curandola che accumula accumula e ogni tanto scatta. Lei aveva la pretesa di mettersi subito nel gruppo delle signore di piazza Viscontina e vivere come loro, ma quelle avevano una certa età, più di noi, mariti avviatissimi, una posizione finanziaria solida; che se lo levasse dalla testa. Per di più il vecchio padre è mancato poco dopo, e quando muore un professionista che non ne ha molti è un disastro per chi rimane. Respinto lontano sempre più lontano il giorno in cui avremmo potuto vivere in una casa solo nostra, con una certa larghezza di mezzi, sono cominciate le scene interminabili, i voglio vivere la mia vita. Le piace troppo quello che piacerebbe a tutti: viaggiare, i vestiti, bella casa, far niente e uscire alle undici e mezza. Col suo carattere duro e forte picchiare non era più sufficiente, si sarebbe dovuto ammazzarla, come si fa a cambiare la testa alle persone. Così se ne andava, ma sì, che se ne andasse, separazione legale, e che facesse la troia non mi importava certo più, a un certo punto fatti tutti i calcoli mi è convenuto piantarle lì un bel divorzio estero, e ci sono riuscito appena in tempo. Adesso qui civilmente mi potrei risposare. “
Brano tratto da I blue jeans non si addicono al signor Prufrock, dalla raccolta di racconti:
Alberto Arbasino, Le piccole vacanze, Einaudi (collana Nuovi Coralli n° 5), 1971² [1ª ed.ne 1957]; pp. 54-55.
#Alberto Arbasino#Le piccole vacanze#citazioni letterarie#letteratura italiana del XX secolo#letteratura italiana del '900#narrativa italiana del '900#raccolte di racconti#letture#libri#letteratura degli anni '50#scrittori lombardi#divorzio#sposi#raccolta di racconti#matrimonio#vita di coppia#separazione#I blue jeans non si addicono al signor Prufrock
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I viaggi perduti
La fotografia vista da Alberto Arbasino
a cura di Daniela Palazzoli
Bompiani, Milano 1986, 190 pagine, 23,5 x 22,5 cm.,
euro 30,00
email if you want to buy [email protected]
Museo di Roma - Palazzo Braschi Roma 28 gennaio 10 marzo 1986
''I Viaggi Perduti' di Alberto Arbasino sono la ricostruzione ideale di un grand tour in Europa e in Oriente attraverso le immagini di luoghi ormai irrimedialmente trasformati"
“I viaggi perduti, quindi, non sono solo uno sguardo nostalgico su un mondo a cui non si può ritornare, ma l' omaggio a un modo di guardarlo e di guardare, magari con le coatte miopie a cui la tecnica dell' epoca costringeva - il dagherrotipo, per i suoi tempi di posa che non riuscivano a fissare le persone in movimento, spopolò a lungo le strade e le città sembravano tutte percorse da una nube purpurea -, ma con più voglia di scoprire. La Firenze degli Alinari e di Brogi, la Napoli di Sommer, la Parigi di Atget, l' Inghilterra di Fox Talbot sfilano con bellezze che non esistono più e orrori che non esistono ancora, più esotiche, nella loro intatta bellezza, delle mete classiche dei grandi viaggiatori ottocenteschi: la Grecia dei templi, l' Egitto, la Palestina, il remoto Oriente. Ai nostri occhi di oggi sono quasi più esotiche della remota Assuan o della favolosa Benares la Milano con il Duomo che svetta tra le case bassotte o San Pietro che fronteggia gigantesca la Spina dei Borghi. Sono ancora più inedite e strane e inconsuete le belle città mitteleuropee - Norimberga, Colonia, Budapest - in cui senti che non è ancora passata quella livellatrice di culture, gusti, architetture e destini che è stata la guerra. E dopo tanta nostalgia e "invitation au voyage", è a un involontario pensiero di guerra - o di pace - che costringe l' ultima fotografia della mostra: una lunga immagine, formata da tre scatti, attribuita a Felice Antonio Beato, in data 1863. E' veramente, questo, un viaggio perduto: per sempre. E' la baia di Nagasaki, serena, con le sue casette, i suoi colli, i suoi velieri. Una qualsiasi giornata di un passato pieno di grazia, prima di quell' estate di quarant' anni fa.” Irene Bignardi La Repubblica 1985
18/12/21
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#viaggi Perduti#Alberto Arbasino#grand tour#Giorgio Sommer#Atget#Alinari#Brogi#photography books#libri di fotografia#fashionbooksmilano
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Fratelli d'Italia
E (sempre Connolly...) il sex compulsivo con amori un po’ troppo impegnativi da indossare per mesi e mesi durante un lavoro serio... O invece, la domesticità definitiva con l’odorino d’angolo-cottura che si comunica alla scrittura; e il passeggino nell’ingressino: alibi d’ogni sottomissione e compromesso nel dar via il culo culturale... per sfamare i piccini che saranno un giorno impiegati alla Rai... Poi, l’alcool anglo-americano; e le droghine nuove non incluse nel senso del peccato della nonna... Più che nemici, forse, parassiti delle promesse, dei talenti, degli standard qualitativi così alti da giovani. Non solo nel Trenta... «Anche qua? Ma non mi dire!». «Non temete nulla di nulla, graziosa pellegrina, in compagnia di quattro santi eremiti. Qua, dati i prezzi, non più di un baby da Rosati o Canova. E quando appare una sigarettina dall’America, né sì, né no: “grazie, semmai la tengo per dopo”».
Anche però la chiacchiera per tutta la mattina al telefono, poi alle presentazioni col dibattito a metà pomeriggio, e il proseguimento polemico in trattoria fino alla chiusura... E intanto le settimane e le stagioni passano... Il bestsellerismo su ricetta per il successino a ogni costo, e il tormentone del nessuno torna indietro dalle statistiche commerciali... «Però,» si affanna a spiegare, non richiesto «questi settimanali come il “Mondo” e l’“Espresso”, oltre a fornirti i canali per raggiungere un certo piccolo pubblico di qualità, che esiste, permettono di infischiarsi abbastanza di quel piccolo sistema di mafiette e congiurette da villaggio feudale, non globale... Coi “vice” e i “sotto” un po’ prepotenti e un po’ tremebondi, a seconda dei corsivi dei gerarchi... E alla polemica letteraria si risponde con mosse non-letterarie, da uscieri... per esempio manovre per “togliere il pane” ai piccini. Che però qui mancano, tra i Fortuny». «Ancora molta fame, in giro?». «Né contratti, né stipendi, né assicurazioni, né pensioni. Solo collaborazioni “in nero”, lasciate cadere in cambio di servilismi continui... e continuamente revocabili! Rubrichine di favore alla radio, recensioncine di marginalia sulle pubblicazioni degli enti, precarie, per le formichine da tenere sotto obbedienza... Senza garanzie di continuità per i piccini delle formichine...». «Tutto in nero?». «Senza mercé. Sotto i piè... E in queste situazioni così bloccate e piccole si fa in fretta a reprimere i libri come sotto il fascismo... o a estromettere un freelance poco rispettoso... Bastano poche telefonate per controllare i mezzi di produzione e di informazione. Come negli altri settori di questo paese minuscolo. Perfino letterati abbastanza insigni e anziani e deferenti con tutti fin dal fascismo: li vedi sempre che corrono e gemono, per i posti e posticini, fra burocrati e tangheri... Tremano alla Rai, aspettano per anni la chiamata di un direttore o di un amministratore, bussano all’Università per niente, sognano i corridoi e gli orari del “Corriere”, col mito di quei tavoli e quegli abat-jour...». «Il cosiddetto Establishment? Non è un cenacolo di artisti?». «Poca gente che si conosce tutta e fa tutto, come nel fascismo, però sempre “in veste di...” e cioè in tante vesti, per i diversi ruoli: il Poeta, il Politico, il Funzionario, lo Storico, il Neo, l’Ex... Cioè le diverse maschere per i ruoli che si intrecciano: il Potere che si finge Opposizione, la Rivoluzione che reprime chi non riverisce i Valori-di-Nonno; l’Accademia che fa il Mercato e tira ai soldi... E ancora più ossequiosi che bisognosi: basta far sapere al dottore che non sarà gradito se si parla di un certo libro; e il dottore non ne parla. Poi però viene a scusarsi per non averne parlato: non si sa mai... Oppure: “tu devi fare una bella presentazione”. E il dottore non solo la fa, ma lo va dicendo: me l’hanno chiesta! hanno insistito! ci tenevano tanto!». «E se gli chiedevano il culo?... A me sembrano i caratteri tipici di tutto il paese: le cancellerie e gli stati maggiori l’hanno sempre ripetuto». «Anche la mancanza d’orgoglio? la mancanza d’anima? la meschinità dei moventi, che si trasferisce dalla persona all’opera come un odore dei vestiti?... Se si prova a svolgere un discorso generale d’attualità, parecchi commentano in buona fede “ma perché se la prende con la Tiritiri e con Pecionetti, che non gli hanno fatto niente?”. E avranno letto dieci righe in tutto, dietro dieci telefonate di Mestatori. Non viene sinceramente in mente che qualche considerazione culturale possa esser ripresa dall’“Observer” e non dall’ambientino. E senza fini personali. Come quando uno presenta alla Camera una proposta di legge per introdurre qualche norma societaria come in Europa, e subito “ma perché quello ce l’ha tanto con la Pavonazzi & Figlio?”». «Non è che sotto il fascismo abbiano dato prove...». «Congreghe, allora e adesso, per un mercato piccolo. Rivalse e vendette contro chi non chiede tutti i permessi e non offre servizi ai Responsabili per la Cultura... Atroci coppie anziane che in trattoria sulle puntarelle o le pappardelle strillano assatanate, fra le ordinazioni: “qui bisogna fare uno scandalo!”. (E giù, masticando grossi bocconi rabbiosi)... “Qui bisogna che nessuno dica una parola!”. (“E la mia cicoria?”)... “Ma questo come si permette!”. (“Io comincio a mangiare finché è caldo”)... “Bisogna avvertire quella poveraccia, che non lo sa!”... (“Queste patate non sono mie, sono per la signora lì”)... E anche poi carpire coi sotterfugi i dattiloscritti altrui, tramite povere donne infelici che non vanno in vacanza, compulsarli nelle cucine delle megere e dei megeri accaldati, commentare le singole righe fra i gatti delle streghe che fanno pipì e gli urli di “non è possibile!” delle arpie al telefono, coi subalterni che fanno da mangiare per i gatti e tenuti anche a predisporre trappole e propalare le maldicenze... che sostituiscono per loro il mare e la montagna, e anche la saggistica e la ginnastica... Poi, una passata di complotti e diffamazioni per i premi: e siamo a Ferragosto. Quindi ci si tolgono un po’ di saluti autunnali in trattoria: su il naso, davanti ai broccoletti passati in padella... E i megeri e le megere vanno per un po’ in giro a ripetere, con tutte le penne per aria: “questo personaggio sono io! ma io non sono affatto così!”... E avanti con le pappardelle e le puntarelle, e “quello, bisogna distruggerlo!”, con l’aglio e senza l’aglio, e nuove serve: “oggi è stata da me la piccola Paparazza, una delizia!”...».
Alberto Arbasino (Voghera, 22 gennaio 1930 – Milano, 22 marzo 2020) - Fratelli d'Italia
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In Italia c'è un momento stregato in cui si passa dalla categoria di brillante promessa a quella di solito stronzo. Soltanto a pochi fortunati l'età concede poi di accedere alla dignità di venerato maestro.
Alberto Arbasino, Il Fatto Quotidiano, 23 giugno 2013
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Una pagina scritta più di 50 anni fa (lui è rimasto con lei la notte e poi è sparito...)
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[Arbasino A-Z][Andrea Cortellessa]
Clicca qui per acquistare il libro Titolo: Arbasino A-ZA cura di: Andrea CortellessaEdito da: ElectaAnno: 2023Pagine: 328ISBN: 9788892824195 Alberto Arbasino è l’ottavo protagonista della collana “Enciclopedie” di Electa dopo Savinio, Rodari, Steinberg, Woolf, Cocteau, Scialoja e Calvino. Nella sua opera, quantitativamente sterminata, Arbasino si è posto il compito ciclopico di archiviare la…
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#2023#Alberto Arbasino#Andrea Cortellessa#Anna Ottani Cavina#Antonio Gnoli#Arbasino A-Z#Ekphrasis#Electa#Giosetta Fioroni#Italia#Jacopo Pellegrini#LGBT#LGBTQ#Luca Scarlini e Walter Siti#Marco Belpoliti#nonfiction#Raffaele Manica#Vittorio Gregotti
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ADELPHI: LE ORIGINI DI UNA CASA EDITRICE 1938-1994 (parte I)
Scrivere del volume di Anna Ferrando, “Adelphi” (Carrocci Editore) è facile, così come è altrettanto facile leggere il sostanzioso volume, ma naturalmente dipende molto da chi legge e da cosa ha rappresentato la casa editrice Adelphi nella sua vita. Se siete tra quelli che per motivi generazionali o esistenziali hanno scelto di riempirsi la casa di volumi Adelphi, potete tranquillamente continuare a leggere, se invece, al contrario, qualche volume Adelphi vi è capitato per caso tra le mani, allora questa lettura (del mio commento e del libro stesso), potrebbe essere noiosa e superflua. Adelphi nasce nel 1938, in un’Italia umiliata dalle leggi razziali e dalle persecuzioni antisemite, per merito delle menti vulcaniche di Alberto Zevi, Luciano Foà, Bobi Bazlen, Claudio Rugafiori che avevano un sogno del cuore, ovvero il proposito di far uscire l’editoria, o almeno una parte di essa, dall’eurocentrismo, dalla cultura filosofica per attingere alla scienza, alle religioni e alle tradizioni orientali, al buddhismo, all’islamismo, alla psicanalisi e, soprattutto alla grande cultura Mitteleuropea. Il taglio, fin dai difficili anni iniziali, era chiaramente antistoricista, a tutto vantaggio della ricerca del “libro unico” come si ostinava a chiamarlo Bobi Bazlen. È paradossale che il competitor ideale della nascente Adelphi fu subito Einaudi. La casa editrice torinese era infatti agli antipodi delle idealità che covavano nel cuore degli “adelphi”. Einaudi, in quegli anni, fu quasi completamente organica ad un progetto politico di cambiamento della società. Il paradosso, a mio modo di vedere, è che nei decenni successivi, a partire dal 1970 almeno, i lettori di Einaudi e quelli di Adelphi furono assolutamente sovrapponibili. Eppure “l’impolitico” era certamente uno dei fili conduttori di tutto il catalogo Adelphi (non è certo un caso che “Considerazioni di un impolitico” di Thomas Mann, entrò nel catalogo nel 1997). Ma Adelphi cominciò da Nietzsche (con l’opera omnia curata da Giorgio Colli), filosofo impolitico per antonomasia, nonostante l’uso e l’abuso che ne fece la destra del post sessantotto. Adelphi, come ebbe a scrivere un pezzo da novanta del suo catalogo, Elena Croce, figlia di Benedetto Croce, “contribuiva ad aprire gli ancora angusti orizzonti del panorama intellettuale italiano” che dal suo punto di vista era troppo impregnato di ideologia per poter scoprire dell’altro. E così, sulla scorta delle ricerca del “libro unico”, il catalogo di Adelphi, tra difficoltà economiche e battaglie ideali anche all’interno della redazione, è andato arricchendosi di fiori preziosi. E qui, tutti noi, quelli di cui sopra, possiamo sbirciare tra gli scaffali delle nostre biblioteche e scorgervi le copertine color pastello di Leonardo Sciascia, Guido Ceronetti, Karen Blixen, Ingebor Bachman, Fleur Jaeggy, Erik Satie, Douglas R. Hofstadtrer, Emanuele Severino, Hilary Putnam, Vladimir Nabokov, Giuseppe Pontiggia, Paul Velery, Elias Canetti, Joseph Roth, Alberto Arbasino, Thomas Bernhard, Arthur Schnitzler, Franz Werfel, Adolf Loos, Ludwig Wittgenstein, Katherine Mansfield, George Simenon, Massimo Cacciari, citati volutamente un po’ a caso, ma in modo che ognuno di noi possa aggiungerci i propri. (continua)
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...la conversazione di questa società sembra opera piuttosto del caso che d'altra cagione, e riesce veramente meraviglioso che ella possa aver luogo tra individui che continuamente si odiano, s'insidiano e cercano in tutti i modi di nuocersi gli uni agli altri". Ma "delicatissimi sopra tutti gli altri sul conto loro: cosa veramente strana, considerando il poco o niuno amor nazionale che vive tra noi, e certo minore che non è negli altri paesi.
Gli italiani sono molto più filosofi di qualunque filosofo straniero, poiché convivono e sono immedesimati con quella opinione e cognizione che è la somma di tutta la filosofia, cioè la cognizione della vanità d'ogni cosa
Paesaggi italiani con zombi, Leopardi, Alberto Arbasino
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“ Noi uscivamo con le biciclette a percorrere il bianco ottovolante delle strade su e giù per le colline, in discesa vincevo io la gara col trenino singhiozzo. Almeno mezza giornata passava così. Avevamo fanali con la dinamo e portapacchi d’alluminio. Abbiamo imparato il francese e l’inglese scendendo in città ogni lunedì mercoledì e venerdì dopo colazione, per anni, io e Mira e tanti fratellini e sorelline e altri piccoli da raggiungere il numero di nove. Mademoiselle Pinoteau ci scaglionava a gruppetti di due o tre nel corso del pomeriggio, e in quelle lezioni facevamo soltanto chiacchiere, indifferentemente nell’una o nell’altra lingua, però con proibizione di usare anche una sola parola italiana, non avevamo compiti a casa di nessun genere, per non sovraccaricarci oltre a quelli di scuola, però lavoravamo secondo il tempo e la voglia, riassumendo per iscritto i più piccoli Perce-Neige o Petit Poucet capitolo per capitolo, io invece traducevo in prosa nell’altra lingua le liriche di Shelley o Les Fleurs du Mal. Mira andava cercando cotoni per sua madre, io dopo scovato un banjo in un negozio musicale avevo pure qualche lezione per imparare a suonarlo, la sorella di Mira che era più vecchia di lei aveva la bicicletta più bella, con specchietto retrovisivo sul manubrio, e andava a comprare la carne di frodo, al ritorno si fermava nel caffè di Leone a bere frappè sotto il tendone di tela e a raccontarsi storie col professor Bo e col dottor Piovene, e non la si vedeva più. Tutti, prima e dopo la lezione di lingue, ci asserragliavamo nell’unico cinema pomeridiano polverosissimo a vedere due film e parecchi cortometraggi; a tardissima ora una gara di inseguimento ci riportava a casa attaccati ai camion sotto gli occhi pieni di terrore delle madri che ci sorpassavano in autobus. “
Brano tratto da Distesa estate, dalla raccolta di racconti:
Alberto Arbasino, Le piccole vacanze, Einaudi (collana Nuovi Coralli n° 5), 1971² [1ª ed.ne 1957]; pp. 14-15.
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