#ai giovani fascisti
Explore tagged Tumblr posts
iltuoanon2016 · 1 year ago
Text
S t u p i d i . . .
Tumblr media
I tempi sono cambiati. Il mondo è cambiato ed i parametri per valutare la realtà, pure.
Al di là dell'aspetto legale, sull'essere o meno fascisti, mi chiedo come non si sentano stupidi (soprattutto) i giovani, a fare il saluto fascista: inneggiare con un gesto, ad un'ideologia priva di senso, datata e sconfitta dalla storia, ripudiata dallo stesso popolo che l'aveva accettata.
Ad Acca Larenzia c'erano più dei 200 militanti paventati. Ma, al di là della commemorazione, cerano sicuramente più di 200 stupidi, ignoranti e montati.
Il fascismo non ha mai avuto senso ed oggi ne ha ancora meno. Se temete che le mie siano solo parole di una zecca, leggetevi i relativi libri di storia di Montanelli (che al fascismo aderì e non lo sconfessò mai) e rendetevi conto che quella non fu mai una vera ideologia, perché di "idea" alla base non ne aveva. E inneggiare ad un movimento senza una vera idea che la generasse, per me è da stupidi...
0 notes
francescosatanassi · 1 year ago
Text
UN MALEDETTO SELVAGGIO
Tumblr media
Una storia che non conoscevo. Di fronte alle più alte cariche dello Stato cubano, oggi sono state tumulate presso l’altare dei rivoluzionari di L’Avana, le ceneri di Gino Donè, "El Italiano", come lo chiamavano i suoi compagni. Donè era nato in provincia di Treviso e aveva combattuto come partigiano nella Brigata Piave, ricevendo anche un encomio dal Gen. Alexander per aver salvato un gruppo di ufficiali inglesi nella laguna veneziana. Dopo la guerra cercò fortuna in Francia, Belgio, Germania, fino all'arrivo a Cuba. "Facevo il carpentiere - raccontò nel 2006 - ma avevo il sangue che mi bolliva, dentro ero ancora un maledetto partigiano.” In quel periodo, Fidel Castro era esiliato in Messico e stava arruolando giovani per liberare Cuba dalla dittatura di Batista. Venne a sapere di un italiano che aveva combattuto i fascisti e lo volle con sé come tenente del 3° plotone. Fu Gino a insegnare le tecniche della guerriglia a Che Guevara e assieme a lui, Fidel e Raul Castro, era tra gli 82 che, a bordo dell’imbarcazione Granma, sbarcarono ai piedi della Sierra Maestra. Con Aleida March, futura moglie del Che, organizzò, senza metterlo in atto, un piano per assaltare la sede del comando militare di Santa Clara. Ricercato dalla polizia, i compagni lo convinsero a rifugiarsi negli USA, dove si guadagnò da vivere come marinaio per 3 anni, prima di tornare in Italia. Al suo funerale parteciparono centinaia di persone, tra le quali i funzionari dell’ambasciata cubana con 4 corone di rose inviate in Italia da Fidel. "Mi hanno chiesto se fossi anarchico, comunista, rivoluzionario - raccontò l''unico europeo ad aver partecipato alla rivoluzione cubana - io sono soltanto un maledetto selvaggio. Però osservo il mondo e vedo che c'è sempre qualcuno più povero di me. E oggi, chi dà una mano ai proletari? Forse ci vorrebbero ancora uomini che decidono di essere fratelli."
146 notes · View notes
viendiletto · 1 year ago
Text
Ho vissuto 17 anni a Pola ed è stata una vita da favola: è quella la mia terra e mi manca tanto. Siamo andati via nel 1946 perché c’erano già state le prime foibe, in Istria si sapeva, a Pola meno. Venivano di notte, chiamavano la persona e dicevano “Vieni, ti devo parlare”, e quella spariva. Poi ci accorgemmo che, dopo tempo, a Pola, sui tabelloni di un cinema erano esposti cadaveri; così la gente andava alle foibe per cercare lembi di indumenti dei familiari scomparsi. Fummo sfollati a Orsera (in croato Vrsar) nel 1944-’45, quando avevo 14 anni, perché gli alleati bombardavano e c’erano i tedeschi. Ricordo un presidio di giovani soldati, 18 o 19 anni, che furono convinti dalla popolazione pro-Tito a lasciare il presidio e andare in bosco coi titini. Questi presero le armi dei nostri soldati e si vestirono con le loro divise: i giovani che andarono in bosco non tornarono più. Le mamme andavano a chiedere a don Francesco Dapiran, poi parroco di Fertilia, dove fossero i loro figli, e lui andò a cercarli paese per paese, chiedendo alla popolazione dove fossero stati portati: erano tutti morti gettati nelle foibe. Tornammo a Pola e riprendemmo la vita di tutti i giorni. Vivevamo in mezzo a gente slava, ma non lo sapevamo, eravamo tutti una comunità. Furono alimentati rancori e odi, ma in realtà non c’era questo fra noi, eravamo gente buona. Mio padre, originario di Buggerru, e mia madre ripresero a lavorare, io proseguii gli studi. Poi anche da noi iniziarono le uccisioni e facemmo domanda per espatriare. La nostra partenza fu fissata il 10 febbraio 1947, ma l’uccisione del generale De Winton la rinviò. Essendo una ragazza di 17 anni, vivevo quell’esperienza non come un disagio, ma come un’avventura. Partimmo col successivo imbarco, il pomeriggio di sabato 15 febbraio. La domenica, a bordo, il parroco celebrò la messa, quindi, nel pomeriggio, arrivammo ad Ancona. Mi aspettavo una festa d’accoglienza, con le bandiere, invece ci vennero incontro delle barche con a bordo uomini che, col pugno chiuso, ci insultavano gridando: “Tornate a casa vostra, fascisti!”. Se non ci fossero stati i carabinieri quelli ci avrebbero buttati in mare: li ringrazierò per sempre per quello che hanno fatto per noi. In treno raggiungemmo Civitavecchia da dove c’imbarcammo per la Sardegna. Il giorno dopo sbarcammo ad Olbia, quindi ci trasferimmo a Sassari e da lì prendemmo il treno per Cagliari. Il paesaggio che si presentò ai miei occhi era desolante, mi sembrava di attraversare la steppa; ricordo delle cavallette enormi ma anche un bel sole, che ci accolse con tutto il suo calore. Il primo impatto con Cagliari fu positivo: il municipio e il bel giardino antistante mi diedero subito l’impressione di una bella città, nonostante i danni subiti dalla guerra appena terminata. Ci condussero nel campo profughi, situato tra le vie Logudoro e San Lucifero, e lì l’accoglienza fu buona. La città mi piaceva e mi piace, ma mi sono inserita con difficoltà, la mia mentalità era diversa da quella che ho trovato e non riuscivo a capire le persone che si esprimevano solo in sardo. Sono arrivata a 80 anni e ringrazio Dio e ringrazio la Sardegna perché mi trovo bene, la vita è tranquilla, una pensione l’ho avuta, ho pochi amici ma buoni e tengo collegata tutta la ‘mia’ gente, sparsa in tutto il mondo.
Nerina Milia, esule da Pola
Tumblr media
27 notes · View notes
crazy-so-na-sega · 9 months ago
Text
Firenze, settembre 1944. Un colonnello americano era in giro per la città conquistata quando vide i partigiani comunisti giustiziare bambini fascisti davanti a Santa Maria Novella. Accostò la sua Jeep e chiese spiegazioni ai comunisti. "Gridano continuamente 'Viva Mussolini' perché vogliono che li uccidiamo. Li abbiamo sorpresi a sparare ai nostri uomini dai tetti!" Disse uno di loro. L'americano non ce l'aveva fatta; sapeva che gli italiani erano noti per questo tipo di attività sabotatorie dietro le linee nemiche, ma rimase affascinato da una ragazza di quindici anni con gli occhi verdi che era nel gruppo. Erano tutti così giovani, ma non avevano paura. Ridevano alla vista degli uomini che discutevano del loro destino. "Il Comando alleato ha vietato le esecuzioni sommarie; non si può fare questo", ha detto, "deve giudicarle un tribunale militare". Poi uno dei ragazzi si fece avanti e, subito prima che un comunista gli sparasse a morte, gridò: "Smettila di parlare, americano. Moriremo con onore, qualcosa che non capirai mai".
Tumblr media
-Curzio Malaparte (La pelle)
"Smettila di parlare, americano. Moriremo con onore, una cosa che tu non capirai mai" 👍
8 notes · View notes
colonna-durruti · 1 year ago
Text
" L''Orco volante"
20/12/'73 Operación Ogro
Non fu una decisione facile da prendere, ma alla fine le lunghe notti negli scantinati di Bilbao portarono a una scelta, basta comprimari, stavolta si mirava al bersaglio grosso, anzi al più grosso di tutti, perché rappresentava meglio di chiunque altro l'essenza del franchismo, perché destinato alla successione dell'oramai vecchio Franco e perché grosso lo era davvero l'ammiraglio Carrero Blanco, talmente grosso e spietato da meritarsi l'appellativo di Ogro (orco).
Da diversi anni ormai, la dittatura fascista del generale Francisco Franco è scossa da un crescente malcontento sociale, che trova nelle mobilitazioni operaie la valvola di sfogo nei confronti di quello che è diventato il più longevo stato europeo guidato da un esecutivo dichiaratamente reazionario e conservatore.
La lettura di quegli anni, propagandata dal regime, parlava infatti di una crescente tolleranza nei confronti dei conflitti sociali.
Al contrario però, mai come in quegli anni, Franco decide di attuare una feroce repressione contro tutti i suoi oppositori politici, concentrandosi con particolare accanimento sulla popolazione basca.
Dal 1961 fino alla morte del Caudillo, il Paese Basco viene sottoposto ben 9 volte allo stato di emergenza nel giro di neanche 13 anni, vivendo un totale di 4 anni e due mesi in condizioni di completa sospensione di ogni diritto civile fondamentale, con un potere di vita e di morte affidato alle Forze di Sicurezza dello Stato.
È in questo clima che Euskadi Ta Askatasuna decide di entrare in azione.
L'operazione dura quasi nove mesi e porta la firma del «Commando Txikia» di ETA.
I quattro giovani baschi ai quali è affidata l'azione cominciano a seguire le mosse dell'ammiraglio nell'aprile del '73, dopo aver affittato un seminterrato al n. 104 di calle Coello a Madrid, dove fingono di svolgere il mestiere di scultori.
Il lavoro si rivela però più lento e dispendioso del previsto, dal momento che impegna tutti i componenti della squadra nello scavo dalla casa fino al centro della strada, dove sarà sistemata la carica più grossa.
L'operazione, prevista per il 19 dicembre, viene posticipata al giorno successivo. Poco prima dell'ora stabilita, uno degli "scultori" parcheggia, in seconda fila una "Morris" carica di dinamite. Quando l'auto dell'ammiraglio raggiunge la zona "ideale", al segnale stabilito il contatto elettrico fa saltare in aria la macchina.
L'automobile di Carrero Blanco vola per sei piani, oltrepassa il tetto di un palazzo e finisce su un balcone interno al terzo piano. Le guardie del corpo, scese malconce dall'automobile di scorta finita contro un muro, non si rendono conto dell'accaduto per molto tempo, mentre i quattro "etarras" hanno tutto il tempo per fuggire in tranquillità dalla capitale.
Nei giorni successivi, il Partito Comunista e vari esponenti dell'opposizione antifranchista e democratica, parlarono di provocazione, di possibile azione di "ultrà" fascisti, poi, di fronte alla circostanziata rivendicazione dell'attentato da parte di ETA, di atto irresponsabile che avrebbe fatto il gioco del regime. La realtà fu che tutto il popolo spagnolo, e non solo gli abitanti di Euskal Herria, furono ben felicissimi della morte di colui che, a tutti gli effetti, si era dimostrato degno continuatore delle politiche del regime franchista.
Rispetto per i compagni di Txikia :
José Ignacio Abaitua Gomeza “Marquín”,
José Miguel Beñarán Ordeñara “Argala”,
Pedro Ignacio Pérez Beotegui “Wilson”,
Javier María Larreategui Cuadra “Atxulo”,
José Antonio Urruticoechea Bengoechea “Josu” e Juan Bautista Eizaguirre Santi esteban. “Zigor”)
Gora Euskadi Ta Askatasuna
10 notes · View notes
ballata · 4 months ago
Text
Tumblr media
C'è chi è bello dentro e chi è bello fuori.
Io sono double face.
A chi mi chiede (spesso) perché una persona con una mentalità di destra supporta Israele do 2 risposte. La più semplice: perché mi segui se ti infastidisce il mio pensiero? Io ad esempio non seguo nessuna pagina LGTB non interessandomi. La seconda storica: Dagli anni 60 in tutti gli ambienti missini ovvero cosiddetti fascisti pei i comunisti, si svilupparono ferventi dibattiti in merito al Medio Oriente. Da un lato, vi era la linea dei dirigenti del MSI e dei quadri intermedi che si dichiaravano filo israeliani (vedendo in Israele un baluardo dell’Occidente che si opponeva agli Stati arabi...come il sottoscritto che mai vorrebbe vivere sotto sharia amando alcol, donne e paganesimo) dall’altro una minoranza di altri giovani di destra (quasi sempre esterni al Movimento) si schieravano per la causa araba. A fine anni70 Giulio Caradonna, all’epoca segretario dell’associazione giovanile RGSL del MSI offriva alle autorità Israelitiche Romane la protezione dei suoi militanti contro eventuali attacchi da parte dell’estrema sinistra.
Avevo un amico, prima di diventare amici mi pestò come una zampogna al "Veleno" di Roma. Frequentava la destra Romana dei Parioli, era ebreo, compiuti i 18 anni scelse di svolgere il suo servizio di leva in Israele, (dura 4 anni) Oggi vive ad Israele dove è rimasto,oggi è un ufficiale che combatte Hamas.
Altri amici romani sempre "duri" della destra italiana di quegli anni si "imboscarono" invece chiedendo al papi di esentarli dal servizio militare.
Camminerei a fianco di un Israeliano senza se e senza ma, ho visitato Israele più volte, un mondo libero e felice, circondato da fanatici maschilisti, tagliagole, infervorati, odiatori seriali accanto ai quali non farei un singolo passo.
5 notes · View notes
superfuji · 2 years ago
Quote
Del resto, Fratelli d’Italia nasce esattamente per sfruttare questa finestra di opportunità. Prendiamo i suoi tre fondatori ufficiali: Ignazio La Russa, Guido Crosetto e Giorgia Meloni. Il primo rappresenta (in modo perfino caricaturale) la fedeltà al fascismo storico, e la militanza nel torbido e sanguinario neofascismo del dopoguerra. Il secondo rappresenta la garanzia di totale organicità ai dogmi del liberismo economico e alle esigenze del sistema militare-industriale e dunque della guerra. La terza rappresenta l’apertura all’ideologia dell’estrema destra internazionale (da Orban a Bolsonaro a Trump). Quest’ultimo punto merita qualche parola in più. Nonostante l’affettuosa deferenza per Giorgio Almirante e alcune giovanili dichiarazioni di entusiasmo per Mussolini, Meloni è attenta a smarcarsi dal fascismo nostalgico alla La Russa. La ragione è la volontà di essere, e apparire, in sintonia con un nuovo fascismo che – pur nella sostanziale continuità ideologica con le idee di Hitler o di Evola – non ha bisogno di un apparato simbolico storico, e costruisce nuovi simboli e nuovi miti. In questo 25 aprile, prendetevi un momento per guardare un terribile video del 2013 (in francese, con sottotitoli in inglese: https://www.youtube.com/watch?v=XA5S5Qrg6CU). È la ‘dichiarazione di guerra’ alle democrazie lanciata da Génération Identitaire, un movimento politico nato in Francia (e lì sciolto dal governo nel 2017) che fa della ‘questione etnica’ il fulcro di una politica fondata sulla paura e sull’odio. La linea è quella del suprematismo bianco: e in concreto quel movimento ha organizzato una serie di attacchi anche fisici contro le Ong che soccorrono i migranti nel Mediterraneo. I simboli non sono le svastiche: ma, come si spiega nell video, i ‘lambda’, cioè le lettere greche che figuravano tra gli emblemi degli Spartani (‘lambda’ è la lettera iniziale di Lacedemoni, altro nome degli Spartani). La scelta cade sulla grande antagonista della democratica Atene: una città governata da una minoranza (gli Spartiati) che dominava attraverso la violenza e il terrore su una maggioranza (gli Iloti) etnicamente diversa. Un modello atroce, fatto proprio dall’organizzazione studentesca di Fratelli d’Italia. Un esempio eloquente: il percorso formativo di Azione studentesca si chiama ‘agoghé’, come quello dei giovani spartiati, che in esso si formavano alla resistenza fisica, e alla violenza (anche attraverso uccisioni rituali e impunite degli Iloti). Una ricca documentazione iconografica mostra come i ragazzi italiani che crescono all’ombra della Presidente del Consiglio non ricorrano ai fasci o alle svastiche (anche se la croce celtica rimane il simbolo ufficiale di Azione studentesca), ma ai simboli dell’antica Sparta: un mimetismo formale che mette i giovani di estrema destra italiana al riparo dalle accuse di fascismo nostalgico, e in connessione con i loro camerati di tutta Europa, consentendo una perfetta, e indisturbata, continuità con gli ‘ideali’ fascisti e nazisti. Vale la pena di ricordare che è stata proprio Azione studentesca la responsabile, nel febbraio scorso, del pestaggio dei ragazzi del Liceo Michelangiolo, a Firenze: e che nello stesso palazzo fiorentino hanno sede Fratelli d’Italia, Casaggì (nome locale di Azione studentesca) e la casa editrice “Passaggio al bosco” (etichetta esplicitamente jüngeriana che allude alla ribellione contro la democrazia), il cui catalogo è ricco di testi su Sparta, e sulla sua mistica del razzismo violento. È in questo quadro che si deve leggere l’uscita sulla ‘sostituzione etnica’ del ministro Lollobrigida, cognato di Meloni. Lungi dall’essere frutto di “ignoranza”, come penosamente asserito dall’interessato, si tratta della maldestra esibizione della parola d’ordine chiave per questa nuova-vecchia destra europea che fa della questione razziale e migratoria il centro di un intero sistema di pensiero e azione. Negli ultimi decenni si possono documentare decine e decine di uscite di Salvini, Meloni e molti altri leader della destra italiana sulla sostituzione etnica: e ora la tragedia di Cutro mostra come proprio quell’ideologia ispiri le azioni e le omissioni dell’attuale governo della Repubblica. Un nuovo fascismo, dunque: che non ha necessariamente bisogno dei labari del Ventennio. Ma che quel progetto comunque resuscita e persegue: soprattutto in una mistica della violenza e della morte che ha nei neri, nei musulmani, nei diversi i propri eterni obiettivi. Lo dimostra il fatto che la politica di questo governo fascista attacca frontalmente alcuni principi fondamentali della Costituzione antifascista
Il 25 aprile con un partito fascista al governo
49 notes · View notes
b0ringasfuck · 1 year ago
Text
Retorica, Cina e a new shade of rossobrunismo nostrano
Uno dei più grossi "errori" dell'occidente è stato quello di voler insegnare agli altri un modello di sviluppo pensando di essere arrivati all'apice del raggiungibile.
Dico "errori", ma è un misto di boria e consapevolezza. Sia per ragioni interne che di politica estera. In un momento in cui il colonialismo ha ritorni sempre più bassi[*] e l'occidente è sempre più reazionario, negare l'esistenza di modelli alternativi di sviluppo ma anzi proporre il nostro come necessariamente da esportare è una necessità.
Quindi da occidentale, per quanto da un punto di vista più privilegiato di molti occidentali, sono un po' restio a mettermi a criticare la Cina. Sono decenni che presagiamo il destino nefasto della Cina dietro l'angolo e sono decenni che facciamo figure di merda. Questo anche da parte di quella sinistra che ha insistito a portare il cilicio per 30 anni per scusarsi delle colpe dei regimi dell'Europa dell'Est.
E pure in Cina sono passati dal "hide your strength, bide your time" di dengiana memoria[**] a una politica più tronfia. E anche qui, se il cuore mi dice che non sia stata una buona idea, la ragione mi suggerisce che FORSE potevano avere i loro buoni motivi.
Se è vero che in occidente abbiamo una visione molto distorta della Cina, funzionale alla narrativa della nostra classe dirigente, di un paese uniforme, che manca di creatività, una popolazione succube che pagherebbe un prezzo altissimo per qualsiasi protesta, che non discute di politica, con delle FDO intransigenti e repressive... (e NON È VERO) comincio ad avere il sospetto che una parte della popolazione cinese, in particolare la middle class, si stia un po' troppo coccolando nei suoi rapidi e recenti successi e di certo non aiutata dalla critica esterna che si è sempre dimostrata non solo faziosa ma SBAJATA, stia accettando i problemi che la Cina ha (che appunto sono un po' cazzi loro e non nostri) come "transitori" ma senza un orizzonte o un piano di risoluzione.
E penso ai ganassa che mostrano il loro parco macchine di Lamborghini e Bentley, a certi valori "tradizionali" che sebbene non abbracciati dal governo finiscono per far parte di un certo orgoglio nazionale e fin troppo spesso si sovrappongono alla stessa merda che potete trovare su Fox news e si intrecciano appunto con quella retorica di "decadenza occidentale" che piace molto all'alt-right (citatissima da Joe Rogan a Tucker Carlson sui social cinesi).
E così come c'è molta differenza tra un'immagine per altro contraddittoria di una Cina capitalista quando si tratta di pubblicizzare che "there is no alternative" e il "capitalismo cinese" o tra la propaganda attiva di Putin verso i "valori tradizionali" e una fetta di opinione pubblica cinese affascinata dagli stessi messaggi dell'alt-right...
beh... sperare che sia la Cina che porterà il sol dell'avvenire in Italia è un'altra forma di rossobrunismo a danno nostro e pure dei cinesi che spesso si affianca al portare jella all'occidente tifando "tanto peggio, tanto meglio" e oggi abbiamo il 30%+ degli italiani che votano dei fascisti dichiarati e la metà dei giovani che non votano... a proposito di traiettorie americane e del farsi ammirare come modello di sviluppo.
Aiutiamoci a casa nostra è forse il miglior sistema per esportare pace e democrazia, mettendosi nelle condizioni di essere un modello e non una contraddizione.
[*] con ritorni più alti ci potrebbe essere un minimo di "trickle down economy" e sarebbe più facile convincere la gente della bontà del nostro sistema, ma oggi il divario tra ricchi e poveri aumenta a discapito dei poveri.
[**] i cinesi per altro sono stati sinceri ammiratori dell'America delle opportunità, un'America che non c'è più.
3 notes · View notes
rideretremando · 2 years ago
Text
Il discorso di Mattarella
___________________
"Se volete andare in pellegrinaggio, nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati, dovunque è morto un italiano, per riscattare la libertà e la dignità: andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione”.
È Piero Calamandrei che rivolge queste parole a un gruppo di giovani studenti, a Milano, nel 1955.
Ed è qui allora, a Cuneo, nella terra delle 34 Medaglie d’oro al Valor militare e dei 174 insigniti di Medaglia d’argento, delle 228 Medaglie di bronzo per la Resistenza.
La terra dei dodicimila partigiani, dei duemila caduti in combattimento e delle duemilaseicento vittime delle stragi nazifasciste.
È qui che la Repubblica oggi celebra le sue radici, celebra la Festa della Liberazione.
Su queste montagne, in queste valli, ricche di virtù di patriottismo sin dal Risorgimento.
In questa terra che espresse, con Luigi Einaudi, il primo Presidente dell’Italia rinnovata nella Repubblica.
Rivolgo un saluto a tutti i presenti, ai Vice Presidenti del Senato e della Camera, ai Ministri della Difesa, del Turismo e degli Affari regionali. Al Capo di Stato Maggiore della Difesa. Ai parlamentari presenti.
Saluto, e ringrazio per i loro interventi, il Presidente della Regione, la Sindaca di Cuneo, il Presidente della Provincia. Un saluto ai Sindaci presenti, pregandoli di trasmetterlo a tutti i loro concittadini. Un saluto e un ringraziamento al Presidente dell’Istituto Storico della Resistenza.
Stamane, con le altre autorità costituzionali, ho deposto all’Altare della Patria una corona in memoria di quanti hanno perso la vita per ridare indipendenza, unità nazionale, libertà, dignità, a un Paese dilaniato dalle guerre del fascismo, diviso e occupato dal regime sanguinario del nazismo, per ricostruire sulle macerie materiali e morali della dittatura una nuova comunità.
“La guerra continua” affermò, nella piazza di Cuneo che oggi reca il suo nome, Duccio Galimberti, il 26 luglio del 1943.
Una dichiarazione di senso ben diverso da quella del governo Badoglio.
Continua - proseguiva Galimberti - “fino alla cacciata dell’ultimo tedesco, fino alla scomparsa delle ultime vestigia del regime fascista, fino alla vittoria del popolo italiano che si ribella contro la tirannia mussoliniana…non possiamo accodarci ad una oligarchia che cerca, buttando a mare Mussolini, di salvare se stessa a spese degli italiani”.
Un giudizio netto e rigoroso. Uno discorso straordinario per lucidità e visione del momento. Che fa comprendere appieno valore e significato della Resistenza.
E fu coerente, salendo in montagna.
Assassinato l’anno seguente dai fascisti, è una delle prime Medaglie d’oro della nuova Italia; una medaglia assegnata alla memoria.
Il “motu proprio” del decreto luogotenenziale recita: “Arrestato, fieramente riaffermava la sua fede nella vittoria del popolo italiano contro la nefanda oppressione tedesca e fascista”; ed è datato, con grande significato, “Italia occupata, 2 dicembre 1944”.
Dopo l’8 settembre il tema fu quello della riconquista della Patria e della conferma dei valori della sua gente, dopo le ingannevoli parole d’ordine del fascismo: il mito del capo; un patriottismo contrapposto al patriottismo degli altri in spregio ai valori universali che animavano, invece, il Risorgimento dei moti europei dell’800; il mito della violenza e della guerra; il mito dell’Italia dominatrice e delle avventure imperiali nel Corno d’Africa e nei Balcani. Combattere non per difendere la propria gente ma per aggredire. Non per la causa della libertà ma per togliere libertà ad altri.
La Resistenza fu anzitutto rivolta morale di patrioti contro il fascismo per affermare il riscatto nazionale.
Un moto di popolo che coinvolse la vecchia generazione degli antifascisti.
Convocò i soldati mandati a combattere al fronte e che rifiutarono di porsi sotto il comando della potenza occupante tedesca, pagando questa scelta a caro prezzo, con l’internamento in Germania e oltre 50.000 morti nei lager.
Chiamò a raccolta i giovani della generazione del viaggio attraverso il fascismo, che ne scoprivano la natura e maturavano la scelta di opporvisi. La generazione, “sbagliata” perché tradita. Giovani ai quali Concetto Marchesi, rettore dell’Ateneo di Padova si rivolse per esortarli, dopo essere stati appunto “traditi”, a “rifare la storia dell’Italia e costituire il popolo italiano”.
Fu un moto che mobilitò gli operai delle fabbriche.
Coinvolse i contadini e i montanari che, per la loro solidarietà con i partigiani combattenti, subirono le più dure rappresaglie (nel Cuneese quasi 5.000 i patrioti e oltre 4.000 i benemeriti della Resistenza riconosciuti).
Quali colpe potevano avere le popolazioni civili?
Di voler difendere le proprie vite, i propri beni? Di essere solidali con i perseguitati?
Quali quelle dei soldati? Rifiutarsi di aggiungersi ai soldati nazisti per fare violenza alla propria gente?
L’elenco delle località colpite nel Cuneese compone una dolorosa litania e suona come preghiera.
Voglio ricordarle.
Furono decorate con Medaglie d’oro, d’argento o di bronzo, o con Croci di guerra: Cuneo, l’intera Provincia, Alba, Boves, Borgo San Dalmazzo, Dronero; Clavesana, Peveragno, Cherasco, Busca, Costigliole Saluzzo, Genòla, Trinità, Venasca, Ceva, Pamparato; Mondovì, Priola, Castellino Tanaro, Garessio, Roburent, Paesana, Narzòle, Rossana, Savigliano; Barge, San Damiano Macra, Villanova Mondovì.
Alla memoria delle vittime e alle sofferenze degli abitanti la Repubblica oggi si inchina.
Questo pomeriggio mi recherò a Boves, prima città martire della Resistenza, Medaglia d’oro al Valor militare e Medaglia d’oro al Valor Civile.
Lì si scatenò quella che fu la prima strage operata dai nazisti in Italia.
Una strage che colpì la popolazione inerme e coloro che avevano tentato di evitarla: Antonio Vassallo, don Giuseppe Bernardi, ai quali è stata tributata dalla Repubblica la Medaglia d’oro al Valor civile; don Mario Ghibaudo. I due sacerdoti, recentemente proclamati beati dalla Chiesa cattolica, testimoni di fede che non vollero abbandonare il popolo loro affidato, restarono accanto alla loro gente in pericolo.
E da Boves vengono segni di un futuro ricco di speranza: la Scuola di pace fortissimamente voluta dall’Amministrazione comunale quasi quarant’anni or sono e il gemellaggio con la cittadina bavarese di Schondorf am Ammersee, luogo dove giacciono i resti del comandante del battaglione SS responsabile della feroce strage del 19 settembre 1943.
A Borgo San Dalmazzo visiterò il Memoriale della Deportazione.
Borgo San Dalmazzo, dove il binario alla stazione ferroviaria è richiamo quotidiano alla tragedia della Shoah.
Cuneo, dopo Roma e Trieste, è la terza provincia italiana per numero di deportati nei campi di sterminio in ragione dell’origine ebraica.
Accanto agli ebrei cuneesi che non riuscirono a sfuggire alla cattura, la più parte di loro era di nazionalità polacca, francese, ungherese e tedesca. Si trattava di ebrei che, dopo l’8 settembre, avevano cercato rifugio dalla Francia in Italia ma dovettero fare i conti con la Repubblica di Salò.
Profughi alla ricerca di salvezza, della vita per sé e le proprie famiglie, in fuga dalla persecuzione, dalla guerra, consegnati alla morte per il servilismo della collaborazione assicurata ai nazisti.
Dura fu la lotta per garantire la sopravvivenza dell’Italia nella catastrofe cui l’aveva condotta il fascismo. Ci aiutarono soldati di altri Paesi, divenuti amici e solidi alleati: tanti di essi sono sepolti in Italia.
A questa lotta si aggiunse una consapevolezza: la crisi suprema del Paese esigeva un momento risolutivo, per una nuova idea di comunità, dopo il fallimento della precedente.
Si trattava di trasfondere nello Stato l’anima autentica della Nazione.
Di dare vita a una nuova Italia.
Impegno e promessa realizzate in questi 75 anni di Costituzione repubblicana. Una Repubblica fondata sulla Costituzione, figlia della lotta antifascista.
Le Costituzioni nascono in momenti straordinari della vita di una comunità, sulla base dei valori che questi momenti esprimono e che ne ispirano i principi.
Le “Repubbliche” partigiane, le zone libere, nelle loro determinazioni e nel loro operare furono anticipatrici della nostra Costituzione.
È dalla Resistenza che viene la spinta a compiere scelte definitive per la stabilità delle libertà del popolo italiano e del sistema democratico, rigettando le ambiguità che avevano consentito lo stravolgimento dello Statuto albertino operato con il fascismo.
Se il decreto luogotenenziale del 2 agosto 1943 - poco dopo la svolta del 25 luglio – prevedeva, non appena ve ne fossero le condizioni, l’elezione di una nuova Camera dei Deputati, per un ripristino delle istituzioni e della legalità statutaria, fu il decreto del 25 giugno 1944 – pochi giorni dopo la costituzione del primo Governo del CLN - a indicare che dopo la liberazione del territorio nazionale sarebbe stata eletta dal popolo, a suffragio universale, un’Assemblea costituente, con il compito di redigere la nuova Costituzione. Per questo quel decreto viene definito la prima “Costituzione provvisoria”.
Seguirà poi il referendum, il 2 giugno 1946, con la Costituente e la scelta per la Repubblica.
La rottura del patto tra Nazione e monarchia, corresponsabile, quest’ultima, di avere consegnato l’Italia al fascismo, sottolineava l’approdo a un ordinamento nuovo.
La Costituzione sarebbe stata la risposta alla crisi di civiltà prodotta dal nazifascismo, stabilendo il principio della prevalenza sullo Stato della persona e delle comunità, guardando alle autonomie locali e sociali dell’Italia come a un patrimonio prezioso da preservare e sviluppare.
Una risposta fondata sulla sconfitta dei totalitarismi europei di impronta fascista e nazista per riaffermare il principio della sovranità e della dignità di ogni essere umano, sulla pretesa di collettivizzazione in una massa forzata al servizio di uno Stato in cui l’uomo appare soltanto un ingranaggio.
Il frutto del 25 aprile è la Costituzione.
Il 25 aprile è la Festa della identità italiana, ritrovata e rifondata dopo il fascismo.
È nata così una democrazia forte e matura nelle sue istituzioni e nella sua società civile, che ha permesso agli italiani di raggiungere risultati prima inimmaginabili.
E qui a Cuneo, mentre la guerra infuriava, veniva sviluppata un’idea di Costituzione che guardava avanti.
Pionieri Duccio Galimberti e Antonino Rèpaci.
Guardava a come scongiurare per il futuro i conflitti che hanno opposto gli Stati europei gli uni agli altri, per dar vita, insieme, a una Costituzione per l’Europa e a una per l’Italia. Dall’ossessione del nemico alla ricerca dell’amico, della cooperazione.
La Costituzione confederale europea si accompagnava alla proposta di una “Costituzione interna”.
Obiettivo: “liberare l’Europa dall’incubo della guerra”.
Sentiamo riecheggiare in quello che appariva allora un sogno, il testo del preambolo del Trattato sull’Unione Europea: “promuovere pace, sicurezza, progresso in Europa e nel mondo”.
Un sogno che ha saputo realizzarsi per molti aspetti in questi settant’anni. Anche se ancora manca quello di una “Costituzione per l’Europa”, nonostante i tentativi lodevoli di conseguirla.
Chiediamoci dove e come saremmo se fascismo e nazismo fossero prevalsi allora!
Nel lavoro di Galimberti e Rèpaci troviamo temi, affermazioni, che sono oggi realtà della Carta costituzionale italiana, come all’art. 46: “le differenze di razza, di nazionalità e di religione non sono di ostacolo al godimento dei diritti pubblici e privati”.
Possiamo quindi dire, a buon titolo: Cuneo, città della Costituzione!
Galimberti era stato a Torino allievo di Francesco Ruffini, uno dei docenti universitari che, rifiutando il giuramento di fedeltà al fascismo, fu costretto ad abbandonare l’insegnamento.
Accanto a Galimberti e Rèpaci, altri si misurarono con la sfida di progettare il futuro.
Silvio Trentin, in esilio dal 1926, nel suo “Abbozzo di un piano tendente a delineare la figura costituzionale dell’Italia”, dettato al figlio Bruno nel 1944, era sostenitore, anch’egli, dell’anteriorità dei diritti della persona rispetto allo Stato.
E Mario Alberto Rollier, con il suo “Schema di costituzione dell’unione federale europea”. Testi, entrambi, di forte ispirazione federalista.
Si tratta, nei tre casi, di esponenti di quel Partito d’Azione di cui incisiva sarà l’influenza nel corso della Resistenza e dell’avvio della vita della Repubblica.
La crisi della monarchia e quella del fascismo apparivano ormai irreversibili, tanto da indurre un gruppo di intellettuali cattolici a riunirsi a Camaldoli, a pochi giorni dal 25 luglio 1943, con l’intento di riflettere sul futuro, dando vita a una Carta di principi, nota come “Codice di Camaldoli”, che lascerà il segno nella Costituzione. Con la proposta di uno Stato che facesse propria la causa della giustizia sociale come concreta espressione del bene comune, per rimuovere gli ostacoli al pieno sviluppo di ogni persona umana, per rendere sostanziale l’uguaglianza fra i cittadini.
Per tornare alla “Costituzione di Duccio”, apparivano allora utopie alcune sue previsioni come quella di una “unica moneta europea”. Oggi realtà.
O quella di “un unico esercito confederale”. E il tema della difesa comune è, oggi, al centro delle preoccupazioni dell’Unione Europea, in un continente ferito dall’aggressione della Federazione Russa all’Ucraina.
Sulla scia di quei “visionari” che, nel pieno della tragedia della guerra e tra le macerie, disegnavano la nuova Italia di diritti e di solidarietà, desidero sottolineare che onorano la Resistenza, e l’Italia che da essa è nata, quanti compiono il loro dovere favorendo la coesione sociale su cui si regge la nostra comunità nazionale.
Rendono onore alla Resistenza i medici e gli operatori sanitari che ogni giorno non si risparmiano per difendere la salute di tutti. Le rendono onore le donne e gli uomini che con il loro lavoro e il loro spirito di iniziativa rendono competitiva e solida l’economia italiana.
Le rendono onore quanti non si sottraggono a concorrere alle spese pubbliche secondo la propria capacità contributiva.
Il popolo del volontariato che spende parte del proprio tempo per aiutare chi ne ha bisogno.
I giovani che, nel rispetto degli altri, si impegnano per la difesa dell’ambiente.
Tutti coloro che adempiono, con coscienza, al proprio dovere pensando al futuro delle nuove generazioni rendono onore alla liberazione della Resistenza.
Signor Presidente della Regione, lei ha definito queste colline, queste montagne “geneticamente antifasciste”.
Sappiamo quanto dobbiamo al Piemonte, Regione decorata, a sua volta, con la Medaglia d’oro al merito civile
Ed è alle donne e agli uomini che hanno animato qui la battaglia per la conquista della libertà della Patria che rivolgo il mio pensiero rispettoso.
Nuto Revelli ha parlato della sua esperienza di comandante partigiano e della lotta svolta in montagna come di un vissuto di libertà: di un luogo dove era possibile assaporare il gusto della libertà prima che venisse restituita a tutto il popolo italiano.
Una terra allora non prospera, tanto da ispirargli i racconti del “mondo dei vinti”.
Una terra ricca però di valori morali.
Non c’è una famiglia che non abbia memoria di un bisnonno, di un nonno, di un congiunto, di un alpino caduto in Russia, nella sciagurata avventura voluta dal fascismo.
Non c’è famiglia che non ricordi il sacrificio della Divisione alpina “Cuneense” nella drammatica ritirata, con la Julia. Un altro esempio. Un altro monito alla dissennatezza della guerra.
Rendiamo onore alla memoria di quei caduti.
Grazie da tutta la Repubblica a Cuneo e al Cuneese, con le sue Medaglie al valore!
Come recita la lapide apposta al Municipio di questa città, nell’ottavo anniversario dell’uccisione di Galimberti, se mai avversari della libertà dovessero riaffacciarsi su queste strade troverebbero patrioti.
Come vi è scritto: “morti e vivi collo stesso impegno, popolo serrato intorno al monumento che si chiama ora e sempre Resistenza”.
Viva la Festa della Liberazione!
Viva l’Italia!
9 notes · View notes
multiverseofseries · 3 months ago
Text
Politicamente scorretto: su Netflix una satira innocua
Tumblr media
Protagonisti di Politicamente scorretto sono due giovani, appartenenti a partiti rivali, che si innamorano durante una situazione imprevista ma devono fare i conti con gli interessi delle rispettivi fazioni.
Laura Vázquez, figlia di un ex leader politico, è una ragazza che sogna di diventare una figura importante nella Nueva Izquierda, un partito di sinistra guidato da Alfonso Bravo, che ambisce a vincere le prossime elezioni. Dall'altra parte, Pablo Merino è un giovane conservatore che condivide i medesimi obiettivi di Laura ma per i rivali di España Liberal, un partito di destra amministrato da Victoria Silvela, già al governo e che aspira a ottenere un secondo mandato. Le due fazioni avverse si ritrovano per l'inaugurazione di una diga nei pressi di una foresta quando Laura e Alfonso finiscono per ritrovarsi da soli, dopo che tutti hanno già lasciato il posto.
Tumblr media
Adriana Torrebejano è la protagonista del film Netflix
In Politicamente scorretto i due accettano allora un passaggio su uno scassato elicottero, salvo cadere poi nell'attiguo fiume durante il viaggio di ritorno in città. Sperduti in mezzo alla natura, tra loro nasce una focosa passione, ma quando vengono ritrovati e fanno ritorno alle loro vite diventano paradossalmente i candidati simbolo dei rispettivi partiti: una situazione che complica e non poco la loro nascente love-story.
Politicamente scorretto solo di nome
Tumblr media
Politicamente scorretto: una sequenza del film
"Ma cos'è la destra cos'è la sinistra" cantava Giorgio Gaber e in questa improbabile farsa i confini diventano sempre più labili, parodiando più o meno volutamente gli accordi e i magheggi politici ai quali assistiamo quotidianamente in ogni angolo del mondo. Politicamente scorretto d'altronde è un titolo che si pone già come dichiarazione di intenti e ci riconsegna un malcostume universale che spesso si aggira tra le stanze del potere. Inutile dire che le potenzialità, sulla carta pur presenti, vengono meno per via di una sceneggiatura e di una relativa messa in scena che butta tutto in caciara, senza premunirsi di costruire un intreccio credibile: tutto ruota intorno alla storia d'amore tra due figure antitetiche, ma il contorno è troppo grossolano per dare vita ad un background almeno decente.
Tutto già visto
Tumblr media
I due improbabili innamorati in Politicamente scorretto
Ecco così che le battute si affidano ad una ciclica reiterazione di stereotipi e luoghi comuni su cosa voglia dire essere comunisti o fascisti, senza quelle vie di mezzo che ormai caratterizzano il cuore della politica contemporanea. I due malcapitati innamorati cercano di consumare in più occasioni quella passione che li consuma, tra nottate nel bosco e serate negli studi televisivi, ma finiscono sempre per andare incontro a qualche imprevisto che rischia inoltre di compromettere le rispettive candidature. Il fatto di cronaca che li ha visti protagonisti infatti li ha trasformati in una sorta di simboli con i quali i leader dei due schieramenti sperano di poter fare colpo sull'elettorato, incuranti delle effettive qualità nell'oratoria dei due. Scelte improvvisate che daranno il via ad equivoci e paradossi, purtroppo assoggettati a una vis comica che non trova mai la necessaria ispirazione per regalare qualcosa di più che qualche risata sguaiata.
Le vie della politica
Tumblr media
Un'immagine del cast di Politicamente scorretto
Un peccato giacché soprattutto la protagonista femminile, Adriana Torrebejano, è spigliata e molto più in palla del suo personaggio, in una sorta di rapporto opprimente tra l'attrice e la figura che questa interpreta, quasi che l'energia dell'interprete sia trattenuta dai vincoli di una sceneggiatura che vuole giocare facile, senza premunirsi di dar vita a un racconto credibile. L'ora e mezzo di visione di Politicamente scorretto si limita al riciclo di una serie di cliché, figli dell'era meme di internet, mettendo totalmente in secondo piano gli ipotetici spunti di riflessione che erano pur nascosti nei meandri dello script. E manca soprattutto la cattiveria, frutto della paura di poter scontentare qualcuno nel dileggiare i lati negativi di chi è al comando.
Conclusioni
Un'attivista di estrema sinistra e un suo omologo di destra si ritrovano da soli in un bosco dopo un condiviso evento politico e si innamorano, salvo ritrovarsi come acerrimi rivali quando i rispettivi partiti decidono di farne simboli dell'imminente campagna elettorale. Politicamente scorretto è una commedia satirica che non punge mai, fin troppo corretta a dispetto del titolo, che mette al centro del racconto una paradossale - ma non del tutto assurda - storia d'amore tra due opposti che si attraggono. Le gag e la battute sono schiave di stereotipi e incapaci di colpire nel segno, trasformando l'ora e mezzo in una farsa gratuita e facilmente dimenticabile.
👍🏻
Adriana Torrebejano cerca di dare energia al suo personaggio.
👎🏻
L'anima satirica è innocua.
La storia abbonda di luoghi comuni e cliché.
Si ride poco.
0 notes
alephsblog · 7 months ago
Text
Molti si sono chiesti chi sono i cattivi maestri dei giovani filonazi-fascisti e antisemiti “immortalati” dall’inchiesta di Fanpage. Precisato che gli antisemiti non mancano anche tra i ragazzi che indossano la kefiah ad mentulam canis, non so (ma ne dubito) se i ragazzi di Gioventù nazionale vengano indottrinati con i testi di Carlo Mattogno, forse il principale esponente del negazionismo della Shoah in Italia. In ogni caso, resta il fatto che le sue teorie in questi mesi sono tornate di moda. Esse si propongono di liberare la storia dalla “menzogna di Auschwitz”. Definiscono l’Olocausto come un mito, ovvero una deliberata mistificazione della realtà a beneficio degli stessi ebrei, coalizzati in una vera e propria internazionale sionista che manipolerebbe la memoria del passato per garantirsi un potere egemonico sul mondo intero.
Sono farneticazioni che trovano ascolto in ambienti giovanili sedotti, purtroppo, non solo dalla propaganda delle destre più eversive. Cosa hanno fatto e cosa fanno le istituzioni scolastiche per contrastare questa deriva ideologica? Non molto, a mio avviso, anche perché a loro volta sono piene di docenti “revisionisti”. Chi spiega allora ai nostri studenti che persecuzione e sterminio degli ebrei sono stati accertati attraverso la valutazione scientifica di prove inconfutabili di fatti realmente accaduti? Il genocidio nazista conquistò la scena giudiziaria non al processo di Norimberga (1945-1946), ma soltanto nel 1961 a Gerusalemme, quando salì sul banco degli imputati Adolf Eichmann. Allora nacque una nuova consapevolezza della portata della catastrofe, segnando in maniera indelebile la cultura del secondo Novecento. Il merito fu anche del saggio di Hannah Arendt “La banalità del male” (1963).
Della Shoah, poi, crediamo di conoscere tutto. Non è così. Soltanto nel 1992 è stato pubblicato un testo che dovrebbe essere letto e illustrato in tutte le scuole e le università italiane (ministro Valditara e ministra Bernini, ci pensino). tratta del verbale della conferenza berlinese di Wannsee, organizzata il 20 gennaio 1942 dal capo della Direzione generale per la sicurezza del Reich, Reinhard Heydrich. Con il verbale (redatto da Adolf Eichmann) e con il testo dell’autorizzazione per preparare una “soluzione globale della questione ebraica” (siglata, il 31 luglio 1941, da Hermann Göring e indirizzata allo stesso Heydrich), sono state acquisite le prove definitive del genocidio progettato dai nazisti.
1 note · View note
iltuoanon2016 · 1 year ago
Text
Primo lunedì di agosto '23
Già autunnale il tempo? Non lo so ma ora sembra così... Forse è anche questa stagione italiana, fatta di post-fascisti al potere, di inconcludenti Capitani Verdi e di forzitalici senza più un padrone, a dare un tono autunnale ai miei pensieri.
I ricchi sempre più ricchi e i poveri senza più speranza (né reddito di cittadinanza). Sempre più ricattabili i lavoratori sempre meno tutelate le minoranze: ancora più, schiavi gli sfruttati di ieri; ancor più relegati nell'ombra coloro che sono uomini come me, ma disprezzati per il dio minore che sembra averli partoriti.
La domanda è: quando arriverà veramente l'autunno di questo paese, che cosa saremo costretti a vedere?
Forse il cammino tra i monti ci chiamerà "all'armi", come quegli eroici giovani vecchi, di quasi 80 anni fa...
3 notes · View notes
cinquecolonnemagazine · 9 months ago
Text
Fumetti fascisti: Il Balilla
I Fumetti fascisti ebbero una grande fortuna durante il regime. Amati dai più piccoli, erano uno strumento di propaganda privilegiato. Tra questi, uno dei più famosi fu "Il Balilla" che fu pubblicato per tutto il ventennio. Fumetti fascisti come strumento di propaganda del regime Come diffusamente ci riportano i libri di storia, la propaganda fu l'anima del regime fascista. I vertici del regime sapevano che era assolutamente necessario far percepire alla popolazione che quanto stabilito e ordinato dal Duce Benito Mussolini fosse giusto. Questa necessità era espressa in ogni momento e attraverso qualunque strumento. La propaganda era diretta a tutti, uomini, donne, adulti, bambini con messaggi personalizzati. Da ex maestro elementare, Benito Mussolini sapeva quanto potesse essere utile alla causa educare i più piccoli per ritrovarsi adulti già inquadrati. Così decise di arrivare a questa tenera età, oltre che con lo sport, anche con un'altra attività molto amata: la lettura dei fumetti. Il fumetto tra i più famosi del periodo fu senza ombra di dubbio "Il Balilla" Il Balilla Nato come "Giornale dei Balilla", iniziò le sue pubblicazioni il 18 febbraio 1923 come organo ufficiale dei gruppi Balilla. Il direttore responsabile era Defendente De Amici che si avvalse della collaborazione di Filiberto Scarpelli e Filiberto Mateldi. L'editore fu la Casa Editrice Imperia di Milano. A partire dal giugno 1925, il periodico uscì come supplemento del quotidiano Il Popolo d'Italia, organo del Partito nazionale fascista. Dal 5 giugno 1931, invece, divenne organo dell'Opera Nazionale Balilla. Il periodico era dedicato ai bambini mentre per le bambine fu pubblicata la rivista "La Piccola Italiana". La rivista cambiò impostazione grafica diverse volte e poté contare sulla collaborazione di nomi quali: Antonio Rubino, Attilio Mussino, Edina Altara, Piero Bernardini, Enrico Novelli alias Yambo, Guido Moroni Celsi e Giovanni Manca. Adelmo e Trippardello furono alcuni dei personaggi che trovarono posto sulle pagine della rivista insieme a Tiradritto e Gambalesta. Immancabili i bravi Balilla sempre pronti a riportare l'ordine dopo il caos, ad allontanare da Pinocchio, a suon di bastonate, il gatto e la volpe per poi far indossare anche al burattino l'uniforme e trasformarlo in un fascista perfetto. Durante la guerra, De Seta disegnò diverse filastrocche con caricature del presidente americano Franklin Delano Roosevelt, detto "Rusveltaccio", del re Giorgio VI d'Inghilterra, ribattezzato "Giorgetto" e del suo primo ministro Winston Churchill, detto "Ciurcillone". La rivista uscì tutte le settimane dal 1923 al 1943 con oltre mille numeri. L'opera nazionale Balilla L'Opera Nazionale Balilla (ONB) era un'organizzazione giovanile istituita durante il regime fascista in Italia. Fondata nel 1926, l'ONB prendeva il nome da Balilla, un ragazzo genovese leggendario per aver scagliato una pietra contro le truppe austriache nel 1746 durante l'assedio di Genova. L'ONB era concepita come un'organizzazione paramilitare per ragazzi e ragazze di età compresa tra gli 8 e i 18 anni, con lo scopo di addestrarli fisicamente e mentalmente secondo i principi fascisti. I giovani membri dell'ONB venivano sottoposti a un rigido addestramento militare, che includeva esercizi di marcia, ginnastica, tiro al bersaglio e altre attività simili. Oltre all'addestramento militare, l'ONB promuoveva anche l'ideologia fascista tra i giovani, insegnando loro valori come disciplina, obbedienza, lealtà al regime e senso di appartenenza alla comunità nazionale italiana. La propaganda fascista veniva diffusa attraverso le attività dell'ONB, che includevano adunanze, discorsi politici, eventi culturali e attività ricreative. L'ONB era strettamente controllata dal Partito Nazionale Fascista (PNF) e svolgeva un ruolo importante nel controllo sociale e nell'indottrinamento dei giovani italiani secondo l'ideologia fascista. Dopo la caduta del regime fascista alla fine della Seconda Guerra Mondiale, nel 1945, l'Opera Nazionale Balilla fu sciolta e dichiarata fuorilegge, insieme al Partito Fascista e alle sue organizzazioni affiliate. In copertina foto di tunechick83 da Pixabay Read the full article
0 notes
kiki-de-la-petite-flaque · 11 months ago
Text
Lavoro tutto il giorno come un monaco e la notte in giro, come un gattaccio in cerca d’amore... Farò proposta alla Curia d’esser fatto santo. Rispondo infatti alla mistificazione con la mitezza. Guardo con l’occhio d’un’immagine gli addetti al linciaggio. Osservo me stesso massacrato col sereno coraggio d’uno scenziato. Sembro provare odio, e invece scrivo dei versi pieni di puntuale amore. Studio la perfidia come un fenomeno fatale, quasi non ne fossi oggetto. Ho pietà per i giovani fascisti, e ai vecchi, che considero forme del più orribile male, oppongo solo la violenza della ragione. Passivo come un uccello che vede tutto, volando, e si porta in cuore nel volo in cielo la coscienza che non perdona.
Pier Paolo Pasolini, Poesia in forma di rosa, Garzanti, 1964
1 note · View note
ginogirolimoni · 1 year ago
Text
Tumblr media Tumblr media
Correva l’anno 2007, correva in tutti i sensi e a sirene spiegate, sono passati pochi anni da allora, ma sono accadute molte cose che i più giovani magari non ricorderanno, eravamo meno fascisti di adesso, nel 1995 c’era stata la Svolta di Fiuggi, in cui il fascismo con tutta quell’acqua diuretica era scivolato giù per lo sciacquone ma molti hanno galleggiato fino adesso.
Nel 2003 Gianfranco Fini si recò in Israele e li addossato al Muro del Pianto con tanto di kippah sulla testa denunciò gli errori del fascismo e definì le Leggi Razziali (le leggi non il fascismo come riporta ancora qualcuno) il “male assoluto”.
La sinistra non era più comunista e non era più neanche sinistra allora come ora, solo che ora almeno lo sappiamo, per sentire qualcosa di sinistra dovevi fare una seduta spiritica: “Spirito di Enrico Berlinguer, se ci sei batti un colpo!”.
Adesso il povero Enrico è li che si rotola nella tomba, da qui le scosse di terremoto in centro Italia, visto che è sepolto nel Cimitero di Prima Porta; che colpo volete che batta se adesso al posto del suo PCI trova il PD, se scorge che gli ultimi segretari sono la Schlein, Letta, Zingaretti, Martina e Renzi? Ecco, su Renzi e sulla figlia su Rete 4 stanno già evacuando i Campi Flegrei.
Il 9 giugno 2007, dicevo, Gustavo Selva, senatore della Repubblica, tessera P2 n° 1814, eletto sulle liste di AN, il partito della Meloni prima della Meloni, quando lei era solo il ministro della Giovinezza, pur di non arrivare in ritardo ad un dibattito televisivo a cui era invitato, finge di avere un malore e si fa trasportare dall’ambulanza del 118 all’indirizzo dello studio televisivo dicendo che si tratta del suo medico di fiducia.
Giunto sul posto si strappa di dosso tutte le apparecchiature di monitoraggio e cura e corre frettolosamente verso lo studio in cui era atteso, seguito dagli infermieri dell’ambulanza, che sembrava quasi una barzelletta sui manicomi in cui il pazzo più furioso riesce a fuggire.
Nonostante le picconate berlusconiane alla Giustizia, quei pochi lacerti che ne erano rimasti riescono a condannare in tempi brevi (6 marzo 2008, col rito abbreviato), il suddetto senatore per truffa ai danni dello Stato, aggravata dall’abuso di potere e dall’interruzione di pubblico ufficio.
Capi d’imputazione che mettono paura, ti chiedi: “Che ne sarà stato del senatore Selva? L’hanno dato in pasto ai coccodrilli del Nilo. Ha trascorso il resto dei suoi giorni nelle celle segrete dell’Inquisizione? Niente di tutto questo, si è beccato 6 mesi di reclusione ed è stato costretto a pagare 200 euro di multa che manco la benzina.
Ogni parallelismo col Freccia Rossa di Gino Lollobrigida, ministro dell’Agricoltura, del Cognatismo e del Demerito, lascia il tempo che trova, perché oggi ai fascisti d’antan si sono aggiunti gli indiani.
Gianfranco Fini in un’intervista a Repubblica del 9 ottobre 2004 disse: “Non avevo precise opinioni politiche. Mi piaceva John Wayne, tutto qui. Arrivato al cinema, beccai spintoni, sputi, calci, strilli perché gli estremisti rossi non volevano farci entrare. E così per reagire a tanta arroganza andai a curiosare nella sede cittadina della Giovane Italia”.
E dove c’è John Wayne ci sono gli indiani e i camerati del 7° cavalleggeri, senza contare poi i vari Geronimo Antonino, Leonardo Apache e Lorenzo Cochise, è normale poi che i fasci siano in qualche modo conquistati più dal Freccia Rossa che dall’Auto Blu.
E vogliamo parlare, poi, di quest’ossessione che colpisce la destra? No, non mi riferisco al nepotismo, all’idea di infilare parenti e amici ovunque se detieni il minimo potere per poterlo fare. Mi riferisco, invece a quella per i treni, i mezzi di trasporto in generale e l’assillo di arrivare in orario.
Infatti, sia Selva allora che Lollobrigida ora sembra dovessero recarsi in uno studio televisivo (Lollo aveva concordato la registrazione della puntata del programma della De Girolamo, pensate quant’è incazzata adesso Nunzia, che ha registrato tutta una puntata col ministro dell’Agricoltura senza sapere che poco prima aveva fermato un treno così come Mosè arrestò la corrente del Mar Rosso per far passare indenne il popolo di Israele).
Come minimo scambieranno questa assenza di domande scomode al ministro come solidarietà cameratesca e la De Girolamo potrebbe essere candidata da FdI alle prossime elezioni europee; e se questo non dovesse accadere, pazienza, vivrà comunque di Pane, amore e fantasia.
Oggi il ministro, se dovesse andare sotto processo, non sarà condannato al carcere, sebbene i poveri carcerati mangino meglio dei ricchi pariolini, né sarà costretto a pagare la multa per i trasgressori che senza alcun grave motivo valido tirano il freno di emergenza, al massimo se ritenuto colpevole di qualcosa, potrà chiedere anche lui di essere affidato, come il suo ex compagno di partito Gianni Alemanno ai servizi sociali, scontando la pena presso la struttura SoSpe-Solidarietà di Suor Paola.
0 notes
carmenvicinanza · 2 years ago
Text
Renata Viganò
https://www.unadonnalgiorno.it/renata-vigano/
Tumblr media
Renata Viganò scrittrice, poeta e partigiana italiana, passata alla storia per il libro L’Agnese va a morire, romanzo neorealistico tra i più intensi della narrativa ispirata alla Resistenza.
Il suo è uno stile antiletterario, dalla cifra antieroica, mai retorico, asciutto ed efficace che ritrova il paesaggio e l’azione umana segnata dalla violenza della guerra come una lingua nuova.
Nata a Bologna il 17 giugno 1900, sin da piccola, amava scrivere e sognava di studiare medicina.
A tredici anni ha pubblicato la sua prima raccolta di poesie, Ginestra in fiore, seguita da Piccola Fiamma, del 1916.
Durante l’adolescenza, però, ha dovuto ben presto fare i conti con la realtà, la sua famiglia era andata in rovina, costringendola a crescere all’improvviso. Interrotto il liceo ha cominciato a lavorare come inserviente e poi infermiera.
L’incontro col marito, Antonio Meluschi, poeta e partigiano, ha avuto una grande importante sulla sua maturazione politica.
Impegnata concretamente al servizio delle persone bisognose, ha continuato a scrivere poesie e racconti e per quotidiani e periodici, fino all’8 settembre 1943 quando, con la firma dell’armistizio, la sua vita ha avuto una svolta esistenziale: assieme al marito ha partecipato alla lotta partigiana col nome di Contessa, prima in Romagna e poi nelle valli di Comacchio, tenendo con sé il figlio Agostino, di soli sette anni. Faceva la staffetta, curava le persone ferite e collaborava con la stampa clandestina, a quel periodo risalgono gli scritti Le donne e i tedeschi, Le donne e i fascisti, Le donne e i partigiani, pubblicati su La Comune nel 1944.
Di questo periodo disagiato, ma intriso di sano idealismo esistenziale, è stata pervasa la sua successiva produzione letteraria.
L’Agnese va a morire, del 1949, tradotto in quattordici lingue che ha vinto il Premio Viareggio, ha rappresentato il punto più alto della sua opera, nel 1976 ne è stato tratto l’omonimo film diretto da Giuliano Montaldo.
Il romanzo racconta vicende partigiane con onesta semplicità da cronista e spirito di sincera adesione agli eventi.
La protagonista è una donna che aderisce alla causa antifascista dopo l’uccisione della sua gatta da parte dei nazisti, l’animale rappresentava il legame con il marito ucciso dai tedeschi. Dopo quel brutto episodio, si unisce ai partigiani e diventa il simbolo di un mondo umile offeso, che reagisce alla violenza come può, con una forza interiore che è qualcosa di ancor più primordiale di una coscienza politica. Tra i partigiani si muove per un istinto naturale, umano, di giustizia, come una necessità, senza costruzioni ideologiche o intellettuali. Il personaggio, molto simile alla scrittrice, era in realtà la memoria di una vera partigiana conosciuta durante la Resistenza.
La condizione delle donne ha permeato tutta la sua opera.
Nel 1952 ha pubblicato Mondine, la sintesi di un’inchiesta svolta durante la campagna di monda in Lomellina.
Nel 1955 ha visto la luce Donne della Resistenza, ventotto ritratti di antifasciste bolognesi cadute per salvare il nostro paese.
Ha collaborato con il Pioniere tra il 1960 e il 1962 pubblicando i racconti La Bambola brutta, La bambina negra e La Fuga.
Del 1962 è il romanzo, Una storia di ragazze, che narra le vicende dolorose di giovani di diversa provenienza sociale, tutte sottomesse al mondo maschile.
Il suo ultimo lavoro è stato Matrimonio in brigata del 1976, una raccolta di racconti partigiani.
Due mesi prima della morte, avvenuta a Bologna il  23 aprile 1976, le è stato assegnato il premio giornalistico Bolognese del mese, per il suo stretto rapporto con la realtà popolare della città.
1 note · View note