#agricoltura consapevole
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L’AGRICOLTURA BIO-ILLOGICA FA DIVENTARE GREN (DI BILE)!
Una delle follie green mira a ridurre le coltivazioni con una motivazione che esprime tutta l’inflessibilità dell’utopia green a discapito del buon senso e della realtà: “fermiamo i trattori nelle campagne”! Non per dare più produttività ai terreni come sospensione annuale nell’ambito di un ciclo di rotazioni pluriennali, ma permanentemente (venti anni di sospensione!), per contenere le emissioni di CO2 prodotte dalle lavorazioni agricole. Come? Beh, gli “esperti” della transizione green hanno le idee chiare: l’Europa può pagare gli agricoltori per smettere di coltivare i campi e consentire alle multinazionali green di “seminare” campi di moduli FV (fotovoltaici) o torri eoliche!. O forse anche in allevamenti di grilli. E convertire le stalle per vitelli in stalle sintetiche, cioè laboratori asettici dove si possono clonare e assemblare tessuti animali destinati alle catene McDonald’s.
Vogliono che, oltre a rispettare misure sempre più asfissianti per contenere le insostenibili emissioni ad effetto serra, si utilizzino solo vetture elettriche, ma spostandoci a 30 km/h, che non mangi più carne e non si coltivi troppo la terra, ma inviano centinaia di miliardi (di € o $ fa poca differenza) a un comico per sostenere la guerra in Ucraina e, forse, per scatenarla anche in altri Stati, come se le emissioni dei missili, delle bombe, degli esplosivi, delle forniture belliche (o anche solo delle esercitazioni militari della Nato o dei loro caccia che sempre più solcano i cieli, anche in territori non belligeranti) siano salutari per l’ambiente.
Pensate che sia più pericoloso un innalzamento della temperatura del nostro Pianeta di 1,5 °C nel 2050 o una guerra mondiale nucleare?
In un articolo di una decina di anni fa de Il Sole 24 Ore intitolato (vado a memoria) “Mercanteggiando alla Borsa del clima” si illustrava un meccanismo finanziario di “riciclaggio” della CO2 “sporca”, analogo a quello mafioso del denaro “sporco”, cioè una tecnica subdola che consente di ripulire un’immagine aziendale davanti agli eco-burocrati o agli eco-attivisti emettendo ancora più gas ad effetto serra) tramite l’acquisto sul mercato di crediti di carbonio (i certificati verdi) da aziende considerate virtuose. In sostanza, ci sono aziende che sforano i tetti imposti dalle leggi per le emissioni di CO2 e, per continuare ad operare inquinando più di prima. Oltretutto le certificazioni sono controllate da enti privati e gestite a vantaggio di multinazionali, oligarchi e speculatori di ogni risma. Per esempio, l’azienda Tesla, che produce veicoli elettrici ed è considerata modello da seguire in tema di sostenibilità industriale, viene ricompensata con crediti green di valore spropositato, che vengono poi messi all’asta, magari per sostenere l’avvio di centrali alimentate con carburanti fossili (https://www.motorisumotori.it/tesla-ha-guadagnato-oltre-9-miliardi-di-dollari-dalla-vendita-di-crediti-green-alle-rivali/140678).
In questo squallido ed opaco mercato, chi è amico dei potenti che lo gestiscono può ammantarsi della patente di rispettoso dell’ambiente pur permettendosi iniziative ciniche e sfrontate, che di verde hanno ben poco come lo sfratto degli indigeni dalla foresta keniota venduta (Eh, si: leggere per credere!), dove emerge che la presunta tutela dell’ambiente non è a vantaggio delle persone o delle generazioni presenti o future, ma è finalizzata a beneficio… dell’ambiente. Eh, sì: leggere l’articolo per credere! Riassumendo l’articolo, abbiamo due multinazionali che, per rifarsi una verginità eco-green-sostenibile (o, in altri termini, per agevolare una transizione da nero a verde, perché loro si percepiscono così), ‘pretendono di sviluppare progetti green sottraendo la terra a chi ci vive da sempre’. Cioè, vogliono riqualificare quel territorio africano con una riforestazione che spazzi via non solo le capanne ma anche un intero popolo, sfrattato perché è di troppo. Gli alberi acchiappa-carbonio vengono prima delle persone. Eppure quelle persone, che hanno a cuore le loro terre ben più che i filantropi occidentali, come rileva l’articolo ‘non tagliano gli alberi ma li salvaguardano con saggezza e amore’ mantenendo inalterato l’ecosistema come è sempre stato da secoli e secoli.
Tutte queste situazioni traggono origine da una scellerata e indimostrata teoria che ossessivamente batte lo stesso tasto arrivando sempre alle stesse conclusioni: troppe variazioni climatiche (come se il tempo dovesse obbedire alle nostre necessità o non fosse mai cambiato bruscamente in passato), troppa CO2 e, infine, tutta colpa di troppe persone che la producono. La fissazione di chi ci manovra sta proprio qui: il problema non è l’eccesso di anidride carbonica, ma l’eccesso di persone. E l’eugenetica, la limitazione dell’uomo (neo-malthusianesimo) o il superamento dei suoi limiti (transumanesimo) sono le soluzioni.
Sempre più persone sono consapevoli della disumanità di certa ideologia green e sanno che la verità è ben altra. Ma non basta sapere: occorre soprattutto far sapere.
Se la propaganda di oggi insiste nel seguire gli insegnamenti di Goebbels per addomesticare l’opinione pubblica, anche chi si oppone, pur svantaggiato nella cassa di risonanza, può utilizzare la stessa strategia. Prendi una verità, una di quelle soffocate, censurate ovvero spacciate come menzogna. Ripetila cento, mille, centomila volte: diventerà una falsa menzogna. Cioè ridiventerà una verità, ripulita da ogni mistificazione.
Ma chi sta dalla parte della verità ha un grande vantaggio. La verità prima o poi si afferma. La menzogna è buio che cerca di coprire la luce. Ma la luce è più forte: bastano pochi raggi a sconfiggere la marea di buio che avvolge una stanza. La menzogna non può chiudere tutti i varchi dai quali può penetrare la verità.
Professor Domenico Salimbeni.
E poi, come dice Simenon nel romanzo “Maigret ha un dubbio” la verità è come il profumo del mare: lo si respira ancor prima di vederlo.
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Agricoltura: gli effetti di umati e idrolizzati
Gli umati e gli idrolizzati sono sostanze organiche che possono contribuire all'equilibrato accrescimento delle colture agricole. Queste sostanze sono ricche di sostanze nutritive essenziali per le piante, come azoto, fosforo, potassio, e micronutrienti come zinco, manganese, ferro, boro, rame e molibdeno.
L'utilizzo di umati e idrolizzati nelle colture agricole può migliorare la crescita delle piante, aumentare la produzione di frutti o verdure, migliorare la qualità del suolo e contribuire alla sostenibilità dell'agricoltura. Inoltre, si comporta come fosse un ammendante agricolo per suoli queste sostanze possono aiutare le piante ad aumentare la resistenza alle malattie e agli agenti patogeni, migliorare l'assorbimento di acqua e nutrienti e ridurre lo stress ambientale.
Tuttavia, è importante utilizzare gli umati e gli idrolizzati in modo corretto e secondo le dosi consigliate, per evitare eventuali effetti negativi sulle piante e sull'ambiente. Inoltre, è importante tenere conto delle specifiche esigenze delle diverse colture e adattare l'utilizzo di biochar per agricoltura a queste sostanze in base alle condizioni del terreno e alle necessità delle piante.
In conclusione, gli umati e gli idrolizzati possono svolgere un ruolo importante nell'equilibrato accrescimento delle colture agricole, contribuendo a migliorare la produttività e la sostenibilità dell'agricoltura. Tuttavia, è fondamentale utilizzarli in modo corretto e consapevole, tenendo conto delle specifiche esigenze delle diverse colture e delle condizioni ambientali. Trova il negozio biochar più interessante del web con prezzi contenuti.
Gli idrolizzati sono sostanze ottenute dalla rottura delle molecole di proteine attraverso il processo di idrolisi. Questo ammendante per agricoltura biologica processo consiste nel rompere i legami peptidici tra gli amminoacidi che compongono le proteine, tramite l'aggiunta di acqua e di enzimi idrolitici.
Gli idrolizzati vengono utilizzati in agricoltura per diversi scopi, tra cui:
Fornire nutrienti alle piante: gli idrolizzati contengono amminiacidi facilmente assimilabili dalle piante, che possono utilizzare direttamente per la loro crescita e sviluppo.
Migliorare la fertilità del suolo: gli idrolizzati possono favorire l'attività biologica nel suolo, stimolando la crescita dei microrganismi benefici e migliorando la struttura del terreno.
Migliorare la resistenza delle piante allo stress: gli amminiacidi presenti negli idrolizzati possono aiutare le piante a superare situazioni di stress abiotico, come siccità, eccesso di sali nel terreno o esposizione a agenti patogeni.
Ridurre l'uso di fertilizzanti chimici: l'utilizzo di idrolizzati può ridurre la necessità di utilizzare fertilizzanti chimici, contribuendo alla sostenibilità dell'agricoltura e alla riduzione dell'impatto ambientale.
In sintesi, gli idrolizzati si usano in agricoltura per favorire la crescita e lo sviluppo delle piante, migliorare la fertilità del suolo e ridurre l'uso di fertilizzanti chimici, contribuendo a una produzione agricola più sostenibile e rispettosa dell'ambiente.
Gli umati sono concimi organici di origine animale, ottenuti dalla decomposizione biologica di scarti alimentari, letame, lettiere, ossa e altri materiali biodegradabili. Si utilizzano in agricoltura per biochar vendita e produzione apportare nutrienti al terreno e migliorarne la fertilità, permettendo alle piante di crescere in modo sano e vigoroso.
Gli umati contengono una grande varietà di sostanze nutritive come azoto, fosforo, potassio, calcio, magnesio, zolfo, oltre a micronutrienti come ferro, rame, zinco e manganese, che sono essenziali per la crescita delle piante. Inoltre, favoriscono la biodiversità del suolo, stimolando l'attività dei microrganismi che contribuiscono alla mineralizzazione degli elementi nutritivi.
Vedi anche: conoscere e prevenire la muffa grigia
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Acqua: -18% nel 2023, l'allarme siccità diventa ancora più preoccupante
L'Italia si trova ad affrontare una situazione di grave carenza idrica. I dati del 2023, diffusi da ISPRA in occasione della Giornata Mondiale dell'Acqua, non lasciano spazio a dubbi: la disponibilità di acqua è diminuita del 18% rispetto alla media annua del periodo 1951-2023. Allarme siccità, un trend preoccupante Già nel 2022 la siccità aveva colpito duramente il nostro paese, ma il 2023 ha portato ad un ulteriore calo delle risorse idriche. Le cause sono molteplici: - Scarsa piovosità: il deficit di precipitazioni, in particolare nei mesi di febbraio, marzo, settembre e dicembre, ha contribuito a ridurre significativamente la ricarica degli acquiferi. - Aumento dell'evaporazione: le temperature elevate e il vento hanno intensificato l'evaporazione dell'acqua dai suoli e dagli specchi d'acqua. - Cambiamenti climatici: il riscaldamento globale sta alterando i regimi pluviometrici e favorendo periodi di siccità più frequenti e intensi. Le conseguenze della carenza idrica sono pesanti e si fanno sentire su diversi fronti: - Agricoltura: la siccità mette a rischio le coltivazioni e la produzione di cibo. - Industria: molte aziende sono costrette a ridurre la produzione o addirittura a fermarsi per mancanza di acqua. - Uso domestico: l'acqua potabile diventa un bene sempre più prezioso e le autorità sono costrette a introdurre misure di razionamento. Cosa fare per affrontare l'emergenza siccità? - Interventi strutturali: realizzare nuovi invasi e sistemi di irrigazione più efficienti. - Campagne di sensibilizzazione: educare i cittadini ad un uso consapevole dell'acqua. - Ricerca e innovazione: sviluppare nuove tecnologie per la gestione sostenibile delle risorse idriche. L'acqua è un bene prezioso e fondamentale per la vita. È necessario un impegno collettivo per contrastare la siccità e tutelare questa risorsa vitale. Oltre a quanto già detto, è importante sottolineare che: - Le regioni più colpite dalla siccità sono quelle del Nord Italia, in particolare il Piemonte, la Lombardia e l'Emilia-Romagna. - Il governo ha stanziato fondi per interventi di emergenza e per la realizzazione di nuove infrastrutture idriche. - Le associazioni ambientaliste chiedono di fare di più e di mettere in atto un piano nazionale per la gestione sostenibile dell'acqua. La sfida è complessa, ma non possiamo permetterci di ignorarla. Il futuro del nostro paese dipende anche dalla capacità di tutelare e valorizzare le risorse idriche. L'allarme siccità è più che mai attuale. È necessario un impegno da parte di tutti per affrontare questa emergenza e garantire un futuro sostenibile al nostro paese. Foto di Lina da Pixabay Read the full article
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G7, al via presidenza italiana: telefonata Tajani-Blinken
G7, al via presidenza italiana: telefonata Tajani-Blinken. Dal 1 gennaio l'Italia ricopre la Presidenza del G7, un foro che negli ultimi anni ha assunto un ruolo sempre più importante nella tutela del sistema internazionale basato sulle regole e i valori democratici e nel far fronte alle sfide del nostro tempo. Sotto la guida del vicepremier e Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale Antonio Tajani, verranno organizzate quattro delle riunioni ministeriali G7: due riunioni dei Ministri degli Esteri (ad aprile a Capri e poi in autunno a Fiuggi); una riunione dei Ministri del Commercio Internazionale a luglio (Reggio Calabria) e una riunione dei Ministri dello Sviluppo in autunno (Pescara). L'anno della presidenza italiana del G7 avrà il suo culmine nel vertice dei Capi di stato e di Governo che la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ospiterà a Borgo Egnazia (Puglia) in giugno. Specifiche sessioni ministeriali saranno dedicate ai principali argomenti dell'attualità internazionale, da Industria e spazio, a Infrastrutture e trasporti, passando per Economia, Turismo, Giustizia, Ambiente, Salute e Agricoltura. La Presidenza italiana avrà fra le sue priorità, innanzitutto, il rispetto dell'ordine internazionale, profondamente scosso dalla guerra russa in Ucraina e dal conflitto in Medio Oriente, due temi su cui l'Italia manterrà alta l'attenzione dei partner e della comunità internazionale. Ucraina e Medio Oriente sono alcuni dei temi nell'agenda del colloquio tra Tajani e il Segretario di Stato Usa Antony Blinken di queste ore. «La Presidenza avrà una naturale proiezione nel Mediterraneo, su cui abbiamo la responsabilità di promuovere soluzioni che favoriscano pace e stabilità per l'intera regione, a partire dal conflitto attualmente in corso in Medio Oriente. Continueremo inoltre a sostenere convintamente l'Ucraina, anche sul fronte della ricostruzione», commenta Tajani. «Centrale sarà l'attenzione che verrà dedicata ai Balcani - area che da sempre ha un'importanza strategica per la stabilità di tutta l'Europa – e all'Africa, un continente con cui vogliamo promuovere partenariati paritari, efficaci e mutualmente vantaggiosi con i paesi africani, per la sicurezza e resilienza del continente». Il rapporto con tutti i protagonisti globali sarà uno dei temi cardine della Presidenza dell'Italia, consapevole del fatto che la complessità delle sfide globali richiede un confronto profondo e senza barriere, che guarderà anche all'area dell'Indo-Pacifico, una regione in forte crescita e al centro di una crescente competizione internazionale. La Presidenza italiana non mancherà di affrontare temi decisivi come: cambiamento climatico e perdita di biodiversità; commercio internazionale basato sulle regole; transizione digitale, incluso lo sviluppo dell'Intelligenza Artificiale; raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile; il nesso tra sviluppo e migrazioni. «L’Italia confermerà con chiarezza nell'agenda del G7 le questioni migratorie» – ha commentato il vicepremier. «Si tratta di una priorità che il governo ha posto in ogni sede e su cui abbiamo avviato a luglio un percorso condiviso con la comunità internazionale, lanciando il "Processo di Roma" con la Conferenza su Migrazioni e Sviluppo che abbiamo ospitato alla Farnesina, coinvolgendo i Paesi del Mediterraneo, africani e del Golfo».... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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LIZ CHICAJE CHURAY
LA STORIA BELLISSIMA DELLA DONNA CHE HA SALVATO (DA SOLA) 800MILA ETTARI DI FORESTA AMAZZONICA
Grazie ai suoi sforzi la terra sacra del suo popolo è diventata Parco Nazionale Yaguas del Perù
Se oggi nelle cartine turistiche del Perù troviamo segnalato il Parco Nazionale Yaguas è anche per merito di Liz Chicaje Churay, un'attivista peruviana del popolo Bora che per anni ha combattuto affinché questa fetta di foresta amazzonica ai confini con la Colombia fosse protetta dai bracconieri, dai taglialegna e dai minatori illegali. Sostenuta dalla sua comunità indigena, questa donna di 38 anni ha avuto il coraggio, nonostante anni di minacce, di opporsi allo sfruttamento di queste terre che la popolazione locale considera sacre, ottenendo infine il sostegno politico affinché l'area venisse dichiarata parco nazionale.
Un grande traguardo per il popolo Bora, che negli anni del boom della gomma amazzonica tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo, venne sfruttato e schiavizzato per raccogliere dalla corteccia degli alberi il prezioso lattice usato per produrre caucciù. Per sottrarsi allo sfruttamento dei magnati della gomma molti tentarono di scappare rifugiandosi in questa foresta e altrettanti trovarono la morte. Si calcola che in quegli anni furono quasi 100mila gli indigeni che rimasero uccisi a seguito di queste pratiche disumane. Per coloro che invece si salvarono la foresta di Yaguas rimase un luogo sacro da venerare e proteggere ancora oggi. "Molti dei nostri amati antenati sono morti lì a causa della mancanza di cibo e medicine mentre cercavano di attraversare la foresta in sicurezza. È un luogo sacro per noi e quindi non potevamo sopportare di vederlo distrutto" – spiega alla Bbc Chicaje, consapevole di come da solo il suo popolo non sarebbe mai riuscito a salvare queste terre –. "A causa dell'isolamento dell'area e delle minacce ricevute, è stato fondamentale coinvolgere il governo nella sua protezione. I taglialegna illegali e i minatori d'oro stavano scendendo dal fiume ed è stato con l'aiuto della marina militare che sono stati cacciati e le loro draghe bruciate".
La foresta, che si estende per una superficie di 2,1 milioni di acri (868mila ettari) –all'incirca le dimensioni del Parco Nazionale di Yellowstone negli Stati Uniti – non ha solo una forte valenza spirituale, ma è anche una fonte di approvvigionamento per i gruppi indigeni, che vivono di pesca e agricoltura. Con le sue circa 3mila specie di piante, le oltre 500 varietà di uccelli e le 550 di pesci, il parco rappresenta anche una riserva preziosissima di biodiversità. Proprio per questo il governo peruviano, dopo decenni di battaglie, ha deciso di appoggiare la causa di Liz Chicaje Churay e farne un parco naturale con tanto di ranger, che dal gennaio 2018 sorvegliano l'area e si occupano della sua tutela. "Viviamo nella giungla da sempre, nessuno conosce la natura meglio di noi e per questo la necessità della sua tutela per noi è assolutamente imprescindibile" – spiega l'attivista che proprio per il suo impegno è stata premiata pochi giorni fa con il Goldman Environmental Prize 2021 per l'America meridionale e centrale, il "Nobel dell'ambiente" conferito ogni anno agli attivisti green più meritevoli.
Da Elle
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La cosa che mi dà più fastidio, è quando mi dicono "tu non capisci". Lavoro tanto sulla mia mente e credo di essere anche dotata di un'intelligenza emotiva che, pare, non abbiano proprio tutti e quindi mi urta tutto il sistema nervoso, perché so che non è così. Sono consapevole che invece posso capire. Posso capire benissimo.
È un po' come quando qualcuno che non sa assolutamente niente di agricoltura, va a dire ad un contadino come deve seminare o raccogliere. O ad un medico che fa una diagnosi che in realtà ha commesso un errore, perché tu hai cercato i sintomi su My Personal Trainer e ti sei autodiagnosticato altro.
Se non sai nulla di me, che diritto hai di dire "non puoi capire"?
Ammetto che però è peggio quando, a dirlo, è una persona che pensi ti conosca e che ti ascolti quando parli.
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Fragranze 100% naturali, packaging in carta riciclata e contenitori riutilizzabili. Alla scoperta di Iumé, marchio francese di fragranze d’ambiente green ed etico
E’ il momento della “green beauty”, banditi tutti tipi di conservanti e sostanze considerate inutili, se non tossiche, preferenza per prodotti che contengono esclusivamente ingredienti naturali, e possibilmente certificati bio. Anche il mondo dei profumi si adegua alle esigenze di un consumatore sempre più attento a ciò che mette addosso, tanto che l’ultimo anno ha visto nascere diversi brand di fragranze 100% naturali. C’è chi si spinge oltre aggiungendo come plus valore anche la sostenibilità e l’eticità, e se nel mondo dello skincare ci sono diversi esempi, in quello delle fragranze per ambienti Iumé è sicuramente unico nel suo genere.
Le candele di Iumé, nuovissimo brand francese, sono vegan e cruelty-free, invece di cera d’api sono prodotte con la soia, ma priva di OGM e pesticidi. Le candele di Iumé utilizzano stoppini di cotone e contengono fragranze 100% naturali, prive di alcol, composte esclusivamente da oli essenziali e assolute. Tutto é fabbricato in Francia, in collaborazione con produttori locali, e questo consente non solo di controllare la qualità, ma di ridurre al minimo l’impronta di carbonio e migliorare l’impatto sull’ambiente. Le scatole sono fatte di carta riciclata e cartone, i vasi di vetro, così come i contenitori in metallo, possono essere riutilizzati e riciclati.
Poiché il processo di produzione richiede energia ed elettricità, che hanno impatto sull’ecosistema, per compensare Iumé sostiene un’associazione molto particolare: Un Toit Pour Les Abeilles (un tetto per le api), che protegge il ciclo di vita delle api e l’espansione delle loro colonie. Iumé poi sostiene anche gli apicoltori francesi al fine di moltiplicare le colonie di api in Francia e preservare il loro ambiente.
La salute delle api e la loro salvaguardia é di vitale importanza per la sopravvivenza della specie umana. Senza le api, e gli altri insetti impollinatori non esisterebbe il 90% della flora, senza contare che il 75% della produzione agroalimentare è legata a questo servizio, che le api offrono gratis e che vale centinaia di miliardi di euro all’anno. Eppure secondo nuovi studi gli insetti impollinatori, api principalmente, sono in forte riduzione, tanto da rischiare l’estinzione. Le cause sono diverse: i cambiamenti climatici, con gi sbalzi di temperatura e il clima instabile, la perdita di habitat e, soprattutto, l’abuso di sostanze chimiche di origine sintetica in agricoltura.
Riuscirà il nuovo consumatore consapevole a cambiare anche in questo caso le regole del gioco, come sta facendo nel mondo del beauty?
Iumé: il nuovo brand di candele profumate vegan, etico e sostenibile Fragranze 100% naturali, packaging in carta riciclata e contenitori riutilizzabili. Alla scoperta di Iumé, marchio francese di fragranze d'ambiente green ed etico
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“PERDONATEMI PER LE BUGIE SUL CLIMA” AFFERMA LO SCIENZIATO CLIMATICO MICHAEL SHELLENBERGER!
L’autodenuncia di Michael Shellenberger, ambientalista e attivista del clima, fondatore dell'organizzazione di ricerca e politiche che combatte per l'energia pulita e, secondo la rivista Time, "Eroe dell'Ambiente" nell'anno 2008 sarà sicuramente ignorata dai “giornaloni”.
Lo scienziato si è scusato pubblicamente, a nome di tutti gli ambientalisti in buona fede, per l'allarmismo climatico che lui e i suoi colleghi hanno alimentato negli ultimi trent'anni scrivendo in un articolo pubblicato sulla rivista della sua organizzazione: “Fino allo scorso anno ho evitato di parlare contro l'allarmismo climatico perché mi sentivo in colpa per aver contribuito a fomentarlo, ma soprattutto perché avevo paura di perdere amici e finanziamenti. Le poche volte che ho provato a difendere la climatologia da coloro che la distorcono ho subito dure conseguenze, quindi ho taciuto mentre i miei colleghi terrorizzavano l'umanità”.
Lo scienziato ha anche pubblicato un libro nel quale “avverte” che “Non ci sarà l'Apocalisse”, l'allarmismo ambientale fa male a tutti, e i cambiamenti climatici “non sono la fine del mondo e neppure il problema ambientale più grave per l'umanità”.
L’autodenuncia di Michael Shellenberger passerà quindi senz'altro inascoltata, non perché in cattiva fede, ma perché ideologizzati e ignoranti, vittime di un lavaggio del cervello che non ha rispettato la loro flora e fauna cerebrale, infatti la maggior parte dei giornalisti non conosce gli argomenti di cui parla o scrive: “non sa”, quindi “non dubita”, a conferma dell’affermazione di un uomo senza alcun dubbio saggio, Enea Silvio Piccolomini che, prima di diventare Papa col nome di Pio II, affermò “Chi più sa, più dubita!”.
E la correttezza anche scientifica di questa affermazione è dimostrata, oltre che da Galileo Galilei, che con la Scienza aveva un rapporto estremamente confidenziale, anche dall’ultrà ambientalista Greta, che non sa nulla, infatti non ha dubbi, e per evitare che le venissero aveva pure deciso di non andare più a scuola. Greta dice sull'ambiente un sacco di sciocchezze, ma con una rabbia e una determinazione tali da farsi credere da centinaia di milioni di persone (un Pontefice, un Re, un segretario generale dell’ONU, una presidente della Commissione EU, almeno un PdR, etc.) che l'hanno eletta Papessa degli eco-ignoranti. D'altronde, siamo nell'era dell'odio, e chi strilla più forte e fa la faccia più cattiva vince. Se poi la faccia è quella di una bambina, è possibile che essa venga presa a prestito da Stati, multinazionali, lobby e finanzieri per sponsorizzare i loro affari a discapito di quelli altrui. Magari per lanciare monopattini o vetture elettriche al posto di ciclomotori e vetture Diesel, o per favorire l'economia cinese al posto di quella tedesca, francese e italiana. Capita così che chi ha studiato e parla a ragion veduta venga ignorato, come gli scienziati italiano che hanno chiesto inutilmente a Sergio Mattarella di essere ricevuti, o addirittura criminalizzato, semplicemente perché canta fuori dal coro o perché il vento ha girato da un'altra parte.
Shellenberger non si limita a enunciare postulati, ma documenta quel che dice. Spiega che gli incendi nel mondo si sono ridotti del 25% in vent'anni, che i cambiamenti climatici non stanno rendendo peggiori i disastri naturali, che le emissioni di anidride carbonica sono in calo in tutte le nazioni più ricche e che per prevenire future pandemie occorre più agricoltura industriale. Lo scienziato si è deciso a parlare, consapevole di correre il rischio di passare per negazionista, No-vax, e “rincoglionito” come Luc Montagnier (Bassetti dixit), perché allarmato dai deliri ambientalisti, come quello di Bill McKibben, il più influente giornalista ecologista al mondo, che ha dichiarato “i cambiamenti climatici distruggeranno la civiltà umana” o quello della parlamentare statunitense Alexandria Ocasio-Cortez che nel 2020 ha dichiarato “il mondo, avanti di questo passo, finirà entro dodici anni”.
La realtà invece è opposta, e le esagerazioni ambientaliste rischiano di costare al pianeta più dell'industria e della tecnologia. Per esempio:
✓ Per produrre energia attualmente utilizziamo lo 0,5% della superficie del pianeta, ma se volessimo ricorrere solo a energie rinnovabili dovremmo sfruttarne il 50%;
✓ Per nutrirci unicamente di cibo bio e carne bovina ruspante dovremo incrementare la superficie agricola del 20% e ottenere un incremento dell’emissione di inquinanti del 300%, ma bisognerebbe conoscere l’incidenza attuale e ammettere che è decisamente bassa;
✓ Più densità di potenza hanno città, centrali e allevamenti, meno si inquina, perché “è di schiacciante evidenza che la nostra civiltà ad alta energia è migliore per le persone e per la natura rispetto alla civiltà a bassa energia a cui gli allarmisti del clima vorrebbero farci tornare”.
Shellenberger sostiene che i media stanno creando un clima d'ansia, depressione e ostilità verso la civiltà moderna che ha frenato lo slancio dell'economia proprio mentre questa stava riducendo la povertà nel mondo, facendo svoltare invece il Pianeta verso una nuova era oscurantista e di decrescita. E con riferimento alla recente battaglia animalista nel Congo Shellenberger afferma che In nome del progresso stiamo regredendo: “Per salvare quattro gorilla abbiamo ucciso 250 elefanti”.
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Review: CREMA MANI FINOCCHIO E PEPE NERO – BIO MARINA
Review: CREMA MANI FINOCCHIO E PEPE NERO – BIO MARINA
Il brand Bio Marina ha origine dalla dottoressa Marina Ferrarri, laureata in sociologia, che decide di dare spazio alla sua vocazione, cioè la diffusione della cultura della bellezza consapevole. Bio Marina è una linea di cosmesi ecobio e vegana per la cura di corpo, capelli e viso. Tra gli ingredienti non vi sono quelli di origine animale ma solo ingredienti naturali provenienti da agricoltura…
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Un sottobacino su tre a rischio: la grave crisi idrica che ci aspetta entro il 2050
L'acqua, elemento essenziale per la vita, è sempre più minacciata. Uno studio pubblicato sulla rivista Nature Communications lancia un allarme preoccupante: entro il 2050, un terzo dei sottobacini fluviali del mondo, circa 3.060, potrebbe dover affrontare una grave crisi idrica. La conseguenza diretta? La scarsità di acqua pulita per almeno 3 miliardi di persone, con impatti devastanti sull'agricoltura, sull'economia e sulla salute globale. Le cause del problema - Inquinamento da azoto: L'eccessivo utilizzo di fertilizzanti in agricoltura, in particolare quelli azotati, contamina le falde acquifere e i corsi d'acqua, rendendo l'acqua non potabile. - Cambiamenti climatici: L'aumento delle temperature e la diminuzione delle precipitazioni in alcune aree del pianeta causano siccità e desertificazione, riducendo la disponibilità di acqua dolce. - Aumento della popolazione: La crescita esponenziale della popolazione mondiale comporta un maggiore consumo di acqua per usi domestici, industriali e agricoli. Le aree più a rischio di crisi idrica Secondo lo studio, le zone maggiormente colpite dalla crisi idrica saranno: - Europa centrale: Germania, Francia, Polonia e Paesi Bassi. - Nord America: Stati Uniti meridionali e centrali. - Cina meridionale: Bacino del fiume Yangtze. - Africa: Bacino del Niger e del Nilo. Le possibili soluzioni Per scongiurare una catastrofe umanitaria e ambientale, è necessario un impegno globale su più fronti: - Ridurre l'inquinamento da azoto: Promuovere pratiche agricole sostenibili, con un uso più efficiente dei fertilizzanti e la rotazione delle colture. - Contrastare i cambiamenti climatici: Ridurre le emissioni di gas serra e investire in fonti di energia rinnovabile. - Gestire le risorse idriche in modo responsabile: Promuovere il consumo consapevole dell'acqua, migliorare l'efficienza dei sistemi di irrigazione e investire in infrastrutture per la raccolta e lo stoccaggio dell'acqua piovana. Un appello all'azione La crisi idrica è una minaccia reale e imminente. La salvaguardia di questa risorsa preziosa richiede un impegno collettivo e urgente. Governi, aziende e cittadini devono collaborare per trovare soluzioni innovative e sostenibili per garantire l'accesso all'acqua potabile per tutti. Oltre a queste misure, è importante - Educare le persone sull'importanza di un uso responsabile dell'acqua. - Investire nella ricerca e sviluppo di tecnologie per la depurazione e la desalinizzazione dell'acqua. - Promuovere la cooperazione internazionale per la gestione condivisa delle risorse idriche transfrontaliere. Il tempo è poco. Agire ora è fondamentale per evitare una crisi dalle conseguenze devastanti per il pianeta e per le future generazioni. Foto di Dimitris Vetsikas da Pixabay Read the full article
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Le 10 più grandi tendenze alimentari salutari del 2020
Sta per chiudersi il 2019 e si fanno i primi bilanci e le prime previsioni, anche in ambito benessere. E anche in ambito alimentazione. Lo scorso anno hanno vinto i probiotici, ad esempio. E ogni anno è atteso il report di previsione di che presenta le 10 tendenze alimentari che già si profilano all’orizzonte e che vedremo per il prossimo 2020.
1. Agricoltura rigenerativa Man mano che i cambiamenti climatici si fanno più evidenti, la gente diventa più consapevole sulle pratiche agricole e sulla scelta dei prodotti alimentari. L’agricoltura rigenerativa è una pratica agricola che ripristina il suolo degradato, migliora la biodiversità e abbassa le emissioni di carbonio per creare benefici ambientali di lunga durata. Un faro di speranza per coloro che cercano disperatamente di vedere un vero cambiamento nelle iniziative di agricoltura ecologica. Quest’anno, possiamo aspettarci che un numero sempre maggiore di marchi applichi queste pratiche.
2. Potenza della farina Sembra che il 2020 diventerà l’anno della farina alternativa, con particolari miscele e varietà che si vedranno gli scaffali dei negozi di alimenti naturali (la farina di banana e la farina di caulì). Snack e pasticcini hanno già iniziato a incorporare queste miscele nei loro prodotti, più ricche di fibre e proteine.
3. Alimenti dall’Africa occidentale Secondo Whole Foods Market, i sapori dell’Africa occidentale conquisteranno nuove zone del mondo. La regione vanta alcuni dei nostri super alimenti preferiti come la moringa e il tamarindo, oltre ad alcuni più nuovi (sorgo, fonio, teff e miglio , solo per citarne alcuni). Possiamo aspettarci di più da queste sottili influenze della cultura dell’Africa occidentale nel 2020.
4. Snacking out-of-the-box, nel frigo Quest’anno, gli snack si stanno spostando rapidamente dall’armadio della cucina agli scaffali del frigorifero. Lo spuntino “fresco” è la svolta di quest’anno, con porzioni singole come verdure in salamoia, zuppe bevibili e mini salse di ogni tipo. Inoltre, questo nuovo modo di fare spuntini significa ingredienti più genuini e etichette nutrizionali meno familiari, che è una tendenza che possiamo sicuramente sostenere.
5. A base vegetale, oltre la soia Mentre la soia ha dominato principalmente la scena delle proteine vegetali in passato, quest’anno vedremo un passaggio verso opzioni a base vegetale che evitano il maggior numero di allergeni possibile. Ciò significa che molti marchi stanno rinunciando alla soia. Il prossimo anno sarà particolarmente innovativo nel modo in cui i marchi alimentari imitano carne e prodotti lattiero-caseari senza l’aiuto della soia. Possiamo aspettarci che ingredienti come cereali e fagioli verdi forniscano proteine e una consistenza simile.
6. Nuovi burri e creme da spalmare Hai un’allergia alle noci ? Non aver paura: quest’anno, praticamente tutto ciò che ami si trasformerà in burro e creme. Dal burro di semi di anguria al burro di ceci (diverso dall’hummus), ci saranno un sacco di opzioni di burro da spalmare su toast, bagel e verdure. Sul piano ecologico, molti di questi nuovi prodotti si spera consentiranno di eliminare l’uso di olio di palma, che ha dimostrato di rilasciare alti livelli di anidride carbonica .
7. Ripensare il menu per bambini Quest’anno, possiamo aspettarci che i marchi alimentari espandano i palati dei bambini, con prodotti come bastoncini di salmone non impanati, cibi fermentati e pasta a base di farine alternative. Questa tendenza ha il potenziale di trasformare i bambini in “mangiatori innovativi”, forse senza che nemmeno loro lo sappiano.
8. Zuccheri non così semplici Mentre le alternative allo zucchero non sono affatto nuovi fenomeni, quest’anno si offriranno molte opzioni in più rispetto al tipico sciroppo di Stevia, miele e acero. I marchi hanno iniziato ad estrarre da frutta come melograni, cocco e datteri per creare quei sapori dolci per le esigenze di cottura o bevande.
9. Miscele di carne e piante Quest’anno, anche il più tradizionale dei marchi di carne diventerà solo un po’ più vegetale. Sebbene non diventino completamente vegetariani, alcuni marchi alimentari hanno iniziato ad aggiungere una percentuale crescente di ingredienti a base vegetale a prodotti pronti come polpette e hamburger. Ad esempio, c’è un hamburger Lika Plus in arrivo al Whole Foods Market nel 2020 che utilizza il 75% di carne macinata abbinata a una miscela di grano, funghi, orzo e lievito al 25%. Consideralo il pasto Flexitarian finale.
10. Bevande zero calorie Quest’anno è tempo di ripensare il classico cocktail . Nel 2020, possiamo aspettarci che i marchi di bevande utilizzino gli stessi metodi di distilleria precedentemente utilizzati per le bevande alcoliche per alternative emergenti e non alcoliche. Con articoli come un altro gin and tonic e un finto martini, sembra che il 2020 porti un po’ di divertimento vecchio e sobrio.
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Sistema alimentare: un enorme paradosso che vede ai suoi estremi lo spreco alimentare e la fame nel mondo
Lo spreco alimentare, un tema sempre delicato ed attuale, ha conquistato maggiore interesse da parte dell’opinione pubblica, vista la sua rilevanza in ambito di sostenibilità ambientale, economica e sociale. Ma cosa si intende esattamente per “spreco alimentare”? Circa un terzo del cibo che viene prodotto sul pianeta (circa 1,3 mld di tonnellate) viene sprecato prima che giunga nelle nostre case o, in un secondo momento, buttato tra i rifiuti perché non consumato. Per spreco alimentare si considera anche la perdita di cibo ancora buono per essere consumato dall’uomo e che interessa la catena di produzione e di consumo. Un fenomeno che riguarda diversi livelli della catena di approvvigionamento alimentare, nelle tre fasi principali: fase produttiva, fase distributiva, fase del consumo e della conservazione degli alimenti.
Il problema non consiste quindi nella mancanza di cibo nel mondo, bensì nell’impossibilità di accedervi soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. Come stimato dalla Food and Agriculture Organization delle Nazioni Unite, 793 milioni di persone nel mondo soffrono ancora la fame, e secondo l’Eurostat, succede nella stessa Europa. Secondo le stime del WWF, la percentuale globale dello spreco è pari a circa quattro volte la quantità di cibo necessaria a sfamare 800 milioni di persone denutrite.
Il secondo punto dei 17 Sustainable Development Goals[1] dell’Agenda Onu 2030 è sconfiggere la fame nel mondo ed il primo passo verso la sua realizzazione è cambiare le nostre abitudini alimentari per indurre la GDO (grande distribuzione organizzata) a modificare il proprio status, per una miglior qualità della nostra vita nel rispetto dell’ambiente.
Va anche considerato che lo spreco di cibo ha un enorme impatto ambientale. Per fare una quantificazione complessiva di questo impatto si utilizzano tre indicatori di sintesi specifici:
L’impronta di carbonio (Carbon Footprint) che rappresenta e identifica le emissioni di gas serra responsabili dei cambiamenti climatici;
L’impronta idrica (Water Footprint), o contenuto di acqua virtuale, che quantifica i consumi e le modalità di utilizzo delle risorse idriche;
L’impronta ecologica (Ecological Footprint), che identifica la quantità di terra (o mare) biologicamente produttiva necessaria per fornire le risorse e assorbire le emissioni associate a un sistema produttivo.
L’impronta di carbonio dei rifiuti alimentari è infatti pari a 3,3 giga tonnellate di gas serra, ossia un terzo delle emissioni annuali derivanti dai carburanti fossili. In più il gas metano prodotto dal cibo che finisce in discarica è 21 volte più dannoso dell’anidride carbonica. In termini di impatto ambientale, le perdite di cibo e lo spreco alimentare, in generale, costituiscono quindi un grandissimo spreco delle già scarse risorse, come acqua, energia, terra. Produrre cibo che non verrà consumato vuol dire sprecare beni primari e complicare una situazione climatica che gli esperti considerano sempre più imprevedibile.
Sfortunatamente, l’Europa è una delle principali responsabili: il 20% di tutto il cibo prodotto nell’Unione europea viene sprecato lungo l’intero corso della catena di approvvigionamento, l’equivalente di 173 chili di rifiuti alimentari all’anno per persona. I dati della FAO dicono che in Europa, con il cibo che viene buttato, si potrebbero sfamare 200 milioni di persone. Un primo impegno in ambito europeo è arrivato con la “Dichiarazione congiunta contro lo spreco”, redatta a Bruxelles presso il Parlamento Europeo, il 28 ottobre 2010 durante la conferenza “Trasforming food waste into a resource”. L’obiettivo principale, oltre la sensibilizzazione dell’opinione pubblica sull’argomento, è la riduzione dello spreco alimentare del 50% entro il 2025.
La classifica Food Sustainability Index 2018[2] ha riconosciuto la Francia prima della classifica nei tre pilastri della sostenibilità alimentare ossia spreco di cibo, agricoltura sostenibile e sfide nutrizionali. La Francia, nella fattispecie, è quella che ha adottato le migliori pratiche per la riduzione dello spreco di cibo, sia a livello industriale sia a livello domestico. Tra le misure adottate, la normativa che impone ai supermercati di redistribuire agli enti di beneficienza che operano nelle comunità limitrofe il cibo avanzato o in scadenza, ma anche la costruzione di infrastrutture in grado di ridurre le perdite lungo la catena di distribuzione.
L’Italia si colloca al nono posto e questo per merito anche della Legge n. 166/2016 approvata il 30 agosto del 2016[3] che punta a incentivare le aziende e i produttori che donano cibo agli Enti pubblici o privati, comprese le Onlus. Le disposizioni riguardano la donazione e la distribuzione di prodotti alimentari e farmaceutici, le eccedenze alimentari al fine di limitare lo spreco alimentare e la produzione di rifiuti. Tuttavia rimane molto da fare sul terreno della conservazione dei cibi e sulle pratiche capaci di ridurre gli sprechi lungo i percorsi della distribuzione. Inoltre sono ancora alte le percentuali italiane per quanto riguarda gli sprechi domestici di cibo, indizio di una scarsa attenzione e di una bassa sensibilità nei confronti dello spreco.
Da poco è stata celebrata la Giornata nazionale di Prevenzione dello Spreco a Roma il 4 e 5 febbraio[4]. La sesta edizione di questa giornata, istituita dal ministero dell’Ambiente con la campagna Spreco Zero e l’Università di Bologna – Distal attraverso il progetto 60SeiZero, ha rinnovato la necessità della sensibilizzazione. I dati dalla campagna Spreco Zero di Last Minut Market raccolti con il progetto Reduce e i "Diari di famiglia" monitorano quanto succede nelle nostre case: gettiamo ogni anno qualcosa come 36 kg annui di alimenti pro capite (circa 65 Kg/anno di cibo sprecato a persona per il Food Sustainability Index 2018). Nel 2018 si registra un miglioramento di tendenza: se quattro anni fa a un italiano su due capitava di buttare il cibo in pattumiera ora solo l’1% dichiara di gettare cibo non più buono. E questo è quasi certo un effetto delle iniziative di sensibilizzazione che sono state portate avanti in questi anni. A finire più spesso nelle pattumiere di casa ci sono: verdura (24,9%), latte e latticini (17,6) e frutta (15,6%), mentre la motivazione che genera lo spreco alimentare domestico è che il cibo non è stato consumato in tempo. Oltre all’ingente impatto sull’ambiente, ne risente anche l'economia domestica.
Quali sono le soluzioni? Tutti i protagonisti della filiera devono assumersi la propria parte di responsabilità per ridurre il problema dello spreco alimentare. Un impegno su diversi fronti e di diverse istituzioni, imprese, Amministrazioni pubbliche e scuole. Si tratta di promuovere nell’industria alimentare quei miglioramenti necessari e gli investimenti in infrastrutture per una best practice di produzione, di distribuzione e di conservazione dei prodotti. Sicuramente necessario è anche continuare a sostenere le organizzazioni che si occupano del recupero dei prodotti alimentari non più vendibili ma ancora commestibili. Infine, bisogna continuare a promuovere tra i consumatori la diffusione di un modello di comportamento diverso e più rispettoso.
No allo spreco del cibo, sì al consumo sostenibile, al recupero e alla donazione di prodotti alimentari
Tanta importanza riveste proprio una migliore educazione del consumatore. È quanto emerge da un’indagine Coldiretti/Ixè diffusa in occasione della Giornata nazionale contro lo spreco alimentare[5]. Oltre sette italiani su dieci (71%) hanno diminuito o annullato gli sprechi alimentari adottando nell’ultimo anno strategie che vanno dal ritorno in cucina degli avanzi a una maggiore attenzione alla data di scadenza, ma anche la richiesta della “doggy bag” al ristorante e la spesa a chilometro zero privilegiando la “filiera corta” con prodotti più freschi che durano di più.
La sfida è certamente globale, ma il cambiamento può arrivare dai gesti semplici che compiamo ogni giorno e da idee innovative. Questo è il caso di una nuova app, ECOFOOD PRIME, presentata a Palermo poche settimane fa. Nasce dall’idea di due ragazzi siciliani e vuole rivoluzionare il modo in cui compriamo e consumiamo la spesa di ogni giorno. Si tratta di una app “antispreco”, che si appoggia su una rete tra esercenti, consumatori e associazioni solidali per una spesa consapevole. Per questo, Ecofood Prime, ha l’obiettivo di educare le persone a un consumo più sostenibile, ma anche a uno stile di vita rispettoso del nostro ambiente che consenta di distribuire al meglio le risorse. Esercenti e consumatori uniti a partire da semplici scelte quotidiane. Cibi e prodotti possono quindi essere acquistati a prezzi vantaggiosi con benefit per entrambe le parti: da un lato il consumatore risparmia sull’acquisto, dall’altro l’esercente recupera almeno il costo d’acquisto ed evita lo smaltimento dell’invenduto. Nella piattaforma è poi presente un elenco di associazioni e soggetti attivi nel volontariato per la ridistribuzione del cibo ai più bisognosi.
Nell’ambito delle iniziative che Confcommercio Palermo sta sostenendo e promuovendo, arriva anche in città e in provincia il “Rimpiattino”, quello che prende il nome di “doggy bag”. Anche questo progetto punta a favorire il contrasto allo spreco alimentare e a promuovere l’adozione di comportamenti responsabili. L’iniziativa, già promossa e avviata su tutto il territorio nazionale, farà tappa a Palermo, come unica città della Sicilia.
Questi progetti sperimentali dimostrano che è possibile agire localmente, nella direzione etica del rispetto del cibo e del sostegno solidaristico a chi è in difficoltà. Questo sistema punta da un lato ad evitare lo spreco alimentare nel segno anche della solidarietà, e dall’altro promuove il rispetto dell’ambiente, in termini di minore produzione di rifiuti. Ma non solo, tutela i nostri operatori commerciali e tutela il commercio fisico della città di Palermo, e la tutela risponde al senso di comunità di un territorio.
Patrizia Di Dio
[1] http://www.aics.gov.it/home-ita/settori/obiettivi-di-sviluppo-sostenibile-sdgs/
[2] https://www.barillacfn.com/it/press_area/food-sustainability-index-2018/
[3] http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2016/08/30/16G00179/sg
[4] http://www.vita.it/it/article/2019/01/21/spreco-domestico-ogni-anno-36-kg-di-cibo-finiscono-in-pattumiera/150404/
[5] http://giovanimpresa.coldiretti.it/pubblicazioni/attualita/pub/giornata-contro-lo-spreco-alimentare-svolta-a-tavola-per-7-italiani-su-10/
di Patrizia Di Dio Articolo originale http://bit.ly/2M8hziT
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Questo gufo appollaiato sui resti della sua casa ci ricorda che gli alberi sono più di semplici materiali
------------------------------------------ Tra tutte le incredibili risorse che contiene la Terra, gli alberi sono tra i più preziosi. Gli oceani forniscono a noi abitanti della terra circa il 70% dell'ossigeno che respiriamo, ma gli alberi costituiscono il resto. Vasti "pozzi di carbonio" come la foresta pluviale amazzonica stanno contribuendo a mitigare alcuni dei peggiori effetti dei cambiamenti climatici indotti dall'uomo, assorbendo grandi quantità di gas serra come il metano e il biossido di carbonio. Le foreste del mondo forniscono cibo, riparo e case per migliaia di comunità umane in tutto il mondo, oltre a innumerevoli specie di animali selvatici.
Purtroppo, la ricerca umana di progresso e progresso - che sembra in gran parte basata sul consumo di quante più risorse della Terra possibili - ha avuto un enorme tributo su questi ecosistemi vitali. 7,5 miliardi di foreste vergini coprivano una volta il pianeta, ma da quando siamo arrivati sulla scena, quasi la metà di loro sono scomparse. GpI ha stimato che, tra tutte le deforestazioni causate dagli esseri umani negli ultimi 10.000 anni, il 25% di esse si è verificato solo negli ultimi tre decenni. In gran parte a causa di ciò, il numero di animali selvatici del pianeta è diminuito del 52 percento negli ultimi quarant'anni.
Quando cerchiamo di migliorare la nostra qualità di vita abbattendo tutti gli alberi che vogliamo, tendiamo a dimenticare che per gli animali che dipendono da loro per il sostentamento sono più che semplici materiali.
Non riusciamo nemmeno a riconoscere che distruggendo questi preziosi ecosistemi che sostengono la vita, alla fine stiamo distruggendo noi stessi.
Circa l'80 per cento della deforestazione nella foresta pluviale amazzonica è causata dalla produzione di carne bovina, poiché si stima che circa 2000 alberi vengano abbattuti ogni minuto per far posto agli allevamenti di bestiame. Anche la seconda foresta pluviale più grande al mondo, il Congo nell'Africa centrale, è stata minacciata a causa del disboscamento commerciale, agricoltura, costruzione di strade e conflitti civilidue terzi della foresta si trova. Le foreste pluviali vitali indonesiane - in particolare l'ecosistema Leuser di Sumatra - sono state decimate a causa della monocoltura delle palme da olio e dalle industrie di disboscamento illegale. Incendi boschivi in questa regione stanno mettendo a rischio le comunità locali per gravi problemi di salute e alcune specie come l'orangutan, l'elefante pigmeo e la tigre di Sumatra sono in pericolo d'estinzione.
La nostra sistematica distruzione di questi e di altri ecosistemi forestali in tutto il mondo potrebbe avere conseguenze disastrose per la capacità del nostro pianeta di sostenere la vita così come la conosciamo ... ed è vitale che facciamo quanto possiamo per impedirlo oggi. Fortunatamente, il pubblico sta diventando sempre più consapevole del ruolo vitale che gli alberi svolgono nel sostenere la nostra capacità di prosperare. Il villaggio di Piplantri, nel Rajasthan, in India, ha implementato una pratica di piantare 111 nuovi alberi ogni volta che nasce una bambina. Nel frattempo, il motore di ricerca Ecosia ha utilizzato le sue entrate pubblicitarie per aiutare a piantare oltre 3 milioni di alberi da quando è stato fondato nel dicembre 2009.
(non fate caso al fotomontaggio del gufo nell'articolo...)
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Summa 2019 uno degli eventi internazionali più esclusivi dedicato alla viticoltura sostenibile organizzato da Alois Lageder nella sua tenuta a Magrè il 6 e 7 Aprile 2019.
L’obiettivo con cui si organizza SUMMA
– spiega Alois Lageder – è di ritrovarci una volta all’anno insieme ai migliori vignaioli di tutto il mondo nella cornice inimitabile di Casòn Hirschprunn". Summa è una fiera di vino che si distingue per la presenza personale di tutti i vignaioli coinvolti, e un’occasione per tutti gli ospiti di conoscere meglio la bellezza dell’Alto Adige. Il fil rouge che lega tutte le 100 cantine presenti sarà come ogni anno, oltre alla qualità dei vini proposti, anche l’attenzione verso una agricoltura consapevole, nella maggior parte dei casi quindi una agricoltura biodinamica. Spesso con certificazione Demeter (a cui è stata dedicata un’area).
Banchi d'assaggio, degustazioni guidate, angolo food per un ristoro firmato da alcuni chef della zona, vi aspettano l'anno prossimo per un percorso sensoriale e paesaggistico di emozione e sorpresa.
Vi ricordo che quest'anno sono oltre 100 i vignaioli d'eccellenza presenti alla 22esima edizione di Summa e provenienti da oltre dieci paesi diversi, con un programma ricco, come ogni anno propone anche verticali esclusive tenute da vignaioli ed esperti, ma anche seminari, visite ai vigneti coltivati e al “Giardino all’ombra del Paradeis”. Inoltre, grazie alla partecipazione di numerosi partner del settore alimentare, sarà possibile accompagnare i vini con assaggi di specialità gastronomiche.
É stata una bella esperienza, un giorno troppo poco, bisogna viversi la Manifestazione tutti e due i giorni organizzati.
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