#Ravvicinato
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Beautiful little monster 😍
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Sante Pollastro e Costante Girardengo: Il bandito e il campione
Sante Pollastro e Costante Girardengo nacquero entrambi a Novi Ligure. Il primo era un bandito, il secondo un abile ciclista su strada e un ottimo pistard. L’amicizia tra i due fu molto discussa all’epoca; entrambi provenivano da famiglie povere e avevano la stessa passione per la bicicletta. Continue reading Sante Pollastro e Costante Girardengo: Il bandito e il campione
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#Alpine vicenda#Ambulante ciclismo#Amicizia discussa#Amico nemico#Bandito ciclista#Campione italiano#Classicissima Giri#Conoscenza Alfonsina#Costante Girardengo#De Gregori#Fuggire accuse#Gendarmi stazione#Giovane dolce#Grazia presidente#Il bandito e il campione#Incontro ravvicinato#Interrogatorio confessione#Lombardia campionati#Novi Ligure#Parigi 1927#Passione bicicletta#Rivoluzionò televisiva#Rubrica ciclismo#Saga colline#Sante Pollastro#Sei giorni#Strada icona#Toscane sfide#Tour de France 1948#Tradimento denunciato
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#meteo#Asteroide passaggio ravvicinato questa notte 16 Febbraio 2023 | Rete Meteo Amatori#Rete Meteo Amatori
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Incontro Ravvicinato con una volpe.
#fox#foxes#nature#aesthetic#aestheitcs#aesthetic pictures#original photography#photography#photographers on tumblr#scenic#amazing nature#italian photography#robertocastigliaphotography#italy#italia#europe#scenery#wild#artists on tumblr#art
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MEGATRON ( Deluxe ) Movie Studio Series 114 *TRANSFORMERS ONE*
Seguendo a ruota il suo amico / rivale Optimus, ecco pure MEGATRON "One" esordire come Studio Series e nella nuova sotto scala Deluxe in cui hanno relegato i personaggi dell'ultimo film ( d'animazione ) dei Transformers.
Perlomeno i nostri due leader sono Deluxe alti, ma Megatron qui mi aveva tratto in inganno dalle foto promozionali, dato che il ROBOT pareva fosse di poco più alto di Prime, e invece è solo una mera illusione, per via della struttura longilinea del corpo, che si traduce in gambe un pelo più lunghe sulle anche e un petto più stretto che, di rimbalzo, in un confronto ravvicinato con Optimus, seppur alti uguali, lo fa sembrare quasi più piccolo!! ^^''
Fortunatamente il nostro novello comandante Decepticon recupera a livello estetico, in quanto fedelissimo alla sua versione potenziata e definitiva con il T-Cog di Megatronus, a livello di articolazioni con la posabilità standard cui va sottolineata la rotazione dei pugni e il poter piegare completamente i gomiti, ed a livello di accessori, con la torretta argentata sulla schiena, due laser gemelli ed un cannone corto a cui si aggiunge l'iconicissimo CANNONE A FUSIONE.
Questo però lascia un po' interdetti, invece, dato che sì, ha le fattezze della storica arma del G1, MA nel film lo si vede solo nella prima versione trasformabile di D-16, non in quella finale e potenziata dove si potenzia pure l'arma, con una forma diversa e la canna a 3 punte.
Come mai quindi questo cambiamento? Forse hanno aggiunto il potenziamento del cannone nel film in un secondo momento, quando il modellino ormai era in produzione? Forse hanno pensato che fosse più iconico questo cannone, per il giocattolo? Forse gli Hasbri hanno parenti che lavorano nelle ditte di add-on 3p e così fanno un favore a loro? ^^'
Non lo so! Ma è anche vero che nel film quel cannone viene distrutto dall'ascia di Optimus e quindi forse poi Megatron torna alla sua versione precedente, chissà. O sarebbe interessante se lo aggiungessero in seguito come accessorio ad una futura uscita SS di One: stavo pensando ad eventuale MEGATRONUS PRIME ma a guardare i concept non ha quel cannone come arma ( ed avrebbe avuto senso invece la somiglianza, vabbè ).
Il cannone a fusione, comunque, si può attaccare su entrambe le braccia a piacere, e viceversa i due laser gemelli, che di solito stanno appesi sul non ingombrante zaino / torretta: all'interno di questa può nascondersi parzialmente l'altro cannoncino, dato che si può ruotare la torretta sopra la testa mimando una scena del combattimento finale del film.
Sempre come nel film, il cannoncino può anch'esso sistemarsi, tramite un'apposito aggancio rettangolare, su entrambi gli avambraccia a piacere ( anche se a guardar bene il design, pare più uno dei due laser gemelli, vabbè ), oppure lo si sistema rovescio sulla canna del cannone a fusione, cercando di imitare così alla buona il cannone evoluto di più sopra. A sto punto, peccato che gli altri due laser gemelli non possano pure loro agganciarsi al cannone a fusione, ma in compenso possono sistemarsi negli appositi fori nella parte interna delle gambe, così come poi troveranno posto nel mezzo trasformato.
La TRASFORMAZIONE è interessante ed appagante, con le gambe che si allargano piegandosi internamente a metà cosce, ruotando ciascuna di 180° ed aprendosi per permettere ad i piedi di ruotare all'interno venendo sostituiti dai cingoli. Il pannello del torso slitta verso il basso, in modo da potervi ribaltare nel vuoto creatisi la testa, che si porta dietro il pannello che la sostiene insieme alle braccia ed alla torretta che ruota di 180°. Gli arti superiori ruotano e si piegano diventando i cingoli posteriori, mentre i pannelli delle gambe slittano fino a chiudersi e bloccarsi sul torso e le braccia, ed infine si agganciano il cannone e il cannoncino uniti alla torretta.
Il CARRARMATO CYBERTRONIANO risultante, ad essere pedanti, sebbene ne catturi l'essenza non è così fedele a quello del film, dato che i moduli cingolati anteriori un po' troppo lunghi, mentre la torretta è corta rispetto alla canna e sopratutto non al centro del veicolo ma in coda.
… Però forse è meglio così, mi azzardo a dire, dato che sennò era praticamente uguale a tutti i cavolo di tank cybertroniani con moduli laterali cingolati più grandi della parte centrale visti da TANKORR Beast Machines o Megatron Armada in poi, mentre ora sembra davvero più mortaio mobile, ed, ironicamente, qui si nota meno che le parti anteriori cingolate sono palesemente le gambe del robot!
Magari la torretta, quella sì, era interessante che si potesse allungare o che, ma non si sono sprecati manco a mettere le rotelline sotto i cingoli, così come la parte anteriore centrale di quello che era il torso è bella vuota sotto, e idem quando si solleva la torretta, che si vede la facciona di Megatron, ma, ehi!, almeno la torretta si solleva pure! ^^
Infine, ricordiamoci dei laser gemelli che a scelta stanno o sui fianchi del veicolo o direttamente ai lati della torretta, anche nella prima maniera sono una citazione al carrarmato di D-16 col T-Cog, e non alla summenzionata versione potenziata….
Quindi, fondamentalmente un bel modellino in tutte le sue modalità, ma stranamente non somigliante al 100% a come appare nel film ( PER ESSERE UNO STUDIO SERIES, sottolineamo ), essendo ibridato negli accessori con la sua versione intermedia: a sto punto tanto valeva fare davvero direttamente D-16 e quindi poi fare un Megatron definito e magari pure Voyager, a meno che sti furboni non vogliano far uscire davvero in seguito il DEFINITIVO Megatron di One dopo questa versione forse affrettata. Che dire se non un bel "Chi vivrà, vedrà", allora! ^^'
-Videorecensione
#transformers#hasbro#generations#decepticon#recensione#review#deluxe#megatron#transformers one#d-16#distructor#tank#movie studio series#114#transformers 40
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Ho avuto un incontro ravvicinato con una cavalletta 🦗 in camera.
È stata dura ma ce l'ho fatta a farla uscire dalla finestra.
Ora mi è passato il sonno.
Notturn*?
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kvara si rende conto che forse la rivalità che sente per davide non è esattamente platonica. enjoy!
Lui non era mai stato un tipo molto aperto, anzi, fin da piccolo era stato un ragazzo di poche parole, che faticava a fare amicizia con gli altri. Impacciato, taciturno, goffo.
Khvicha non aveva molti posti nel mondo da chiamare casa. Certo, c'era la sua terra natale, ma ormai la Georgia si trovava a migliaia di kilometri si distanza da lui. E quella grande e strana città nella quale ora viveva, dove tutti lo trattavano come un dio, dove inneggiavano il suo nome e dove avevano esposto foto, bandiere e murales con la sua faccia e quelle dei suoi compagni, non poteva certo essere considerata davvero casa, o perlomeno non ancora. Si sentiva più come un re nel suo palazzo dorato pieno delle sue chincaglierie: bello, anche divertente viverci, ma gli mancava quel calore, quella familiarità che solo un posto che veramente si considera casa potrebbe dare.
Ma il campo. Il campo da calcio era tutta un'altra storia.
Forse era lì, solo lì, che si sentiva veramente nel luogo dove poteva essere completamente libero. Senza paranoie, senza pensieri. Gli bastava avere un pallone tra i piedi e nient'altro per tornare a respirare con leggerezza. Per tornare a sentirsi di nuovo vivo.
E non c'era momento in cui si sentiva più vivo che durante i big match, quelli contro le altre grandi squadre, quelli che contavano davvero, quelli dove giocano i fuoriclasse che ti spingono a dare il meglio di te per non esserne da meno, che ti fanno sudare ogni centimetro conquistato, ogni pallone, l'adrenalina alle stelle.
Era da poco più di un anno al Napoli, eppure già si era scontrato con alcune delle più grandi squadre europee, contro diversi calciatori che gli avevano dato filo da torcere e che gli avevano regalato la soddisfazione di un vero duello.
Eppure.
Eppure c'era qualcosa di diverso con quel Calabria.
Dal primo momento in cui si erano ritrovati faccia a faccia, con lo sguardo intenso dell'altro completamente concentrato su di lui, Khvicha era stato investito da una scarica di adrenalina diversa dalle altre. Era come se Calabria fosse il suo doppio, anticipava quasi ogni sua mossa, gli era costantemente col fiato sul collo. Khvicha era suo, e non se lo sarebbe fatto scappare per nulla al mondo.
Anche questo primo scontro di stagione non era stato diverso. Khvicha avrebbe mentito se non avesse ammesso di aver aspettato con ansia proprio il momento in cui lui e Calabria si sarebbero di nuovo ritrovati sullo stesso campo.
Alla fine però, questa volta, nessuno dei due aveva davvero vinto. Un pareggio, forse evitabile, forse no, ma comunque un pareggio. La frustrazione gli bruciava dentro. Aveva deluso i loro tifosi, per giunta in casa, e se solo quella palla fosse entrata in porta all'ultimo momento, allora –
«Hey, great match!»
Khvicha si girò verso Calabria. Gli si stava avvicinando ancora col fiatone, ma con un sorriso compiaciuto sulle labbra. Inspiegabilmente, il suo primo, irrazionale pensiero fu che gli mancava vederlo coi suoi vecchi capelli ricci.
Scosse la testa. «Yeah, you've been very good, man» gli rispose, ricambiando il sorriso.
Questa volta Calabria rise di gusto. «You're pretty good yourself!» disse, per poi avvicinarglisi ancora di più, a braccia aperte. E per quanto solitamente lui non fosse il tipo da contatto fisico ravvicinato con persone che conosceva poco, aprì a sua volta le braccia e ricambiò l'abbraccio senza un attimo di esitazione. Poteva giurare di sentire Calabria sorridere mentre gli stringeva un braccio intorno alle spalle, la mano che si alzava ad accarezzargli la testa.
Una calda sensazione che proveniva da qualche parte nella sua pancia gli risalì fino al petto. Cercò di ignorarla, focalizzandosi solo sul calore dell'abbraccio dell'altro. Respirò a fondo l'odore di sudore dell'altro per calmarsi. Sudore, erba falciata, terreno umido: quelli erano gli odori del campo, odori di casa, che non mancavano mai di farlo stare meglio. Calabria sapeva di tutti questi messi insieme, e di un altro odore che non riusciva a classificare ma che doveva essere semplicemente lui. Era un buon odore, pensò.
Quando si separarono – e oddio, quanto tempo era passato? Gli era sembrata passata un'eternità, ma dovevano essere stati solo pochi secondi – Calabria gli stava ancora sorridendo, tutto denti. Khvicha notò che quando sorrideva gli si formavano delle rughe di espressione intorno agli occhi. Perché le trovava adorabili?
Dopo un attimo di quella che per un momento gli era sembrata esitazione – doveva essere un abbaglio, esitazione per cosa? – Calabria si allontanò, salutandolo con una mano. «To the next match!» urlò, prima di raggiungere i suoi compagni.
Khvicha restituì il saluto, anche se ormai non gli stava più prestando attenzione. Al prossimo match, di nuovo. Sarebbero passati mesi prima di riscontrarsi. Non era una novità.
E allora perché il cuore gli si era stretto in petto a sentire quelle parole?
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Khvicha non aveva idea del perché, ma quell'abbraccio era stato ripreso da praticamente tutti gli account sportivi italiani.
Cioè, era solo un abbraccio. Un sacco di avversari si salutano alla fine di una partita, no? Però tutti sembravano voler elevare quel momento a picco massimo della sportività tra due avversari, per qualche strana ragione. Forse era proprio perché la rivalità tra lui e Calabria era ormai nota, e quell'abbraccio a qualcuno poteva essere sembrato strano per quello. Sbuffò. Per certe persone era davvero difficile distinguere la rivalità sul campo dalla vita vera. Lui era esattamente l'opposto, e una rivalità così sentita non poteva portargli altro che avere maggior ammirazione del suo avversario, e quell'abbraccio non ne era stato che la naturale conseguenza. Semplice rispetto reciproco. Nulla di più.
Il fatto che si fosse andato a cercare e salvare tutte le angolazioni possibili in cui i giornalisti avevano scattato quel momento era un altro discorso. Era un bel ricordo da mantenere, ecco tutto.
Fu proprio mentra scollava il feed di Instagram che si accorse che Calabria aveva messo una nuova storia. Toccò l'icona rotonda colorata senza neanche pensarci su e si ritrovò davanti la foto di loro due che si abbracciavano, con la caption Respect.
Di nuovo quella sensazione di calore in fondo allo stomaco. E stava pure sorridendo come un deficiente.
Mise un cuore alla storia e gli mandò un messaggio.
Respect to you too, brother
It was a fun match
Chiuse Instagram e bloccò lo schermo del telefono. Aspettò la bellezza di dieci secondi netti prima di sbloccarlo di nuovo per controllare se ci fosse un messaggio di risposta. Ma che cazzo gli stava prendendo.
Stava per ribloccare il telefonino e andarlo a chiudere a chiave in un cassetto per non toccarlo mai più, quando il suono di una notifica echeggiò per la stanza. Erano due messaggi di Calabria.
Li aprì subito.
It's always fun to play against you! 😉
I wish we could do it more often... ☹
Oh. Quindi anche a Calabria mancava scontrarsi con lui. Sentì il cuore iniziare a battere più forte.
Me too
Si fermò un secondo, poi aggiunse un altro messaggio:
I really like how we fit together on the field
Ecco, l'aveva inviato. Oddio, sperava di non essere andato troppo oltre con quel commento. E se avesse frainteso? Se gli avesse dato fastidio? Se –
Oh you bet we fit well together 😉
Khvicha dovette ripetersi più volte che stavano parlando solo ed esclusivamente dei loro scontri sul campo di calcio. Nient'altro.
Uno scontro sul campo particolarmente allusivo.
Cazzo cazzo cazzo.
Il suono di una nuova notifica gli evitò un crollo mentale imminente riportandolo alla realtà.
How about we see each other for a rematch next time we both have a free day? I could come to Napoli or you could come to Milano
What do you think? 😁
Khvicha rilesse quelle parole.
Cosa ne pensava? Pensava che forse, forse, quello che provava per Calabria non era solo ammirazione da avversario e che forse aveva un principio di infatuamento...
(Ripensò ai suoi occhi azzurri, ai suoi capelli ricci, al suo sorriso che gli arrivava fino agli occhi: forse il forse era un eufemismo)
...e forse questo suo infatuamento era ricambiato.
I would like that very much, Cala
La risposta arrivò dopo qualche istante.
❤
And please, call me Davide 😉
Khvicha sorrise. Forse poteva anche trovarsi a migliaia di kilometri da casa sua, ma chi lo diceva che non se ne poteva costruire una nuova dalle fondamenta?
Thank you, Davide
#kvalabria#DOVEVO scrivere qualcosa su sti due dopo i recenti risvolti#risorgo dopo millemila anni apposta per loro <3#non so perché ma davide me lo immagino un tipo molto flirty che usa un sacco le emoji asahdksdsf
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東京美術館に「ローマ」という展示会が開催されています。美術大好きのイタリア人としてはその機会は欠かせなかったので、先週末に行きました。
Qualche mese fa, quando ancora non ero stata resa schiava, mi ero resa conto che stavo perdendo il mio tempo libero nel weekend a fare poco e niente. E mi sono domandata: ma cosa facevo in Italia? Ah sì, andavo ai musei. Ma ci andavo sapendo cosa c'era dentro, perché conosco almeno una infarinatura della storia e della storia dell'arte europea, che mi appartiene.
Conosco e ho studiato anche quella giapponese che, per carità di Dio, ha i suoi pregi e il suo fascino ma... non credo sia all'altezza della nostra (sorry not sorry).
Quel giorno però mi misi a cercare qualcosa che avrebbe potuto interessarmi e incappai nella mostra perfetta per me: una mostra su ROMA, nel Tokyo Metropolitan Art Museum (più facile in giapponese ma vabbè, lo faccio per voi lettori). La mostra era una collaborazione con i Musei Capitolini di Roma, dove non sono mai stata.
La settimana scorsa non ho perso tempo, ho comprato il biglietto e ci sono andata.
Che meraviglia: ho di nuovo sentito quell'emozione spirituale e quella pace dei sensi che solo l'arte può dare. Mi era mancata, tantissimo. E nel provarla ho sentito anche l'angoscia di non poterla provare più facilmente come ho fatto fino a quando ero in Italia, dove TUTTO È ARTE.
In Giappone nei musei è proibito fare foto nel 90% dei casi quindi mi è venuta l'idea di fotografare le cartoline delle opere che c'erano dentro. Tra le più importanti: una replica della famosa lupa che allatta Romolo e Remo e la Venere Capitolina.
Avrei voluto fare un check up ravvicinato fotografico alla Venere come feci con quella di Jago a Bologna per ricordare la grazia, la perfezione di quell'opera così antica ma perfettamente sobria in tutti gli aspetti possibili. Ci ho girato in tondo due volte, a passo lento, per osservare tutto: il volto, le mani aggraziate, le cosce, le natiche, il sedere, la schiena...
Ma la sorpresa più bella è stata trovare senza nemmeno saperlo un quadro del Tintoretto e poi anche il mio amato Guido Reni (!!!) con la sua "Lucrezia". Firma immancabile del pittore, lo sguardo verso l'alto che in questo quadro ti scioglie peggio che nel San Sebastiano.
I giapponesi non facevo che guardare le cose e ripetere le solite esclamazioni del cazzo: sugoi, subarashii... "tanto non capirete mai a pieno la grandezza di quello che state vedendo, capre che non siete altro", dicevo nella mia testa. Ed infatti è stato pure scritto a chiare lettere che nell'era Meiji siamo stati proprio noi a far capire qualcosa di arte vera a sti poveri coglioni. In particolare furono Antonio Fontanesi, Vincenzo Ragusa e Giovanni Vincenzo Cappelletti a insegnare la nostra arte in questa povera terra di stupidi (nomi mai sentiti ma su cui dovrò assolutamente farmi una cultura).
La dimostrazione della loro stupidità è stata il bookshop che con la mostra non c'entrava quasi un cazzo. Infatti un'intera parete era piena di prodotti italiani artigianali e di alta qualità (dalla pasta di Gragnano ai grissini e ai cuneesi) proprio come se fossimo a una sagra Coldiretti. Il resto del bookshop era roba da merchandise come se la mostra fosse stato un concerto: magliette e felpe di tutti i tipi, gomme da cancellare con la forma dei busti, latte di cioccolatini con la Venere stampata, peluche della lupa (che è diventata tipo un mostriciattolo peloso) e per finire un tovagliolo con sempre la lupa mostricciolo e la scritta "dammi il latte" (perché ha appunto allattato Romolo e Remo).
Cosa non farebbero sti stronzi per vendere...
#c'è della genialità per carità di Dio#ma sono geniali solo in queste cacate del cazzo#che oltretutto ha banalizzato un'intera mostra d'arte#che dire#ps: le immagini della venere e di lucrezia le ho prese dal web sennò mi cacciavano a calci nel culo#my life in tokyo#東京美術館#東京#展示会#美術#イタリア美術
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Non crediate però che io professi un qualsivoglia odio verso i miei simili, al contrario, amo vederli, sentirli, ma faccio il possibile per sottrarmi alla loro influenza, per sentire il suono di una campana è meglio esserne lontani, il rumore troppo ravvicinato assorda.
Ho conosciuto un uomo che una vita movimentata aveva messo a dura prova. Fuggiva la gente piena d’odio ed era solito dire: "Ho guadagnato dalla pratica degli uomini solo un gran scetticismo ed una enorme indulgenza, verso di loro e verso me stesso."
È tutto ciò che vale la vita, credo. Non è abbastanza per piangerla, è troppo per volerla perdere.
- Louis Ferdinand Céline
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un incontro ravvicinato con una cavalletta gigante non era sicuramente nella mia bingo card del 2024 voglio mo
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Cicalone a Genova
Cicalone, per chi non lo conoscesse, è uno youtuber romano con un buon seguito (oltre 600.000 iscritti) che si è creato attraverso contenuti orientati prima allo smascheramento ironico dei fenomeni delle arti marziali (i “krav maghi”, come li chiama lui, quelli che offrono corsi in cui promettono di insegnare mirabolanti tecniche di autodifesa) e poi al racconto ravvicinato della “vita di…
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" Incontro ravvicinato " Castelvecchio Calvisio in notturna . Abruzzo , Italy.
#castelvecchio calvisio#abruzzo#italy#italia#europe#italian photography#robertocastigliaphotography#fox#volpe#night photography#asthetic#history#building#buildings#urban photography#urban landscape#scenic#aesthetic photography#architecture#street photography
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comunque in tutta questa cacchetta che è la vita, ieri Guzzanti ha messo mi piace ad una mia storia in cui l'ho taggato.
probabilmente l'unico incontro ravvicinato con l'uomo della mia vita
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Qui dove ? (Il paradiso)
Montagna✨🥹tra Austria e Cortina, oggi ho avuto anche un incontro ravvicinato con un cerbiatt* haha non so riconoscerli. Meritato riposo dopo un’estate di lavoro❤️
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Giorno 356 Uno dei pochi dibattiti seri fra gli specialisti in questo momento, è se la grande offensiva russa stia per iniziare, oppure se sia in effetti già in atto. Quando è che una tempesta diventa uragano? Naturalmente è questione di convenzioni, altrimenti si rimane in ambito soggettivo. In meteorologia esistono stadi ben precisi di giudizio basati sulla velocità del vento, che consentono una definizione oggettiva; in arte militare la distinzione fra un attacco e un’offensiva rimane vaga, legata ad aspetti più qualitativi che quantitativi (l’attacco è un atto tattico mentre l’offensiva è una postura operativa), che ci rimandano alla vecchia storia per cui l’arte militare è – appunto – un’arte e non una scienza e pertanto non può essere definita e regolata in maniera troppo esatta. Fra l’altro un’offensiva non funziona come nei film, con il generale che dà cerimoniosamente il “via”: segue numerose fasi di sviluppo concettuale, organizzativo ed esecutivo, ed anche la fase condotta inizia per stadi successivi, che prevedono fra l’altro una serie di attività preparatorie. La dottrina occidentale per esempio prevede inizialmente lo “shaping”: una serie di azioni più o meno cinetiche che “ammorbidiscono” l’avversario prima che le manovre offensive vere e proprie abbiano inizio. Queste azioni includono il pre-posizionamento dei dispositivi sia tattici che logistici, l’acquisizione della superiorità aerea e il Targeting intensivo contro gli obiettivi selezionati a priori. Anche la dottrina russa prevede una sorta di “shaping”, che include oltre alla nota intensa preparazione di artiglieria – spesso però indistinguibile dalla normale attività di attrito lungo il fronte – una approfondita ed efficace campagna ibrida per indebolire il morale avversario. Sono settimane che sentiamo parlare di questa nuova, travolgente offensiva che dovrebbe annientare l’Ucraina rovesciando Zelensky e obbligando il suo successore ad un armistizio che lasci i territori occupati alla Russia indefinitamente... E i minions nostrani hanno convenientemente fatto da cassa di risonanza di queste affermazioni, riempiendo i social di previsioni sull’”inevitabilità” della vittoria russa, dovuta come al solito all’infinita supposta disponibilità di risorse a disposizione di Putin e contrapposta agli apparenti enormi problemi ucraini in termini di più o meno tutto. Perfino i noti gravissimi guai della mobilitazione russa sono stati rovesciati, trasformandosi nei gravi problemi ucraini nel reperire personale. Ora, non è che l’Ucraina non abbia i suoi problemi: la campagna anti-corruzione lanciata da Zelensky in supporto alle sue ambizioni europee e le misure contro i renitenti alla leva (assolutamente normali in un Paese in guerra ma ovviamente non in linea con le normali prassi democratiche di uno in pace) offrono ovviamente il fianco a questo tipo di azione ibrida, e l’incapacità occidentale di fornire una voce univoca e soprattutto chiara sugli aiuti militari in atto contribuisce a farli apparire inadeguati. Sta di fatto che lo “shaping” russo per la “grande offensiva” d’inverno è in atto da tempo e che adesso più che prepararla la sta accompagnando. La dottrina russa prevede che un’offensiva in fase condotta passi attraverso diversi stadi, attivati da attori differenti. Il primo “scaglione tattico” conduce un assalto frontale lungo un fronte piuttosto ampio, ingaggiando più forze nemiche possibili e saggiando diversi assi di attacco per individuare un punto debole; il secondo scaglione invece viene lanciato interamente contro il punto debole che si è individuato, vi pratica un varco e lo occupa acquisendo un primo obiettivo importante ma relativamente ravvicinato. Un terzo scaglione, con funzione di riserva, viene impiegato alternativamente per alimentare lo sforzo del secondo, per parare eventuali contrattacchi avversari, e/o per proseguire in profondità verso l’obiettivo successivo, posto maggiormente in profondità. Con tutta probabilità abbiamo recentemente assistito nell’ultima settimana al primo stadio dell’offensiva promessa: abbiamo infatti visto una serie di assalti frontali condotti con estrema veemenza lungo tutto il fronte che investe il Donbas, e in particolare nelle zone di Kremina, a nord e a sud di Bakhmut e nella zona di Vuhledar. Vista l’entità delle forze impiegate – per esempio nel solo attacco a Vuhledar sono state impegnate in ondate successive otto Brigate – non credo ci siano dubbi sul fatto che non si tratti di una finta o di un tentativo di “fissaggio”, quanto di un attacco in piena regola condotto con il massimo impegno nell’intento di conseguire un risultato importante. Naturalmente dal punto di vista giornalistico possiamo scegliere di definire l’inizio della “Grande Offensiva” con l’impiego del secondo “scaglione tattico” nel varco identificato dal primo, e allora in questo caso potremmo dire che l’offensiva deve ancora avere inizio. Ora il fatto è che nell’ultima settimana il fronte non è che si sia spostato di molto: è la ragione per cui finora mi sono astenuto dal fare commenti sulle operazioni in atto, visto che non ci sono risultati da commentare. Questo significa che almeno finora il primo “scaglione tattico” NON ha individuato un punto debole sfruttabile dal secondo. Solo che per cercare di trovarlo ha dissipato un potenziale offensivo notevole, accumulato con fatica attraverso la famosa “mobilitazione parziale” d’autunno. I minions naturalmente protesteranno che si tratta di propaganda occidentale, ma tanto le fonti intelligence (aperte) occidentali che quelle indipendenti come ONYX, ma pure i MilBlogger russi, concordano sul fatto che negli ultimi quindici giorni abbiamo visto le perdite russe più elevate da febbraio scorso (quando a causa dell’inadeguatezza del piano operativo iniziale le perdite dei primi giorni furono folli), e che queste sembrano dovute fondamentalmente all’inadeguatezza tanto dei Comandi tattici (cioè di plotone, compagnia, battaglione e Brigata) che degli stessi soldati, che sconterebbero tutti un addestramento assolutamente insufficiente. Abbiamo parlato estensivamente del problema principale dell’esercito russo: le gravissime perdite subite nei primi mesi e che hanno letteralmente distrutto l’esercito professionale russo determinando l’inevitabilità della mobilitazione, hanno colpito anche e soprattutto i quadri (ufficiali e sergenti), per cui i mobilitati non solo non ricevono addestramento a causa della mancanza di istruttori, ma soprattutto vengono inquadrati e comandati da personale che fino a poche settimane fa ricopriva posizioni non di inquadramento o di Comando. Il risultato non è solo un addestramento scarso, ma soprattutto una capacità di Comando e Controllo del tutto insufficiente, per cui le manovre sul campo risultano erratiche, scoordinate ed assolutamente basiche: tali cioè da provocare perdite elevate in cambio di risultati irrisori. Tanto a Kremina che a Vuhledar l’esito degli attacchi preliminari appare semplicemente disastroso: per l’appunto, perdite elevate in cambio di risultati irrisori. Il tentativo di travolgere il Donbas partendo dalle “ali”, quindi non ci sarà. Non sorprende come l’unico punto in cui i russi abbiano ottenuto qualche risultato sia, ancora una volta, intorno a Bakhmut: in questo settore – guarda caso, sempre l’unico in prossimità di un terminale ferroviario che consenta il rapido rifornimento di munizionamento di artiglieria – si sono registrate modeste penetrazioni di qualche chilometro... Anche se ovviamente Bakhmut stessa (che “sta per cadere” ormai da diversi mesi) è ancora in mano ucraina. Dobbiamo quindi aspettarci l’immissione del “secondo scaglione tattico” nel settore di Bakhmut? Un’avanzata di qualche chilometro non indica esattamente un “punto debole”, e tantomeno uno “sfondamento”, ma è sicuramente meglio di quanto visto altrove, quindi è probabile. Le previsioni meteorologiche non sono favorevoli ad operazioni manovrate in profondità a marzo, e l’imminente arrivo dei razzi americani da 150 Km di gittata rischia di ridurre di molto il rateo di fuoco dell’artiglieria russa, quindi se l’orso Vladimiro spera di conseguire qualche risultato dovrà sbrigarsi. Solo che a questo punto il massimo che può sperare di ottenere dalla sua “grande offensiva”, è riuscire una buona volta a prendere Bakhmut. Una soddisfazione... Orio Giorgio Stirpe #guerrainucraina #Ucraina
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