#Quaderni di conversazione
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“ Alcuni anni fa Marc, un bambino di dieci anni, è venuto in ospedale per un colloquio. Come accade spesso in questi casi, il bambino preoccupava molto le persone che lo circondavano. La famiglia si era decisa a chiedere un colloquio in seguito a un’esperienza negativa in una colonia di vacanze dove un certo comportamento, che fino a quel momento era passato più o meno inosservato, era “esploso”. Un lunedì mattina accolgo quindi questo bambino con i suoi genitori, visibilmente agitati (come la maggioranza dei genitori che accompagnano il figlio in un servizio di psichiatria, la loro angoscia è raddoppiata dalla paura implicita di essere giudicati: “Siamo dei bravi genitori? O saremo considerati delle persone che non hanno saputo educare i loro figli al punto che adesso, per il loro bene, la società dovrà occuparsi di loro?”). Mi raccontano che tutto è cominciato nella colonia di vacanze in cui Marc rifiutava di lavarsi nudo di fronte agli altri bambini. Poi Marc stesso mi spiega che, anche a casa, si fa la doccia vestito con una specie di camicione e che si insapona attraverso il sottile tessuto. Mi spiega poi che gli istruttori della colonia erano molto turbati per quello che raccontava. Marc aveva infatti spiegato, riprende la madre, di essere l’imperatore di un pianeta chiamato Orbuania e che, come imperatore di questo pianeta, veniva ogni giorno sulla terra in osservazione. Ma ogni notte lasciava il suo corpo e tornava nel suo pianeta dove riprendeva la sua normale vita di imperatore. A quel punto chiedo ai genitori se Marc avesse già parlato loro di tutto questo e rispondono che sì, naturalmente gliene aveva parlato. Marc aveva inoltre scritto una serie di quaderni in cui descriveva la vita di Orbuania, che aveva fatto leggere ai suoi insegnanti, i quali trovavano, come del resto i genitori, che sebbene il bambino fosse un po’ ossessionato dalla sua storia, rivelasse in fondo solo di possedere un’immaginazione un po’ troppo fervida. È necessario precisare che Marc aveva rivelato, nei vari test a cui era stato sottoposto in ospedale, un’intelligenza superiore alla media. E agli psicologi che gli avevano sottoposto i test aveva dichiarato di voler parlare del suo impero con qualcuno, ma che non voleva essere trattato “psicologicamente”. Gli ho chiesto perché. Dall’alto dei suoi dieci anni, mi ha risposto che gli psicologi sono persone che non capiscono nulla delle cose, che interpretano tutto e che lui invece desiderava parlare, ma in modo più complesso e profondo, con un adulto che non lo catalogasse. Non credevo alle mie orecchie: quel bambino mi stava dicendo che non voleva essere trattato come un sintomo. Mi diceva molto chiaramente che desiderava parlare, ma che quella conversazione non doveva cadere in un riduzionismo tecnico. Gli dissi immediatamente che io ero uno psicologo, ma che ero anche un filosofo, che la sua storia mi interessava molto e che desideravo parlare con lui anche se non capivo bene perché volesse parlare con qualcuno.
Penso che all’inizio il desiderio di comunicare la sua visione delle cose nascesse da due ragioni ben distinte: da una parte, le persone reagivano male quando lui parlava del suo impero; e dall’altra, siccome in questa storia non tutto gli era completamente chiaro, l’opinione di qualcuno che non lo giudicasse gli era preziosa. Tale fu il nostro primo patto, che restò intatto per oltre dieci anni di lavoro comune e di amicizia reciproca. “Signor imperatore”, è così che ho cominciato molto presto a chiamarlo. Quell’appellativo è diventato il suo nome, o meglio il suo soprannome, che accettava con un certo piacere. E non ero il solo a chiamarlo così: le segretarie, vedendolo arrivare per la sua ora di discussione (non è mai stata una seduta), lo salutavano, senza alcun tono di scherno, dicendogli: “Buongiorno signor imperatore! Un po’ alla volta, Marc mi descriveva il suo pianeta. Parlavamo anche della difficoltà di vivere sulla Terra, una difficoltà che sotto molti aspetti ci accomunava — con lo svantaggio per me che io, contrariamente a lui, non sono imperatore neanche per qualche ora al giorno. Fin dai primi incontri ho chiesto a Marc cosa pensasse della realtà di Orbuania. Sviluppò a questo proposito una teoria che non è mai cambiata nel corso degli anni, anche se con il tempo si è affinata. Orbuania e le sue costellazioni, i pianeti che dipendevano dal suo impero e i suoi nemici esistevano davvero, ma non poteva dimostrarlo. Mi proponeva quindi di adottare, a proposito dell’esistenza del suo impero, la “scommessa di Pascal” riguardo all’esistenza di Dio. Si può immaginare il mio stupore (e non sarebbe stato l’ultimo!) quando udii una tale proposta uscire dalla bocca di un bambino di quell’età! La realtà di Orbuania non dipendeva da una credenza personale, ma dal grado di esistenza determinato dalla necessità che un tale oggetto esistesse... Qualche anno dopo, quando Marc cominciava ad avere il profilo del matematico che è oggi, ha partecipato come uditore ad alcune riunioni, da me coordinate, con due ricercatori (un matematico e un fisico), in vista della stesura di un libro di logica matematica. Tra i soggetti che affrontavamo c’era il problema ontologico dello statuto di esistenza dell’oggetto della scienza. L’imperatore offriva il suo parere sui teoremi fondamentali di Gödel e di Cohen, tra gli altri. E appena poteva ci dava notizie di Orbuania, cosa che incuriosiva al massimo, come si può immaginare, gli scienziati miei complici, assolutamente incapaci di definire ciò che “esiste” o meno, e perfino di saper dire più o meno cosa questa parola significhi. Un giorno ho vissuto un episodio piuttosto comico con l’imperatore. Era un pomeriggio d’estate e faceva molto caldo al Centro; quando Marc arrivò gli proposi di andare a bere qualcosa al bar, come facevamo abbastanza spesso. Al bar quando il cameriere viene a prendere l’ordinazione, chiedo a Marc: “E lei, cosa desidera, signor imperatore?”. Marc risponde e, quando il cameriere si allontana, mi dice in tono protettivo: “Vede, Benasayag, a me non dà nessun fastidio, ma se continua a chiamarmi ‘signor imperatore’ in pubblico, finiranno per pensare che lei è un po’ matto” — e accompagna l’affermazione con un gesto esplicito, puntando l’indice sulla tempia e facendolo ruotare su se stesso. Poco per volta imparavo a capire quando potevo chiamarlo signor imperatore. E lui da parte sua imparava, probabilmente insegnandolo a me, che non tutti sono in grado di capire le interessanti informazioni sul suo pianeta, per la semplice ragione che poche persone sono in grado di comprendere d’acchito i Pensieri di Pascal. Questa storia non deve farci dimenticare ciò che non è ancora stato detto, cioè che Marc non è mai stato medicalizzato, che non è mai stato ospedalizzato in un reparto di psichiatria, né etichettato e non è nemmeno mai rientrato in un programma di integrazione... Solo quando è entrato all’École normale supérieure, dopo aver fatto Matematica superiore e Matematica speciale, gli ho suggerito di dedicarsi alla ricerca anziché all’insegnamento e lui, condividendo il mio parere, ha seguito il mio consiglio. A un certo punto di questa storia con Marc, gli ho proposto di realizzare un breve filmato in cui lui avrebbe descritto il suo impero e spiegato i delicati meccanismi di quel mondo in cui i due sessi non si distinguevano per alcun segno esteriore, essendo entrambi identicamente “piatti”, in cui il partito maggioritario era misogino, in cui le donne (che lui era il solo a poter identificare) erano geneticamente inferiori agli uomini e in cui i membri di un partito anarchico venivano sovvenzionati come clown ufficiali dell’impero. Contrariamente a quanto si potrebbe credere, i racconti di Orbuania non assomigliavano affatto a un romanzo di fantascienza. L’imperatore mi informò piuttosto dettagliatamente, nel corso degli anni, sulla circolazione delle auto, sulle tasse, sull’educazione eccetera. E mi teneva informato sulle interminabili guerre e conflitti che il suo impero intratteneva con le colonie, perché il signor imperatore non era propriamente di sinistra... Marc era molto interessato a realizzare un documentario audiovisivo, a patto che fosse rispettata una condizione preliminare, ovvero che il film non fosse utilizzato come “materiale psichiatrico”. Il documentario poteva essere mostrato a filosofi, ad antropologi o ad altri intellettuali, ma in nessun caso a dei tecnici che non vi avrebbero riconosciuto altro che sintomi, cioè che non vi avrebbero visto, per usare le parole di Marc, “niente”. “
Miguel Benasayag, Gérard Schmit, L'epoca delle passioni tristi, Feltrinelli, 2004 [Libro elettronico]
[ Edizione originale: Les Passions tristes. Souffrance psychique et crise sociale, La Découverte, 2003 ]
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Al Festival Verona Europa 2024 in scena lo spettacolo 'Inno alla gioia'
Al Festival Verona Europa 2024 in scena lo spettacolo 'Inno alla gioia'. Non poteva essere che il celebre brano tratto dalla Nona Sinfonia di Beethoven a dare il titolo al concerto spettacolo in programma oggi, sabato 11 maggio all'interno del Festival Verona Èuropa 2024 promosso da Comune e Università. L'appuntamento è nell'aula magna del Polo Zanotto alle ore 21 con la performance in cui si alterneranno momenti teatrali ed intermezzi musicali che racconteranno le idee e il fermento creativo alla base della composizione di quello che è diventato l'inno che celebra i sentimenti di fratellanza, pace e solidarietà. Gli eventi realmente accaduti, documentati dai quaderni di conversazione utilizzati dal compositore per comunicare con i suoi interlocutori, saranno portati in scena da attori protagonisti accompagnati dalla Compagnia Teatrale Universitaria Teatro a Rotelle, mentre i temi e gli spunti musicali immaginati da Beethoven saranno a cura del Coro e dell'Orchestra dell'Università di Verona. L'evento, promosso dal Comune insieme all'Università, è ad ingresso libero fino ad esaurimento dei posti disponibili. Lo spettacolo di oggi è stato anticipato ieri in Consiglio comunale, aperto con l'Inno alla Gioia interpretato sempre dal Coro dell'Università. "L'edizione di quest'anno del festival si caratterizza anche per la presenza di eventi culturali e di spettacolo rivolti a tutta la cittadinanza – ha detto il consigliere comunale con delega alle Politiche europee-. L'obiettivo del Festival è infatti creare partecipazione e pensiero europeo attraverso tutti gli strumenti a disposizione, parlando sì di istituzioni e meccanismi politici e finanziari ma coinvolgendo anche le realtà culturali e collaborando con loro". "Portare l'iniziativa in Consiglio comunale va nella direzione di creare un legame tra attività culturali e di significato europeo alle attività amministrative che il Comune quotidianamente porta avanti per la città di Verona", ha aggiunto il presidente del Consiglio Comunale. Presenti in conferenza stampa la presidente del Coro dell'Università Marta Fiorini e la referente del progetto Chiara Della Libera. Tutto il programma del festival è sul sito del Comune di Verona.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Foligno, Musica tra le righe: i "Quaderni di conversazione" di Beethoven
Foligno, Musica tra le righe: i “Quaderni di conversazione” di Beethoven
Sandro Cappelletto A Foligno secondo appuntamento, martedì 6 dicembre, ore 18, Auditorium San Domenico, per Musica tra le righe, la mini rassegna che gli Amici della Musica di Foligno dedicano alla musica dal vivo e ai libri. La Stagione ospiterà così una delle primissime tappe – la seconda dopo la “prima” romana – della presentazione di un volume che appare per la prima volta nelle librerie…
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Stanotte ho scritto… Ormai ho più quaderni che pensieri.
Ho scritto di te, mi manchi, ma cosa mi manca effettivamente?
Avevamo una conversazione basica con le solite domande; quasi di abitudine no per interesse, almeno da parte tua.
Forse un po’ mi manca la tua risata… quando ti dicevo di rallentare perché non ti capivo. Ya
Y ahora ci guardiamo le historias de la otras sin escribirnos nada.
Las dos en línea, tú orgullo te hace perder solo tiempo.
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Stefano Sorci gestisce un pub in provincia di Latina, prendetevi cinque minuti e leggete questo suo bel post, divenuto giustamente virale, ne vale davvero la pena.
I ragazzi alla ribalta delle cronache sono stati anche da me, era una sera d’inizio estate.
È stata una mezz’ora, sul tardi, e non è successo nulla di particolare.
Eppure, tutti i presenti, quella mezz’ora se la ricordano bene. Anzi, ne ricordano bene i primi dieci minuti, quelli sufficienti a fargli passare la voglia di restare.
Eravamo seduti tutti fuori, e ci siamo girati improvvisamente a guardare il Suv che sbucava dall’arco a tutta velocità per poi inchiodare a due metri dai tavolini.
Sono scesi in 5 col classico atteggiamento spavaldo di chi a 25 anni gira col Suv, in gruppo, coi capelli tinti, le catene al collo, i vestiti firmati, i bicipiti tirati a lucido e le sopracciglia appena disegnate.
Quando fai il mio lavoro da anni, ti accorgi che su quella storia dell’abito e del monaco qualcuno ci ha ricamato sopra allegramente.
È calato subito il silenzio, sono stato costretto ad alzarmi quando ho sentito un poco promettente “chi è che comanda qua dentro?”, detto dal primo che si era affacciato sulla porta.
Sono andato verso il bancone senza neanche rispondere, mentre loro mi seguivano dicendo “ah, ecco, comanda lui, è questo qua”.
Poi è iniziato il giro di strette di mano, di quelli “ci tengo a dirti chi sono e devo capire chi sei tu”.
Hanno iniziato a fare mille domande, prima sugli orari di apertura di tutti i locali del paese, poi sulle birre, sul modo in cui si lavano i bicchieri, sulla quantità della schiuma.. c’era un’atmosfera pesantissima, era una conversazione di quelle finte che girano intorno a qualcosa, sembrava un film di Tarantino ed io mi sentivo come Brett che spiega a Samuel L. Jackson la provenienza del suo hamburger, prima di sentirsi recitare Ezechiele a memoria.
Ho visto con la coda dell’occhio tutti i tavoli fuori svuotarsi, le persone buttare un occhio dentro e andar via, e, mentre cercavo di rispondere alle domande, loro hanno iniziato a fare una gara di rutti sopra la mia voce a cui non ho reagito in nessun modo. Non contenti del mio restare impassibile, hanno proseguito la provocazione iniziando a rimproverarsi a vicenda, “non si fa così, non ci facciamo riconoscere, se ruttiamo poi sembra che manchiamo di rispetto a lui che comanda! Dobbiamo chiedere scusa!”
Ho servito le birre come nulla fosse, e ricordo bene l’espressione di quello che ha messo mano al portafogli e mi ha chiesto “quant’è”, senza il punto di domanda e senza guardarmi. La stessa espressione che rivedo in ogni post di questi giorni.
Hanno bevuto, hanno fatto casino, hanno brindato, hanno ruttato, e sono ripartiti sgommando col Suv, come cani che hanno appena pisciato su un territorio nuovo e se ne vanno soddisfatti.
Ho chiuso a chiave e mi sono diretto a casa, ho iniziato a tranquillizzarmi soltanto lì.
Ho pensato con rabbia alla mia vigliaccheria, al mio non aver proferito parola, al mio averli serviti con educazione mentre mi mancavano palesemente di rispetto in casa mia, e anche al fatto che avevano la metà dei miei anni.
Ho pensato che avevo soltanto chinato il capo davanti alla prepotenza.
Poi ho sperato di non vederli più, perché se fossero tornati non avrei sicuramente reagito neanche la seconda volta, e ho pensato che avevo avuto paura. Semplicemente. Tristemente.
Oggi, ripensandoci alla luce dei fatti recenti, forse non me ne vergogno più, provo solo una stima enorme per Willy e per la sua sterminata mole di coraggio racchiusa in uno scricciolo d’uomo.
E so che non c’entrano Gomorra, Tarantino, Romanzo Criminale, non c’entrano internet, la Trap o le arti marziali, così come ai tempi miei non c’entravano Dylan Dog, il Rap, le sale giochi.
C’entrano le istituzioni, c’entrano i genitori, c’entra la scuola, la storia è sempre la stessa, ma non la studiamo mai.
Il resto sono stronzate, e cercare dei colpevoli ci alleggerisce sempre.
Io me la ricordo quella mattina in terza elementare, quando non ho saputo elencare a memoria le province del Piemonte, me li ricordo quei pomeriggi in lacrime a scrivere quaderni di verbi e coniugazioni, me le ricordo le parole di mia madre quando ho preso quel 3 al compito di Latino, e ricordo pure la sua espressione quando a 16 anni mi ha beccato un giornaletto pornografico sotto al letto, ricordo le raccomandazioni di mio fratello più grande quando mi diceva che alla scuola pubblica sarebbe stato tutto diverso, e ricordo quando i miei gli trovarono un pacchetto di cartine nelle tasche dei jeans, ricordo mio padre di notte sul divano, nero di rabbia, che fumava e non mi salutava quando a 20 anni tornavo a casa in ritardo su un coprifuoco che trovavo assurdo.
Ricordo i loro occhi dopo aver discusso la mia tesi di laurea, e poi la loro faccia quando ho stappato una bottiglia di Prosecco per festeggiare, sapendo che sarei tornato a casa tardi e in macchina.
Ricordo i loro sacrifici per comprarmela, quella macchina usata che conservo ancora oggi e che in un bilancio familiare di 4 persone e uno stipendio da infermiere proprio non poteva starci.
Credo di aver preso un solo schiaffo da loro, in tutta la mia vita, ma non me ne sono mai serviti altri.
Mi è servito il loro esempio, ho avuto bisogno dei loro insegnamenti, delle loro rinunce per permettermi di studiare.
Siamo tutti figli di una società, ma soprattutto siamo tutti figli, e la società la facciamo noi. Chiudiamo la bocca e apriamo le orecchie, magari troveremo anche il tempo di leggere un buon libro, potremmo continuare ad aver paura ma essere comunque dei piccoli eroi.
Roma 12.9.2020
Ottimo, Stefano, trenta e lode.
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Cose che puoi fare quando non hai voglia di scrivere - Parte I
Dopo aver finito la nuova stesura de Le conseguenze impreviste del whiskey, per qualche giorno mi sono ritrovata con poca voglia di scrivere. Mi capita spesso quando mi viene a mancare la spinta di un vecchio progetto e ho paura di iniziarne uno nuovo, così ho preparato una lista di piccole cose da fare per lavorare alla scrittura anche quando non ne ho voglia. Spero che possa tornare utile anche a voi!
1. Scrivi una poesia
Senza troppe pretese, può essere breve o lunga quanto vuoi. Ti basta scegliere un argomento. Non devi per forza scrivere di amore, tragedie o angoscia esistenziale; puoi anche mettere in poesia la tua lista della spesa, o la tua lettera di presentazione per un’offerta di lavoro. Non farti limitare da ciò che ritieni sia “adatto” a una poesia. Sperimenta immagini e punti di vista particolari: ricorda, proprio come in una storia l’io narrante puoi anche non essere tu! Se vuoi puoi anche provare le forme metriche più tradizionali. A volte sottoporsi a regole rigide è il modo migliore per riaccendere l’ispirazione.
2. Prova la flash fiction
Non c’è bisogno di tante parole per scrivere una storia. La flash fiction è un genere di storie molto brevi. Prova a scrivere una storia che entri in una sola pagina, o perfino in una sola frase. Come la poesia, anche la flash fiction è molto versatile e ti insegnerà a scegliere le parole più efficaci quando scriverai storie più lunghe. Inoltre sono così brevi che è facile scriverne tante e notare i miglioramenti. Sono anche un ottimo modo per trovare nuove idee, che in seguito potrai eventualmente sviluppare.
3. Parla delle tue storie con qualcuno
Per mia esperienza personale, non c’è modo migliore per riaccendere l’entusiasmo nei confronti di un progetto che parlarne con qualcuno. Ancora meglio se è qualcuno di cui ti fidi e che supporta la tua passione. Ti aiuterà a mettere i pensieri in parole prima ancora di metterli su carta ed è un ottimo modo per far rimbalzare le idee. Raccontagli la tua idea e parlagli dei tuoi personaggi, ma soprattutto ascolta le sue domande: quasi sicuramente ti chiederà qualcosa di cui non sai ancora la risposta. A quel punto non ti resta che trovarla.
4. Fai journaling
Prendi un quaderno e scrivi quello che senti, le tue paure, le tue frustrazioni, i tuoi pensieri sulla scrittura, cosa ti sta impedendo di scrivere, cosa vorresti provare la prossima volta che scriverai e cosa puoi fare per arrivarci... Una volta che avrai tirato fuori quello che hai dentro, se il tuo era un blocco psicologico potresti ritrovare le energie per scrivere. In ogni caso ti sentirai meglio. Io trovo che fare journaling a mano aiuti, ma puoi anche farlo al computer.
5. Usa un prompt di scrittura
In passato non sono mai stata una grande fan dei prompt. Ne ho collezionati tantissimi perché prima o poi mi sarebbero potuti tornare utili (ce ne sono di molto belli: ne trovate un po’ sulla mia bacheca Pinterest), ma non ho mai sentito il bisogno di usarli. Lo scorso autunno però ho partecipato al Writober e ho scritto ogni giorno seguendo un prompt diverso e, per quanto all’apparenza semplici, mi hanno portato in luoghi inaspettati. Un prompt potrebbe riaccendere la tua ispirazione e farti scrivere qualcosa che non avresti mai immaginato. Anche scrivere la storia dietro a una fotografia funziona molto bene allo scopo.
6. Disegna uno dei tuoi personaggi
Se ti piace disegnare, ritrarre uno dei tuoi personaggi potrebbe essere un ottimo modo per conoscerli meglio, approfondire il loro aspetto fisico, i loro gesti, il loro modo di vestire... Trovo che questa sia una buona soluzione per i casi più estremi di ansia da scrittura, e un ottimo modo per riprendere fiato pur restando in contatto con la propria storia. Se il risultato è buono, avrai anche qualcosa da condividere con i tuoi lettori!
7. Fai ricerca
Approfitta di questo momento di pausa dalla scrittura per imparare qualcosa di nuovo. Se c’è un argomento che ti appassiona e che hai sempre pensato offrirebbe uno spunto interessante, o se c’è qualcosa che sai comparirà nella tua prossima storia ma di cui non sai abbastanza, fai una ricerca. Puoi usare internet o prendere in prestito dei saggi in biblioteca, ma non sottovalutare le conoscenze e l’esperienza delle persone vicine a te. A volte una conversazione mirata con un amico, un parente o un conoscente può fornirti molti dettagli da usare nella tua scrittura. Non dimenticare di prendere appunti!
8. Organizza i tuoi appunti e i tuoi file
A proposito di appunti, probabilmente avrai una mole di annotazioni sparpagliate tra quaderni, fogli e documenti nel tuo computer. Prenditi un momento per riorganizzarli, eliminare i doppioni e gettare quello che non ti serve più. Se usi supporti cartacei, considera l’idea di creare un raccoglitore ad anelli per organizzare i tuoi appunti in categorie o usa un quaderno diverso per ogni progetto. Se invece usi il computer, dividi i tuoi documenti in cartelle e sottocartelle a seconda del progetto: trova anche un modo per uniformare i nomi dei file, così saprai sempre cosa contengono e dove trovare quello che ti serve.
9. Rileggi i tuoi appunti e prova a svilupparli
Riprendi in mano i vecchi appunti per un libro o un racconto, rileggili e prova ad aggiungere nuovi elementi per sviluppare ulteriormente l’idea: potresti pensare a nuove scene, approfondire un personaggio o creare nuovi elementi dell’ambientazione. Potrebbe aiutarti a riaccendere il tuo interesse per il progetto e diventare la base di partenza per riprendere a scrivere.
10. Crea una banca delle idee
Si tratta di una lista in cui conservare tutte le idee che non sono ancora confluite in progetto. Una banca delle idee può contenere qualsiasi cosa: pezzi di descrizione, immagini e parole che ti piacerebbe usare, frasi che ti hanno colpito, stralci di dialogo, possibili titoli, nomi interessanti, dettagli per caratterizzare un personaggio... Ogni volta che ti viene un’idea e non sai cosa farci, mettila in banca per utilizzarla in seguito. Scorri la banca delle idee ogni volta che sei in cerca di ispirazione: alcune potrebbero cliccare insieme e dare vita a una nuova storia.
In arrivo prossimamente la Parte II. Restate in ascolto.
–Silvia
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Odio chi si mette in mezzo.
Odio chi ti scrive tutto il programma che farà da oggi fino alla fine dell'estate. Odio chi si programma le cose, chi mi dice ogni singola cosa di ciò che sta per fare e sta facendo. Non me ne frega niente, possibile che mi debba scrivere anche quando stai sul cesso?
Odio chi, pur essendo tanto forte, mostra di essere tanto debole quanto una foglia, chi ingigantisce le cose e chi deve per forza far pena alla gente, perché la sua vita, la sua intera e unica vita fa schifo. Sentite, i momenti no ce li abbiamo tutti, son duri certi giorni ma è proprio dura la vita, perciò è inutile fare le vittime perché questo atteggiamento può dar solo che fastidio alle altre persone.
Odio chi dà la colpa agli altri anche quando non è così mai nella vita,chi per una scemenza ne fa un dramma e chi pensa che la sua vita possa essere tanto figa così da snobbare gli altri.
Non mi trovo con gran parte delle persone, lo so, ma più di tutto, non sopporto le persone che non lasciano libere di fare ciò che gli altri vogliono. Ma perché devo per forza risponderti anche quando non voglio?
Odio chi è talmente, così pesante da rendere e dico tutto così noioso che vi prego voglio sparire. "Na botta di vita dddaaai"
Odio chi è così scettico da non capirmi mai del tutto. Odio chi non mi dà ragione quando le cose son palesi, chi con una scusa se la cava anche se alle volte questa non è del tutto plausibile.
Odio, io odio con tutto il mio cuore chi non ci mette un po' di gentilezza, premura, parsimonia ed intelligenza nelle cose che fa.
Odio le persone costruite,
Chi fa di tutto un fascio d'erba,
Odio le persone che rubano i sogni agli altri, che fanno credere agli di essere tanto bravi ma in realtà è tutto fumo e niente arrosto.
Odio le persone che ti ci fanno sentire per poi dirti "no scusa" "mi dispiace non volevo"
Chi in questo modo si sente un po' diverso ma è uguale a tutti gli altri.
Chi si nasconde dietro una maschera non si sa per quale motivo.
Chi è così falso da scherzarci su, su ogni tipo di circostanza.
Odio chi non dice le cose chiare e tonde, perché vuol far impazzire gli altri, chi si fa i complessi per cose prettamente inutili, chi minimizza le robe importanti, chi rende tutto così fottutamente difficile anche se le cose si vendono lontano un miglio.
E odio un sacco di cose si, il caldo afoso, la gente che urla per parlare, chi è troppo nervoso anche nelle festività, nei giorni tranquilli.
Odio chi detta le regole solamente perché la loro opinione è l'unica che conta, ignaro del fatto che il "dirittto di parola" esiste per una ragione e le opinioni si fa bene ad ascoltarle.
Odio così tante cose in questa terra che forse sarà meglio che schiatti no?
Dovrei scriverne un libro delle cose che odio ma forse il mio unico problema è che non riesco a capire la gente e farmi capire.
Ho già detto che odio chi visualizza e non risponde no? Chi reputa che la conversazione sia finita anche quando non è così.
Odio, io odio la scienza così da prendermela a settembre per ben due volte.
Odio le materie orali, i voti che a cosa servono ancora non lo so, i ragazzi che alle volte sembran bambini che fanno rumore, che si scannano, che giocano con le palline di carta stagnola.
Chi non dice la propria accennando un "non importa" "non è niente" quando in realtà è tutto ed importa.
Odio con tutto il mio cuore le penne che non scrivono, che son dure, che scrivono chiaro o che lasciano troppo inchiostro; odio le pieghe nei libri nei quaderni anche se son consapevole di farlo anch'io per segnarmi i concetti buoni.
Odio quando scrivo male, e lo so son complessata ma è così.
Odio strappare i "foglietti di carta" in qualche quaderno tenuto come l'oro.
E lo so, ho scritto cose a caso, forse non collegate bene tra loro.
Ma that's the life e faccio quello che voglio, scrivo ciò che voglio.
E le cose che odio al diavolo.
Vaffanculo.
E buon proseguimento a tutti.
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connorxnadja 1.2
Ossessionato dal conoscere il contenuto di quei diari, una volta finito di trascrivere il primo, iniziò immediatamente a leggerlo. Non era costante, o almeno così gli pareva, in realtà seguiva uno schema. Aggiornato ogni mercoledì o venerdì, con un’alternanza a gruppi di multipli di cinque o di tre. Era sicuro che l’artefice di questi avesse sicuramente un disturbo ossessivo compulsivo, non sapeva solo, però, la gravità di esso. Stava studiando quelle pagine come se ad averle riempite fosse stato un suo paziente. Ancora non aveva capito il genere della persona che scriveva, ma alcuni degli indizi che non volendo l’autore aveva lasciato in alcune delle pagine l’aveva portato ad ipotizzare una neurodivergenza. Non aveva mai avuto pazienti di questo tipo in età adulta. Sedeva ad un tavolo della mensa insieme ad alcuni colleghi che intrattenevano una conversazione i cui argomenti rimasero a lui ancora ignoti. Puntellava la forchetta in quelle che dovevano essere verdure, del tutto insapori, mangiava distrattamente mentre i suoi occhi saettavano da una parte all’altra della pagina per divorare voracemente ogni parola.
New York, 2 marzo 2016, sereno C’è un nuovo medico in ospedale. In realtà non è nuovo, ma è stato via diverso tempo per lavoro, credo. Non gliel’ho chiesto, mi hanno detto che sarebbe stato scortese. E’ un ginecologo, ho scoperto che aveva una brutta reputazione, per via di storielle avute con altre colleghe. Mi hanno anche detto che non bisogna avere relazioni con i propri colleghi poiché pericoloso. Non ho capito di che tipo di pericolo si tratti, credo parlassero della instabilità mentale molto diffusa in questo Paese; non ne sono sicura, ma credo al 98% sia una questione di statistica. Siamo rimasti a parlare anche dopo la fine del turno, sembrava entusiasta di ricominciare, probabilmente in ginecologia non ci sono così tante persone depresse e malati terminali. Sembra simpatico, magari una volta lo invito fuori al pub con gli altri colleghi, i tumori all’utero potrebbero essere un argomento in comune su cui disquisire amabilmente. Oggi non è andata benissimo. La chemio ha sortito praticamente nessun effetto su Mr. Anderson e con la sua assicurazione è difficile che possa inserirlo in qualche programma di ricerca con farmaci sperimentali. E’ difficile, non pensavo che per fare il medico avrei dovuto anche preoccuparmi delle condizioni legali ed assicurative di qualcuno per assicurarmi che possa avere le cure che gli spettano. Sono un po’ stanca. Ho finito questa domenica di montare tutti i mobili ed ora posso dire di avere una casa completamente arredata. Mi sembra di vivere nell’appartamento di una persona ricca. Nient’altro da aggiungere. Si concludeva in quel modo, ogni pagina. Un bene, per lui che aveva dovuto decifrare ogni simbolo di quei quaderni. Sorrise, nel realizzare che l’eroe della sua storia era un medico come lui.
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I ragazzi alla ribalta delle cronache sono stati anche da me, era una sera d’inizio estate. È stata una mezz’ora, sul tardi, e non è successo nulla di particolare. Eppure, tutti i presenti, quella mezz’ora se la ricordano bene. Anzi, ne ricordano bene i primi dieci minuti, quelli sufficienti a fargli passare la voglia di restare. Eravamo seduti tutti fuori, e ci siamo girati improvvisamente a guardare il Suv che sbucava dall’arco a tutta velocità per poi inchiodare a due metri dai tavolini. Sono scesi in 5 col classico atteggiamento spavaldo di chi a 25 anni gira col Suv, in gruppo, coi capelli tinti, le catene al collo, i vestiti firmati, i bicipiti tirati a lucido e le sopracciglia appena disegnate. Quando fai il mio lavoro da anni, ti accorgi che su quella storia dell’abito e del monaco qualcuno ci ha ricamato sopra allegramente. È calato subito il silenzio, sono stato costretto ad alzarmi quando ho sentito un poco promettente “chi è che comanda qua dentro?”, detto dal primo che si era affacciato sulla porta. Sono andato verso il bancone senza neanche rispondere, mentre loro mi seguivano dicendo “ah, ecco, comanda lui, è questo qua”. Poi è iniziato il giro di strette di mano, di quelli “ci tengo a dirti chi sono e devo capire chi sei tu”. Hanno iniziato a fare mille domande, prima sugli orari di apertura di tutti i locali del paese, poi sulle birre, sul modo in cui si lavano i bicchieri, sulla quantità della schiuma.. c’era un’atmosfera pesantissima, era una conversazione di quelle finte che girano intorno a qualcosa, sembrava un film di Tarantino ed io mi sentivo come Brett che spiega a Samuel L. Jackson la provenienza del suo hamburger, prima di sentirsi recitare Ezechiele a memoria. Ho visto con la coda dell’occhio tutti i tavoli fuori svuotarsi, le persone buttare un occhio dentro e andar via, e, mentre cercavo di rispondere alle domande, loro hanno iniziato a fare una gara di rutti sopra la mia voce a cui non ho reagito in nessun modo. Non contenti del mio restare impassibile, hanno proseguito la provocazione iniziando a rimproverarsi a vicenda, “non si fa così, non ci facciamo riconoscere, se ruttiamo poi sembra che manchiamo di rispetto a lui che comanda! Dobbiamo chiedere scusa!” Ho servito le birre come nulla fosse, e ricordo bene l’espressione di quello che ha messo mano al portafogli e mi ha chiesto “quant’è”, senza il punto di domanda e senza guardarmi. La stessa espressione che rivedo in ogni post di questi giorni. Hanno bevuto, hanno fatto casino, hanno brindato, hanno ruttato, e sono ripartiti sgommando col Suv, come cani che hanno appena pisciato su un territorio nuovo e se ne vanno soddisfatti. Ho chiuso a chiave e mi sono diretto a casa, ho iniziato a tranquillizzarmi soltanto lì. Ho pensato con rabbia alla mia vigliaccheria, al mio non aver proferito parola, al mio averli serviti con educazione mentre mi mancavano palesemente di rispetto in casa mia, e anche al fatto che avevano la metà dei miei anni. Ho pensato che avevo soltanto chinato il capo davanti alla prepotenza. Poi ho sperato di non vederli più, perché se fossero tornati non avrei sicuramente reagito neanche la seconda volta, e ho pensato che avevo avuto paura. Semplicemente. Tristemente. Oggi, ripensandoci alla luce dei fatti recenti, forse non me ne vergogno più, provo solo una stima enorme per Willy e per la sua sterminata mole di coraggio racchiusa in uno scricciolo d’uomo. E so che non c’entrano Gomorra, Tarantino, Romanzo Criminale, non c’entrano internet, la Trap o le arti marziali, così come ai tempi miei non c’entravano Dylan Dog, il Rap, le sale giochi. C’entrano le istituzioni, c’entrano i genitori, c’entra la scuola, la storia è sempre la stessa, ma non la studiamo mai. Il resto sono stronzate, e cercare dei colpevoli ci alleggerisce sempre. Io me la ricordo quella mattina in terza elementare, quando non ho saputo elencare a memoria le province del Piemonte, me li ricordo quei pomeriggi in lacrime a scrivere quaderni di verbi e coniugazioni, me le ricordo le parole di mia madre quando ho preso quel 3 al compito di Latino, e ricordo pure la sua espressione quando a 16 anni mi ha beccato un giornaletto pornografico sotto al letto, ricordo le raccomandazioni di mio fratello più grande quando mi diceva che alla scuola pubblica sarebbe stato tutto diverso, e ricordo quando i miei gli trovarono un pacchetto di cartine nelle tasche dei jeans, ricordo mio padre di notte sul divano, nero di rabbia, che fumava e non mi salutava quando a 20 anni tornavo a casa in ritardo su un coprifuoco che trovavo assurdo. Ricordo i loro occhi dopo aver discusso la mia tesi di laurea, e poi la loro faccia quando ho stappato una bottiglia di Prosecco per festeggiare, sapendo che sarei tornato a casa tardi e in macchina. Ricordo i loro sacrifici per comprarmela, quella macchina usata che conservo ancora oggi e che in un bilancio familiare di 4 persone e uno stipendio da infermiere proprio non poteva starci. Credo di aver preso un solo schiaffo da loro, in tutta la mia vita, ma non me ne sono mai serviti altri. Mi è servito il loro esempio, ho avuto bisogno dei loro insegnamenti, delle loro rinunce per permettermi di studiare. Siamo tutti figli di una società, ma soprattutto siamo tutti figli, e la società la facciamo noi. Chiudiamo la bocca e apriamo le orecchie, magari troveremo anche il tempo di leggere un buon libro, potremmo continuare ad aver paura ma essere comunque dei piccoli eroi.
Stefano Sorci on Facebook
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Alcuni anni fa Marc, un bambino di dieci anni, è venuto in ospedale per un colloquio. Come accade spesso in questi casi, il bambino preoccupava molto le persone che lo circondavano. La famiglia si era decisa a chiedere un colloquio in seguito a un’esperienza negativa in una colonia di vacanze dove un certo comportamento, che fino a quel momento era passato più o meno inosservato, era “esploso”. Un lunedì mattina accolgo quindi questo bambino con i suoi genitori, visibilmente agitati (come la maggioranza dei genitori che accompagnano il figlio in un servizio di psichiatria, la loro angoscia è raddoppiata dalla paura implicita di essere giudicati: “Siamo dei bravi genitori? O saremo considerati delle persone che non hanno saputo educare i loro figli al punto che adesso, per il loro bene, la società dovrà occuparsi di loro?”). Mi raccontano che tutto è cominciato nella colonia di vacanze in cui Marc rifiutava di lavarsi nudo di fronte agli altri bambini. Poi Marc stesso mi spiega che, anche a casa, si fa la doccia vestito con una specie di camicione e che si insapona attraverso il sottile tessuto. Mi spiega poi che gli istruttori della colonia erano molto turbati per quello che raccontava. Marc aveva infatti spiegato, riprende la madre, di essere l’imperatore di un pianeta chiamato Orbuania e che, come imperatore di questo pianeta, veniva ogni giorno sulla terra in osservazione. Ma ogni notte lasciava il suo corpo e tornava nel suo pianeta dove riprendeva la sua normale vita di imperatore. A quel punto chiedo ai genitori se Marc avesse già parlato loro di tutto questo e rispondono che sì, naturalmente gliene aveva parlato. Marc aveva inoltre scritto una serie di quaderni in cui descriveva la vita di Orbuania, che aveva fatto leggere ai suoi insegnanti, i quali trovavano, come del resto i genitori, che sebbene il bambino fosse un po’ ossessionato dalla sua storia, rivelasse in fondo solo di possedere un’immaginazione un po’ troppo fervida. E’ necessario precisare che Marc aveva rivelato, nei vari test a cui era stato sottoposto in ospedale, un’intelligenza superiore alla media. E agli psicologi che gli avevano sottoposto i test aveva dichiarato di voler parlare del suo impero con qualcuno, ma che non voleva essere trattato “psicologicamente”. Gli ho chiesto perché. Dall’alto dei suoi dieci anni, mi ha risposto che gli psicologi sono persone che non capiscono nulla delle cose, che interpretano tutto e che lui invece desiderava parlare, ma in modo più complesso e profondo, con un adulto che non lo catalogasse. Non credevo alle mie orecchie: quel bambino mi stava dicendo che non voleva essere trattato come un sintomo. Mi diceva molto chiaramente che desiderava parlare, ma che quella conversazione non doveva cadere in un riduzionismo tecnico. Gli dissi immediatamente che io ero uno psicologo, ma che ero anche un filosofo, che la sua storia mi interessava molto e che desideravo parlare con lui anche se non capivo bene perché volesse parlare con qualcuno. Penso che all’inizio il desiderio di comunicare la sua visione delle cose nascesse da due ragioni ben distinte: da una parte, le persone reagivano male quando lui parlava del suo impero; e dall’altra, siccome in questa storia non tutto gli era completamente chiaro, l’opinione di qualcuno che non lo giudicasse gli era preziosa. Tale fu il nostro primo patto, che restò intatto per oltre dieci anni di lavoro comune e di amicizia reciproca. “Signor imperatore”, è così che ho cominciato molto presto a chiamarlo. Quell’appellativo è diventato il suo nome, o meglio il suo soprannome, che accettava con un certo piacere. E non ero il solo a chiamarlo così: le segretarie, vedendolo arrivare per la sua ora di discussione (non è mai stata una seduta), lo salutavano, senza alcun tono di scherno, dicendogli: “Buongiorno signor imperatore! Un po’ alla volta, Marc mi descriveva il suo pianeta. Parlavamo anche della difficoltà di vivere sulla Terra, una difficoltà che sotto molti aspetti ci accomunava — con lo svantaggio per me che io, contrariamente a lui, non sono imperatore neanche per qualche ora al giorno. Fin dai primi incontri ho chiesto a Marc cosa pensasse della realtà di Orbuania. Sviluppò a questo proposito una teoria che non è mai cambiata nel corso degli anni, anche se con il tempo si è affinata. Orbuania e le sue costellazioni, i pianeti che dipendevano dal suo impero e i suoi nemici esistevano davvero, ma non poteva dimostrarlo. Mi proponeva quindi di adottare, a proposito dell’esistenza del suo impero, la “scommessa di Pascal” riguardo all’esistenza di Dio. Si può immaginare il mio stupore (e non sarebbe stato l’ultimo!) quando udii una tale proposta uscire dalla bocca di un bambino di quell’età! La realtà di Orbuania non dipendeva da una credenza personale, ma dal grado di esistenza determinato dalla necessità che un tale oggetto esistesse... Qualche anno dopo, quando Marc cominciava ad avere il profilo del matematico che è oggi, ha partecipato come uditore ad alcune riunioni, da me coordinate, con due ricercatori (un matematico e un fisico), in vista della stesura di un libro ‘di logica matematica. Tra i soggetti che affrontavamo c’era il problema ontologico dello statuto di esistenza dell’oggetto della scienza. L’imperatore offriva il suo parere sui teoremi fondamentali di Gòdel e di Cohen, tra gli altri. E appena poteva ci dava notizie di Orbuania, cosa che incuriosiva al massimo, come si può immaginare, gli scienziati miei complici, assolutamente incapaci di definire ciò che “esiste” o meno, e perfino di saper dire più o meno cosa questa parola significhi. Un giorno ho vissuto un episodio piuttosto comico con l’imperatore. Era un pomeriggio d’estate e faceva molto caldo al Centro; quando Marc arrivò gli proposi di andare a bere qualcosa al bar, come facevamo abbastanza spesso. Al bar quando il cameriere viene a prendere l’ordinazione, chiedo a Marc: “E lei, cosa desidera, signor imperatore?”. Marc risponde e, quando il cameriere si allontana, mi dice in tono protettivo: “Vede, Benasayag, a me non dà nessun fastidio, ma se continua a chiamarmi ‘signor imperatore’ in pubblico, finiranno per pensare che lei è un po’ matto” — e accompagna l’affermazione con un gesto esplicito, puntando l’indice sulla tempia e facendolo ruotare su se stesso. Poco per volta imparavo a capire quando potevo chiamarlo signor imperatore. E lui da parte sua imparava, probabilmente insegnandolo a me, che non tutti sono in grado di capire le interessanti informazioni sul suo pianeta, per la semplice ragione che poche persone sono in grado di comprendere d’acchito i Pensieri di Pascal. Questa storia non deve farci dimenticare ciò che non è ancora stato detto, cioè che Marc non è mai stato medicalizzato, che non è mai stato ospedalizzato in un reparto di psichiatria, né etichettato e non è nemmeno mai rientrato in un programma di integrazione... Solo quando è entrato all’École normale supérieure, dopo aver fatto Matematica superiore e Matematica speciale, gli ho suggerito di dedicarsi alla ricerca anziché all’insegnamento e lui, condividendo il mio parere, ha seguito il mio consiglio. A un certo punto di questa storia con Marc, gli ho proposto di realizzare un breve filmato in cui lui avrebbe descritto il suo impero e spiegato i delicati meccanismi di quel mondo in cui i due sessi non si distinguevano per alcun segno esteriore, essendo entrambi identicamente “piatti”, in cui il partito maggioritario era misogino, in cui le donne (che lui era il solo a poter identificare) erano geneticamente inferiori agli uomini e in cui i membri di un partito anarchico venivano sovvenzionati come clown ufficiali dell’impero. Contrariamente a quanto si potrebbe credere, i racconti di Orbuania non assomigliavano affatto a un romanzo di fantascienza. L’imperatore mi informò piuttosto dettagliatamente, nel corso degli anni, sulla circolazione delle auto, sulle tasse, sull’educazione eccetera. E mi teneva informato sulle interminabili guerre e conflitti che il suo impero intratteneva con le colonie, perché il signor imperatore non era propriamente di sinistra... Marc era molto interessato a realizzare un documentario audiovisivo, a patto che fosse rispettata una condizione preliminare, ovvero che il film non fosse utilizzato come “materiale psichiatrico”. Il documentario poteva essere mostrato a filosofi, ad antropologi o ad altri intellettuali, ma in nessun caso a dei tecnici che non vi avrebbero riconosciuto altro che sintomi, cioè che non vi avrebbero visto, per usare le parole di Marc, “niente”.
Miguel Benasayag, Gérard Schmit, L'epoca delle passioni tristi, Feltrinelli, 2004 [Libro elettronico]
[ Edizione originale: Les Passions tristes. Souffrance psychique et crise sociale, La Découverte, 2003 ]
#Miguel Benasayag#Gérard Schmit#L'epoca delle passioni tristi#disabilità#Benasayag#società#psicologia#citazioni#leggere#letture#saggistica#saggi#salute#disagio#disagio mentale#disagio psicologico#salute mentale
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Verona: al via la kermesse letteraria "Libri e rose" con alcuni degli autori contemporanei più amati
Verona: al via la kermesse letteraria "Libri e rose" con alcuni degli autori contemporanei più amati. Il premio Pulitzer Jhumpa Lahiri e il premio Campiello Marco Balzano, alcuni degli autori più amati della nostra narrativa contemporanea come Marco Missiroli e Daniele Mencarelli, ma anche il reporter di guerra Luca Steinmann e la psicoterapeuta, famosa divulgatrice sui social, Stefania Andreoli. Sono questi alcuni dei protagonisti di Libri e rose. Scrivere, stampare, leggere 2023, la manifestazione letteraria che torna ad animare la città di Verona dal 4 al 7 maggio per la sua seconda edizione, in tre prestigiose sedi: Biblioteca Civica, Conservatorio di Musica E. F. Dall’Abaco e Società Letteraria di Verona. Ampio spazio sarà dato ad alcune delle novità letterarie del momento, grazie anche ad appuntamenti come maratone di lettura, serate musicali e mostre. Il tutto per divagare con leggerezza intorno al mondo del libro. L'ingresso a tutti gli incontri è gratuito e senza prenotazione fino a esaurimento posti. L’apertura della rassegna giovedì 4 maggio, alle 17 alla Biblioteca civica, è affidata a una maratona di lettura ad alta voce dalle pagine di Marcovaldo di Italo Calvino, per celebrare l’autore nei 100 anni dalla nascita grazie al coinvolgimento di lettori della comunità di veronese. La prima serata di Libri e rose continuerà, alle 20.30, nella sede del Conservatorio E.F. Dall’Abaco di Verona, con l’appuntamento con il critico musicale Sandro Cappelletto, curatore de Il Testamento di Heiligenstadt e Quaderni di conversazione di Ludwig van Beethoven, e gli interventi musicali a cura dei docenti del Conservatorio Edoardo Maria Strabbioli, Tommaso Luison e Alberto Nosè. L’ampia programmazione di eventi realizzati in città fino a domenica 7 maggio è visisbile sui siti www.comune.verona.it; www.societaletteraria.it; www.kasadeilibri.it. Promossa dagli Assessorati alla Cultura e alle Biblioteche del Comune di Verona con la Società Letteraria di Verona e la Kasa dei Libri di Milano, in collaborazione con il Conservatorio di Musica E.F. Dall’Abaco di Verona, l’iniziativa si svolge in concomitanza del Maggio dei Libri, manifestazione nazionale che vede l’adesione di Verona quale “Città che legge”. La manifestazione vede il coinvolgimento delle librerie cittadine aderenti al Patto di Verona per la lettura e, in particolare, Pagina dodici, Feltrinelli Verona e Mondadori Verona, che saranno presenti con i loro punti vendita nelle sedi della rassegna.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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ALLA RICERCA DEL PARADISO PERDUTO (Ed. Segno, 1997)
di Guido Landolina
http://www.ilcatecumeno.net/
http://www.ilcatecumeno.net/presopere.htm
A V V E R T E N Z A
Si avvertono i lettori che :
La presente è un' opera 'letteraria'
Non ha quindi alcuna pretesa di trasmettere verità
teologiche diverse da quelle di Fede che la Dottrina
Cristiana insegna
Allocuzioni ed espressioni utilizzate vanno pertanto da
ciascuno liberamente intese come mezzo per trasmettere
concetti più generali di natura 'spirituale' per i quali
bisogna riferirsi al loro significato profondo più che alla
forma in sé e per sé in cui l'autore - per esigenze anche
letterarie – li esprime
L'autore
Presentazione dell'autore
Luce:
L’Autore è un convertito. Convertito a 53 anni. Egli, razionalista, ma non di per sé negatore, dubbioso più che negatore, dubbioso molto sulla dottrina cristiana, nel corso di una conversazione esprime i suoi dubbi e confessa anche la sua ignoranza in materia. Gli viene consigliata allora la lettura dell'Opera di Maria Valtorta, grande mistica moderna, "Il Poema dell'Uomo-Dio". [1]
L'impatto con l'Opera è 'shoccante'. Prima ancora del 'Poema' l'uomo legge i ‘Quaderni’ di M. Valtorta, degno corollario al Poema.
La grande mistica, mistica e carismatica, vittima votata alla sofferenza per partecipare al processo corredentivo instaurato dal Cristo, 'vede' Gesù, 'parla' con Gesù, ne viene 'ammaestrata' con i 'dettati' che alla fine verranno 'composti' per costituire la grande opera del Poema: una sorta di 'Vangelo' vero e proprio, 'Vangelo' di vita vissuta del Cristo, vissuto dalla Valtorta in 'visione' e commentato, nelle sue parti più salienti, dal 'Cristo' stesso.
I Quaderni sono un'opera di rifinitura, rifinitura spirituale dello strumento e per chi legge. Ma l'impatto è forte: l'uomo viene messo per la prima volta di fronte al proprio ‘sé’.
Si apre un esame critico interiore che si sviluppa con il progredire dell'opera, perchè l'opera della Valtorta è stata scritta per i 'razionalisti' di quest'epoca moderna che non credono più in niente, figuriamoci in Dio.
E alla fine l'uomo si 'converte'.
Dirigente d'azienda, in un certo senso abituato all'azione, decisionista, 'decide' che quello che ha appreso non ha senso se non viene utilizzato soprattutto per aiutare gli altri, i razionalisti come lui che non hanno mai avuto la fortuna di trovare qualcuno che spiegasse loro l'essenza della Dottrina e dell'essere cristiani. Ed allora nell'uomo germoglia, quasi inconsciamente, l'idea che una versione 'ridotta' della monumentale opera della Valtorta, monumentale e quindi tale da scoraggiare il lettore, potrebbe ottenere un certo risultato nei confronti di persone non altrimenti motivate. L'idea - inizialmente - è semplicemente quella di comporre un 'collage' dei 'dettati' più significativi.
Ma rimane solo un'idea, un abbozzo di idea neanche messa bene a fuoco.
Poi la decisione. La decisione di utilizzare quanto ha appreso dalla meditazione sull'opera della mistica per comporre un libro, destinato appunto a quelli come lui, la decisione di lasciare la propria attività professionale per dedicarsi a tempo pieno a questo 'hobby', unito a quello dell'agricoltura. L' autore vive infatti in una casa di campagna.
L'idea originaria prende forma, l'abbozzo si delinea meglio, si concretizza: immaginare un piccolo lavoro, un solo volume, che narri la storia di una conversione che si snoda in una serie di dialoghi 'immaginari' fra una 'Luce' e l'uomo.
La ‘Luce’, il Maestro, utilizza per ammaestrare letture in genere - nonché i 'dettati' più significativi, ai fini di sintetizzare l'essenza della dottrina cristiana, dell'Opera della Valtorta - che quindi commenta per l'allievo, per il 'catecumeno', integrandoli con annotazioni di carattere personale.
Dialogo immaginario, frutto di fantasia?
Però ammaestramento di sogno.
Presentazione dell’Opera
Luce:
"Alla Ricerca del Paradiso perduto" è la storia, che potrebbe essere di tanti, di un uomo che, avendo Fede senza sapere di averla, la cerca nei posti sbagliati senza saper neanche con precisione cosa cercare.
La ricerca del Paradiso perduto è in realtà la ricerca affannosa, inquieta, di Dio.
L'uomo è un uomo dei nostri tempi, moderatamente colto, normalmente colto. Egli ha però approfondito quei settori dello scibile razionalista che cercano di dare una risposta ai problemi di questa esistenza, e dell'altra. E allora (lui crede) la curiosità (ma in realtà è l'anelito interiore) lo spinge allo studio della psicanalisi (per cercare di comprendere se inconscio, subconscio o anima siano la stessa cosa o qualcosa di simile), delle tecniche di meditazione e concentrazione del "training autogeno" (per capire se, rivolgendo l'attenzione verso la propria interiorità, egli riesca a scoprire qualcosa di trascendentale che possa chiamarsi anima), allo studio dei fenomeni spiritici, studio in chiave parapsicologica (per capire se questi siano la rivelazione di un mondo spirituale che esiste, o frutto di macchinazioni truffaldine, o fenomeni di tipo ESP-extrasensoriale ma non attribuibili al mondo dello Spirito ), allo studio della "dottrina" spiritistica elaborata nell'opera di Allan Kardec, padre dello spiritismo moderno (per raffrontarla con le dottrine sulla reincarnazione di tipo orientale), allo studio di quei filosofi - come Pitagora - che avevano elaborato dottrine in questa direzione, allo studio delle religioni e delle filosofie orientali (per analizzare come queste abbiano affrontato il problema di Dio e dell'anima), infine allo studio dell'evoluzionismo darwiniano (per comprendere se l'uomo possa o meno essere il prodotto di una evoluzione da forme di vita inferiore) e, per terminare, a quello della fisica moderna (per comprendere quale risposta essa possa dare al problema dell'origine dell'universo).
Come si vede questa è una ricerca culturale penosa, ammantata sotto il pretesto della curiosità intellettuale, ma che è volta alla ricerca disperata del senso della vita: Dio.
Dio, questo sconosciuto, a troppi ‘Dio ignoto’, come per i Greci che però almeno gli elevavano un altare.
Dio, questo sconosciuto, anche se tutta la natura, tutta la Creazione grida di Lui.
I 'dolori' non sono estranei a questa ricerca, sono i dolori che accompagnano la vita di ogni uomo, che lo mettono di fronte al problema della Morte e quindi dell'esistenza o meno dell'altra vita.
Ma alla fine la ricerca ha termine.
La ricerca sui problemi della vita, la ricerca sulle risposte in merito a Dio, alla sua esistenza, ai suoi fini creativi, allo scopo della esistenza dell'uomo, si conclude alla fine proprio nella dottrina cristiana che, adeguatamente approfondita in chiave razionalista, ha dimostrato di saper dare anche all'uomo moderno la risposta ai problemi che si poneva anche l'uomo antico.
Chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo, chi è Dio, perché ha creato l'uomo, perché esistono l'odio, l'ingiustizia, il dolore. Quale è il senso della nostra vita, quale quello della nostra morte.
In queste domande e nelle relative risposte si sviluppa la piccola ‘opera’ dove, alla ricerca appunto del 'Paradiso perduto', l'uomo immagina di ‘sognare’.
Egli sogna di partire per il Tibet, come molti fanno, per andare a cercare nelle foreste e sui monti, in un monastero tibetano, le risposte spirituali ai quesiti che la convulsa vita moderna non lascia neanche porre.
Durante il percorso, durante la sosta in una caverna, durante il sonno, una 'Luce' appare in sogno e parla all'uomo.
Luce > Chi sei?!
Uomo < Uno che cerca la Verità.
Luce > Perché rifiuti la mia?
Uomo < Perché non sa darmi risposte che convincano la mia ragione.
Luce > Ma conosci tu veramente la mia dottrina?
Uomo < Veramente no, ma quel poco che so non mi ha mai convinto... (incerto)
Luce > E se Io ti convincessi, mi seguiresti e ti presteresti a convincere quelli come te?
Uomo < Sì!
Luce > Bene. Da adesso tu sarai il Catecumeno ed Io sarò il tuo Maestro.
Il sogno si dipana e, attraverso i "dialoghi" fra la Luce ed il catecumeno, inizia la spiegazione del Progetto creativo di Dio, che "dimostra" se stesso, la verità della propria Dottrina, spiegata in termini semplici e razionali, le risposte ai problemi esistenziali della vita.
E attraverso i "dialoghi" l'uomo si converte, prima in termini intellettuali e poi spirituali, perché la conversione intellettuale passa attraverso la conversione del proprio "Io naturale", con i suoi istinti: conversione dolorosa, giornaliera, fatta di battaglie e sconfitte, dove non si è veramente mai vincitori perché anche dopo una vittoria vi è ancora un'altra prova, ma dove alla fine, martiri del proprio "Io", si perviene alla scoperta del Paradiso perduto
[1] N.d.R.: Oggi intitolata ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Centro Editoriale Valtortiano
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Premio Pieve Saverio Tutino 2017 / Festival del diario (14-17 settembre)
Arrivo con un carico di crema (con amarena nello stomaco; candita in un cartoccetto di sfogliatelle). Quando viene presentata la nuova edizione de "I quaderni di Luisa T." mi torna in mente quella precisa mattina di marzo '13, giornataccia, fredda, terzo piano dipartimento antropologia, che non volevo neanche andare a lezione, ma durante la quale la prof. I. introdusse la storia degli archivi europei di scritture personali e dell'Archivio dei diari, mostrando la prima pagina scritta da una sfortunata casalinga di Cisterna di Latina. La Valtiberina è uguale a Twin Peaks, vista dalle finestre dell'appartamento della Forestale (montagne, nebbia, salotto in legname spartano, divani, camino, poster di gufi e cavalli alle pareti, crostata di frutta e beverone in tazza). Appollaiati nella piccionaia del Teatro Papini abbiamo ascoltato nuove storie e vecchie vite, sgranocchiando arachidi salvati dalla pioggia o bevendo caffè sospesi e quartini di vino sotto un ombrello a pattern gatti. Una conversazione notturna sul qui/ora, tempo e spazio, mi ricorderà di non mettere sempre le cose in prospettiva. #premiopieve #attivalamemoria #STAFFare
un anno fa: [Premio Pieve Saverio Tutino 2016] due anni fa: [Premio Pieve Saverio Tutino 2015]
#Archivio dei diari#archivio diaristico nazionale#Pieve Santo Stefano#festival#2017#diario#diary#Arezzo#Toscana#staff
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“Achille Fabbro, un nome italiano, ma il cognome no.”
Alle 8 della sera il sole allenta la morsa rovente. È la vigilia della mia partenza. Massawa è deserta, decrepita. La amo. Misuro i respiri, temo che un sussulto possa sbriciolarla. L’aria ferma è densa dei fantasmi di un passato fastoso, festoso e nefasto. L’Hotel Torino mi osserva silente con il biasimo dell’adulto che conosce la vita. La ragazza del baretto Isola Verde ci porta due birre Melotti al tavolino sbilenco esterno. Dal juke box riverbera gracchiante il ritornello italo disco “Buonasera, buonasera signorina, buonasera signorina ciao ciao…” Achille sorseggia lentamente, poi riprende a raccontare in italiano -“Mia madre era di Adi Ugri, mio padre era un soldato del duce. Quando sono nato lui mi ha dato un nome italiano, ma il cognome no. Poi è partito. È andato a Roma. Forse stava male e voleva curarsi. Non è più tornato. non so come mai. Ho un nome italiano, il cognome no. Allora me lo sono dato io un cognome italiano. Lavoro il ferro, sono bravo sai! Trasformo il ferro in cose bellissime. Quindi il mio cognome è Fabbro. Se vuoi spedirmi una lettera puoi scrivere sulla busta “Per Achille Fabbro”. Appena arriva a Massawa me la portano, mi conoscono tutti!”-
-“Domani torno a casa Achille. Ti manderò delle cartoline dal Sudafrica.”-
-“E in Italia?Torni anche in Italia?”-
-“Forse, per pochi giorni, tra qualche mese.”-
Achille sussurra come evocando un segreto -“In Italia…”-
-“Tra un anno sarò nuovamente qui a Massawa.Ci rivediamo a Ottobre.C’è qualcosa che posso portarti dall’Italia?”-
Lui illuminandosi -“Una pipa!”-
-Vuoi fumare?”-
-“Non c’ è niente di male! Sì, una pipa. Quando ero piccolo spiavo i signori italiani che fumavano all’ombra. Mi nascondevo lì (indica il bivio che apre ai Portici Savoia). Quanto erano eleganti non lo immagini! Le giacche stirate e certi cappelli. Sembrava una sfilata dei principi di Piemonte. Uscivano a passeggiare a quest’ora e si sedevano lì ai tavoli dei bar. Forse anche mio padre fumava una pipa. Non lo so, io non lo conosco. Se ne sono andati tutti…”-
MASSAWA. OTTOBRE. 12 MESI DOPO. Cammino al crepuscolo verso l’Hotel Torino lungo la banchina che congiunge l’isola di Taulud a quella di Massawa. Emano l’aroma del repellente anti zanzare . Tutto è identico, immobile nella sua torrida letargia. L’inerzia afosa mi avvolge e rallento il moto. Anche il mare sembra essersi arreso e ribolle in un impercettibile sciabordio. Compiaciuto nel sentirmi una parte di quel tutto irreale avanzo con gli occhi socchiusi, quando un alito sussurra il mio nome -“Fax!”- Achille siede solitario su un muricciolo. dimostra 200 anni ma conserva lo stupore infantile nello sguardo. -“Fax, sei tornato!”-
Si alza, mi abbraccia e poggia le mani leggere e grinzose sul mio viso, quasi ad accertarsi non si tratti di una proiezione. Ride e applaude. Siedo con lui sul muretto
-“Sì Achille, come promesso un anno fa.”-
-“Un anno? Non può essere!”-
-“È stato a Ottobre, ricordi?”-
-“Non dirmelo. Oggi è Ottobre? Oh, sono vecchio di un altro anno””- Ride.
-“Ho un regalo per te.”- Sfilo la piccola sacca dalle spalle da cui estraggo un cofanetto in sughero .Sul coperchio è dipinta una Torino risorgimentale. Gliela porgo. Achille esita -“Per me?”- Solleva il coperchio, la scatola contiene una Bent Apple in radica e due differenti qualità di tabacco. Achille trema incredulo, si contorce le dita. Intuisco che aveva rimosso la nostra conversazione e non si capacita del materializzarsi di un desiderio. -“Davvero è per me?”-
-“Sì, per Achille Fabbro…”-
Estrae la pipa, la ammira reggendola sul palmo delle mani come cullandola e confida -“Ho aspettato tutta la vita che l’Italia tornasse da me, e oggi l’Italia è tornata…”-
La mia vista si appanna, voglio trattenere le lacrime nel rispetto del bambino meticcio dal nome italiano (il cognome no) che forse il tempo di piangere raramente se lo è concesso. Achille posa una mano sopra la mia -“Sei un bravo figlio.”-
Le lacrime mi vincono e Massawa si irradia di una luce liquida. Respingo il turbamento emotivo, gli propongo -“Potresti fumare nel bar sotto i Portici Savoia, quello è il luogo giusto.”-
Effimere sagome di fumo librano nell’aria dal porticato moresco eroso dalle crepe. I nugoli profumati vestono l’eco dei trattenimenti danzanti, dell’elegante struscio serale esibito con provinciale alterigia, delle note dei valzer. Quei giochi di vapore solleticano la memoria degli archi, fatiscenti spettatori evocativi di un regno lontano e di un passato coloniale perduto. Scruto silenzioso il panorama. Mentalmente associo la toponomastica originale alle strutture rovinose imparata su un quaderno illustrato appartenuto a mio nonno: Lungomare Umberto I, le banchine Regina Elena e Salvago Raggi, Via Roma, Piazza Principi di Piemonte…”-
Achille sbuffa un altro fumoso disegno, e mirando orgoglioso la pipa -“Non sai quanto l’ho desiderata nel mio cervello. Sembro un signore italiano elegante?”-
Gli sorrido -“Sembri un signore eritreo onesto.”-
Ad Achille, ai Meticci d’Eritrea, ai loro cugini italiani lontani. Fax Mac Allister Tratto da -Quaderni massawini- “A life in a Fax” di Fax Mac Allister Copyright © All right reserved Tutti i diritti sono riservati. È vietata qualsiasi utilizzazione, totale o parziale, dei contenuti inseriti nel presente racconto, ivi inclusa la memorizzazione, riproduzione, rielaborazione, diffusione o distribuzione dei contenuti stessi mediante qualunque mezzo stampa, audio, video piattaforma tecnologica, rappresentazione scenico-teatrale, supporto o rete telematica, senza previo accordo con Fax Mac Allister [email protected]
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DIABOLIK LOVERS MORE, BLOOD - SUBARU MANIAC 07 (TRADUZIONE)
Traduttrice inglese: Akui Chansera
leggere la sezione FAQ nel blog prima di ogni domanda.
NON PRENDERE SENZA PERMESSO
-”keep reading” per la traduzione.
-Monologo-
L’altro giorno, ho ricordato
Il Professor Rainheart ha detto... ....
Che Subaru-kun ha bisogno di un amico.
----Subaru-kun e Kou-kun.
Il tipo di persona che è Subaru-kun e il tipo di persona che è Kou-kun
All’inizio, non sembrano essere compatibili, ma
Forse, è semplicemente giusto.
Comunque, non posso dirlo
Conosco bene quelle due persone.
Per qualche motivo, l’uno ricorda l’altro
Eppure, sono gli esatti opposti.
E, ho la sensazione che----
-Fine Monologo-
Luogo: Classe
Yui: Sigh... ...sono stanca.
(Almeno le lezioni sono finalmente finite per oggi... ...)
Professore: Oi, Komori.
Yui: Si.
Professore: Dato che farò un controllo dei quaderni, raccogli i quaderni di tutti e portali in aula professori per me.
Yui: Oh, si signore, lo farò.
Luogo: Corridoio
Yui: *porta i quaderni* Vaaaa bene.
(E’ pesante. Sarebbe stato meglio se avessi potuto avere aiuto)
Puff... ...
(... ...Eh? Laggiù, quello è... ...?)
(... ....Subaru-kun... ....eh? Kou-kun!?)
(Stanno andando in libreria... ...che stanno facendo... ...?)
Luogo: Libreria della scuola
Subaru: .... .... .... ....
Kou: .... .... ... ....
Yui: (Che devo fare... ...Sono preoccupata, ma sembra che si stiano solo osservando)
(Sarebbe meglio se dicessi qualcosa... ...Ma, per un altro po’, proverò a non farmi vedere... ...)
-CG-
Subaru: ... ...Quindi tu... ... eri in principio umano?
Kou: Yep. In principio umano.
Subaru: E perché sei diventato un vampiro?
Yui: (Eh... ...? Stanno avendo una conversazione normale?)
Kou: Perché... ...Perché l’ho fatto? Se dovessi dire il perché... ...è perché non volevo morire.
Subaru: Tch. E’ questo il tuo motivo? Non capisco.
Se tu vorresti morire, adesso non sarebbe facile per te, no?
Kou: Hmm... ...è vero. Ma tu... ...non puoi dire niente visto che non sei mai stato davvero vicino alla morte.
Subaru: .... ....E tu... ....si?
Kou: Si. Molte volte. Ma fortunatamente, sono riuscito a scamparla ogni volta.
Subaru: ... ....Ggh... ....
Kou: Ma, non c’era una scelta. Sarei davvero morto... ...quella volta, se non fosse stato per... ...quella persona... ....
Subaru: Ah? Quella persona? Chi è? Quello che ti ha fatto diventare un vampiro?
Kou: E’ un segreto. Non posso dirlo.
Subaru: Hmph... ... Te la saresti passata meglio morendo.
Kou: ... .... .... ...
----Io e te abbiamo condizioni di vita che sono troppo diverse l’una dall’altra. E’ tutto diverso.
Subaru: Hah?
Kou: Io... ....ho visto l’inferno di questo mondo. Buttato giù dai potenti, sono stato calpestato, trattato peggio che un insetto... ...
Eppure, ho continuato a vivere mentre strisciavo per terra. Ho fatto tutto il necessario per poter vivere. Davvero, tutto.
Non c’è nessun dannatissimo orgoglio. Tu non hai mai vissuto una cosa del genere, no?
Subaru: Bhé... ...non è che non l’abbia fatto.
Kou: Davvero? Non capisco. Anche se lo hai fatto, avevi comunque un letto caldo.
Subaru: Ugh... ...
Kou: Io non l’avevo. I miei arti erano congelati per il freddo, ammollo nei liquami... ...
Tu avevi abbastanza cibo... ..Probabilmente non hai mai mangiato la spazzatura, vero? Le radici degli alberi erano piuttosto buone.
Subaru: .... ....Kch.... ....
Kou: Sono stato solo da quando sono nato. Non conosco nemmeno i volti dei miei genitori. Ma, tu hai tanti fratelli.
Sei nato come nobile, non sei il figlio di un persona ricca?
Subaru: Sono... ...!
Kou: Quando vivi così, capisco che tu voglia morire per tutto il tempo libero che ti ritrovi tra le mani.
----Io non potrei gettare la spugna così facilmente.
Subaru: No... ...non è perché ho troppo tempo libero... ...!
Kou: Heheh. Non voglio essere compatito e non penso neanche che ti convincerò. Scusami.
Subaru: ... ... .... ...
Yui: (Kou-kun... ...ha vissuto in quel tipo di contesto... ...ed è rinato come vampiro... ....)
(Per poter vivere----)
(... .... .... ...)
(Non dovrei origliare ancora, non è bello----!)
*Yui fa cadere i quaderni*
-FINE CG-
Yui: Wah!!
Kou: Oh!? M Neko-chan!?
Subaru: Ugh... ...!? Tu, tu eri qui... ...?
Yui: Ah... ...Err... ...Mi dispiace. Sono qui da un po’, ma pensavo fosse stato meglio se non avessi detto nulla... ....
Kou: Heheh. Tranquilla. Non stavamo parlando di niente di male che potesse essere sentito, vero? Subaru-kun.
Subaru: Uh... ...
Kou: Stavi portando quei quaderni da qualche parte?
Yui: Oh. Questi... ...un professore mi ha chiesto di... ...
Kou: Obbligare una ragazza a farlo da sola, che insegnate terribile... ...Forza, aiutiamola Subaru-kun.
Yui: G-Grazie... ...Va bene, posso raccoglierli da sola.
Subaru: ... ...Ggh... ...
Yui: (Subaru-kun si sta comportando in modo strano. Che stia pensando alla chiaccherata che ha avuto con Kou-kun... ...)
Kou: Suuubaaaaaru-kun! Mi hai sentito?
Subaru: Io... ...Agh... ...dannazione!
*Subaru corre via*
Yui: Aah... ...!!
Kou: Eh? As-Aspetta, Subaru-kun!?
Yui: Subaru-kun... ...!?
Sono preoccupata, proverò a cercarlo.
Kou: Mm, mi dispiace? Sarebbe stato meglio se non avessi detto quelle cose a Subaru-kun.
Yui: ... ...Potrebbe essere rimasto sotto shock.
Kou: Forse è così, o forse Subaru-kun pensa... ...che sono sporco.
Yui: Eh!? P-Perché!?
Kou: Subaru-kun non è un vampiro aristocratico? Probabilmente pensa che le persone come me sono sporche.
Yui: Ma... ...tu non sei sporco Kou-kun.
Kou: Grazie. Ma, è inevitabile. E’ una memoria che proviene dal mio corpo.
Yui: ... ...Non credo che Subaru-kun lo pensi.
Kou: Heheh. Che carina. Adesso sbrigati e va’ da lui.
Yui: Ah... ...ma, e tu Kou-kun?
Kou: Io? Io... ....porterò questi quaderni in aula professori al posto tuo e dopo andrò a casa. Ci vediamo.
*Kou va via*
Yui: Eh, sei sicuro... ...grazie!
(Kou-kun... ...sembra parecchio solo per qualche motivo... ...ma, adesso dovrei cercare Subaru-kun)
Luogo: Tetto della scuola
Subaru: Tch... ...dannazione, perché!
*Subaru prende a calci qualcosa*
Subaru: Perché... ...sono così incazzato.
Sono... ...viziato? Paragonato a lui, io... ...agah... ....
*Subaru prende a pugni qualcosa*
Yui: Subaru-kun? Sei qui.
Subaru: Ah... ...! Sei tu, perché... ...
... ...Che ne è di lui.... ....?
Yui: Kou-kun? E’ andato a casa.
Subaru: Sta zitta!!
*Subaru rompe un muro*
Yui: Aah!!
Subaru: Perché questo... ...seriamente... ...dannazione... ....tu e lui... ....entrambi mi irritate!
Yui: Irritarti... ....Eppure Kou-kun non ha fatto niente... ...
Subaru: Silenzio! Chiudi la bocca!!
*Subaru prende a pugni qualcosa*
Yui: Kyaa... ...!!
Subaru: Perché un ragazzo del genere... ...sfreccia tra le sue circostanze... ...e... ....tu.... ...!
Yui: Subaru-kun... ....?
Subaru: Dannazione... ...!
やめて→Stop [+5 Sadismo]
Yui: Adesso basta... ...!
Subaru: Ggh... ...!?
Yui: Per favore... ....
Subaru: Kch... ....!
落ち着いて→Calmati [+5 Masochismo ]
Yui: Uh... ...T-Ti calmi? Perché sei così arrabbiato?
Subaru: Perché... ...Non lo so!
*Subaru prende a pugni qualcosa*
Yui: Aah!
Subaru: Haa, cazzate... ....tutto quanto. Dannazione... ...!
*vestiti strappati*
Yui: Agh... ...!?
Subaru: Lasciami succhiare... ....
Yui: Ma... ...
Subaru: Almeno, succhiare il tuo sangue.... ....mi distrarrà. Nngh... ...!
Yui: Ggh!!
Subaru: Ngh... ...Ha.... ...Mn... ...Nngh... ...Nn.... ...Ha.... ....
Yui: (Subaru-kun... ...fa male, che ti prende... ...?)
Subaru: Haa... ...Mm... ...Ancora... ...Dammene ancora... ...Nngh... ...Nn.
Yui: Kuh.... ...
Subaru: Haa... ...Merda... ....non è abbastanza! Caldo, così caldo... ...è irresistibile... ...
Haaa, ancora.... ....ancora.... ....il tuo sangue... ....dammelo... ....
Haagh... ...Nngh... ....
Yui: ... ...Agh... ...!!
(Subaru,-kun... ....!!)
-Monologo-
Succhiare il mio sangue, l’ho sentito più violentemente che mai.
Che la storia di Kou-kun lo abbia scosso?
O----
Non ho mai visto Subaru-kun
Così arrabbiato o irritato prima.
Personalmente, non riesco a pensare a nessun altro motivo.
Ma adesso, per arrivare alla fine di questo atto
Tutto quello che posso fare è attendere con pazienza.
-FINE MANIAC 07-
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