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#Per segni accesi
lorenzospurio · 8 months
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N.E. 01/2023 - "Annamaria Ferramosca, poeta del primigenio presente". Articolo di Francesca Innocenzi
Nata a Tricase, in Salento, residente a Roma da molti anni, Annamaria Ferramosca è un’autrice di grande rilievo nel panorama poetico contemporaneo; a ragione di ciò, la commissione di giuria del Premio letterario da me presieduto, Paesaggio Interiore, ha deciso di conferirle il premio alla carriera. Ferramosca ha lavorato come biologa docente e ricercatrice, ricoprendo al contempo l’incarico di…
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ocoreanalfabeta · 10 months
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Capitolo 1: Il Risveglio Solitario
Salvatore si svegliò bruscamente nel suo letto a Napoli. Sgranò gli occhi, confuso e spaesato, cercando di orientarsi nella sua stanza. Di solito, questa era l'ora in cui il profumo del caffè e delle brioche appena sfornate si diffondeva per la casa. Ma quel mattino, un silenzio assordante avvolgeva tutto.
"Roberto? Giulia?" chiamò Salvatore, sperando in una risposta. Ma l'unico suono che echeggiava nell'aria era la sua voce solitaria.
"Oddio, dove sono tutti?" si chiese, balzando giù dal letto. Si affacciò alla finestra e fu colto da un'immagine incredibile: le strade di Napoli erano deserte, senza alcun segno di vita umana.
"Questo non è possibile. Dov'è finito il mondo?" balbettò, spaesato. La paura lo assalì e non riuscì a trattenere un urlo di rabbia e disperazione.
In preda al panico, Salvatore fece di corsa la sua routine mattutina, sperando che la sicurezza di una routine familiare potesse calmare i suoi nervi. Ma ogni passo, ogni stanza e ogni angolo di Napoli era immerso in un completo silenzio.
Decise di dirigersi verso il centro della città, nella speranza di trovare qualche risposta o almeno una traccia di vita. Man mano che camminava, il senso di solitudine e paura cresceva dentro di lui. Le strade che di solito erano piene di vita, con persone che si affrettavano di qua e di là, erano deserte come un set cinematografico abbandonato.
Arrivato in Piazza del Plebiscito, Salvatore si sedette sulla scalinata con uno sguardo perso all'orizzonte. Guardò il sole, che sorgeva e splendeva sulla città, e si chiese quanto tempo sarebbe passato senza che qualcun altro si svegliasse in quel mondo vuoto.
"Devo essere il protagonista di uno scherzo cosmico", pensò, cercando di trovare un po' di umorismo in questa situazione surreale. "Forse qualcuno mi sta guardando da qualche parte, ridendo delle mie reazioni."
Aveva bisogno di cercare risposte e decise che la fonte più affidabile avrebbe potuto essere la televisione. Si precipitò verso un negozio di elettronica vicino e si fermò davanti alle vetrine, scrutando i televisori accesi.
"Buongiorno, signore! Come posso aiutarla?" chiese un venditore con un sorriso smagliante.
Guardò perplesso il venditore, incapace di credere ai suoi occhi e alle sue orecchie. "Ma... dove sono tutti? Cosa è successo?"
Il venditore lo osservò per un istante, poi scosse la testa. "Mi scusi, signore, ma sono qui da solo da quando ho aperto il negozio stamattina. Tutta la città sembra deserta. Non so cosa sia successo."
Salvatore sentì un senso di sollievo nell'apprendere che non era l'unico ad essere stato lasciato solo. Tuttavia, la confusione e il mistero circondante la scomparsa di tutti continuarono ad affliggerlo.
"Devo trovare una soluzione a questa assurdità", si disse, deciso ad affrontare questa nuova realtà. "Chissà, forse ci sono altre persone come me, sperdute tra queste strade silenziose."
Si mise in cammino, procedendo con passo deciso e il cuore colmo di speranza. In un mondo apparentemente vuoto, Salvatore si rifiutò di arrendersi e cercò un barlume di luce in quella notte senza fine.
Capitolo 2: Il Barlume di Luce
Mentre Salvatore si dirigeva verso Piazza Dante, in cerca di segni di vita, avvistò un uomo seduto su una panchina con uno sguardo perso nel vuoto. Si avvicinò timidamente e disse: "Scusa, signore, ma tu sei l'unico essere umano che ho incontrato finora. Sai cosa sta succedendo?"
L'uomo si voltò verso di lui, gli occhi stanchi e tristi. "Anch'io mi sto facendo la stessa domanda da quando mi sono svegliato. Tutta Napoli sembra svanita nel nulla. Non so cosa pensare."
Salvatore annuì con comprensione. "Mi chiamo Salvatore, e tu?"
"Lorenzo", rispose l'uomo, tendendo la mano per una stretta. "Dobbiamo cercare delle risposte, dobbiamo trovare una soluzione a tutto ciò."
"Esatto, non possiamo restare bloccati qui senza fare niente", concordò Salvatore. "Dove possiamo andare? Hai qualche idea?"
Lorenzo annuì. "Secondo me, il posto migliore per cercare risposte è la stazione centrale. Potremmo trovare informazioni, magari c'è qualcuno lì che può darci una spiegazione."
I due si incamminarono verso la stazione, passando per le strade deserte in un silenzio assordante. Presto, arrivarono alla stazione di Napoli Centrale. Entrarono e trovarono un poliziotto che si aggirava per la hall deserta.
"Buongiorno, signore", disse Salvatore, guardando il poliziotto con speranza. "Siamo gli unici due rimasti sulla terra? C'è un modo per sapere cosa è successo?"
Il poliziotto sembrava confuso e spaventato. "Anche voi siete rimasti soli? Ho cercato risposte ovunque, ma non c'è traccia di vita da nessuna parte. Non so cosa stia succedendo."
Salvatore e Lorenzo si guardarono l'un l'altro, cercando disperatamente di comprendere la situazione. "C'è qualcosa che possiamo fare? Qualche modo per invertire tutto questo?" chiese Lorenzo, la paura nella sua voce.
Il poliziotto si grattò la testa, pensoso. "Non lo so, ragazzi. Sembra proprio che siamo gli ultimi rimasti in vita. Dobbiamo cercare di adattarci a questa nuova realtà e trovare un modo per sopravvivere."
Mentre i tre si confrontavano e cercavano di elaborare la situazione, il suono di un campanello risuonò nella hall. Sbalorditi, si voltarono verso la biglietteria e notarono una donna che li guardava attentamente.
"Scusate, posso unirmi a voi?" chiese la donna, con un'espressione di speranza nel volto.
Salvatore si avvicinò, speranzoso. "Ma certo, e tu chi sei? Come mai sei l'unica rimasta come noi?"
La donna sorrise tristemente. "Mi chiamo Francesca. Non ho idea di cosa stia succedendo, ma ho camminato per tutta la città cercando qualcuno, qualsiasi segno di vita, finché non vi ho trovato."
Lorenzo si unì a loro. "Siamo tutti nella stessa situazione, incastrati in un mondo vuoto. Dobbiamo restare uniti e trovare un modo per sopravvivere."
Il poliziotto annuì, gravemente. "Hai ragione. Non possiamo arrenderci. Dobbiamo cercare risorse, cibo, acqua. Organizzarci e rimanere forti."
La piccola squadra si mise in cammino, decisa a lottare contro l'incertezza e la paura. Mentre attraversavano le strade deserte e cercavano di trovare un senso in questo mondo svuotato di vita, sapevano che la loro unica speranza era unirsi e trovare un barlume di luce nell'oscurità in cui erano sprofondati.
Capitolo 3: Alla Ricerca di Risorse
Salvatore, Lorenzo, Francesca e il poliziotto continuarono il loro pellegrinaggio attraverso Napoli, cercando disperatamente ogni risorsa disponibile per la sopravvivenza. Appena si misero in cammino, passando per le strade desolate, notarono uno sfioro di fumo provenire da una caffetteria abbandonata. Si guardavano negli occhi, con una sorpresa mista a una spruzzata di gioia nell'attesa di trovare ciò di cui avevano disperatamente bisogno: cibo e acqua.
Arrivarono alla caffetteria e, con estrema cautela, entrarono. Erano al settimo cielo nel vedere scaffali ben forniti di torte e biscotti freschi. Ma sapevano che non era solo una questione di saziare la fame, dovevano pianificare con saggezza per il futuro e per la sopravvivenza a lungo termine.
"Prima di tutto, dobbiamo cercare acqua potabile", disse Lorenzo, cercando tubi o bottiglie riutilizzabili. "Se vogliamo sopravvivere, l'acqua è fondamentale."
Salvatore si unì alla ricerca. "Ecco un rubinetto funzionante! Dobbiamo trovare un contenitore per riempirlo. Ecco, vediamo se posso prenderlo e portarlo qua."
Mentre cercavano, Francesca notò qualcosa sul retro della caffetteria. "Guardate, c'è un deposito. Potrebbero esserci bottiglie d'acqua laggiù!"
Con ansia e speranza, si avvicinarono al deposito e, per fortuna, trovarono bottiglie d'acqua sigillate. Era una vera e propria fortuna in questa nuova realtà senza vita. Si fecero avanti e iniziarono a raccogliere tutte le risorse utili che potevano trovare nella caffetteria: scatolette di cibo, barattoli di frutta e verdura in scatola.
"Dobbiamo essere vigili e non sprecare nulla", avvertì il poliziotto, mentre mettevano tutto in borse e zaini. "Non sappiamo quanto a lungo dovremo fare affidamento su queste scorte."
Una volta che avevano raccolto tutto il cibo possibile, decisero di proseguire con il piano e trovare un luogo sicuro in cui poter avere un riparo. Con tutte le risorse che avevano trovato, determinarono che una grande chiesa nel centro di Napoli sarebbe stata un'ottima scelta.
Arrivarono alla chiesa e entrarono, facendosi strada silenziosamente tra i banchi. Era un ambiente confortante e protetto. Si guardarono intorno, cercando di trovare un modo per sistemarsi e organizzare la loro nuova "casa".
"Perché non disponiamo i letti qui, ai lati della navata centrale?" suggerì Salvatore, poggiano le borse di cibo sui banchi. "Potremmo creare delle zone separate per ciascuno di noi."
Francesca si unì al piano. "Dobbiamo anche stabilire una routine di turni per sorvegliare l'ingresso e garantire la nostra sicurezza."
Il poliziotto annuì. "Sono d'accordo. Abbiamo bisogno di strutture e regole per mantenere l'ordine e la sicurezza, anche se siamo gli unici rimasti."
Iniziarono a sistemarsi, preparando letti di fortuna con lenzuola e cuscini che avevano trovato. Mentre provavano ad adattarsi a questa nuova realtà, si resero conto che solo insieme avrebbero potuto sperare di sopravvivere.
"Non dobbiamo perdere la speranza", disse Lorenzo, guardando gli altri con occhi determinati. "Possiamo trovare le risposte, possiamo scoprire cosa è successo. Ma solo se restiamo uniti, solo se combattiamo insieme."
Salvatore si avvicinò a Lorenzo e posò una mano sulla sua spalla. "Hai ragione. Siamo la nostra unica speranza, la nostra unica luce in questo mondo di oscurità. Restiamo uniti, perché insieme possiamo superare qualsiasi cosa."
Con un senso di resilienza e forza ritrovati, si prepararono per la notte, pronti ad affrontare le sfide che li attendevano. Si addormentarono nella chiesa silenziosa, sogni di speranza e determinazione riempiendo le loro menti. Un nuovo giorno sarebbe arrivato, e con esso la possibilità di trovare le risposte che cercavano disperatamente.
Capitolo 4: Il Mistero Svelato
Quando il sole spuntò all'orizzonte, Salvatore, Lorenzo, Francesca e il poliziotto si svegliarono nella chiesa. Erano pieni di energia e determinazione per scoprire cosa era successo al mondo e se c'erano altre persone ancora vive.
Si radunarono intorno a un tavolo improvvisato, ricoperto di mappe della città di Napoli. Salvatore tracciò un dito lungo le strade mentre parlava: "Dobbiamo trovare un modo per comunicare con il resto del mondo, sapere se siamo gli unici superstiti. Magari c'è ancora qualcuno là fuori che può darci qualche risposta."
Lorenzo annuì. "Potremmo cercare un posto in cui possiamo raggiungere con qualche dispositivo di comunicazione. Un aeroporto o una stazione radio."
Il poliziotto si unì alla conversazione. "Esatto. Dobbiamo mettere insieme tutto ciò che sappiamo e capire come ripristinare i mezzi di comunicazione. Potrebbe esserci ancora speranza."
Francesca prese in mano una mappa e indicò un'antica stazione radio non lontano dal centro di Napoli. "E se provassimo lì? Potrebbe essere il nostro miglior punto di partenza per cercare di comunicare con qualcuno là fuori."
Si misero in cammino verso la stazione radio, sperando che potesse essere la chiave per svelare il mistero che avvolgeva la loro solitudine. Quando arrivarono alla stazione, cercarono disperatamente un modo per farla funzionare. Trovarono un generatore di emergenza e grazie alla conoscenza tecnica di Lorenzo riuscirono a accenderlo.
"Speriamo che funzioni", disse Salvatore mentre si avvicinava alla vecchia consolle radio. Fece scorrere le dita sui pulsanti, cercando di sintonizzarsi su qualche frequenza.
Improvisamente, sentirono un gracchiare provenire dalle casse. Stettero tutti in silenzio, ansiosi di sentire qualsiasi suono che potesse provenire dall'altro capo del mondo.
Dopo qualche momento, una voce debole ma chiara ruppe il silenzio. "Chi parla? Ci siete?" chiese la voce.
"Sì! Siamo qui!" rispose Salvatore, emozionato. "Siamo l'ultima speranza, siamo vivi!"
La voce dall'altro capo sembrava incredula. "Davvero? Non posso credere che ci sia ancora qualcuno là fuori. Sono in un bunker nel nord d'Italia con altre persone. Come siete sopravvissuti?"
Salvatore raccontò la loro storia, spiegando i giorni solitari e il percorso che avevano seguito per cercare risposte. Dall'altro capo, le voci erano piene di sollievo e speranza, sapendo che non erano gli ultimi umani sulla Terra.
"Dobbiamo trovare un modo per incontrarci, essere tutti insieme", disse la voce dall'altro capo della radio. "Abbiamo risorse e conoscenze che potrebbero aiutarvi. Possiamo lavorare insieme per superare questa crisi e scoprire cosa è successo."
Salvatore concordò. "Dobbiamo incontrarci, sapere che non siamo soli. Dobbiamo trovare un luogo di incontro sicuro, in cui possiamo condividere informazioni e risorse."
Dopo un'analisi strategica, decisero che un'ex base militare abbandonata in montagna sarebbe stata il luogo ideale per l'incontro. Era ben difesa e facilmente raggiungibile per entrambi i gruppi.
"Arrivateci il più presto possibile", disse Salvatore. "Abbiamo bisogno di conoscere la verità, di capire cosa è successo e come poter tornare alla normalità."
Le due squadre si diedero appuntamento alla base militare, rinascendo dalla speranza di trovarsi, e cominciarono a organizzarsi per il viaggio attraverso l'Italia deserta.
Mentre si preparavano, guardando la mappa dell'Italia davanti a loro, Salvatore e i suoi compagni finalmente iniziarono a credere che c'era una luce alla fine del tunnel. Rimasero con i loro cuori pieni di speranza, sperando che il mistero potesse essere svelato e che la solitudine che aveva avvolto il mondo potesse sbiadire.
Capitolo 5: L'Incontro che Cambia Tutto
Il giorno era giunto per l'incontro tra i due gruppi sopravvissuti alla base militare abbandonata. Salvatore, Lorenzo, Francesca e il poliziotto si erano preparati accuratamente, portando con loro tutto il cibo e l'acqua che avevano potuto raccogliere nella chiesa. Erano ansiosi di incontrare le altre persone, nella speranza di ottenere risposte e trovare soluzioni per svelare il mistero della solitudine che aveva colpito il mondo.
Arrivarono alla base militare e trovarono il gruppo di sopravvissuti già lì ad aspettarli. Erano un gruppo eterogeneo di uomini, donne e bambini, ognuno con il proprio bagaglio di speranze e paure. Si guardarono negli occhi, una miscela di sorpresa, gratitudine e curiosità.
"Finalmente ci siamo incontrati", disse Salvatore, rompendo il silenzio. "Siamo tutti scossi da ciò che è successo. Non possiamo continuare a rimanere nel buio. Dobbiamo scoprire la verità."
Un uomo anziano si fece avanti, una luce di saggezza negli occhi. "Ciao, sono Antonio, uno dei sopravvissuti di questo gruppo. Abbiamo cercato risposte come voi, senza successo. Però, abbiamo raccolto informazioni che potrebbero essere cruciali."
Salvatore e gli altri si avvicinarono a lui, avidi di conoscenza. "Diteci tutto quello che sapete, per favore", chiese Francesca.
Antonio annuì e iniziò a spiegare. "Una notte, mentre il mondo dormiva, qualcosa è successo. Un evento sconosciuto ha scosso il pianeta, provocando la scomparsa improvvisa di tutte le persone tranne noi. Non sappiamo cosa sia stato, ma sembra che siamo rimasti intrappolati in una realtà parallela, separati dal resto del mondo."
Lorenzo sollevò un sopracciglio. "Ma come siamo sopravvissuti noi? È stato solo caso?"
Antonio sorrise. "Credo che siate stati scelti per qualche ragione. Siete qui per un motivo. La chiave sta nell'unirsi, nella solidarietà e nel trovare una soluzione comune. Sai, ci sono sempre state storie di mondi paralleli, linee temporali alternative. Forse questa è una di quelle situazioni."
Il poliziotto sembrava scettico. "Cosa intendi dire? Come possiamo tornare alla nostra realtà, alle nostre vite?"
Antonio rifletté per un momento. "Non lo so con certezza, ma credo che la risposta sia a portata di mano. Abbiamo bisogno di raccogliere tutte le informazioni possibili, di esplorare questo nuovo mondo e cercare collegamenti con la nostra realtà precedente. Forse, solo così, potremo trovare il modo di tornare indietro."
Salvatore prese una boccata d'aria. "Allora, cosa aspettiamo? Dobbiamo iniziare subito. Non possiamo rimanere qui a chiederci cosa è successo. Dobbiamo agire, esplorare e cercare indizi."
Il gruppo si mosse all'unisono, con una determinazione rinnovata. Era una squadra eterogenea, unita dalla speranza, guidata dalla curiosità e dalla volontà di scoprire la verità. Iniziarono ad esplorare la base militare, alla ricerca di documenti, dispositivi tecnologici o qualsiasi indizio che potesse portarli a delle risposte.
Mentre scavavano nel passato abbandonato della base militare, Salvatore disse: "Non sappiamo cosa ci aspetta, ma insieme possiamo superare ogni ostacolo. La nostra unione e determinazione possono rompere qualsiasi barriera. Siamo qui per un motivo, e non possiamo permetterci di fallire. Camminiamo verso un futuro sconosciuto, ma lo facciamo con coraggio."
Mentre il gruppo continuava la loro ricerca e indagini, l'atmosfera si riempì di speranza e di una luce di speranza. Si sentivano più forti, più uniti, pronti per affrontare qualsiasi cosa li aspettasse. Insieme, avrebbero svelato il mistero di quella solitudine apparentemente insormontabile e avrebbero trovato un modo per tornare alla loro realtà, riportando la vita dove sembrava essere svanita.
Capitolo 6: La Verità Svelata
Il gruppo di sopravvissuti continuò la loro ricerca nella base militare abbandonata, determinati a trovare tutti gli indizi e le risposte necessarie per comprendere la loro situazione e risolverla. Dopo giorni di esplorazione meticolosa, finalmente trovarono una stanza con documenti e informazioni preziose.
"Mai avrei pensato di trovare qualcosa di così utile qui", disse Lorenzo, visibilmente emozionato. "Questi documenti potrebbero fornirci le risposte di cui abbiamo bisogno."
Salvatore si avvicinò al tavolo e prese uno dei documenti in mano. "Dobbiamo lavorare insieme per decifrare questi indizi. Ogni dettaglio potrebbe esser rilevante."
Francesca prese una cartella e iniziò a leggere. "Sembra che ci sia stato un esperimento scientifico nella base militare. Hanno cercato di creare un portale verso una dimensione parallela, un mondo alternativo. Ma qualcosa è andato terribilmente storto."
Lorenzo abbassò gli occhi sui documenti che aveva tra le mani. "Leggo di anomalie nel flusso spazio-temporale, di una potenziale collisione tra universi. È come se fossimo finiti intrappolati in una linea temporale separata."
Il poliziotto annuì, prendendo parte alla discussione. "Spiegherebbe perché gli altri non riescono a comunicare con noi dall'altra dimensione. Siamo come isole separate."
Antonio si unì al gruppo, portando con sé un altro documento. "Guardate qui, sembra che la chiave per tornare indietro sia un'antica reliquia che si credeva fosse solo una leggenda: il Cristallo dell'Equilibrio."
Il gruppo si scambiò sguardi di sorpresa e speranza. "Se possiamo trovare il Cristallo dell'Equilibrio, potremmo sbloccare il collegamento tra queste dimensioni e tornare alla nostra realtà", disse Salvatore, con fervore.
Francesca guardò fuori dalla finestra. "Secondo le informazioni qui, sembra che il Cristallo sia custodito in un tempio remoto sui monti. Potrebbe essere difficile raggiungerlo, ma dobbiamo provarci."
"È la nostra unica possibilità", concordò Lorenzo. "Dobbiamo tentare, per noi stessi, per coloro che sono scomparsi e per il futuro dell'umanità."
Con il loro obiettivo chiaro davanti a loro, il gruppo si mise in moto. Attraversarono un'Italia deserta e silenziosa, superando ogni ostacolo che incontrarono lungo il cammino. Ogni passo era una prova della loro tenacia e volontà.
Finalmente, dopo una lunga e faticosa salita, arrivarono al tempio sui monti. Era un luogo antico e solenne, circondato da un'aura misteriosa e potente. Con cautela, entrarono nella sala principale del tempio e videro il Cristallo dell'Equilibrio brillare al centro.
"Lì è!", esclamò Francesca, con gioia negli occhi. "Abbiamo trovato ciò che stavamo cercando."
Con mani tremanti, Salvatore si avvicinò al Cristallo. Mise delicatamente le mani intorno ad esso e, con una respirazione profonda, pronunciò le parole che erano state tramandate nelle leggende.
"Rincontro le dimensioni, unisco l'universo.
Attraverso gli abissi del tempo e dello spazio,
torno alla mia realtà, riportando la vita al suo posto."
Un'energia potente esplose nel tempio, avvolgendo tutto in un bagliore luminoso. Il suolo tremò leggermente e poi, improvvisamente, tutto tornò al silenzio.
Il gruppo si guardò intorno, incerto di cosa aspettarsi. Improvvisamente, gli altoparlanti del tempio si attivarono e una voce familiare risuonò nell'aria.
"Ben fatto, sopravvissuti. Avete superato la prova e dimostrato la vostra forza. Siete stati scelti per salvare le nostre dimensioni e riportare l'equilibrio."
La voce apparteneva a un anziano saggio, che si materializzò dinanzi a loro. "Vi ringrazio per aver riportato il Cristallo dell'Equilibrio al suo posto. Ora, potete tornare alla vostra realtà, alla vostra vita."
Il gruppo si abbracciò, pieno di gratitudine e felicità. Avevano compiuto la loro missione e ora potevano tornare alla loro realtà.
"Dobbiamo sempre ricordare il potere dell'unione e della speranza", disse Salvatore, mentre si preparavano a attraversare il portale. "Non importa quale sfida ci aspetti, insieme possiamo superarla e ristabilire l'equilibrio nel mondo."
Con passi decisi, il gruppo attraversò il portale, lasciando il tempio e la dimensione parallela alle loro spalle. Mentre tornavano alla loro realtà, erano consci del destino delle loro azioni e dell'importanza di vivere ogni giorno con gratitudine e determinazione.
Dalla solitudine e dal mistero iniziale, erano cresciuti uniti, avevano scoperto la verità e trovato la forza per affrontare le sfide. E così, il loro viaggio avventuroso giungeva a conclusione, lasciando il segno del loro coraggio e della loro resilienza nel cuore di tutti coloro che avrebbero ascoltato la loro storia.
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lamilanomagazine · 8 months
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Catania. L'edizione 2024 della festa di Sant'Agata all'insegna della sicurezza tra innovazione e tradizione
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Catania. L'edizione 2024 della festa di Sant'Agata all'insegna della sicurezza tra innovazione e tradizione. Nel segno della tradizione, in piena sicurezza, ma anche di innovazioni che raccolgono nuove sfide verso la devozione, con un'attenzione speciale ai giovani, alla legalità e al rispetto delle regole. E' l'edizione 2024 della festa di Sant'Agata annunciata nel corso di un incontro con la stampa dal sindaco Enrico Trantino, dal comitato dei festeggiamenti presieduto da Carmelo Grasso, monsignor Barbaro Scionti parroco della Cattedrale. Il primo cittadino ha ribadito che non salirà sulla carrozza del Senato spiegandone il motivo: "Voglio dare un segnale simbolico che ci sia sempre maggiore vicinanza delle istituzioni verso la città e i cittadini -ha spiegato il sindaco-, E per questo lascerò che al mio posto sulla Carrozza del Senato siedano tre ragazzi delle scuole medie di Catania, premiati per gli elaborati scritti in favore della città di Catania". Il primo cittadino insieme all'assessore alla pubblica istruzione Andrea Guzzardi, ha evidenziato che la scelta dei tre ragazzi (Alessandro Pagliotta, Chiara Costantino, Salvatore Ferlito, alunni rispettivamente delle scuole Malerba, Maiorana e San Giovanni Bosco) è stata operata da una commissione di docenti delle scuole cittadine. I tre ragazzi sono premiati con una targa ricordo e i loro temi  pubblicati sul sito santagatacatania.it Nella giornata del 3 febbraio le novità non finiscono qui: "Protagonista in piazza Duomo –ha detto il presidente del comitato dei festeggiamenti Carmelo Grasso-  sarà l'orchestra giovanile del Conservatorio composta da 85 elementi diretta dal maestro Giuseppe Romeo, accompagnata dal coro Lirico Siciliano, guidato dal Maestro Francesco Costa. Nel rispetto delle tradizioni sono stati recuperati inni sacri risalenti al XIX e al XX secolo scritti da insigni autori del tempo". Dopo la prima parte dedicata agli inni sacri, ci sarà una seconda parte musicale con artisti siciliani (Rita Botto, Giuseppe Castiglia, Mario Incudine, I Lautari, Maria Francesca Mazzara, Etta Scollo, Vincenzo Spampinato, il soprano Desireè Roncatore e la conduzione di Salvo La Rosa.  Tra i due momenti, alle 20,45 circa, è stata annunciata una sorpresa hi-tech per caratterizzare in modo del tutto nuovo per la sera del tre febbraio e la città di Catania, una novità che il sindaco Trantino non ha voluto svelare; per concludere, infine, alle 21,45 i fuochi d'artificio accesi nella Villa Pacini. Un messaggio è stato fatto pervenire dal presidente del consiglio comunale Sebastiano Anastasi a nome del civico consesso:" Forti della devozione a Sant'Agata, dobbiamo operare con l'attenzione costante verso gli ultimi, verso chi silenziosamente soffre, verso le periferie dove le  istituzioni devono ancora più dare testimonianza e massima credibilità. Per questo occorre sempre un supplemento di responsabilità in più per Catania, imparare a conoscere meglio le sue Donne, la  nostra stessa Santa Patrona Agata, la come la definì Papa Giovanni XXIII; una Santa che ha lasciato segni ancora visibili nei suoi luoghi sacri della devozione".... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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enkeynetwork · 2 years
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paper---airplane · 3 years
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Se in una notte la tua ombra mi tornasse accanto
come l’ala bianca di un gabbiano
che porta in sé il mistero di spiagge sconosciute
tu saresti vivo
con gli occhi accesi dalla voglia di scrutare
oltre i segni visibili dell’anima.
Mi guarderesti con la stessa aria torbida di sfida
scenderesti sul mio cuore con gli artigli di un rapace,
sino a ferirmi con la lama gelida
delle tue parole che anno dopo anno
hanno devastato la mia storia.
Ti chiederei se per te la vita è ancora
quel cunicolo cieco
dove chiudere gli occhi ed ascoltare i gridi
che giungono dall’abisso insondabile dei ricordi;
se nascondi ancora dietro le tue risate
chiuse nel gorgogliare della gola
una vita di fatica e di dolore
come un’immensa piaga
da cui sgorgavano la rabbia e la paura
d’essere preclusa a ogni via di fuga.
Si è spezzato quel filo
che guidava la tua vita
negli oscuri labirinti della nostra storia.
Ora torneresti a torturare le mie notti
con le immagini illusorie del tuo amore inesistente.
Anche solo a ricordarti…
Riaverti accanto sarebbe peggio del morire.
Marcello Comitini
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Spazio colore. Bianco. Bozza n.2. 15/03/2021. 16:08.
Ricordo quel giorno come se fosse ieri.
Le tenebre avvolsero la mia anima lasciandomi credere che mai e poi mai avrei trovato una via d'uscita, dato che annaspavo nell'oblio delle mie stupide emozioni negative; ero a letto e piansi, pensando di non poter essere più capito da nessuno credendo in qualche modo di esser destinato a una solitudine asfissiante, opprimente, debilitante.
Ero caduto in un oblio e, anche se ogni tanto mi sembrava di poter trovare una via d'uscita, non potevo fare altro che tentare di sopravvivere, sguazzandoci dentro nel tentativo di non soffocare ma cercando di rimanere a galla, in quel buio così intenso che nessuna luce avrebbe avuto la possibilità di squarciare.
Ero stato inghiottito e nessuno mi avrebbe salvato, forse perché non volevo che accadesse; pensavo, ingenuamente, che quella fosse la cosa più giusta per me e ti mentirei se non dicessi che perdere le forze mi sembrava la cosa più facile da fare in alcuni momenti.
Ho pensato molto spesso a lasciarmi andare, annullarmi, chiudermi definitivamente e sigillare per sempre tutti i miei sentimenti: mi sembrava la cosa più corretta da fare, la soluzione a tutto, la conclusione più giusta a questo triste destino, quello che meritavo.
Mi convinsi che fosse quello il mio destino.
Volevo annaspare nel fondo di questo pozzo senza fondo e nessuno, nessuno, me l'avrebbe impedito.
Era quello che volevo, se solo non fosse accaduto quello che poi accadde.
Era tardi, molto tardi, e anche se le tenebre della mia stanza mi avvolgevano ti immaginai, come mai avrei pensato di fare: accesi subito la luce e tutto si illuminò di bianco; non era un bianco puro ma un bianco caldo, avvolgente, che mi fece sentire al sicuro per pochi decimi di secondo, il tanto che bastò per darti un volto, una parvenza di fisicità, un minimo di carattere.
In qualche modo sentii le tue mani pallide sul mio viso e sorrisi, anche se non ti conoscevo: mi accarezzasti e tanto bastò ad asciugare le mie lacrime, che sgorgavano copiose e che riempivano ancora di più il pozzo in cui ero caduto.
Mi stavi consolando, e non riuscii mai a ringraziarti per questo.
Non so perché, ma ci immaginai litigare: io, col mio carattere scontroso e duro e te, onesta, equa nel cercare la pace e così innocente da placare anche i miei più spinti istinti, avviandomi verso una conclusione che avrei voluto rifiutare ma che accettai perché mai, mai, avrei voluto anche solo torcerti un capello perché il solo sapere che avrei potuto ferirti, che avresti potuto stare male, mi faceva stare, mi fa star male.
Vidi la luce ma svanì, in un decimo di secondo.
Mi fermai, meravigliato da me stesso: non mi resi mai conto di quanto la mia idea, uno spunto nato all'interno di uno spazio così buio quale la mia mente, potesse riempire di luce tutto quello che ero e tutto quello che mi circondava evidenziando ancora di più tutto il resto, rendendolo ancora più armonioso e sinuoso e facendomi ritrovare la pace, trasformandomi in un uomo sereno, anche solo per un istante.
Pensai a lungo a te, semplice idea fugace che, quella notte, si inserì nella mia testa come un tarlo fisso: pensai a come saresti potuta essere, per quanto non riuscissi a definire nessun confine, e a cosa saresti potuta essere per me anche se non riuscivo poi a capire chi fossi, almeno inizialmente.  
Mi vergognai schifosamente all'idea che, se ti avessi vista, non avrei avuto nessun tipo di coraggio: mi bastava l'idea che, anche se per pochi decimi di secondo, ho provato quello che in tanti invece non provano per tutto il resto della mia vita e ti dirò, questo mi bastava. Mi bastava davvero.
Ma riflettei a lungo su di te e su quello che mi avevi dato e decisi, in qualche modo, di tirarmi fuori dal mio stesso oblio: pensai che se avessi avuto la possibilità di incontrarti avrei voluto farmi trovare pronto, anche solo per ricevere quella carezza.
Il mattino successivo mi svegliai e mi rattristì l'idea che, accanto a me, non ci fosse nessuno.
Mi alzai e feci entrare, nella mia camera, la luce del sole: quel gesto, per quanto banale e stupido sotto certi punti di vista mi convinse del fatto di voler uscire fuori da quel maledetto abisso, accendendo la luce dentro di me e ricercando quello che non provavo da tempo.
Ne ero convinto, avevo bisogno di ritrovarmi e di accendere la luce, quella stessa luce che provai quando quella mano, anche se invisibile, tenue e immaginaria, mi carezzò il volto e mi asciugò le lacrime.
Passò molto tempo e di quella sera mi dimenticai, ma i segni rimasero, indelebili, su di me.
Mi trasformai, e cambiai così tanto che quel Ferdinando non ebbe più la possibilità di uscire alla luce del sole, seppellito com'era sotto un cambiamento che mi trasformò radicalmente, che mi fece pensare di essere pronto a un qualcosa di così bello ed eccezionale che mi avrebbe sconvolto, come mi sconvolse quella notte.
Una sera come tante fui invitato a questa festa poco fuori città: non ricordo nemmeno chi mi invitò, anche se ricordo benissimo quella sensazione di "richiamo" che il mio intuito esercitò su di me; sapevo che sarebbe successo qualcosa e, anche se di solito io non credo a queste cose, ci andai comunque.
Parcheggiai in questo spiazzale ed entrai in casa, da solo, aspettandomi soltanto alcool scadente, persone scadenti, musica scadente.
Quasi non mi accorsi di te perché in quella tremenda oscurità quasi non ci feci caso ma bastò una luce, una soltanto, per rendermi conto di quello a cui stavo andando incontro.
Eri lì e nemmeno ti accorgesti di me ma io ci feci caso, e come non potevo: eri così tu che chiunque avrebbe fatto carte false anche solo per starti un secondo vicino perché chiunque si sarebbe sentito un po' di più accanto a te.
Mi accecasti, anche grazie a quello splendido vestito bianco che avresti buttato per dimenticare.
Ma mi vergognavo, anche solo ad avvicinarmi.
Avevo paura? Non lo so, ma qualcosa mi stava fermando.
Com'era possibile? Ancora oggi non riesco a rispondere a questa domanda, sapendo anche che impiegai anni a tirarmi fuori definitivamente da quel maledetto oblio che tarpava tutto quello che ero.
Poi ad un certo punto ti girasti: quegli occhi, che poi si sarebbero rivelati cangianti, mi guardarono dentro l'anima e mi accorsi che quella carezza, ricevuta quasi per caso in una notte di piena insonnia, poteva essere realtà e già lo era, perché anche solo col tuo sguardo mi stavi carezzando l'anima, rendendomi innocente come un bambino e puro come una persona che non aveva vissuto, fino a quel momento.
Fortuna volle che qualcuno ci presentò, Chiara.
Chiara.
"Andiamo fuori?", è forse l'unica cosa che ti dissi quella sera.
C'era la luna piena e, anche se non eri cambiata di una virgola, in qualche modo ti trasformasti: in qualche modo ti liberasti dei tuoi impedimenti e ti percepii, anche senza parlare poi granché.
Però sorridevo ogni volta che ti guardavo e tu lo stesso; chissà poi perché, ancora me lo chiedo.
In qualche modo pensai che quel momento non si sarebbe mai più ripetuto e ti dirò, mi sarebbe bastato così perché, per due volte, provai quella sensazione di pace e mi bastava, mi bastava davvero.
Poi, però, mi chiedesti il numero di telefono.
Riflettei a lungo sul da farsi, geloso dei momenti che in qualche modo mi avevi donato e impaurito di fronte alla possibilità di corrompere quel momento così puro.
Ma accettai, perché se anche avessi solo la possibilità di ricambiare in qualche modo sarei stato felice.  
Non so come, ma mi scegliesti.
Fu strano, perché accade quasi per caso: ti chiesi d'uscire e, dopo circa 10 minuti di guida, bucammo la ruota e ci fermammo vicino a questo ristorante; mentre aspettavamo i soccorsi, presi dall'entusiasmo, salimmo sul tetto a guardare le stelle.
Mentre ti indicavo Betelgeuse sentii la tua mano nella mia, e non me la lasciasti più.
Non fiatasti, perché sapevi come riempire di luce anche il vuoto di quella notte senza fondo.
Rimasi incredulo.
Quel momento, per quanto innocente, mi rimase impresso.
Il tuo tocco così delicato superò di gran lunga quello che provai quella notte, e di questo rimasi così sorpreso che mi commossi.
Decisi di raccontarti tutto, e quale posto migliore se non casa mia.
Mi misi seduto a terra e, con te sul mio letto, ti raccontai di come quella notte mi cambiò la vita.
Pensasti che era destino e io ti credetti, perché non potevo fare altrimenti.
Fu davvero destino, a pensarci.
E poi accadde: ti avvicinasti a me e la tua mano mi sfiorò il volto, in un gesto che mai avrei più dimenticato.
Come non dimenticai tutto quello che poi accadde tra noi perché, ancora oggi, non so nemmeno come descriverlo.
Fu tutto fantastico con te e nemmeno la più fervida delle immaginazioni potrà mai capire quello che sei stata per me, mai.
Ma, una notte, accadde.
Dormivo in camera mia quando, all'improvviso, una chiamata: accesi la luce e corsi, quando sentii le tue lacrime provenire dall'altoparlante.
Arrivai da te e ti vidi come mai prima di allora: eri debole, così debole che per la prima volta ti aggrappasti a me, unica luce in quella landa di buio e dolore.
Stavi piangendo, come mai ti avevo vista fare.
I tuoi genitori erano morti.
Un briciolo di oscurità entrò dentro di te, corrompendoti, e io non potrei fare altro che assistere.
Il giorno successivo ti portai a casa mia e, mentre cercavamo di dormire ti sentii piangere: piangevi, perché eri caduta nel tuo oblio e scioccamente pensai che una mia carezza, forse, ti avrebbe salvata da quel buio angosciante.
Fu l'inizio della fine.
I mesi successivi furono tragici e cercai, cercai, di tirarti fuori dalle tenebre in cui eri caduta ma con poco successo: vederti così spenta mi trucidò l'anima come mai niente prima di allora, soprattutto perché non ero pronto, ma nessuno lo era.
Qualsiasi cosa io facessi per farti risplendere ti mandavo sempre giù, in un'oblio senza fondo in cui la tua unica luce era la tua e da cui mai riuscirai a riemergere.
Mi resi conto di non essere adatto ad essere la luce nel cuore della tua oscurità.
Non ti serviva uno come me in quel momento.
Ti chiesi di spiegarmi cosa vedevi perché, anche nel pieno dell'oscurità, ero accecato dalla luce che emanavi.
O forse dal ricordo di essa.
Ma non eri più tu.
La tua purezza, che emanavi con grande orgoglio, appassì.
La tua presenza illuminava comunque i cuori di chi ti passava accanto, ma era palese che dentro di te qualcosa era cambiato e che, il tuo oblio, ti stava mangiando pian piano, con assurda e tenera dolcezza, forse la stessa di quella mano che mi carezzò quell'assurda notte di tanto tempo fa.
Non riuscivo a guardarti allo stesso modo: eri comunque pura ma non eri più tu Chiara, non eri più tu.
E poi ci lasciammo.
Non mi spiegasti mai il motivo di quel gesto, non ce n'era d'altronde bisogno, ma ricordo con esattezza cosa ti spinse a quel gesto: io.
Essere la tua luce fu eternamente faticoso per me, soprattutto sapendo che non ero così luminoso come lo eri tu.
Ti amavo alla follia ma più andavo avanti e più mi resi conto che quella Chiara non era la Chiara che amavo, e più cercavo di farla riemergere più venivo messo alla prova, fino a che non arrivai ad un punto in cui capii che non avrei potuto fare niente per te.
Essere la tua luce, benché flebile, mi stancò a tal punto da non provare più niente per te.
Ti feci credere di non amarmi più perché pensai fosse il modo migliore per mettere fine a tutto questo.
E ci lasciammo, causandoti forse ancor più male, o forse no. Lo spero, almeno.
La sera che ci lasciammo non feci altro che pensare a te.
Nel buio di camera mia pensai che quella Chiara non esisteva più, e questo mi fece male: sapere di esser l'unico che ha avuto la possibilità di godersi un qualcosa che non c'è più mi fa star male, soprattutto perché quella meraviglia sarà per sempre soffocata da un dolore che non avrà mai fine dentro di te.
Nessuno avrebbe più acceso la luce dentro di te, e pensai a come sarebbe stato vivere senza provare alcunché.
Poi ricordai che anche io avevo vissuto quella agonia e piansi, come mai prima di quel giorno, perché mi resi conto che con la mia carezza ti rubai l'ultimo briciolo di splendore rimasto.
L'unica cosa che mi rendo conto di poter fare è conservare il tuo ricordo gelosamente perché, la mia, è l'unica testimonianza di un qualcosa di così bello e accecante da non poter essere replicabile, in alcun modo.
Ma in quel momento potei solo spegnere la luce bianca di camera mia, sapendo in cuor mio che non avrei mai più ricevuto quel tipo di carezza.
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ilarywilson · 4 years
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«Stiamo insieme» ... «Io e il bruco».
Sorseggia ancora prima di rischiare di sputare tutto nuovamente.
«Il bruco ha bruciato il testicolo al padre di Sebastian?!»
«NOOOO! Non conosco lo stato dei testicoli del padre di Sebastian...!» scoppia a ridere, le guance e gli occhi ormai accesi del divertimento più sfrenato. «E non so chi abbia bruciato quello di Harry, una con cui è andato a letto credo. Io mi sono solo occupata degli impacchi che glielo hanno salvato».
La faccia divampa di un rosa leggero tendente sempre più al rosso, mentre Ilary spiega il palese fraintendimento «oooh» annuisce «mi sembrava strana effettivamente, la questione» ...
«Lo sai...» sperando di non risultare inopportuna, si inserirebbe con una riflessione genuina e spassionata «vedere te mi aiuta a ricordare perché non era possibile giustificargli tutto con... la scusa della malattia». Gli occhietti si inumidiscono appena, sebbene il sorriso scacci il presagio lacrime. 
«Alla fine del processo sono andata via... perché mi sono posta anche io il problema di essere o di poter diventare come lui... per la malattia» ovviamente «ma... diciamo che sono arrivata al risultato che la malattia a volte sia solo una scusa. Ci può rendere più sensibili, più instabili in alcuni gesti e in alcune decisioni, ma è ciò che siamo che ci permette di decidere se quelle decisioni compierle o no...»
«Io sono andata a vomitare» dopo il processo. «Credevo che fosse perché mi dispiaceva per lui e perché al suo posto mi sarei sentita morire, ma...non era solo questo» tirando un profondo sospiro, ora. 
   «Era anche che... credevo se lo meritasse»
Il tono ad abbassarsi, quasi quel pensiero portasse con sé un peccato irripetibile. «Credevo che avrebbe tenuto un po` più al sicuro chi gli sta intorno». Quanto al resto... ha da aggiungere ancora qualcosa: «anche io ho avuto quella paura» il tempo passato è figlio del tentativo di debellarla anche così. «Quando ho smesso di avere paura di... incontrare un altro Sebastian... ho iniziato ad aver paura che il Sebastian fossi io». Deglutisce a fatica. «Ma Rachel mi ha dato della troll» fra le righe lei ha letto questo «e di smetterla di ficcarmi da sola il dito nelle cicatrici, che non ce n`è alcun bisogno» un altro sospiro per allentare la tensione. «E sai cosa ci direbbe Silente?» per concludere, sporgendosi appena in avanti:
    «Siamo le scelte che facciamo».
«Una parte di me vorrebbe davvero darti una sberla» lo dice piano «ma odio la violenza e odio i segni che lasciano gli schiaffi» pausa «però fai conto che te l`abbia dato! Non permetterti più di pensare di paragonarti o di essere come Sebastian, Ilary Wilson, hai capito?»
«Stare con una persona malata non ti rende malata, hai così tanta luce in quel corpicino e in quel cuore che per spegnere quella luce, per farti giocare al buio, dovrebbero esserci duecento Sebastian Waleystock o forse trecento Sebastian... quindi NO!»
Di scatto si sistema sul divano con la schiena dritta: «il vomito era il tuo cervello che voleva eliminare queste stron***. La decisione del giudice è stata la scelta migliore, non puoi essere un mago se non riesci a controllare le tue emozioni, o la tua magia, altrimenti la magia controllerà te. Quindi in parte un po` se lo merita Ilary, sì. Se lo merita perché ha avuto mille modi per imparare la lezione, mille occasioni, ma quando già al quarto anni effettui incantesimi dettati dalla rabbia su una ragazzina più piccola, se per dispetto incendi i mantelli con la gente dentro durante la lezione... Oh santo Merlino! Allora la bacchetta è meglio spezzata perché dell`essere mago non hai capito proprio nulla! E tu temi di essere come lui? Di essere la persona marcia che usa le persone e il loro amore per poi sputarle via come frutta marcia o noccioli di una pesca?!» La destrorsa e la mancina andrebbero dunque a posarsi sulle gambe di Ilary, per avvicinarsi guardandola negli occhi.
«NON SEI LUI»
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«Merlino! Sembra la trama di un pessimo film di terza categoria, non è vero?» un sorriso sghembo ha persino la forza di stropicciarsi di lato, sulle labbra. Ma quella disinvoltura non imbroglia nessuno, eccetto se stessa. «Le metafore ti riescono che è una meraviglia, sai?» tutto ciò che riesce a proferire prima che la voce si incrini definitivamente e le prime lacrime righino il visetto.
«Silente ne sapeva!»
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strawberry8fields · 4 years
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[Dei tentativi di traduzione a parole di una fine e della punteggiatura di un amore.]
Le parole di un addio 
Come si racconta la parabola di un amore che si spegne? Si possono tratteggiare i contorni di una fine? C’è un modo esatto per mettersi veramente a nudo nel confessare la sofferenza? È meglio farlo sibilando come un eco in lontananza che svanisce piano o urlando come se nel farlo si potesse alleggerire il peso del dolore? Meglio un gemito nel costante mormorio del mondo o il suono di una sirena che riecheggia? Conviene usare una penna intinta di tristezza ripercorrendo tutto in vena nostalgica o una penna cruda dal tratto marcato? Sarebbe più opportuno troncare i passaggi più ostici e decelerare o arrivare dritti in costante accelerazione fino alla battuta conclusiva? Come si formalizza una fine?
Non so come si racconta un addio. Non so quale sia l’architettura testuale da adottare. Se esiste un modo giusto di farlo e se alcune scelte siano più adeguate di altre. Se davvero esiste un modo. 
So come lo racconterei io.
Dipingerei a parole la fragile cornice delle promesse di un amore andato in frantumi e poi la cancellerei. Scriverei con rapidità frasi su frasi senza segni di interpunzione per parlare della velocità di trasformazione delle grandi intese in grandi guerre e dell’improvvisa rottura del nostro equilibrio fondato su costruzioni astratte.
Darei voce alle “cose-da-non-dire” strutturandole in una cascata ininterrotta di pensieri e riflessioni. Mi soffermerei sugli strati induriti di emozioni e con i due punti scaverei più a fondo, servendomi di un elenco esplicativo preciso e dettagliato. Utilizzerei parole ruvide per descrivere due persone ormai taciturne e amareggiate, parole angolari per cristallizzare i segni dell’amore che un tempo li univa. Parole dissonanti per il distacco emotivo e la mancata tenuta dell’accordatura e parole morbide in intervalli simultanei per l’armonia e la complicità invidiabile degli inizi.
Cercherei di fare assaporare il retrogusto delle speranze infrante con una scrittura densa e tormentata che non ammette pause. Con la calligrafia inclinata la spoliazione della naturalezza dei gesti.
Poi segmenterei la nostra storia nelle sue unità costitutive per coglierne le sfumature, senza disarticolarne o scomporne il contenuto. A livello iniziale, metterei i punti con un tratto netto per raffigurare i volti impenetrabili; i punti e virgola per lo stacco deciso tra le espressioni aperte e gli sguardi sorridenti degli esordi e le espressioni tese e le teste chine della fine. Metterei anche qualche punto e virgola in più per scandire le interruzioni intermedie delle liti e delle riappacificazioni. Sospenderei il discorso con i puntini sospensivi per i silenzi protratti e le risposte mancate, nel vano tentativo di far recuperare al lettore preziose informazioni continuamente omesse e farlo giungere alle sue conclusioni. In quello intermedio, differenzierei con le virgole due persone scoordinate e ormai indipendenti per segnalare la separazione tra due proposizioni che un tempo erano un tutt'uno. Sul finale, qualche punto esclamativo per sottolineare l’importanza dei piccoli gesti dimenticati e la presenza dell’altro data per scontata e molti punti interrogativi per segnalare le lunghe pause e l’andamento discendente dei nostri sentimenti.
Farei qualche sbavatura qua e là per ricordare gli strascichi immancabili e deleteri dei litigi. Userei periodi lunghi e digressioni per restituirne il ritmo. Ripeterei le stesse parole in frasi ineleganti per ricordare quelle urlate dei nostri accesi scontri verbali. Sbaglierei ad andare a capo per far risaltare sul foglio le continue incomprensioni e i risentimenti, mostrandone le conseguenze. Illustrerei le interpretazioni diverse della stessa asserzione in estesi movimenti ragionativi collegati all'affermazione precedente. Poi sottolineerei di nero le parole per dar colore all'intrattabilità e alla rigidità delle posizioni. Ridurrei la frase al minimo e userei un linguaggio scarno per poter riprodurre le conversazioni asciutte degli ultimi tempi.
Infine, lascerei enormi spazi bianchi per la perdita di significato del nostro amore.
Riassumerei un addio in un elaborato controverso. 
In una fine a parole che fine non è.
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occhidibimbo · 2 years
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Come nel migliore dei finali, sfumiamo così: concludiamo il nostro viaggio attraverso i Diritti naturali dei bambini e delle bambine parlando di possibilità, di strade che si aprono, di colori che si mischiano senza definirsi bruscamente. Parliamo del decimo ed ultimo Diritto che è: IL DIRITTO ALLE SFUMATURE a vedere il sorgere del sole e il suo tramonto, ad ammirare nella notte la luna e le stelle. Avete presente i pennarelli? Quelli nel pacchetto da dodici che compriamo ai bambini ogni settembre per andare a scuola? Sono grossi, accesi, anche molto belli a vedersi, brillanti. Servono, è chiaro, perchè i piccoli possano lasciare segni visibili di sé, perchè possano godere della sensazione incisiva di creare qualcosa di coinvolgente sotto l'aspetto emotivo, motorio, sensoriale. Eppure quanti colori mancano in quel pacchetto da dodici? Troppi per dire il tanto che i colori sanno dire quando non squillano troppo sul foglio, quando non sono solo rosso, verde, blu e giallo ma anche lilla, ocra, fumo, magenta. Siamo abituati forse eccessivamente alle cose ben definite e a definire. Anche i bambini, spesso, ci viene facile chiamarli con nomi che ci sembrano lampantemente descrittivi: iperattivo, oppositivo, aggressivo, bravo, bravissimo, buono, difficile, problematico, strano, autistico. E intanto ci perdiamo le sfumature... Ci perdiamo la complessità delle piccole persone che abbiamo davanti. Sono generalizzazioni, semplificazioni spesso utili, necessarie per far fronte al difficile compito del comprendere, dell'andare nel profondo, del non fermarsi alle apparenze, al primo sguardo, ai colori tanto accesi da disturbare gli occhi. Ma i bambini, e anche i grandi, sono fatti di sfumature. Siamo tutti fatti di acqua per circa il 60%, il resto, per come la vedo io, sono colori; che si mischiano come nelle tavolette con i cerchi variopinti degli acquerelli. E' difficile avere a che fare con le parti degli altri che non sono né bianche né nere, perchè sono sfuggenti, perchè non sono immediate, eppure, proprio per questo, sono le più singolari e speciali. Pensate a un aggettivo per definirvi, uno solo. Sicuramente mancherà di qualcosa, sicuramente non vi renderà giustizia, non dirà a sufficienza della vostra bellezza. Lavoriamo tanto sulle differenze coi bambini, ma solo quando, anche quelle, sono tanto lampanti da diventare quasi “scomode” e quindi ci obbligano a prenderle in considerazione. A distinguerci non è solo il colore della pelle, o la lingua che parliamo, il nostro corpo più o meno coordinato, il nostro grado di sviluppo cognitivo. Eppure perchè non impariamo a sentirci definiti dalle cose di noi che sono più singolari e nascoste più che da quelle facilmente afferrabili da tutti? Notiamo, nei bambini, ciò che di loro appare più strano ma che è solo loro. Restituiamoglielo “digerito” con dolcezza quando loro non ne sono in grado. Educhiamo i loro sguardi alle mille sfumature agrodolci delle persone. Scopriamo insieme che, talvolta, è tanto più semplice avere meno colori per disegnare ma che è in quello spazio meno noto che collega i colori gli uni agli altri, che si nascondono le infinite possibilità del conoscersi davvero. Conoscersi anche senza necessariamente capirsi. Accogliere con gli occhi non accecati dai colori netti ma coccolati da altri più leggeri e inconsueti. Speriamo di ritrovarvi a settembre con noi, per percorrere nuove strade insieme, per giocare in acque nuove, quelle che, colpite dal sole, ci regalano ogni giorno il miracolo dei tramonti. “Fidati delle cose chiare Non delle cose ovvie Di quelle luminose Non di quelle illuminate Di chi capisce poco E non ha visto tutto Scoprire è meglio che capire Capire è meglio che spiegare Fidati di chi non si vergogna di cantare come gli viene E non delle canzoni Di chi ha messo la testa a posto Ma non ricorda dove Di chi balla per la strada Soprattutto quando piove.” (Lo stato Sociale – Quasi Liberi)
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lamilanomagazine · 1 year
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A Soresina sette persone denunciate coinvolte in una rissa
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A Soresina sono sette le persone denunciate coinvolte in una rissa. Cremona. I Carabinieri della Stazione di Soresina hanno denunciato per rissa aggravata sette persone, quattro uomini e tre donne, di età compresa tra i 19 e i 51 anni, tutti con precedenti di polizia a carico. Uno di loro è stato anche denunciato per la violazione del divieto di avvicinamento alla moglie che aveva a carico da oltre un mese. La denuncia è la conseguenza di un intervento effettuato da più pattuglie dei carabinieri sabato 23 settembre scorso in una via del centro cittadino, dove era stato segnalato un violento parapiglia tra più persone. Quella mattina, verso le 12.00, una donna e sua figlia erano andate a fare la spesa in un negozio e hanno trovato nei pressi tre uomini, due dei quali erano i fratelli del marito. Uno di questi uomini avevano iniziato a insultare la donna per un motivo ancora non chiaro. Gli animi si erano rapidamente scaldati e i toni della discussione erano diventati sempre più accesi, finché sono arrivati alle mani provocando una rissa. L’uomo ha colpito la donna con pugni, facendola cadere a terra. E’ intervenuta in suo aiuto la figlia, ma si sono intromessi anche i due fratelli del marito della donna. E tra tutti loro sono volati schiaffi e calci in mezzo alla strada. Qualcuno ha chiamato il marito della donna che è arrivato sul posto, nonostante avesse il divieto di avvicinarsi alla moglie, ma a sua volta sarebbe stato aggredito e colpito dai tre uomini e da una quarta persona, una donna, che li avrebbe aiutati nel corso della zuffa. E visto che la situazione era in breve tempo degenerata, alcune persone avevano chiamato la centrale operativa dei carabinieri di Cremona, segnalando la situazione e chiedendo l’intervento dei militari. Quando i militari sono arrivati le parti erano già divise, ma quattro dei partecipanti avevano chiari segni di colluttazione e sono dovute intervenire due ambulanze che hanno accompagnato due persone all’ospedale di Crema in codice verde e due persone all’ospedale di Cremona sempre in codice verde. Alla fine delle visite, due di loro sono stati dimessi con alcuni giorni di prognosi per i colpi ricevuti. I carabinieri intervenuti hanno identificato tutti i contendenti appartenenti ai due gruppi che si erano affrontati e che avevano partecipato attivamente alla zuffa, sentendo i testimoni che avevano assistito alla scena e ricostruendo quanto accaduto. Per questo motivo i sette sono stati denunciati all’autorità giudiziaria, mentre il marito della donna, che era giunto sul posto in violazione del divieto di avvicinamento imposto dal Tribunale di Cremona nel mese di agosto scorso, è stato denunciato anche per questo reato.  ... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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lorenzospurio · 2 years
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Annamaria Ferramosca presenta “Per segni accesi”, il 26 maggio alla Biblioteca Laurentina
Annamaria Ferramosca presenta “Per segni accesi”, il 26 maggio alla Biblioteca Laurentina
Segnalazione di Lorenzo Spurio Giovedì 26 maggio a partire dalle ore 18:00 presso la Biblioteca Laurentina (Piazzale Elsa Morante n°16) si terrà un incontro-concerto di poesia sul libro Per segni accesi (Ladolfi, Borgomanero, 2021) della poetessa Annamaria Ferramosca. La presentazione, che si avvarrà di un’introduzione critica della poetessa Marzia Spinelli, sarà un concerto-poesia, un recital…
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eccomisignore · 3 years
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Nell’attesa
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Don Paolo Zamengo sdb
Lc 21,25 - 28,34-36
Avvento: già la parola ha un sapore di attesa. Avvento dice che qualcuno viene, viene verso di noi, incontro a noi. Chi viene? Viene realmente? O facciamo finta che venga? E noi cosa dobbiamo fare? Come essere, come stare, come vivere in questa attesa? Perché la nostra è attesa di Qualcuno: “della tua venuta” diciamo nella messa.
Siamo in attesa, “ciò che tarda verrà”. E’ questo il messaggio. E siamo chiamati a leggere i segni senza fermarci all’apparenza, ma a guardare oltre. A non rimanere nella paura. Se le parole del vangelo di Luca avessero l’intenzione di farci paura, di ingigantire la paura, ditemi voi che vangelo, che “buona notizia”, sarebbe? Non abbiamo bisogno di terrorismo spirituale.
Le immagini del vangelo sono inquietanti, perché a volte anche la vita è inquietante e non lo sono forse inquietanti queste ore? Ma una cosa mi stupisce: le immagini drammatiche, incombenti, ecco, all’improvviso si aprono. “Non lasciatevi ingannare”. “Non vi terrorizzate”. “Avrete occasione di dare testimonianza”. E ancora: “Con la vostra pazienza salverete la vostra vita”. Sino alle ultime, bellissime, parole che chiudono il brano di vangelo di oggi: “Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina”.
“Quando cominceranno ad accadere queste cose…”. Quando? E non sarà che queste cose accadono già nella storia e non hanno mai finito di accadere anche oggi? Perché la storia è come segnata da questa conflittualità. E ne sono prova i nostri giorni da cui speriamo di uscire anche se frastornati, impauriti e feriti.
Quali allora gli atteggiamenti da coltivare “nell’attesa della tua venuta”? Nel tempo che va dalla venuta di Gesù al suo ritorno, “badate di non lasciarvi ingannare”. Ingannare da chi? Da quelli che usano parole religiose, da quelli che hanno facile il nome di Dio sulla loro bocca, da quelli che ti dicono: “Dio è qui, Dio è là”, o “Dio non c’è”. Sulla bocca di quelli che pretendono di dare loro un posto a Dio. Con una sicurezza arrogante, spavalda, gelida. Invece il messaggio di Gesù è semplice e concreto, ha un volto, il suo.
“Non vi terrorizzate”. I segni funesti, e ce ne sono in ogni tempo, hanno il triste effetto di terrorizzare: “gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra”. Mi ha colpito l’espressione “moriranno per la paura”. Si può morire di paura. La paura toglie energie, sogni, ci fa rintanare, ci paralizza. La paura ci ruba la vita, ci ruba il futuro.
“Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita”. Tenete duro, anche quando non vedete subito accesi i segni del regno di Dio. Abbiate la pazienza del contadino che sa attendere, anche quando non vede ancora i germogli. Seminate cose buone, gesti umani e perseverate nella fiducia in Dio.
E dentro le speranze e le contraddizioni che scandiscono le fasi della storia, l’invito è: “Risollevatevi e alzate il capo”. E’ questo il segno che siete in attesa della sua venuta. Il segno è il capo, lo sguardo alzato. Le delusioni e le tragedie ci lasciano curvi, capo chino e muso a terra, e non sentiamo più la forza di ricominciare e di lottare.
Ma quando tutto sembra logoro e inutile, ci giunge, ci risuona dentro questa parola ultima del vangelo di oggi: “risollevatevi e alzate il capo, la vostra liberazione è vicina”. Inizia una nuova giornata: “Risollevati, alza la testa”. Non lasciarti fermare. Riprendi a respirare. Continua a camminare. Come? Nella carità e nella luce. È dell’apostolo Paolo questo messaggio: “Camminate nella carità nel modo in cui anche Cristo ci ha amato e ha dato se stesso per noi.
Comportatevi come figli della luce. Capite? Dentro di noi c’è una scintilla di luce, di umanità, di bontà. In ognuno di noi indistintamente. Lasciamoci illuminare allora, camminiamo in questa luce. Nell’attesa della sua venuta.
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Nell’attesa
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Don Paolo Zamengo sdb
Lc 21,25 - 28,34-36
Avvento: già la parola ha un sapore di attesa. Avvento dice che qualcuno viene, viene verso di noi, incontro a noi. Chi viene? Viene realmente? O facciamo finta che venga? E noi cosa dobbiamo fare? Come essere, come stare, come vivere in questa attesa? Perché la nostra è attesa di Qualcuno: “della tua venuta” diciamo nella messa.
Siamo in attesa, “ciò che tarda verrà”. E’ questo il messaggio. E siamo chiamati a leggere i segni senza fermarci all’apparenza, ma a guardare oltre. A non rimanere nella paura. Se le parole del vangelo di Luca avessero l’intenzione di farci paura, di ingigantire la paura, ditemi voi che vangelo, che “buona notizia”, sarebbe? Non abbiamo bisogno di terrorismo spirituale.
Le immagini del vangelo sono inquietanti, perché a volte anche la vita è inquietante e non lo sono forse inquietanti queste ore? Ma una cosa mi stupisce: le immagini drammatiche, incombenti, ecco, all’improvviso si aprono. “Non lasciatevi ingannare”. “Non vi terrorizzate”. “Avrete occasione di dare testimonianza”. E ancora: “Con la vostra pazienza salverete la vostra vita”. Sino alle ultime, bellissime, parole che chiudono il brano di vangelo di oggi: “Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina”.
“Quando cominceranno ad accadere queste cose...”. Quando? E non sarà che queste cose accadono già nella storia e non hanno mai finito di accadere anche oggi? Perché la storia è come segnata da questa conflittualità. E ne sono prova i nostri giorni da cui speriamo di uscire anche se frastornati, impauriti e feriti.
Quali allora gli atteggiamenti da coltivare “nell’attesa della tua venuta”? Nel tempo che va dalla venuta di Gesù al suo ritorno, “badate di non lasciarvi ingannare”. Ingannare da chi? Da quelli che usano parole religiose, da quelli che hanno facile il nome di Dio sulla loro bocca, da quelli che ti dicono: “Dio è qui, Dio è là”, o “Dio non c’è”. Sulla bocca di quelli che pretendono di dare loro un posto a Dio. Con una sicurezza arrogante, spavalda, gelida. Invece il messaggio di Gesù è semplice e concreto, ha un volto, il suo.
“Non vi terrorizzate”. I segni funesti, e ce ne sono in ogni tempo, hanno il triste effetto di terrorizzare: “gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra”. Mi ha colpito l’espressione “moriranno per la paura”. Si può morire di paura. La paura toglie energie, sogni, ci fa rintanare, ci paralizza. La paura ci ruba la vita, ci ruba il futuro.
“Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita”. Tenete duro, anche quando non vedete subito accesi i segni del regno di Dio. Abbiate la pazienza del contadino che sa attendere, anche quando non vede ancora i germogli. Seminate cose buone, gesti umani e perseverate nella fiducia in Dio.
E dentro le speranze e le contraddizioni che scandiscono le fasi della storia, l’invito è: “Risollevatevi e alzate il capo”. E’ questo il segno che siete in attesa della sua venuta. Il segno è il capo, lo sguardo alzato. Le delusioni e le tragedie ci lasciano curvi, capo chino e muso a terra, e non sentiamo più la forza di ricominciare e di lottare.
Ma quando tutto sembra logoro e inutile, ci giunge, ci risuona dentro questa parola ultima del vangelo di oggi: “risollevatevi e alzate il capo, la vostra liberazione è vicina”. Inizia una nuova giornata: “Risollevati, alza la testa”. Non lasciarti fermare. Riprendi a respirare. Continua a camminare. Come? Nella carità e nella luce. È dell’apostolo Paolo questo messaggio: “Camminate nella carità nel modo in cui anche Cristo ci ha amato e ha dato se stesso per noi.
Comportatevi come figli della luce. Capite? Dentro di noi c’è una scintilla di luce, di umanità, di bontà. In ognuno di noi indistintamente. Lasciamoci illuminare allora, camminiamo in questa luce. Nell’attesa della sua venuta.
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dxscriserva-blog · 6 years
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Toccatemi tutto, tutto Ma non prendetevi la politica che sostengo, gli ideali che seguo, le leggende in cui credo, i quadri che ho appeso sopra il letto, le corde scordate della mia chitarra, la lucina che ho in camera di quand’ero solo un bambino e avevo paura del buio  più di quanta ne abbia adesso. Non prendetevi i cartelloni, gli striscioni, i colori, i ricordi della scuola elementare, le leggi che non rispetto, le uova che ho lanciato contro un vetro, i cori contro le forze dell’ordine ed ogni istituzione e la rivoluzione che spero avverrà e che sosterrò fino alla morte  e “se io muoio tu mi devi seppellir”. Non prendetevi l’ “Anarchico, ribelle”  che mi rivolge mia madre e le sue urla  quando torno a casa con le ginocchia rotte. Non portatevi via la mia scrittura amatoriale, ma ai porno non ci sono ancora arrivato. Quel “non sarai mai poeta” che tanta gente mi ha sputato contro e alla fine chicazzosenefrega, io da grande voglio fare l’antifascista. Quei segni rossi sopra ad un compito di scuola. Tagliate via tutto, tutto ma non le mie parole. Tagliatemi i capelli, squarciatemi i vestiti, marchiatemi la pelle di lividi viola da manganello, ma non portatevi via le mie parole. Non portatevi via la mia visione del mondo a cui ho cambiato un po’ i colori per farmelo piacere un po’ di pi. Non portatemi via le mani ed i fogli e le fotografie e le persone che catturano  la mia attenzione per strada. Non portatevi via il mio mondo dai colori accesi e dalle statue che si muovono, dai fiumi di cioccolato e dalle farfalle che vivono  più di un giorno. Non prendetevi tutto, non prendetevi me che tanto non mi piglierete mai resto accanto ai miei compagni, sempre ingovernabile. -DXSC
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pangeanews · 7 years
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Paolo del Colle è l’Aguirre della letteratura italiana. Genesi di un libro impossibile
Che ci fosse una continuità tra Le ragazze dell’Eur e Spregamore lo avevamo già notato. Leggendo ora Nuda proprietà (Melville, Melville 2018) ci si accorge che si trattava dei primi due libri di una trilogia. Ma una trilogia che non è stata pensata a tavolino. Nessuna intenzione o atto volontaristico. La scrittura di Del Colle coincide con la vita. Nuda proprietà, quindi, se è l’ultimo capitolo di un trittico, è perché dei due romanzi precedenti ha raccolto l’esperienza – che è un’esperienza sia di scrittura che di vita. Ma attenzione, perché qui non siamo davanti a un romanzo ma a un libro di versi e prose. O forse sbaglio; anche questo è un romanzo, ma frammentato, scritto in versi e in prose che non vogliono essere poetiche ma attraversare il flusso di una scrittura che resta fedele al dettato della vita.
Tra i tanti abomini prodotti dalla contemporaneità, quello della nuda proprietà ha qualcosa di disumano. Tecnicamente è la possibilità di vendere la propria casa a un acquirente che ne diventerà effettivo proprietario solo dopo la morte di chi ora la abita.
Lo sappiamo, in Spregamore Del Colle aveva compiuto, rispetto alle Ragazze dell’Eur, un movimento di chiusura, si era insomma mosso dal fuori delle strade del suo quartiere al dentro delle stanze di un appartamento nelle quali si prendeva cura della madre. Ora però, quella madre non c’è più, nell’appartamento è rimasto solo, proprietario illegittimo. Cosa voglio dire: che Del Colle qui vuole mostrarci un ragione di inappartenenza, continuamente ricordandoci di non coincidere mai con se stesso, che l’esistenza, dopo quella morte, la morte della madre, ha subito uno sfasamento. Se siamo ancora dentro una casa, ora, quella stessa casa del libro precedente, è abitata da fantasmi – fantasmi che non restituiscono neppure il sollievo del ricordo, fantasmi che sono muti. In Nuda proprietà infatti non c’è più dolore; o meglio: il dolore non è più un mezzo conoscitivo. Si potrebbe parlare di un’apatia dell’esistenza, se non fosse che quell’immobilità non è che la visione di un presente che si ripete in perpetuo: «Le notti insonni/ non hanno precedenti/ si inseguono solo per stupirsi la mattina/ quando è un cielo mai visto/ a sostenere il tempo/ a impedire previsioni/ che vadano oltre/ la vetrata del balcone/ oltre ciò che penso/ sia accaduto a mia insaputa». Cosa ci sta dicendo Del Colle? Cosa è successo dopo quella morte? Che qui e ora non c’è dolore perché non c’è passato. Il presente non ha sospeso ma incenerito la memoria: «non c’è l’elegia della vita passata, ma la frattura dell’esistenza, la sua interruzione e questa è senza tempo, un vissuto privo di memoria, la vita che se ne è andata senza lasciare un ricordo; svaniamo in fretta con le nostre storie e solo così ci rendiamo conto che la terra è inabitabile, con le sue case abbandonate, televisori accesi per nessuno, negozi e strade deserte». Ho citato da una prosa contenuta nella seconda parte del libro, «Il cavallo di Aguirre», quella dedicata a Herzog, ma non proprio a lui, ma a tutti gli animali che abitano i suoi film. La casa è divenuta per Del Colle uno spazio disabitato e deserto ma non disumano: è il luogo dove l’uomo è tornato (prima ancora di essere diventato) una bestia. Ma quel ritorno allo stato animale è l’immagine che Del Colle ha del Paradiso – per questo la chiusa della trilogia è anche l’immagine di un paradiso terrestre, che è sempre un ritorno a un’origine in cui si torna a essere anima(le) e i peccati e i ricordi sono già stati lavati nel Lete, risucchiati nell’oblìo. Torna in mente il senso tecnico del titolo, «nuda proprietà». Effettivamente, quella casa appartiene a due persone contemporaneamente. Ma cosa sono diventate, in quell’atto notarile, le due persone se non chi vende un già morto e chi compra qualcuno che la morte dell’altro attende? E se fosse in questo abominio il segreto che ci vuole raccontare Del Colle? Voglio dire, quelle due “persone” è lui stesso sdoppiato (e il doppio era un tema ricorrente nei precedenti libri, un doppio ottenuto in due persone che mai coincidevano ma che si scambiavano i ruoli: uno esisteva e l’altro era l’assente mai nato – un fratello o un angelo – ma che determinava l’esistenza dell’altro). Ma, più che di uno sdoppiamento, bisognerebbe parlare di una scissione, di una non coincidenza. È come se in Nuda proprietà Del Colle si fosse osservato da fuori e avesse visto che quella casa, dopo la morte di sua madre, non gli appartenesse più, nonostante lì dentro ci sia tutta la vita, costretto ad abitarci da estraneo. Per questo è impossibile coincidere con se stessi. Oppure, proprio in ragione di quell’estraneità, fosse costretto ad abitarci cancellando i ricordi, vivendo solo lo spazio perpetuo del presente, come la casa fosse una «terra santa» che ci ha già mutati in bestie, in pure anime. Il presente, allora, è in Nuda proprietà un tempo che non è già più – è l’altrove che ci ha già mutati. Paolo è già gli animali di Herzog che invoca in quella sezione, lo è fin dall’inizio, gli stessi animali che osservano l’uomo e non ne capiscono gli atti folli, i gesti di disperata vacuità. Sono loro a pronunciare una verità ultima e prima: «Gli animali in Herzog ci fanno capire quel che non siamo mai stati, cioè la nostra scomparsa (un anticipo o una attesa), un paradiso da sempre sulla terra che lo sguardo umano non può che distruggere».
Andrea Caterini
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Per gentile concessione dell’editore pubblichiamo un estratto da “Nuda proprietà”, di Paolo Del Colle (Melville, 2018)
  «Il cavallo di Aguirre»
In una immagine “rubata”, casuale, un istante catturato da Herzog in Aguirre, furore di Dio, il cavallo dei ribelli in viaggio verso l’Eldorado, viene gettato dalla zattera: improvvisamente, le risate si smorzano nel silenzio, nel non comprendere: il cavallo non cerca di risalire, ma si mette in salvo sulla sponda del fiume, da dove per un attimo rivolge lo sguardo a quei ribelli, ora abbandonati a se stessi, alla loro follia solo umana. Per la prima volta il loro condottiero, Aguirre, guarda indietro. Il confine è superato, non c’è più scampo. La zattera gira su se stessa. Sarà invasa dalle scimmie.
C’è un film invisibile nella filmografia di Herzog. Gioco sulla sabbia, secondo cortometraggio del 1964, 14 minuti. Trama semplicissima: dei bambini giocano con un gallo, in un crescendo di crudeltà insopportabile. Herzog ne parla sempre in modo sbrigativo, ripetendosi: «non potevo immaginare quello che sarebbe successo… ho perso il controllo» e variazioni su questa sua paralisi, incapacità di fermare ciò che accadeva.
Si può azzardare che a immobilizzarlo sia l’evoluzione di una storia, la sua conseguenzialità, verrebbe da dire che ciò che non controlla è il prevedibile, l’appiattirsi della verità sul fatto; lo immobilizza il contrario della visione estatica, perché sperimenta la mancanza di visione, il suo precipitare nel necessario di cui fa parte la sua fissità, l’essere spettatore, come fosse un regista dell’odiato cinema verità. Da allora nei suoi film gli animali sono presenze che aprono tempo e spazio, donano circostanze a noi invisibili, ma che ci attorniano (il gallo, il mulo e la civetta in Segni di vita; la cicogna in La difesa esemplare della fortezza di Deutschkreutz; gli uccelli in Cuore di vetro; i maiali in La soufrière; Anche gli uomini cantano rimanda invece al finale di Fitzcarraldo).
Lo sguardo di Herzog deve molto a loro: la verità non è in uno sprofondamento, una verticalizzazione dell’immagine, ma in quell’immagine che impedisce lo sprofondamento e ferma la visione in un punto di equilibrio che non è armonia, ma segna la distanza, anche minima, che ci divide da un’altra vita, o dalle due facce dell’origine, la vita e la sua da sempre perduta inviolabilità. Gli animali in Herzog ci fanno capire quel che non siamo mai stati e quel che saremo già stati, cioè la nostra scomparsa (un anticipo o una attesa), un paradiso da sempre sulla terra che lo sguardo umano non può che distruggere. È con il loro sguardo, fatto suo, che Herzog dona al nostro tempo un assoluto, che non è privilegio di ascolti elitari della voce dell’essere, ma ciò che su questa terra permettiamo di essere tale. L’assoluto non ci viene regalato e non è un luogo statico dall’origine dei tempi, è ciò che riusciamo a intravedere oltre i piani più alti delle moderne cattedrali, ciò che viene in soccorso quando sembra esaurito il fiato e finite le lacrime. Herzog la chiama «verità estatica». Al limite estremo, quando anche il camminatore Herzog giunge allo sfinimento, all’assenza di orizzonti, si trova finalmente il pericolo della mancanza di senso: cioè il grande avversario del nulla. Il mitico viaggio a piedi da Monaco a Parigi per trovare Lotte Eisner malata finisce con queste parole: «Per un solo istante, senza peso, per il mio corpo esausto è passato come un soffio di dolcezza. Ho detto. Apra la finestra, da qualche giorno io so volare».
Paolo del Colle
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incircolarte · 4 years
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Dopo il lungo periodo di sospensione imposto dal necessario lockdown riprendono le esposizioni presso la vetrina del centro d'arte e cultura 'L. da Vinci' di Bari - Santo Spirito con gli appuntamenti di ARTE in VETRINA, iniziativa che propone la visione di un dipinto, a cadenza quindicinale, direttamente dall'esterno della location.
Dal 28 maggio al 15 giugno è la volta di 'Risvolti cromatici', un acrilico su tela dalle dimensioni di cm 100 X 100 dell'artista Leonardo Basile. L'opera, che porta il 1997 come data di realizzazione, è un inedito mai esposto fino ad ora, e rappresenta l'intenzione dell'autore nel concentrare la propria fantasia sui giochi pulsanti dei colori accesi, creando tra essi una sinergia complementaristica che, come nell'immensità dello spazio, si lanciano verso l'infinito dove predominano il senso della memoria e il sogno.
Scrive Vito Cracas , storico e critico d'arte in Bari: "Artista dotato di vivace fantasia , Leonardo Basile traduce le vibrazioni della propria emozionalità in composizioni densamente ritmate nel variare dei segni grafici e dei colori, dove il richiamo formale alla realtà , tuttavia , è quasi del tutto annullato , a favore di una libera espressività della percezione interiore . Una pittura , la sua , densa di motivazioni spirituali e di intuizioni , che si dispongono secondo una logica propria , originale , nel tessuto della rappresentazione .
Momenti di approdo e di proiettive tensioni , ad un tempo , delle riflessioni maturate nel vissuto quotidiano , che l'artista esplicita con maestria nel dosaggio cromatico delle tonalità , con le quali traduce la variegata gamma dei sentimenti e le ineffabili vibrazioni della sensibilità ."
Leonardo Basile, nato a Palese (Bari) nel 1961 , pittore , ha frequentato il Liceo Artistico e l’Istituto d’ Arte ; opera nell’ambito dell’astratto e informale . Ha tenuto mostre personali e partecipato ad innumerevoli rassegne collettive nazionali ed internazionali. Ha ottenuto diversi premi e riconoscimenti . Vive ed opera in Bari Santo Spirito , dove fa dell' arte il suo serio gioco di vita .
Risvolti cromatici per Arte in vetrina Dal 28 Maggio al 15 Giugno 2020
Vetrina Centro d'arte e cultura L. Da Vinci Santo Spirito, Via G.Verdi, 7, (BA)
Orario di apertura Tutti i giorni, 24/24 h
http://leonardobasile.it
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