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Riflessioni con Card. Ravasi
Era una sera solitaria. Leggevo un libro a lungo, finché il mio cuore divenne arido. Mi pareva che la bellezza fosse una cosa foggiata da mercanti di parole. Stanco, chiusi il libro e spensi la candela. In un istante la stanza fu inondata dalla luce della luna.
TAGORE
Mi costa un po’ proporre questa citazione perché, se devo essere sincero, per me leggere nella notte, avvolto da un immenso silenzio, è un’esperienza esaltante che purtroppo mi viene a mancare non di rado, costretto come sono ai viaggi e alla dispersione di stanze estranee, anche se molto ospitali. Eppure quello che scrive Tagore, il poeta indiano tanto caro anche all’Occidente, morto ottantenne a Calcutta nel 1941, contiene una verità che vale anche per me e che può estendersi al di là del tema specifico della lettura (pratica, per altro, non molto diffusa in Italia). È, infatti, l’appello a non accontentarsi delle mediazioni, ma a scendere in campo, nell’immenso e grandioso orizzonte del mondo e della vita.
Ci sono persone che scambiano per realtà le illusioni che la televisione imbandisce loro a pranzo e a cena. C’è chi immagina che la verità sia solo quella contenuta nella sua scatola cranica e nei suoi ragionamenti. Ci sono quelli che hanno sempre bisogno di un grembo protettivo, fatto di persone che condividono le loro idee, che assomigliano a loro e non li contraddicono mai. Mi ha sempre colpito un verso forte dell’Assassinio nella cattedrale di Eliot: «La razza umana non può sopportare molta realtà». Ecco, allora, l’invito di Tagore a lasciar irrompere la luce della luna o del sole che ti svela quanto piccola e polverosa sia la tua stanza e quanto infinito sia il mondo e il suo mistero. Allargare la mente e il cuore, andando incontro agli altri: solo così il respiro dell’anima si dilata.
Testo tratto da: G. Ravasi, Breviario laico, Mondadori
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Conosci la Bellissima Lettera a Diogneto?
I cristiani non si differenziano dagli altri uomini né per territorio, né per il modo di parlare, né per la foggia dei loro vestiti. Infatti non abitano in città particolari, non usano qualche strano linguaggio, e non adottano uno speciale modo di vivere. (…)
Abitano ognuno nella propria patria, ma come fossero stranieri; rispettano e adempiono tutti i doveri dei cittadini, e si sobbarcano tutti gli oneri come fossero stranieri; ogni regione straniera è la loro patria, eppure ogni patria per essi è terra straniera. Come tutti gli altri uomini si sposano ed hanno figli, ma non ripudiano i loro bambini. Hanno in comune la mensa, ma non il letto.
Vivono nella carne, ma non secondo la carne. Vivono sulla terra, ma hanno la loro cittadinanza in cielo. Osservano le leggi stabilite ma, con il loro modo di vivere, sono al di sopra delle leggi. Amano tutti, e da tutti vengono perseguitati. Anche se non sono conosciuti, vengono condannati; sono condannati a morte, e da essa vengono vivificati.
“I cristiani abitano in questo mondo, ma non sono del mondo”
Sono poveri e rendono ricchi molti; sono sprovvisti di tutto, e trovano abbondanza in tutto. Vengono disprezzati e nei disprezzi trovano la loro gloria; sono colpiti nella fama e intanto viene resa testimonianza alla loro giustizia. Sono ingiuriati, e benedicono; sono trattati in modo oltraggioso, e ricambiano con l’onore.
Quando fanno dei bene vengono puniti come fossero malfattori; mentre sono puniti gioiscono come se si donasse loro la vita. I Giudei muovono a loro guerra come a gente straniera, e i pagani li perseguitano; ma coloro che li odiano non sanno dire la causa del loro odio.
Insomma, per parlar chiaro, i cristiani rappresentano nel mondo ciò che l’anima è nel corpo. L’anima si trova in ogni membro del corpo; ed anche i cristiani sono sparpagliati nelle città del mondo. L’anima poi dimora nel corpo, ma non proviene da esso; ed anche i cristiani abitano in questo mondo, ma non sono del mondo.
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20 L'ateismo moderno si presenta spesso anche in una forma sistematica, secondo cui, oltre ad altre cause, l'aspirazione all'autonomia dell'uomo viene spinta a un tal punto, da far ostacolo a qualunque dipendenza da Dio. Quelli che professano un tale ateismo sostengono che la libertà consista nel fatto che l'uomo sia fine a se stesso, unico artefice e demiurgo della propria storia; cosa che non può comporsi, così essi pensano, con il riconoscimento di un Signore, autore e fine di tutte le cose, o che almeno rende semplicemente superflua tale affermazione.
Una tale dottrina può essere favorita da quel senso di potenza che l'odierno progresso tecnico ispira all uomo. Tra le forme dell'ateismo moderno non va trascurata quella che si aspetta la liberazione dell'uomo soprattutto dalla sua liberazione economica e sociale La religione sarebbe di ostacolo, per natura sua, a tale liberazione, in quanto, elevando la speranza dell'uomo verso il miraggio di una vita futura, la distoglierebbe dall'edificazione della città terrena.
Perciò i fautori di tale dottrina, là dove accedono al potere, combattono con violenza la religione e diffondono l'ateismo anche ricorrendo agli strumenti di pressione di cui dispone il potere pubblico, specialmente nel campo dell'educazione dei giovani.
Gaudium et Spes (20)
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Con il termine di «ateismo» vengono designati fenomeni assai diversi tra loro. Alcuni negano esplicitamente Dio; altri ritengono che l'uomo non possa dir niente di lui; altri poi prendono in esame il problema relativo a Dio con un metodo tale per cui il problema sembra privo di senso. Molti, oltrepassando indebitamente i confini delle scienze positive, o pretendono di spiegare tutto solo da questo punto di vista scientifico, oppure al contrario non ammettono ormai più alcuna verità assoluta. Alcuni tanto esaltano l'uomo, che la fede in Dio ne risulta quasi snervata, inclini come sono, così pare, ad affermare l'uomo più che a negare Dio. Altri si rappresentano Dio in modo tale che quella rappresentazione che essi rifiutano, in nessun modo è il Dio del vangelo. Altri nemmeno si pongono il problema di Dio, in quanto non sembrano sentire alcuna inquietudine religiosa né riescono e capire perché dovrebbero interessarsi di religione. L'ateismo inoltre ha origine non di rado o dalla protesta violenta contro il male del mondo, o dall'aver attribuito indebitamente i caratteri propri dell'assoluto a qualche valore umano, così che questo prende il posto di Dio. Perfino la civiltà moderna, non per se stessa ma in quanto troppo irretita nella realtà terrena, può rendere spesso più difficile l'accesso a Dio.
Senza dubbio coloro che volontariamente cercano di tenere lontano Dio dal proprio cuore e di evitare i problemi religiosi, non seguendo l'imperativo della loro coscienza, non sono esenti da colpa; tuttavia in questo campo anche i credenti spesso hanno una certa responsabilità. Infatti, l'ateismo considerato nella sua interezza non è qualcosa di originario, bensì deriva da cause diverse, e tra queste va annoverata anche una reazione critica contro le religioni e, in alcune regioni, proprio anzitutto contro la religione cristiana. Per questo nella genesi dell'ateismo possono contribuire non poco i credenti, in quanto per aver trascurato di educare la propria fede, o per una presentazione fallace della dottrina, o anche per i difetti della propria vita religiosa, morale e sociale, si deve dire piuttosto che nascondono e non che manifestano il genuino volto di Dio e della religione.
Gaudium et Spes (cfr 19)
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I membri dell’Ordine Secolare dei Carmelitani Scalzi sono fedeli della Chiesa, chiamati a vivere “in ossequio di Gesù Cristo”, attraverso “l’amicizia con Colui dal quale sappiamo essere amati”, servendo la Chiesa. Sotto la protezione di Nostra Signora del Monte Carmelo, e ispirandosi a Santa Teresa di Gesù, a San Giovanni della Croce e alla tradizione biblica del profeta Elia, essi cercano di approfondire gli impegni cristiani ricevuti nel battesimo.
(dalle Costituzioni OCDS)
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La ragione più alta della dignità dell'uomo consiste nella sua vocazione alla comunione con Dio. Fin dal suo nascere l'uomo è invitato al dialogo con Dio: non esiste, infatti, se non perché, creato per amore da Dio, da lui sempre per amore è conservato, né vive pienamente secondo verità se non lo riconosce liberamente e se non si affida al suo Creatore. Molti nostri contemporanei, tuttavia, non percepiscono affatto o esplicitamente rigettano questo intimo e vitale legame con Dio, così che l'ateismo va annoverato fra le cose più gravi del nostro tempo, e va esaminato con diligenza ancor maggiore.
(Gudium et Spes cfr 19)
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Lunedì 16 gennaio Meditazione Quotidiana J.Main da "Il Silenzio e la Quiete“
Non dimenticate la purezza del cuore implicita nella recita del mantra. La fedeltà al mantra dall'inizio alla fine di ogni meditazione ci conduce a tale semplicità e innocenza poiché ci permette di abbandonare l'ego. La fiducia di proclamare Cristo, il discernimento necessario per capire come dovremo farlo al giorno d'oggi, e il coraggio di rendergli testimonianza a partire dalla esperienza che abbiamo fatto di Lui derivano dalla nostra fedeltà alla meditazione quotidiana e al mantra.
Non vi è nulla che risplenda maggiormente nel nostro cuore della gloria di Cristo, che non è trionfalistica, ma trionfa sui cuori induriti dalle ferite della vita. La povertà, la purezza, la semplicità sono armi inusuali per menti abituate a immagini e a valori incentrati sulla violenza. Ma la nostra sopravvivenza, spirituale e anche fisica, dipende da una rinnovata consapevolezza del potere salvifico di queste qualità umane. Questa è la via del mantra.
Noi infatti non predichiamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore; quanto a noi, siamo i vostri servitori per amore di Gesù. E Dio che disse: Rifulga la luce dalle tenebre, rifulse nei nostri cuori, e per far risplendere la conoscenza della gloria divina che rifulge sul volto di Cristo (2Cor. 4,5-6).
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Ecco l’agnello di Dio
Gv 1, 29-34
L'evangelista Giovanni colloca questo episodio al secondo giorno della settimana, quella che inaugura la vita pubblica di Gesù, la settimana della nuova creazione che si concluderà con il sabato, il sabato di Cana di Galilea, l'acqua mutata in vino, il sabato in cui i discepoli videro la sua gloria.
In quel giorno Giovanni Battista presenta Gesù come l'Agnello di Dio, come l'uomo su cui ha visto scendere lo Spirito. Quale senso hanno queste parole sulle sue labbra e quale senso diedero successivamente nel tempo i lettori del vangelo di Giovanni?
Tutto questo è interessante e affascinante. Si procede di approfondimento in approfondimento. Le "stesse" parole evocano, in ore diverse della vita, orizzonti nuovi. Così dovrebbe essere, perché altrimenti le parole sono morte, sono case disabitate, sono formule che non dicono nulla.
Che senso ha, per esempio, la parola "padre" o "madre" prima che tu lo sia o dopo che tu lo sei diventato? Così ogni parola, anche la parola "agnello", la parola "peccato", la parola "Figlio di Dio"... Quale viaggio fanno nel segreto le parole che esprimono quello che abbiamo ricevuto?
Per ben due volte, Giovanni afferma che non lo conosceva. "Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare con acqua perché egli fosse fatto conoscere a Israele". E ancora: "Io non lo conoscevo, ma chi mi ha inviato a battezzare con acqua mi aveva detto: l'uomo sul quale vedrai scendere e rimanere lo Spirito è colui che battezza in Spirito Santo".
Ricorderete un'altra pagina di Vangelo; è il Battista che dal carcere manda a chiedere: "Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attendere un altro?" Le parole prendono luce o prendono ombra secondo gli accadimenti della vita, secondo le emozioni del cuore. Per questo è importante sostare, fermarsi sulle parole e cercarne il senso.
"Ecco l'Agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo". Sulla bocca del Battista, questo titolo, detto in aramaico, significa "servo" e "agnello" nello stesso tempo.. Probabilmente il Battista lo ha inteso nel senso di "servo", servo di Dio, di cui parlava oggi Isaia nella prima lettura. Non l'aveva forse visto come "servo di Dio" nelle acque del Giordano?
Ma poi la parola nel suo viaggio andò a significare “agnello”. La sentenza di morte di Gesù era stata pronunciata il 14 del mese di Nisan, verso mezzogiorno, proprio nell'ora in cui si sgozzavano gli agnelli. Gesù l'agnello mandato a morire che toglie il peccato del mondo.
Il peccato del mondo: al singolare. Quasi una forza che precede i nostri singoli peccati, una forza del male inquinante che di fronte a certe manifestazioni ci fa dire: ma come è possibile? Come è possibile che quattro scafisti lascino morire donne e bambini per dei soldi? Dov'è questo pensiero corrotto che induce a ritenere il valore della vita meno dei soldi, meno di uno sbarco sulla riva del mare?
O, se volete, questo pensiero strisciante per cui conto "io", conta il mio volto; il volto degli altri nemmeno lo guardo. E non basta denunciare per togliere il peccato del mondo! Mi fa sempre molto pensare il duplice significato del verbo latino "tollere" : togliere e portare, togliere e caricarsi.
Gesù ha tolto caricandosi sulle spalle il peso. Non siamo molto credibili quando denunciamo, ma i pesi non vogliamo sfiorarli nemmeno con un dito. Caricarsi del peso per toglierlo, lo ha fatto solo Gesù.
don Paolo Zamengo sdb
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Gesù ha tolto caricandosi sulle spalle il peso. Non siamo molto credibili quando denunciamo, ma i pesi non vogliamo sfiorarli nemmeno con un dito. Caricarsi del peso per toglierlo, lo ha fatto solo Gesù.
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Il deserto dello Spirito santo e fuoco
Don Paolo Zamengo SDB
Lc 3,1-6.15-17
In avvento riemerge in tutta la sua radicalità la figura di Giovanni Battista. Da dove viene, con la sua voce che sa di tuono, e dove abita? Nel deserto. La diversità di Giovanni è il deserto. Non frequenta il tempio e non è neanche un profeta di corte, anzi sta ben lontano dai palazzi. Di lui si dice che è ‘voce di uno che grida nel deserto.
Il deserto è il luogo per un contatto con se stessi e con Dio. Ebbene quel deserto lo aveva segnato, trasformato. Il deserto è il luogo in cui si vive di essenzialità, ti liberi del peso di tante, troppe cose. Che il deserto l’avesse scolpito, quasi fisicamente, era evidente fin dal suo modo di vestire e di nutrirsi.
“Preparate la strada”, dice Giovanni, e sembra dirlo anche a me, a noi, a tutti. Preparate la via del Signore facendo l’esperienza del deserto. Se no, non è via del Signore. Preparatela uscendo dal frastuono, dal disordine. Prendiamo anche noi come maestro il silenzio. E nel silenzio ascoltiamo la voce che ci abita, perché noi abbiamo una voce più profonda, un’attesa più vera.
Nel silenzio ascoltiamo la voce di Dio, che parla nel deserto. Diceva Gandhi: “Non ho bisogno di grotte lontane, porto la grotta dentro di me”. Perché è dal deserto che nascono i pensieri profondi, i cambiamenti reali e non solo di facciata. “Allora Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la regione lungo il Giordano accorrevano a lui e si facevano battezzare confessando i loro peccati”. Quello che sta succedendo è un evento corale, un fenomeno di popolo.
Mi è capitato alcuni anni fa, nel mio terzo viaggio in Palestina, quando arrivò il giorno del deserto e ci siamo inoltrati e mi sono chiesto come mai tutto quell’accorrere di pellegrini avesse cambiato i connotati del deserto. Cosa ho trovato? Nell’aria il vociare dei pellegrini-turisti, di cellulari sempre accesi, di cuffie immancabilmente incollate alle orecchie e nell’aria, l’odore tipico di una pizzeria.
E mi è venuto impellente il desiderio di estraniarmi, di scendere i gradini che vanno al fiume, sedere sull’ultimo e, accucciato, solo, guardare quelle acque che fluiscono lentamente, che per Giovanni erano acque di conversione. Vedete, succede. Può succedere anche a noi oggi nelle nostre chiese che possono diventare tutto fuorché́ un deserto.
Il problema è “perché andiamo in chiesa?”. Giovanni Battista non si lascia incantare né dal numero né dalle appartenenze. Con il suo linguaggio aspro come aspro è il deserto che lo ha formato, vedendo farisei e dottori della legge venire al suo battesimo, e dunque venire al rito, li apostrofa come “razza di vipere” e smaschera con accenti impietosi la loro sbandierata appartenenza religiosa.
Venivano per un rito e non per cambiare il cuore. La domanda, voi lo capite, ritorna immediatamente a me. E io perché vengo in chiesa? per un rito o per una conversione? All’inizio della predicazione del Battista e all’’inizio della predicazione di Gesù c’è lo stesso medesimo invito: “Convertitevi perché il regno dei cieli è vicino”.
Convertirsi è girarsi verso Gesù, è camminare dietro Gesù, è prendere come esempio Gesù. Perché lui si è convertito a noi! Si è rivolto a noi. Questo cambia la vita.
Nel senso del fuoco. Giovanni dice: “Io vi battezzo nell’acqua, egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco”. E’ fuoco di passione. Quella passione che a volte ci manca. Siamo spassionati, siamo senza fuoco, impalliditi, gelidi. Le nostre giornate devono ritornare ad essere abitate dal fuoco. Non da un “fare tanto per fare”, ma da un fare acceso di una passione. Battezzati in Spirito Santo e fuoco.
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Domenica 5 dicembre Meditazione Quotidiana J.Main da "Il Silenzio e la Quiete"
Continuando a meditare, scopriremo che non possiamo mettere Dio in attesa, lasciarlo in sala d'aspetto e dirgli: "Sarò da te appena avrò sbrigato questa importante faccenda di cui mi sto occupando". Non possiamo rinviare Dio dicendogli: " Torno tra un minuto". Quando ci impegniamo a meditare ogni mattina e ogni sera, con costanza e fedeltà, capiamo l'importanza cruciale dell'eterna presenza di Dio e ammettiamo di dover imparare a dedicarci a Dio ora, oggi.
Ecco che cosa ci provoca un leggero panico, visto che ci chiediamo se ci riusciremo. Ma non c'è una vera ragione per spaventarsi; anzi, l'unico motivo di panico dovrebbe essere proprio l'opposto: se non avessimo mai incontrato la verità della presenza di Dio e non avessimo bisogno di rispondergli. Dovremmo spaventarci se ci rendessimo conto che abbiamo deciso di dedicarci a ciò che è effimero, scadente, a illusioni di seconda mano che sembrano sempre svanire prima di realizzarsi. Siamo chiamati a dedicarci al Dio assoluto, a colui che è. Che il nostro impegno debba essere radicale è una verità cui non si sfugge.
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La messe e gli operai.
È commovente questo sguardo di Gesù sulle folle. Egli sente compassione di noi, condivide il nostro travaglio, le nostre pene, ci vede stanchi e sfiniti. Mancano i pastori e il gregge è disperso, vaga senza mèta, senza trovare pascolo. "La messe è molta, ma gli operai sono pochi" eppure molti se ne stanno oziosi sulla piazza, ancora non hanno sentito il richiamo di andare a lavorare nella vigna del Signore. O forse sono come gli invitati alle nozze che accampano scuse di ogni genere per dissertare l'invito. Gesù così ci sollecita: "Pregate dunque il padrone della messe perché mandi operai nella sua messe". È il Signore che chiama, solo la sua voce divina può convincere i convocati a lasciare tutto per seguirlo. Gesù chiama ancora a sé i pochi che hanno risposto generosamente al suo invito per affidare loro il suo mandato e inviarli nelle strade del mondo, come pastori delle pecore disperse. "Strada facendo" debbono dare a tutti una buona e grande notizia: "Predicate che il regno dei cieli è vicino". L'annuncio deve essere confermato con segni e prodigi, gli stessi che Gesù va operando per i villaggi e le città della Palestina: "Guarite gli infermi, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demòni". L'annuncio e l'avvento del regno si manifestano con una novità di vita, come guarigione dai mali dell'anima e del corpo e come una risurrezione. I doni di Dio non hanno prezzo, non possono e non debbono essere mercanteggiati, perciò Gesù avverte i suoi: "Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date". Anche la gratuità fa parte dei segni che debbono accompagnare l'avvento del Regno, è una dimostrazione visibile della magnanimità di Dio e dell'autenticità dell'annuncio.
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Sabato 4 dicembre Meditazione Quotidiana J.Main da "Il Silenzio e la Quiete"
John Main osb
L'esperienza della povertà è solamente l'inizio e meditando impariamo ad accrescere la nostra povertà, ad approfondirla. L'aspetto importante che dobbiamo comprendere è che Gesù ci chiama a seguire la Via. Non la mia via, ma la Via. Per noi, uomini e donne di oggi, è molto difficile da capire, poiché quasi tutto nella nostra esperienza ci prepara a cercare la mia via, quella che mi porterà felicità, soddisfazione, pienezza. Ma Gesù chiama in modo chiaro ciascuno di noi a seguire la Via. La Via, come tutti sappiamo, è Gesù. Egli è la Via: Via che è verità e vita. Ecco l'aspetto meraviglioso del nostro destino: la Via è l'unione con Lui. Sorprende che noi, o molti di noi, impieghiamo così tanto tempo a capirlo - capire che c'è una sorgente di potere, un'energia, a nostra disposizione - per condurci non sappiamo dove, ma sempre a una verità più profonda e a una vita più vasta.
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Non possediamo nulla
Una delle lezioni più importanti che la meditazione ha da insegnarci è il distacco. Il distacco è una dissociazione da se stessi, un discostarsi dai propri problemi o situazione di vita. Non è una negazione delle amicizie o degli affetti, neppure delle passioni. È, nella sua essenza, distacco dalla eccessiva preoccupazione di sé, da quell’atteggiamento mentale che mette se stessi al centro di tutta la creazione. […] Nella meditazione, lasciamo andare il nostro desiderio di controllo, di possesso, di dominio. Cerchiamo di essere ciò che siamo. Essere ciò che si è, ci apre a chi è Dio. È in questa apertura che veniamo riempiti di stupore, potere ed energia – l’energia di essere e di essere nell’amore. […]
Essere distaccati dai nostri possessi significa esserne liberi, non esserne posseduti. Dobbiamo imparare un distacco non solo dai nostri possessi materiali, ma anche dai nostri pensieri, emozioni, desideri e anche dalla coscienza di sé. Questo non solo appare al nostro intelletto moderno essere impossibile, ma sembra uno scandalo che qualcuno possa addirittura proporlo. Ma è la pura verità. […] Meditare è perdere se stessi, essere assorbiti in Dio, essere completamente persi nella generosa immensità che chiamiamo Dio.
Brano tratto da “Detachment” by John Main OSB in The Hunger for Depth and Meaning, ed. Peter Ng (Singapore: Medio Media, 2007), pp. 129,030.
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Un ponte tra scienza e spiritualità
In questa fase è opportuno citare le parole della dottoressa Shanida Nataraja nel suo libro The Blissful Brain: “Anche se il pensiero occidentale ha tracciato, fino a poco tempo fa, una linea netta tra questioni scientifiche e spirituali, siamo nel bel mezzo di un importante cambiamento di pensiero. È ormai sempre più accettata l’idea che la scienza e la spiritualità sono aspetti complementari di un tutto più grande, ognuna offre una rappresentazione parziale e differente di una realtà più grande. Si ritiene che una comprensione più profonda derivi da una maggiore integrazione tra le due discipline; i nostri esperimenti scientifici possono far luce sulle nostre indagini spirituali, e viceversa. Da questo cambiamento di prospettiva è nato un nuovo campo scientifico: la neuroteologia. […] I ricercatori impegnati in questo settore stanno cercando di svelare le strutture e i processi del cervello che sono alla base della meditazione, in particolare le esperienze trascendenti della meditazione. Questa ricerca è innovativa in quanto ha ‘demistificato’ la meditazione, dimostrando che essa può avere effetti soggettivi sulla mente del meditatore che si traducono in effetti osservabili sul loro cervello, sia a breve che a lungo termine. Questa ricerca dimostra che tutti noi, attraverso la meditazione, abbiamo la capacità di influenzare il nostro paesaggio interno e il funzionamento del nostro cervello, e di conseguenza il nostro comportamento. Essa ci sfida anche a comprendere meglio il ruolo del rituale e della fede nel tirar fuori questi cambiamenti fondamentali alle nostre innate connessioni. Fino a tempi recenti, la pratica della meditazione è stata ampiamente seguita nel contesto di una serie di tradizioni spirituali. Essi implicano riti specifici, credenze e testi sacri che conferiscono un maggiore significato alle esperienze associate alla pratica della meditazione […]
Storicamente, il nostro studio della mente umana è stato minato dalla natura soggettiva delle nostre indagini. Tuttavia, ora sappiamo, in seguito agli esperimenti dei fisici quantistici, che le aspettative del soggetto e dello sperimentatore possono influenzare l’esito del cosiddetto esperimento oggettivo, e questa perdita di obiettività ha avuto profonde implicazioni sul valore attribuito alla cosiddetta prova soggettiva […] Combinando le intuizioni scaturite da esperienze soggettive di singoli meditatori con le idee derivanti dai cambiamenti osservabili e, quindi più oggettivi, nei cervelli di questi meditatori, ci viene offerta una visione più completa dello stato mente-corpo ottenuto con la meditazione […]
È ormai ben accettato che la nostra mente e il nostro corpo – e, quindi, il nostro cervello – non possono essere trattati come entità isolate. Il nostro corpo, e l’input sensoriale che riceviamo, influenza il modo di pensare e il modo in cui percepiamo noi stessi e il mondo […] La mente ha anche un’influenza continua sulla struttura fisica e sull’attività del cervello, plasmando il cablaggio del cervello e adattando i nostri comportamenti in linea con i nostri pensieri, percezione ed emozioni. Attraverso ampie connessioni tra il nostro cervello e il corpo, il nostro paesaggio mentale può influenzare il nostro corpo fisico e la salute.
La natura può aborrire un vuoto, ma noi esseri umani aborriamo il caos […] Noi desideriamo l’ordine, per vedere il senso nel mondo. […] Per dare un senso alle loro esperienze, gli esseri umani hanno sviluppato numerosi sistemi di credenze che forniscono una cornice in cui interpretare le esperienze trascendenti che possono sorgere attraverso la meditazione. Una componente fondamentale di tutti questi sistemi di credenze è l’esistenza di una realtà superiore o Essere che trascende la nostra realtà fisica di tutti i giorni. Le risposte alle nostre domande esistenziali devono trascendere analisi o comprensione razionale, e quindi non derivano dai processi cognitivi che tradizionalmente associamo al pensiero analitico della parte sinistra del cervello. Invece, queste risposte derivano da qualcosa che va al di là della comprensione umana.
Molte tradizioni spirituali forniscono delle visioni del mondo “pronte all’uso” attraverso le quali vengono filtrate le esperienze di tutti gli aderenti. In tutti i casi, queste visioni del mondo sono stata inizialmente ideate da un singolo mistico, sia esso Gesù, Buddha o Maometto, come risultato delle proprie esperienze spirituali […] Insegnando la propria visione del mondo agli altri, hanno fornito un modello che altri possono adottare.”
Shanida Nataraja
Estratto da ‘The Blissful Brain: Neuroscience and proof of the power of meditation’ del dottor Shanida Nataraja (seconda edizione rivista e aggiorn
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