#Padre Alessandro Zanotelli
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" Il volto del colonialismo inglese si rivelò in tutta la sua brutalità in Sudafrica. I bianchi si erano impadroniti dell'88 per cento delle terre, mentre i neri, con la Legge sulla terra dei neri, il Natives Land Act, del 1913, avevano perso ogni diritto di proprietà. Fu l’inizio della politica razzista di segregazione dei neri in “riserve per gli indigeni”. Ma siccome questo processo non funzionò, nel 1948 fu introdotto il sistema dell'apartheid. Nel 1949 furono proibiti i matrimoni misti e nel 1950 la popolazione fu catalogata secondo quattro gruppi razziali: bianchi, indiani, gente di colore e neri, con questi ultimi relegati in bantustan. Almeno tre-quattro milioni di neri furono segregati con la forza in queste zone loro riservate. Mentre ai neri che rimanevano, per ragioni di lavoro, in zone “bianche”, era vietato accedere a scuole, locali pubblici, mezzi di trasporto, riservati ai soli bianchi. I leader del movimento anti-apartheid, tra i quali Nelson Mandela, furono condannati all'ergastolo. Ma la repressione del governo non riuscì a soffocare la ribellione degli africani. Sia i lavoratori sia gli studenti neri diedero vita a una serie di scioperi e di manifestazioni che lentamente fece entrare in crisi il sistema dell'apartheid. La svolta avvenne nel 1990 quando il primo ministro Frederik De Klerk annunciò in Parlamento la rimozione della messa al bando del Congresso nazionale africano e il rilascio dei prigionieri politici. Dopo ventisette anni di carcere, Nelson Mandela fu liberato. Nel 1994 si svolsero le prime elezioni su base non razziale e, il 10 maggio, Mandela divenne il presidente del Sudafrica. Anche qui le Chiese dei bianchi, tanto cattoliche quanto anglicane e protestanti, appoggiarono in larga maggioranza il sistema dell'apartheid. Ma un piccolo gruppo profetico, composto dall'arcivescovo cattolico di Durban, Denis Hurley, dal pastore della Chiesa riformata Beyers Naudé e dall'arcivescovo anglicano Desmond Tutu, guidò la resistenza dei neri contro l’apartheid. "
Alex Zanotelli, Lettera alla tribù bianca, Feltrinelli (collana Serie Bianca); prima edizione marzo 2022. [Libro elettronico]
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Non solo Lizzano. Quando per i cattolici il duello è impari
Fare a botte, mentire, minacciare, ecc., il cattolico non può: glielo vieta il Vangelo. Ma ora, poiché il principe di questo mondo conosce la potenza della preghiera, gli si vuole impedire pure di pregare. E i vescovi del “dialogo” non aiutano. Certo è che questo Ddl ha una posta che deve essere molto alta. Lo si capisce dai dettagli.
Il problema sollevato dalla sindachessa di Lizzano in quel di Taranto (vedi qui) riguarda i cattolici, anche se non tutti: infatti, la massima autorità di una cittadina che non sapevamo esistesse prima della piazzata, nella sua giustificazione via Facebook, ha chiamato come testimonial padre Alessandro Zanotelli detto Alex. È inutile nasconderselo: una Chiesa «arcobaleno» esiste. Ma non è questo, qui, il punto. Il punto è che se la sindachessa di Lizzano fa la sindachessa di Lizzano vuol dire che ha preso i voti maggioritari dei suoi concittadini. E non è pensabile che tali concittadini non sapessero come la pensava prima di votarla.
Allora, globalmente, si pone un problema che sempre più spesso si porrà: i cattolici sono moderati, non adusi a scendere in piazza e alle piazzate, non potrebbero nemmeno fare a botte piazzaiole con le squadracce avversarie perché glielo vieta il Vangelo. Non solo. Sarebbe un duello alla Cochi&Renato: uno con la pistola, l’altro con la macchina fotografica. Sì, perché gli eventuali ardimentosi si ritroverebbero immediatamente sconfessati dalle gerarchie ecclesiali. Non avendo più «partiti cattolici» a sostenerne le istanze (sempre che quelli che c’erano l’abbiano mai fatto), i «vertici» adesso sono i vescovi. I quali preferiscono i «toni pacati» e il «dialogo». Cioè, l’inciucio dietro le quinte, preferibilmente davanti al buffet di qualche salotto romano.
Il metodo sarebbe da plaudire, anche se uno preferisse l’agire a viso aperto, se almeno funzionasse. Invece, non funziona, basta guardarsi intorno, basta guardare Lizzano. Certo, demonizzare l’avversario, mentire, conciarsi da buffoni, procedere senza scrupoli, minacciare, aggredire per poi lasciarsi cadere e invocare il rigore, intimidire in ogni modo lecito e illecito, linciare e chiamare al linciaggio, tutto questo il cattolico non può farlo. Per cui, il duello è impari. Ma ai figli di questo mondo non basta, perché il loro padre conosce bene la potenza della preghiera, che è l’unica cosa che veramente teme. Perciò, i cattolici non devono nemmeno pregare.
La mente corre agli anni Venti-Trenta del secolo scorso, quando il governo americano si decise a prendere provvedimenti contro il Ku Klux Klan dopo giorni di scontri tra studenti cattolici dell’Università di Notre Dame nell’Indiana e militanti del KKK. Ma erano altri tempi, altri giovani, altri vescovi e pure altri papi. Il «metodo don Camillo» non è applicabile in una situazione come quella odierna, non a caso preceduta da un lunghissimo, pluridecennale lavaggio dei cervelli non solo cattolici, come l’elettorato lizzanese dimostra. Contare sulle forze politiche amiche? Forse, ma abbiamo visto proprio in questi giorni il forfait di Forza Italia. Chissà che cosa le hanno promesso in cambio della desistenza. La presidenza della Repubblica a Berlusconi? Il senatorato a vita? Terreno più agevole per Mediaset impegnata in una delicata operazione a livello europeo? Boh. Certo, a me piacerebbe Berlusconi al Quirinale o almeno senatore a vita. Ma mi chiedo: dopo tutto quel che ha subìto in questi decenni, si fida ancora della parola di quelli là? Vabbè, forse nei prossimi giorni capiremo meglio il perché di certe posizioni.
Tuttavia, la posta in gioco deve essere davvero alta, più alta di quel che sembra. Mi spiego: la c.d. legge Zan anti-omofobia ha tutta questa importanza? O c’è qualcuno, anche all’estero, a cui non si può dire “no”? Un ingenuo ignaro elettore potrebbe infatti dire: ma con tutti i problemi che ci ha creato la pandemia, con tutti i problemi economici e sociali che esploderanno in autunno, cioè dietro l’angolo, questi combattono coltello tra i denti per una legge che interessa solo quattro gatti? Ma il diavolo, è il caso di dirlo, è nel dettaglio. E il dettaglio è l’introduzione obbligatoria (neanche la religione lo è) del «gender» nelle scuole. È lì che si vuole andare a parare: a toglierti i figli per portarli a Bibbiano.
RINO CAMMILLERI (20-07-2020)
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Per andare al di là delle "cariche": il racconto di Francesca Fornario
Per andare al di là delle "cariche": il racconto di Francesca Fornario Francesca Fornario è un'amica e in questi giorni convulsi sullo sgombero di piazza Indipendenza ha scritto un pezzo che vale la pena leggere. Ah. Lei era lì. Tanto per capirsi: “Devono sparire, peggio per loro. Se tirano qualcosa spaccategli un braccio“, grida il poliziotto durante lo sgombero. Il bilancio delle cariche a piazza Indipendenza sarà infatti di piedi e nasi rotti, lividi che passeranno e ferite che no, perché si cancella il sangue dall’asfalto ma non il segno che lascia assistere, da bambino, alle manganellate inflitte a tuo padre dai poliziotti armati che irrompono in casa all’alba (è questo che ricorderanno le decine di bambini portati via a forza dallo stabile in cui vivevano da cinque anni). E tutti, sui social, a prendere le parti, convinti da una narrazione giornalistica sciatta e in malafede che le parti in campo fossero poliziotti contro migranti, “Che però uno ha lanciato una bombola del gas”. “Che però era vuota”. Convinti che tra loro vadano cercati i violenti. Le testimonianze dei presenti circolano secondo la risonanza che trovano: “Ma quella donna l’hanno sbattuta a terra con l’idrante e poi le usciva il sangue dal naso e da un’orecchio!” (commento su Facebook). “La carezza del poliziotto a una migrante disperata” (home page di Repubblica). A piazza indipendenza io c’ero. Avrei potuto scrivere ieri di quello che ho visto, ho preferito scrivere oggi di quello che so, perché temo che si scriva solo degli effetti e non delle cause; solo della violenza in piazza – raccontata con parole sbagliate: “gli scontri”, che in realtà sono cariche, una parte armata ne carica una disarmata – e non, invece, della violenza più impetuosa e virulenta che innesca le cariche, generando l’esclusione sociale che porta alle occupazioni abusive e agli sgomberi. Il termine “violenza” ha, sul vocabolario, due sfumature di senso. Violenza è la furia aggressiva delle cariche e dei manganelli, quella di quando chi la esercita e chi la subisce vengono immortalati nella stessa inquadratura, consentendo a chi commenta la foto sui social di discettare su chi ha aggredito chi. Ma questa violenza di piazza non esisterebbe senza quell’altra, più esecrabile perché esercitata da chi avrebbe il compito di “rimuovere gli ostacoli che limitano l’uguaglianza tra i cittadini e impediscono il pieno di sviluppo della persona”, come recita la Costituzione. La violenza dei poliziotti non si abbatterebbe sui profughi, sugli studenti, sui lavoratori in sciopero se non fosse preceduta dalla violenza dei governanti: dall’abuso, la prevaricazione, la violazione del diritto. “Violenza” è violare la Costituzione che contempla la casa e il lavoro tra i diritti fondamentali – come il diritto dell’esule a ricevere protezione – bloccando l’assegnazione delle case popolari e sbloccando le concessioni edilizie ai palazzinari. Violenza è la prevaricazione dei molto ricchi sui molto poveri, il privilegio metodicamente concesso per legge ai più facoltosi, anche tra gli immigrati: gli stranieri con grandi patrimoni vengono invitati a stabilire in Italia la residenza godendo di un formidabile sconto sulle tasse per poter fare la bella vita; gli stranieri senza grandi patrimoni vengono respinti nei paesi dai quali fuggono per sopravvivere. Questa violenza feroce non si accanisce solo sui migranti ma sui poveri in genere, perché il potere – a differenza dei poveri cristi che umilia e perseguita – non è razzista: è classista. Agli sceicchi arabi le istituzioni destinano lo scudo, ai profughi eritrei il manganello, a chi costruisce ville abusive lo scudo e ai senza tetto che occupano uno stabile abbandonato il manganello. Mai il contrario: avete mai visto la polizia caricare i banchieri che truffano i pensionati o pestare gli industriali che sfruttano i lavoratori? “Creare le condizioni minime di uno Stato sociale, concorrere a garantire al maggior numero di cittadini possibile un fondamentale diritto sociale, quale quello all’abitazione, contribuire a che la vita di ogni persona rifletta ogni giorno e sotto ogni aspetto l’immagine universale della dignità umana, sono compiti cui lo Stato non può abdicare in nessun caso”, recita una sentenza della Corte costituzionale (n. 217 del 25 febbraio 1988). Questo “diritto inviolabile all’abitazione” viene invocato per il miliardario che non paga tasse sulla prima casa e calpestato per l’esule del quale le istituzioni dovrebbero farsi carico: violato per l’esule sotto protezione come per il cassaintegrato sotto sfratto, per il precario che vive con i genitori perché senza un contratto stabile la banca non concede il mutuo e via elencando le miserie dei miseri che si accaniscono gli uni contro gli altri invece di coalizzarsi per ribellarsi a chi li riduce in miseria. La violenza andata in scena a Roma – e nel resto del Paese – è questa. La sistematicadifesa del privilegio, il pervicace oltraggio del diritto. Sono queste le cause dell’emergenza abitativa che – come ho scritto qui – non è un’emergenza: non è un accidente imprevisto ma è il frutto di precise scelte politiche. È vile prendersela con chi per disperazione ha lanciato una bombola, è troppo comodo prendersela solo con la Polizia. Bisogna condannare i violenti che hanno fermato l’assegnazione delle case popolari esistenti e impedito che se ne costruissero di nuove con fondi già destinati e su aree pubbliche di piccole dimensioni perché “Siamo contro il consumo di suolo” e, contemporaneamente, hanno accordato ai privati il permesso di cementificare 20 ettari di suolo per costruire lo stadio. Con i violenti che tolgono un tetto sopra la testa a decine di famiglie per restituirlo a un fondo immobiliare che ne farà un centro commerciale. Con i violenti che hanno scritto e votato una legge concepita allo scopo di respingere gli esuli lasciandoli morire in mare e nelle carceri libiche. Con i violenti che hanno scritto e votato una legge che consentire lo sfruttamento dei richiedenti asilo (è di ieri il caso della cooperativa di Treviso che proponeva alle aziende del territorio ragazzi “gentili, umili, volenterosi, con un’ottima resistenza fisica e che non avanzano alcuna pretesa dal punto di vista retributivo, professionale o di turnazione” disposti ad accettare una paga di 400 euro al mese), ultima di molte leggi violente scritte per consentire lo sfruttamento di tutti i lavoratori. I violenti sono quelli che mandano in pensione a 68 anni un metalmeccanicoche lavora all’altoforno – condizione che determina una riduzione dell’aspettativa di vita di sette anni – e non ci mandano affatto un precario. Sono quelli che poi mandano la polizia a caricare migranti, metalmeccanici e precari. “Devono sparire”, ha detto ai suoi il poliziotto riferendosi ai rifugiati, come direbbe un netturbino diligente dei mozziconi di sigaretta. La violenza delle manganellate contro gli inermi è l’inevitabile conseguenza del reagire alla povertà come si reagisce allo sporco sui marciapiedi, trattando gli esseri umani peggio delle cose: picchiando i primi per proteggere le seconde. Le manganellate, quando si affida la gestione del disagio abitativo a persone armate di manganello, non sono un incidente. La violenza non è un incidente. È il nuovo – vecchissimo – imperativo morale del potere. Dopo il fascismo, avevamo scritto una Costituzione che aveva tra gli scopi più nobili quello di combattere le disuguaglianze e la povertà. L’abbiamo tradita per combattere i poveri. Con una furia che oltre che ignobile è demenziale: dopo 20 anni di leggi e politiche che hanno diligentemente concesso sconti e agevolazioni fiscali ai ricchi, precarizzato il lavoro, compresso i salari e i diritti, alimentato le speculazioni immobiliari, fermato l’edilizia popolare, tagliato i servizi e l’assistenza mentre si acquistavano cacciabombardieri tornado, i poveri sono triplicati. Sono quasi cinque milioni gliitaliani in povertà assoluta, circa otto quelli in povertà relativa, più di dodici quelli che rinunciano alle cure mediche perché non possono permettersele. Gli stessi che hanno votato e scritto le leggi che hanno moltiplicato i poveri, sguinzagliano in strada i poliziotti per farli sparire. A Roma la polizia è stata schierata contro i profughi senza casa, in difesa del capitale di un fondo immobiliare, a conclusione di un ciclo storico coerente: prima abbiamo invaso e saccheggiato l’Etiopia e l’Eritrea, depredato quei paesi di ogni risorsa, riducendo in schiavitù donne e bambine. Poi abbiamo armato e finanziato il regime di un dittatore sanguinario come Afewerki, accusato dall’Onu di crimini contro l’umanità. Infine, abbiamo sfrattato i profughi etiopi e eritreiche la legge ci impone di accogliere e proteggere (la legge, non il buon cuore) e manganellato quelli che resistevano allo sfratto. Il tutto, da un secolo a questa parte, per accumulare ricchezze nelle mani di pochi sempre più ricchi a scapito dei molti sempre più poveri. La violenza inferta ogni giorno da chi dovrebbe proteggerci è questa e il razzismo, oggi come allora, è solo il veleno iniettato alle masse attraverso la propaganda mediatica per evitare che ogni povero si accorga che ogni altro povero gli somiglia. P.s.: Qualche giorno fa, preoccupati per l’attacco alle Ong, abbiamo scritto un appello. Lo abbiamo firmato quasi in quindicimila. Tra i primi, lo hanno condiviso Erri De Luca, Vauro, Michela Murgia, Padre Alex Zanotelli, Tomaso Montanari, Anna Falcone, Alberto Prunetti, Moni Ovadia, Marco Revelli, Livio Pepino, Marta Fana, Christian Raimo, Mauro Biani, Giulio Cavalli, Alessandro Gilioli. Tanti i portavoce di associazioni e le realtà di base impegnate nell’accoglienza, da Filippo Miraglia dell’Arci a Giuseppe De Marzo di Libera; Monica Di Sisto di Stop Tiip e Ceta, Patrizio Gonella di Antigone, Domenico Chionnetti della Comunità Don Gallo, Baobab Experience, l’Ex-Opg occupato di Napoli, la Casa Internazionale delle Donne, Tpo Bologna e Labas occupato, sindacati come Si Cobas, i segretari di molti partiti che mettono la questione sociale tra le priorità: Maurizio Acerbo di Rifondazione, Nicola Fratoianni di Sinistra Italiana, Giuseppe Civati di Possibile, DeMa: il movimento di Luigi De Magistris, gli europarlamentari de L’Altra Europa, tantissimi comuni cittadini, ricercatori, persone impegnate nell’accoglienza. La nostra preoccupazione non sembra condivisa dalla maggioranza delle persone. Non lo era nemmeno quella dei professori universitari che si opposero a Mussolini rifiutandosi di aderire al Fascismo: furono appena 12 su 1250. Moltissimi altri cambiarono idea, col tempo. È qui, vi invito a firmarlo: www.progressi.org/iopreferireidino (fonte)
Francesca Fornario è un’amica e in questi giorni convulsi sullo sgombero di piazza Indipendenza ha scritto un pezzo che vale la pena leggere. Ah. Lei era lì. Tanto per capirsi: “Devono sparire, peggio per loro. Se tirano qualcosa spaccategli un braccio“, grida il poliziotto durante lo sgombero. Il bilancio delle cariche a piazza Indipendenza sarà infatti di piedi e nasi rotti, lividi che…
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MACERATA – Si svolgerà domenica 12 maggio, alle 17, il terzo ed ultimo appuntamento di “Scritture in Bottega”, la rassegna alla Bottega del Libro di Macerata, libreria storica per gli amanti maceratesi della lettura, nel centralissimo corso della Repubblica.
In questa occasione, sarà la volta di un altro scrittore marchigiano, Alessandro Pucci, con cui il pubblico potrà riflettere sul tema annoso della violenza, al fine di trovare una ipotetica e praticabile via di conciliazione, attraverso il saggio dal titolo Nel cuore del conflitto, aperta e schietta disamina delle più spinose questioni riguardanti le relazioni umane, un libro «che oscilla fortemente tra l’eloquio filosofico e la piana, semplice declinazione delle riflessioni quotidiane» (Pierluigi Mele, Rai) e «tenta di tracciare un sentiero, una via percorribile (…) viaggiare all’interno dei conflitti significa cercare di capire la vita e i suoi inquietanti misteri» (padre Alex Zanotelli).
Al dibattito sarà accompagnata la consueta merenda offerta da alcuni esercizi commerciali del centro storico come Ca’BARet. La rassegna è organizzata in collaborazione da Umanieventi e Bottega del Libro ed è patrocinata dal Comune di Macerata. L’ingresso è libero.
Info: 3495753241 – [email protected] , Facebook Umanieventi / Poesia Domani
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" Il 1° marzo 1896 un corpo di spedizione di diecimila soldati guidati dal generale Baratieri attaccò ad Adua un esercito di centoventimila etiopi guidati da Menelik. L’Italia subì una pesantissima sconfitta, lasciando sul terreno quasi cinquemila morti. Questa vittoria permise all'Etiopia di rimanere indipendente e insegnò ai popoli africani che gli invasori potevano essere sconfitti. L’Italia cercò allora di mettere le mani sulla Libia, con un corpo di spedizione italiano che sbarcò a Tripoli il 5 ottobre 1911. Ma l’invasione della Tripolitania e della Cirenaica da parte di un corpo militare di oltre centomila soldati italiani fece scattare la rivolta araba. Ne seguì una feroce repressione da parte italiana: migliaia di libici furono impiccati, fucilati, deportati. La resistenza, però, non si piegò e durò oltre vent’anni, nonostante la brutalità della repressione, soprattutto sotto la dittatura di Mussolini. Nel 1930, per ordine del Duce, per isolare i partigiani, vennero deportati dalla Cirenaica e rinchiusi in quindici campi di concentramento almeno centomila libici, in gran parte poi fucilati o impiccati. Fu impiegata anche l’aeronautica, su ordine di Mussolini, per sterminare le popolazioni ribelli, utilizzando le armi chimiche (gas asfissianti e bombe all'iprite). Nel 1931 il leader della ribellione, Omar al-Mukhtar (il “Leone del deserto”), fu individuato e catturato e, dopo un processo sommario, impiccato davanti a ventimila libici. È stata una delle più feroci repressioni coloniali, che costò la vita a oltre centomila persone. Fu allora che Mussolini, dopo aver sottomesso la Libia, decise nel 1934 di conquistare l’Etiopia. Si trattò della più grande spedizione coloniale con cinquecentomila uomini, trecentocinquanta aerei e duecentocinquanta carri armati. Più che una guerra di conquista coloniale, fu una guerra di distruzione del popolo etiope. "
Alex Zanotelli, Lettera alla tribù bianca, Feltrinelli (collana Serie Bianca); prima edizione marzo 2022. [Libro elettronico]
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" Re Leopoldo II era ossessionato dall'idea di possedere una colonia, e la sua brama cadde sul bacino del fiume Congo. Per realizzare il suo sogno creò l’Associazione internazionale del Congo e finanziò l’esploratore inglese Henry M. Stanley, che nei suoi viaggi lungo il fiume stipulò una serie di trattati con i capi indigeni in nome dell'associazione. Forte di questo, Leopoldo II si presentò alla Conferenza di Berlino (1884-1885), convocata per tracciare le linee della spartizione europea dell'Africa, e ottenne l’affidamento del bacino del Congo. Il 29 maggio, il re del Belgio proclamò lo “Stato indipendente del Congo”, che diventava così di sua proprietà. Leopoldo II divise quell'enorme territorio in blocchi che affidò a compagnie private, alle quali concedeva il diritto esclusivo di sfruttare tutto quello che poteva essere asportato: avorio, olio di palma, rame, legno tropicale, ma soprattutto il caucciù, molto ricercato in Europa. Per costringere gli africani a raccogliere il caucciù (un lavoro molto pesante) il re istituì un vero e proprio sistema di terrore. Se un villaggio si rifiutava di obbedire (il lavoro non era retribuito!), arrivava la milizia delle compagnie che bruciava le capanne e sparava a vista, uccidendo tutti, donne e bambini. Per assicurarsi che i soldati avessero realmente usato le cartucce per uccidere le persone, gli ufficiali esigevano che tagliassero le mani delle vittime e le consegnassero poi al commissario, che le avrebbe contate. Un orrore in nome del profitto, del caucciù! Fu una carneficina che ridusse la popolazione del Congo da circa venti a otto milioni nel 1911. Durante il regno di Leopoldo II molti missionari, soprattutto belgi, andarono a portare il Vangelo in Congo e costruirono chiese, scuole, dispensari: “Eppure,” scrive nel suo studio The Sacrifice of Africa il teologo ugandese Emmanuel Katongole, “il ruolo del cristianesimo rimase quasi invisibile”. Il cristianesimo occidentale riteneva che il suo campo di competenza fosse il campo “spirituale” e “pastorale”, mentre allo Stato toccava l’aspetto politico. Secondo Katongole è stato questo il tipo di cristianesimo portato in Africa. "
Alex Zanotelli, Lettera alla tribù bianca, Feltrinelli (collana Serie Bianca); prima edizione marzo 2022. [Libro elettronico]
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" Il 14 gennaio 1990 lasciai il Centro giovanile, dove vivevo e, zaino in spalla, mi incamminai per Korogocho. Fu la mia “discesa agli inferi”! Era la domenica del Battesimo di Gesù e celebrai con i pochi cristiani l’Eucaristia. Spiegai loro con il mio povero kiswahili (lingua ufficiale in Kenya) che avevo scelto proprio quel giorno perché avevo bisogno di essere battezzato da loro. Mi sentivo un piccolo-borghese che aveva necessità del battesimo degli impoveriti. Scelsi di vivere come tutti loro: in una baracca, mangiare quello che loro mangiavano, andare a comprarmi l’acqua con una tanica, vivere la loro realtà quotidiana, spesso violenta e drammatica. Persi subito i venti chili in più che noi occidentali accumuliamo. Soprattutto, gli orrori umani che incontravo mi facevano impazzire. Quante volte fui preso da un profondo sconforto, dal desiderio di sbattere la testa contro i muri della baracca! In quell'immensa distesa di lamiere che è Korogocho si palesava tutta l’assurdità del nostro mondo. Dai buchi della mia baracca potevo vedere i grattacieli di Nairobi, mentre a soli quattro chilometri da Korogocho c’è Muthaiga, la zona residenziale più bella e lussuosa della metropoli, con ville da sogno. Nairobi è una città nella quale, in pochi chilometri, si passa dal paradiso all'inferno. O meglio agli inferi: ce ne sono tanti in quell'area! Il più terribile, forse, sorge a fianco della baraccopoli: l’enorme e spaventosa discarica di Dandora, dove arrivano i rifiuti dei ricchi della capitale, per l’esattezza i rifiuti dei rifiuti; vi lavorano migliaia di persone chiamate “scavengers” (i raccoglitori di rifiuti).
Un giorno, mentre camminavo fra le baracche, fui bloccato da un uomo della discarica, un “gigante” che mi guardò dall'alto in basso: «Muthungu» (bianco), mi disse, «sei il primo bianco che ha avuto il coraggio di vivere qui. Ma chi siamo noi che non ti degni neanche di venire a trovarci?». «È da poco che sono arrivato qui,» gli risposi, «ma hai ragione! Domani, sarò da voi!» Quella sera una delegazione di cristiani venne a trovarmi. Erano visibilmente preoccupati: «Padre, abbiamo saputo che domani vuoi andare in discarica. Non puoi andarci, quelli sono criminali. Ti ammazzano». Restai qualche istante in silenzio, riflettendo su quelle parole: «Io non sono venuto a Korogocho per i santi,» risposi, «ma per i criminali». L’indomani presi lo zaino e mi incamminai. Arrivato in cima alla collina, fui accolto da uno stormo di avvoltoi, davanti a me si spalancò uno spettacolo infernale: un’immensa spianata con montagne di immondizie, ovunque fuochi, centinaia di scavengers: uomini e donne di ogni età, anziani e bambini… Fui preso dal terrore, il primo istinto fu quello di scappare. Per fortuna vidi quel gigante che mi aveva sfidato ad andare in discarica, Jeremias. Gli corsi incontro, quasi per cercare protezione. Quando mi vide, mi guardò con un sorriso ironico: «Muthungu, non pensavo che voi bianchi manteneste le vostre promesse!». "
Alex Zanotelli, Lettera alla tribù bianca, Feltrinelli (collana Serie Bianca); prima edizione marzo 2022. [Libro elettronico]
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“ Nel 1585 Richard Grenville sbarcò in Virginia con sette navi e trovò indiani ospitali, ma quando uno di loro rubò una piccola coppa d’argento, rase al suolo l’intero villaggio. Dopodiché ebbe inizio la guerra con gli indiani! Quando i Padri Pellegrini arrivarono nella Nuova Inghilterra, quella terra era abitata da indigeni, ma il governatore del Massachusetts Bay Colony la definì “terra di nessuno”: gli “indiani” avevano solo il “diritto naturale”, non “civile” sulla terra. Da qui iniziò la guerra contro gli “indiani”, che finirà solo nel 1676, con la loro sconfitta. Più tardi, per liberare i territori dagli Appalachi al Mississippi, perché fossero occupati dai bianchi, i coloni fecero ricorso al “trasferimento degli ‘indiani’” (Indian Removal Act), come fu eufemisticamente chiamato! Questo rese disponibile un immenso territorio per la coltivazione del cotone al Sud e dei cereali al Nord, per l’immigrazione e per un’espansione, che raggiungerà ben presto l’Oceano Pacifico. E i popoli indigeni furono o massacrati o rinchiusi in “riserve” per turisti. Molti morirono anche per malattie importate dai bianchi. I dieci milioni di “indiani” che vivevano a nord del Messico al momento dell'arrivo di Colombo si ridussero alla fine a meno di un milione. Si tratta di un altro genocidio perpetrato dalla tribù bianca! “Lo sbarco di Colombo nel Nuovo mondo ha significato,” afferma Zinn, “l’espulsione violenta degli indiani da ogni chilometro quadrato del continente, accompagnato da indicibili atrocità, finché non restò che ammassarli nelle riserve.” Un’icona degli indiani d’America è Leonard Peltier, uno dei leader storici dell'American Indian Movement (Aim), che marcisce in condizioni disumane in una prigione di massima sicurezza da quasi cinquant’anni, dal 1977. È un perseguitato politico, condannato all'esito di un processo segnato da plurime violazioni del diritto di difesa. Le più note personalità mondiali hanno chiesto e chiedono la sua liberazione. Tutto ciò avvenne non solo in quello che oggi sono gli Usa, ma anche nel vicino Canada, a sua volta occupato da coloni inglesi.
In Canada fu messo in atto un vero e proprio “genocidio culturale” contro i popoli indigeni, un genocidio troppo a lungo negato. “Uccidi l’indiano, salva l’uomo,” era il motto razzista adottato dalle scuole canadesi nelle quali i bambini indigeni subivano un azzeramento della loro cultura. Il 29 maggio 2021 sono stati rinvenuti, presso la scuola di Kamloops, i resti di duecentoquindici bambini nativi. Pochi giorni dopo, un altro orribile ritrovamento: i corpi di settecentocinquanta bambini sepolti attorno a una chiesa cattolica a Saskatchewan, nel Canada francese. Sono tanti gli investigatori che sospettano che ci siano molte migliaia di bambini sepolti segretamente per nascondere la vergogna del genocidio. Queste macabre scoperte aprono una brutta pagina del passato del Canada. Tra il 1863 e il 1998, centocinquantamila bambini nativi furono strappati alle loro famiglie dal governo canadese e collocati in scuole residenziali, per costringerli ad accettare la religione e la civiltà occidentali. Nelle centodiciotto scuole residenziali, settantanove erano cattoliche e dipendevano direttamente dal Vaticano. In queste scuole molti furono i casi di violenze, sterilizzazioni e stupri. Come è potuto accadere tutto questo? Per capirlo bisogna risalire alla legislazione canadese. Il Federal Indian Act del 1874, tuttora in vigore, proclama l’inferiorità legale e morale dei popoli indigeni. E un altro decreto federale, il Gradual Civilization Act (1857), obbligava le famiglie dei nativi a firmare un documento che trasferiva alle scuole residenziali i diritti di tutela dei loro figli. Non possiamo dimenticare che il trasferimento legale dei diritti di tutela dei minori vuol dire che, in caso di morte, le scuole ne lucravano, appropriandosi delle loro terre. Infine, nella British Columbia, un altro decreto del 1933, la Sterilization Law (tuttora in vigore), ha consentito sterilizzazioni di massa su interi gruppi di bambini indigeni. Amnesty International ha denunciato il fatto che molte donne indigene, che erano andate a partorire in ospedale, sono tornate a casa sterilizzate. Siamo davanti a un vero e proprio genocidio culturale che ha portato all'eliminazione delle lingue degli indigeni, alla soppressione della loro cultura e spiritualità, e alla loro completa marginalizzazione a livello politico-economico. Sono diventati stranieri nelle loro terre. “
Alex Zanotelli, Lettera alla tribù bianca, Feltrinelli (collana Serie Bianca); prima edizione marzo 2022. [Libro elettronico]
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