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pier-carlo-universe · 23 days ago
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“Anima mia” di Nazim Hikmet: una poesia che abbraccia il cuore. Recensione di Alessandria today
Un viaggio tra intimità e sogno nei versi di un grande poeta del Novecento
Un viaggio tra intimità e sogno nei versi di un grande poeta del Novecento Biografia dell’autore.Nazim Hikmet (1902-1963) è uno dei più grandi poeti turchi del XX secolo, noto per il suo impegno politico, la sua profondità lirica e la sua capacità di evocare emozioni universali. Nato a Salonicco, Hikmet ha trascorso gran parte della sua vita in esilio e in carcere a causa delle sue convinzioni…
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pangeanews · 6 years ago
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“La poesia è l’intera storia del cuore umano su una capocchia di spillo”: da Leonardo Da Vinci a William Faulkner, passando per Wislawa Szymborska, Umberto Saba, Charles Bukowski, Joyce Lussu, cronaca dei tentativi – lirici & maldestri – di spiegarci cos’è davvero la poesia
Che cos’è davvero la poesia?
Leonardo Da Vinci ebbe a dire: “La pittura è una poesia muta, e la poesia è una pittura cieca”. E come ciechi sembrano davvero brancolare nel buio tutti i più grandi poeti davanti a questa domanda, a dimostrazione che la poesia può tutto, tranne spiegare sé stessa.
Wislawa Szymborska, forse la più grande icona poetica mondiale contemporanea, non si avventurò a definire la poesia nemmeno in occasione del discorso per il Premio Nobel. In quel 7 dicembre 1996, giorno in cui la piccola poetessa polacca balzò dal suo modesto bilocale di Cracovia alle cronache del mondo intero, si limitò a dire che qualunque cosa fosse l’ispirazione nasceva da un grande “non lo so”. E quando negli anni Cinquanta curava una piccola rubrica letteraria su una rivista locale, alla precisa domanda di un lettore la poetessa preferì citare il collega americano Premio Pulitzer Carl Sandburg: “La poesia è un diario scritto da un animale marino che vive sulla terra e vorrebbe volare”.
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Altra rara e preziosa conferenza venne registrata nel 1967 ad Harward, quando per ben sei lezioni fu invitato il grande Jorge Luis Borges a dirimere la questione. Ovviamente senza mai arrivare a una conclusione univoca, e rifacendosi come tutti in larga parte a citazioni altrui: “Il sapore della mela non sta nel frutto né nella bocca che lo assapora: serve l’incontro e il contatto tra i due perché la magia avvenga, così è la poesia”, disse citando prima il vescovo George Berkeley per poi ricorrere alle parole di Robert Louis Stevenson, celebre autore dell’Isola del Tesoro, per il quale “le parole nascono per un uso normale, quotidiano, ma il poeta le trasforma in elementi magici capaci,” disse citando a sua volta Coleridge “di creare un’alchimia tra chi legge e chi scrive: una volontaria sospensione dell’incredulità”.
Tutto un intreccio di metafore, insomma, perifrasi e allegorie perché, ammette Borges, in fondo noi “sappiamo cos’è la poesia e per questo non sappiamo definirla con altre parole, come non possiamo definire il gusto del caffè o il colore giallo, il significato dell’amore o dell’odio”. E per analogia cita in conclusione Sant’Agostino: “cos’è dunque il tempo? Se nessuno me lo chiede, lo so; se voglio spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so”. L’unica vera concessione che Borges fa riguarda sé stesso “per quanto riguarda me, mi reputo uno scrittore. Cosa significa essere uno scrittore? Semplicemente essere fedele alla mia immaginazione”.
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Tema, questo della fedeltà a sé e ai lettori, molto caro anche a Umberto Saba, il quale scrisse nel 1911 per “La voce” un articolo che però la rivista rifiutò, poi ritrovato tra le carte del poeta e pubblicato solo nel 1959: “Quello che resta da fare ai poeti”, afferma secco e perentorio nel testo, “è fare la poesia onesta”. Quella grande onestà e trasparenza che non manc�� mai ad Alda Merini, poetessa nostrana per eccellenza: “il poeta è sempre lontano dall’impossibile” disse, ma soprattutto visse, scrivendo ancora “la casa della poesia non avrà mai porte”.
Altrettanto sfuggente fu Giorgio Caproni, in una altrettanto rara apparizione pubblica avvenuta il 16 febbraio 1982 al Teatro Flaminio di Roma. “Il poeta è un minatore” disse per poi rifugiarsi anch’egli in una citazione: “è poeta colui che riesce a calarsi a fondo in quelle che il grande Machado definiva «le segrete gallerie dell’anima»”. Riferendosi al paradosso per cui tanto più il poeta si immerge in profondità nel proprio io, tanto più si allontana da ogni autoreferenzialità, perché è in quella profondità vera che si cela l’universale. Ma meglio che con le parole, come spesso accade, anche Caproni se la cavò in poesia:
Buttate pure via ogni opera in versi o in prosa. Nessuno è mai riuscito a dire cos’è, nella sua essenza, una rosa.
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In generale, più i poeti sono grandi, e più tendono a descrivere l’immensità della poesia come qualcosa di molto piccino e fragile. “La poesia è l’intera storia del cuore umano su una capocchia di spillo”, diceva Faulkner. Così pure Charles Bukowski, che oltre a essere scrittore irriverente e scandaloso fu poeta dolce e sorprendente, riferendosi alla sua scrittura diede forse una delle definizione più belle: “La poesia dice troppo in pochissimo tempo, la prosa dice poco e ci mette un bel po’. In ogni caso io godo nel minacciare il sole con una pistola ad acqua”.
Definizione che ricorda la bella e fragile sfrontatezza dell’amico Franco Arminio: “La poesia è una lucciola alle due del pomeriggio, è un mucchietto di neve in un mondo col sale in mano”. Non meno ironico e profetico seppe essere il grande Pier Paolo Pasolini quando sentenziò: “il capocannoniere di un campionato è sempre il miglior poeta dell’anno”.
Altro aneddoto gustoso ci arriva da Valerio Magrelli nel suo audio libro Cos’è la poesia?, scritto in forma di abbecedario poetico, che in conclusione cita Roman Jackobson: “In Africa, un missionario rimprovera i fedeli della tribù che si ostinano a girare completamente nudi. E tu? Ribattè uno di loro indicando il viso del missionario. Non sei anche tu nudo in qualche parte? Certo, replicò lui, ma questo è il volto! Al che gli indigeni risposero: ma in noi dappertutto è volto”. Così è la poesia, dove ogni elemento ha la stessa importanza di tutto l’insieme.
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Persino i rivoltosi, i poeti rivoluzionari, gli antipoeti, finiscono per accomunarsi con i poeti mainstream nell’impossibilità di definire la poesia fosse pure per darle contro. È il caso del cileno Nicanor Parra, considerato un genio da intellettuali come Harold Bloom e Roberto Bolaño, nel ’54 pubblicò un libro fondamentale per tutta la letteratura ispano americana dove teorizzava il concetto di “Antipoesia”, termine da lui coniato in polemica con i Pablo Neruda e altri poeti dell’epoca, nella quale respinge ogni registro alto e situa la poesia nel quotidiano, inserendovi il lessico dei mass-media, facendo uso dell’ironia e della parodia, e accompagnando spesso le sue liriche con disegni e opere grafiche: “La poesia muore se non la si offende: bisogna possederla e umiliarla in pubblico, poi si vedrà cosa diventa” scrisse inserendo i versi tra due cosce di donna oscenamente aperte. Impegnato politicamente contro ogni regime, tra i suoi versi più dolenti sul ruolo dei poeti certamente ci sono quelli contro ogni repressione: “La tortura non dev’essere sanguinaria: a un intellettuale, per esempio, basta nascondere gli occhiali”.
Accanto a lui viene in mente il grande poeta rivoluzionario americano Amiri Baraka, attivista e icona della rivolta afroamericana. Per lui fare poesia significa assumere su di sé il dolore del mondo per poi trasformarlo: “È quello che Keats e Bu Bois chiedevano ai poeti di fare: portare Verità e Bellezza. Illuminare la mente umana, dare luce al mondo. Poetate!” esortava invitando alla pratica poetica come a una vera battaglia.
Concetto quanto mai attuale che sarebbe piaciuto tanto a un’autentica rosa rossa della poesia, con la quale concludiamo il nostro viaggio: Joyce Lussu, compagna dell’antifascista Emilio Lussu, ma soprattutto poetessa riscoperta troppo tardi grazie al lavoro di una giovanissima Silvia Ballestra che a metà anni ’90 per Baldini & Castoldi raccolse diciannove conversazioni incise su nastro. Joyce Lussu rompe una convenzione non da poco: parlare male degli altri poeti, senza peli sulla lingua. “I poeti andrebbero divisi in due categorie: quelli che hanno dato tanta noia al fascismo da essere schedati e combattuti come pericolosi sovversivi, Nazim Hikmet, Garcia Lorca, Agostinho Neto, Guillen, Ho Chi-Min,Marcellino Dos Santos, e quelli che al fascismo non hanno dato nessuna noia o addirittura ne sono stati accarezzati come Saba, Montale, Quasimodo o Ungaretti, del quale andrebbero prima rilette le poesie e poi il viscido discorso che fece quando fu accolto nell’accademia fascista”.
“I veri poeti”, conclude Joyce Lussu, “sono quelli che ci rendono un po’ più intelligenti, non soltanto per osservare la realtà, ma per parteciparvi attivamente. Un vero poeta non canta la rivoluzione: fa la rivoluzione cantando. E per rivoluzione intendo anche i piccoli gesti quotidiani. La vera poesia è forza liberatrice”.
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E non ultimo, anche per chi vi scrive in queste colonne, piccolo tra i grandi, la poesia resta un mistero. Mi piace però pensare che sia nata la prima volta che un essere vivente si è inchinato a raccogliere una conchiglia non perché servisse a tagliare, cacciare o coltivare, ma solo perché bella. Facendo della poesia un bisogno necessario proprio perché in grado di elevarci oltre lo stretto indispensabile. Insomma la poesia è nata “la notte in cui l’uomo ha iniziato a contemplare la luna, consapevole del fatto che non era commestibile”, come dice il poeta rumeno Valeriu Butulescu, o se preferite, dato che alle citazioni altrui non si scampa: “dunque un poeta è veramente un ladro di fuoco”, come disse Arthur Rimbaud, forse il più grande, che a soli vent’anni aveva già detto tutto e tutto piantò per avventurarsi in un lungo viaggio senza ritorno nel cuore dell’Africa e dell’umanità, dove al posto delle parole si mise a commerciare in armi. Tragica metafora.
Luca Gaviani
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barriquesmuseum-blog · 7 years ago
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Felice Martinelli sostiene che una forte influenza sulla sua formazione e riflessione artistica l'hanno avuta i viaggi a Lindolm Hoje, a Istambul, nel Sud est asiatico e in India, oltre all'incontro con le opere di Nazim Hikmet, il famoso poeta turco oppositore di Ataturk morto a Mosca nel 1963. Il suo lavoro si confonde tra la scultura e la pittura, ha come punto di partenza la geometria di formecome il cerchio, l'ovale, il quadrato che assumono un valore simbolico in rapporto con il gesto, inteso come espressione, come concetto, come timbro poetico. Felice Martinelli argues that a strong influence on his artistic formation and reflection has had him travels to Lindolm Hoje, Istanbul, South East Asia and India, in addition to meeting with the works of Nazim Hikmet, the famous Turkish poet opponent of Ataturk who died in Moscow in 1963. His work is confused between sculpture and painting, as a starting point the geometry of shapes such as the circle, the oval, the square that assume a symbolic value in relation to the gesture, understood as an expression, as a concept, as a poetic timbre.
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voiceinwild-blog · 8 years ago
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What will cure the U.S. addiction to war?
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       What will cure the U.S. addiction to war?    
Kathy Kelly
31 July 2017                                                                    
We must redouble our efforts to stop the war makers from gaining the upper hand in our lives.
President Donald Trump and King Salman bin Abdulaziz Al Saud of Saudi Arabia, May 20, 2017, at the Royal Court Palace in Riyadh. Credit: Official White House Photo, Shealah Craighead via Wikimedia Commons. Public Domain.
"I come and stand at every door But none shall hear my silent tread I knock and yet remain unseen."  
Nazim Hikmet, Hiroshima Child
At a US Senate Foreign Relations Committee hearing on July 18 2017, Republican Senator Todd Young asked officials if the ongoing war in Yemen would exacerbate the catastrophe developing there—one of four countries, along with Southern Sudan, Nigeria, and Somalia, which are set to lose 20 million people collectively this year from conflict-driven famine.
Yemen is being bombarded and blockaded using US-supplied weapons and vehicles by a regional coalition marshaled by Saudi Arabia, with US support. Yemen's near-famine conditions and attendant cholera outbreaks are so dire that a child dies there every ten minutes of preventable disease.
At the hearing, Young held aloft a photo of a World Food Program warehouse in Yemen which was destroyed in 2015. He asked David Beasley, Executive Director of the World Food Program, to name the country responsible for the airstrike that demolished it. Beasley replied that the Saudi-led coalition blockading Yemen had destroyed the warehouse, along with the relief supplies it contained.  
A July 2016 Human Rights Watch report documented 13 civilian economic structures that were destroyed by Saudi coalition bombing between March 2015 and February 2016, including:
“Factories, commercial warehouses, a farm, and two power stations. These strikes killed 130 civilians and injured 171 more. The facilities hit by airstrikes produced, stored, or distributed goods for the civilian population including food, medicine, and electricity—items that even before the war were in short supply in Yemen, which is among the poorest countries in the Middle East. Collectively, the facilities employed over 2,500 people; following the attacks, many of the factories ended their production and hundreds of workers lost their livelihoods.”  
When asked about the Saudi coalition's destruction of four cranes needed to offload relief supplies in Yemen's port city of Hodeidah, Beasley confirmed that their loss had greatly impeded WFP efforts to deliver food and medicines. Young read from Beasley’s June 27 letter to the Saudi government—only the latest of multiple requests—in which he asked that the WFP be allowed to deliver replacement cranes. The WFP Director said that the Saudis had provided no reply.  Young then noted that, in the three weeks since this last letter had been sent, more than 3,000 Yemeni children had died of preventable, famine-related causes.
Medea Benjamin of the antiwar campaign Code Pink was at the hearing, and later thanked Young for rebuking the Saudi government’s imposition of a state of siege, plus the airstrikes that are preventing the delivery of food and medicine to Yemeni civilians. One day later, the United Nations Refugee Agency (UNHCR) reported on a July 19 coalition airstrike in Yemen which killed 20 civilians—including women and children—while they were fleeing violence in their home province. The report claimed that more than two million internally displaced Yemenis have "fled elsewhere across Yemen since the beginning of the conflict, but … continue to be exposed to danger as the conflict has affected all of Yemen's mainland governorates."
On July 14, the US House of Representatives overwhelmingly passed two amendments to the National Defense Authorization Act (NDAA) that would potentially end US participation in the Yemeni civil war. In the past, the White House has provided refueling and targeting assistance to the Saudi-led coalition without congressional authorization. Since October of 2016, the US has doubled the number of jet refueling maneuvers carried out with Saudi and United Arab Emirate jets. The Saudi and UAE jets fly over Yemen, drop bombs until they need to refuel, and then fly back to Saudi airspace where US jets perform mid-air refueling operations. Next, they circle back to Yemen and resume the bombing.
What can be done to end this seeming addiction to war?
In the summer of 2006, I joined peace campaigner Claudia Lefko at a small school that she had helped found in Amman, Jordan. The school served children whose families were refugees from the postwar chaos in Iraq. Many of the children had survived war, death threats and displacement. Lefko had worked with children in her hometown of Northampton, Massachusetts, to prepare a gift for the Iraqis at the school. The gift consisted of strings of paper origami cranes, folded in memory of a Japanese child called Sadako who had died from radiation sickness after the bombing of her home city of Hiroshima in 1945.  
In her hospital bed (so the story goes), Sadako occupied her time by attempting to fold 1,000 paper cranes, a feat she hoped would earn her the granting of a special wish that no other child would ever suffer the same fate as those who had been killed and injured in Hiroshima. She succumbed too rapidly to complete the task herself, but other Japanese children who heard about her folded many thousands more. This story has been re-told for decades in innumerable places, making the delicate paper creations a symbol for peace throughout the world.
The Turkish writer Nazim Hikmet wrote a poem about Sadako which has since been set to music. Its words are on my mind today as I think of all the malnourished children from the countries of the terrible Four Famines, and from other conflict-torn, US-targeted countries such as Iraq and Afghanistan. I think of their months and years of hunger. Their stories may have ended already during the first half of 2017. Hikmet writes:
"I need no fruit I need no rice
I need no sweets nor even bread
I ask for nothing for myself
For I am dead for I am dead."
The song of the “Hiroshima Child" imagines a child who comes and “stands at every door…unheard and unseen.” In reality, we, the living, can choose to approach the doors of elected representatives and of our neighbors, or we can stay at home. We can choose whether or not to be heard and seen.
Robert Naiman at Just Foreign Policy points out that many people don’t know that the House of Representatives has voted to prohibit US participation in the Saudi-led war in Yemen. So we must publicize the vote on social media, push for a House roll call vote on the Davidson-Nolan prohibitions on Defense Appropriation, and urge the Senate to pass the same provisions as the House.
I recognize that legislative activism at the heart of an empire addicted to war is a tool of limited use. But considering the impending disaster for which 2017 may well be remembered—as the worst famine year in post-WWII history—we don’t have the luxury to reject any of the tools and opportunities that are presented to us. I also personally oppose all defense appropriations and have refused all payment of federal income tax since 1980.
Billions, perhaps trillions of dollars will be spent to send weapons, weapon systems, fighter jets, ammunition, and military support to the Middle East and the Horn of Africa, fueling new arms races and raising the profits of US weapon makers. We must choose to stand at the doors of our leaders and of anyone else who might have influence over this situation, honoring past sacrifices and the innocent lives we were unable to save even as we redouble our efforts to stop the war makers from constantly gaining the upper hand in our lives.
We can never reverse the decisions to drop atomic bombs on Hiroshima and Nagasaki, and we cannot prevent all of the dying that is set to come this fateful summer in the countries of the Four Famines. In her song, Sadako, long beyond saving even as she folded more paper cranes in her bed, doesn't ask us to erase her own terrible loss, but to achieve whatever change that we can, and to lose no more time in doing so:      
"All that I need is that for peace
You fight today you fight today
So that the children of this world
Can live and grow and laugh and play."
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pier-carlo-universe · 26 days ago
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Il più bello dei mari di Nazim Hikmet: Una poesia sulla speranza e il futuro. Recensione di Alessandria today
Introduzione all’opera:Nazim Hikmet, uno dei più grandi poeti turchi del Novecento, è noto per la sua capacità di toccare le corde più intime dell’animo umano. Il più bello dei mari è una delle sue poesie più celebri e rappresentative, un inno alla speranza, al futuro e all’infinito potenziale dell’essere umano. Scritta con un linguaggio semplice e diretto, questa poesia è un invito a guardare…
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pier-carlo-universe · 26 days ago
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Alla vita di Nazim Hikmet: Un inno alla serietà del vivere e alla bellezza dell’esistenza. Recensione di Alessandria today
Nazim Hikmet, poeta e drammaturgo turco, è noto per la sua profonda umanità e il suo impegno civile. Alla vita è una delle sue poesie più significative, un invito appassionato a prendere la vita sul serio, a viverla intensamente, senza superficialità, ma
Introduzione all’opera:Nazim Hikmet, poeta e drammaturgo turco, è noto per la sua profonda umanità e il suo impegno civile. Alla vita è una delle sue poesie più significative, un invito appassionato a prendere la vita sul serio, a viverla intensamente, senza superficialità, ma con amore e dedizione. Con un linguaggio diretto e immagini potenti, Hikmet celebra l’esistenza come valore supremo,…
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pier-carlo-universe · 26 days ago
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Io m’abituo di Nazim Hikmet: Un dialogo intimo con la natura e l’eterno.
Una riflessione sulla poesia di Nazim Hikmet, dove il fluire della vita si fonde con gli elementi naturali.
Una riflessione sulla poesia di Nazim Hikmet, dove il fluire della vita si fonde con gli elementi naturali. Io m’abituo di Nazim Hikmet: Un dialogo intimo con la natura e l’eterno. Biografia dell’autore:Nazim Hikmet (1902-1963) è considerato uno dei più grandi poeti turchi del XX secolo, nonché un importante esponente della letteratura moderna. Le sue opere sono contraddistinte da un profondo…
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pier-carlo-universe · 1 month ago
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“Ti sei stancata di portare il mio peso” - Nazim Hikmet. Il peso dell’amore e la profondità della separazione. Recensione di Alessandria today
Biografia dell’autore. Nazim Hikmet (1902-1963) è uno dei più grandi poeti turchi del Novecento. Le sue opere, spesso intrise di passione politica e d’amore, riflettono la lotta per la libertà e i diritti umani, ma anche il dolore dell’esilio e della sepa
Biografia dell’autore.Nazim Hikmet (1902-1963) è uno dei più grandi poeti turchi del Novecento. Le sue opere, spesso intrise di passione politica e d’amore, riflettono la lotta per la libertà e i diritti umani, ma anche il dolore dell’esilio e della separazione. Influenzato dai movimenti avanguardisti europei, ha rivoluzionato la poesia turca con uno stile libero e profondamente lirico. È stato…
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