#Natale in guerra
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Fortunata: un racconto di resilienza e memoria attraverso la penna di Maura Mantellino
Un viaggio nell’infanzia durante la guerra e la dolce illusione di continuare a scrivere
Un viaggio nell’infanzia durante la guerra e la dolce illusione di continuare a scrivere Maura Mantellino ci regala con “Fortunata” un racconto intenso e delicato, intriso di ricordi e riflessioni che attraversano l’infanzia di una bambina nata durante la Seconda Guerra Mondiale. La narrazione, in prima persona, ci porta nel cuore di Milano devastata dai bombardamenti, dove la paura e la…
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“ La principale attrazione dell’albero di Natale della zia Milla erano dei nanetti di vetro che tenevano nelle braccia alzate un martelletto di sughero; ai loro piedi erano appese incudini a forma di campana. Alle suole dei nanetti erano fissate delle candele; raggiunto un certo grado di calore, cominciava a muoversi un meccanismo nascosto, una frenesia nervosa si comunicava alle braccia dei nanetti che battevano come matti coi loro martelli di sughero sulle incudini a forma di campana e provocavano – una dozzina in tutto – un fine tintinnio concertante, come una musica di elfi. In cima all’abete era attaccato un angelo vestito d’argento, dalle guance rosse, che a determinati intervalli muoveva le labbra e sussurrava “pace, pace”. Il segreto meccanico di quest’angelo, custodito gelosamente, mi si è rivelato solo più tardi, sebbene allora avessi occasione di ammirarlo quasi ogni settimana. Ma dall’abete di mia zia pendevano una infinità di altre cose, caramelle di zucchero, biscottini, figurine di marzapane, zucchero filato – e da non dimenticare – i fili di stagnola: attaccare tutte queste cosine, questi ornamenti – mi ricordo ancora – richiedeva una notevole fatica. Tutti dovevano partecipare e nessuno della famiglia, la sera di Natale, aveva appetito, per la tensione nervosa e lo stato d’animo – per così dire – era terribile: tranne che per mio cugino Franz che non aveva partecipato a tutti questi preparativi e che unico godeva e gustava l’arrosto, gli asparagi, il gelato e la panna. Quando poi per Santo Stefano noi arrivavamo in visita e osavamo esprimere l’azzardata ipotesi che il segreto dell’angelo parlante si basasse sullo stesso meccanismo che fa dire a certe bambole “mamma” e “papà” raccoglievamo soltanto risate di scherno. Si potrà immaginare quindi come le bombe cadute nelle vicinanze mettessero in estremo pericolo un albero così sensibile. Ci furono scene terribili quando i nanetti caddero dall’albero: una volta cadde addirittura l’angelo. Mia zia era inconsolabile. Dopo ogni incursione aerea, cercava di rimettere a posto, con enorme fatica, tutto l’albero com’era prima e tentava per lo meno di mantenerlo in vita durante i giorni di Natale. Ma già nel 1940 non c’era nemmeno più da pensarci. “
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Brano tratto dal racconto Tutti i giorni Natale (Nicht nur zur Weihnachtszeit, 1952), testo raccolto in:
Heinrich Böll, Racconti umoristici e satirici, traduzione di Lea Ritter Santini, Bompiani (collana Tascabili n° 59), 1977; pp. 103-104.
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Un racconto di Natale
« Davanti a te, Giovanni. Spara! Spaaaraaa!! »
Giovanni sentì il bisbigliare acuto e angosciato di Oreste; l’amico, invisibile nella notte della trincea, non era troppo lontano da lui.
Oreste era quasi un suo compaesano, i due vivevano in paesetti vicini, a pochi chilometri di distanza, ma si erano conosciuti lì, nel fango della guerra; avevano apprezzato l’uno il carattere dell’altro e la fiducia reciproca aveva cementato rapidamente la coppia, così che quando di notte c’era da fare un turno di sentinella, se c’era l’uno, si offriva di andarci anche l’altro: sapevano entrambi che, insieme, sarebbe stato più probabile essere ancora vivi, all'alba.
Grande, grosso, muscoloso e glabro, Giovanni; basso, piccolo, il corpo magro e nervoso, un filo di peli tra il naso e il labbro superiore, Oreste, di qualche anno più vecchio del camerata.
Giovanni non perse tempo a pensare; la notte era buia, non vedeva nulla, ma sparò, subito, dritto davanti a sé. Stette in ascolto, sentì un tonfo sordo, come di un cinghiale che cade, nella macchie della loro Maremma. Poi più nulla, nessun allarme durante tutta la notte; il nemico rimase tranquillo e così anche le trincee italiane.
Appena cominciò ad albeggiare i due, che solo allora riuscirono a vedersi in faccia, si fecero un cenno con la testa: volevano scoprire cosa fosse successo nella notte. Sporsero contemporaneamente e appena appena l’elmetto dalla trincea (non volevano certo che un cecchino li prendesse di mira!) e dettero un’occhiata veloce alla terra di nessuno davanti a loro.
Lì in mezzo, a pochi metri dalla loro trincea, c’era un omone, un colosso ungherese, morto sdraiato nel fango; due bombe a mano pronte per essere lanciate, altre che gli gonfiavano il tascapane a tracolla: il soldato aveva tentato, come qualche volta succedeva da entrambe le parti, un’azione isolata per prendere, da solo, la trincea nemica; non gli era andata bene.
Questa storia Oreste la raccontò cinquanta anni dopo, alla fine di un lungo pranzo di Natale; usò poche parole, semplici e secche, senza dilungarsi nei particolari, per ricordare un commilitone, un amico di tanti anni prima, “il Carli”, che probabilmente quella notte aveva salvato la vita di tanti fanti chiusi nella trincea e che, alla fine della guerra, non sarebbe stato tra i fortunati che tornarono a casa.
Nonno raccontava raramente gli anni della Grande Guerra, evidentemente non gli piaceva ricordare, e non indugiava nei particolari né si inventava storie di eroi che potessero attirare l’attenzione degli ascoltatori; io, bimbetto, sentivo le sue parole senza rendermi conto che parlava di sangue e di sofferenze, di vita e di morte: quel giorno mi colpì solo l’immagine del gigante ungherese carico di bombe e non pensai certamente che la mia stessa esistenza fosse legata ai fatti di quella lontana notte di trincea. Forse invece la morale del racconto del nonno era proprio questa: tu adesso sei qui solo perché quella notte Giovanni sparò.
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PRIMA PAGINA Il Piccolo di Oggi mercoledì, 02 ottobre 2024
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Domani una grande occasione
Poi, dopodomani, se occorre, torniamo pure come prima, si ricominci pure a fare le carogne, a litigare, a odiare, a cercar di fregare il prossimo, si riprenda pure ad amare così ridicolmente noi stessi, a sfogare le basse cose dell'animo. Ma domani! In gamba, o amici, signore e signori. Dopo cinque anni di pausa, domani per la prima volta viene offerta una eccezionale occasione (ed è inutile ridacchiare con quell'aria superiore, diciamo pure cretina, come fa quel signore là in fondo). Dopo cinque lunghi anni lo spirito del vecchio Natale sarà di nuovo tra noi, un po' dappertutto, questa antica favola che non si consuma mai. Non soltanto nelle chiese, anche fuori a San Babila e alla Bovisa, all'ospedale e tra le macerie, sui marciapiedi di via Padova, nei cimiteri, nei tram e nelle guardine, Dio santo, e basterà veramente poco, basterà far così con la mano perché diventi anche nostro. Non bisognerà stringere i denti, domani, per essere buoni, perdonare non costerà più fatica, né sorridere ai molti difetti della nostra esistenza; perfino la miseria e il dolore, con minimo nostro sforzo, si circonderanno in qualche modo di luce. Tante cose difficilissime, come il sopportare la vista del prossimo, diventeranno un giochetto. Ora non vi domandiamo di impegnarvi. In seguito, se lo riterrete necessario - lo abbiamo già detto - tornerete pure alle solite carognate. Non vi chiediamo giuramenti o promesse. Più tardi, insomma, si vedrà. Ma, domani! Dopo tutto è il primo Natale decente dopo tanti anni, ce n'eravamo quasi dimenticati. Lasciatevi andare, dunque, non datevi delle arie, per carità, quando avvertirete nell'aria, invisibile, la grazia di Dio che è tornata a cercarvi. Dimenticate per un giorno i soldi, il dolore, il sangue. Sorridete finalmente, anche senza nessuna apparente ragione. Guardate le facce degli altri uomini con maggiore calma e vi accorgerete che non sono poi così esecrabili come vi sembravano ieri. Non rispondete male, non dite bugie, un'occasione simile vi capiterà solo una volta all'anno e che cosa volete che siano cinquanta, sessanta altre giornate come questa? Non sarebbe una pazzia sprecarle? E voi, giovanotti, che solitamente siamo costretti a giudicare molto male, lasciate stare il mitra, domani. Panettone o no, cercate anche voi una stanza calda di umana simpatia e statevene quieti un pochino. Per le strade deserte passeranno cittadini con pacchi di biglietti da mille e diamanti? Provate a lasciarli stare. Guardateli se mai dalla finestra senza spaventarli. Anche per voi, giovanotti irrequieti, quella tal cosa sarà dovunque distribuita nella stessa identica proporzione che per noi, non crediate alle volte di essere dimenticati. Anche voi, dunque, sorridete con le vostre caratteristiche facce patibolari; date, a titolo di esperimento, dieci lire al povero, accendete lumini, costruite presepi, entrate magari in chiesa un istante, a vedere se non altro, per quello che costa! Scommettiamo che le vostre tipiche facce non saranno più tanto patibolari, che diventeranno quasi simpatiche? Almeno domani, ripetiamo, in via assolutamente provvisioria, senza impegni per l'avvenire. Dopo cinque anni di buio, non sarebbe una bestialità lasciar perdere così formidabile occasione? E poi chissà che il giorno dopo, può anche darsi, chissà che qualche pezzetto di Natale non vi rimanga attaccato addosso. Basterebbe anche un pezzetto molto piccolo, il Cielo in fondo si accontenta di poco, non vi si domanda di più. (Corriere Lombardo, 24 dicembre 1945) da D. Buzzati, Il panettone non bastò
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In questi giorni in cui ci scambiamo desideri di pace e serenità in un’orgia di colori e benessere diretta dal dio Mercato, ogni tanto il pensiero inciampa in una delle tante zone in cui la pace non c’è e tuonano le bombe.
Territori che non conoscono più notti silenti e giornate bianche. Terre in cui impera la violenza delle bombe e la paura della morte che qualche volta si fa desiderio.
In uno di questi inciampi del tempo i Tproject hanno realizzato questo video per la Palestina che suona come un grido di dolore per lo scandalo disumano-troppo-umamo di tutte le guerre.
Potete saperne di più e ascoltarlo attraverso questo link che porta a un altro link...
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GERUSALEMME. NATALE DI SANGUE A GAZA: OLTRE 20.000 VITTIME CIVILI SOTTO I BOMBARDAMENTI ISRAELIANI.
L’APPELLO DI SARAH, MOGLIE DEL CRIMINALE DI GUERRA BIBI NETANYAHU, CHIEDE AL PAPA DI INTERVENIRE IN FAVORE DEGLI OSTAGGI, MA DIMENTICA LE MIGLIAIA DI VITTIME PALESTINESI INNOCENTI. La strage di Natale nel campo profughi della striscia di Gaza, Maghazi, ha fatto superare le 20.000 vittime civili, bambini, donne e anziani nella guerra che contrappone Israele e Hamas. Nel bombardamento del campo…
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HO CHIESTO A DIO PADRE CHE OGNI CASA DIVENTI UN PRESEPE IN CUI IL MIO FIGLIO DIVINO POSSA NASCERE!
MESSAGGIO DELLA SANTISSIMA VERGINE MARIA | Luz De Maria, Venerdì 22 Dicembre 2023 Amati figli del Mio Cuore Immacolato. Sono momenti in cui le difficoltà aumentano e i Miei Figli devonoimparare ad essere più forti. Cari bambini: VENGO A VOI CON IL MIO DIVIN FIGLIO AFFINCHÉ POSSA NASCERE… LO PORTO INNANZI A CIASCUNO DI VOI PERCHÉ RIACCENDA IL DESIDERIO DI ESSERE PIÙ DI MIO FIGLIO CHE DEL…
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Preghiera della Vigilia di Natale
Vigilia di Natale Caro Gesù, domani festeggiamo la tua nascita e a te volgo la mia preghiera affinché amici e nemici possano stingersi la mano ed abbracciarsi. Non è pura utopia, ma che senso ha uccidere mio fratello per avere in cambio un pugno di terra? Sarò forse un uomo con più potere perché t’ho annientato? Tutto ciò è frutto della mia abilità ed intelligenza o perché t’ho sparato o…
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Natale di Giuseppe Ungaretti: Una Poesia di Solitudine e Calore. Recensione a cura di Alessandria today
Ungaretti e la ricerca di pace interiore nelle pieghe della stanchezza.
Ungaretti e la ricerca di pace interiore nelle pieghe della stanchezza. Recensione : La poesia Natale di Giuseppe Ungaretti è una delle sue opere più intime e riflessive. Con pochi, essenziali versi, Ungaretti ci porta nel cuore di una quiete desiderata e inaccessibile, un riposo che diventa quasi un rifugio dall’agitazione del mondo. Scritta durante la Prima Guerra Mondiale, questa poesia…
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“ D’inverno, quando i bacilli della polio sono ibernati e posso contare di sopravvivere fuori d’un polmone d’acciaio fino al termine dell’anno scolastico, vado a pattinare sul lago ghiacciato di Irvington Park. Alle ultime luci della sera durante la settimana, e per tutto il giorno durante i frizzanti fine settimana di sereno, continuo a pattinare in circolo appresso alle shikses* che vivono a Irvington, l’abitato al di là del confine cittadino rispetto al mio riparato e rassicurante quartiere ebraico. Riconosco dove abitano le shikses dal tipo di tende che le loro madri appendono alle finestre. Inoltre, i goyim** espongono sul vetro un fazzoletto bianco con una stella, in proprio onore e dei figli partiti per il servizio militare: una stella azzurra se il figlio è vivo, una stella d’oro se è morto. «Una Mamma della Stella d’Oro» dice Ralph Edwards, presentando pomposamente una concorrente allo show Truth or Consequences, alla quale in capo a due minuti schizzeranno una bottiglia di seltz sulla gnocca, seguita da un frigorifero nuovo per la sua cucina… Mamma della Stella d’Oro è anche mia zia Clara del piano di sopra, ma con una differenza: non espone alcuna stella d’oro alla finestra poiché un figlio morto non la rende orgogliosa o nobile, anzi non la rende un bel niente. Sembra invece averla trasformata, per dirla con mio padre, in una «malata di nervi» a vita. Da quando Heshie è stato ucciso durante lo sbarco in Normandia, non c’è stato giorno che zia Clara non abbia passato a letto, singhiozzando tanto violentemente da indurre il dottor Izzie a praticarle piú volte iniezioni per calmare gli attacchi isterici… Ma le tendine… le tendine sono ornate di pizzi, o «sgargianti» di qualche altra trovata che mia madre definisce sarcasticamente «gusto goyische». Sotto Natale, quando non ho scuola e posso andare a pattinare di sera sotto le luci, vedo gli alberelli accendersi e spegnersi dietro le tende dei gentili. Non nel nostro isolato – Dio non voglia! – o in Leslie Street, o in Schley Street, o in Fabian Place, ma come mi avvicino al confine di Irvington, ecco qui un goy, ed ecco là un goy, ed eccone un altro ancora; e poi sono a Irvington ed è semplicemente allucinante: non solo c’è un albero vistosamente illuminato in ogni salotto, ma le case stesse sono inghirlandate di lampadine colorate che reclamizzano la cristianità, mentre i grammofoni spandono Silent Night per le strade come se – come se! – fosse l’inno nazionale, e nei prati innevati spuntano piccoli presepi intagliati… sul serio, c’è di che star male. Come fanno a credere a queste stronzate? Non solo i bambini, anche gli adulti si piazzano in circolo nei giardini innevati, sorridendo a pezzi di legno alti quindici centimetri chiamati Maria, Giuseppe e Bambin Gesú… e sorridono persino le mucchette e i cavallini scolpiti! Dio! L’idiozia degli ebrei per tutto l’anno, e poi l’idiozia dei goyim durante queste feste! Che paese! C’è da stupirsi se siamo tutti mezzi tocchi? ” *Ragazze non ebree. **Non ebrei.
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Philip Roth, Lamento di Portnoy, traduzione di Roberto C. Sonaglia, Mondadori (collana Oscar Classici Moderni n. 165), 2022¹²; pp. 114-115.
[Edizione originale: Portnoy's Complaint, Random House, NYC, 1969]
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Caro Babbo Natale, war edition (cosa chiedevamo nel 2022)
Carissimo.
Carissimo insomma...
Rieccomi. Sono la tua coscienza pessimista e critica, il tuo Grillo Parlante cinico e sconsolato, la tua jella annuale (ormai da decenni).
Con la mia tazzona di caffè, fedele compagna di scrivania, anche quest'anno ti rompo le scatole, scrivendoti una lettera aperta.
Buon Natale, caro Babbo Natale.
Ma che dico? Ma buon natale manco pe' gnente.
Ma lo vedi, lo vedi come stiamo combinati?
Tra tutti i guai (pandemia, guerra, Calenda in Ukraina, crisi energetica, disastri idrogeologici, vernice rossa delle casette del mercatino che cola sulla piazza), ci mancava l'ultima ciliegina: la beffa del Qatar che minaccia ritorsioni energetiche all'Europa perché l'Europa ha accusato l'emirato di aver corrotto alcuni europarlamentari.
Della favola di lupus et agnus (Do you remember, Santa? Hai studiato Fedro, spero, babbonata' ?) nun je fa 'nbaffo a 'sti qatarioti, come si dice nel nuovo politichese.
Imbrodati nella nostra convinzione di superiorità morale e civile ci siamo fatti incastrare malamente sui fondamentali del nostro europeo snobismo: le fonti energetiche. Già, anche noi ci siamo scordati di Fedro, evidentemente.
Eh no, non resisteremo per i trent'anni necessari a sviluppare lo sfruttamento industriale della fusione nucleare, una delle poche belle notizie del 2022. L'evento - sai - mi ha ricordato il film Ritorno al Futuro, quando Doc metteva la buccia di banana e la lattina ammaccata nel reattore nucleare miniaturizzato della DeLorean. Ah, quei bei tempi futuri. Ou sont les neiges de demain?
Stiamo proprio messi male e chissene della vittoria dell'Argentina ai Mondiali. Alla fine, meglio non aver partecipato (anche se per demeriti sportivi, non per meriti etici, precisiamo) ad un mondiale da dimenticare.
Eh no, babbo boomer non ci provare: non è la stessa condizione della Davis in Cile.
La tristezza generale (su tutti quella di Macron, sfanculato pure da 'Mbappè) non viene rischiarata mica dalla gloria di Leo Messi (il quale gioca in una squadra francese di proprietà del Qatar, che garbuglio!). Ma davvero vi siete emozionati quando Messi ha dovuto alzare la coppa indossando l'abito da cerimonia tipico dell'emirato?
Anyway.
Il 2022 è stato ancor di più l'anno del populismo. Come persone, come classi sociali e come nazioni, siamo stati ancora - statisticamente ed elettoralmente parlando - abbacinati da discorsi demagogici, pensieri magici, istanze grossolane ed iper-egoistiche.
D'altronde, come ben puoi immaginare anche tu - che sei il personaggio fantasy nato per dare una direzione, per quanto stagionale, ai desideri da centro commerciale - quando non c'è raziocinio o buonsenso ad aiutare le genti (in tempi di 'grossa crisi' guzzantiana) ci si butta sull'assurdo, sull'impossibile, sulle istanze intestinali, quelle grossier.
Un po' come già c'insegnavano (i pur politicamente antitetici) Gramsci e Croce, ovvero come ci raccontava la Serao (caro Klaus - in amicizia - hai letto Il ventre di Napoli, sì vero?): la magia premiante del gioco del lotto, ovverosia la speranza di un falsamente meritocratico riscatto per mano d i un misericordioso e giusto Destino (Dio, Babbonatale, Sorte, Fede, Provvidenza, fate Voi) quale oppio della miseria. Anche morale, non solo economica.
Oggi, più che nel lotto, intontiti dalla politica social, abbiamo deciso di riporre fiducia nello scostamento di bilancio statale, come se ci fosse una inesauribile fabbrica dei soldi; chiediamo una rigorosa e restringente regolamentazione dei porti, come se solo così si potesse mettere fine alle ondate migratorie; tifiamo per l'abolizione delle restrizioni anti-covid per debellare un morbo che non è ancora endemico. E abbiamo votato, sicuri di estrarre il terno vincente.
Ci potevamo ribellare agli evasori fiscali, alle tangenti, alla corruzione, al pizzo, all'usura. Potevamo scendere in piazza contro i tagli alla sanità, il lavoro precario, la violenza contro le donne, il caporalato, le morti sul lavoro (stagisti e studenti compresi), la mafia, gli extra-profitti delle aziende energetiche, un distorto mercato del lavoro. Invece abbiamo scelto di protestare contro i vaccini e la 'spietata' dittatura sanitaria, contro il MES, contro il POS ed il limite al contante, contro lo SPID e i rave parties. Abbiamo inneggiato al bonus fiscale per chi si sposava in chiesa e fatto la ola all'abolizione del reddito di cittadinanza per punire i fannulloni.
Babbonata', dillo agli Italiani tutti che qui, da noi, di lavoro proprio non ce n'è e quando si trova qualcosa, questo qualcosa è quasi sempre a nero, a chiamata, a voucher, a sfruttamento, sottopagato, sottodimensionato, precario, ricattato, mischiato alla NASPI, travestito da CIG fittizia (come è massicciamente accaduto durante il lockdown). Vale per gli operai, come per i ricercatori universitari, per gli âgée come per le giovani generazioni.
Ti vorrei chiedere, dunque, caro barbuto buonuomo, di dire la verità, ti prego, sull'economia. Almeno un anno, almeno per il prossimo: facci aprire gli occhi. Spiega a chiunque che le commissioni sulle transazioni elettroniche sono azzerata sotto i 5 euro e che per 20 euro si pagano solo 10 centesimi.
Però, mi voglio allargare. Ti chiedo un investimento per il futuro, non solo di elargire utili informazioni e nozioni economico-finanziarie, che con la nostra memoria di pesce rosso durano l'espace d'un matin.
Ti ricordi, Babbonatale, quello che scrisse Isaac Asimov agli inizi degli Anni '80? «Una vena di anti-intellettualismo si è insinuata nei gangli vitali della nostra politica e cultura, alimentata dalla falsa nozione che democrazia significhi "la mia ignoranza vale quanto la tua conoscenza"».
Ecco, quell'insinuazione oggi è il mainstream ('uno vale uno') ed è per questo che oso chiederti di dare maggiori e migliori strumenti cognitivi alle persone: falle leggere di più ("Il fascismo si cura leggendo", scrisse Miguel de Unamuno), aiutale a smascherare rapidamente bufale e fattoidi, cialtronerie e imbonimenti.
Rinforza il sistema scolastico ("La mafia sarà vinta da un esercito di maestre elementari, sentenziò Gesualdo Bufalino), fai capire ai genitori che prima del tablet ai bambini vanno dati e letti libri, sennò verranno schiavizzati dal primo e schiferanno i secondi, alimentando, tra gli altri, anche il mito populista dell'uguaglianza nell'ignoranza, ahimè blandito e rinforzato dai social.
Ed infine, un mio desiderio personale: introduci massicciamente la fisica quantistica nei programmi scolastici. Come tanti, nonché per irreparabili mie ferite famigliari, ricado spesso nel terrore di non poter rivedere più i miei più profondi affetti. Pure Stephen Hawking (un serio laico, l'astrofisico teorico dei buchi neri) diceva che «L'universo è poca roba di per sé, se non fosse per le persone che ami». I legami sono tutto e la meccanica quantistica - con il multiverso, con Dirac (a proposito dei legami indissolubili), con l'entanglement, con la relatività del tempo e dello spazio, con l'incompletezza di Goedel - di sicuro ci darebbe più speranze che non un dio (uno qualunque), un Verbo, un mito o un rito.
Sostituiamo l'ora di religione con l'ora di Meccanica quantistica, insomma.
Come puoi leggere, quest'anno ribatto sulla buona istruzione e sull'investimento culturale, beni immateriali (ancorché fin troppo labili nelle popolazioni, le quali hanno memorie cortissime) che devono essere gratuiti e diffusi, come una eterna endemia buona.
Per il resto, proprio come scriveva Cesare Pavese, c'è una vita da vivere ci sono delle biciclette da inforcare, marciapiedi da passeggiare e tramonti da godere.
(Qui è Gallipoli)
P.S.: Bene, anche per quest'anno la letterina è andata ed il caffè è pure finito. Non cambia niente, lo so, ma cambiare le persone non sarà mai affar tuo, che sei un feticcio consumistico, né pietto mio (come direbbe il Direttore Staglianò). Ma almeno, anche quest'anno, te ne ho cantate quattro. Cià.
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PRIMA PAGINA Il Dubbio di Oggi sabato, 21 settembre 2024
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che solitudine quella notte
Era mezzanotte in punto quando l'ufficiale di guardia alle armi, a bordo di questo incrociatore, passava presso una piazzuola di mitragliera. Una voce sortì dalle tenebre. "Signor N." chiese uno dei marinai di guardia. "Cosa c'è?" fece l'ufficiale. "Scusate, signor N., noi si pensava: adesso è mezzanotte. Noi si pensava di dire la preghiera del marinaio." E allora l'ufficiale si fermò, nel grande silenzio cominciò a dire: A te, o grande e eterno Iddio, signore del Cielo e degli abissi... Gli uomini stavano dritti sull'attenti, a capo scoperto, e i volti non si vedevano nel buio. Benedici, o Signore, le nostre case lontane. Ma sull'intero fronte, sterminata riva, le scolte continuavano vigilare. Da capo X - comunicava il telegrafo. - Novità N.N. barometro 751 costante, vento S moderato mare agitato pioggerella auguri a voi tutti. Da punta Y novità N.N. barometro 752 discesa vento N brezza mare leggermente mosso foschia cielo coperto permanente tramontana buon natale. Che solitudine, quella notte, forse mai il Mediterraneo era stato tanto deserto. da D. Buzzati, Presepio in locale 20 (Corriere della Sera, 31 dicembre 1940), in Il panettone non bastò
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Então é Nataaal... Simone? NÃÃO!
Simone, não, John Lennon, sim! Não tenho nada contra a Simone, como cantora, mas essa versão dela “Então é Natal” pra música do John Lennon é chata demais. Sempre achei um porre desde o lançamento, em 1995, e foi um sucesso enorme, tornando-se talvez a mais popular canção natalina no Brasil desde então, sendo repetida exaustivamente todos os anos, tendo inclusive sido regravada por um monte de…
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