#Giovanni Pascoli vita e opere
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pier-carlo-universe · 1 month ago
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La felicità di Giovanni Pascoli: un viaggio poetico tra aspirazione e silenzio infinito. Recensione di Alessandria today
Analisi della struggente ricerca della felicità nell’opera di un maestro della poesia italiana
Analisi della struggente ricerca della felicità nell’opera di un maestro della poesia italiana Recensione “La felicità” di Giovanni Pascoli è una poesia che racchiude tutta la complessità e l’intensità emotiva del poeta, un viaggio simbolico alla ricerca di un ideale sfuggente, che sembra sempre a portata di mano, ma mai realmente conquistato. Attraverso una struttura metrica precisa e immagini…
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senzasterischi · 6 years ago
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La letteratura molto molto in breve
Avvertenze:
1) L’articolo ha un alto contenuto ironico. Avrei preferito non specificare, visto che nominare l’ironia è un po’ ammazzarla, ma pensando a quello che vedo in giro sul web quotidianamente ho cambiato idea.
2) Le “pillole di letteratura brevissima” sono tutt’altro che tutte mie: hanno collaborato con me Matilde Zambon, Giulia Mangiafico, Zia Cin e Marta Capoccia.
Chi ha il tempo di leggere i classici per intero? Dopotutto siamo nell’era della velocità, no? La formazione scolastica deve incentrarsi sull’utile, sul produttivo, sul rigoroso, eccetera, eccetera. Non c’è tempo di leggere le opere, e a pensarci bene non c’è tempo neanche per i libri di letteratura così come sono ora. Presenti, per esempio, i Luperini? Chi ha il tempo di sciropparsi sei volumi di quella roba?Non c’è da stupirsi se i poveri studenti vanno a studiarsi le sintesi di fine capitolo. Solo che quei riassuntini purtroppo spesso non sono adeguatamente espressivi, non colgono lo spirito dell’autore o dell’opera che si sta studiando. Nel corso di queste ultime ore estive io e i coautori sopracitati ci siamo chiesti proprio questo: come si può combinare la necessaria brevità con un’autentica comprensione?Meno male che ci siamo noi.Noi che vi salveremo le interrogazioni, i test, gli esami, qualunque cosa. Sull’esempio di
questo
e
quest’altro
video di Yotobi, eccoci qua, a presentarvi
la letteratura molto molto in breve
.Così avrete più tempo per dedicarvi a cose
ben più importanti
.
GIUSEPPE PARINI
Quello del cane.
I PROMESSI SPOSI
Asp, succedeva altro dopo le gride?
ADONE di GIAMBATTISTA MARINO
5000 ottave di niente
A MIA MOGLIE di UMBERTO SABA
Chissà perché Lina si è incazzata
VITA DI BENVENUTO CELLINI
Una fiction della Rai
CANZONIERE di FRANCESCO PETRARCA
Petrarca incontrò Laura un lunedì di Venerdì Santo
OSSI DI SEPPIA di EUGENIO MONTALE
No ma che vuol dire “farandola”?
SATURA di EUGENIO MONTALE
Ti chiamo Mosca perché ti voglio bene eh
ALLEGRIA di GIUSEPPE UNGARETTI
PocoDa,Dire
SENTIMENTO DEL TEMPO di GIUSEPPE UNGARETTI
Basta, mi secca andare sempre a capo.
VITA di VITTORIO ALFIERI
Io mangiavo lucertole aperte da ragazzino
tornavo a casa e vomitavo in mezzo al giardino
ah no quello è Fabri Fibra
LEZIONI AMERICANE di ITALO CALVINO
Stai easy che tutti ricordano solo quella sulla leggerezza di essere
ULYSSES di JAMES JOYCE
È lungo.
GIOSUÈ CARDUCCI
Chi ha detto che metrica e retorica non rendono famosi?
DI NUOVO GIOSUÈ CARDUCCI
Intanto io il Nobel l’ho vinto, tiè.
ANCORA GIOSUÈ CARDUCCI
Chi l’ha detto che chi non sa fare insegna?
IL SIMPOSIO di PLATONE
“Naaah… stasera non bevo che sto ancora male da ieri”
SAUL di VITTORIO ALFIERI
Davide, mi stai cantando una canzone perché mi vuoi bene? Muori pezzo di merda
UNO, NESSUNO E CENTOMILA di LUIGI PIRANDELLO
– Hai il naso storto– Sarai bella teFine.
VITA NOVA di DANTE ALIGHIERI
Che bella Beatrice devo dirglielo, ma ora sto male. Cavolo è morta! Ora sto ancora più male.
LA DIVINA COMMEDIA
Il mondo in cui rubare o scialacquare è peggio di ammazzare
DI NUOVO LA DIVINA COMMEDIA
Se mi stai sul cazzo te la faccio pagare peggio del diario di una teenager
DIVINA COMMEDIA: GIRONE DEI SODOMITI
“Non sono omofobo, ho tanti amici gay”
UNA VITA di ITALO SVEVO
Odio i miei colleghi di lavoro e mi lamento per 300 pagine
SENILITÀ di ITALO SVEVO
Un quadrilatero perfetto di gente che non voglio incontrare mai
LUDOVICO ARIOSTO
Beautiful mi fa una pippa
MYRICAE di GIOVANNI PASCOLI
Vivere? È vietato, si pensa solo al passato e ai lutti familiari. Amare? È peccato, ma in segreto posso amare mia sorella. Il cosmo? Piange con la mia piccola anima. E attenti ai temporali…
FUTURISMO
;))))))))) XDDDDDDDDDDDD ^_______^ per fortuna :O .-. .-.  :(((((((((((( O_____________O non c’erano ancora
;P ;P
:____________Qle emoticon  :* :* :### *___________*
ALDO PALAZZESCHI
Crepuscolare ma gli piace la vita, futurista non interventista, cazzo è l’uomo perfetto!
GAIO VALERIO CATULLO
Quello dell’uccello.
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Se avete altre proposte, proponetele liberamente qua sotto oppure nella pagina facebook! Siamo aperti a tutte le proposte. Brevi però, che non c’abbiamo tempo da perdere.
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berna282 · 4 years ago
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DOLPHIN & DOG SPECIAL FRIENDSHIP - Vangelis: Song Of The Seas
ABBIATE TENERO AFFETTO  GLI UNI PER GLI ALTRI’’
‘’CON AMORE FRATERNO ABBIATE TENERO AFFETTO GLI UNI PER GLI ALTRI’’ .ROMANI 12:10.
E INVECE FRA VOI SIAMO STATI PREMUROSI COME UNA MWADRE CHE NUTRE I SUOI PICCOLI E NE  HA TENERA CURA.COSI ,NEL NOSTRO RENERE AFFETTO PER VOI,ERAVAMO DECISI NON SOLO A TRASMETTERVI LA  BUONA NOTIZIA  DI DIO,MA ANVCHE A DSARVI NOI TESSI, TANTO CI ERAVATE  DIVENTATI CARI. ( 1TESSALONICESI 2:7,8)
‘’E’ ,ECCO  ,S O CHE NESSUNO DI VOI,A CUI HO PREDICATO IL REGNO ,VEDRA’  PIU’ LA MIA FACCIA. ( ATTI 20:25)
ALLORA TUTTI SCOPPIARONO IN UN GRAN PIANTO ABBRACCIARONO PAOLO E LO  BACIARONO AFFETTUOSAMENTE, ( ATTI 20:37)
TENERE AFFETTO E AMORE 
COSI’ ,NEL NOSTRO TENERO AFFETTO PER VOI,ERAVAMO DECISI NON SOLO A TRASMETTERVI LA BUONA NOTIZIA DI DIO,MA ANCHE’A DARVI NOI STESSI, TANTO CI ERAVATE DIVENUTI CARI. ( 1TESSALONICESI 2:8)
ALA DEVOZIONE A DIO L’ AFFETTO FRATERNO ,ALL’ AFFETTO FRATERNO L’ AMORE. ( 2PIETRO 1:7)
IL VOSTRO AMORE SIA SENZA IPOCRISIA. DETESTATE CIO’ CHE E’ MALVAGIO, ATTENETEVI A CIO’ CHE E’ BUONO.  CON AMORE FRATERNO  ABBIATE TENERE AFFETTO  GLI UNI PER GLI ALTRI. PRENDETE LINIZIATIVA NEL MOSTRARVI ONORE A  VICENDA.( ROMANI 12:9,10)
COME AMORE FRATERNO ABBIATE TENERO AFFETTO GLI UNI PER GLI ALTRI. PRENDETE   L’INIZIATIVA NEL MOSTRARVI ONORE A VICENDA. ( ROMANI 12:10)
FINCHE’ NE ABBIAMO LA POSSIBILITÀ’, DUNQUE ,FACCIAMO DEL BENE A TUTTI,MA SPECIALMENTE A QUELLI CHE  APPARTENGANO ALLA NOSTRA FAMIGLIA DELLA FEDE. ( GALATI 6:10)
OPRA CHE VI SIETE PURIFICATI MEDIANTE LA VOSTRA UBBIDIENZA ALLA VERITA’,VCON IL RISULTATO DI UN AFFETTO  FRATERNO SENZA IPOCRISIA, AMATEVI DI CUORE LI UNI GLI ALTRI INTENSAMENTE. ( 1PIETRO 1:22)
‘’AMMAESTRATI DA  DIO AD AMARVI GLI UNI GLI ALTRI’’
E’ A  CAUSA DELL’ AUMENTO DELLA MALAVITA L’ AMORE DELLA  MAGGIORANZA SI RAFFREDDERÀ ( MATTEO 24:12) 
QUANDO ALL’ AMORE FRATERNO   ,NON AVETE BIS OGNO CHE VE NE SCRIVIAMO, PECHE E’ DIO  CGE VI INSEGNA AD AMARVI GLI UNI GLI ALTRI. ( 1TESSALONICESI 4:9)
CONDIVIDETE QUELLO CHE AVETE CON  I SANTI SECONDO LE LORO NECESSITA’. SIATE  SEMPRE OSPITALI. (ROMANI  12:13).
 COLUI CHE NON SPARGE CALUNNIE  CON LA SUA LINGUA,  CHE NON DIFFAMA GLI AMOICI; COLUI  CHE RESPINGE CHI E’ SPREGEVOL,E , MA  ONORA CHI TEME GEOVA -; COLUI  CHE NON RIMANGIA LA PAROLA , ANCHE SE DOVESSE RIMETTERCI  COLUI CHE NON PRESTA DENARO DI CHI E’ INNOCENTE CHI AGISCE CODSI’ NON SARA’ MA I SCOSSO. ( SALMO 15:3-5)
CIO’ CHE RENDE GRADITO UN UOMO E’ IL SUO AMORE LEALE, EDE E’ MEGLIO ESSERE POVERI CHE BUGIARDI ( PROVERBI 19:22) 
E INTERESSANTE GLI UNI’ DEGLI ALTRI PER  SPRONARCI  ALL’ AMORE  E ALLE OPERE ECCELLENTI. MA NON  TRASCURANDO  DI RIUNIRCI  INSIEME,,COME  INVECE  , ALCUNI FANNO ABITUALMENTE, MA INCORAGGIANDOCI A VI9CENDA, TANTO PIU’ CH3E VEDETE AVVICINARSI IL GIORNO. ( EBREI 10:24,25)
DOVRESTE ‘ALAGARVI’?
LA NOSTRA BOCCA VI HA PALATO FRANCAMENTE, CORINTI ,E  IL NOSTRO AFFETTO PER VOI NON E’ LIMITATO ;E IL VOSTRO  TENERO AFFETTO  PER  NOI  A ESSERLO. PERCIO’ ANCHE VOI. PARLO COME A FIGLI -CONTRACCAMBIATECI, APRITE VISTRO CUORE. (   2 CORINTI 6:11.13)
COM AMORE FRATERNO ABBIATE TENERO AFETTO GLI UNI PER GLI  ALTRI. PRENDETE L’INIZIATIVA NEL MOSTRARVI ONORE A VICENDA ( ROMANI 12:10) 
EPURE SOLO  POCHE COSE SONO NECESSARIE,O UNA SOLA. DAL CANTO SUO, MARIA HA SCELTO LA PARTE BUONA,E NON  LE SARA’ TOLTA’’. ( LUCA 10:42)
POI’DISSE ALL’ UOMO CHE LO AVEVA INVITATO:’’QUANDO ORGANIZZI UN PRANZO O UNA CENA,NON CHIAMARCI I TUOI AMICI ,I TUOI FRATELLI,I TUOI PARENTI O I TUOI VICINI RICCHI.ALTRIMENTI ANCHE  LORO POTREBBERO INVITARTI A LORO VOLTA,E IN QUESTO MODO SAREOME SE VENISSI RIPAGATO. INVECE , QUANDO FAI UN BANCHETTO,INVITA POVERI,STORPI,ZOPPI, CIECHI,  E ALLORA SARAI FELICE,PERCHE’ LORO NON HANNO BULLA PER RIPAGARTI; SARAI INFATTI RIPAGATO ALLA RISURREZIONE DEI GIUSTI. ( (LUCA 14:12-14)
SPERO COMUNQUE DI VEDERTI PRESTO,E ALLORA PARLEREMO DI PERSONA,.  ABBI PACE.  GLI AMICI TI MANDANO I LORO SALUTI. SALUTA GLI AMICI UNO A UNO. ( 3 GIO0VANNI 14)
SEUNO DICE: ‘’IO AMO DIO’’,MA POI’ ODIA SUO FRATELLO ,E’ BUGIARDO. INFATTI CHI NON AMA IL PROPRIO FRATELLO,CHE PUO’ VEDERE,NON PUO’ AMARE DIO,CHE NON PUO’ VEDERE. E DA LUI ABBIAMO QUESTO COMANDAMENTO:CHI AMA DIO DEVE AMARE ANCHE  ANCHE IL PROPRIO FRATELLO. ( 1 GIOVANNI 40:20,21)
LA FIDUCIA CHE ABBIAMO IN LUI E’ QUESTA : QUALUNQUE COSA  CHIEDIAMO IN ARMONIA CONN LA SUA VOLONTÀ ,LUI CI  ASCOLTA.  E SE SAPPIAMO CHE LUI VCI ASCOLTA QUALUNQUE COSA CHIEDIAMO,SAPPIAMO CHE AVREMO LE COSE CHIESTE DATO CHRE LE ABBIAMO CHISTE A LUI. ( 1 GIOVANNI 5:14,15)
SOPRATTUTTO ,ABBIATE INTENSO AMORE GLI UNI  PER GLI ALTRI, PERCHE’ L’ AMORE COPRE UNA GRAN QUANTITÀ DI PECCATI. ( 1PIETRO 4:8)
APRITE IL VOSTRO CUORE AD ALTRI!
CHI SI ISOLA PERSEGUE I SUOI DESIDERI EGOISTICI: VA CONTRO OIGNI SAGGEZZA. ( PROVERBI 18:1)
NON VI CHIAMO PIU’ ‘SCHIAVI’. PERCHE’ IO SCHIAVO NON SA QUELLO CHE FA IL SUO PADRONE.MA VI HO CHIAMATO ‘AMICI’. PERCHE’ VI HO FATTO CONOSCERE TUTTE LE COSE CHE HO SENTITO DAL PADRE MIO. (GIOVANNI 15:15)
IN OGNI CODSA VI HO MOSTRATO CHE, FATICANDO COSI, DOVETE ASSISTERE QUELLI CHE SONO DEBOLI E DOVETE RICORDARVI DELLE PAROLE DEL SIGNORE GESU’,CHE DISSE: ‘C’E’ PIU’ FELICITA’ NEL DARE CHE NEL RICEVERE’’’. ( ATTI 20:35)
SE DUNQUE C’E’ QUALCHE INCORAGGIAMENTO IN CRISTO  QUALCHE CONSOLAZIONE CHE NASCE DALL’ AMORE, QUALCHE COMUNIONE DI SPIRITO ,SE  CI SONO TENERO AFFETTO E COMPASSIONE   ,RENDETE COMPLETA LA MIA GIOIA AVENDO LO STESSO MODO DI PENSARE E ,O STESSO AMORE,ESSENDO PERFETTAMENTE  UNITI E DELLO STESSO PENSIERO. NON FATE NULLA PER RIVALITÀ’ O VANAGLORIA, MA,CON UMILTA’.  CONSIDERANDO GLI ALTRI SUPERIORI A VOI.; NON CERCATE SOLAMENTE IL VOSTEO INTERESSE,MA ANCHE QUELLO DEGLI ALTRI. ( FILIPPESI 2:1-4)
E’ MEGLIO UNA RIPRENSIONE APERTA  CHE UN AMORE NON DIMOSTRATO(PROVERBI 27:5)
GLI OCCHI RAGGIANTI FANNO RALLEGRARE IL CUORE, E UNA BUONA NOTIZIA RINVIGORISCE   LE OSSA. ( PROVERBI 15:30)
CO,ME MELE D’ORO IN VASSOI D’ARGENTO LAVARATO E’ UNA PAROLA DETTA AL MOMENTO GIUSTO. (  PROVERBI 25:11)
IL VETRO AMICO AMA IN OGNI CIRCOSTANZA E SI DIMOSTRA UN FRATELLO NEI MOMENTI DIFFICILI. ( PROVERBI 17::17)
‘’IO TI HO APPROVATO’’ 
E DAI CIELI VENNE UNA COCE:’’TU SEI MIO FIGLIO,IL MIO AMATO FIGLIO.IO TI HO APPROVATO ‘’.( MARCO 1:11)
INFATTI IL PADRE VUOLE BENE AL FIGLIO E GLI MOSTRA TUTTE  LE COSE CHE LUI STESSO FA, E GLI MOSTRERÀ’ OPERE PIU’ GRANDI DI QUESTE, AFFINCHÉ’ VI MERAVIGLIATE. ( GIOVANNI 5:20)
GESU’ DISSE: IN VERITA’ VI DICO:NON C’E’ NESSUNO CHE, AVENDO LASCIATO CASA O FRATELLI O SORELLE O MADRE O PADRE O FIGLI O CAMPI PER AMOR MIO E PER5 AMORE DELLA BUONA NOTIZIA, NON RICEVEìA ORA,IN QUESTO PERIODO DI TEMPO , CENTO VOLTE TANTO ,DI CASE,FRATELLI,SORELLE,MADRI ,FIGLI E CAMPI,INSIEME A PERSECUZIONI,E NEL SISTEMA DI COSE FUTURO LA VITA ETERNA. ( MARCO 10:29,30)
FINCHE’ MNE ABIAMO LA  PSSIBI8LITA’,DUNQUE  FACCIAMO DEL NBENE A TUTTI, MA SPECIALMENTE A QUELLI CHE APPARTENGANO ALA NOSTRA FAMIGLIA DELA FEDE. (GALATI 6:10)
E A RIVESTITEVI DELLA NUOVA PERSONALITÀ’ CHE E’ STSATA  CREATA SECONDO LA VOLONTÀ’ DI DIO IN VERA GIUSTIZIA E LEALTA. ( EFESINI 4:24)
NON ESSERE UNO CHE SI OFFENDE FACILMENTE, PERCHE’ L’OFFENDERSI RISIEDE NELL’ ANIMO DEGLI STUPIDI. ( ECCLESIASTE 7:9)
ALLO STESSO MODO VOI CHE  SIETE PIU’ GIOVANI SIATE  SOTTOMESSI A CHI E’ PIU’ ANZIANO DI VOI.  MA RIVESTITEVI TUTTI UMILTA’ NEI CONFRONTI DEGLI ALTRI,PERCGE’ DIO SI OPPONE AI SUPERBI,MA MOSTRA IMMERITATA BONTA’ AGLI UMILI. ( 1PIETRO 5:5)
‘’GEOVA E’ MOLTO TENERO IN AFFETTO’’
 PERCHE’ CERCHIAMO DIO, ANCHE ANDANDO A TASTONI ,E DAVVERO LO TROVIAMO, BENCHE’ IN REALTA’ NON XSIA LONTANO DA OGNUNO DI NOI. (ATTI 17:27)
AVVICINATEVI A DIO,ED EGLI SI  AVVICENERA A VOI,PULITE LE VOSTRE  MANI, O PECCATORI,E PURIFICATE I VOSTRI CUORI ,O INDECISI. ( GISACOMO 4:8)
GEOVA  E’ VICINO A QUELLI CHE HANNO IL CUORE AF FRANTO; SALVA QUELLI DALLO SPIRITO ABBATTUTO. ( SALMO 34:18)
GEOVA E’IL MIO PASTORE.  NON MI MASCHERA’ NULLA . MI FA RIPOSARE IN PASCOLI ERBOSI; MI GUIDA LUNGO I SENTIERI NDELLA  GIUSTIZIA  PER AMORE DEL SUO NOME . BENCHE’ IOO CAMMINI NELLA VALLE DELLA PROFONDA OMBRA, NON TEMO ALCUN MALE PERCGE’ TU SEI CON ME; LA BTUA VERGA E IL TUO BASTONE MI RASSICURANO. MI IMBANDISCI UNA TAVOLA DAVANTI AI MIEI NEMICI. COSPARGI  D’OLIO LA MIA TEESTA, ; IL MIO CALICE E’ RICOLMO. BONTA’ E  AMORE LEALE MI ACCOMPAGNERANNO DI CERTO PER TUTTA LA VITA, E DIMOSTRERÒ NELLA CASA DI GEOVA PER TUTTI I MIEI GIORNI. ( SALMO 23 SOPRASCRITTA -6)
IL PADRE STESSO,INFATTI,VI VUOLE BENE, PERCHE ’ VOI AVETE  VOLUTO BENE A ME E AVETE CREDUTO CHE PROVENGA DA DIO. ( GIOVANNI 16:27)
TUTTO CIOI’ CHE E’ STATO SCRITTO IN PASSATO E’ STATO SCRITTO PER ISTRUIRCI, AFFINCHÉ MEDIANTE  LA NOSTRA PERSEVERANZA E IL CONFORTO DELLE SCRITTURE AVESSI9MO SPERANZA. ( ROMANI 15:4)
O GEOVA,CHI SARA’ OSPITE NELLA TUA TENDA? CHI RISIEDERE SULO TUO MONTE SANTO? COLUI CHE CAMMINA CON INTEGRITÀ’, CHE FA CIO’ CHE E’ GIUSTO E DICE LA VERITA’ NEL SUO CUORE; ( SALMO 15:1,2)
QUELLI CHE TEMONO GEOVA DIVENTERANNO SUOI INTIMI AMICI, ED EGLI FARA’ LORO CONOSCERE IL SUO PATTO. ( SALMO 25:14)
ECCO, NOI CONSIDERIAMO FELICI QUELLI CHE HANNO  PERSEVERATO.VOI AVETE SENTITO PARLARE DELLA PERSEVERANZA DI GIOBBE E AVETE VISTO QUELLO CHE GEOVA ALLA FINE  GLI RISERVO’, DATO CHE GEOVA E’ MOLTO TENERO E MISERICORDIOSO. ( GIACOMO 5:11) 
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iltopodibiblioteca · 5 years ago
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I “Risvegli” e la sofferenza di Giuseppe Ungaretti
Giuseppe Ungaretti ebbe una vita longeva (nacque nel 1888 e mori’ nel 1970, ad 82 anni) ricca di piacevoli soddisfazioni, come il matrimonio o la nascita dei figli , e ricca di gratificazioni lavorative, poiché il suo lavoro e’ stato un imprescindibile punto di partenza per molti poeti del secondo Novecento.
Egli ebbe una lunga vita che non basto’ , tuttavia, a cancellare gli orrori che vide e le sensazioni che provo’ durante la Prima Guerra Mondiale.
Quando l’Italia entro’ in guerra nel 1915, il nostro poeta si arruolo’ come soldato semplice e si ritrovo’ (nel 1916) a combattere sul Carso, quell'altipiano brullo e roccioso che abbraccia Trieste e copre la parte più orientale del Friuli Venezia Giulia, estendendosi al di là del vecchio confine, in territorio sloveno. Nella storia militare d’Italia è ricordato soprattutto perché lungo il suo corso, tra il maggio 1915 e l’ottobre 1917, si svolsero le dodici grandi battaglie contro l’esercito austroungarico, battaglie alle quali Ungaretti prese parte.
Di fronte alla concretezza della guerra, alla vastità dell’orrore, il giovane scrittore matura una profonda mutazione che dara’ vita ad un gruppo di poesie, 33 in tutto, che racchiudono la sua esperienza esistenziale di quell'anno in trincea. Ma il continuo confronto con la morte fece cadere in lui ogni sentimento patriottico e ogni ideologia celebrativa. Nella sua raccolta , manca infatti ogni caratterizzazione storica e politica relativa alla guerra, si analizza solo l’essere umano, il suo animo e come questo reagisca alle crudeltà’ alle quali e’ costretto a fare da spettatore.
Ungaretti quindi non rientra nella definizione di poeta-vate (come D’Annunzio) e in questa sua prima raccolta per dare forma al suo dolore, rifiuta ogni tipo di retorica, cercando termini precisi e chiari che rispecchiassero esattamente ciò che provava.
Leggendo non solo le sue opere, ma anche quelle di molti altri scrittori che parteciparono alla stessa guerra, non posso fare a meno di notare pero’ che la differenza fra dolore e sofferenza e’ il risultato del loro livello di accettazione.
Si prenda d’esempio Gabriele D’Annunzio, (nonostante appartenga, insieme ad Ungaretti, alla corrente decadentista),  essendo legato all’estetismo, vede la Prima Guerra Mondiale come un’avventura; al contrario Ungaretti la vive come un esperienza drammatica e piena di orrori, dalla quale non si riprese mai pienamente.
Il tema della precarietà’ umana e’, difatti, molto ricorrente in Ungaretti proprio in riferimento alla sua esperienza in guerra, basti pensare alla poesia “Soldati” dove il poeta paragona la fragilità’ di quest’ultimi a quella delle foglie.
Tuttavia questa situazione di precarietà’ viene estesa, in un secondo momento a tutti glie esseri umani, poiché i soldati potrebbero essere gli uomini e la guerra potrebbe essere la vita.
La guerra duro’ altri due anni e si concluse nel 1918. Ma cosa sono due anni paragonati ad una vita? Sono un attimo.
E quello fu un attimo talmente incisivo che condiziono’ il resto della sua vita.
Per molti scrittori e poeti (contemporanei ad Ungaretti e non) e’ sufficiente quel solo istante a provocare in loro un dolore tale che il resto della loro vita non e’ sufficiente per interiorizzarlo.
Si prenda in considerazione Emilio Gadda, che con il suo “Giornale di Guerra e di prigionia” ci fornisce una testimonianza degli eventi che visse quando venne fatto prigioniero dopo la disfatta di Caporetto; o Primo Levi dove in “Se questo e’ un uomo” ci racconta ciò’ che avvenne nel campo di concentramento di Auschwitz, o ancora Ernest Hemingway e il suo “addio alle armi” .
Per tutti questi scrittori, e molti altri ancora che non mi soffermo a citare, l’attimo fu la guerra.
Ma per Giovanni Pascoli, ad esempio, fu la morte del padre; per Virginia Woolf fu la morte della madre e gli abusi che subì’ da giovane; per Frida Kahlo fu l’incidente di cui fu vittima da adolescente.
Poteri elencare milioni di autori e milioni di attimi che li portarono ad una vita di riflessioni, perché’ la verità’ e’ che ogni scrittore o poeta degno di questo nome ne ha uno.
Questi attimi sono indice di sofferenza, ed e’ dalla sofferenza che nascono le migliori opere, poiché la sofferenza ci apre gli occhi, anche se per un istante, sulla crudeltà’ del mondo. E una volta aver iniziato vedere, tornare a guardare ci sembra impossibile.
Ed e’ proprio questo ciò’ che accadde a Giuseppe Ungaretti. La guerra fu il suo attimo, dopodiché lui inizio’ a vedere.
“La vera morte si sconta vivendo” scrive in “Sono una Creatura” il 5 Agosto 1916, e ancora “E’ il mio cuore il paese più straziato” il  27 Agosto dello stesso anno, riconoscendo che ciò’ che credeva di aver appreso sul mondo e sulla sua natura non erano altro che menzogne inventate dagli uomini che si limitavano a guardare.
La sofferenza, lo ha condotto ad essere più’ profondo e ad avvertire le contraddizioni della società contemporanea.
Adesso non e’ evidente? Alla base di ogni grande opera vi e’ la sofferenza. Ciò che cambia e’ come il poeta decide di esprimerla.
In epoche passate era uso scrivere lunghi testi ricchi di metafore ed analogie, ma Ungaretti decide di mantenersi fedele all’essenzialità’ e alla concentrazioni dei significati.
Per lui la sofferenza va espressa in maniera chiara, precisa e trasparente, quasi finalizzata alla comunicazione. Tramite parole-verso e spazi bianchi carichi di tensione ci pone davanti la sofferenza cosi come lui la percepisce.
Forse e’ per questo motivo che viene ritenuto un poeta di difficile interpretazione: perché’ e’ proprio quando si ha la verità’ davanti agli occhi che si fa finta di non riconoscerla, di non capirla.
In conclusione credo che la la poetica di Ungaretti sia stata si, influenzata dalla guerra, come molti poeti suoi contemporanei del resto, ma come lui sia riuscito ad interiorizzarla è la vera peculiarità: in un modo unico e  senza precedenti.
La sofferenza è stata, è e sarà la musa ispiratrice di molti scrittori.  D’altronde, non è forse vero cioè che sosteneva il filosofo Henry Bergson? Ossia che nonostante i nostri patimenti, grandi o piccoli che siano,  “noi siamo il nostro passato” ?
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biblioncollection · 5 years ago
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Myricae | Giovanni Pascoli | Poetry, Single author | Audiobook full unabridged | Italian | 2/2 Content of the video and Sections beginning time (clickable) - Chapters of the audiobook: please see First comments under this video. Myricae, è la raccolta di poesie più amata dal Pascoli. [...] Nel 1903, la raccolta definitiva comprendeva 156 liriche del poeta. I componimenti in esso raccolti sono dedicati al ciclo delle stagioni, al lavoro dei campi e alla vita contadina. Il titolo indica la modestia e la semplicità della poetica. Le myricae, le umili tamerici, diventano un simbolo delle tematiche del Pascoli ed evocano riflessioni profonde. La descrizione realistica cela un significato più ampio così che, dal mondo contadino si arriva poi ad un significato universale. La rappresentazione della vita nei campi e della condizione contadina è solo all'apparenza il messaggio che il poeta vuole trasmettere con le sue opere. [...] Il significato delle Myricae, va quindi oltre l'apparenza. (Summary from Wikipedia) This is a Librivox recording. If you want to volunteer please visit https://librivox.org/ by Priceless Audiobooks
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abatelunare · 8 years ago
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Arriva Lancillotto succede un quarantotto
Coloro che producono opere geniali […] sono coloro che hanno avuto il potere, cessando bruscamente di vivere per se stessi, di rendere la propria personalità simile a uno specchio, nel quale la loro vita […] si rifletta. Marcel Proust
 Affinché un importante prodotto dello spirito possa esercitare immediatamente un influsso vasto e profondo, deve esserci un’affinità segreta, anzi una concordanza, fra il destino personale del suo autore e quello generale dei contemporanei. Thomas Mann
  Rivoluzione è una parola-prezzemolo. Si tira fuori ogni volta che è possibile farlo. A proposito, ma soprattutto a sproposito. Tanto che ormai – al pari delle più blasonate Amore, Dio, Pace, e via eccetera discorrendo – si è ridotta a un puro guscio del quale probabilmente quasi nessuno ricorda più il significato. Serve più che altro a riempirsi la bocca d’aria quando uno non sa bene che dire. La sua etimologia lascia pochi dubbi. Deriva dal latino tardo revolutio, «rivolgimento, ritorno», che a sua volta viene da revolvĕre, «rivoltare, rivolgere», il quale discende infine da volvĕre, «travolgere, rovesciare». Il Dizionario Enciclopedico Treccani dà come secondo significato «mutamento radicale di un ordine sociale e politico», e – aggiungo io – letterario e culturale. Può essere violento come può anche non esserlo. Sicuramente, non è mai indolore. Lascia tracce. Provoca ferite che cicatrizzano lentamente. Fa dire, a chi viene dopo: «Prima non era così.» Il cambiamento che una rivoluzione – di qualunque tipo essa sia – reca con sé è tangibile, misurabile. Non subito, chiaramente. Ci vuole distanza (temporale), per poter giudicare. Sulle prime, non ti accorgi delle conseguenze. Non puoi. Con la testa sei ancora dentro il vecchio ordine, quello che è stato scalzato. Poi capisci. Perché pensieri, azioni, parole e tecnologia cambiano. Devono adeguarsi, veicolare il Cambiamento, promuoverlo. Per stare al passo col tempus che fugit. E va sempre più forte.
Le scritture che hanno portato – o che almeno hanno cercato di farlo – un po’ di (sano) scompiglio nella Repubblica delle Lettere appartengono a un altro tempo. I contemporanei non innovano. Percorrono sentieri battuti da altri. Alcuni di loro sono già decrepiti alla loro seconda prova. C’è gente che scrive sempre lo stesso romanzo: si limita ad apportare qualche variazione, così non sembra proprio la stessa minestra (riscaldata). Nessuno sperimenta. Forse non hanno coraggio. Forse non ci sono più idee. Oppure gli strumenti espressivi sono esausti, hanno già dato tutto quello che potevano e ora non ne possono più. Non sanno cosa può essere inventato di nuovo. Il lavoro grosso, in fondo, l’hanno fatto gli Altri, Quelli Che Sono Venuti Prima. Hanno nomi ingombranti, impegnativi. Se li sono guadagnati lavorando sodo. Dante Alighieri. Giovanni Pascoli. Alessandro Manzoni. Carlo Emilio Gadda. Carlo Dossi. Philip K. Dick. André Breton. Filippo Tommaso Marinetti. Avevano il medesimo obiettivo: lasciare una traccia – possibilmente indelebile – del loro passaggio su questa terra. E innovare. Cambiare le Regole del Gioco, ne fossero consapevoli o meno. La loro ricerca si è concentrata sui contenuti, sulla forma, su roba che andava costruita dal nulla perché nulla c’era prima di loro. Hanno percorso strade che ancora non esistevano, costruendole passo dopo passo, spianando il cammino. Sono tutti (o quasi) capiscuola, specializzati nell’iniziare qualcosa. La Macchina. Il Dinamismo. Il Sogno. La Scrittura Automatica. La Poesia Epica. Il Romanzo Storico. Il Neologismo. Si potrebbe continuare a lungo. Ma non serve. L’idea è stata resa. Viene da farsi una domanda: è ancora possibile, in questo atteso e famigerato Terzo Millennio, dare il vita a qualche mutamento culturale di quelli radicali? Chi lo sa. Già era difficile nel Novecento, secolo confuso e indistinto. Duemila movimenti, duemila scuole, alcuni dei quali durati lo spazio del battere di ciglia di una mosca. Il crollo delle certezze e l’avvento di una cosa chiamata Relatività, insieme ai quanti e compagnia bella hanno complicato tutto. Se non so più come stabilire dove si trova una particella minuscola, come faccio a crearmi dei Punti Fermi? Da dove riparto? Da niente. Non posso. O per lo meno mi creo l’alibi di non poterlo fare perché non ci sono le condizioni. La realtà è troppo fluida. Tutto scorre. Lo ha sempre fatto, a dire il vero. Ma è una giustificazione che non regge.
Mi sentirei, nel mio piccolo, di muovere un invito a chi scrive, a chi sente che la scrittura è ancora capace di produrre conoscenza, di proporsi quale strumento interpretativo del reale. Non intendo esortare alla Rivoluzione. Ci mancherebbe. Vorrei solo che cercaste strade nuove. Se non ci sono, createle voi. Cominciando a camminare. Individuate una fra tutte le direzioni possibili e iniziate a mettere un piede davanti all’altro, se non altro per il gusto o la curiosità di vedere cosa succede, dove si può arrivare. Per farlo, avete uno strumento straordinario: i libri. Leggete quello che hanno scritto prima di voi. Per non dire le stesse cose. Per vedere cosa ancora deve essere fatto, quali possibilità esplorare. Non ripetetevi. E non imitate. All’inizio potete anche farlo. L’emulazione non è un delitto. Anzi, è una prova di affetto e di stima nei confronti dell’imitato. Ma fate che questa fase non duri più di tanto. Trovate una voce che sia interamente vostra, che spinga chi vi legge a riconoscervi fra tutti. E camminate da soli. Lo so, è una cosa che fa paura. Ma la paura passa. Come molte delle cose di questo mondo. Ricordate solo una cosa: una rivoluzione che si limiti a distruggere non è una vera rivoluzione. Chi cambia, costruisce. E se sostiene il contrario, non credetegli. Perché vi sta raccontando delle balle.
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italianaradio · 6 years ago
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POESIA E PENSIERO DI GIOVANNI PASCOLI Grande partecipazione alla conferenza di Caterina Mammola da MAG
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POESIA E PENSIERO DI GIOVANNI PASCOLI Grande partecipazione alla conferenza di Caterina Mammola da MAG
POESIA E PENSIERO DI GIOVANNI PASCOLI Grande partecipazione alla conferenza di Caterina Mammola da MAG
R. & P.
Si è svolta nella libreria “Mag-La ladra di libri”, a Siderno, la conferenza sul saggio critico di Maria Caterina Mammola,“Fermento e tormento di vita in Giovanni Pascoli – Formazione poetica tra simbolismo ed espressionismo” e sulla poesia e sul pensiero di Giovanni Pascoli, come ha evidenziato  il giornalista Gianluca Albanese nella sua introduzione.
La prof.ssa Simona Masciaga ha messo in rilievo alcuni elementi del mondo poetico pascoliano, tra cui il simbolismo diffuso nelle opere del Poeta, e analizzato un testo di Diego Valeri del 1952. Ha letto e commentato la nota poesia “X agosto”, cogliendone vari significati simbolici, religiosi, analogici, attraverso le descrizioni del cielo con le stelle cadenti, la rondine uccisa mentre porta il cibo ai suoi rondinini, l’uomo riverso sul suo calesse, colpito da una pallottola assassina, che cristianamente chiede perdono a Dio, mentre tiene due bambole che avrebbe donato alle sue bambine, tornando a casa. La prof.ssa Masciaga ha  offerto una critica originale, del testo esaminato.
La conferenza si è svolta in forma di dialogo culturale, non solo, fra i relatori e l’Autrice, ma anche tra questi e il numeroso pubblico presente.
Caterina Mammola ha rilevato il valore del linguaggio poetico, la profondità del sentimento, la capacità del Pascoli di condensare parole, immagini e suoni nei versi, contemporaneamente, in un unicum.
Il dott. Vincenzo Tavernese, da cultore attento di filosofia e letteratura, ha rilevato l’importanza del sottotitolo del libro della Mammola: “Formazione poetica tra simbolismo ed espressionismo”, tratteggiando la teoria pascoliana del “Fanciullino”. Ha letto con tono efficace un passo del poemetto Solon, tratto dai Poemi Conviviali, soffermandosi su alcune vicende della vita e degli studi del Pascoli intrecciate agli esiti poetici e critici.
Pregevole l’intervento della prof.ssa Pina Cappelleri, che ha messo in rilievo un testo critico di Giacomo De Benedetti che, prima di Gianfranco Contini, aveva giudicato l’altezza e l’innovazione poetica del Pascoli.
Tra le molte persone presenti che hanno dichiarato la propria predilezione per le poesie pascoliane, anche la d.ssa Marida Gemelli, autrice di testi teatrali, che ha letto “Il lampo” aggiungendo osservazioni e un personale commento. Infine, la “Maestra” Maria Celi Campisi ha espresso con ricordi personali il valore etico, non solo lirico, di tante sublimi poesie del Pascoli.
Amore e morte, natura e storia, campagna e famiglia, dolore e speranza, vivono nei versi del poeta, che vanno oltre il loro significato letterale e simbolico. Secondo la Mammola, Pascoli anticipa l’ermetismo per alcune poesie brevi e illuminanti, va oltre i canoni dominanti della sua epoca e approda a forme espressionistiche nella sua poetica, anzi è l’unico grande poeta espressionista italiano.
  R. & P. Si è svolta nella libreria “Mag-La ladra di libri”, a Siderno, la conferenza sul saggio critico di Maria Caterina Mammola,“Fermento e tormento di vita in Giovanni Pascoli – Formazione poetica tra simbolismo ed espressionismo” e sulla poesia e sul pensiero di Giovanni Pascoli, come ha evidenziato  il giornalista Gianluca Albanese nella sua
Gianluca Albanese
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pangeanews · 6 years ago
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Ciao “Deca”! Ci lascia Giancarlo De Carolis, l’ultimo degli jedi. Plurinovantenne, conobbe Morandi, fece una gita con Pasolini in divisa fascista, suo padre dipingeva gli aerei di D’Annunzio
Per la barba di Tolstoj. Proprio così. Fu la barba di Tolstoj. Poi dalla barba di Tolstoj passammo alla punta per le incisioni di Giorgio Morandi. Poi mi raccontò di quando un giovane Pasolini, addobbato alla fascista, portò in gita una scolaresca bolognese. Tra i pupi – incantato dall’eleganza e dall’elegante oratoria di PPP – c’era anche lui. Giancarlo De Carolis, classe 1923, era un uomo d’altri tempi? Macché. Era un uomo che ad ogni parola inventava un futuro ancestrale. Proprio così. Era un esteta nell’arte del paradosso. D’altro canto, incisore eccellente, sapeva che per far vedere una cosa devi scavare, vedi ciò che non c’è, vedi il vuoto. Devo dire che fui incantato. Per la barba di Tolstoj. Nel 2015, con l’editore Raffaelli, pensiamo di pubblicare una parte dei magnifici, miliari “Diari” di Tolstoj. Raffaelli fa le cose in grande e affida l’illustrazione di Tolstoj a Giancarlo De Carolis. La xilografia proposta dal grande De Carolis, ‘Deca’ per gli intimi, è un capolavoro: dopo svariati bozzetti l’artista opta per un Tolstoj dalla barba immane. Difficilissima da realizzare, opera di raffinatezza nello scavo. ‘Deca’ ha vissuto, nell’anima, da artista, a Rimini è stato un medico ortopedico indimenticato, di fama: ha preso lezioni, a Bologna, da Giorgio Morandi e ha sposato una sua talentuosa allieva, Giulana Mazzarocchi, pittrice assai apprezzata da Francesco Arcangeli, tra gli altri. Una vita segnata da un destino d’arte – lo zio, Adolfo De Carolis, è stato il massimo incisore del Novecento italiano; il papà, Dante, tra le altre cose, ha dipinto i velivoli di D’Annunzio quando il Vate ha fatto l’impresa aerea su Vienna – e di dolore – il figlio, Mattia, muore imbarcato sul ‘Parsifal’, nel 1995, durante una delle tragedie nautiche più gravi della storia recente – quella del ‘Deca’, interrotta questa notte, forse mentre dialogava con i suoi avi pittori. I suoi “Aforismi e noterelle” sono libri formidabili – esempi: “Ci sono scrittori che scrivono per essere letti ed altri per leggersi” – che non trovate nelle grandi catene librarie; le sue incisioni sono speciali, ma non le trovate alla Tate o nelle gallerie di arte contemporanea; la sua verve, la sua vibrante intelligenza sono irriproducibili. In un articolo l’ho definito come uno jedi, un antico maestro, uno che non sta nelle enciclopedie, ma nelle encicliche del cuore, uno che ha fatto davvero la storia. L’ho conosciuto grazie al grande architetto Fabio Mariani, che è riuscito in una impresa straordinaria: quest’anno la Biennale del Disegno di Rimini ha dedicato una mostra alle “Xilografie e Carte” di De Carolis, mentre in altro contesto erano esposte opere dello zio Adolfo. Finalmente l’opera del ‘Deca’ messa in mostra insieme ai grandi artisti di ieri e di oggi, lui, giovane incisore di 95 anni! Gli ero simpatico e un giorno tirò fuori da una cartellina un breve memoriale. Ricordava il suo incontro con Pier Paolo Pasolini. Fui sorpreso e commosso. Ne scrissi qualche articolo. Ora, in memoria, e anche per tentare un po’ di ‘archivio’ intorno a un personaggio tanto luminoso da preferire le zone d’ombra e i flutti del pudore (ma visitarlo nella sua casa-studio era una festa delle intelligenze e del buon umore), ricalco alcuni articoli pubblicati negli anni. Il primo è stato pubblicato il 17 agosto 2017 su ‘Rimini 2.0’ e ripreso dal Centro Studi Pier Paolo Pasolini di Casarsa della Delizia; gli altri, precedenti, sono stati editi da “La Voce di Romagna” e proposti, in forme diverse, a ‘il Giornale’. ‘Deca’ era una personalità eccentrica, imprevedibile, aliena al noto, inafferrabile; l’anima elettrica di un bimbo lo percorreva. Ci vuole genio per vivere così, altro che Picasso. (Davide Brullo)
***
Alcune opere di Giancarlo De Carolis per il Club Nautico di Rimini
“Se non sei un artista, pazienza”: incontro con il ‘Deca’, l’ultimo maestro
11,30, Bar Embassy, arriva il maestro. Un tempo per incontrare un ‘maestro’ si facevano chilometri, si viaggiava per mesi. Non c’è bisogno di andare all’Atene di Aristotele. Negli anni Sessanta a valanghe atterravano a Parigi ad ascoltare Jacques Lacan e Roland Barthes. Che sia stato tempo ben speso, lo dirà il tempo. Quanto a noi, basta andare al Bar Embassy, Rimini, ‘marina’, intorno alle 11,30. Di solito, al tavolino, siede un tipo baffuto, d’incomparabile eleganza – spesso indossa indimenticati papillon – con bastone fedele al fianco. Occorre farsi ghermire dalla qualità della chiacchiera – un’arte antica e tramandata – di costui, che è un viaggio nel tempo, così piena di arguzia e di dolce cinismo. Giancarlo De Carolis, classe infinita, è una specie di ruspante Mosè di questo lato di mondo. Già medico di pregio, ha vissuto immerso nell’arte: suo zio, Adolfo De Carolis, è il massimo incisore del secolo scorso, ha illustrato le opere di Gabriele d’Annunzio – compresa la Francesca da Rimini – e di Giovanni Pascoli, è autore che si studia nelle scuole d’arte. La moglie di De Carolis, invece, Giuliana Mazzarocchi, già amata insegnante, è pittrice di valore, scoperta da Giorgio Morandi – alle cui lezioni partecipava pure il ‘Deca’, come è battezzato amichevolmente – di cui Francesco Arcangeli ha scritto, “è in lei una costanza, una necessità, una incapacità alle deviazioni dannose che fanno della sua opera qualche cosa di felicemente acquisito; qualche cosa cui ci si può riferire con sicurezza”.
“Osservavo Pasolini con un misto di ammirazione e antipatia”. Artista ‘esploso’ in veneranda età, notevolissimo incisore – da collezione le cartoline per il Club Nautico riminese, fatte, per altro, anche in memoria di Mattia De Carolis, scomparso tragicamente nel 1995, in mare, a bordo del ‘Parsifal’ – il ‘Deca’ ha una conoscenza eccentrica della storia dell’arte. Quanto a me, io lo amo anche come scrittore. Le sue storie, delicatamente rètro, con un retrogusto di irosa malinconia – ad esempio, la placca Le mamme ai Giardini Margherita – hanno le cadenze di un mondo perduto, perciò bellissimo. Tra i testi che conservo con una certa gelosia c’è un dattiloscritto del 1985 in cui il ‘Deca’ ricorda “l’inverno 1938/1939, un tempo così lontano per situazioni e cultura che vien da rabbrividire a pensarci”. Che ha di bello quella storia? Che il ‘Deca’ incontra, in una gita studentesca, Pier Paolo Pasolini, “in perfetta divisa del Guf (Gioventù universitaria fascista): sahariana nera con spalline azzurre, fazzoletto pure azzurro al collo, calzoni grigi da cavallerizzo, stivali neri”. A causa “di una mostruosa attitudine allo studio”, Pasolini, a 17 anni, è già all’Università. “Io l’osservavo con un misto di ammirazione e di antipatia, lo confesso. Questo ‘enfant prodige’ che si permette di andare all’Università a 17 anni e che subito era divenuto collaboratore del giornale letterario del Guf, l’Architrave”. La scena in cui il giovane Pasolini prende con sé i liceali e racconta loro le “storie di boscaioli e di neve, di madri e di animali, di lavoro duro e di poco pane, di solitudine” del suo Friuli, e i ragazzi sono lì, “presi, affascinati (…) per l’interesse che ci suscita con le sue parole che ci sembrano nuove, così lontane da tutta la retorica che ci viene ammannita in un frastuono di propaganda urlata”, è bellissima. Il racconto, che dura 15 pagine dattiloscritte, insolito rispetto alla bibliografia pasoliniana ‘ufficiale’, mi sembra straordinario. Ho tentato – finora inutilmente – di farlo pubblicare a un editore che sappia valorizzarlo. Ritenterò.
La Street Art? Una degenerazione. La bibliografia personale del ‘Deca’, artista instancabile e polimorfico, aforista quasi di professione, è ormai faraonica. Solo per l’editore riminese Raffaelli, stampate per gli amici in copie risicate, ha pubblicato cinque libretti. L’ultimo, ancora in forma di taccuino, s’intitola Piccolo zibaldone sull’arte moderna e contemporanea ed è un tesoro di ispirazioni. De Carolis s’è messo in testa di ricapitolare l’ultimo secolo artistico, dall’Art Déco (“Il Liberty è una forma di arte signorile, patrizia anzi. Per questo, non fu popolare”) alla Pop-Art, con una intelligenza icastica, sarcastica (“La Street Art è una contumelia contro ogni ‘distinzione’ e una ‘degenerazione’ artistica dell’Arte”; “La pittura di Mark Rothko è la pietra tombale della grande Arte”; “Se non sei un artista, pazienza. Cerca però di gestirti come tale”) che ricorda il Witold Gombrowicz del Corso di filosofia in sei ore e un quarto. Il manoscritto, è in attesa di editore pure quello. Sentirlo leggere dal vivo dal suo autore, è una rara esperienza in una città nota e risaputa come Rimini.
Vogliamo un catalogo dei ‘grandi vecchi’ riminesi. E una mostra. Sintesi dell’articolo. Andrebbe stilato un catalogo dei ‘vecchi maestri’ di Rimini, come il ‘Deca’. Sono monumenti viventi più utili dell’Arco d’Augusto. Bisogna rincorrerli, registrarli, metterli a disposizione dei riminesi come un ‘bene pubblico’. I vecchi maestri, quando non sono rimbecilliti dal contemporaneo, sono molto più interessanti dei comuni mortali, afflitti dalla vita, frastornati dal sistema dei consumi costi quel che costi – e quanto costa… Quanto al ‘Deca’, artista di prestigio, ho un’altra idea. Alla prossima Biennale del Disegno bisogna metterlo in mostra, in scena. No, non intendo le sue opere – l’Assessore alle arti attuale non sa andare oltre il perimetro tribale dei propri pregiudizi. Bisogna mettere in mostra lui, il ‘Deca’. Una stanza. Una poltrona. Una scrivania piena di fogli. Una libreria. E la gente. Mezz’ora con Giancarlo De Carolis detto ‘Deca’, artista riminese d’altri tempi. Ecco il titolo della mostra. Si varca la stanza, ci si siede di fronte a lui. Si parla, si condivide un caffè. Soprattutto, si ascolta. Che bello. (17 agosto 2017)
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Pasolini fu giovane e fu fascista. Ricordo intriso di “luce notturna”
Gioventù fascista. Nella recente e improvvida santificazione di Pier Paolo Pasolini, nessuno ha voglia di ricordare la pagina nera. Già, anche Pasolini è stato fascista. Come tutti, per carità. Allievo modello al Liceo Galvani di Bologna, PPP brucia le tappe (nel 1939, a 17 anni, per meriti gli è concesso di discutere la maturità e poi di iscriversi all’Università bolognese) collabora ad “Architrave”, foglio della Gioventù Universitaria Fascista (in cui, a dirla tutta, si sono sgranchiti la penna anche Enzo Biagi, Roberto Roversi e Francesco Arcangeli, per dire di alcuni), e su “Il Setaccio”, rivista della Gioventù Italiana del Littorio. Una memoria di quegli anni, anzi, un Ricordo di Pier Paolo Pasolini studente ci proviene, come un sontuoso fossile, da Giancarlo De Carolis, figlio d’arte (lo zio Adolfo è tra i massimi artisti liberty del Novecento, illustrava i libri di Pascoli e di D’Annunzio; il padre, Dante, ha decorato i velivoli con cui D’Annunzio ha volato su Vienna), di un anno più giovane di Pasolini, compagno al Liceo Galvani, che nel 1939 incontra il poeta (nel 1941 comincia la scrittura delle Poesie di Casarsa, subito notate da Gainfranco Contini) in un Campeggio invernale a La Villa in Val Badia. Un ricordo, in realtà, che ha preso forma di fascicolo dattiloscritto di 16 pagine, redatto in origine nel 1985, per far memoria dei primi dieci anni dalla morte di Pasolini. De Carolis tira fuori lo scritto oggi, dopo lo scotto di allora: “inviai la mia memoria al Fondo Pier Paolo Pasolini di Roma. Nessuno mi ha mai risposto, probabilmente giudicarono lo scritto di scarso interesse”. Ma cosa dice questo scritto di tanto urtante per la vulgata?
Niente. De Carolis, narrando con saggia delicatezza il «campeggio invernale» promosso, «nell’inverno 1938-39 a cavallo fra Natale ed Epifania», dal GIL, «l’organizzazione giovanile fascista», non dice niente di strano, ma qualcosa di ovvio e nello stesso di rimosso: che tutti a quel tempo non potevano non dirsi fascisti. L’incontro con Pasolini accade a La Villa, appunto, in Val Badia, all’ora di pranzo. «Manca qualcheduno, lo denuncia la sedia non ancora occupata. Aspettiamo. Ed ecco che, quasi ad arte, fa la sua entrée Pier Paolo Pasolini». Con i quasi coetanei (De Carolis ha un anno meno di lui) Pasolini, «in perfetta divisa del GUF: sahariana nera con spalline azzurre, fazzoletto pure azzurro al collo, calzoni grigi da cavallerizzo, stivali neri», non dialoga, «erano tanti più immaturi di lui», che si ergeva abissale e ostile. D’altronde, lui, «a causa di una mostruosa (così allora mi pareva) attitudine allo studio, a furia di saltar classi, si era trovato all’Università precocissimamente». Il fatto di essere “superdotato” «doveva inorgoglire il ragazzo», che non era affatto simpatico, ostentando «un atteggiamento misto di sussiego e di presunzione, ma soprattutto di vanità […]. Il tutto amalgamato poi da una fortissima carica di esibizionismo che gli sarà poi utilissima per esprimere e far accettare quelle doti d’intelletto che indubbiamente possedeva in maniera fuor dal comune».
L’epifania del diverso. Durante i reiterati pranzi insieme, Pasolini «siede a capotavola, sulla mia destra, due posti dopo il mio», vuole le attenzioni di tutte le cameriere, fa qualche battuta in direzione di «un bel ragazzo molto bruno, dai capelli nerissimi e riccioluti», donandogli l’epiteto, «Montanari, sei bello come un fiore nero», scatenando domande: «Cosa vuol dire PPP con questa frase? […] È forse solo un omaggio innocente alla bellezza non senza una punta d’ironia, da parte del poeta che sta per nascere». Pasolini sconcerta, «io l’osservavo con un misto di ammirazione e di antipatia, questo “enfant prodige” che si permetteva di andare all’Università a diciassette anni e che subito era divenuto collaboratore del giornale letterario del GUF». Eppure, ci sono due passaggi, in questa clamorosa e tersa memoria, che ci fanno palpare il Pasolini ancora ragazzo, profezia dell’intellettuale che sarà. Pasolini «impeccabilmente vestito da sciatore anteguerra» che seduto «su di un gradino delle scale che portano ai piani superiori», raccoglie a sé i ragazzi, «narrando avventure del suo Friuli che sembrano fiabe», «con le sue parole che ci sembrano nuove, così lontane da tutta la retorica che ci viene ammannita in un frastuono di propaganda urlata, ogni giorno». E poi Pasolini, di notte, quando «la neve scricchiola sotto gli scarponi, fa freddo, il cielo è stellato come sa essere solo in montagna», che sta «solo, fermo, colpito da quella luce notturna», che non vuole nessuno se non la solitudine, «non vuole perdere il contatto magico con la natura assoluta, cosmica». Così, di spalle, inoltrandosi nella natura e nella Storia, quel «ragazzo che il destino aveva segnato per un futuro drammatico, con cui avrebbe pagato il privilegio di una sensibilità e di un’intelligenza eccezionali», quel ragazzo, soltanto un ragazzo tuttavia già precocemente adulto, che lasciava in chi lo incontrava l’«oscura coscienza di sentirlo “diverso”», era già altrove, era già un eretico, nel nonluogo di una glaciale malinconia. (4 novembre 2015)
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“Per mio padre Gabriele d’Annunzio ha rimandato il volo su Vienna”: dialogo con Giancarlo De Carolis
La scrivania è piena di fogli. Lui si muove come il suo “folletto dei boschi”, creatura evanescente, ironica, inafferrabile. Scatena il tavolo. Tira fuori l’opera. «Ho lavorato a questo per tutta l’estate». Il volto di Lev Tolstoj. «Vedi, il problema era la barba, come fai a inciderla?». Mi mostra la matrice, che compra a Praga, come gli strumenti per graffiarla. Il volto del vecchio Tolstoj, che andrà ad adornare un libro edito prossimamente da Raffaelli, scavato con genuina rapacità, è rude e mistico. Per ispirarsi «mi sono rivolto a Emil Nolde e a Ernst Kirchner», ma soprattutto, dico io, alla sua sapienza atavica. Si aggira nello studio con elfica leggiadria, Giancarlo De Carolis. Classe 1923. Tra i più ispirati incisori di questa terra. Recluso al quinto piano della sua casa riminese, in un palazzo alle spalle del mitologico Embassy, pressoché ignorato dagli artisti ignoranti e globalizzati, «l’unica mostra che ho fatto? Nel 1964, a Urbino, insieme a Renato Bruscaglia e a Pietro Sanchini. Adesso è una perdita di tempo». 
Lev Tolstoj secondo Giancarlo De Carolis, 2015
Giorgio Morandi? Un cretino-genio. Bologna, anno di grazia 1947. In mostra, accademici e dilettanti. Giuria composta da Roberto Longhi, Francesco Arcangeli e Giorgio Morandi. «Partecipai anch’io, ma cosa vuoi, nessuno si accorse di me…», sussurra De Carolis, con il suo spirito corrosivo. Piuttosto, Morandi si accorge della moglie di De Carolis, Giuliana Mazzarocchi, sua allieva e futura, indimenticata professoressa al Liceo classico di Rimini, quello frequentato da Fellini. «Morandi impiegava dieci giorni per spiegare ai suoi studenti come costruirsi da soli una punta per incisioni, che potevi comprarti con due lire. Per questo dico che è un “cretino-genio”: quando gli parlavi sembrava un po’ sciocco, ma la sua opera è straordinaria, ovvio. Anche Albert Einstein è un “cretino-genio”…». La punta per incisioni di Morandi è a casa di De Carolis, con tanto di firma. «Mia moglie non riuscì a farsela da sé. Allora Morandi le regalò la sua».
Dagli astrattisti alle cure per la virilità. De Carolis non è un artista accademico, al contrario, «la storia dell’arte fatta dalle Accademie ha frenato la curiosità, l’iniziativa davvero ispirata». Cresciuto in una famiglia di artisti, lo hanno obbligato a mettere la testa a posto, a studiare medicina. Pratica al “Rizzoli” di Bologna, si specializza a Parigi e negli Stati Uniti, diventa un ortopedico di fama. La professione non lo distoglie dall’arte, «che frequento, anzi, gioco, da quando ho sette anni». Nel 1949 è a Firenze, arretra dall’ambiente dei medici, «non mi piaceva affatto il loro snobismo», frequenta Vinicio Berti, Alvaro Monnini, Gualtieri Nativi e Mario Nuti, i fondatori dell’“astrattismo classico”. «Bravi pittori. Anche se con loro litigavo un po’». Perché? «Perché per me l’arte è soprattutto libertà. Non può esistere una differenza ideologica e pregiudiziale tra astratto e concreto: alcune cose vanno fatte in astratto, altre ricorrendo alla forma». A Firenze però diventa famoso per ben altre magie. «Lavoravo per l’esercito, mi chiamavano il “curatore di uccelli”». E ride, De Carolis, con la sua eleganza un po’ dandy, un po’ dadaista. Che vuol dire? «C’era un napoletano che aveva un problema proprio lì. Necessitava di una circoncisione. Lo operai. Il giorno dopo viene da me, “caro dottore, sono solo un tenente, ma lei mi ha fatto un uccello da ufficiale!”». In quegli anni De Carolis conosce anche Walter Reder, l’ufficiale delle SS responsabile della strage di Marzabotto. «In quel periodo era mio prigioniero, per così dire. Aveva un’altissima percezione del “dovere militare”, non penso sia totalmente colpevole di quei fatti, ma la questione è molto delicata. Ricordo che passava le giornate a leggere la “Divina Commedia”, era molto educato».
Il decoratore del Vate. Artista fuori dai canoni, che si prende in giro (è capace di convincerti che la sua opera migliore è un’incisione stampata su una maglietta che celebrò, nel 1984, i 50 anni del Club Nautico di Rimini, mentre, distrattamente, ti fa svolazzare sotto il naso un vero capolavoro, l’autoritratto del 2010, “L’incisore dalla bocca torta”), che «non faccio classifiche perché l’arte non è mica una gara di biciclette», però poi si produce in corrosive didascalie (su Giuseppe Capogrossi: «poveretto, condannato a fare scarafaggi per tutta la vita…»; su Ottone Rosai: «non capisco perché sia così famoso. Non sa dipingere. Certo, qualche paesaggio, nonostante lui, per caso, gli è venuto bene»), De Carolis non ha potuto fuggire dalla mania di famiglia. Lo zio, Adolfo De Carolis, è tra i massimi incisori del secolo scorso, ha illustrato i libri di Giovanni Pascoli e di Gabriele D’Annunzio. Insieme al papà di Giancarlo, Dante, tra le molte commissioni, affresca il Palazzo del Podestà di Bologna. «Sa, per mio padre il Vate posticipò il suo famoso volo su Vienna…», attacca l’aureo erede. Che vuol dire? «Mio padre, Dante De Carolis, era un ottimo decoratore. Fu richiamato dal fronte per espressa volontà di Gabriele D’Annunzio. Gli chiese di dipingere con vessilli dannunziani i dodici velivoli “Ansaldo S.V.A.” che avrebbero sorvolato sull’Austria». 
Mette in guardia Papa Francesco. Consapevole che «è finita l’epoca dei grandi quadri ad olio, ormai siamo bombardati di immagini, Internet ti disorienta», DeCarolis combatte la battaglia nell’eremo del suo appartamento-bunker, come un sopravvissuto, ridendo. Nei suoi progetti, oltre alle superbe incisioni “marine”, c’è la scrittura di uno “Zibaldone dell’Arte moderna e contemporanea”. Aforista micidiale (fa stampare tutto, in copie numerate, dall’editore Raffaelli), ha messo in guardia Papa Francesco («La Chiesa cristiana che converge sempre più verso la “sinistra”, non si rende conto del rischio mortale che corre»), sa che «oggi ci sono “scuderie” di artisti ispirati da critici-manager», e che il segreto dell’arte è che «il buon artista ama fare ciò che gli è naturale fare». Semplice. Che DeCarolis sia l’ultimo dei saggi, una specie di ipnotico maestro jedi? (12 settembre 2015)
L'articolo Ciao “Deca”! Ci lascia Giancarlo De Carolis, l’ultimo degli jedi. Plurinovantenne, conobbe Morandi, fece una gita con Pasolini in divisa fascista, suo padre dipingeva gli aerei di D’Annunzio proviene da Pangea.
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tmnotizie · 6 years ago
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SAN BENEDETTO – Sabato 17 novembre 2018, alle ore 10, presso l’Auditorium “G. Tebaldini” si terrà il XIX Festival Internazionale della Poesia, promosso dal Circolo Riviera delle Palme di San Benedetto del Tronto. E’ il primo appuntamento della nuova edizione del Festival che culminerà nell’estate 2019 e avrà per tema “L’infinito”.
Saranno presenti importanti autori nazionali e internazionali, che interverranno sul tema con testi editi, inediti e appositamente composti per l’occasione: Davide Rondoni (poeta), Moira Egan (poetessa), Damiano Abeni (traduttore), Rossella Frollà (critica e poetessa), Nicola Bultrini (poeta e saggista).
Interverranno il Presidente del Circolo Riviera delle Palme, il poeta Leo Bollettini, il sindaco Pasqualino Piunti, l’assessore alla Cultura Annalisa Ruggieri ed il presidente del FAI Regione Marche Alessandra Stipa. Saranno presenti autorità locali e rappresentanti di istituzioni, associazioni, scuole e imprese del territorio.
Coordinerà e presenterà l’evento il nuovo direttore artistico del Festival, il poeta Claudio Damiani, accompagnato dall’attrice Marina Benedetto.
Il tema scelto fa riferimento alla famosa poesia di Leopardi l’infinito, di cui ricorre tra poco il bicentenario della composizione ma anche al concetto di “infinito” in generale e nelle sue varie declinazioni scientifiche, filosofiche ecc.
Con l’occasione verrà presentato il Certamen, gara di poesia (anch’essa sul tema dell’infinito) rivolta agli studenti e ai cittadini del territorio nazionale ma anche di autori stranieri, che culminerà a dine estate 2019 con la lettura pubblica dei testi selezionati e la premiazione del vincitore.
Tra la prima tappa (17 novembre 2018) e l’ultima (settembre 2019) si prevedono tappe intermedie, eventi di poesia, riflessioni e approfondimenti sul tema, a cura del Circolo Riviera delle Palme e di altre associazioni e istituzioni. Nelle scuole del territorio saranno avviati progetti specifici di laboratorio poetico che guideranno gli studenti nella produzione dei testi destinati al Certamen. Oltre ai giovani, l’iniziativa è destinata anche a adulti e anziani, e a questo riguardo verrà coinvolta anche l’Università della Terza Età di Ascoli Piceno.
Claudio Damiani è nato nel 1957 a San Giovanni Rotondo. Vive a Rignano Flaminio nei pressi di Roma. Ha pubblicato le raccolte poetiche Fraturno (Abete,1987), La mia casa (Pegaso, 1994, Premio Dario Bellezza), La miniera (Fazi, 1997, Premio Metauro), Eroi (Fazi, 2000, Premio Aleramo, Premio Montale, Premio Frascati), Attorno al fuoco (Avagliano, 2006, finalista Premio Viareggio, Premio Mario Luzi, Premio Violani Landi, Premio Unione Lettori), Sognando Li Po (Marietti, 2008, Premio Lerici Pea, Premio Volterra Ultima Frontiera, Premio Borgo di Alberona, Premio Alpi Apuane), Il fico sulla fortezza (Fazi,  2012, Premio Arenzano, Premio Camaiore, Premio Brancati, finalista vincitore Premio Dessì, Premio Elena Violani Landi), Cieli celesti (Fazi, 2016, Premio Tirinnanzi).
Nel 2010 è uscita un’antologia di poesie curata da Marco Lodoli e comprendente testi scritti dal 1984 al 2010  (Poesie, Fazi, Premio Prata La Poesia in Italia, Premio Laurentum). Ha pubblicato di teatro: Il Rapimento di Proserpina (Prato Pagano, nn. 4-5, Il Melograno, 1987) e Ninfale (Lepisma, 2013). Tra i volumi curati: Orazio, Arte poetica, con interventi di autori contemporanei (Fazi, 1995); Le più belle poesie di Trilussa (Mondadori, 2000).  E’ stato tra i fondatori della rivista letteraria Braci (1980-84) e, nel 2013, di  Viva, una rivista in carne e ossa. Suoi testi sono stati letti in pubblico da attori come Nanni Moretti e Piera Degli Esposti, e tradotti in varie lingue. Ha pubblicato i saggi La difficile facilità.
Appunti per un laboratorio di poesia, Lantana Editore, 2016, L’era nuova. Pascoli e i poeti di oggi, Liber Aria Edizioni, 2017 (con Andrea Gareffi) e recentemente, con Arnaldo Colasanti, La vita comune. Poesie e commenti, Melville Edizioni, 2018.
Davide Rondoni è nato a Forlì nel 1964. Tra i suoi libri di poesia: La frontiera delle ginestre (1985), O les invalides (1988), A rialzare i capi pioventi (1991), Nel tempo delle cose cieche (1995), Il bar del tempo(1999), Avrebbe amato chiunque (2003), Compianto, vita (2004), oltre a numerose altre opere in versi per la scena o dedicate ad opere d’arte, come Il veleno, l’arte (2005), Vorticosa, dipinta (2006) e Dalle linee della mano (2007). Ha tradotto I fiori del male di Baudelaire (1995) e Una stagione all’inferno di Rimbaud (1997). Per la saggistica letteraria e di intervento: Non una vita soltanto (2001), La parola accesa (2006), Il fuoco della poesia (2008). Ha curato diverse antologie ed è autore di testi teatrali e di programmi televisivi.
Editorialista di alcuni quotidiani, opinionista di Avvenire, è stato critico letterario nel supplemento domenicale de Il Sole 24 Ore. Saltuariamente pubblica sul Corriere della Sera. Dirige le collane di poesia di Marietti e Il Saggiatore, la rivista «clanDestino» e il Centro di poesia contemporanea dell’Università di Bologna.
Moira Egan è nata a Baltimora (USA). Suoi lavori sono apparsi in molte riviste statunitensi e internazionali, e in diverse antologie, tra cui Best American Poetry 2008, e in traduzione su Nuovi Argomenti, Poesia, e Lo Straniero. I suoi libri sono HotFlash Sonnets (Passager Books, 2013); Spin (Entasis, 2010); Bar Napkin Sonnets (The Ledge, 2009); La Seta della cravatta/TheSilk of the Tie (Edizioni l’Obliquo, 2009); e Cleave (WWPH,  2004).Con Italic peQuod ha pubblicato Strange Botany / Botanica arcana (2014) e Olfactorium (2018). Con Damiano Abeni ha pubblicato numerosi libri di traduzioni in Italia (tra gli autori ricordiamo John Ashbery, Aimee Bender, Lawrence Ferlinghetti, John Barth, Anthony Hecht, Mark Strand). Sue traduzioni da poeti italiani, realizzate a quattro mani con Abeni, sono pubblicate su numerose riviste negli USA e alcune sono raccolte nello FSG Book of 20th Century Italian Poetry (2012) e nel volume di Patrizia Cavalli My Poems Will Not Change the World (FSG, 2013).
Moira Egan ha ricevuto fellowship da prestigiose istituzioni quali la Mid Atlantic Arts Foundation; il Virginia Center for the Creative Arts; il St. James Cavalier Centre for Creativity a Malta; il Civitella Ranieri Center; la Rockefeller Foundation, Bellagio Center; la James Merrill House.
Damiano Abeni è nato a Brescia nel 1956. Ha pubblicato un centinaio di libri tradotti dall’inglese, la maggior parte dei quali dedicati a poeti nord-americani quali Mark Strand, John Ashbery, Charles Simic, Elizabeth Bishop e, tra i più recenti, a Charles Wright, Ben Lerner, Moira Egan, Frank Bidart e Anthony Hecht. Collabora con diverse case editrici e riviste letterarie. È tra i redattori di “Nuovi Argomenti” e della rivista online “Le Parole e Le Cose”. Ha ricevuto una fellowship del Liguria Study Center for the Arts nd Humanities (Bogliasco Foundation, 2008) e una delle Rockfeller Foundation Fellowship (Bellagio, 2010).
Nel 2009 è stato Director’s Guest presso il Civitella Ranieri Center. È cittadino onorario per meriti culturali di Tucson, Arizona, e di Baltimore, Maryland. Recentemente, parte di sé ha pubblicato “from the dairy of jonas & job, inc., pigfarmers” [ikonaLiber, Roma, 2017], tradotto a fronte in italiano da un’altra parte di sé.
Rossella Frollà è nata nelle Marche a San Benedetto del Tronto, dove vive. Si è laureata presso l’Università Carlo Bo di Urbino. Animata da grande curiosità intellettuale vive molteplici esperienze lavorative giovanili nel settore della ricerca sociale e della comunicazione prima di approdare alla critica letteraria e alla poesia. Nel 2012 pubblica con Interlinea Il Segno della parola, Poeti italiani contemporanei e si afferma come nome nuovo nel panorama della critica letteraria.
Sempre nello stesso anno riceve il premio Alpi Apuane per la poesia inedita. Nel 2015 pubblica con Interlinea  la sua prima opera poetica Violaine  e nel 2017 Eleanor. Non fummo mai innocenti. Dalla Bosnia alla Siria. Oggi fa della poesia la sua nuova frontiera di impegno umano e culturale. Scrive per Pelagos e altre riviste letterarie on-line.
Nicola Bultrini è nato nel 1965 a Civitanova Marche, vive e lavora a Roma. Ha pubblicato le raccolte di versi La specie dominante (Aragno 2014), La coda dell’occhio (Marietti 2011),  I fatti salienti (Nordpress 2017), Occidente della sera (nell’VIII Quaderno Italiano di Poesia Contemporanea – Marcos y Marcos 2004). Scrive per il quotidiano Il Tempo e collabora con altre testate (tra cui la rivista Poesia).
È presente nell’antologia Sulla scia dei piovaschi poeti italiani tra due millenni (Archinto 2015). Come studioso della Prima Guerra Mondiale ha pubblicato vari saggi, tra cui La grande guerra nel cinema (Nordpress 2008), Pianto di pietra – la grande guerra di Giuseppe Ungaretti (Nordpress 2007), Gli ultimi – i sopravvissuti ancora in vita raccontano la grande guerra (Nordpress 2005). Da anni è ideatore e animatore di eventi culturali.
Marina Benedetto è nata a Roma, si è diplomata a Parigi presso la scuola d’arte drammatica Théâtre Ecole du Passage e ha conseguito la License in Etudes Théâtrales presso l’Università Sorbonne Nouvelle – Paris III. Come attrice ha recitato a teatro in Francia e in Italia con numerosi registi tra i quali Gil Galliot, Eloi Recoing, Grégoire Ingold, Jean-Claude Fall, Lisa Wurmser, Alessandro Marinuzzi; al cinema ha interpretato piccoli ruoli con Francesca Comencini,Giancarlo Bocchi, Mario Martone, Paolo Franchi; in televisione con Betta Lodoli, Claudio Casale. Lavora come acting coach e dialogue coach al cinema, occupandosi di attori italiani e stranieri tra i quali Valerio Mastandrea, Elio Germano, Juliette Binoche, Fanny Ardant, Barbora Bobulova, Anne Parillaud, Ksenja Rappoport, Emmanuelle Devos.
Insegnante di dizione e recitazione, ha tenuto numerosi laboratori di formazione dell’attore. Ha doppiato e/o diretto il doppiaggio d’innumerevoli programmi televisivi per Canal Plus, di cui ha preparato l’adattamento dal  francese all’italiano. Ha curato il sottotitolaggio di documentari, film, e di pièces teatrali per la regia di Peter Brook e Irina Brook. Appassionata di poesia ha tradotto dal francese e dallo spagnolo vari autori (tra questi Claribel Alegría e Aurélia Lassaque) e ha recitato in numerose letture pubbliche.
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rosariopax · 7 years ago
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Liturgia del Giorno
Venerdì 8 Giugno 2018   S. Medardo SACRATISSIMO CUORE DI GESÙ Os 11,1.3-4.8c-9; Cant. Is 12,2-6; Ef 3,8-12.14-19; Gv 19,31-37 Attingeremo con gioia alle sorgenti della salvezza. PREGHIERA DEL MATTINO Sacro Cuore di Gesù, guidaci, come buon pastore delle nostre anime, e proteggici in questo giorno in cui proseguiamo il nostro cammino di vita. Nutrici, nei tuoi pascoli, con la tua parola e con i tuoi sacramenti; fa' che non ci smarriamo lungo il tuo cammino dell'amore. Rendi salda la nostra coscienza della compassione che nutri per la nostra fragilità, affinché il nostro cuore sia, a sua volta, misericordioso nei confronti degli altri. ANTIFONA D'INGRESSO Di generazione in generazione durano i pensieri del suo Cuore, per salvare dalla morte i suoi figlie nutrirli in tempo di fame.
COLLETTA O Padre, che nel Cuore del tuo dilettissimo Figlio ci dai la gioia di celebrare le grandi opere del tuo amore per noi, fa' che da questa fonte inesauribile attingiamo l'abbondanza dei tuoi doni. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te... PRIMA LETTURA   Non tornerò a distruggere Efraim Dal libro del profeta Osèa 11, 1. 3-4. 8-9 Quando Israele era fanciullo, io l'ho amato e dall'Egitto ho chiamato mio figlio. A Èfraim io insegnavo a camminare tenendolo per mano, ma essi non compresero che avevo cura di loro. Io li traevo con legami di bontà, con vincoli d'amore, ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia, mi chinavo su di lui per dargli da mangiare. Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione. Non darò sfogo all'ardore della mia ira, non tornerò a distruggere Èfraim, perché sono Dio e non uomo; sono il Santo in mezzo a te e non verrò da te nella mia ira. Parola di Dio. SALMO RESPONSORIALE (dal Salmo 12) R. Attingeremo con gioia alle sorgenti della salvezza. Ecco, Dio è la mia salvezza; io avrò fiducia, non avrò timore, perché mia forza e mio canto è il Signore; egli è stato la mia salvezza. R. Attingerete acqua con gioia alle sorgenti della salvezza. Rendete grazie al Signore e invocate il suo nome, proclamate fra i popoli le sue opere, fate ricordare che il suo nome è sublime. R. Cantate inni al Signore, perché ha fatto cose eccelse, le conosca tutta la terra. Canta ed esulta, tu che abiti in Sion, perché grande in mezzo a te è il Santo d'Israele. R. SECONDA LETTURA Che il Cristo abiti per mezzo della fede nei vostri cuori Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni 3, 8-12. 14-19 Fratelli, a me, che sono l'ultimo fra tutti i santi, è stata concessa questa grazia: annunciare alle genti le impenetrabili ricchezze di Cristo e illuminare tutti sulla attuazione del mistero nascosto da secoli in Dio, creatore dell'universo, affinché, per mezzo della Chiesa, sia ora manifestata ai Principati e alle Potenze dei cieli la multiforme sapienza di Dio, secondo il progetto eterno che egli ha attuato in Cristo Gesù nostro Signore, nel quale abbiamo la libertà di accedere a Dio in piena fiducia mediante la fede in lui. Per questo io piego le ginocchia davanti al Padre, dal quale ha origine ogni discendenza in cielo e sulla terra, perché vi conceda, secondo la ricchezza della sua gloria, di essere potentemente rafforzati nell'uomo interiore mediante il suo Spirito. Che il Cristo abiti per mezzo della fede nei vostri cuori, e così, radicati e fondati nella carità, siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l'ampiezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità, e di conoscere l'amore di Cristo che supera ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio. Parola di Dio CANTO AL VANGELO Alleluia, Alleluia. Prendete il mio giogo sopra di voi, dice il Signore, e imparate da me, che sono mite e umile di cuore. Alleluia. VANGELO   Non c'è altro comandamento più grande di questi. + Dal Vangelo secondo Giovanni 19, 31-37 Era il giorno della Parascève e i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato, era infatti un giorno solenne quel sabato, chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe all'uno e all'altro che erano stati crocifissi insieme con lui. Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua. Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate. Questo infatti avvenne perché si compisse la Scrittura: «Non gli sarà spezzato alcun osso». E un altro passo della Scrittura dice ancora: «Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto». Parola del Signore. OMELIA Il profeta Osea medita sull’amore folle di Dio, sulla fedeltà alla sposa Israele, sul suo continuo ricercarla, perdonarla, riprenderla con sé come se nulla fosse accaduto. Il Signore si comporta non come un Dio che comanda, ma come uno che ama, con vincoli non d’autorità, ma d’amore. Anche noi dovremmo rinunciare a relazioni impositive, nelle quali pensiamo di avere diritto a fedeltà totale solo perché offriamo tutto noi stessi; e accettare che anche il nostro non è un amore sempre e subito perfetto e fedele, ma un amore che vive le debolezze dei conflitti, le difficoltà e le cadute che però possono costituire il punto di partenza per una nuova creazione. Amore gratuito, perdono, com-passione faranno dunque parte della nostra esperienza umana se noi stessi, per primi, avremo saputo comprendere l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità dell’amore di Cristo per ciascuno di noi. PREGHIERA SULLE OFFERTE Guarda, o Padre, all'immensa carità del Cuore del tuo Figlio, perché la nostra offerta sia a te gradita e ci ottenga il perdono di tutti i peccati. Per Cristo nostro Signore. ANTIFONA ALLA COMUNIONE Dice il Signore: «Chi ha sete, venga a me e beva chi crede in me; sgorgheranno da lui fiumi d'acqua viva» PREGHIERA DOPO LA COMUNIONE Questo sacramento del tuo amore, o Padre, ci attiri verso il Cristo tuo Figlio, perché animati dalla stessa carità, sappiamo riconoscerlo nei nostri fratelli. Per Cristo nostro Signore. MEDITAZIONE Dio, che "abita una luce inaccessibile", parla nello stesso tempo all'uomo col linguaggio di tutto il cosmo: "Infatti, dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l'intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità". Questa indiretta e imperfetta conoscenza, opera dell'intelletto che cerca Dio per mezzo delle creature attraverso il mondo visibile, non è ancora "visione del Padre". "Dio nessuno l'ha mai visto", scrive san Giovanni per dar maggior rilievo alla verità, secondo cui "proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato". Questa "rivelazione" manifesta Dio nell'insondabile mistero del suo essere - uno e trino - circondato di "luce inaccessibile". Mediante questa "rivelazione" di Cristo, tuttavia, conosciamo Dio innanzitutto nel suo rapporto di amore verso l'uomo: nella sua "filantropia". È proprio qui che "le sue perfezioni invisibili" diventano in modo particolare "visibili", incomparabilmente più visibili che attraverso tutte le altre "opere da lui compiute": esse diventano visibili in Cristo e per mezzo di Cristo, per il tramite delle sue azioni e parole e, infine, mediante la sua morte in croce e la sua risurrezione. In tal modo, in Cristo e mediante Cristo, diventa anche particolarmente visibile Dio nella sua misericordia, cioè si mette in risalto quell'attributo della divinità, che già l'Antico Testamento, valendosi di diversi concetti e termini, ha definito "misericordia". Cristo conferisce a tutta la tradizione veterotestamentaria della misericordia divina un significato definitivo. Non soltanto parla di essa e la spiega con l'uso di similitudini e di parabole, ma soprattutto egli stesso la incarna e la personifica. Egli stesso è, in un certo senso, la misericordia. Per chi la vede in lui - e in lui la trova - Dio diventa particolarmente "visibile" quale Padre "ricco di misericordia". GIOVANNI PAOLO II, Dives in misericordia,
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pier-carlo-universe · 10 days ago
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"Nel nome della poesia: omaggio a Giovanni Pascoli". Recensione di Alessandria today
Una poesia, la celebrazione e un'analisi per celebrare il poeta delle piccole cose.
Una poesia, la celebrazione e un’analisi per celebrare il poeta delle piccole cose. Poesia “Foglia d’autunno” Danza nel vento, foglia d’autunno,strappata dal ramo che t’amava.Non piange il tronco,ma il suo silenzioè un canto sommessoche abbraccia l’aria. S’acquieta la terrasotto il tuo abbraccio fragile,mentre il sole,stanco di vita,ti saluta con un bacio dorato. Biografia di Giovanni…
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senzasterischi · 6 years ago
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Canzoni che mi fanno pensare a cose (#1)
E i temi sociali, e gli exempla, e le recensioni delle tragedie di Siracusa, ed è finita l’estate, e ci siamo rotti tutti un po’ le palle di leggere cose serie, quindi oggi vi propino la manifestazione estrema di una delle mie principali ossessioni. La fissa in questione è: le canzoni mi fanno pensare alle cose. Quando si tratta di cose personali, queste cose restano naturalmente personali; ma siccome spesso mi fanno pensare anche a cose che poi sono argomenti di studio, ve ne rifilo un po’. Per divertimento puro, stavolta.
Ho come la sensazione che questo post sarà il primo di una lunga serie.
Per cominciare mi butto solo su “canzoni che mi fanno pensare ad autori e opere della letteratura italiana”. Così, per cominciare con qualcosa di universalmente noto. Vi faccio la lista e vi spiego come mi sia venuto in mente ogni collegamento. Tanto mi prenderete per pazza comunque, ma fa nulla.
Ovviamente nessuno dei cantanti o delle band pensava davvero a quegli autori, ma lasciatemi divertire.
1.      STRESSED OUT dei Twenty One Pilots e Giovanni Pascoli
Boh, questo è un po’ il mio abbinamento preferito, e volevo cominciare con qualcosa di bello. Una canzone che comincia con “I wish I found some better sounds no one’s ever heard“, che ci porta subito nel clima di sperimentalismo metrico e di fonosimbolismo. Senza contare il bellissimo gioco di parole alla fine della prima strofa: il verso “I wish I didn’t have to rhyme every time I sang“, in effetti, non rima con nulla.
“I was told when I got older all my fears would shrink” – ecco che, dopo aver finito con le considerazioni formali, siamo nel fulcro della tematica più ovvia, cioè l’infanzia. Che poi esplode nel ritornello: “Wish we could turn back time to the good ol’ days when our momma sang us to sleep, but now we’re stressed out“. Devo sottolineare davvero il ruolo del rimpianto per la famiglia e l’infanzia perduta nella poesia di Pascoli?
“Mi sembrano canti di culla,
che fanno che torni com’era…
sentivo mia madre… poi nulla…
sul far della sera.“
Nella seconda strofa di Stressed out appare un fratello, che è un po’ la Mariù della situazione, cioè l’ultimo legame forte. Il cantante viene riportato al passato da un odore che vorrebbe trasformare in una candela da vendere esclusivamente il fratello, “‘cause we have the same nose, same clothes“.
E il punto è che la fissa per le fonti di luce non è solo dei Twenty One Pilots:
“Io sono una lampada ch’arda
soave!“
La lampada pascoliana è la poesia – e non escludo che la candela della canzone sia la canzone stessa, o la musica… Insomma a queste fantasticherie segue, nella canzone, il ricordo di qualche attività svolta col fratello da ragazzini, tipo costruire case sull’albero o buttare sassi nei ruscelli. Tra l’altro “out of student loans and tree-house homes we all would take the latter” è un primo riferimento ai problemi economici, che furono in effetti una costante nella vita di Pascoli. Poi lo stesso tema è riproposto nel finale della canzone: “«Wake up, you need to make money» – yo“. Non so se dica più yeah o più yo, ma a me piace yo.
2.      CRYIN’ degli Aerosmith e la donna gentile (VITA NOVA)
Ok, per chi non conoscesse l’episodio, in due parole: Beatrice è defunta da relativamente poco; Dante se ne va in giro estremamente triste e si chiede “Chissà se qualcuno si accorge della mia tristezza?” Alza lo sguardo e vede una giovane donna che lo guarda dalla finestra con compassione, e lui allora comincia a piangere. Poi, dopo un po’ di incontri, di lacrime e di pallori vari, Dante capisce di starsi innamorando della nuova venuta, ma al tempo stesso si sente uno schifo, data la situazione. Segue una visione gloriosa di Beatrice che gli fa dimenticare la nuova fiamma. Poi nel Convivio ci ripensa e dice che non c’era nessuna donna ma era la filosofia che lo consolava. (Avreste voluto un racconto scritto bene? Allora avreste dovuto leggere le opere di Dante, non questo blog. Forza che siete ancora in tempo per chiudere il browser).
Insomma, c’è tutto. Dante ridotto una pezza all’inizio: “There was a time when I was so broken-hearted, Love wasn’t much of a friend of mine“, con una bella personificazione di Amore che fa tanto Stilnovo. Ma siamo pronti a una svolta (“tables have turned“) e a un amore che era diventato terribile sofferenza se ne è sostituito uno a cui è molto difficile resistere.
“Ei [il cor] le risponde: «Oi anima pensosa,
questi è uno spiritel novo d’Amore,
che reca innanzi me li suoi disiri;
e la sua vita, e tutto ‘l suo valore,
mosse degli occhi di quella pietosa
che si turbava de’ nostri martiri.“
“I was cryin’ when I met you, now I’m tryin’ to forget you” potrebbe essere il motto dell’intero episodio. “Love is sweet misery” potrebbe essere il motto di molte altre cose. La canzone prosegue fra dichiarazioni d’amore assortite (e un po’ troppo passionali per Dante, o almeno per questo Dante).
Gli ultimi versi che voglio sottolineare sono “Now the word out on the street is the devil’s in your kiss, if our love goes up in flames it’s a fire I can’t resist“. Inferno, condanna dell’affidarsi alla filosofia, condanna dello stinovismo giovanile, Paolo e Francesca, la fiamma di Ulisse, Dante-autore e Dante-personaggio… trippatevi pure voi stessi.
3.      Alibi dei Thirty Seconds to Mars e la GERUSALEMME LIBERATA
Ci sta benissimo sin dal titolo, visto che per la gran parte del tempo i protagonisti della Liberata sono, beh, dovunque, tranne che dove dovrebbero. “Took our chance, crashed and burned: no, we’ll never, ever learn“, sempre nel peccato, sempre distratti da qualcosa, sempre in tentazione.
È una canzone che parla di cadute e di errori – come, guarda un po’, la Liberata. Cadute e risalite, in effetti. Una canzone del genere la deve inquadrare in una situazione dicotomica (bene-male). “I fell apart – but got back up again and then I fell apart, but got back up again“. Ognuno va a cercare quello che vuole, che sia l’onore o l’amore o qualunque cosa, e poi si rende conto dei propri errori, e poi ci ricade. Ma il finale deve essere una risalita definitiva (“We both could see, crystal clear, that the inevitable end was near“) e ciascuno dei personaggi principali deve scegliere, definitivamente, la causa cristiana (“made our choice, a trial by fire, to battle is the only way we feel alive“).
E poi c’è una delle frasi più tassesche di questo mondo, che contraddice e completa tutto un quadro che si è delineato, nei secoli, in poemi su poemi: “If I could end the quest for fire, for truth, for love, for my desire“. Eh già. Goffredo è d’accordo, poveraccio, mentre va in giro a recuperare guerrieri vaganti. Si deve risalire.
Senza contare il fatto che anche moltissime altre canzoni dello stesso album, per esempio This is war e Closer to the edge, restituiscono benissimo l’atmosfera della prima crociata come-la-vede-e-descrive-un-poeta-del-Cinquecento. (Osservazione tra parentesi: una di queste canzoni, Hurricane, mi fa pensare a Silence di Martin Scorsese. Forse questo film e Tasso hanno alcune cose in comune, tipo la Controriforma).
4.      APPLAUSI PER FIBRA di Fabri Fibra e Vittorio Alfieri (VITA in particolare)
Ok, non è la prima volta che parlo qui di Alfieri. E neanche della Vita. E neanche della Vita in relazione a Fibra
(è già capitato in quest’articolo). Quindi mi toglierò questo sassolino-ossessione definitivamente, proclamando la mia idea in termini chiari: Fibra è un lontano discendente di Alfieri. Molto lontano, ma pur sempre un (inconsapevole) discendente. Fidatevi di me.
Ora, una delle prime prove di questa parentela segreta è il loro comune egocentrismo. Perché, sì, Alfieri sarebbe stato capacissimo di scrivere una tragedia, una poesia, un’opera di qualunque tipo e intitolarla Applausi per Alfieri, acclamato da lui medesimo.
Flashback: zoom sul piccolo Vittorio, anni sette, innamorato perso di un po’ di fraticelli come ho già raccontato. Preso da questa forte passione (vedete? già da piccolo le sue passioni sono forti), come racconta lui stesso, corre nel giardino e mangia fili d’erba fino a ingozzarsi, nella speranza che in mezzo al prato di casa sua cresca della cicuta. Sì, sempre a sette anni. Dopodiché vomita.
Sostituisci l’erba del prato con qualcosa di, beh, peggiore, e ottieni “Io mangiavo lucertole aperte da ragazzino, tornavo a casa e vomitavo in mezzo al giardino“. “Non ho mai smesso un giorno di fantasticare” si spiega da sé, “non ho mai fatto grandi successi in generale” sembrerebbe una negazione del solito orgoglio, se non fosse che Alfieri evitava i “grandi successi” di proposito perché il popolo fa schifo e la borghesia è sesquiplèbe.
Un po’ di (auto)emarginazione, un riferimento alla morte prematura del padre, qualche altro accenno alla situazione familiare un po’ disastrata e giù applausi.
Altra sequenza: il piccolo Vittorio che viene punito per ragioni varie, incluso il suddetto vomito, (“Ho perso la testa troppe volte, da ragazzino“). Rinchiuso in qualche ripostiglio, umiliato con qualche indumento ridicolo da indossare in pubblico, diventa una persona francamente poco amichevole (“Ho ancora qualche problema a socializzare ma tutto sommato non diresti che sto andando male“).
Dopodiché la canzone deraglia, e non c’entra più molto. Peccato. Altri applausi, altre cose che non c’entrano, altre applausi. Sarebbe potuta essere una delle canzoni più azzeccate, se non fosse stato per il finale.
5.      Captain Jack di Billy Joel e Giacomo Leopardi (almeno quello giovanile)
Sì, sto chiudendo associando a Leopardi una canzone che parla palesemente di droga. Fa nulla. Tanto già si sente l’aria recanatese nella prime parole (“Saturday night“) se le si unisce con il “village” della seconda strofa. Lo so – non vi ho convinti, ma vi convincerò.
Il giovane della canzone se ne va in giro di sabato sera (poco leopardiano, lo ammetto), “tired of living in your one-horse town“. La fuga dal provincialismo, disgusto da paesello, sconforto – c’è tutto. ” You’d like to find a little hole in the ground for a while“.
Ed ecco la prima apparizione di questo Captain Jack, pronto a salvare il protagonista, a portarlo “to your special island“, a farlo evadere. Per Billy Joel è droga; per Leopardi magari l’unica fuga dalla noia di quel postaccio era lo studio, o magari il carteggio con Giordani.
La sorella ha un appuntamento (Paolina!) e il protagonista della canzone resta a casa a farsi le seghe (eviterò facili ironie) ed aspettare qualcosa che non avverrà. Succedono un po’ di cose poco leopardiane, o interpretabili in senso leopardiano con molto molto sforzo, e io sono stanca. Dopo un tentativo di fuga (“ah, there ain’t no place to go anyway, what for?” – vedo pure la delusione della visita effettiva a Roma, quando questa avvenne), la canzone butta giù qualche spunto filosofico non lontano dalle idee di Leopardi. “So you got everything, ah, but nothing’s cool” e “but still you’re aching for the things you haven’t got, what went wrong?” ricordano molto l’idea della differenza fra quello che si può ottenere, che è comunque limitato, e il desiderio umano, che è illimitato.
“And you can’t understand why your world is so dead […] well, you’re twenty-one and still your mother makes your bed, and that’s too long.“
Tanto bello quanto triste. Wo, ma a me che frega? Tanto entro martedì avrò mollato la mia vita provinciale. Vado a farmi deludere pure io!
    Bonus: In a heartbeat e Guido Cavalcanti
Bonus e non in lista naturalmente perché non è una canzone, ma un corto (anche se ha una gran soundtrack). Questa non ve la spiego. Guardatelo e basta. Guardate quel cuoricino bellissimo e sentite l’averroismo che vi si radica (ah! ah!) nell’anima.
Arrivederci. È stato più stancante del previsto, vi assicuro. Però ne seguiranno in futuro. Ho un intero arsenale di roba malcollegata.
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donato33 · 7 years ago
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IL GRANELLINO🌱 (Lc 10,13-16) Guai a te Vescovo se ti compiaci di essere Vescovo, ma non hai cura del gregge che il Signore ti ha affidato. Guai a te sacerdote se bevi il latte che le pecore ti danno e non ti curi di portarle ai pascoli erbosi della Parola di Dio e alle acque tranquille dell'Unione con il Signore. Guai a te catechista che insegni le cose di Dio, ma non le vivi nella vita quotidiana. Guai a te cristiano che sei andato a Lourdes, Fatima, Gerusalemme, Medjugorje e a tanti altri santuari e non ti sei convertito seriamente. Guai a te che vai a celebrare l' Eucarestia ogni mattina e non vuoi rinunciare al peccato della lussuria. Guai a te professore di teologia che ami più la tua cultura biblica che Gesù Cristo, nostro Salvatore. Guai a te politico cristiano che, per avere voti, ti metti in prima fila al gay pride. Guai a te onorevole cristiano che, per non perdere la tua poltrona al Parlamento hai votato per le unioni civili. Chi più conosce e ha più visto le meravigliose opere di Dio nella vita è più responsabile davanti a Dio. Conoscere è un privilegio, ma è anche una grande responsabilità. Il mondo occidentale vive una grande crisi di fede. Questa crisi di fede ha prodotto stili di vita che sono diametralmente opposti ai pensieri e alle vie di Dio. Se non si converte, il mondo occidentale conoscerà ( o sta già conoscendo?) le dieci piaghe dell'Egitto. Non possiamo chiudere gli occhi e il cuore ai tanti santi profeti che sono vissuti in mezzo a noi, profeti che noi abbiamo disprezzato e non accolti come visite del Signore. Uno dei più grandi profeti che il Signore ci ha mandato negli ultimi decenni è stato Giovanni Paolo ll. È stato acclamato da folle immense, ma solo pochi lo hanno seguito. Oggi il Signore ci sta mandando la Regina della pace a farci ascoltare la sua Parola. Medugorje sta diventando una grande scuola di profeti. Che questi profeti di Dio vengano accolti nelle nostre comunità parrocchiali affinché esse diventino scuola di conversione per tanti cristiani che si sono allontanati da Dio! Guai a quei pastori che invece di attirano gli uomini a Dio, li allontanano con il loro cattivo esempio. Amen. Alleluja. (P. Lorenzo Montecalvo dei Padri Vocazionisti)
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colospaola · 7 years ago
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Macugnaga, perla del Verbano Cusio Ossola, ai piedi del massiccio del Monte Rosa, è un luogo dove la montagna regala uno dei suoi spettacoli più maestosi. E’ anche un posto carico di fascino storico che si perde nelle notte dei tempi. Da queste parti passarono e vissero i Celti, i Leponzi che per primi sfruttarono le miniere d’oro e dal 1200 in avanti i pastori Walser provenienti dalla valle del Goms nel Vallese svizzero, alla ricerca di nuovi pascoli. Poi, per il passo del Turlo sul versante opposto della valle, si spinsero sino ad Alagna Valsesia, colonizzando, di fatto, tutta l’area italiana del Monte Rosa.
In tempi più recenti, il passo di Monte Moro è stato luogo di transito per gli “spalloni”, forma di contrabbandieri che percorrevano questi sentieri, spesso di notte per sdoganare illegalmente tabacchi e altre merci dalla Svizzera all’Italia e viceversa. Macugnaga è sempre stata un luogo di transito della montagna, un vero e proprio spartiacque.
Al passo di Monte Moro, 51 anni fa è stata posta la Madonna delle Nevi, opera dello scultore Giuseppe Banda. 
Ma chi era Giuseppe Banda e com’è nata la Madonna delle Nevi?
Giuseppe Banda nacque a Samarate in provincia di Varese il 5 febbraio 1914 e nel 1939 si diplomò Maestro d’arte in scultura all’Istituto Superiore d’Arte di Monza – Villa Reale, dove condusse gli studi sotto la guida dei maestri Marino Marini, Pio Semeghini, Raffaele De Grada e dell’architetto Giuseppe Pagano.
Durante la seconda guerra mondiale, Banda venne fatto prigioniero dalle truppe francesi nel 1943 e deportato in Africa Equatoriale nel campo di Berberati, dove lavorò a un Cristo in terra termitiera per la cappella del campo.
Grazie al suo talento artistico, gli fu affidato l’incarico di dirigere una scuola di scultura in ebano e avorio e due anni dopo venne incaricato di affrescare l’abside e il presbiterio della Cattedrale di Sant’Anna a Berberati nell’attuale Repubblica Centrafricana.
Dopo il rimpatrio nel 1946, Banda ricominciò l’attività artistica in Italia con il monumento ai Caduti Partigiani nel cimitero di Samarate, continuando per mezzo secolo a dare vita a opere di diverso genere che riscuotono l’attenzione della critica italiana e internazionale.
Numerose opere sono conservate in collezioni private, mentre varie sculture monumentali si trovano nei cimiteri della provincia di Varese e nel cimitero Maggiore di Milano.
Banda lavorò nello studio di via Dante a Samarate fino alla morte, avvenuta il 2 gennaio 1994.
La “Madonna delle Nevi”, dall’aspetto di una giovane donna esile, si trova sulla roccia al passo del Monte Moro–Macugnaga, a quota 2950 m, a poca distanza dal confine svizzero. Un punto spettacolare che permette la vista a 360° di quattro vette tra le più alte d’Europa. Volgendo lo sguardo più in basso, si vede la valle che degrada verso Saas Fee con il lago di Mattmark.
La “Madonna delle Nevi” venne inaugurata il 5 agosto 1966, alla presenza delle maggiori autorità civili ed ecclesiastiche del territorio, con la benedizione dall’allora vescovo di Novara mons. Vittorio Piola e dall’allora parroco di Macugnaga don Sisto Bighiani.
La statua era stata commissionata dai dirigenti delle Funivie San Maurizio, un gruppo d’industriali di Gallarate e Busto Arsizio che, amanti della montagna, vollero incrementare il turismo e l’attività sciistica e alpinistica di Macugnaga con qualcosa che brillasse nel cielo e che fosse visibile anche in lontananza, sia dall’Italia sia dalla Svizzera, e che resistesse al forte vento.
Nacque cosi il progetto di una donna longilinea, alta quasi cinque metri, con sul capo una corona che ricorda la Sperada o Raggiera, un’acconciatura femminile in uso in Lombardia e nella Svizzera Italiana sin dal 1600, sulle cui braccia poggiano due drappi staccati dal corpo in modo tale che il vento la accarezzi dolcemente.
Nell’inverno del 1965 il progetto era finito e, nel suo studio di Samarate, Banda diede il via ai lavori.
Grazie a un ponteggio a più piani, nello studio venne costruita un’armatura, formata da fili di ferro intrecciati di dimensioni diverse, dove poco alla volta la massa informe di creta cominciò a prendere forma.
Finita la modellazione in creta, la “Madonna” fu ricoperta di gesso, tagliata a pezzi e inviata per essere fusa in bronzo alla Fonderia Artistica Perego in viale Jenner a Milano.
Le singole porzioni della statua arrivate a Macugnaga dovevano essere trasportate in cima alla montagna, ma non si sapeva come fare. E fu una vera impresa.
Scartato l’elicottero, i pezzi furono trasportati con la funivia dai 1327 di Macugnaga all’attuale rifugio “Lago Smeraldo” posto a quota 2868 e quindi sulle spalle di un piccolo gruppo di volontari fino alla vetta del Monte Moro a quasi tremila metri d’altezza.
Una volta in cima, operai specializzati saldarono le varie parti e la statua prese forma, mentre il basamento di 5 m di altezza fu realizzato con pietre spaccate in loco.
Alla fine degli anni Novanta la scultura aveva perso la sua brillantezza, per cui si decise di fare un nuovo intervento, grazie al sostegno dei dirigenti della rinnovata “Società Funivia Monte Rosa”, tra cui don Giovanni Zibetti, conoscitore e frequentatore di Macugnaga da anni.
Nel giugno del 1997 la statua fu incastellata e la Fonderia Cubro di Novate Milanese procedette alla doratura con foglioline d’oro, poi il 5 agosto 1997 il cardinale di Milano Carlo Maria Martini benedisse la statua dorata.
Ogni anno, la prima domenica di agosto, al Passo Moro si celebra una messa che ricorda la posa della statua della Madonna delle Nevi. Arrivano centinaia di persone, molti con gli abiti dei walser, altri, specialmente le donne con abiti tipici delle vallate dell’Ossola e di quelle circostanti. Alcuni salgono anche a piedi, in un percorso trekking di circa 4 ore, con partenza dalla frazione Staffa di Macugnaga.
Macugnaga: cinquantun’anni con la Madonna delle Nevi Macugnaga, perla del Verbano Cusio Ossola, ai piedi del massiccio del Monte Rosa, è un luogo dove la montagna regala uno dei suoi spettacoli più maestosi.
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biblioncollection · 5 years ago
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Myricae | Giovanni Pascoli | Poetry, Single author | Audiobook full unabridged | Italian | 1/2 Content of the video and Sections beginning time (clickable) - Chapters of the audiobook: please see First comments under this video. Myricae, è la raccolta di poesie più amata dal Pascoli. [...] Nel 1903, la raccolta definitiva comprendeva 156 liriche del poeta. I componimenti in esso raccolti sono dedicati al ciclo delle stagioni, al lavoro dei campi e alla vita contadina. Il titolo indica la modestia e la semplicità della poetica. Le myricae, le umili tamerici, diventano un simbolo delle tematiche del Pascoli ed evocano riflessioni profonde. La descrizione realistica cela un significato più ampio così che, dal mondo contadino si arriva poi ad un significato universale. La rappresentazione della vita nei campi e della condizione contadina è solo all'apparenza il messaggio che il poeta vuole trasmettere con le sue opere. [...] Il significato delle Myricae, va quindi oltre l'apparenza. (Summary from Wikipedia) This is a Librivox recording. If you want to volunteer please visit https://librivox.org/ by Priceless Audiobooks
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pier-carlo-universe · 2 months ago
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Novembre di Giovanni Pascoli: La malinconia autunnale nella poesia italiana. Recensione di Alessandria today
Un viaggio nella poesia di Giovanni Pascoli, tra simbolismo e riflessione sulla natura e sulla caducità della vita
Un viaggio nella poesia di Giovanni Pascoli, tra simbolismo e riflessione sulla natura e sulla caducità della vita. La poesia “Novembre” di Giovanni Pascoli rappresenta uno dei componimenti più emblematici dell’autunno italiano, rievocando immagini di malinconia e riflessione sul tempo che passa. Pascoli, maestro della poesia simbolista italiana, si immerge nella descrizione di un paesaggio…
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