#Cesare Bermani
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magauda · 6 months ago
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Pur senza interrompersi, il lavoro degli oralisti italiani non poté che essere pesantemente influenzato dal clima di ostilità
I difficili anni SettantaL’irrompere del terrorismo rosso ebbe, sul mondo dei cultori dell’oralità, gli effetti di una gelata primaverile. Furono numerosi gli intellettuali e gli accademici, che mai avevano avuto troppa simpatia per il rinnovamento culturale patrocinato dai fautori dell’oralità, che approfittarono degli anni di piombo per scagliarsi contro gli storici «scalzi». In molti,…
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condamina · 6 months ago
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Pur senza interrompersi, il lavoro degli oralisti italiani non poté che essere pesantemente influenzato dal clima di ostilità
I difficili anni SettantaL’irrompere del terrorismo rosso ebbe, sul mondo dei cultori dell’oralità, gli effetti di una gelata primaverile. Furono numerosi gli intellettuali e gli accademici, che mai avevano avuto troppa simpatia per il rinnovamento culturale patrocinato dai fautori dell’oralità, che approfittarono degli anni di piombo per scagliarsi contro gli storici «scalzi». In molti,…
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collasgarba · 6 months ago
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Pur senza interrompersi, il lavoro degli oralisti italiani non poté che essere pesantemente influenzato dal clima di ostilità
I difficili anni SettantaL’irrompere del terrorismo rosso ebbe, sul mondo dei cultori dell’oralità, gli effetti di una gelata primaverile. Furono numerosi gli intellettuali e gli accademici, che mai avevano avuto troppa simpatia per il rinnovamento culturale patrocinato dai fautori dell’oralità, che approfittarono degli anni di piombo per scagliarsi contro gli storici «scalzi». In molti,…
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adrianomaini · 6 months ago
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Pur senza interrompersi, il lavoro degli oralisti italiani non poté che essere pesantemente influenzato dal clima di ostilità
I difficili anni SettantaL’irrompere del terrorismo rosso ebbe, sul mondo dei cultori dell’oralità, gli effetti di una gelata primaverile. Furono numerosi gli intellettuali e gli accademici, che mai avevano avuto troppa simpatia per il rinnovamento culturale patrocinato dai fautori dell’oralità, che approfittarono degli anni di piombo per scagliarsi contro gli storici «scalzi». In molti,…
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bagnabraghe · 6 months ago
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Pur senza interrompersi, il lavoro degli oralisti italiani non poté che essere pesantemente influenzato dal clima di ostilità
I difficili anni SettantaL’irrompere del terrorismo rosso ebbe, sul mondo dei cultori dell’oralità, gli effetti di una gelata primaverile. Furono numerosi gli intellettuali e gli accademici, che mai avevano avuto troppa simpatia per il rinnovamento culturale patrocinato dai fautori dell’oralità, che approfittarono degli anni di piombo per scagliarsi contro gli storici «scalzi». In molti,…
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ferrolano-blog · 1 year ago
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Meloni reúne a conservadores y ultraderechistas europeos... La invasión rusa de Ucrania ha acelerado enormemente este proceso y ha convertido al grupo de Meloni a escala de la UE ("Conservadores y Reformistas Europeos") en un interlocutor mucho más legítimo para el grupo democristiano (Partido Popular Europeo)... en una política de identidad posmoderna, un nuevo producto que está uniendo diferentes tradiciones de la derecha en nombre del "conservadurismo"
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mayolfederico · 5 years ago
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sei maggio
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Mario Dondero, “Photo de classe” : gli scrittori del nouveau roman. Da sinistra: Alain Robbe-Grillet, Claude Simon, Claude Mauriac, Jérôme Lindon (editore), Robert Pinget, Samuel Beckett, Nathalie Sarraute, Claude Ollier, Parigi 1959
  E ancora una volta, stanco di riflettermi nei volti umani come in altrettanti specchi di indicibile follia, alzo lo sguardo oltre gli alberi e le case fin…
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raffaeleitlodeo · 3 years ago
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"Siccome io avevo una mira buona, non avevo il mitra per il combattimento ravvicinato ma il fucile di precisione per sparare a distanza. Io penso che il mio fucile sia stato consegnato quattro o cinque volte. Io l'ho consegnato, ma poi a Grignasco questo faceva dei giri. E io ho tenuto la Beretta, la calibro 9. Era un atteggiamento diffusissimo tenere l'arma, tollerato dai comandi, anche se mai esplicitamente incoraggiato, perché eravamo tutti convinti fino a pochi giorni prima della smobilitazione di essere deputati a formare i primi reparti dell'esercito del popolo. Quella era la convinzione. Poi ci han dato 7.000 lire e un sacco di riso e ci hanno mandato a casa. Cosa ho pensato allora? Beh, prima di tutto, ti devo confessare: «Torno a casa». Arrivato a casa ancora in divisa e con la mia pistola, ho trovato Carlo Lombardi e gli altri compagni di Mortara, i fermenti politici di allora e ho iniziato la mia militanza politica nel Partito comunista. In quegli anni sono stato segretario di sezione e consigliere comunale. E sono rimasto nel Pci sino al '56. Comunque la mia generazione è passata da una delusione all'altra. Nasco con il fez in testa, il verbo era quello, non si conosceva altro e ci credevi, perché ti avevano condizionato al punto da crederci. Maturi e capisci che è una stortura, che è una dittatura e passi dall'altra parte. Fai la Resistenza, speri che quella sia la rivoluzione che cambi tutto e ti danno 7.000 lire, un sacco di riso e ti mandano a casa. E incominciano subito a demolirti la tua storia e a demolirti psicologicamente. Arriva la contestazione del '68, pensi: «Vuoi vedere che riprende?». Ed è un'altra delusione. E ciononostante sei qui che aspetti ancora...".
Giancarlo Zuccotti, partigiano nella Brigata Osella. (Testimonianza raccolta da Cesare Bermani).
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osmarjun · 3 years ago
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‘Bella Ciao’, a história por trás do hino da liberdade e da resistência na comemoração da libertação do fascismo. A canção se transformou num símbolo, cujo verdadeiro significado é muitas vezes desconhecido Por: Alessandro Leone Cupello (Itália) - 25 abr 2020 - 14:48 BRT Bella Ciao (traduzida popularmente em português como Querida, Adeus) é uma canção anônima, e não existe nenhum dado que esclareça definitivamente sua procedência. Há apenas semelhanças textuais e musicais com antigas composições. Ela é o resultado de uma longa jornada, que foi definindo este hino à liberdade até a versão conhecida por todos e entoada em cerca de 40 idiomas. Na Itália, seus acordes não ecoam apenas nas manifestações das “sardinhas”, o grupo heterogêneo que até há poucos meses protestava nas praças do país inteiro sobretudo contra a retórica de Matteo Salvini; também marcam presença cada 25 de abril, o dia em que se comemora a libertação do fascismo em 1945. “É um hino dos Partisans [membros da resistência]”, afirma com segurança Carlo Ghezzi, da Associação Nacional dos Partisans da Itália (ANPI). A resistência era formada pelas diversas correntes do antifascismo: havia democratas-cristãos, comunistas, socialistas, monarquistas e republicanos, entre outros. Um conglomerado de ideias diferentes que superaram suas discrepâncias ante a necessidade de combater “o invasor”. “O comandante da resistência era Raffaele Cadorna, um monarquista, e seu vice-comandante Luigi Longo, comunista. O antifascismo representou a página mais importante deste país, e Bella Ciao dá voz a tudo isso”, diz Ghezzi. Por esse motivo, Bella Ciao acabou se tornando a música da resistência, a canção que celebra a heterogeneidade reunida que levou a Itália à libertação. De fato, em sua letra não há nenhuma referência ideológica, ao contrário de Fischia Il Vento (Sopra o vento), cantada sobretudo por partisans garibaldinos e comunistas. A melodia, que hoje é muitas vezes considerada uma canção de esquerda no país, foi entoada em diversas ocasiões públicas por políticos da Democracia Cristã (DC), como Benigno Zaccagnini e Franco Marini. Além disso, durante os protestos de 1968 os manifestantes não a cantavam, como explica Carlo Pestelli, autor do livro Bella Ciao: La canzone Della Libertà (Bella Ciao: a canção da liberdade): “Eles consideravam que era uma canção para os que não queriam manchar as mãos.” Em seu lugar, preferiam outros hinos reivindicatórios como Per i morti di Reggio Emilia (Para os mortos de Reggio Emilia), de Fausto Amodei, nascido durante os protestos contra o Governo formado pela DC em 1960 com os votos da extrema-direita, ou Contessa (Condessa), de Paolo Pietrangeli, dedicada a Paolo Rossi, estudante assassinado em 1966 após um confronto com um grupo de jovens extremistas. Pestelli acredita que existiu um módulo musical sobre o qual elaborou-se o texto de Bella Ciao. Os ancestrais mais reconhecíveis são duas canções populares do norte da Itália do século XIX: Fior di tomba (Flor de tumba) e La bevanda sonnifera (A bebida sonífera). Da segunda, entre outros aspectos, procede a reiteração do “ciao”; mas a primeira, herdeira de Complainte de la Dame a la Tour et du Prisonnier, uma canção francesa de 1536, nas versões de Novara (Piamonte) e Venecia (Vêneto), começa e termina exatamente como Bella Ciao. Em ambas as composições, o tema central é o amor. Segundo alguns relatos reunidos por Cesare Bermani, especialista em música popular italiana, uma das primeiras versões reivindicatórias de Bella Ciao remonta à Primeira Guerra Mundial. Era uma espécie de protesto contra o sistema militar após o fracasso da batalha de Caporetto, concluída com uma vitória dos exércitos austro-húngaro e alemão em 1917. De fato, a palavra “invasor” é substituída por “desertor”. Mas as duas variantes mais importantes se difundiram no período do segundo conflito mundial. Uma delas, embora a letra tenha aparecido apenas em 1951, é narrada pela voz das mondine (arrozeiras), as mulheres que trabalhavam de forma temporária nas colheitas de arroz. É provável que a outra, ou seja, a partisan, fosse curiosamente entoada em três regiões italianas distantes entre si: Montefiorino (Emilia-Romanha), onde um médico conhecido como Fiore poderia ter escrito a letra original; Abruzos, onde a Brigada Maiella poderia ter entoado também a versão mondina graças à volta das mulheres locais que haviam colhido arroz no norte; e Alba (Piemonte), segundo uma pessoa que disse a Pestelli que a cantou em 1944, quando tinha 11 anos. As três localidades viveram uma situação de estancamento e isolamento do combate. Isso explicaria, segundo a teoria de Pestelli, o fato de que fosse interpretada uma canção que transmitia alegria e que para as crianças de Alba servia como contraposição ao mundo adulto. Essas duas almas se encontraram finalmente no Festival dei Due Mondi (Festival dos Dois Mundos), de Espoleto (Úmbria) em 1964, onde a ex-arrozeira Giovanna Daffini apresentou a letra feminina (“Esta manhã, eu acordei/Ao arrozal devo ir [...] E entre os insetos e os mosquitos um trabalho duro devemos fazer”), seguida pelo partisan. O espetáculo, que levava o nome de Bela Ciao, foi repetido 10 vezes entre 21 e 29 de junho e marcou o ponto de partida para o renascimento da canção popular. O sucesso foi tão grande que também houve tentativas de se apropriar da sua autoria, como no caso de um militar, Rinaldo Salvatori, que dizia ter escrito Bella Ciao inspirado em outra composição, que dedicou a uma cantora francesa da qual se apaixonara. Mas ninguém pôde resolver o mistério que envolve este hino tão famoso. “Bella Ciao tem sido utilizada de diferentes formas porque é uma canção popular. É contra um invasor e a favor de algo que todos gostam, a liberdade”, afirma Pestelli. Todo ano é ouvida num contexto diferente, como nas manifestações após o atentado do Charlie Hebdo, em 2015, nos estádios sob a forma de cântico e em séries como La Casa de Papel. Além disso, vários artistas a interpretaram, como Manu Chao, Woody Allen e Tom Waits. É a consequência de um sucesso internacional que nunca terminou. E que provavelmente começou quando um grupo de jovens da região da Emilia-Romanha apresentou a canção no Festival da Juventude de 1947 em Praga, coroado depois com o disco de Yves Montand (pseudônimo de Ivo Livi) de 1963, um italiano de espírito francês que cantava Bella Ciao com o título de Chant des Partisans mudando a pronúncia original. Nas últimas duas décadas, Bella Ciao se tornou símbolo da esquerda comunista, sobretudo do ponto de vista da direita. Matteo Salvini, líder da Liga, e sua companheira de coalizão, Giorgia Meloni, do partido Irmãos da Itália, criticam com frequência sua representação. Por exemplo, quando alguns socialistas a entoaram no Parlamento da União Europeia. Meloni escreveu no Twitter que aquilo era “escandaloso” e “ridículo”, e falou de “União Soviética Europeia”. Sobre essa questão, para Ghezzi não há dúvida. “Está claro que a direita não gosta em absoluto dos valores do antifascismo, mas essas polêmicas começaram no dia seguinte à libertação. Nós não discutimos sobre isso desde 25 de abril de 1945”.  L’estaca Pestelli encontra muitas semelhanças entre Bella Ciao e L’estaca, o canto catalão antifranquista de Lluís Llach, composto em 1968. Foi utilizado pelo sindicato Solidariedade na Polônia e traduzido também ao occitano (língua falada no sul da França) pelo grupo musical Lou Dalfin, entre outros. “Bella Ciao e L’estaca compartilham uma certa alegria melódica e são canções populares. Além disso, ambas têm a ver com um elemento da natureza: por um lado, a flor; por outro, uma árvore. São símbolos de uma nova vida através da lembrança”, explica.  A Canção Traduzida para a Língua PortuguesaAssista: 
https://www.youtube.com/watch?v=TquP4K1whdU
Fonte: Artigo retirado do site jornalístico "El País"   https://brasil.elpais.com/cultura/2020-04-25/bella-ciao-a-historia-por-tras-do-hino-da-liberdade-e-da-resistencia.html?fbclid=IwAR1l9Wiqd1oqYQ47x89cqtN8YQcb1VwPza7aEuxozTV585YCdzrU2_mIz1o
-.-.-.-.-.-.-.-
Até o próximo post com a seuqência do um novo trabalho...
Forte Abraço!
Osmarjun
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sarahfelberbaumarchive · 4 years ago
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Ecco le donne del telefonino
Sexy e bellissime sono tante le testimonial delle compagnie telefoniche che prima di Fiammetta hanno fatto sognare gli itlaliani
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E’ il suo momento ma prima di Fiammetta sono state altre le donne, bellissime, che hanno fatto sognare una loro “telefonata” agli italiani. La protagonista degli spot tormentone TIM ha raccolto il testimone lasciato da personaggi come Sarah Fel­berbaum, Gaia Bermani Amaral (con le sue due amiche in barca), Elisabetta Canalis e Vanessa Incontra­da che prima di lei hanno dato il volto alla “telefonia cellulare”. Sempre per la Tim, abbiamo visto anche un’intera serie di spot con Adriana Lima (foto a lato), la bellissima che ha difeso la compagnia telefonica nella versione sexy stile James Bond, poi nelle versione più dolce di “quattro paperelle”, “quattro stelline”: ricordate?
Si è poi vista nelle versione serata glamour, casual, sportiva e in spiaggia dove un vigile gioviale, ovvero Cristian De Sica, la sgridava per le sue infrazioni.
E non sono le uniche: il binomio donna-telefonino sembra il preferito dai pubblicitari che vogliono far ricaricare il cellulare ai giovani. Ed ecco dunque che la Vodafone ci ha proposto recentemente la bella Ilary Blasi (accompagnata dal pupone, nonchè marito, Francesco Totti) e in tempi passati lanciò Megan Gale, diventata il “vero” simbolo delle campagne degli operatori di telefonia.
C’è poi chi è riuscito a portare in Italia una tra le donne più chic e ricercate di Hollywood: l’intoccabile Paris Hilton è stata testimonial (con Claudio Amendola) della compagnia telefonica 3, oggi sostituita da una frizzante Claudia Gerini. Prima di lei anche l’anticonvenzionale Luciana Litizzetto (foto a lato) che con la sua ironia bucava il video con la frase "Meglio cambiare neh?".
Come dimenticare poi lo spot lanciato da Valeria Marini: il suo “Videochiamami” è stato diventato un vero e proprio tormentone. Insomma, l’occhio vuole la sua parte e se le donne riescono a conquistare con il bel decolleté, gli uomini lo fanno per lo più con la simpatia: Aldo, Giovanni e Giacomo e Giorgio Panariello si sono ingraziati i clienti telefonici con la loro comicità, mentre Francesco Facchinetti, Cesare Cremoni e Claudio Amendola li hanno conquistati con il loro sex-appeal.
(Varese News 24/07/2009)
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dellamonica · 5 years ago
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ABAIXO TODOS OS FASCISMOS E FASCISTAS DO MUNDO. Já passou da hora !
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https://youtu.be/TquP4K1whdU
A Itália comemora hoje o 75º aniversário da libertação do fascismo. A canção se transformou num símbolo, cujo verdadeiro significado é muitas vezes desconhecido
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Partisans em Milão depois da libertação do fascismo. ALESSANDRO LEONECupello (Itália) - 25 ABR 2020 - 14:48 BRT Bella Ciao (traduzida popularmente em português como Querida, Adeus) é uma canção anônima, e não existe nenhum dado que esclareça definitivamente sua procedência. Há apenas semelhanças textuais e musicais com antigas composições. Ela é o resultado de uma longa jornada, que foi definindo este hino à liberdade até a versão conhecida por todos e entoada em cerca de 40 idiomas. Na Itália, seus acordes não ecoam apenas nas manifestações das “sardinhas”, o grupo heterogêneo que até há poucos meses protestava nas praças do país inteiro sobretudo contra a retórica de Matteo Salvini; também marcam presença cada 25 de abril, o dia em que se comemora a libertação do fascismo em 1945. Bruno Neri, o jogador antifascista que virou herói da resistênciaSalvini: “O Governo italiano é incapaz de lidar com a emergência do coronavírus”Giuseppe Conte: “Se voltasse atrás, faria tudo igual. Agora é hora de ação, depois faremos contas e críticas”Coronavírus inverte os papéis históricos do norte e do sul na Itália “É um hino dos Partisans ”, afirma com segurança Carlo Ghezzi, da Associação Nacional dos Partisans da Itália (ANPI). A resistência era formada pelas diversas correntes do antifascismo: havia democratas-cristãos, comunistas, socialistas, monarquistas e republicanos, entre outros. Um conglomerado de ideias diferentes que superaram suas discrepâncias ante a necessidade de combater “o invasor”. “O comandante da resistência era Raffaele Cadorna, um monarquista, e seu vice-comandante Luigi Longo, comunista. O antifascismo representou a página mais importante deste país, e Bella Ciao dá voz a tudo isso”, diz Ghezzi. Por esse motivo, Bella Ciao acabou se tornando a música da resistência, a canção que celebra a heterogeneidade reunida que levou a Itália à libertação. De fato, em sua letra não há nenhuma referência ideológica, ao contrário de Fischia Il Vento (Sopra o vento), cantada sobretudo por partisans garibaldinos e comunistas. A melodia, que hoje é muitas vezes considerada uma canção de esquerda no país, foi entoada em diversas ocasiões públicas por políticos da Democracia Cristã (DC), como Benigno Zaccagnini e Franco Marini. Além disso, durante os protestos de 1968 os manifestantes não a cantavam, como explica Carlo Pestelli, autor do livro Bella Ciao: La canzone Della Libertà (Bella Ciao: a canção da liberdade): “Eles consideravam que era uma canção para os que não queriam manchar as mãos.” Em seu lugar, preferiam outros hinos reivindicatórios como Per i morti di Reggio Emilia (Para os mortos de Reggio Emilia), de Fausto Amodei, nascido durante os protestos contra o Governo formado pela DC em 1960 com os votos da extrema-direita, ou Contessa (Condessa), de Paolo Pietrangeli, dedicada a Paolo Rossi, estudante assassinado em 1966 após um confronto com um grupo de jovens extremistas. Pestelli acredita que existiu um módulo musical sobre o qual elaborou-se o texto de Bella Ciao. Os ancestrais mais reconhecíveis são duas canções populares do norte da Itália do século XIX: Fior di tomba (Flor de tumba) e La bevanda sonnifera (A bebida sonífera). Da segunda, entre outros aspectos, procede a reiteração do “ciao”; mas a primeira, herdeira de Complainte de la Dame a la Tour et du Prisonnier, uma canção francesa de 1536, nas versões de Novara (Piamonte) e Venecia (Vêneto), começa e termina exatamente como Bella Ciao. Em ambas as composições, o tema central é o amor. Segundo alguns relatos reunidos por Cesare Bermani, especialista em música popular italiana, uma das primeiras versões reivindicatórias de Bella Ciao remonta à Primeira Guerra Mundial. Era uma espécie de protesto contra o sistema militar após o fracasso da batalha de Caporetto, concluída com uma vitória dos exércitos austro-húngaro e alemão em 1917. De fato, a palavra “invasor” é substituída por “desertor”. Mas as duas variantes mais importantes se difundiram no período do segundo conflito mundial. Uma delas, embora a letra tenha aparecido apenas em 1951, é narrada pela voz das mondine (arrozeiras), as mulheres que trabalhavam de forma temporária nas colheitas de arroz. É provável que a outra, ou seja, a partisan, fosse curiosamente entoada em três regiões italianas distantes entre si: Montefiorino (Emilia-Romanha), onde um médico conhecido como Fiore poderia ter escrito a letra original; Abruzos, onde a Brigada Maiella poderia ter entoado também a versão mondina graças à volta das mulheres locais que haviam colhido arroz no norte; e Alba (Piemonte), segundo uma pessoa que disse a Pestelli que a cantou em 1944, quando tinha 11 anos. As três localidades viveram uma situação de estancamento e isolamento do combate. Isso explicaria, segundo a teoria de Pestelli, o fato de que fosse interpretada uma canção que transmitia alegria —e que para as crianças de Alba servia como contraposição ao mundo adulto. Essas duas almas se encontraram finalmente no Festival dei Due Mondi (Festival dos Dois Mundos), de Espoleto (Úmbria) em 1964, onde a ex-arrozeira Giovanna Daffini apresentou a letra feminina (“Esta manhã, eu acordei/Ao arrozal devo ir E entre os insetos e os mosquitos um trabalho duro devemos fazer”), seguida pelo partisan. O espetáculo, que levava o nome de Bela Ciao, foi repetido 10 vezes entre 21 e 29 de junho e marcou o ponto de partida para o renascimento da canção popular. O sucesso foi tão grande que também houve tentativas de se apropriar da sua autoria, como no caso de um militar, Rinaldo Salvatori, que dizia ter escrito Bella Ciao inspirado em outra composição, que dedicou a uma cantora francesa da qual se apaixonara. Mas ninguém pôde resolver o mistério que envolve este hino tão famoso. “Bella Ciao tem sido utilizada de diferentes formas porque é uma canção popular. É contra um invasor e a favor de algo que todos gostam, a liberdade”, afirma Pestelli. Todo ano é ouvida num contexto diferente, como nas manifestações após o atentado do Charlie Hebdo, em 2015, nos estádios sob a forma de cântico e em séries como La Casa de Papel. Além disso, vários artistas a interpretaram, como Manu Chão, Woody Allen e Tom Waits. É a consequência de um sucesso internacional que nunca terminou. E que provavelmente começou quando um grupo de jovens da região da Emilia-Romanha apresentou a canção no Festival da Juventude de 1947 em Praga, coroado depois com o disco de Yves Montand (pseudônimo de Ivo Livi) de 1963, um italiano de espírito francês que cantava Bella Ciao com o título de Chant des Partisans mudando a pronúncia original. Nas últimas duas décadas, Bella Ciao se tornou símbolo da esquerda comunista, sobretudo do ponto de vista da direita. Matteo Salvini, líder da Liga, e sua companheira de coalizão, Giorgia Meloni, do partido Irmãos da Itália, criticam com frequência sua representação. Por exemplo, quando alguns socialistas a entoaram no Parlamento da União Europeia. Meloni escreveu no Twitter que aquilo era “escandaloso” e “ridículo”, e falou de “União Soviética Europeia”. Sobre essa questão, para Ghezzi não há dúvida. “Está claro que a direita não gosta em absoluto dos valores do antifascismo, mas essas polêmicas começaram no dia seguinte à libertação. Nós não discutimos sobre isso desde 25 de abril de 1945”. L’estaca Pestelli encontra muitas semelhanças entre Bella Ciao e L’estaca, o canto catalão antifranquista de Lluís Llach, composto em 1968. Foi utilizado pelo sindicato Solidariedade na Polônia e traduzido também ao occitano (língua falada no sul da França) pelo grupo musical Lou Dalfin, entre outros. “Bella Ciao e L’estaca compartilham uma certa alegria melódica e são canções populares. Além disso, ambas têm a ver com um elemento da natureza: por um lado, a flor; por outro, uma árvore. São símbolos de uma nova vida através da lembrança”, explica.Adere a Read the full article
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goodbearblind · 7 years ago
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La strada bruciata delle magliette a strisce di Marco Philopat Sono passati cinquantasette anni dalla rivolta dei ragazzi in maglietta a strisce scesi piazza a Genova per impedire un congresso di neofascisti. Un convegno voluto anche dall'allora governo del democristiano Tambroni, che da pochi mesi era diventato presidente del Consiglio grazie ai 14 voti dei parlamentari dell'Msi. La determinazione dei manifestanti fecero fallire quel tentativo di sdoganare, per la prima volta dal dopoguerra, gli eredi del tragico ventennio. Quel convegno fu infatti annullato. Nell'estate del 1960 ci fu un terremoto, di quelli imprevisti, violento e allo stesso tempo liberatorio. In prima fila negli scontri di piazza, da Genova a Catania, da Reggio Emilia a Palermo, da Roma a Bologna, c'erano giovani sui vent'anni, operai figli di operai che pagarono cara la loro voglia di farsi sentire. La pagarono con il sangue. In undici rimasero sull'asfalto, crivellati dalle sventagliate dei mitra e dai colpi di pistola. Altre centinaia finirono in ospedale o sul banco degli imputati come pericolosi sovversivi e condannati a scontare anni di carcere. Sapevano di rischiare grosso eppure scesero in piazza convinti che andasse fatto, che quello era il loro dovere, l'unico modo per dire no al ripetersi della storia. Per questo motivo i ragazzi con le magliette a strisce rimasero impresse nel mio cervello appena ne venni a conoscenza. Sentii parlare di loro, per la prima volta in vita mia, quando indossavo con orgoglio la mia nera corazza punk. Fu il libraio Primo Moroni che mi spiegò bene cosa accadde il 30 giugno 1960 a Genova. “Andammo sulle barricate a fare a cazzotti con i celerini e carabinieri che difendevano i fascisti. Eravamo tutti giovani, generosi e intransigenti, portavamo i jeans, avevamo il mito dell'America e siccome i soldi in tasca erano pochi ci vestimmo con delle magliette comprate per trecento lire nei grandi magazzini. Non ci interessava una vita passata solo lavorando, preferivano guadagnare meno ma avere più tempo libero, però quando ci fu da protestare non ci tirammo certo indietro.” Era uno dei suoi strepitosi racconti orali che per noi ventenni di allora rappresentava una specie di rappresentazione cinematografica a dir poco epica, con i moti dei movimenti operai come protagonisti. C'era stato anche lui a Genova quando aveva 24 anni e partecipò agli scontri in prima fila dopo aver mal interpretato una telefonata del responsabile del servizio d'ordine di una sezione della Fgci milanese alla quale era iscritto. Inutile dire che per noi punk, che consideravamo i nostri vestiti come uno dei pochi strumenti per esprimere rabbia e ribellione, quelle magliette a strisce furono una precisa indicazione sui nostri futuri doveri. D'altronde, come tentò sempre di sottolinearci Primo, non avevamo inventato proprio niente. Già il grande poster incorniciato che il libraio teneva alla sue spalle ci consigliava di guardare un po' oltre la nostra divisa. Era infatti una foto d'epoca che ritraeva la Banda Bonnot, anarchici francesi nonché rapinatori di banca che vestivano in nero come noi, che vivevano in una comune ed erano vegetariani come noi. (Ai quei tempi noi punk stavamo tutti al Virus di via Correggio). A Milano poi c'erano stati i giubbotti di pelle della Volante Rossa, i capelloni beat che inneggiavano al libero amore, gli studenti con l'eskimo e infine i trench bianchi della famosa banda Bellini... Le magliette a strisce orizzontali bianche e blu o bianche e rosse furono un segno distintivo che riunì i giovani contro il ritorno del fascismo, in una lotta fino all'ultimo sangue come quello dei Morti di Reggio Emilia, (7 luglio 1960), immortalati nella celebre canzone di Fausto Amodei. Cosa portò alcuni ragazzi a scegliere un indumento come simbolo di una rivolta contro l'autorità costituita? Cosa li mosse? Non erano bandiere rosse quelle che sventolavano, erano semplici magliette comprate al discount. Ma soprattutto perché dopo il 1960 non ci fu più niente di così dirompente nel rapporto tra i simboli della rivolta e l'impegno politico? Dopo tanti anni si potrebbe anche affermare che noi non siamo stati capaci di tramandare l'importanza dell'adottare nuovi simboli in grado di rappresentare un'opposizione intransigente alle attuali derive totalitarie. Resta il fatto che i ragazzi con le magliette a strisce non furono mai così irrimediabilmente ostacolati dai loro rappresentanti istituzionali come invece capitò alla mia generazione. Per farvi un esempio vi vorrei riportare le parole che l'allora deputato del Psi Sandro Pertini, pronunciò a Genova il 28 giugno 1960. Sarà ricordato come “u brighettu”, il fiammifero, a significare che accese la fiamma della sollevazione popolare. Sandro Pertini arrivò attraversò Piazza della Vittoria a Genova strinse la mano ai vecchi compagni partigiani e salì sul palco accolto dall'ovazione di trentamila antifascisti. “Le autorità romane sono impegnate a trovare quelli che ritengono i sobillatori, gli iniziatori, i capi di queste manifestazione di antifascismo” gridò con tutto il fiato che aveva in gola. “Non c'è bisogno che s'affannino. Lo dirò io chi sono i nostri sobillatori. Eccoli qui: sono i fucilati del Turchino, della Benedicta, dell'Olivetta e di Cravasco, sono i torturati della Casa dello studente, che risuona ancora delle urla strazianti delle vittime e delle risate sadiche dei torturatori.” Gli applausi lo interruppero per diversi minuti. Poi Pertini continuò. “Io nego che i missini abbiano il diritto di tenere a Genova il loro congresso. Ogni iniziativa. ogni atto, ogni manifestazione di quel movimento è una chiara esaltazione del fascismo. Si tratta, del resto, di un congresso qui convocato, non per discutere ma per provocare e contrapporre un passato vergognoso ai valori politici e morali della Resistenza” Pertini chiese a tutti di scendere in piazza per tutelare la libertà conquistata con il sacrificio di migliaia di innocenti. “Oggi i fascisti la fanno da padroni, sono di nuovo al governo, giungono addirittura a qualificare come un delitto l'esecuzione di Mussolini. Ebbene, io mi vanto di aver ordinato la fucilazione di Mussolini, perché io e gli altri membri del CLN non abbiamo fatto altro che firmare una condanna a morte, pronunciata dal popolo italiano vent'anni prima.” Pertini comunque non fu il solo a stare a fianco dei ragazzi in rivolta, lo dimostra il fatto che al processo sui fatti di Genova e quelli siciliani o di Reggio Emilia, gli imputati per gli scontri furono difesi dai migliori avvocati dell'apparato del Pci, tra cui Umberto Terracini che aveva redatto la Costituzione e il capo partigiano Giovanbattista Lazagna. Inoltre i vertici del partito togliattiano cominciarono una seria autocritica interna per capire lo scollamento tra il movimento spontaneo e la strategia del Pci. “Non bisogna perdere il contatto con le masse entrate in lotta” dicevano. Le testimonianze che dimostrano tutta la lacerazione di quel dibattito sono riportate da molti libri. Il primo è uscito da qualche settimana e s'intitola Al tempo di Tambroni di Annibale Paloscia per Mursia, poi c'è lo stupendo romanzo del 2008, L'estate delle magliette a strisce di Diego Colombo per Sedizioni e infine un capitolo del breviario di racconti orali di Cesare Bermani, Il nemico interno per Odradek, dove potete trovare le ragioni della telefonata mal interpretata da Primo Moroni. Vedere i dirigenti del Pci barcamenarsi tra i Teddy boy e le magliette a strisce presumibilmente usate da personaggi trasgressivi come Picasso e Brigitte Bardot, fa oggi morire dal ridere. Emilio Sereni s'interrogava sulla “gioventù sotto una direzione che non è la nostra.” E in effetti le iscrizioni alla Fgci erano in calo mostruoso (365 mila nel '56, 229 mila nel 1960). C'era chi accusava i giovani di aver subito una “deteriore influenza dal clericalismo e dall'americanismo” e chi invece sosteneva il dialogo, certamente non fu facile per tutti loro controbattere alle tesi dello scrittore Carlo Levi apparse sul settimanale “ABC”. “Spingere con la forza e non tacere. Dovete usare la vostra forza per sovvertire, protestare. Fatelo voi che siete giovani.” diceva Levi e quindi, rivolto ai dirigenti del Pci notava. “Questi fatti impongono a tutti un esame approfondito, e l'elaborazione, o la modificazione di programmi e di metodi: lo studio preciso di fini concreti, nati dalla coscienza popolare. La fiducia, rinata attraverso l'azione, è un bene prezioso che non può essere deluso e dissipato”. Su quelle magliette a strisce, e in senso più ampio sulla passione per i modelli trasgressivi dell'american way of life trasmessi dai film come The Wild one o con le scosse del Rock 'n' Roll, nessuno dei dirigenti comunisti o socialisti riuscì mai a capirci qualcosa. Eppure non erano in pochi quelli che avevano compreso quanto quei modelli erano sedimentati tra i giovani e quanti immaginari di società diverse e vissuti generazionali affascinanti avessero sprigionato. Negli ultimi 50 anni i partiti che avrebbe dovuto rappresentare i diritti dei lavoratori e delle fasce più deboli della società si sono trasferiti piano piano dall'altra parte della barricata, ormai è palese. Durante gli anni Settanta furono impegnati a spegnere ogni fuoco possibile che nasceva spontaneo tra le masse diseredate, ripiegando sulla criminalizzazione dei sobillatori, come a dire: “Se non ci fossero gli estremisti di sinistra, il mondo sarebbe perfetto.” Poi, dopo essersi battuti soprattutto per dimostrare di essere all'altezza della modernità, di essere persone raffinate e di buone maniere e amici del business globale, hanno raggiunto l'apice nel dopo G8 2001, (ancora una volta a Genova), con la deleteria questione della nonviolenza. E lì è crollata la maschera. È vero che da parte nostra, e intendo ragionare sui quei pochi punk e autonomi che restarono a galla durante gli anni del riflusso, non ci fu la capacità di smontare i meccanismi di cancrena sociale che si svilupparono attorno alle nostre roccaforti liberate. Forse non capimmo bene ciò che si nascondeva dietro la gelateria dei gusti colorati e degli stili di vita che stava prendendo piede nelle nuove generazioni. Non capimmo neanche la danza degli spettri dei rave nel limbo fluorescente di una bolla destinata prima o poi a scoppiare, senz'altro fummo travolti dal bling bling degli anni '00 con il luccicare delle fibbie dolcegabbana a simboleggiare la resa definitiva del nostro futuro. Non sta a me provare a fare analisi, sono solo un grande appassionato delle magliette a strisce e di tutte le creature simili che si sono susseguite nel corso del tempo. Però di una cosa ne sono sicuro, noi fummo contrastati in primo luogo da ciò che rimaneva dell'apparato dell'ex partito comunista italiano teso nella sempre più spasmodica ricerca di un paese normale... Purtroppo oggi l'orologio della storia è ritornato brutalmente indietro e i fascisti non solo sono stati ampiamente sdoganati, ma hanno addirittura riconquistato il potere e l'egemonia culturale. Ora che l'insolente corruzione dei politicanti e la tracotanza padronale hanno dilagato, sono ancora pochi coloro disposti a non naufragare di fronte alla paura nei confronti della passione per la libertà e l'uguaglianza. E noi continuiamo a essere orfani di quelle magliette strisce, che oltre a difendere i diritti già acquisiti, riuscirono a rilanciare sul futuro per conquistarne nuovi. -Antonietta Agostini-
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glianni70 · 10 years ago
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La rivista Primo maggio - Cesare Bermani (1973-1989)
La rivista Primo maggio – Cesare Bermani (1973-1989)
La rivista Primo maggio
Cesare Bermani (1973-1989)
egli anni Settanta e Ottanta «Primo Maggio» è stata una rivista importante per tante persone impegnate nelle lotte sociali e civili. E’ stata una scuola di formazione, una sede di dibattito e riflessione in un periodo storico convulso, ma pieno di passioni e di generosità. E’ stata una fabbrica di prototipi mentali. Ideata da Sergio Bologna,…
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chez-mimich · 11 years ago
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KABOUTER
Era il settembre del 1978 quando incominciai la mia esperienza a "Kabouter". Era l'epoca delle cosiddette "radio libere" (chi non si ricorda di Radio Alice di Bologna o di radio Popolare di Milano...). A "Kabouter", che non si fregiava dell'inutile suffisso di "radio" prestavano la propria opera persone di un certo spessore, Roberto De Luca, che oggi organizza grandi concerti in tutto il mondo, Adelmo Quadrio, redattore di una rivista storica del rock italiano come L'ultimo buscadero, Alberto Toscano, giornalista esperto di politica internazionale, lo storico Cesare Bermani, Marco Sorrentino, promoter e discografico, Riccardo Bertoncelli, giornalista e scrittore (di cui tutti si ricordano per via dell'Avvelenta gucciniana). Insomma tra queste ed altre "personalità", c'ero io. Cosa ci facevo io in questo salotto radical-chic del rock 'n'roll? Niente. Io mi occupavo di poesia. Conducevo una serissima trasmissione dal titolo "Il fumo dei falò" (titolo mutuato da una bella poesia di Sergej Esenin). Io facevo l'intellettuale serioso in mezzo a un gruppo di intellettuali veri. Poi un giorno il direttore della radio, il vulcanico  Fabrizio Berrini entrò e mi disse: "Basta menate, a New York è va fortissimo un nuovo musicista e tu sei qui con 'sta roba?! Si chiama Bruce Springsteen..." Fu quella frase a farmi capire che la cultura poteva essere anche altro. Anche Wim Wenders disse che fu il rock a salvargli la vita, come successe a me; ma oltre al rock me la salvò Fabrizio Berrini...
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goodbearblind · 7 years ago
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“GORIZIA TU SEI MALEDETTA”: 20.000 MORTI E 50.000 FERITI PER CONQUISTARE POCHI METRI QUADRATI DI TERRA “La vittoriosa nostra avanzata su Gorizia”. “Manifestazioni di giubilo patriottico in tutta Italia”. Così sul Messaggero di mercoledì 9 agosto 1916 si saluta la conquista di Gorizia, una delle città simbolo dell’irredentismo italiano. Dopo cinque giorni di asperrimi combattimenti, in cui l’esercito italiano ha impiegato bene 16 divisioni, i fanti del 28º Pavia entrano per primi a Gorizia. La Sesta battaglia dell’Isonzo continuerà per un’altra settimana circa. Alla fine, in meno di quindici giorni, nei reparti italiani si conteranno 21630 morti, 52940 feriti e oltre 18.000 prigionieri. Anche sul fronte austriaco le perdite risultano importanti. Più di 4000 morti, 18.000 feriti e quasi 50.000 prigionieri (secondo altre fonti le stime sarebbero anche più alte). Tutto questo per la contesa di appena 80 kilometri quadrati di territorio, più importanti dal punto di vista ideologico che da quello militare. Una piccola carneficina dentro l’immane carneficina della Prima Guerra Mondiale. A ricordare questo terribile e tragico evento, una delle canzoni antimilitariste più cantate di sempre. Appunto “Gorizia tu sei maledetta”. Secondo la tradizione la canzone sarebbe stata raccolta da Cesare Bermani a Novara, tramandata da un testimone che affermò di averla sentita cantare dai fanti che conquistarono la città l’8 agosto. La versione più celebre del canto anarchico e pacifista è quella eseguita da Michele Straniero a Spoleto nel 1964 nel corso dell’annuale Festival dei Due Mondi. Straniero aggiunse anche questa strofa: “Traditori signori ufficiali / voi che la guerra l’avete voluta / scannatori di carne venduta / questa guerra ci insegni a punir”. La mattina del cinque d’agosto si muovevan le truppe italiane per Gorizia, le terre lontane e dolente ognun si partì Sotto l’acqua che cadeva al rovescio [1] grandinavan le palle nemiche su quei monti, colline e gran valli si moriva dicendo così: O Gorizia tu sei maledetta per ogni cuore che sente coscienza dolorosa ci fu la partenza e il ritorno per molti non fu O vigliacchi che voi ve ne state con le mogli sui letto di lana schernitori di noi carne umana questa guerra ci insegna a punir Voi chiamate il campo d’onore questa terra di là dei confini Qui si muore gridando assassini maledetti sarete un dì Cara moglie che tu non mi senti raccomando ai compagni vicini di tenermi da conto i bambini che io muoio col suo nome nel cuor Traditori signori ufficiali Che la guerra l’avete voluta Scannatori di carne venduta [2] E rovina della gioventù [3] O Gorizia tu sei maledetta per ogni cuore che sente coscienza dolorosa ci fu la partenza e il ritorno per molti non fu. [1] [variante: che cadeva a rovesci] [2] [altra versione: ‘Schernitori di carne venduta’] [3] [altra versione: ‘Questa guerra ci insegna così’] Cannibali e Re
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