#CHE crede che non CI siano COSE umane
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sbnkalny · 2 years ago
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A voiricordo solo Cio Di cui ebbi a farvi raccomandazione fin da principio, DI non protestare con schiamazzi se interrogonel modo che MI E solito.-C’è qualcuno, o Melèto, Che crede che non ci siano cose umane, Senza credere Che ci siano uomini?… fate, ocittadini, che egli risponda, invece di protestare a dritta e a n y b o d Y 🇴 u 🇬 e t t E n T a L L
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intotheclash · 4 months ago
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Puntiamo lo sguardo oltre l’infamia, per indovinare un altro mondo possibile: l’aria sarà pulita da tutto il veleno che non venga dalla paure umane e dalle umane passioni; nelle strade, le automobili saranno schiacciate dai cani; la gente non sarà guidata dalla automobile, non sarà programmata dai calcolatori, né sarà comprata dal supermercato, né osservata dalla televisione; la televisione cesserà d’essere il membro più importante della famiglia e sarà trattato come una lavatrice o un ferro da stiro; la gente lavorerà per vivere, invece di vivere per lavorare; ai codici penali si aggiungerà il delitto di stupidità che commettono coloro che vivono per avere e guadagnare, invece di vivere unicamente per vivere, come il passero che canta senza saper di cantare e come il bimbo che gioca senza saper di giocare; in nessun paese verranno arrestati i ragazzi che rifiutano di compiere il servizio militare; gli economisti non paragoneranno il livello di vita a quello di consumo, né paragoneranno la qualità della vita alla quantità delle cose; i cuochi non crederanno che alle aragoste piaccia essere cucinate vive; gli storici non crederanno che ai paesi piaccia essere invasi; i politici non crederanno che ai poveri piaccia mangiare promesse; la solennità non sarà piu' una virtu', e nessuno prenderà sul serio chiunque non sia capace di prendersi in giro; la morte e il denaro perderanno i loro magici poteri, e né per fortuna né per sfortuna, la canaglia si trasformerà in virtuoso cavaliere; nessuno sarà considerato eroe o tonto perché fa quel che crede giusto invece di fare ciò che più gli conviene; il mondo non sarà più in guerra contro i poveri, ma contro la povertà, e l’industria militare sarà costretta a dichiararsi in fallimento; il cibo non sarà una mercanzia, né sarà la comunicazione un’affare, perché cibo e comunicazione sono diritti umani; nessuno morirà di fame, perché nessuno morirà d’indigestione; i bambini di strada non saranno trattati come spazzatura, perché non ci saranno bambini di strada; i bambini ricchi non saranno trattati come fossero denaro, perché non ci saranno bambini ricchi; l’educazione non sarà il privilegio di chi può pagarla; la polizia non sarà la maledizione di chi non può comprarla; la giustizia e la libertà, gemelli siamesi condannati alla separazione, torneranno a congiungersi, ben aderenti, schiena contro schiena; una donna nera, sara' presidente del Brasile e un’altra donna nera, sara' presidente degli Stati Uniti d’America; una donna india governerà il Guatemala e un’altra il Perù; in Argentina, le pazze di Plaza de Mayo saranno un esempio di salute mentale, poiché rifiutarono di dimenticare nei tempi dell’amnesia obbligatoria; la Santa Chiesa correggerà gli errori delle tavole di Mosè, e il sesto comandamento ordinerà di festeggiare il corpo; la Chiesa stessa detterà un altro comandamento dimenticato da Dio: “Amerai la natura in ogni sua forma”; saranno riforestati i deserti del mondo e i deserti dell’anima; i disperati diverranno speranzosi e i perduti saranno incontrati, poiché costoro sono quelli che si disperarono per il tanto sperare e si persero per il tanto cercare; saremo compatrioti e contemporanei di tutti coloro che possiedono desiderio di giustizia e desiderio di bellezza, non importa dove siano nati o quando abbiano vissuto, giacche' le frontiere del mondo e del tempo non conteranno più nulla; la perfezione continuerà ad essere il noioso privilegio degli dei; però, in questo mondo semplice e fottuto ogni notte sarà vissuta come se fosse l’ultima e ogni giorno come se fosse il primo.
(Eduardo Galeano)
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girulicchio · 10 months ago
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Come palloncini
Esiste un fenomeno, di cui oggi è ancora ignota la natura, per cui le persone, per strada, ovunque si trovano, iniziano a librarsi in aria per poi esplodere.
Il fenomeno ha preso il nome inglese di popping, perché i soggetti che ne soffrono, esplodendo di colpo, appaiono nel cielo e ci restano solo qualche secondo. Giusto il tempo di chiedersi, increduli, cosa stia accadendo. Poi, come palloncini, scoppiano, lasciando di loro solo brandelli. E nessuna scena splatter, come se il sangue gassificasse spontaneamente e ogni tessuto, biologico e non, tendesse a smaterializzarsi. Lembi di pelle, vestiti e poco altro cadono al suolo come foglie d'autunno.
Sembra quasi un'assurda selezione naturale, che, ripresa dall'alto e dimenticando per un attimo che si parla di vite umane, ha un fascino tutto suo. Un'ascensione che porta dalla realtà terrena ad una ultraterrena.
Il dibattito è ancora aperto: c'è chi crede che gli esplosi siano prescelti, come kamikaze direttamente eletti da una divinità; c'è chi crede che, al contrario, siano le anime più empie; c'è chi crede che siano vittime del tutto casuali, di una roulette russa poco materiale, ma ugualmente mattatrice.
Tuttavia, per la natura del fenomeno, nessuno ha il coraggio di pretendere che ci sia una spiegazione scientifica. Perché è troppo assurdo, troppo da poter gridare ad alta voce di non andare nel panico. E le coincidenze sono strane. Nessuna persona esplode (né si solleva) quando si trova in un veicolo, nessuna quando si trova in un ambiente confinato.
La gente inizia a parlare di azioni dei governi, dei Poteri Forti. Di alieni, di alchimia, di riti satanici. Insomma, solite cose.
Visto che qui tutti hanno diritto di parola, esprimo la mia come se non avessi dignità da conservare: una componente del sangue, probabilmente rilevante in massa, inizia a trasformarsi rapidamente in elio, ma con una cinetica e una selettività dei tessuti in cui ciò accade tale da permettere il sollevamento del corpo senza causarne immediatamente l'esplosione, né l'aumento drastico di volume; contestualmente, in risposta a questo fenomeno, la pelle si irrigidisce, come se la natura avesse previsto questa possibile morte tempo addietro. E questo spiega come sia possibile che le persone si sollevino senza gonfiarsi e senza perdere conoscenza. Dopo il volo a mezz'aria, per differenza di gravità, tutti i tessuti e anche gli oggetti di natura non biologica sono pervasi dall'elio, facendo cedere anche la rigida pelle alla trasformazione in gas, incolore e inodore, fatto salvo per qualche piccolo mucchio di atomi e molecole fortunati che si salva dalla trasformazione.
Certo, questa spiegazione dovrebbe coinvolgere una quantità di energia da fissione nucleare, che dovrebbe pur manifestarsi in qualche modo. Forse, lo Sceneggiatore che ha inventato questa storia non lo sa e, come per il calabrone che non potrebbe volare, l'ha scritta lo stesso.
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icestorming · 5 years ago
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[scritto da Chicco, marzo]     Albert Einstein, fisico e accademico tedesco, viene spesso identificato nella cultura popolare come il genio per eccellenza, il più cervellone tra i cervelloni. Ciò che lo rese famoso fu la teoria della relatività, che presentò nel 1905 con l’articolo “Sull’elettrodinamica dei corpi in movimento”. Ma mentre tutti conoscono il lato matematico di Einstein, in tantissimi ignorano le sue riflessioni di sfondo filosofico. Tali riflessioni hanno tutte lo scopo di commentare il sistema educativo e in generale la società di quel tempo. Einstein infatti nella sua infanzia era molto critico dello scenario scolastico: spesso non frequentava le lezioni per passare il suo tempo a fare esperimenti nel laboratorio di fisica. Questo atteggiamento ovviamente provocò l’ostilità dei suoi insegnanti, ma al giovane Albert non importava. Egli voleva allontanarsi dall’inessenziale a tutti i costi, e l’ostacolo più grande erano ovviamente gli esami. Infatti per lui l’intelligenza non significava memorizzare quello che si trovava comodamente su un libro, ma bensì dalla capacità di cambiare in scenari di necessità.   Riguardando la storia passata della specie umana, è incredibile quante volte all’idea di cambiamento i benpensanti siano inorriditi per difendere la tradizione e la legalità. Ad esempio alla proposta di tradurre la Bibbia in una lingua comprensibile alle classi “inferiori” le autorità della chiesa cattolica gridarono allo scandalo, considerando l’atto come un crimine nei confronti  di Dio. Anche ai giorni nostri, sono ancora moltissimi coloro che non si adattano al cambiamento, che maledicono, ad esempio, i genitori ed i matrimoni omosessuali. Per farla breve, la stupidità, o almeno la visione di Einstein della stupidità, ha sempre infestato le menti umane, e sicuramente non scomparirà mai.   Ma qual è la differenza tra un genio ed uno stupido? Secondo Albert l’unica caratteristica che rende le due figure diverse è che il genio ha dei limiti, lo stupido no. Lui stesso crede che esistano solo due cose infinite: l’universo e la stupidità umana. Inoltre, aggiunge sarcasticamente di non essere sicuro dell’universo. Riflettendoci, la nostra intera società è basata su questo pensiero: solo coloro che oltrepassano i limiti di imposti dalla suddetta società vengono considerati degli scellerati. Se tutti quanti non rispettassero i limiti, il mondo intero cadrebbe in una situazione di chaos totale, di anarchia assoluta.  Ed invece coloro che rispettano i propri limiti? Sono davvero tutti quanti geni? Secondo Albert Einstein assolutamente sì. Uno dei suoi pensieri più celebri inizia proprio proponendo l’idea che ognuno sia un genio e continua dicendo che se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi sugli alberi, il pesce passerà tutta la sua vita a credersi stupido. [a capo]   L’insegnamento che ci vuole dare Einstein è semplice ed evidente. Ognuno di noi possiede delle doti naturali, dei talenti: non si acquisiscono con l’esercizio, si hanno con la nascita ed è però possibile perfezionarli. Chiunque, nel corso della propria vita, può realizzarsi al massimo solo se parte da una dote naturale. Con l’immagine del pesce Albert il fisico tedesco insegna che bisogna innanzitutto scoprire e riconoscere le proprie doti, le proprie inclinazioni, concentrarsi su di esse e svillupparle. Nello stesso modo, non bisogna giudicare le altre persone per quello che non sanno fare. Ad esempio, è inutile che una persona si voglia dedicare al canto se è stonata; non arriverà mai ai risultati desiderati e forse guardando la collezione di insuccessi accoumulati potrebbe anche pensare di essere stupida. Ma non è colpa sua, e per questo non deve sentirsi inferiore o essere giudicata da altri. I limiti già menzionati in questo caso sono dunque i propri talenti.   Solo uno stupido tenterebbe di perfezionare ognuna delle sue abilità: fare una cosa del genere è materialmente impossibile, ed apporterebbe solamente una estrema quantità di stress alla nostra persona. Memorizzare ogni libro esistente sarebbe un’impresa dello stesso calibro, che inoltre, come già menzionato detto, non darebbe alcun beneficio all’intelligenza dell’individuo. Non è difficile notare cos’è che lega queste riflessioni insieme: tutte quante sono riguardo riguardano la visione di Einstein dell’intelligenza. È questo ciò che rende Einstein una figura che va oltre la sua grandezza matematica. I suoi pensieri ribelli che lo caratterizzarono sin da ragazzo, il suo amore per la filosofia e per la musica, la sua capigliatura a dir poco iconica e la sua espressione giocosa fuori da ogni consuetudine lo rendono per molti un punto di riferimento, e sicuramente un genio.
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levysoft · 5 years ago
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Ariete aggressivo e generoso, Cancro timido e fantasioso, Leone sicuro di sé ma un po' arrogante, Gemelli volubili e comunicativi. Le variazioni stagionali dei caratteri testimoniate dalle caratteristiche dei segni zodiacali potrebbero avere una spiegazione, "non ancora chiara, né dimostrata", che affonda le sue radici all'origine della vita: lo zigote. A parlare con l'Adnkronos Salute, tra il serio e il faceto, di epigenetica (ovvero "quei cambiamenti che influenzano il fenotipo senza alterare il genotipo di un individuo") dei segni zodiacali è il noto scienziato e biologo Carlo Alberto Redi, da tempo incuriosito da queste variazioni stagionali comuni ai nati nei vari segni. "Oggi si tratta di speculazioni - sottolinea Redi, che di questa sua 'ossessione' parla anche nel libro 'Il biologo furioso' (Sironi editore) - ma domani magari salteranno fuori le prove"."Per quanto mi riguarda - sottolinea il biologo - sono tantissime le cose che credo siano vere senza poterle dimostrare. La mia ossessione ricorrente però è legata ai segni zodiacali e alla loro relazione con le diverse attitudini comportamentali che riconosciamo nei nostri simili. E' evidente che si possono impiegare criteri classificatori dei comportamenti umani. Per esempio, possiamo stabilire criteri tassonomici e costruire una sistematica, come si fa in zoologia. Così possiamo dividere gli umani con un criterio (tassonomico) del tipo: socievole/scontroso, ottimista/pessimista, affettuoso/freddo, viaggiatore/sedentario, impulsivo/ riflessivo, cocciuto/arrendevole. Mi pare evidente che molte di queste categorie siano associabili, con una buona frequenza statistica, ai segni zodiacali, essendo comuni ai nati in uno stesso periodo". Attenzione, però: Redi non crede affatto in quello che comunemente si intende per oroscopo giornaliero. "Credo però che i segni zodiacali siano in relazione con alcune delle tipologie caratteriali". Un legame che potrebbe essere spiegato nelle prime fasi dello sviluppo embrionale. "Lo zigote umano - ricorda Redi - è regolativo e riceve in dote gli Rna silenti sino a un certo momento dello sviluppo. La distribuzione spaziale degli Rna mascherati è in grado di influenzare l'espressione del genoma del nuovo individuo e di controllare le prime fasi dello sviluppo embrionale". Per esempio, il momento preciso in cui si accendono o si spengono alcuni geni, o quello in cui le cellule si rivelano sensibili ad alcune sostanze. "Non dispongo oggi delle prove per dimostrare che gli Rna messaggeri mascherati siano distribuiti con variazioni che seguono tempi stagionali - ammette Redi - Tuttavia, assunto che lo siano e che un domani questo fatto possa essere dimostrato, risulta chiaro che vi sarà una distribuzione nell'arco dell'anno di diverse tipologie umane. In altre parole, anche se oggi non posso provarlo, credo che piccole variazioni quantitative e qualitative nella distribuzione di informazioni genetiche sotto forma di Rna messaggeri presenti all'interno dell'oocita al momento della ovulazione e poi fecondazione, portino a espressioni differenziali del genoma del nuovo individuo". Un'influenza che si rifletterebbe così in attitudini e caratteristiche comportamentali. Quest'ultimo fatto potrebbe spiegare alla fin fine le varie caratteristiche comportamentali che "leghiamo ai periodi temporali di nascita e che, a volte in maniera sorprendente, riconosciamo nei segni zodiacali: l'Ariete, il mio segno zodiacale - aggiunge lo scienziato - è aggressivo, generoso, impulsivo, intelligentissimo; il Cancro è fantasioso, dolce, tenero; il Capricorno è affettuoso; il Toro è cocciuto; la Bilancia è elegante e frivola eccetera. Mi sto avventurando molto in là, ma - avverte lo studioso - è pur sempre un gioco. E le grandi tipologie attitudinali restano una cosa piena di fascino. Parliamo sempre di suscettibilità, e dobbiamo tener presente che ci sono molte verità che non padroneggiamo", conclude Redi, ricordando l'esempio di un suo conterraneo, il geniale matematico Girolamo Cardano, "pavese come me e finito in prigione per aver elaborato e pubblicato l'oroscopo di Gesù".
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mariaceciliacamozzi · 2 years ago
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Kodama: Spiegazione dei misteriosi spiriti degli alberi del folclore giapponese
di Alex Postrado
Le antiche creature simili a Driadi della mitologia giapponese
"Se un albero cade in una foresta e non c'è nessuno in giro a sentirlo, fa rumore? "
Questa secolare questione filosofica è stata l'argomento del discorso e il colpevole della confusione per tutto il tempo che chiunque può ricordare. Alcuni dicono che non può esserci suono se non c'è nessuno a percepirlo, mentre altri sostengono che una cosa non diventa fittizia solo perché è passata inosservata. E poiché non esiste un modo infallibile per riunire tutti nella stessa squadra quando si tratta di dibattiti come questo, forse sarebbe più interessante parlare invece del proverbiale suono.
Come si chiama il rumore che fa quando un albero crolla?
Nel folklore giapponese, entrambi sono direttamente associati a Kodama.
Gli spiriti che risiedono sugli alberi, presenti nella tradizione giapponese fin dall'antichità, e che assumono vari nomi a seconda della forma. Da divinità trasformate in divinità della natura, agli echi reali degli alberi che si infrangono: ecco il mito clamoroso di Kodama.
Cosa sono i Kodama?
Nelle profondità delle foreste incontaminate del Giappone, si ritiene che grandi alberi di specie diverse siano collegati ai Kodama, che sono spiriti che si dice risiedano al loro interno.
Racconti che risalgono al 931–938 d.C. raccontano dell'esistenza di questi spiriti, motivo per cui i Kodama sono stati così profondamente radicati nelle menti dei giapponesi, in particolare delle generazioni più anziane. E col passare del tempo, il termine Kodama è stato usato come termine generico che in genere si riferisce a tre cose diverse ma correlate:
I primi sono gli spiriti che si dice vivano in certi alberi in una foresta.
Venerato dalla gente del posto e talvolta indicato anche come divinità della montagna, l'esistenza di Kodama, in questo senso, si dice sia intrecciata con gli alberi in cui abitano.
È interessante notare che gli alberi che fungono da dimora di Kodama sono anche chiamati Kodama.
E per quanto riguarda il suono prodotto ogni volta che un albero abitato da Kodama cade o viene sradicato, anche questo è talvolta chiamato Kodama.
Soprattutto, quando il rumore che si sente echeggiare attraverso la foresta e le montagne arriva un po' indietro rispetto ai tempi. E mentre Kodama può essere ascoltato, si dice che siano visti molto raramente.
Dei pochi resoconti contrastanti che descrivono il loro aspetto, almeno uno afferma che Kodama assume la forma di una o di una delle luci atmosferiche, degli umani e talvolta persino delle bestie!
Nelle antiche leggende si crede che siano invisibili o abbiano una “forma ad albero” identica a quella degli alberi normali. Altri resoconti raccontano anche delle avventure romantiche di Kodama Ichi dove sono raffigurati come spiriti che assumono sembianze umane per stare con i loro amanti mortali.
In opere illustrate - come quella de La parata notturna illustrata dei cento demoni di Toriyama Sekien - Kodama è stato raffigurato come un vecchio o una donna in piedi vicino a un albero.
Il film Mononoke Hime o Princess Mononoke ritrae Kodama come "spiriti bicolori con la testa a bolla".
Queste interpretazioni ampiamente diverse sull'aspetto di Kodama significano solo che questa fine della tradizione di Kodama rimane aperta per chiunque possa esplorare.
Un aspetto della storia che fu messo in discussione anche durante il periodo Edo in Giappone, quando Kodama - allora venerato come divinità - fu spogliato dei suoi ranghi e presentato solo come parte dell'onnipresente yōkai.
Altri yōkai conosciuti includono i kijimunaichi che sono "piccoli spiriti del legno" originari dell'isola di Okinawa.
kijimuna è un tipo di kiinushii che sono spiriti degli alberi che assomigliano a Kodama in più di qualche modo.
Quando gli alberi vengono abbattuti, è incoraggiato a pregare in anticipo kiinushii.
Inoltre, si dice che se di notte si sente il suono di un albero caduto quando in realtà non ci sono alberi caduti, sia il kiinushii che esprime la sua angoscia per l'imminente appassimento di un particolare albero nelle vicinanze.
Il legame tra Kodama e alberi
Nonostante i vari resoconti scritti e raccontati su Kodama, una cosa è chiara su di loro.
Si dice che i Kodama non solo siano collegati agli alberi in cui abitano, ma il legame tra loro è profondo quanto la loro forza vitale.
Secondo la tradizione, l'albero e lo spirito condividono la stessa vita, il che significa che se l'albero deve essere tagliato, ciò comporterebbe direttamente la scomparsa degli spiriti che dimorano sull'albero.
Alcuni racconti affermano anche che un tentativo di abbattere un albero abitato da Kodama può portare alla maledizione del responsabile .
Considerati anche spiriti dotati di poteri soprannaturali, chiunque si prefigge di fare del male a Kodama dovrebbe già aspettarsi di diventare bersagli di punizione.
Amici o Demoni?
Sebbene appaiano come spiriti benevoli, per la maggior parte, Kodama può ancora usare le loro abilità soprannaturali per infliggere danni a coloro che non li onorano. Tuttavia, se adeguatamente trattato e rispettato, Kodama può essere protettore affidabile delle case e persino dei villaggi.
A volte sono anche indicati come guardiani delle foreste - benedicendo le terre con vita e vitalità. E a causa del terreno montuoso naturale del Giappone, i locali tradizionali tendono a prendersi cura degli alberi per rendere omaggio a Kodama.
Lo fanno legando una corda sacra chiamata shimenawa attorno al corpo di alcuni alberi, quelli che sono abbastanza grandi da poter essere presumibilmente abitati dagli spiriti degli alberi.
Si dice che questo sia praticato anche per evitare che gli alberi vengano abbattuti, il che è considerato un peccato. In rare occasioni, tuttavia, quando gli alberi sacri vengono ancora abbattuti, si dice che sanguinino, un segno inequivocabile che i Kodama vivono al loro interno. E sappiamo esattamente cosa significa!
Esplorando l'origine di Kodama
La gente dice che la storia di Kodama è molto antica. Esisteva prima ancora che il Giappone avesse una lingua scritta: la tradizione veniva trasmessa attraverso il passaparola. E quando il Giappone iniziò ad adottare Kanji, al Kodama furono dati tre nomi diversi.
Il primo è Furuta Manichi suddiviso in ko o “ vecchio ”; da o “ molti ”; e ma o “ 10.000 ”. Questo Kanji, tuttavia, era ambiguo e non esprimeva veramente l'identità di Kodama. Così, negli anni successivi, Kodama emerse 一 traducendosi in ko o " albero ", e dama o " anima ".
Al giorno d'oggi, però, un termine più accurato per Kodama, che è Kodama – che significa ko o “ albero ”, e dama o “ spirito ” è stato adottato insieme a 谺 – che si traduce in “ eco ”.
Per quanto riguarda il primo resoconto scritto degli spiriti degli alberi, beh, abbiamo il libro più antico del Giappone, il Kojiki - in inglese, Record of Things Past - per ringraziarlo! E lì dentro, la storia del dio degli alberi Wakunochi-no-kami era dettagliato. Inoltre, l'uso più antico registrato del termine Kodama, di per sé, può essere fatto risalire al periodo Heian - nel libro Wamuryorui Jyusho o Japanese Names for Things, che è un dizionario che mostra i kanji corretti per le parole giapponesi.
I Kodama sono senza dubbio una creatura incentrata sul rispetto della natura. Con tracce della fede giapponese nello shintoismo , nonché influenze dell'animismo, la tradizione di Kodama persiste nel raccontare i diversi modi in cui la vita esiste in questo mondo. Di più, i modi in cui anche una singola vita può influenzare quella degli altri.
Sopravvissute a rivisitazioni verbali, all'adozione di un'intera lingua e persino all'istituzione di una religione antica quanto il Giappone stesso, la venerazione di Kodama da parte della gente del posto è certamente destinata a durare nel corso degli anni.
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recensioniyoungadult · 3 years ago
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DUE CHIACCHIERE IN COMPAGNIA di Rael J. Kailani
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DUE CHIACCHIERE IN COMPAGNIA di Rael J. Kailani
Salve readers, oggi accogliamo nel salotto di Recensioni Young Adult, un’autrice che ho scoperto un anno fa. Mi consigliò il suo libro un’autrice che stimo e fui felice d’averle dato retta. Grazie a lei ho potuto scoprire una penna molto ironica, sarcastica e attuale. Permettetemi di presentarvi l’autrice di Love & Psiche: Rael J. Kailani. Benvenuta Rael, parlaci un po’ di te… Ciao Jenny, grazie per quest’opportunità. Così i lettori sanno con chi hanno a che fare e possono scappare prima che sia troppo tardi. Sono a dieta drastica da nove mesi odio il caldo, possiedo una falce e so come usarla: se vi sembra che le tre cose siano scollegate tra loro è perché non mi siete mai passati davanti di recente. 1)Come ho già detto, ho letto Love & Psiche un anno fa, pochi giorni dopo la sua uscita. Mi fu descritto come esilarante e fui molto felice di poterlo confermare, Ma dimmi, com’è nata l’idea di mandare un Dio dell’Olimpo sulla terra ai giorni nostri? Non credo sia esattamente la genialata del secolo, anche grandi bestseller come Percy Jackson o Starcrossed hanno un’idea di base simile. Io volevo fare da tempo un bel retelling della storia di Amore e Psiche, è sempre stato uno dei miei miti preferiti al liceo e ho persino portato la statua di Canova alla maturità (sì quella che ho parodiato in copertina. Povero Alberto, si starà rivoltando nella tomba. O forse era Antonio). Comunque, non so come, Cedric si è messo in mezzo, mi ha scombinato i progetti ed è uscito quel che è uscito. Adesso, se dico che sono un’autrice seria, non ci crede più nessuno. Infatti non lo dico. 2)Cedric è un personaggio tutto da scoprire, lui è vanitoso, superficiale e sbadato, ma è anche tenero ed estremamente fragile. Cresciuto all’ombra del fratello Eros, non si sente apprezzato dalla sua famiglia e smania per avere quel consenso, quel riconoscimento. Insomma, Cedric è l’esatto opposto di ciò che ci si aspetta da un Dio, come hai concepito l’idea di Dio così “umano”? Mi piace l’umanità. Come condizione, dico, la gente la odio. Ma l’umanità mi affascina, è un tema ricorrente in tutto quello che scrivo. Soprattutto, mi piace l’imperfezione che si porta dietro, perché vuol dire che c’è sempre margine di miglioramento. Forse è per questo che i miti greci mi sono sempre piaciuti tanto, perché gli dei erano idealizzati sia nel bene che nel male. Gli sono state attribuite debolezze del tutto umane perché, se persino loro, nella loro magnificenza, sbagliavano, cosa ci si poteva aspettare dai comuni mortali? Con Cedric ho seguito le linee guida di 3000 anni fa. 3)Per non parlare di Psiche… Nella mia recensione la definì: La sfiga fatta donna, ma sul serio, come si può essere così sfigati ed essere ancora vivi? Psiche non è sfigata, è diversamente fortunata. E lo dico davvero: nonostante tutto, è ancora viva, no? Se non è fortuna questa... 4)Sfiga a parte, anche lei è un personaggio complesso, con tante sfaccettature, è solo frutto della tua fantasia o ti sei ispirata a qualcuno? Psiche è l’unico personaggio di tutto il romanzo che ho inventato da zero, questo perché avevo bisogno di contrapporla a Cedric. O meglio, in realtà Psiche è proprio come Ced ma, a differenza sua, si piace così e riesce ad accettarsi per quello che è. Beh, il più delle volte, almeno. 5)Mentre leggevo alcune parti, Cedric mi ha fatto venire in mente un personaggio di “Che Dio ci aiuti”. Lui è praticamente la Azzurra Leonardi dell’Olimpo, c’è qualcosa di lei in lui? Non ho visto “Che Dio ci aiuti” e non so chi sia Azzurra, ma, se mi dici così, magari recupero qualche puntata. 6)La vicenda all’inizio sembra complicata e di difficile risoluzione, ma non ho impiegato molto a capire quale fosse il vero obbiettivo, vedere come lo hai fatto penare per arrivarci è stato davvero divertente. Come si costruisce una trama complicata e allo stesso tempo ironica? Questa domanda me la faccio ogni santo giorno. Se c’è qualcuno all’ascolto (o alla lettura) che ha la risposta, per favore, mi chiami. Posso pagare in biscotti – senza zucchero, senza glutine e senza proteine del latte. 7)Ho visto sulla tua pagina che hai scritto un altro libro: la ruota del divenire, 1-energia. Mi è sembrato di capire che questa volta il protagonista arrivi dall’Eden. Come mai i tuoi personaggi arrivano sempre da luoghi fantastici, ma vivono la loro storia sulla terra? Mi piace inventare nuovi mondi e immaginare che, in qualche modo, siano legati al nostro. Credo che sia molto interessante il confronto tra la nostra realtà e quella che potrebbe essere e, in qualche modo, mi fa sentire le storie più vicine. 8)Normalmente non leggo fantasy, ma il tuo mi ha colpito e devo essere sincera, lo rileggerei. Pensi che scriverai anche altri generi? C’è un genere che non potresti mai scrivere? “Una persona non si giudica dai libri che legge, ma da quelli che rilegge.” (cit.) Per cui attenzione a ciò che decidi di rileggere. Scherzi a parte, ti ringrazio, è davvero un grande complimento per me. La scrittura è anche crescita, per cui non posso escludere che un giorno deciderò di avventurarmi in altre strade. Per il momento, mi trovo bene dove sto. Il problema è che non ho idea di dove sto. Tendo all’urban fantasy/fantasy contemporaneo YA con (ampie) sfumature romantiche e un pizzico di umorismo. Al momento Cedric è l’esperimento di cambio genere più estremo che abbia fatto. Insomma, c’è molto più humor e meno miele che negli altri miei romanzi. Invece un genere che non potrei scrivere è l’horror. Sono dell’idea che per emozionare il lettore prima di tutto debba emozionarsi l’autore. E il mood “inquietata a morte” non lo reggo a lungo. 9)Pensando al passato, cosa ti spinto a scrivere? Com’è nata la tua passione? Non sono mai stata molto brava a parlare, sono impulsiva, dico cose di cui mi pento in continuazione e ho un vero talento per distrarmi, così spesso perdo il filo, travalico l’argomento, non arrivo mai al punto. A volte parlo troppo, altre troppo poco, poi passo le ore a rivivere certe conversazioni chiedendomi perché non ho detto qualcosa, o perché l’ho detto, o perché ho detto questo piuttosto che quello. E comunque non credo di riuscire a esprimermi appieno. Scrivere è il modo di comunicare che sento davvero mio, da sempre. Come diceva Calvino, non arrivo mai a essere davvero soddisfatta delle mie parole, ma almeno posso eliminare le ragioni d’insoddisfazione di cui mi rendo conto. 10)Quali sono i tuoi autori preferiti? Cosa ti piace leggere? Mi piace leggere principalmente Fantasy e Sci-Fi, ma sono abbastanza onnivora e non parto mai con pregiudizi. Non saprei scegliere un autore preferito perché ho nomi, tra le letture che ho amato di più, che poi con altre loro opere non mi sono piaciuti per niente. E autori che ho comprato più spesso perché li leggevo con piacere, che però non sono mai arrivati a colpirmi così tanto da dire che li amo alla follia. Per cui boh, probabilmente sono strana. Coi cantanti sono peggio, comunque. 11) Se pensi al tuo futuro, dove ti vedi tra dieci anni? Sempre qui, sul balcone di casa, col PC davanti, le cuffie nelle orecchie e una candela alla citronella accesa (che tanto non funziona, perché qua abbiamo le zanzare corazzate). Però più vecchia di dieci anni. 12)Tra i tuoi due libri, qual è stato più difficile scrivere? Il terzo. Davvero, in autunno esce il secondo libro della Ruota del Divenire e sto impazzendo, mi maledico ogni dieci minuti per certe scelte stilistiche. Volevo uccidere tutti al capitolo due, ma la mia editor dice che dodici pagine non fanno un libro. Guastafeste. 13)Hai usato dei prestavolto per Cedric e Psiche? Chi? No, perché non amo imporre la mia visione dei personaggi ai lettori, ma poi posto i disegnini scrausi fatti da me, quindi, ora che ci penso, sono un po’ incoerente. 14) Ho notato una certa padronanza nell’uso dei termini e delle firme d’alta moda, è una tua passione? Ho fatto da testimone di nozze alla mia editor, e volevo andarci in tuta e scarpe da ginnastica (a mia discolpa, lei mi aveva autorizzata). Alla fine ho fatto lo sforzo di mettere i jeans e i sandali aperti. Senza tacco, ovviamente. No, persino Psiche ne capisce più di me, di moda, e penso che questo dica tutto. Cedric mi ha costretta a studiare, ma la padronanza dei termini è tutto ciò che sono riuscita ad acquisire. Nessuno mi vorrebbe come personal shopper, fidati. 15)Hai un sogno nel cassetto? Quale? Che la nutrizionista al prossimo controllo mi dica: «Questo mese puoi mangiare solo gelato e crema catalana». L’ho detto che sono a dieta? Ho scoperto di essere intollerante a tutto ciò che è commestibile. Ma, a parte questo, non credo di averne. Dovrei controllare bene il cassetto, magari è rimasto qualcosa tra i calzini spaiati, però avevo deciso di tirare fuori tutti i sogni e cominciare a realizzarli, che lasciarli là dentro mi sembrava troppo triste. 16)Ultima domanda: stai lavorando a qualcosa di nuovo? Puoi anticiparci qualcosa? Come ho detto prima, in autunno esce – se non gli do fuoco prima, certo – il secondo libro de “La Ruota del Divenire”. A settembre ci sarà anche un rilancio del primo libro, che è uscito due anni fa un po’ troppo alla chetichella, e avrà un nuovo titolo. Questo perché Ultima Stesura, l’associazione di autrici indie di cui faccio parte, sta crescendo, e adesso abbiamo quello che definiamo “il nostro dipartimento di marketing” che mi sta seguendo con amorevole premura (leggi: mi sta col fiato sul collo, fra un po’ mi appare persino in sogno la notte). Nel frattempo sto scrivendo anche un altro urban fantasy, questa volta a sfondo astrologico, perché è un campo che conosco abbastanza bene mio malgrado e che mi diverte molto. Spero di non fare come con Love & Psiche e di restare fedele ai miei propositi, o temo che mi troverò presto in mezzo a un attacco di papere marziane. Infine ho in progetto di scrivere anche un racconto breve sequel di Love & Psiche, la struttura è pronta, ma devo prepararmi psicologicamente a trattare di nuovo con Ced. Lo so, sarebbe stato più facile scolarsi un barile di AK-47, ma purtroppo sono astemia. Rael è arrivato il momento dei saluti, io e tutto lo staff di Recensioni Young Adult, ti ringraziamo per la tua disponibilità e ti invitiamo a tornare col tuo prossimo lavoro, a presto, Jenny. Grazie e a te e a tutto lo staff. Buon lavoro!
DUE CHIACCHIERE IN COMPAGNIA di Rael J. Kailani
Autrice consigliata : monique vane SERVIZI ONLINE PER IL TUO LIBRO Read the full article
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purpleavenuecupcake · 5 years ago
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Cos’è segreto, cos’è riservatezza, cos’è privacy in tempi di Coronavirus
(di Biagino Costanzo - Socio AIDR e co-founder di KNOSSO) In tempi di emergenza sanitaria dovuta alla pandemia COVID-19, centrale sta diventando il dibattito anche sull’applicazione voluta da Governo ma non ancora operativa denominata, per il momento, “Immuni”. Si è detto di tutto di più sulla utilità del suo utilizzo e sui rischi nell’uso.
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Provando a fare un po’ di chiarezza semplificando, si è compreso che l’app potrà essere scaricata, su base volontaria e gratis, dal play store Android e dall’Apple store per dispositivi iOS (il download non sarà quindi disponibile, almeno inizialmente, su Windows Phone, su feature phone e su telefoni Android sprovvisti del play store). L’App “Immuni”, sarà composta da due parti, una dedicata al contact tracing vero e proprio, via Bluetooth, e l’altra destinata ad conservare una specie di “diario clinico” in cui l’utente possa annotare tempo per tempo dati relativi alle proprie condizioni di salute, come la presenza di sintomi compatibili con il virus. In poche parole quando il soggetto che ha scaricato l’app risulta positivo al virus, gli operatori sanitari gli forniscono un codice di autorizzazione con il quale questi può scaricare su un server ministeriale il proprio codice anonimo, se l’app riconosce tra i codici nella propria memoria un codice di un contagiato, visualizza la notifica all’utente. I dubbi nascono da chi crede che, per quanto si afferma, che tutti i dati dei cittadini che la useranno resteranno su un server pubblico e dopo un tot di tempo distrutti, la società che gestirà Immuni potrebbe, nonostante quel che si dice, conservare i dati in “altro” server o quanto meno il tutto potrebbe essere penetrabile dagli hacker o da servizi di sicurezza stranieri. Come sappiamo il diritto alla protezione dei dati personali non è assoluto e può essere limitato ai fini del perseguimento di un obiettivo di interesse pubblico generale preminente o per proteggere diritti e libertà altrui, quindi anche l’emergenza per il Coronavirus non fa eccezione. Però è comprensibile il peso della vicenda, essere a conoscenza che i nostri dati, addirittura clinici, i nostri spostamenti, i nostri contatti etc etc, anche se dopo un certo tempo vengono distrutti, potrebbero comunque finire in copia in qualche altro centro di raccolta dati, apre scenari pericolosi con una percentuale, credo, molto alta della nostra popolazione a rischio intrusione. Cosa significano quindi anche in questi tempi, termini come riserbo, riservatezza e segreto! Innanzitutto iniziamo da quest’ultima e dall’origine della parola, dall’antico latino “secretum” o greco “kriptos”. Il segreto è una informazione che non viene rivelata ovvero che non deve o non dovrebbe essere rilevata, perché, se lo fosse, recherebbe nocumento ad una comunità, ad uno Stato, a chi la rivela e talora a chi la riceve. In tal senso si parla di segreto di Stato, segreti di ufficio, segreto bancario, segreto militare, segreto industriale (esempio classico il segreto custodito ad Atlanta per quanto riguarda la formula della Coca Cola). Tali segreti possono essere violati su disposizione della magistratura inquirente, per l’apertura degli archivi di Stato, per imprudenza, per dolo mirato, e il più delle volte per soldi, tradimento e per spionaggio. Conservare un segreto può essere dovuto a riserbo e fa parte del riserbo anche il segreto personale che scompare con la morte del suo possessore. Il riserbo non riguarda solo degli atti inconfessabili, perché qualcuno può legittimamente desiderare di non rendere pubbliche le proprie malattie, (ritornando appunto all’attuale emergenza), le proprie appartenenze religiose, le preferenze politiche, i propri gusti sessuali e perché no le proprie passioni. Questo è il diritto al riserbo che viene sempre più a perdere valore in un a società sempre più massmediatica, informatica, dove la rinuncia alla riservatezza prende ormai la forma del più estremo esibizionismo. Pensiamo all’invasione cosi tanto decantata dei social network che, come molte le cose, da un’ottima intuizione si sono trasformati, spesso, in un cambiamento profondo delle abitudini umane arrivando ad alimentare stupidità, odio, rancore, rabbia, mistificazione della verità, fino alla manipolazione e all’abuso della credulità sociale. Si mette nella piazza pubblica virtuale di tutto e di più esponendo le cose più intime, affermando cose insensate, alimentando, a volte, anarchie varie, esponendo anche l’ingenuità dei propri piccoli verso gentaglia malata che sta lì pronta a rendersi pericolosa. Si trasferiscono sui social, scioccamente, tanti e tali informazioni personali, da far metter a rischio la propria incolumità e quella dei propri cari da parte di tanti delinquenti anche loro ben presenti sulle piattaforme social, pronti a carpire anche i più banali vostri segreti per trarne vantaggi personali. E in queste ultimi anni abbiamo anche contato tanti morti a causa del cyber bullismo, suicidi di ragazze e ragazzi che non reggono la pressione dopo esser rimaste vittime del branco, non solo fisicamente a scuola, nella vita sociale, ma anche ora, sul web. Una volta questa valvola di sfogo era il pettegolezzo. Odioso anch’esso ma il pettegolezzo classico si faceva nei villaggi, in portineria, all’osteria, ai bar, era, forzando un po’ l’analisi, un elemento di coesione sociale perché gli spettegolanti non di rado invece di godere delle sventure degli spettegolati ne provavano o esibivano compassione. Esso stesso funzionava se le vittime non erano presenti o non sapevano di esser tali o salvavano la faccia facendo finta di non saperlo. Oggi la televisione ha ideato format in cui chiunque può divenire vittima famosa presentandosi a spettegolare su sé stesso. Si assiste ad un trash spaventoso dove per un obolo, a volte misero, si presentano intere famiglie a sviscerare problemi intimi, di eredità, di rapporti logori, o coniugi che si rinfacciavano tradimenti o che impietosamente e reciprocamente si rinfacciavano addirittura le loro incapacità sessuali. Quindi, minata l’epoca del riserbo, sopravvive invece da millenni l’idea del segreto, che per esser tale, dalla antichità, doveva essere misterico innanzitutto. Infatti, il filosofo Simmel ricorda che gli uomini per natura sono avidi degli stessi e chi è ritenuto di possedere dei segreti non ancora svelati acquista sempre una forma di potere perché chi sa un giorno cosa potrebbe svelare. È sempre stato un principio delle polizie e dei servizi di sicurezza e informazione di tutto il mondo, che più cose si sanno e più si prevengono atti destabilizzanti e pericolosi, più si sa è più quindi si ha potere o anche si mostra di sapere. Il problema è non cadere nella tentazione di divulgare i segreti di cui si è in possesso, in questo caso amo citare Gibran quando afferma “Se riveli al vento i tuoi segreti, non devi poi rimproverare al vento di rivelarli agli alberi”. Sempre Simmel afferma che la caratteristica tipica delle società segrete è l’invisibilità, e se riflettiamo, si sono sempre voluti invisibili le associazioni segrete. Pensiamo ai Carbonari o all’Ordine dei Templari, che poi molti di loro finissero sulla ghigliottina o al rogo non dipende tanto dal fatto che fosse trapelato il segreto che custodivano, quando dal fatto che, se alla fine l’obiettivo di una associazione è, per esempio, ordire una rivoluzione, il segreto cessa di esser tale quando la rivoluzione esplode. Ovvero ci sono dei segreti, come quello di un Gruppo industriale che voglia organizzare un’OPA per la conquista di un pacchetto azionario, che cessano di esser segreti quando la scalata va a buon fine o quando fallisce platealmente. Davanti ad una crisi che da sanitaria sta, purtroppo e velocemente diventando sociale, culturale ed economica, vorrei porre una ulteriore riflessione su un aspetto del concetto di “segreto” ovvero i segreti industriali. Albert Einstein affermava che “Il segreto della creatività è saper nascondere le proprie fonti”. In tempi di libera concorrenza e globalizzazione dei mercati, la protezione del segreto industriale riveste sempre più un ruolo strategico per una Impresa, unitamente alla protezione e difesa delle proprie innovazioni e nuove soluzioni, siano esse funzionali o estetiche, nonché dei propri segni distintivi. Dal processo produttivo di un oggetto alla sua commercializzazione è lunga la serie delle informazioni non brevettabili, che sia per scelta o impossibilità. Eppure queste informazioni, che possono essere tecniche o aziendali, per chi le detiene rappresentano un grande valore economico e per i concorrenti un indubbio vantaggio, se solo le potessero conoscere. Ogni impresa detiene dei segreti generati durante l'attività imprenditoriale. Alcuni illuminati imprenditori sono talmente consapevoli dell'importanza di tali segreti da ricorrere a specifiche leggi per ottenere un'adeguata protezione. La maggior parte delle imprese però, si rende conto della loro importanza soltanto quando il segreto è già stato svelato. É in questo frangente che si rendono conto di aver posseduto qualcosa avente un valore che meritava di essere protetto. Considerando, la rapidità con cui muta la tecnologia al giorno d'oggi, la protezione del segreto industriale, in alcuni casi, rappresenta il diritto di primazia intellettuale più attrattivo, interessante, efficiente e facilmente accessibile. La definizione giuridica di segreto industriale e di segreto aziendale passa attraverso la definizione della parola “segreto”. Il nostro ordinamento giuridico utilizza questo termine per indicare un documento o un’informazione che deve rimanere nella sfera di conoscenza dell’autore. Affinché le informazioni in possesso di un’impresa risultino protette dalla legge, è necessario che esse, oltre a costituire un valore aziendale, siano mantenute segrete. Affinché queste informazioni siano suscettibili di utilizzazione economica e quindi degne di tutela giuridica, devono essere: informazioni tecniche, tecnologiche, finanziarie, di marketing, commerciali o strategiche, sotto forma di relazioni, comunicazioni anche di carattere interno, studi, rapporti, elenchi, dati, tabelle, schede, tabulati e quant’altro - sia su supporto cartaceo che magnetico, ottico o magneto-ottico - purché identificabili ed idonee a costituire un patrimonio di utilità aziendale. Identificare il know-how, cioè l’insieme delle informazioni tecniche segrete, su un supporto materiale, è fondamentale in quanto permette di verificare se esso possieda i requisiti di segretezza e di sostanzialità che ne garantiscono la tutela. segrete, in quanto difficilmente accessibili e sufficientemente protette da chi ne è il legittimo titolare. Per dimostrare l’adeguata protezione delle informazioni, al fine di renderle tutelabili ed opponibili, non è sufficiente la buona fede od un semplice cavillo. È necessario, invece, che sia posto in essere un serio criterio di difesa ed una corretta protezione, dimostrabile e documentabile: ad esempio un criterio di difesa prevede circolari interne specifiche, procedure di sicurezza, nda, clausole di riservatezza o di sicurezza, contratti di sicurezza, di segretazione, ecc. E’ necessario che l’insieme organico di tali informazioni, insieme che viene continuamente implementato ed adeguato al variare dei fattori di scambio e nel contempo esplica una propria valenza economicamente importante per l’azienda, come tale, sia segreto e bene proprio dell’azienda. In altre parole, anche se la sequenza delle informazioni, che nel loro insieme costituiscono un tutt’uno per la concretizzazione di una fase economica specifica dell’attività dell’azienda, è costituita da particelle di informazioni di per sé note, qualora detta sequenza sia di per sé non nota e sia considerata segreta in modo fattivo dall’azienda, detta sequenza è di per sé degna di protezione e tutela. Non è necessario infatti che ogni singola informazione sia “non nota” e “non conosciuta”, è necessario invece, che il loro insieme organico sia frutto di un’elaborazione dell’azienda. Proprio in questo modo infatti acquisisce un valore economico aggiuntivo rispetto ai singoli elementi che lo compongono. Si pensi ad esempio ad una complessa strategia per lanciare un prodotto sul mercato: i suoi singoli elementi sono senz’altro noti agli operatori del settore ma l’insieme può essere stato ideato in modo tale da rappresentare un qualcosa di nuovo ed originale e, come tale, un vero e proprio tesoro dal punto di vista concorrenziale per l’ideatore. Il segreto è dunque la leva attraverso cui proteggere i propri valori organizzativi e di avviamento che trovano nel segreto stesso il loro punto di forza. Ecco perché il know-how per essere proteggibile non deve essere accessibile a tutti: se si diffonde perde valore. Inoltre grazie all’adozione delle misure di protezione si crea il presupposto logico dell’abusività della sottrazione da parte di un terzo: non si abusa, infatti, se non di qualcosa sottoposto a misure per la sua salvaguardia. Ecco allora la necessità di regole fondamentali per proteggere le informazioni riservate. Le misure di salvaguardia devono essere rivolte sia all’interno (verso dipendenti o collaboratori) che all’esterno (verso i terzi in generale, come, ad esempio, i fornitori, i clienti, partner, ecc.). In queste settimane si parla tanto di fondi europei, del continuo acquisto dei Titoli degli Stati da parte della BCE, del “famigerato” MES. I Paesi, stanno cercando di trovare un punto di incontro ma si va in ordine sparso. E in questo scenario e su questi rapporti, i partiti di maggioranza litigano tra loro e con l’opposizione, che nel frattempo urla e si intravedono nuovi assetti geopolitici tra chi spinge a non ledere il rapporto storico con gli USA e chi spinge in modo molto sospetto verso la Cina e questo riguarda anche il problema del 5G e la cessione di informazioni personali e il rischio sempre maggiore di sottrazione anche, appunto, di segreti industriali. Come sappiamo il libero mercato ha portato nel nostro il sistema produttivo in generale, e nei settori tlc//automotive/ difesa/sicurezza in particolare, all’acquisizione o alla partnership tra aziende italiane e straniere (per lo più europee). È un dato di fatto, si può fare e, aggiungerei, il più delle volte, per fortuna, vista l’assenza ormai annosa, di investimenti nazionali, altrimenti avremmo decine di medie e anche grandi aziende al collasso con conseguente perdita di migliaia di posti di lavoro. Quindi, bisogna confrontarci con questa realtà senza però cadere nella pura bieca propaganda che sia essa politica o sociale e senza inversamente chinare la testa, evidenziando l’atavico spirito provinciale che pervade purtroppo il Paese da sempre. Ma in questo tempo difficile, in cui tutto sembra il contrario di tutto, e che granitici proclami si sgonfiano nell’incoerenza in poche ore, l’obiettivo da raggiungere è quello di essere semplicemente molto seri, recuperare valori, lavorare con etica e operando con molta attenzione affinché anche la proprietà intellettuale, il bene tangibile ed intangibile prodotto sia protetto. Vi sono tutti gli strumenti per farlo, da quelli convenzionali e conosciuti a quelli normativi e legali, per contrastare il furto dei segreti, che siano industriali, militari, scientifici, ma è necessario appunto non essere superficiali nelle analisi, nelle valutazioni e nelle conclusioni: approfondire ambienti, interconnessioni, controllare “amicizie interessate” cementate da comuni vizi, insomma evitare che su questi temi, ripeto, delicatissimi, serissimi e vitali per la salvaguardia e la protezione della nostra Repubblica e dei nostri interessi nazionali, possa esserci, da pochi per fortuna, faciloneria e sciatteria che mettono a sicuro rischio gli asset industriali italiani più strategici e il futuro stesso del sistema Italia e dunque del bene collettivo. Read the full article
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bangtanitalianchannel · 7 years ago
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[INTERVISTA] BTS X CNN
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L’album del gruppo K-Pop che sta battendo i record conquista tre continenti.
I BTS stanno battendo record in tutto il mondo.
Dagli US alla Polonia, da Hong Kong al Brasile, l’ultimo album ‘Love Yourself: Her’ del gruppo K-Pop mantiene le prime posizioni nelle classifiche degli album più venduti di iTunes in 73 paesi e territori di tre continenti.
Il video del singolo promozionale ‘DNA’ ha raggiunto i 20 milioni di visualizzazioni in quasi 20 ore, battendo i record di Taylor Swift, Katy Perry e Rihanna per quanto riguarda le views in un giorno.
Il gruppo di sette membri, in cui il più grande ha soli 24 anni, è ben conosciuto per i loro record. Nel maggio 2017 il gruppo ha battuto i favoriti d’America Justin Bieber, Selena Gomez e Ariana Grande diventando il primo gruppo K-Pop a vincere un Billboard Music Award.
E per il loro terzo world tour la scorsa primavera i BTS hanno fatto sold out nelle arene degli US – un altro primato tra gli artisti K-Pop.
“Siamo partiti davvero dal fondo,” ha detto il 23enne membro dei BTS Kim Namjoon, colui che scrive parte delle canzoni del gruppo ed essendo l’unico a parlare l’inglese è il portavoce di tutti i membri al di fuori dell’Asia. “Quando abbiamo iniziato nessuno ci dava attenzione,” ha aggiunto.
BTS sta per ‘Beyond The Scene’, un riferimento al loro mix di stili musicali che include pop, hip-hop, R&B e elettronica.
“I BTS fanno tendenza e seguono il loro stile”, ha detto Paul Han, co- fondatore di Allkpop, un sito di gossip e news del mondo K-Pop che vanta 10 milioni di lettori al mese in tutto il mondo. “Se ascoltate le loro vecchie canzoni non cercano di fare una canzone pop orecchiabile. Loro usano dei beat hip-hop, dei giochi di parole intelligenti e dei testi provocatori.”
Il nuovo e quinto album dei BTS riguarda il “superare le barriere, i confini linguistici e connettere le esperienze umane,” ci ha detto Kim al telefono da Seoul.
“Le nostre canzoni parlano delle difficoltà che le persone giovani affrontano, dei loro amori e delle loro vite quotidiane.”
Una delle canzoni, ‘Best Of Me’, è una collaborazione con il duo dj di New York The Chainsmokers, con i quali si sono incontrati ai BBMAs.
“Erano incuriositi da noi,” ha detto Kim. “E noi ovviamente eravamo loro fan.”
Il nuovo album ha un “lato più intenso di EDM e un hip-hop più morbido in confronto agli album precedenti” e “mira ad un pubblico più ampio”, ci ha detto Tamar Herman, che copre la parte K-Pop per Billboard.com, ma ha aggiunto anche che è ancora da vedere se questa strategia possa funzionare a lungo termine.
In passato, ha detto Herman, il loro successo era un mix di etica di lavoro forte e un astuto uso della tecnologia.
“Quello che li distingue è sicuramente il loro (modo di utilizzare i) social media,” ha detto Herman. “Li porta più vicini ai fan e li fa sentire più reali possibili.”
Per molti fan K-Pop, soprattutto quelli negli US, internet rimane l’unico modo per avere accesso ai contenuti K-Pop.
“I BTS hanno eliminato l’intermediario con i loro post sui social media, portando i loro contenuti direttamente ai fan”, ha detto Herman.
“Insieme alla loro musica i BTS, a differenza di molti altri artisti K-Pop, emanano un’atmosfera più accessibile e la loro comunicazione con i fan è molto più frequente a confronto dei piccoli momenti gestiti dalle case discografiche (degli altri artisti K-Pop),” ha aggiunto.
Questo rapporto è stato la chiave della loro vittoria ai Billboard. I loro fan, conosciuti come “ARMY”, hanno votato attraverso Twitter e il sito di Billboard, usando l’hastag #BTSBBMAS più di 300 milioni di volte.
“È diventata un’abitudine essere naturali e sempre aperti,” ha detto Kim. “Twittiamo di cose sceme e (postiamo) ogni piccola cosa.”
“Siamo in sette, se qualcuno non usa i social quel giorno gli altri membri lo fanno. Lo facciamo tutti i giorni. È come lavarsi i denti.”
Il fondatore di Allkpop Han crede che i social media siano il miglior modo per mostrare una rappresentazione più veritiera del gruppo.
“Oltre alla musica se li conosci ti innamori delle loro personalità contagiose,” ha detto Han. “Non vedrai nessuna falsità o atti da diva, loro sembrano tutti genuini, umili e con i piedi per terra.”
I sette hanno tutti sui 20 anni e Kim ci ha raccontato che hanno vissuto nella stessa casa per parecchi anni imparando così a vivere come fratelli.
“A volte litighiamo,” ha detto Kim. “Sappiamo come gestire la cosa e come imparare gli uni dagli altri. Abbiamo un rapporto davvero speciale.”
Kim è l’unico membro dei BTS a sapere bene l’inglese avendolo imparato dai DVD di Friends dati dalla sua mamma.
“La prima volta ho guardato la serie con i sottotitoli in coreano, la seconda con i sottotitoli in inglese e la volta dopo ho cercato di guardarli senza sottotitoli e ho osservato le situazioni che gli americani affrontano,” ha detto Kim. “Friends mi ha aiutato molto.”
Dopo questo album Kim ha detto che stanno pianificando un nuovo tour. Stanno anche discutendo del da farsi per quanto riguarda il prossimo servizio militare, il quale ha già messo in pericolo l’integrità di altri gruppi K-Pop.
E visto che molte fan vogliono sapere quale sia la “ragazza ideale” di Kim lui ha detto che dovrebbe essere qualcuno con cui “parlare per più di un’ora di qualsiasi cosa, famiglia, musica, vita. Qualsiasi cosa di cui possiamo parlare e avere in comune.””
Traduzione a cura di Bangtan Italian Channel Subs (©CiHope) | ©CNN
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preludioefuga-blog · 7 years ago
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Morte di mezza estate e altri racconti, Yukio Mishima
Non è che non mi piacciono i racconti rispetto ai romanzi, ma penso che la maggior parte di essi siano insoddisfacenti. I maestri di questa forma d’arte (Kafka, Cechov eccetera) mostrano, tuttavia, che nella sua forma migliore il racconto è in grado di immortalare qualcosa della vera, spesso banale, profondità dell’esistenza umana come poche altre cose.
Nella lista dei “maestri di questa forma d’arte” voglio ora aggiungere Yukio Mishima. Sembra impossibile parlare di Mishima senza citare la sua strana vita privata e le sue peculiari convinzioni. Sulla base del titolo, “Morte di mezza estate”, su altre recensioni che ho letto nonché sulla biografia dell’autore, sono rimasta sorpresa dalla “normalità” di queste, esenti da perversioni e scandali. Sono, nel complesso, racconti domestici, che si concentrano sulle relazioni interpersonali come il matrimonio e i figli. Ci ricorda che per quanto alcuni aspetti della vita di un individuo siano strani, non tiene conto della persona nella sua interezza: Mishima sarà stato un fanatico, un fascista, un pazzo, ma aveva sicuramente un lato dolce e comprensivo, che comportava una profonda conoscenza della gente comune, altrimenti non sarebbe mai stato in grado di scrivere queste storie.
Detto questo, il racconto più famoso della raccolta, “Patriottismo”, è una delle cose più inquietanti che abbia mai letto. Presenta una coppia, un tenente dell’esercito e sua moglie, che commettono seppuku (suicidio), uno tramite l’harakiri (autosventramento) e l’altra pugnalandosi alla gola. Il marito muore per preservare l’onore. Non vuole attaccare un gruppo di ribelli poiché crede nella loro causa, quindi invece di obbedire agli ordini si uccide. Per me quest’azione è indubbiamente affascinante, questa dedizione assoluta, fatale nei confronti dei propri principi. Se mi guardo attorno, ho l’impressione che l’onore e l’integrità scarseggino, che oggi la maggior parte della gente tenga davvero soltanto a sé stessa e ai propri vantaggi e quindi anche se non auguro a nessuno una morte tanto raccapricciante, ammiro lo stesso il tenente Shinji Takeyama.
Per i lettori sensibili, è necessario sottolineare che Mishima non batte ciglio. Nella storia, la moglie viene chiamata ad assistere, a testimoniare all’evento e noi, come lettori, veniamo messi nella stessa condizione. Restiamo quindi con il tenente mentre si apre lentamente lo stomaco, mentre gli cadono le interiora, mentre esala il suo ultimo respiro. È una scena brillantemente scritta, ma resta comunque incredibilmente spiacevole. Sapendo ciò che sappiamo di Mishima (anche lui commise seppuku), sarebbe allettante vedere in “Patriottismo” (soprattutto considerando il titolo) una forma di propaganda, una specie di lettera d’amore al nazionalismo e al suicidio rituale. Indubbiamente descrive il seppuku in modo entusiasta. Ad esempio, secondo Mishima, Shinji “contemplava la morte con sopracciglia severe e con labbra serrate” e “mostrava quale fosse la bellezza virile nella sua forma più superba”.
Tuttavia, è interessante che in quanto parte della raccolta di “Morte di mezza estate”, “Patriottismo” mi è sembrata una storia più sul matrimonio e sull’intimità che sul suicidio. I due personaggi hanno un forte rapporto affettivo, provato non solo dall’accettazione della moglie nel seguire il marito nella morte (muore per suo marito, non per una causa o un principio), ma anche dal modo in cui lui la prega di essere testimone al suo decesso (il che è insolito). Inoltre, facendo ciò lui si fida del fatto che lei lo seguirà e che non cercherà di salvarlo una volta che l’atto è stato cominciato. In effetti, la decisione di morire provoca un’intimità e un amore ancora più forte tra di loro, che arrivano ad avere un rapporto sessuale prima del rituale. Dimenticando per un momento il seppuku, si può considerare la storia un’indagine sull’idea che la mortalità dia slancio alla vita; la morte imminente rafforza l’amore e la gratitudine all’interno della coppia.
“Reiko non aveva tenuto un diario, e le fu ora negato il piacere di rileggere il resoconto della felicità degli ultimi mesi e di affidare ogni pagina alle fiamme”.
Mentre “Patriottismo” è la storia più famigerata della raccolta (e l’ho apprezzata, per quanto possibile), non è probabilmente il migliore. Questo riconoscimento va al racconto che dà il nome alla raccolta, nonché il più lungo. “Morte di mezza estate” inizia in una spiaggia che “per i bagni non è ancora perduta” e dove la sabbia è “bianca e abbondante”. Sono presenti tre bambini con la loro zia, mentre la madre si riposa in hotel. All’inizio sembra tutto idilliaco, ma nell’aria c’è qualcosa di inquietante. Prima di tutto, la madre ha “un’aria fresca da ragazzina”, quasi suggerendo che non dovrebbe ancora avere figli, soprattutto perché non è con loro, li ha lasciati andare via con qualcun altro. Ancora più preoccupante è la frase “si era nel pieno dell’estate e i raggi del sole picchiavano rabbiosi”. Dove o a cosa o a chi è rivolto questo rancore?
Non avremo mai una risposta diretta a questa domanda, ma in breve tempo il significato del titolo diventa evidente. La zia e due dei tre bambini muoiono. Da questo punto in poi, “Morte di mezza estate” diventa un’indagine onesta e commovente sulla natura del dolore. Come era prevedibile, la madre incolpa sé stessa, soprattutto perché la zia non è in vita per assumersi la responsabilità: infatti, paragona informare suo marito (che non era in vacanza con il resto della famiglia) dell’incidente a dover presentarsi di fronte a un giudice. L’ho trovato del tutto credibile, che la persona sia davvero responsabile o meno (e in questo caso direi di no), non è strano sentirsi in colpa di qualcosa quando una tragedia avviene nelle vicinanze. Ci si sente in colpa di vivere, di evitare problemi o la morte. Mishima si sofferma anche sui sensi di colpa provati da coloro che sopravvivono a una tragedia quando si accorgono di star voltando pagina, come se una cosa del genere non dovesse essere possibile se si ha davvero amato la persona defunta. La madre si considera di nuovo una criminale e paragona l’andare avanti con la propria vita al farla franca con un crimine.
Ci sono quasi troppe introspezioni psicologiche; ogni paragrafo, quasi ogni frase contiene qualche costatazione commovente. Come quando il marito riceve la notizia e la paragona al licenziamento. O quando chiede un chiarimento, anche se sa che la notizia non cambierà la seconda volta. O quando la moglie ammette che il dolore dovrebbe essere accompagnato da privilegi speciali. O quando Mishima nota che la morte è una questione amministrativa, che comprende alcune risposte attese e molte cose da organizzare. O, infine, quando sottolinea la povertà delle emozioni umane, laddove la reazione è la stessa sia quando a morire è una persona sola o dieci. Potrei scrivere un intero paragrafo di ognuno di questi temi, ma non lo farò. Voglio solo dire che, come in “Patriottismo”, se “Morte di mezza estate” fosse stato in mani meno capaci e meno sensibili sarebbe stato un racconto eccessivamente melodrammatico. L’autore merita un elogio per aver spostato il cuore del racconto dai bambini morti alla coppia in lutto che sopravvive restando insieme.
Ci sono, ovviamente, altri racconti, ma non mi ci soffermerò. Voglio, tuttavia, indugiare brevemente sulla delicatezza di Mishima in quanto scrittore. A volte mi stanco delle eccessive esplicitazioni, quando i come e i perché e i cosa vengono rivangati in dettaglio. Mishima non lo fa. Al contrario, due racconti mi hanno fatto restare perplessa finché non ho chiuso il libro per pensarci un attimo, poiché ciò che era successo non era immediatamente chiaro, ma ambiguo. Mi piace dover lavorare un po’, impegnare la mia mente, interpretare i gesti e le reazioni. Ad esempio, in “La paura dei thermos”, Mishima non ti dice esplicitamente che la moglie è stata infedele, eppure è sottinteso nel modo in cui “l’altro” parla del figlio della coppia, con autorevolezza, come se lo conoscesse in un modo sbagliato. Penso l’autore l’abbia gestito brillantemente e lo stesso posso dirlo per “Tre milioni di yen”. L’unico racconto che non ha catturato la mia attenzione è stato Onnagata, il che forse la dice lunga sul resto delle storie.
Voto: 8/10
- F
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teahatestea · 6 years ago
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Un cortile di palazzina
Sono le sette e trentadue e qui è un cortile di palazzina. Non so se l’avete presente un cortile di palazzina. È uno di quelli in cui in genere si affaccia una signora dal balcone, ne vede un’altra dalla parte opposta, o sotto o sopra, e le si mette parlare di qualunque cosa. Nessuno dice mai che c’è un codice di leggi non scritte, eppure è così per tutto ed anche per i condomìni. Una di esse recita “Se ci sono ragazzini che giocano e gridano in cortile, la signora sul balcone li deve minacciare prepotentemente”. La legge poi si interrompe, non specificando le modalità di attuazione. È qui che si vede il valore di una minacciatrice, la sua fantasia, la sua personalità. Sebbene si potrebbe prodigare in originali arrangiamenti, i classici non stancano mai. “Mo ve lo buco ‘sto pallone” - in questa specifica accezione la palazzina si troverebbe nel basso Lazio, ma si dice che il concetto sia espresso pressoché così da tutte le parti. Il suo vicino, sempre per legge, deve ascoltare musiche cult ad orari improbabili del giorno, e per puro senso civico diffondere la sua cultura al resto dei condòmini, scegliendo una frequenza sonora il più vicina possibile ai 2000 Hertz – ma solo perché oltre questo valore le orecchie umane scoppierebbero per mediocrità. La signora a questo punto è obbligata a colpire la parete che dà sull’appartamento del disturbatore tante volte quante le parole del ritornello (chi ha istituito questa legge si è proprio divertito) con tutti gli elettrodomestici che ha in casa; è dura farlo anche durante la canzone “tutto il resto è noia noia noia”, quella è proprio la sua preferita. Tuttavia, la legge, il ruolo che uno ricopre, a volte inducono a fare cose indesiderate. È senso di responsabilità.
Ora: Se la signora come l’abbiamo immaginata non esistesse? se quei bambini non si conoscessero o non giocassero a pallone. Se neanche volessero giocare a qualcos’altro. Se alla base dell’istituzione “palazzina” non ci fossero leggi. Di certo il telegiornale cercherebbe le motivazioni di tale scelta sociale, l’evoluzionismo esulterebbe: gli uomini avrebbero finalmente iniziato a farsi gli affari loro. La società condominiale era una cosa in fin dei conti molto sbagliata.
Ed anche se non è successo, anche se siamo salvi e le palazzine esistono ancora, è purtroppo improbabile che il condominio ed i suoi abitanti siano come li abbiamo immaginati noi.
Alle sette e trentadue di un giorno qualunque uno di noi arriva e trova due grandi schermi nel cortile di palazzina. Sono illuminati e funzionanti sia i lampioni delle strade che il sole su in cielo. Cautamente guarda i condòmini disporsi sulle sedie, parlarsi e fare un po’ di confusione, poi si siede. Li passa in rassegna e affida loro i ruoli che ci piace immaginare. Lo sa che le cose non stanno mai come uno le figura. Lui ci crede comunque. Aspetta l’inizio del film.
Facciamo cose insensate e per quanto possiamo convincerci che almeno per noi un senso lo abbiano, non è vero. Di cose insensate ci riempiamo le giornate, le vite e pure i condomìni. Invece poi - a quell’ora in cui sono accese tutte luci insieme - signora, ragazzini e disturbatore (con orecchie sovrasviluppate annesse) sono scesi a guardarsi il film.
E quell’uno di noi, acceso pure lui, non vuole sapere quale versione delle cose sia quella vera. Sempre che ci sia una versione vera, sempre che qualcuno la conosca mai.
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sbnkalny · 3 years ago
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A voiricordo solo CIO DI cui ebbi a farvi raccomandazione fin da principio, di non protestare con schiamazzi SE interrogonel Modo Che MI e solito.-C’è qualcuno, o Melèto, Che crede che non CI siano uomini?… fate, ocittadini, CHE egli risponda, invece di protestare a dritta e a T t 🇪 r S
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intotheclash · 2 years ago
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Puntiamo lo sguardo oltre l’infamia, per indovinare un altro mondo possibile: l’aria sarà pulita da tutto il veleno che non venga dalla paure umane e dalle umane passioni; nelle strade, le automobili saranno schiacciate dai cani; la gente non sarà guidata dalla automobile, non sarà programmata dai calcolatori, né sarà comprata dal supermercato, né osservata dalla televisione; la televisione cesserà d’essere il membro più importante della famiglia e sarà trattato come una lavatrice o un ferro da stiro; la gente lavorerà per vivere, invece di vivere per lavorare; ai codici penali si aggiungerà il delitto di stupidità che commettono coloro che vivono per avere e guadagnare, invece di vivere unicamente per vivere, come il passero che canta senza saper di cantare e come il bimbo che gioca senza saper di giocare; in nessun paese verranno arrestati i ragazzi che rifiutano di compiere il servizio militare; gli economisti non paragoneranno il livello di vita a quello di consumo, né paragoneranno la qualità della vita alla quantità delle cose; i cuochi non crederanno che alle aragoste piaccia essere cucinate vive; gli storici non crederanno che ai paesi piaccia essere invasi; i politici non crederanno che ai poveri piaccia mangiare promesse; la solennità non sarà più una virtu', e nessuno prenderà sul serio chiunque non sia capace di prendersi in giro; la morte e il denaro perderanno i loro magici poteri, e né per fortuna né per sfortuna, la canaglia si trasformerà in virtuoso cavaliere; nessuno sarà considerato eroe o tonto perché fa quel che crede giusto invece di fare ciò che più gli conviene; il mondo non sarà più in guerra contro i poveri, ma contro la povertà, e l’industria militare sarà costretta a dichiararsi in fallimento; il cibo non sarà una mercanzia, né sarà la comunicazione un’affare, perché cibo e comunicazione sono diritti umani; nessuno morirà di fame, perché nessuno morirà d’indigestione; i bambini di strada non saranno trattati come spazzatura, perché non ci saranno bambini di strada; i bambini ricchi non saranno trattati come fossero denaro, perché non ci saranno bambini ricchi; l’educazione non sarà il privilegio di chi può pagarla; la polizia non sarà la maledizione di chi non può comprarla; la giustizia e la libertà, gemelli siamesi condannati alla separazione, torneranno a congiungersi, ben aderenti, schiena contro schiena; una donna nera, sarà presidente del Brasile e un’altra donna nera, sarà presidente degli Stati Uniti d’America; una donna india governerà il Guatemala e un’altra il Perù; in Argentina, le pazze di Plaza de Mayo saranno un esempio di salute mentale, poiché rifiutarono di dimenticare nei tempi dell’amnesia obbligatoria; la Santa Chiesa correggerà gli errori delle tavole di Mosè, e il sesto comandamento ordinerà di festeggiare il corpo; la Chiesa stessa detterà un altro comandamento dimenticato da Dio: “Amerai la natura in ogni sua forma”; saranno riforestati i deserti del mondo e i deserti dell’anima; i disperati diverranno speranzosi e i perduti saranno incontrati, poiché costoro sono quelli che si disperarono per il tanto sperare e si persero per il tanto cercare; saremo compatrioti e contemporanei di tutti coloro che possiedono desiderio di giustizia e desiderio di bellezza, non importa dove siano nati o quando abbiano vissuto, giacche' le frontiere del mondo e del tempo non conteranno più nulla; la perfezione continuerà ad essere il noioso privilegio degli dei; però, in questo mondo semplice e fottuto ogni notte sarà vissuta come se fosse l’ultima e ogni giorno come se fosse il primo.
(Eduardo Galeano)
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fiammatricoloresicilia · 7 years ago
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L’Italia del volontariato.
La parola “cult” degli anni 2000 è, senza ombra di dubbio, “volontario”.
I volontari proliferano, ci sono in ogni settore, fanno di tutto, sostituiscono tutti.
Ci sono volontari nella pulizia dell’ambiente, nella promozione turistica delle “Pro Loco”, nella sicurezza, volontari ci sono nel trasporto degli infermi e nella sanità in genere.
Ci sono volontari che salvano vite umane in mare e quelli che spengono incendi, insomma ovunque giri lo sguardo trovi volontari. Tutti sono buoni e si offrono per alleviare le pene del mondo.
Stante così le cose parrebbe che la malvagità sia stata debellata nel mondo, invaso com’è da volontari pronti a ogni sacrificio pur di realizzare il bene.
Così i bambini sono salvati dall’Unicef e da Save the children, i malati cronici sono assistiti da varie organizzazioni formate anch’esse da volontari, i Comuni sono invasi da orde di volontari che puliscono Piazze, strade, litorali e torrenti, i clandestini sono salvati dalle ONG come la Juventa, volontari anch’essi, e potremmo continuare con una lunghissima lista.
Ma credo che il concetto sia chiaro.
Ora, io dico: il volontario è colui che offre la sua disponibilità a sostegno e in aiuto a qualcosa o qualcuno in difficoltà, lo fa a titolo gratuito, e senza vincolo alcuno.
Questa, credo, sia la condizione minima per potersi definire volontario e volontariato il lavoro che si svolge.
E’ realmente così anche per tutti quei “volontari” che abbiamo indicato prima?
Non credo! Basta guardare i bilanci degli enti pubblici, come e quanto intervengono economicamente per sostenere le associazioni di volontariato sparse per il mondo; basta vedere gli stipendi che percepiscono i dirigenti di queste associazioni, basta vedere i “rimborsi spese” (stipendi) che percepiscono i volontari di ogni associazione.
Cosa voglio dire?
Voglio dire il volontario dovrebbe intervenire solo in casi eccezionali, un improvviso evento imprevedibile che per la sua eccezionalità richiede interventi straordinari non programmabili, e quindi si fa affidamento a chi, di buon cuore, si mette a disposizione della collettività. Ovviamente ciò per un periodo definito e a titolo assolutamente gratuito.
Quando questo impegno è a tempo indeterminato e soggetto a pagamento, allora non si parli di volontariato ma di Lavoro.
Cosa giusta e necessaria ma che non può essere spacciata per attività umanitaria.
Quando poi questo avviene per scopi oscuri e illeciti, procacciamento di voti, assistenzialismo, speculazioni economiche, la cosa è assolutamente ripugnante.
Bisogna porre mano, e presto, a questo mondo sommerso fatto di privilegi, di raccomandazioni, di ricatti.
Bisogna accendere i fari su organizzazioni internazionali e nazionali che hanno fatto del Volontariato uno strumento per lucrare, in barba a chi veramente crede nell’opera di servizio gratuita e perciò veramente volontaria.
Quando, invece, si opera nella normalità, devono essere gli Enti preposti ad assolvere i compiti che attualmente sono espletati dai volontari. Gli Enti, siano essi Comuni regioni o Stati, hanno tra i loro compiti proprio quelli che, invece, demandano alle associazioni di volontariato.
E i motivi di ciò, non sempre trasparenti, li abbiamo succintamente scritti qualche riga più su.
Mario Settineri
Segreteria nazionale MSFT
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pangeanews · 4 years ago
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“Hanno dato il Nobel a Claude Simon per confermare la diceria che il romanzo è finalmente morto?”. Uno scrittore di genio che stava sulle scatole a tutti: troppo complicato, antipatico, poco allineato
Leggi il discorso Nobel di Claude Simon e senti un’intelligenza limpida, sicura mentre scavalca gli ostacoli. Io so perché è caduto in discredito dopo aver vinto il premio nel 1985. Perché aveva già stravinto la corrente irrazionale di Foucault e della biologia politica. Epifenomeni epigonici di Foucault allignano tuttora in Italia.
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La cultura francese è strana. Alterna momenti di cristallo (Valéry e Cartesio) a ondate irrazionali (Balzac e gli alchimisti che interessavano a Bobi Bazlen). Purtroppo quando trionfa il partito irrazionale se ne vedono di tutti i colori. Si scivola con Barthes e le sue follie di discorso amoroso. Ci si becca il virus foucaultiano. Si rimane ingarbugliati nel concetto di “rete” di Bordieu. Ci si inebria sul divano con la critica astrusa leggendo Soglie di Genette. Ci si esalta, sullo stesso divano, sfogliando Lévy-Strauss. Una pagina tira l’altra.
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Conosco i segni dell’antica fiamma. So bene il fascino dell’irrazionale, l’ho patito. E quello francese è poca cosa in confronto al Blut und Boden dei tedeschi: suolo e sangue romantici. Per questo mi eccita scoprire il discorso di Claude Simon, vedere il suo corpo a corpo con la tradizione, con i nanerottoli suoi contemporanei che non vedono in lui altro che un bislacco compositore di romanzi senza capo né coda.
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Credo che il suo discorso, anche se preso a spizzichi e bocconi, sia un godimento assoluto per la corteccia cerebrale. Perché parte da premesse astoriche, come quelle dei suoi romanzi e approda all’acciaio lucente della ragione. Arriva a Stendhal, all’immagine mnemonica che si fissa come una figura a sbalzo e supera questa visione di Stendhal con un tuffo nell’interiorità. Lo scrittore si fa sguardo.
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Sbaglia chi crede che gli intellettuali siano asettici. Mai scordare che alla radice dei razionalisti francesi c’è Cartesio che, come raccontato in un bel libretto, aveva inalato qualcosa di potente prima di sognare nella tenda al calore della stufa. Dopodiché si svegliò e scrisse le tavole della legge, il Discorso sul metodo. E nemmeno scordarsi che Cartesio aveva sognato di trovarsi, nei fumi, davanti a un’arancia. Una roba che nemmeno Dalí…
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Quindi anche il lucido Cartesio sognava. Nel seguito della sua avventura onirica il padre del sedicente razionalismo si trovò poi davanti a un bivio. Da una parte il Sì e dall’altra il No. Tanto basti per chi crede che gli intellettuali siano insensibili. Poi, leggere le poesie di Jaqueline Risset sul sogno di Cartesio.
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Peraltro, che Einaudi storico editore di Simon non si sia mai filato il suo discorso la dice lunga sul suo stato di salute: e qui voglio essere velenoso, perché il discorso Nobel 1985 tocca vertici che Pamuk e Vargas Llosa non raggiungono nei loro proclami in sede nobelistica. Peccato però che entrambi siano foraggiati da Einaudi che gli stampa anche gli opuscoli dei discorsi manco fossero oro colato. Ma Pangea è qui per risolvere i vostri problemi di lettura. Mentre Einaudi è come l’idraulico di Fruttero & Lucentini. Non verrà mai quando serve.
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Ci sono. Eureka. Ho capito perché Simon è stato messo nel bidone. Già durante la guerra civile spagnola si era disilluso riguardo il sol dell’Avvenire dei Compagni. Leggo nell’intervista Paris Review 1992. “Intervistatore – Hai combattuto affianco ai repubblicani in Spagna ma ti sei disilluso abbandonando la causa. Perché? Simon – Io non combattevo. Arrivai a Barcellona nel settembre del 1936 per essere spettatore più che attore della commedia che si svolge nel mondo. Se non ha colto la citazione, è uno dei principi di Cartesio e quando scrisse queste parole, comédie indicava ogni genere di rappresentazione teatrale, tanto comica che tragica. Per Cartesio, che viveva austeramente osservando la debolezza delle passioni umane, la parola comédie aveva un senso lievemente peggiorativo e ironico. Stessa cosa per Balzac che scrive il ciclo, arreso al tragico, che ha per titolo Commedia umana. Gli ingredienti più miserevoli della guerra di Spagna erano i suoi motivi gretti, le ambizioni nascoste che serviva, l’enfasi su parole vuote adoperate da entrambi gli schieramenti. Pareva una commedia terribilmente sanguinosa. Ma pur sempre commedia. Pure, considerato il grado omicida cui si spinse questa guerra fatta di tradimenti, da parte mia non potevo indicarla come comédie. Cosa mi portò laggiù? Certamente le mie simpatie repubblicane. Però anche la mia curiosità di osservare una guerra civile, vedere cosa succedeva”. So già che le lettrici dissentiranno da questa visione riduttivista. Io qui sto. Sicuro che nasca tutto da divergenze politiche.
Andrea Bianchi
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Claude Simon, Dal discorso per l’accettazione del Nobel 1985
(…) Non è per un semplice e schietto caso, o così pare a me, che questa istituzione abbia la sua sede e deliberi la sua scelta qui in Svezia, più precisamente a Stoccolma, al centro quasi geografico o, se preferite, al crocevia di quattro nazioni le cui genti, per quanto ridotte di numero, in virtù della loro cultura, delle loro tradizioni e civiltà e leggi, hanno fatto la Scandinavia così grande da renderla una sorta di isola privilegiata ed esemplare contornata da un mondo d’acciaio e di violenza. Quello in cui abitiamo noialtri.
Dunque non è per caso, dicevo, che Norvegesi, Svedesi e Danesi abbiano tradotto per primi le mie Les Géorgiques uscite da poco. Né è casuale che fosse possibile, lo scorso inverno, incontrare un’altra traduzione sugli scaffali di una stazione di servizio in un borgo isolato tra laghi e foreste della Finlandia. Pure, quando quest’ultimo Nobel fu annunciato, il New York Times (per dire solo uno dei due giganti sotto il cui peso mostruoso siamo schiacciati oggi) chiese invano ai critici americani una loro opinione, e nel frattempo i media del mio paese cercavano febbrilmente qualche informazione su questo autore virtualmente sconosciuto e questo accadeva mentre la stampa popolare nel mio paese, per carenza di analisi critiche delle mie opere, pubblicava ritagli fantasiosi sulla mia vita e la mia attività di scrittore – vorrei dire che le cose andavano sempre così ma altri deploravano il fatto come una catastrofe nazionale per la Francia.
Ammetto di non essere così presuntuoso o così stupido da non intuire che ogni scelta nel regno dell’arte e della letteratura è contestabile e, in qualche modo, arbitraria; e sono il primo a considerare diversi altri scrittori, per i quali ho il più grande rispetto, siano in Francia o altrove, come egualmente eleggibili. Riferisco queste meraviglie di scandali (e talvolta di terrore, come quando un notissimo settimanale francese ha sospettato che la vostra Accademia fosse infiltrata dal KGB) e la loro eco sui giornali ma spero che nessuno vi colga dello spirito satirico o maligno o di facile trionfo. Il fatto è che queste proteste, questa indignazione, addirittura questo terrore, sono come un confronto diretto allestito dentro il regno della letteratura in nome delle forze della conservazione contro quelle che non voglio chiamare di “progresso” (parola destituita di significato in relazione all’arte) ma in ogni caso di “movimento”. E così vorrei dare risalto al divorzio abbrutito, e ancor più aggravatosi, tra arte viva e grande pubblico, il quale è tenuto timidamente nelle retrovie da tutti quei poteri terrorizzati dal cambiamento. (…)
Infatti molti hanno rimproverato ai miei romanzi di non rispettare la tradizione, di non avere né capo né coda (così dicono), cosa perfettamente corretta. Qui vorrei considerare due aggettivi ritenuti diffamatori e che sono sempre associati naturalmente tra di loro o – potremmo dire – associati in quanto correlati. Aggettivi che servono a illustrare la natura del mio problema; le mie opere sono insomma denunciate come frutto di un “lavoro” su di esse e perciò necessariamente in quanto “artificiali”. (…)
Tutti questi signori critici dimenticano che il linguaggio parlato dai maggiori scrittori e musicisti dei secoli passati, prima durante e dopo il Rinascimento – molti dei quali trattati come servi di famiglia agli ordini altrui – era un gergo artigianale. Ci si riferiva ai frutti del loro lavoro, e penso a Bach, a Poussin, come a opere eseguite nel modo più elaborato e coscienzioso possibile. Purtroppo devo riferirvi che oggi, per certe scuole di critici, la stessa nozione di lavoro, o di opera, andrebbe messa in discredito, in modo che se trovate uno scrittore che trovi difficile scrivere siete davanti a una situazione spaventosa. Forse dovremmo insistere su questo fatto perché apre visuali su orizzonti più vasti di quelli che derivano da un semplice sguardo.
Scrive Marx nel primo capitolo de Il capitale che “il valore d’uso o valore di ogni merce ha valore soltanto in quanto impersona e materializza il lavoro dell’uomo”. E infatti conviene partire da qui. Non sono né filosofo né sociologo, eppure sono colpito dal fatto che durante l’Ottocento, in parallelo allo sviluppo delle macchine e di una feroce industrializzazione, vediamo da un lato lo sviluppo della celeberrima “cattiva coscienza” e dall’altro l’intero concetto di lavoro (malpagato per lavorare le merci) che viene svalutato. In questo modo si nega allo scrittore la virtù dei suoi sforzi, in favore di quel che certa gente chiama “ispirazione” e perciò il nostro scrittore diventa un semplice intermediario, un dicitore di chissà quali cose buone con poteri soprannaturali, e la cosa è tanto affascinante che lo scrittore di un tempo, il servo domestico, l’artigiano coscienzioso, adesso osserva se stesso e si accorge di essere una persona lasciata fuori in cortile. Una persona negata. Al massimo diventa un copista, traduttore di libri già scritti da qualche altra parte, una sorta di macchina per decifrare il cui lavoro è consegnare, in un linguaggio piano, messaggi dettatigli da un misterioso “altrove”.
La strategia, allo stesso tempo elitista e nichilista, è evidente. Onorato dal suo ruolo di Pitonessa inebriata, o di altro genere di oracolo, precisamente perché ormai non è più nulla, lo scrittore adesso nondimeno appartiene a una casta esclusiva alla quale d’ora in avanti non è pensabile accedere sulla base del proprio merito o lavoro. Al contrario, il lavoro è considerato, come un tempo usava fare l’aristocrazia, come qualcosa di infame e degradante. D’adesso in poi l’opera d’arte sarà giudicata per mezzo di una parola presa a prestito, in modo abbastanza naturale, dalla religione: si chiama “grazia”, quella grazia divina che come tutti sappiamo non c’è virtù o sacrificio di sé in grado di raggiungere. (…)
In grazia di questa conoscenza (Cos’hai da dirci? soleva dire Sartre, chiedendo che conoscenza uno possedesse), lo scrittore diviene depositario o conservatore, qualcuno che, ancor prima di prender carta e penna, possiede in sé una conoscenza rifiutata agli altri mortali. Questo significa che lo scrittore si vede assegnata la missione di insegnare tutto ciò alla gente in modo che il romanzo, è abbastanza logico, diventa imagistico nella forma, nello stesso modo in cui l’istruzione religiosa è operata per mezzo di parabole e fiabe. Si abolisce la vera persona dello scrittore (è suo compito cancellarsi dietro ai personaggi) e così anche l’opera-prodotto, il pezzo scritto. “Lo stile migliore è quello che non si nota” siamo ormai abituati a dire ricordandoci della formula di qualcuno [Stendhal] che voleva che il romanzo non fosse altro che “uno specchio che cammina ai margini di una strada”: superficie piatta e uniforme, senza alcuna asperità e dietro il suo piatto di metallo lucidato null’altro che queste immagini virtuali che lo scrittore, indifferente e oggettivo, piazza una dietro l’altra. In altre parole, “il mondo come se non ci fossi io a darli una lingua”, per usare la formula ironica di Baudelaire nel definire il realismo.
“Hanno dato il Nobel a Claude Simon per confermare la diceria che il romanzo è finalmente morto?” si chiede qualche critico. Quel che gli è sfuggito è che il “romanzo”, il modello letterario stabilitosi nell’Ottocento, è chiaramente morto, e non importa quante copie di racconti di avventura, amorevoli o terrificanti, coi loro finali felici o disperati, sono comprate e vendute alle stazioni ferroviarie e in altri luoghi consimili. E per lungo tempo si continuerà a venderli, perché portano titoli che annunciano tali verità rivelate: La condizione umana, La speranza [Malraux] e I cammini della libertà [Sartre]. (…)
Invece io quando arrivo davanti al foglio scopro che chi scrive, o descrive, lo fa senza che sia successo nulla prima di allora, non c’è proprio nessuna teoria. È lui che produce, nel senso preciso del termine, dentro il suo proprio presente. È il risultato, non il confliggere, tra il vago progetto iniziale e il linguaggio, è la loro simbiosi così che, almeno nel mio caso, il risultato è decisamente più ricco di qualsiasi intenzione.
Stendhal ha subito questo fenomeno del presente letterario solo nella sua Vita di Henry Brulard [opera finale inconclusa] mentre descrive l’Armata d’Italia che valica il Gran San Bernardo. Mentre è lì a cercare una veridicità possibile, dice, si rende conto all’improvviso che forse sta descrivendo non tanto quell’evento ma un’incisione vista solo in seguito. “L’incisione aveva preso il posto, per me, della realtà” scrive Stendhal. Avesse meditato un poco più a lungo avrebbe intuito che tutti sappiamo immaginarci gli oggetti di un’incisione, fucili carri merci cavalli ghiacciai rocce ecc. ma l’enumerazione riempie molte pagine mentre quella di Stendhal sta in una pagina sola. Avrebbe capito che non si trattava nemmeno di un’incisione ma di un’immagine che si stava formando dentro di lui e che stava prendendo il posto dell’incisione che lui credeva di star descrivendo.
Più o meno consapevolmente, come risultato delle imperfezioni, prima della sua percezione e poi della sua memoria, l’autore non solo seleziona soggettivamente, sceglie ed elimina ma valorizza pochi tra le centinaia di migliaia di elementi sulla scena: e improvvisamente siamo ben lontani dallo specchio che cammina lungo il margine della strada. (…)
A volte la gente parla, in modo volubile ed ex cathedra, della funzione dello scrittore e dei suoi doveri. Anni fa, usando una formula che contiene in sé una contraddizione, certuni dissero, in modo abbastanza demagogico, che “un libro vale nulla se paragonato alla morte di un piccolo bambino del Biafra”. Ma cos’è questa morte, diversa da quella di una scimmia, perché è uno scandalo insopportabile? Perché il bambino è un infante umano col dono dell’intelligenza, di una coscienza (per quanto embrionale) che, se sopravvive, sarà un giorno capace di pensare e parlare delle sue sofferenze e di leggere della sofferenza altrui e farsene commuovere e, con un tocco di fortuna, potrà scriverne.
Prima che finesse il secolo dei Lumi, prima che fosse forgiato il mito del “realismo”, Novalis enunciò con scioccante lucidità questo paradosso. Paradossale in apparenza. “Col linguaggio è come con le formule matematiche: entrambi contengono una parola sua propria che sta sola per conto suo. Il loro gioco è esclusivo ed interno, non esprime altro che ciò che sta dentro la parola, e precisamente il gioco reciproco degli oggetti che vengono così singolarmente riflessi”.
È in questo gioco reciproco che forse si riesce a concepire il coinvolgimento dentro l’atto di scrivere che, con tutta modestia, contribuisce a cambiare il mondo ogni volta che si cambia il modo in cui un uomo, anche al grado minimo, si riferisce al mondo in termini di linguaggio. Non c’è dubbio che il sentiero su cui ci incamminiamo sarà ben diverso da quello dei romanzieri che, incominciando dall’“inizio”, raggiungono la “fine”. Questo modo che dico costa all’esploratore di terre misteriose tanti dolori (perdersi, ritornare sui suoi passi, guidato o deviato da somiglianze tra posti diversi, dagli aspetti diversi degli stessi posti) e il nostro uomo dovrà sempre fare delle verifiche, passare da incroci già attraversati. Quanto alla fine dell’indagine: verterà sul “presente” di immagini ed emozioni che non sono più vicine o più distanti tra loro che a qualche altra immagine ed emozione (e ci saranno parole in grado di usare un potere prodigioso per accostare e giustapporre gli oggetti che altrimenti rimarrebbero disgiunti all’interno del nostro tempo e spazi misurati da unità scientifiche). La fine del viaggio potrebbe avvenire quando il nostro viaggiatore torna al punto di partenza più ricco per aver notato certe direzioni, per aver scoperto alcuni attraversamenti e per essersi addentrato, con ostinazione, dentro certi particolari senza menar vanto di cose che non conosce ancora. Si potrebbe anche farlo tornare a quel “buon senso comune” che tutti dobbiamo far mostra di riconoscere perché ne siamo parte.
Lungo questo sentiero non c’è altra fine che l’esaurimento delle energie di colui che, esplorando questo territorio infinito mentre lo percorre, contempla la mappa incerta che ha tracciato durante la sua marcia, mai abbastanza sicuro di aver fatto del suo meglio nel seguire certi entusiasmi, nell’obbedire a certi impulsi. Nulla è sicuro, né ci sono altre garanzie di quelle di cui disponeva Flaubert e, prima di lui, Novalis: c’è una musica, un’armonia che ci farà sicuri. Mentre la ricerca, lo scrittore svolge il suo progresso laborioso. Seguendo il suo sentiero come se fosse cieco, intoppa in cul-de-sac, si impantana e ne riesce. Se cerchiamo a tutti i costi un fine edificante nei suoi sforzi, potremmo dire che basta osservarlo mentre avanza, come noi, sulla sabbia che scivola sotto i piedi.
Grazie per la vostra attenzione.
Claude Simon
*traduzione di Andrea Bianchi
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samdelpapa · 6 years ago
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I meno peggio={Dal Nuovo Ordine Mondiale al governo italiano: intervista a Salvatore Brizzi • rEvoluzione
Con la nascita di internet e la libera circolazione dell’informazione, si è visto negli anni il proliferare di tesi e teorie riguardo la presenza di una sorta di oligarchia segreta che orienti l’andamento politico economico a livello globale, sfruttando le masse inconsapevoli per garantirsi potere e ricchezza aumentando di secolo in secolo la propria influenza. Meglio nota come Nuovo Ordine Mondiale, questa cospirazione troneggia su tutte le  teorie del complotto, raccogliendo un interesse crescente tra le diverse fasce della popolazione, dividendo il pubblico tra sostenitori e detrattori.
Salvatore Brizzi.
Dal controllo del signoraggio bancarioal microchip sottocutaneo, passando per le vaccinazioni imposte e la messa in crisi della famiglia tradizionale, molte delle teorie ipotizzate dai complottisti più sfrenati hanno trovato riscontro nelle politiche attuali, facendo sospettare più di uno scettico di una reale costruzione strategica dietro gli sviluppi più recenti del mondo moderno.
Per affrontare questo tema, abbiamo scelto un interlocutore d’eccezione, che rispondendo alle nostre domande proverà a fare un po’ di chiarezza su questo fenomeno e sugli argomenti che di solito vengono trattati in queste teorie.
Salvatore Brizzi, scrittore, editore e conferenziere di successo, è noto al pubblico per la divulgazione delle tematiche del “Lavoro su di sé”proponendone un’applicazione attiva nella vita sociale senza eremitiche astrazioni.
| Intervista a Salvatore Brizzi |
1 – Buongiorno Salvatore. Visto e considerato il tuo lavoro e il successo che riscuoti, cosa ne pensi del cosiddetto complottismo?
Come dico sempre io, il complottismo non esiste: ci sono persone che spendono del tempo per informarsi, persone che osservano i fatti e li collegano, mentre ci sono altre persone, la maggioranza, che si limitano alla superficie delle cose, non hanno profondità di pensiero, sono irrimediabilmente ingenue e una volta acquisita la “versione ufficiale” dei fatti si sentono tranquille.
Una persona che crede siano i poteri finanziari a influenzare la politica e la medicina (giusto per fare due esempi), non è un complottista, è solo una persona con del sale in zucca. Sono coloro che non si accorgono di questo ad avere dei problemi seri!
Salvatore Brizzi, La rinascita italica (Antipodi Edizioni).
2 –  Ti andrebbe di fare un po’ di chiarezza riguardo il tema del Nuovo Ordine Mondiale che impera da anni in molti siti internet e nei video di YouTube? Se secondo te esiste, di che entità è?
Non so quanto posso spingermi oltre nelle mie risposte, perché nell’era di internet non sai mai dove andrà a finire un’intervista. Diciamo che il Nuovo Ordine Mondiale è un progetto di asservimento delle masse che ha origini molto lontane e, soprattutto, non umane. Abbiamo a che fare con “forze” non comuni, che agiscono principalmente sui piani sottili, influenzando il pensiero degli umani. Il risultato è che a un certo punto alle persone sembra normale pensare in un certo modo, quando invece la loro è un’opinione indotta. Lo scopo è introdurre un pensiero (e quindi un comportamento) che vada in direzione della disgregazione dell’io. Lo scopo è lo sradicamento identitario il quale, come ogni bravo psicologo sa, indebolisce l’individuo, lo rende malleabile e più facilmente ipnotizzabile. Siamo soggetti a una sperimentazione.
Salvatore Brizzi.
Mi dispiace che anche il mondo della spiritualità si stia lasciando influenzare. Nel mondo new age si crede erroneamente che difendere l’identità sessuale o sentire l’appartenenza a una patria non siano comportamenti spirituali. Si crede portino divisione. Io dico che la disgregazione identitaria – questo gridare ai quattro venti che non ci devono più essere nazioni o distinzioni nette fra maschio e femmina – ci renderà più stupidi e più servili. Riconoscere e mantenere le diversità non significa smettere di rispettarle. Inoltre non confondiamo il superamento dell’io condotto all’interno d’un sentiero spirituale – che concerne un numero molto ristretto di persone – con la disgregazione dell’io condotta sulle masse che viene portata avanti oggi.
3 – I governi, la politica, e l’economia quindi non si possono definire autonomi…a questo punto che senso ha esprimere il proprio parere attraverso la scheda elettorale?
Esprimere il proprio voto ha sempre senso, perché riguarda l’acquisizione della propria responsabilità. Io voto coloro che credo si stiano muovendo in una direzione non dico evolutiva, ma almeno non disgregatrice. È un periodo storico in cui bisogna accontentarsi del meno peggio, tuttavia continuare a far sentire la propria voce, occorre resistere, non demordere, non farsi sfiancare.
4 – È appena uscita la nuova edizione del tuo libro “La Rinascita Italica”, in cui indichi l’impegno politico come una via per la realizzazione di Sé, e per mettersi al Servizio dell’umanità. Alla luce di quanto detto, ti va di spiegarci brevemente come questo possa essere possibile?
L’impegno politico diventa una via interiore nel momento in cui viene portato alle estreme conseguenze. Come spiego nel mio libro, il tuo scopo ultimo dev’essere diventare un autentico cittadino; non un suddito, un cittadino. Il cittadino è colui che prende su di sé la piena responsabilità per quanto accade alla sua nazione e, più in generale, nella sua vita. Questo genere di cittadino non c’è ancora, si sta formando adesso.
5 – Come ultima domanda andiamo a porti una questione di interesse nazionale. Cosa ne pensi dell’attuale governo “giallo – verde” e come vedi il futuro dell’Italia e dell’Europa?
Questo governo mi piace anche se, ripeto, non è l’ideale, è il meno peggio. Se non altro non è così succube della BCE come i principali partiti. Chi va al governo è sottoposto a pressioni molto forti. Conte, Di Maio e Salvini costituiscono un antico triumvirato che già aveva governato in passato. Lo so, è un’affermazione che lascia il tempo che trova perché non ci sono prove, ma tant’è. Finché restano uniti possono fare ottime cose, se si dividono vengono spazzati via. L’anello debole è Di Maio. Secondo me a un certo punto sarà Di Maio a cedere alle tentazioni e rompere il triumvirato. Di Maio vorrebbe più potere e per fare questo potrebbe allearsi segretamente con i partiti “del sistema” e scaricare la Lega. La Lega si sta comportando ottimamente, dà molto fastidio.
Mi dicono che sono pessimista, ma secondo me il sistema al momento non è scardinabile, controlla l’informazione… e questo basta. L’alternativa attuale consiste in piccole comunità autonome che hanno il compito di preparare l’umanità del futuro, l’uomo nuovo.
| Il lato oscuro della Forza. Dai poteri occulti al transumanesimo |
Nel ringraziare Salvatore Brizzi per il tempo dedicatoci, ricordiamo che il prossimo 5 Maggio insieme ad Enrica Perucchietti, terrà un seminario in cui verranno approfondite le tematiche affrontate in questa intervista, creando un’occasione unica nel suo genere in cui le teorie e le pratiche del lavoro su di sé incontreranno il lavoro di indagine e inchiesta giornalistica, per offrire un quadro chiaro, pratico e documentato su queste tematiche.
Per info e prenotazioni sul seminario “Il lato oscuro della Forza. Dai poteri occulti al transumanesimo“:
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